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Penso alla Venere degli stracci (1967) e alla provocazione visionaria di Michelangelo

Pistoletto, espressa nel contrasto fra la nivea armonia dell’Afrodite Callipigia e il


cumulo variopinto di indumenti, ognuno dei quali - nell’informe caos - perde la
singolare dignità di abito, diventando rifiuto: una critica premonitrice all’eccesso di
consumo in cui leggo, a posteriori, il declino della percezione qualitativa e della
comprensione del valore intrinseco degli oggetti, in favore della cultura del
consumo immediato.

Scenario quanto mai attuale e allarmante se si pensa che H&M ha dichiarato per il
primo trimestre del 2018, oltre al calo delle vendite, un significativo aumento dei
prodotti invenduti e scorte superiori alle previsioni, pari a 3,4 miliardi di euro. Si è
vociferato di 15 tonnellate di abiti nuovi portati all’inceneritore, ma il vero problema
non è il singolo, benché inquietante, episodio: lo è, piuttosto, la scarsa qualità e, di
conseguenza, la breve durata dei capi di fast fashion che genera nuovi acquisti, ma
ha anche un enorme impatto ambientale per colpa dei rifiuti tessili eliminati a ciclo
continuo.

Il concetto di usa e getta – dipinto negli anni ‘50 come nuova forma di libertà -
nasce con la plastica: questo materiale leggerissimo e flessibile, l’ideale per la casa
moderna, ci ha abituati a creare scarti che l’ambiente non è in grado di riassorbire e
a disfarcene senza riflettere. Così, milioni di tonnellate di rifiuti raggiungono mari e
oceani spinti dalle correnti e danno origine a formazioni organizzate - vere e proprie
isole di immense proporzioni, i Plastic Trash Vortex - 5 quelle ufficialmente censite
negli oceani.

Scambiati per cibo, frammenti di plastica vengono ingeriti da animali marini, che ne
muoiono. La presenza nella catena alimentare avrà conseguenze disastrose sulla
fauna e sull’uomo, fino all’estinzione totale di alcune specie. Il video Albatros, del
fotografo americano Chris Jordan, suggestivo e struggente, descrive la breve vita di
un albatros nelle Isole Midway, infestate dalla plastica. Ma: «abbiamo il coraggio di
affrontare la realtà del nostro tempo e di concederci sentimenti tanto profondi da
trasformare noi stessi e il nostro futuro?».

Pare di no. Nel 1992, 1.700 scienziati di tutto il mondo, fra cui 104 premi Nobel –
riuniti nel Union of Concerned Scientists – hanno stilato un avvertimento
dettagliato all’umanità: «Per evitare grande sofferenza al genere umano è necessario
un cambiamento sostanziale del modo di amministrare la Terra e la Vita sul nostro
Pianeta». L’impegno di tutti avrebbe fatto la differenza. Inascoltato per oltre 15
anni, è stato seguito dal secondo avviso del 13 novembre scorso 2017, sottoscritto
da ben 15mila scienziati.
Ingenuamente, abbiamo finto di credere che il nostro stile di vita insostenibile
potesse durare in eterno: non avremmo immaginato che tossicità di aria e acqua,
eventi climatici estremi ed immense quantità di plastica avrebbero rappresentato
minacce letali. Infatti, l’epoca geologica attuale detta dell’Antropocene, è
caratterizzata dalla presenza delle attività e dei manufatti dell’uomo, che hanno
lasciato sulla terra un’impronta indelebile, imprimendo modifiche irreversibili sulla
geologia, l’ecosistema e la biodiversità del nostro pianeta.

Consci del locus horridus che ci circonda, provando dolore e nostalgia per un
mondo incontaminato, confezioniamo copie artificiali di quel Paradiso Terrestre
che temiamo di perdere. Del resto, in letteratura e in pittura la locuzione Locus
Amoenus descrive un sito idealizzato e piacevole, un paesaggio ricco di verde
presso un corso d’acqua.

Già le monumentali bioinstallazioni di Beuys, David Nash e di altri esponenti della


Land Art corrispondevano a un nuovo modo di fare arte, esprimendo il senso di
continuità legato all’appartenenza dell’uomo alla natura, il desiderio di superare le
difficoltà, il rapporto controverso fra Natura e artefatto: La Cattedrale Vegetale di
Giuliano Mauri (108 alberi, Lodi 2016) come la Cattedrale nella Foresta, realizzata
da Marinus Boezem con 178 pioppi ad Almeere (1978/87), affrontando da
angolazioni diverse il tema della sacralità del luogo e del territorio, sono prova
dell’attaccamento dell’uomo all’ambiente e simbolo della contraddizione che colgo
fra il vincolo indissolubile che abbiamo con il pianeta e l’incuria esplicita di cui,
invece, diamo prova.

Gli alberi sono protagonisti di progetti architettonici: spazi futuristici, templi


contemporanei della biodiversità come isole felici che ricalcano l’ecosistema e
riconciliano il paesaggio naturale con l’architettura, fuse una all’altra
nell’abbattimento di nuove frontiere progettuali ed estetiche. Essi, oltre a mitigare
gli effetti dell’inquinamento e a celare impianti per la produzione di energia
rinnovabile, divengono parte integrante degli edifici, permettendo agli abitanti
delle città un rapporto profondo con la natura: è un nuovo modo di abitare, di
lavorare e di vivere. Si ripropone così il topos del luogo ideale, in contrapposizione
con il parossismo di alcuni aspetti legati all’urbanizzazione. Un’ulteriore
contraddizione o il preludio alla soluzione di un problema? (progetto Milles Arbres,
Parigi. Sou Fujimoto e Manal Rachdi).

Il concetto alla base del Bosco Verticale (Stefano Boeri Architetti, Milano) viene
replicato a Nanjing, in Cina: le torri verdi, esempio di architettura sostenibile,
garantiranno alla città una “boccata di aria”. Il compito delle 3.500 piante è di
assorbire diossido di carbonio e rigenerare la biodiversità.
La natura, nell’arte, è in scena nelle installazioni di luce, replicata, amplificata,
magnificata: Solar Wind, l’opera monumentale permanente dal potere evocativo di
Laurent Grasso, è la poetica rappresentazione di flussi cosmici mediante luce
proiettata sulle pareti di due grandi silos, visibili percorrendo la périphérique di
Parigi.

200 fari arancioni simulano luce e ombra, un’emulsione di acqua e zucchero imita la
nebbia: Olafur Eliasson in The Weather Project (Tate Gallery, London 2003)
ripropone l’esperienza emozionale del tempo meteorologico i cui cicli, nella realtà,
sono sconvolti.

Nell'epoca dell’espressione virtuale e tecnologica, l'opera d'arte sperimenta una


rinnovata originalità nel proporre esperienze multisensoriali uniche come quelle che
offre l’esistenza, amplificate, ingrandite, artificialmente suggestive. L’artista
costruisce immense cattedrali laiche – o parchi di divertimento? - nelle quali
riscoprire una dimensione spirituale, affine alla contemplazione mistica, scollegata
dalla religiosità in senso stretto ma correlata, invece, alla riflessione,
all'introspezione, all'osservazione assorta di fenomeni dell'universo, della natura,
della vita stessa e del mistero che, al di là delle abilità scientifiche, ancora li avvolge.

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