Primeggiano all’Università come già prima nella scuola, ma poi quando c’è da fare carriera dentro
le Università italiane le donne restano indietro esattamente come accade nel mondo del lavoro. Le
donne si iscrivono all’Università in numero maggiore rispetto agli uomini. Restare dentro
agli Atenei è però altra storia. È al 50% il numero di dottori di ricerca. I ricercatori vedono gli
uomini al 53%, fra gli associati sono al 61% e fra i professori ordinari al 75%.
«Fra i dottori di ricerca e gli assegnisti il numero delle donne è pressoché uguale a quello degli
uomini, ma a partire dai ricercatori diventa maggioritaria la componente maschile e la forbice si
allarga sempre più man mano che si sale fra i professori associati e gli ordinari» ha spiegato
al Corriere della Sera Raffaella Rumiati, coordinatrice del dottorato in neuroscienze cognitive della
Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste che è stata per quattro anni
vicepresidente del consiglio direttivo dell’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema
universitario e della ricerca.
Le maggiori differenze sono nelle facoltà scientifiche, quelle coinvolte nella polemica del
senatore Pillon che definiva le donne più adatte “all’accudimento”. Pillon si era opposto alla
proposta dell’Ateneo di Bari di abbassare le tasse per le iscrizioni al femminile nelle facoltà
scientifiche.
Nelle scienze mediche all'Università, nel 2019, le donne erano il 68% dei laureati e appena il 15%
dei professori associati. Il divario è più largo al Sud, ma esiste chiaramente anche al Nord.
Maggiore ancora la differenza nelle facoltà Stem, scienza, tecnologia, ingegneria, matematica. Qui
sono meno anche le studentesse che non trovano modelli in cui identificarsi.
Ci sono più laureate rispetto agli uomini nelle materie letterarie, il 79%. Sono invece maggiori i
laureati in ingegneria o informatica, il 70%, e in matematica e fisica. Le donne sono prevalenti in
chimica e biologia. In totale per le lauree Stem i maschi erano il 61% nel 2019.