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Lemma Amore

Ogni lemma è costruito da una sequenza legata al cinema contemporaneo che permette all’autore
di introdurre il tema, il lemma amore inizia con la descrizione dell’ultimo film di Bertolucci che in
un certo senso costruisce una narrazione simile al cinema dell’ultimo Bertolucci, ovvero serrato
all’interno degli spazi molto chiusi, e che i personaggi sono costretti ad interagire tra di loro.
Il film di Bertolucci “Io e te” del 2012 parla di questo ragazzo Lorenzo che anziché andare per una
settimana in settimana bianca con la sua classe, decide di chiudersi nella cantina di casa sua per
una settimana per poter stare da solo, organizzandosi tutto: scorte di cibo e tutto il necessario per
poter vivere per una settimana chiuso lì dentro, il colpo di scena è che Lorenzo non è da solo, ma
deve convivere con la sua sorellastra.
Inizialmente il rapporto è burrascoso i due ragazzi si raccontano in qualche modo all’interno di
questa stanza fino ad arrivare alla fine, i due escono e vanno in strada, la telecamera mostra i
personaggi che escono in questa Roma mattiniera, la macchina da presa inizia ad innalzarsi come
se quella vicinanza raggiunta nella cantina debba annullarsi, la forma intima del due si fonda sul
sentimento che orienta lo stare insieme, è da questo che nasce un qualcosa che eccede la forma
speculare dell’uno.
Il tema del lemma amore sostanzialmente la questione dell’amore è sempre un uscire dalla
singolarità e farsi incontro all’altro, a qualcuno che è differente da noi, che crea una relazione che
costruisce una soggettività.
Il cinema italiano lavora questa narrazione dell’amore sia dal punto di vista della commedia (forma
comica, come forma di racconto per eccesso) che dal punto di vista del melodramma (storia
d’amore impedita nel suo compiersi, o semplicemente ostacolata da un tragico finale).
Facendo un salto indietro verso la dimensione della relazione amorosa che appartiene al cinema
muto, quest’ultimo ha avuto una grandissima tradizione in Italia, è stato soprattutto un racconto
attraverso cui il cinema italiano ha costruito la rappresentazione dei corpi soprattutto attraverso il
melodramma.
Il melodramma ha un’importanza fondamentale nella contrapposizione con l’altra grande forma
del cinema italiano ovvero la commedia, questo lemma quindi ci permette di individuare due
grandi generi, la commedia da una parte e il melodramma dall’altro.
Da una parte c’è la crisi della relazione amorosa nel melodramma, e dall’altra c’è la relazione
scettica come grande fondamento della società che appartiene alla forma della commedia, si parte
da un discorso iniziale a partire da un testo fondamentale, che è il “Discorso sopra lo stato
presente degli italiani” scritto da Giacomo Leopardi, la prima cosa che nota Leopardi è la
mancanza in Italia di una società stretta, ovvero un’elite che diventano modi di comportamento
per tutta la società.
Quando parliamo di società stretta come la definisce Leopardi, si parla della borghesia che faccia
da modello alle altre classi sociali; quello che in effetti leopardi sottolineava era proprio l’assenza
della borghesia.
È soprattutto durante l’epoca del cinema fascista, che è stato dominato dalla commedia, è una
commedia che cerca di costruire un’immagine di alta borghesia o aristocrazia che costituivano un
modello simbolico di riferimento.
Quindi dobbiamo dire che se la società stretta si trova nelle forme dell’interazione e della
conversazione, questa società la ritroviamo nella commedia, che nel fascismo sono tutte
strutturate sull’interazione e la sociabilità
L’esempio fondamentale è il “Signor Max” degli anni ’30 che racconta la storia di un edicolante
interpretato da Vittorio de Sica (divo del cinema degli anni ’30 in Italia), che riceve per una serie di
fortunate vicissitudini la possibilità di viaggiare in crociera, frequentando i circuiti più importanti,
assumendo un personaggio ed indossando una maschera, che corrisponde al desiderio di far parte
di quell’elite, ma che non esiste come dice Leopardi, portando la messinscena fino alla fine.
Dunque, il film costruisce maschere con identità fasulle da portare avanti, in qualche modo quello
che emerge da questa commedia è l’idea di una relazione basata sulla maschera, sulla costruzione
di relazioni illusorie e ingannevoli, tanto che Gianni il protagonista su consiglio del padre, non dirà
alla domestica che lui era il signor Max.

Ciò che i costumi di una società stretta mettono in gioco è l’ambivalenza come parola chiave,
ovvero il gioco delle maschere che viene messo in atto nel cinema degli anni ’30 mostra anche
questa grande costruzione di una società che non esiste, al tempo stesso i film rivelano angosce o
inquietudini, attraverso la finzione quindi si può rivelare un qualcosa di vero.
L’ambivalenza è un qualcosa che attraversa tutto il cinema degli anni ’30 e ’40, la costruzione di
cinecittà o il centro sperimentale di cinematografia deriva da una serie di esperienze, stage fatti da
Luigi Freddi che nel 1934 si reca ad Hollywood per studiare il sistema americano per alcuni mesi.
Quello che emerge dal trailer di “Tempo massimo” di Mario Mattioli sono dei personaggi in un
mondo illusorio, armonico e ricco dove non c’è altro se non la relazione amorosa, gli sforzi del
Professore (Vittorio de Sica) per diventare un ciclista e mancano i problemi concreti.
Quello che cambia radicalmente il cinema italiano, è sicuramente la Seconda guerra mondiale,
Deleuze sottolinea che l’elemento di novità innescato dal neorealismo è che viene a cadere tutta
quella dimensione illusoria dell’ambivalenza del cinema degli anni ’30, non è più il sogno di una
società che non esiste, il punto fondamentale diventa il raccontare la realtà, esempio cardine e
chiave è il film “Ladri di biciclette”, Antonio Ricci torna a casa dopo aver trovato lavoro, la moglie
cerca una soluzione per riavere la bicicletta, e qui De Sica e Zavattini (sceneggiatore e coautore
del film) raccontano un mondo e una relazione tra marito e moglie attraverso una serie di dettagli:
parole, tempi e spazi straordinari, i personaggi sono immersi nella loro quotidianità, stanze
sporche e spoglie, caserme nella periferia romana, e poi nella seconda parte della sequenza
all’interno del monte dei pegni De Sica non taglia i personaggi nemmeno quando escono di scena.
Ci sono grandi modelli come Rossellini e Giuseppe de Santis, figura fondamentale del neorealismo
che realizza “Caccia tragica”, giocando con i generi ed i corpi del cinema, presentando due coppie
che rappresentano la figura dell’amore in cui in gioco vi è il bellico, il dramma, sentimento puro
che si contrappone alla maschera.
Da una parte abbiamo la quotidianità del rapporto tra moglie e marito di “Ladri di biciclette”, che
fa piazza pulita del romanticismo della storia d’amore, dall’altra parte c’è il gioco delle coppie di
“Caccia tragica”, in cui in gioco vi è un qualcosa di diverso, vale a dire la dimensione del rapporto
tra presente e passato vedremo come negli anni ’50 si svilupperà questa nuova visione del
rapporto d’amore, che si svilupperà nel secondo dopoguerra.

Dopo la costruzione di una società immaginaria dove le relazioni sono al centro del mondo, con il
neorealismo e il cinema del dopo guerra, in seguito, hanno contribuito ad una frantumazione di
questa illusione, la relazione viene vista nella sua concretezza, come in Ladri di biciclette, dove la
relazione amorosa è basata su problemi concreti.
Michelangelo Antonioni, regista che ha spesso costruito una rappresentazione del mondo fondato
sulla distanza dei rapporti, i personaggi di Antonioni si muovono a vuoto, girano in tondo,
coltivano le loro storie pur essendo consapevoli che queste storie sono destinate alla fine.
Dirige film che raccontano apparentemente situazioni quotidiane ma in realtà trasfigurano luoghi
poetici onirici, in “Cronaca di un amore” racconta una storia all’interno dei canoni classici del film
di genere in cui due amanti decidono di uccidere il marito della donna per poter vivere la sua
storia con l’amante; tutto il film è il racconto di questa pianificazione che diventa anche lo spazio
di dubbi, incertezze per mostrare la fragilità dei personaggi e della non sincerità della loro storia
d’amore, è un film freddo e geometrico.
Antonioni filma i due attraverso un piano sequenza costruendo due distanze dai corpi che
rappresentano la distanza reale tra i due personaggi, che stanno per compiere un atto radicale per
amore, ma che stanno facendo un qualcosa che infondo non credono a pieno.
Antonioni lavora sulla profondità di campo, lasciando a fuoco i due attori in primo piano, sia i
lavoratori che puliscono il canale dietro di loro, l’inquadratura non è mai ferma, vi è una continua
circolarità degli attori
Il direttore della fotografia di questo film è Enzo Serafin che verrà chiamato due anni più tardi da
Rossellini per “Viaggio in Italia” film uscito nel 1955 che ebbe un insuccesso quasi uniforme in
Italia, ad eccezione della critica francese che poi diventerà nucleo fondatore della Nouvelle Vague
in Francia; il film veniva considerato un’involuzione rispetto al Rossellini del periodo neorealista.
Questo però è un film che con il tempo verrà considerato una sferzata a tutto il cinema mondiale
diventando rivoluzionario, Scorsese nel 1999 realizza come abbiamo visto nelle lezioni precedenti
un film a puntate chiamato “Il mio viaggio in Italia” una sorta di grande omaggio al cinema
italiano.
Rossellini racconta la storia di una coppia alto borghese inglese che si trova a viaggiare a Napoli
per una questione di eredità, i due sembrano essere una coppia tranquilla, ma che il viaggio
mostrerà le forti lacerazioni che i due hanno con incomprensioni radicali, il tutto viene consegnato
allo sguardo, Rossellini non spiega ma mostra, i protagonisti vengono invitati
ad assistere alla scoperta di uno scavo a Pompei, immediatamente prima della scoperta di questo
scavo a Pompei i due decidono di divorziare in modo civile ed unanime.
Ulteriore elemento caratteristico di Rossellini è che la passeggiata che effettuano i personaggi è
fatta di moltissime inquadrature, passaggi da un luogo all’altro nella città di Pompei, pratica
inutile, ma Rossellini si sofferma sul viaggio tra le mura di Pompei, in contrapposizione con il
cinema Hollywoodiano e il cinema tradizionale.
Ecco che allora si sta disegnando un panorama in cui il cinema italiano si concentra su dinamiche
amorose viste come specchio di trasformazione interiore ed emotiva dell’Italia di quegli anni.
Il cinema dall’altra si muove attraverso questa illusione che l’amore sia il cemento per costruire un
qualcosa di nuovo e questa dimensione prende il nome del filone del neorealismo rosa, attraverso
Antonioni e Rossellini vediamo una direzione del cinema dopoguerra che si sviluppa negli anni ’50
in cui la relazione d’amore diventa la modalità attraverso cui guardare la società.

In “Due soldi di speranza” di Castellani, vi sono due giovani personaggi che vivono la loro storia
d’amore nonostante gli ostacoli esterni, uno dei quali la ricerca del lavoro, ed è qui che si
costruisce il gioco di sguardi e di seduzione tra i due giovani personaggi che sono i protagonisti del
film.
Nella sequenza vediamo il lavoro di Castellani rispetto alle forme del neorealismo storico, la sua
parabola è lontana dai registi del neorealismo, formatosi come regista durante il periodo fascista il
suo è quindi un cinema complesso che lavora ibridando forme diverse e al tempo stesso è un
cinema che immagina e pensa il rapporto d’amore come perno della società.
Dobbiamo dire però che melodramma la dimensione della relazione amorosa è il centro nevralgico
della vicenda anche quella familiare; uno degli autori più rappresentativi di questa tendenza è
Raffaello Matarazzo, autore che nasce cinematograficamente durante il fascismo, Matarazzo
prende la narrazione del melodramma lo trasferisce all’interno di una fascia sociale popolare, e
dunque ottiene “Catene”, racconta la storia di una coppia con figli, all’interno della vicenda si
“intromette” uno spasimante che fa la corte alla donna sempre più ossessivo e che cerca in
qualche modo di far cedere la donna che è fedele al marito, e infine la donna decide di incontrarlo
per dirgli di lasciarla in pace ma è qui che il marito li scopre, pensa che abbia un amante e uccide
l’uomo.
La donna viene ripudiata da tutta la famiglia ed è in attesa di processo, alla fine la donna confessa
di essere colpevole pur non essendolo per amore del marito e salvarlo, amore inteso come
annullamento di sé nei confronti dell’altro.
La forza di un film come “Catene” sta nella capacità di tenere in equilibrio l’immediatezza della
narrazione, rovescia la costruzione illusoria del cinema degli anni ’30, ecco che la relazione
d’amore è estesa ad una dimensione più ampia della coppia, il duo originario della coppia è il
nucleo della costruzione del livello massimo che è la famiglia, ed è il rapporto genitori figli,
espressa attraverso questa idea assoluta del sentimento d’amore, del sacrificio assoluto di questa
donna che pur di salvare il marito soffre terribilmente per non poter vedere la figlia.
Gli anni ’60 sono anni in cui il cinema ha variato sé stesso, presentando il cinema di grande
innovazione di Rossellini, fino al lavoro di sperimentazione televisivo, passando dal cinema di
genere di Sergio Leone con inventività senza pari, passando attraverso la grande corrente dal
punto di vista numerico della nuova commedia.

Negli anni ’60 nasce una nuova commedia con grande impatto immaginativo sono gli anni del
boom economico.
Questa trasformazione economica fa cambiare quelli che sono i sistemi di valori, ciò che cambia
negli anni ’60 è il godimento della vita ad acquistare sempre più valore in queste dinamiche, un
film che entra in questa dinamica è “Divorzio all’italiana”, si ha una vera e propria
desacralizzazione della figura matrimoniale, Mastroianni in questo film sogna di sbarazzarsi di sua
moglie (dato che in quegli anni il divorzio non esiste).
La stessa cosa viene fatta dallo stesso Pasolini con “Accattone”, il suo cinema prende alcuni
aspetti del neorealismo e li esaspera ancora di più, i personaggi del film sono degli sfruttatori, si ha
un superamento del limite continuo.
Il cinema italiano degli anni ’60 diventa molto forte e feroce, ma l’altra faccia della medaglia del
cinema italiano degli anni ’60 viene ripreso da Antonio Pietrangeli che, in “Io la conoscevo bene”
racconta la storia di una ragazza che vive senza limiti e in questo vivere incontra diverse persone
che si approfittano di lei, il film è un continuo fluire.
La sequenza di “Accattone” ed “Io la conoscevo bene” sembrano speculari l’una all’altra, tutte e
due i casi mostrano una relazione tra un uomo e una donna che non sembra essere una vera e
propria relazione.
Gli anni ’60 non si fermano a questo, vi è una grande sperimentazione estetica, ma comunque
questa scelta influenzerà i decenni successivi, vi sarà un ritorno all’amore intimo che vedremo a
partire dagli anni ’80 come forma di protezione dal mondo esterno.

Michelangelo Antonioni e Marco Ferreri appartengono a generazioni diverse ma che affrontano


tematiche comuni, “La notte” di Antonioni è film molto premiato che tutt’oggi ha potenza di
modernità molto straordinaria, parla di una coppia con Marcello Mastroianni, il regista racconta
un passaggio tra una dimensione tipica del neorealismo per passare poi a un interiorità una
dimensione conflittuale all’interno dell’individuo che si ripercuote nella dimensione amorosa; dal
punto di vista cinematografico i due personaggi non sono mai insieme, sono a distanza.
Dallo spazio vuoto di Antonioni si passa al cinema Barocco di Ferreri, che costruisce un percorso in
cui racconta i cambiamenti del vivere in Italia, nel 1986 realizza un film dal titolo “I love you”
raccontando una storia d’amore feticista tra un uomo e un portachiavi a forma di donna, quello
che hanno in comune Ferreri e Antonioni è che la loro coppia si sfalda.
Il cinema di Ferreri sembra l’esatto opposto del cinema di Antonioni, il vuoto in Antonioni e il
pieno di eccessi narrativi di Ferreri.

Il cinema italiano lavora in maniera tale da rappresentare profondi cambiamenti all’interno della
società italiana, la coppia come fondamento della società si sgretola mostrando l’inconsistenza o
l’apparente unione, Bertolucci nel 2003 con “The Dreamers”, vediamo che i protagonisti sono un
fratello e sorella francesi ed un americano che si trovano a vivere insieme e che costruiscono un
nuovo tipo di relazione rispetto al duo classico canonico, eppure straordinariamente vitale, in una
sequenza di questo viaggio all’interno del museo di Louvre ricorda l’euforia, la gioia di vivere.
Bertolucci cinefilo e amante del cinema della Nouvelle Vague inserisce all’interno del film un
riferimento perché i tre protagonisti di “The Dreamers” avendo scoperto di aver battuto il record
dei tre protagonisti del film di Godard “Bande à part” sono tutti felici cominciano cantare tutti in
coro “è uno di noi è uno di noi” che è il coro che i nani deformi di “Freaks” di Tod Browning
cantano per accogliere una nuova arrivata.
Nel finale del film qualcosa accade, i tre vivono all’interno dell’appartamento e diventa sempre più
soffocante vivere insieme, un sasso entra dalla finestra, costringe i tre a guardare fuori, una
manifestazione di studenti che si sta per scontrare contro la polizia, è il 1968, e i tre scendono in
strada, si dividono poiché i fratelli vogliono partecipare alla lotta ma il ragazzo americano no, e qui
vediamo la fine della dimensione libertaria degli anni ’60 che è appunto il finale del film “The
Dreamers”.
La fine del film mostra i poliziotti che vanno verso la cinepresa che diventa la fine dell’utopia, del
gioco, della libertà.

Un film che sintetizza quelle che sono le tematiche per quanto riguarda il tema amore, è
“Zabriskie point” di Antonioni, che all’uscita fu un insuccesso clamoroso ma che con il tempo
diventò un film di culto.
In questi anni l’idea del due entra in crisi perché ad entrare in crisi è l’idea di modello di
riferimento che è quello della coppia del matrimonio, entrano in gioco altri modelli ma l’individuo
entra in un gioco di relazioni più complesso.
In questo film fondamentalmente i personaggi perdono lo spazio di riferimento, ciò che l’incontro
tra due ragazzi ribelli che pur nella sua forza determina un fallimento ed una morte, al tempo
stesso vi è una visione ovvero l’importanza che il cinema mostri che da una coppia possa nascere
una comunità.
Nel film loro viaggiano verso la valle della morte negli stati uniti, fanno l’amore e notiamo che la
valle intorno a loro si anima, la prima cosa che risalta agli occhi è che la sequenza sospende la
visione narrativa, i personaggi inizialmente scappano dalla loro vita e arrivano in questo luogo, la
pietra è il materiale da cui sorgono forme di vita come utopia, che in seguito si scontrerà con la
società, sta di fatto che nel film questa dimensione utopica svanisce, perché entrano in gioco altre
pressioni, il due non si forma ed emerge un’altra realtà quella del capitalismo, il momento finale
del film c’è una tragedia che si è compiuta ed è un altro momento di immaginazione, alla fine vi è
un’immagine di distruzione del capitalismo che si contrappone alla creazione della scena
precedente.
In questo momento Daria la protagonista femminile del film guarda una villa in cui vi sono vari
simboli, il film si mostra con la dimensione del neocapitalismo, guarda la villa e quello che accade è
un’ambiguità dato che non vi è una rivelazione del fatto che sia una visione di un sogno della villa
di esplodere, non vi è un controcampo di ciò che sta guardando Daria ma non è importante.
Gli anni ’70 sono anni in cui l’imperativo sembra essere del piacere più che dell’amore, è il
godimento il segno particolare dell’umanità, puro godimento inteso come consumo delle merci,
inteso nel senso politico, il sesso, trovare la propria identità attraverso queste forme.
Il grottesco crea un mondo totalmente fuori dai confini in cui tutto è esagerato per un effetto
comico e tragico, ad esempio con “La grande abbuffata” di Marco Ferreri sembra essere una
versione grottesca del meccanismo del Decameron Boccacesco, ma il percorso del film è diverso,
una sorta di rovesciamento, non vi è più narrazione ci sono solo i dialoghi, le persone si riuniscono
solo perché c’è il mondo, solo per il consumo degli oggetti, Ferreri quindi racconta di un gruppo di
persone che si riuniscono solo per godere il cibo e il sesso, fino ad arrivare a questa indigestione di
questi ritmi.
Pasolini con “Il Decameron” primo della trilogia della vita seguito da “I racconti di Canterbury” e
“Il fiore delle Mille e una notte” affronta “Il Decameron” di Boccaccio, diventa una forma in cui
Pasolini riflette sulla vita contemporanea e mostra una dimensione vitale del corpo, del piacere e
del godimento che attraversa i primi secoli dell’occidente, mostra ciò che non esiste più ovvero il
desiderio che diventa ossessione del consumo.
Ritornare su quei racconti diventa il più grande successo commerciale del cinema di Pasolini,
suscitando la curiosità del pubblico e che fece abiurare quei film dal regista stesso poiché
evidentemente il pubblico ne ha colto solo l’aspetto più piacevole e visibile.
Il fallimento progettuale della trilogia della vita spinge Pasolini a lavorare ad un altro progetto,
ovvero “Le cento giornate di Sodoma” che con una trasposizione ambientata a Salò mostra il
punto d’origine genealogico alla società dei consumi, qui trasferire il racconto di Sad dal ‘700 al
periodo del fascismo con una precisa connotazione politica.

È abbastanza emblematico che in “Le cento giornate di Sodoma” vi sia una scena di un
matrimonio completamente trasfigurata, nel film viene messo in scena un matrimonio dove
quattro figure dei signori si travestono da donne e si fanno sposare da quattro ragazzi; Pasolini
organizza quella che è la ripresa nei minimi dettagli, una sequenza disturbante per quegli anni
tante che per questo film Pasolini fu processato e la visione è stata vietata per molti anni.
Ciò che è disturbante è che la cerimonia che viene seguita in maniera serissima i corpi non sono
liberi di muoversi ma sono diretti da una struttura simmetrica che è un qualcosa di contrario
rispetto all’istintività del corpo.
Affrontare la contemporaneità, ovvero il cinema che parte dagli anni ’80 fino ad arrivare ai primi
anni 2000 dobbiamo parlare di Nanni Moretti,
Uno dei film più emblematici del regista è “Bianca”, è la storia di un professore interpretato dallo
stesso regista in cui la sua vita è affrontata da un disagio, oltre quello di vivere anche quello di non
trovare la perfezione, i rapporti non sono mai puri e assoluti, la mancanza di un’assolutezza è
quella che colpisce nel film, in cui Nanni Moretti dialoga con Laura Morante anche lei docente,
proprio della mancanza di assolutezza nei rapporti d’amore.
L’idea del protagonista è di trovare una stabilità nei propri comportamenti e quindi evitare il caos
o il rischio di ogni rapporto amoroso, sofferenza e perdita.
Moretti cambia l’idea dell’eccesso per dichiarare ancora una volta il fallimento del matrimonio, ma
dal punto di vista della paura, che lavora sull’esasperazione dei caratteri, ma questo non vuol dire
che non ci sia desiderio.
Il film successivo a questo ovvero “La messa è finita” del 1985, Moretti continua a sviluppare
questi concetti ma in una chiave diversa, lo stesso regista è il protagonista che interpreta un
Sacerdote mentre annuncia ai suoi parrocchiani che la sua missione sarà in una parrocchia della
città di Roma, il sacerdote compie delle azioni disastrose per salvare i suoi amici, nella prima
sequenza vediamo il dialogo tra il Sacerdote ed una sua amica in cui a ridare ordine e purezza al
rapporto in realtà naufraga completamente, in un film comico vi è una scena tragica, le commedie
di Moretti sono tragiche non perché non vi sia umorismo e ironia, ma dietro questa ironia vi è un
profondo disagio dell’esistenza contemporanea.
Nel finale del film il regista trasforma la realtà dandogli un’altra modalità, con una scena di ballo
che paradossalmente fa eco con quello che doveva essere il finale di “Cento giornate di Sodoma”
di Pasolini (dato che era la sua idea iniziale), in cui in un matrimonio i personaggi danzano,
vediamo come il passaggio da Pasolini a Moretti delinea un primo quadro delle trasformazioni che
il cinema contemporaneo opera.

Come abbiamo fatto nel mettere insieme Pasolini e Moretti, faremo oggi con Peter del Monte e
Valerio Mieri che individuano alcuni aspetti importanti, come la malattia d’amore è un qualcosa
inteso come una mancanza, questa mancanza la si vede in “Compagne di viaggio” film di Peter del
Monte tra una ragazza e un uomo anziano, amore basato sulla compagnia, nostalgia di una
relazione pura e profonda; Nella prima parte della sequenza vediamo che Asia Argento fa zapping
sulla tv, fino ad arrivare al volto di una donna che guarda verso l’alto e proclama una sorta di
promessa, quella donna è Ingrid Bergman e quel film è “Stromboli” di Roberto Rossellini uno dei
capolavori del cinema mondiale, Asia Argento in qualche modo vuole rafforzare il contatto con lei.
Valerio Mieri con “Ricordi?” straordinario dal punto di vista del montaggio, film fatto di flashback
e il montaggio non fa altro che inserire questi ricordi, belli, brutti, sfocati, una scena del film il
protagonista ricorda in modo nostalgico il suo primo amore vero, il luogo più presente all’interno
di questa sequenza è una sorta di balcone mediterraneo, dove i due si conoscono la prima volta, è
un luogo di fantasmi poiché lo vediamo vuoto nel presente e riempito di persone e luci nel
passato, il montaggio costruisce una sorta di dimensione onirica di una memoria, ma che non fa
altro che sovrapporsi tra passato e futuro, il sogno e la visionarietà sono ciò a cui ci si aggrappa per
ricostruire un rapporto d’amore.
La penultima pagina del saggio di Roberto de Gaetano parla della conclusione del lemma amore.
De Geatano parla della mancanza di una società stretta e di una società che sia un elite anche
come modelli di comportamento in cui il valore del due diventa un valore fondante della società,
tutto ciò manca al cinema del nostro paese, e a dominare è una sottospecie di scetticismo di
visione concreta e dentro le dinamiche della vita quotidiana in cui il rapporto d’amore è visto in
tutte le sue sfaccettature, comprese quelle negative.
Al tempo stesso il cinema è riuscito a raccontare storie d’amore che non si rifanno ad un modello
prescritto, ma che inventano forme proprie, si tratta di forme anche queste che nascono dalla
contemporaneità e dalla quotidianità.

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