neurobiologiche e neuro funzionali che interessano il sistema nervoso attraverso due macroaree:
l’area dei fattori genetico-biologici;
l’area dei fattori ambientali;
Capitolo 1
Le competenze adattive del nuovo nato
Aspetti generali
La neurologia neonatale si occupa dello studio dei riflessi del nuovo nato, i riflessi più rappresentativi
sono:
Riflesso di suzione => i riflessi di suzione che si verificano introducendo una tettarella nella
bocca del neonato.
Riflesso dei punti cardinali => è il riflesso che si ottiene stimolando la cute del neonato. La
risposta è rappresentata dalla rotazione del capo verso il lato stimolato.
Riflesso di fuga => è il riflesso che consiste nell’allontanamento di una parte del corpo su cui
viene applicato uno stimolo nocicettivo.
Riflesso alla luce => è il riflesso che consiste nel chiudere gli occhi alla presenza di una
stimolazione luminosa intensa.
Riflesso di Galant => il riflesso di incurvamento del tronco in seguito a stimolazioni tattili
paravertebrali.
Riflesso di Moro => il riflesso di moro si verifica in seguito ad una brusca modificazione della
posizione del capo rispetto al tronco. In una prima fase c’è un’improvvisa estensione ed
abduzione degli arti superiori; in una seconda fase si determina la flessione ed adduzione
degli arti superiori (fase di abbraccio).
Riflesso di sobbalzo => è il riflesso che si manifesta in seguito ad uno stimolo sensoriale acuto
e improvviso.
Riflesso di prensione palmare => si determina quando si stimola la superficie palmare e la
risposta è rappresentata dalla flessione delle dita sull’oggetto stimolante, con chiusura a
pugno della mano.
Riflesso della marcia automatica=> è il riflesso che si presenta quando si sostiene il neonato
in posizione eretta.
Reazione globale di raddrizzamento => la reazione globale di raddrizzamento si ottiene
verticalizzando il neonato e stimolando la superficie plantare sul piano di appoggio. Ciò
determina l’estensione progressiva degli arti inferiori, del tronco e del capo.
Le motivazioni neonatali
Il bambino sin dalla nascita è un attivo ricercatore di stimoli che utilizza per arricchire il suo bagaglio
personale. La ricerca di questi stimoli è dovuta soprattutto alla tensione che si verifica con la rottura
di un equilibrio ben preciso, tensione che il bambino percepisce e non riconosce e cerca soluzioni
che lo portano a ristabilire l’omeostati.
L’equilibrio è determinato da diversi fattori: bisogni fisiologici, bisogni conoscitivi e bisogni
sociativi.
I bisogni fisiologici sono quei bisogni intuitivi e primordiali quali fame, sete, sonno, freddo
dolore ecc.
I bisogni conoscitivi rappresentano la curiosità e il bisogno di conoscere qualcosa
I bisogni sociativi rappresenta il bisogno di interagire con i suoi consimili.
Il temperamento
Il temperamento è un costrutto teorico indiscusso e rappresenta la differenza nel modo di essere,
di rispondere e di relazionarsi che si riscontrano tra neonato e neonato. Ogni bambino è diverso
dall’altro e nasce con tratti temperamentali differenti. Il termine quindi si riferisce a come il bambino
reagisce e non a cosa fa e perché lo fa.
Anche se tutti i neonati presentano queste istanze motivazionali (omeostatiche, conoscitive, sociali),
le modalità con le quali ciascun neonato realizza e manifesta i comportamenti ad esse correlate
sono diversi. Le differenze sono riconducibili al temperamento. Con il termine temperamento viene
inteso un aspetto della personalità, riferito allo stile di comportamento che un individuo ha quando
interagisce con l'ambiente. Le teorie riguardanti il temperamento, seppur diverse tra loro,
condividono alcuni aspetti comuni:
1) Ciascun individuo nasce provvisto di propri schemi caratteristici per rispondere all'ambiente
e alle altre persone.
2) Le caratteristiche del temperamento persistono dall'infanzia fino all'età adulta.
3) Le caratteristiche temperamentali influenzano il tipo di risposte che un individuo dà alle
persone e alle cose e nello stesso tempo influenzano le risposte degli altri verso di lui. (es:
un bambino socievole, cercherà di stabilire dei contatti con le altre persone, sorride di più di
quanto non farebbe un bambino introverso e suscita negli alti risposte positive: i genitori gli
sorridono, lo prendono in braccio ecc.
Il modello transazionale
Secondo un approccio biologico, le forze che spingono e sottendono il processo di sviluppo sono di
due tipi: fattori biologici e fattori ambientali.
Fattori biologici
I fattori biologici sono costituiti dall'insieme di strutture anatomiche definite dal patrimonio
genetico dell’individuo che realizzano una serie di funzioni adattive, quali il movimento, il linguaggio,
la vita di relazione. All'insieme di queste informazioni che dirigono lo sviluppo può essere dato il
termine di "genotipo".
Fattori ambientali
I fattori ambientali sono costituiti dall'insieme di esperienze che derivano dai rapporti che l'individuo
va a stabilire nell'ambiente in cui vive: rapporti con la madre, con il padre, con la famiglia. Sono
quindi le influenze esterne all’individuo e possono essere definite con il termine generico di
"ecotipo". L'ecotipo (influenze esterne di natura ambientale) e il genotipo (influenze interne di
natura genetica) interagiscono costantemente: il prodotto di tale interazione può essere indicato
con il termine di Fenotipo.
Le competenze emergenti
Le competenze emergenti osservate nel corso dello sviluppo sono le seguenti:
Area delle competenze motorie
Area delle competenze linguistiche
Area delle competenze cognitive
Capitolo 2
Lo sviluppo delle competenze motorie
Lo sviluppo motorio rappresenta un processo grazie al quale il bambino acquisisce determinate
competenze motorie come il muoversi, mantenere una postura stabile e coordinare in maniera
armonica i movimenti.
La postura deve essere stabile ed equilibrata ed il baricentro deve cadere sempre nella base
di appoggio.
Il movimento è lo spostamento di un segmento corporeo nello spazio.
La coordinazione è legata al movimento es. eseguire un’azione come scrivere.
L’atto motorio segue un’organizzazione specifica: si parte dal cervello, gli impulsi dati da
quest’ultimo arrivano fino al midollo per poi passare al nervo e successivamente al muscolo che
compie l’azione motoria.
Nelle competenze dinamico-locomotorie il bambino riesce ad acquisire capacità che gli permettono
di spostarsi nello spazio in cui è collocato.
Le prime due tappe fondamentali sono rappresentate da due acquisizioni: la partecipazione attiva
alla modifica della postura (es. il bambino presenta una partecipazione attiva quando l’adulto sta
per prenderlo in braccio oppure lo solleva per le mani) e i passaggi posturali (il bambino una volta
acquisito la capacità di stare seduto da solo riesce a passare spontaneamente a quella posizione,
stessa cosa vale per la posizione eretta).
Per realizzare i suoi bisogni sociali e conoscitivi il bambino ha bisogno di spostarsi vale a dire
muoversi nello spazio.
Le forme principali che il bambino usa per spostarsi sono le seguenti:
Strisciamento/rotolamento rappresenta una delle prime forme di locomozione utilizzata
inizialmente come esercizio motorio e solo dopo finalizzata con uno scopo.
Andatura quadrupedica forma di locomozione molto tipica che si verifica dai 9 mesi in poi.
Viene chiamata comunemente anche andatura a gattoni, andatura a quattro zampe e non è
una forma obbligatoria nel senso che il bambino non sempre la utilizza quindi rifiuta questa
posizione.
Deambulazione autonoma forma di locomozione che avviene tra i 14-15 mesi quando il
bambino “si lascia a camminare”. All’inizio questa forma è molto incerta, infatti, il bambino
tende a camminare con braccia alzate e aperte quasi a tenersi pronto per eventuali cadute.
L’ordine con cui compaiono le diverse tappe evolutive è sempre sequenziale e questo permette di
definire due leggi evolutive:
Progressione cefalo-caudale le competenze emergenti seguono una progressione che va
dall’alto verso il basso (controllo del capo-tronco-bacino).
Progressione prossimo-distale controllo dall’alto verso il basso per gli arti superiori prima la
spalla poi il gomito ed infine il polso, stessa cosa per gli arti inferiori coscia ginocchio e piede.
Le abilità grafo-motorie
Il disegno rappresenta un’attività gradita dal bambino sia per quel che riguarda gli aspetti forma che
per i contenuti.
La prima attività grafica è rappresentata da tracciati e segni disordinati, sono il prodotto di segni
energetici ottenuti senza il controllo degli occhi sul movimento delle mani.
18-20 mesi il bambino comincia a variare volontariamente i movimenti per ottenere tracce diverse
perché capisce che c’è un rapporto di causa-effetto tra i propri gesti e i segni ottenuti.
2-3 anni il bambino comincia ad attribuire dei significati ai segni prodotti e lo scarabocchio stesso
può rappresentare un oggetto diversi.
3-4 anni ha inizio la fase figurativa dove i disegni strutturati rappresentano oggetti corrispondenti a
specifiche e immagini mentali già elaborate.
5-6 anni il bambino riesce ad apprendere la scrittura grazie alla capacità di padroneggiare lo spazio
grafico.
6-7 anni il bambino ha il desiderio di raccontare e comunicare le esperienze vissute, questo desiderio
lo spinge a disegnare dunque l’attività grafica assume un’esplicita finalità narrativa.
Il contenuto riveste un ruolo importante sia nei disegni a tema libero che nei disegni a tema indicato.
Tra quest’ultimi c’è spesso il disegno della figura umana e il disegno della famiglia.
La laterizzazione
La laterizzazione rappresenta il processo in base al quale, nei compiti di maggior precisione ed
abilità, una delle due mani prevale e diventa maggiormente competente rispetto all’altre. Le mani
pur essendo uguali e simmetriche sono funzionalmente asimmetriche; quindi, tendiamo ad avere
una preferenza nell’usare la mano destra o viceversa per compiere un’azione ben precisa. Alcuni
compiti meno impegnativi richiedono l’uso di una mano che potrebbe essere la destra o la sinistra
a prescindere dell’uso predominante es. aprire un ombrello; altri compiti come lo scrivere implicano
necessariamente l’uso della mano esperta.
Tramite alcuni studi si è dedotto che nei destri mani il centro di controllo è situato nell’emisfero sx
e viceversa.
Nei primi 5-6 mesi il bambino ha già una preferenza di lato, a 12 mesi ha una preferenza di mano
ma a 3-4 anni la preferenza è ancora del tutto incerta (50% dx – 20% sx- 30% indefinita).
Gli incidenti di percorso
Durante l’acquisizione delle varie competenze motorie possono verificarci alcuni incidenti di
percorso, intesi come irregolarità nella normale emergenza di una o più abilità. I disturbi del
movimento primari non riconducibili a quadi patologici definiti sono:
Ritardo motorio semplice;
Disprassie evolutive;
Tic;
Le disprassie evolutive
Le disprassie rappresentano disturbi del movimento riconducibili ad un deficit dello sviluppo e
dell’organizzazione delle prassie.
La natura delle disprassie evolutive risiede in una difficoltà nella maturazione e nello sviluppo dei
sistemi che risiedono nell’encefalo preposti al controllo, all’automatizzazione e all’armonizzazione
dei movimenti che costituiscono l’azione motoria. Possiamo avere diversi tipi di disprassie come la
disprassia verbale e disprassia della scrittura.
La disprassia verbale rappresenta l’incapacità da parte del bambino di padroneggiare la motricità
oro-bucco-faringea.
Esempio di disprassia della scrittura sono la disgrafia e la disortografia. La disgrafia va a verificarsi
quando il bambino ha una velocità eccessiva o al contrario scarsa nello scrivere, illeggibilità,
impugnatura sbagliata ecc. mentre la disortografia va a manifestarsi con errori ortografici come
l’invertire il termine delle parole, omissioni e sostituzioni.
Disturbo da Tic
Il quadro clinico del disturbo da tic è rappresentato dalla presenza di Tic ossia dei movimenti
improvvisi rapidi e stereotipati che si attivano nei momenti di forte stress e si placano durante il
sonno.
Capitolo 3
Lo sviluppo del linguaggio
Il linguaggio è un sistema arbitrario di segni e simboli utilizzati per comunicare. Il linguaggio è quella
competenza che ci permette di interagire ed accedere con gli altri. Rappresenta, inoltre, la modalità
privilegiata per emettere e ricevere messaggi. I messaggi possono avere varie nature come:
esternare un’emozione per rendere partecipe l’altro (COMUNICAZIONE SOCIALE)
ottenere qualcosa partendo dai bisogni contingenti (COMUNICAZIONE RICHIESTIVA)
rispondere ad una domanda diretta che ci viene posta dall’altro riguardante un’informazione
La fase pre-verbale
La fase pre-verbale caratterizza tutto il primo anno di vita durante il quale il lattante non è ancora
capace di utilizzare le parole per comunicare. A partire da 6 settimane il bambino inizia ad emettere
dei vocalizzi, esclusivamente vocali come “a” e “e” che progressivamente assumono variazioni di
tono. Dai 3-4 mesi in poi il bambino inizia a produrre suoni consonantici. A 6 mesi il bambino inizia
ad utilizzare suoni vocali e consonantici tanto da formare una sillaba, è la fase del balbettio (ma –
pa). Ta gli 8-10 mesi il bambino comincia volontariamente a ripetere suoni e a modulare
l’espressione sonora, utilizza dunque una sorta di pseudo-linguaggio chiamato lallazione.
Le prime parole nascono dalla segmentazione di fonemi bisillabici all’interno della lallazione, il
bambino mentre si allena alla lallazione stacca il suono (es ma-ma-ma-ma diventa ma-ma).
L’importanza del suono è la sua referenzialità ossia il bambino si riferisce ad una persona ben
definita in questo caso ma-ma viene riferito alla mamma. Contemporaneamente il bambino inizia
ad associare altri suoni a specifici oggetti (brum brum macchina).
La fase verbale
Con l’emissione della prima parola inizia la fase verbale, nella seguente tabella vengono riportate le
prime tappe fondamentali della fase verbale:
12 mesi il bambino comincia ad emettere fonemi bisillabici (pa-pa, ma-ma) con refente
15 mesi il suo vocabolario è costituito da circa 5 parole
14 e i 20 mesi riesce ad indicare su richiesta fino a 5 immagini, che gli vengono mostrate giornale o
su un libro, e ne nomina 2-3
18 mesi Entra nella fase della parola-frase: usa, cioè, una singola parola per esprime una frase
("brum-brum" (-automobile) per "voglio l'automobile" O "si è rotta l'automobile”
voglio uscire con l'automobile")
16-20 mesi presenta spesso ecolalia: ripete, cioè, le parole udite
24 mesi presenta un vocabolario costituito da circa 150 parole, che adesso riesce a mettere
insieme per formare frasi semplici
3 anni riesce a strutturare una frase completa
Partendo dalle prime parole il bambino progressivamente acquisisce un linguaggio verbale sempre
più evoluto passando attraverso una serie di tappe. C’è ovviamente da fare una distinzione tra la
capacità del bambino di emettere parole e frasi e la capacità di comprendere parole e frasi
pronunciate dall’altro. La capacità di comprendere le parole e le frasi è sempre più avanzata rispetto
a quella di tradurre il pensiero in parole e frasi.
Il linguaggio telegrafico
A partire dai 24 mesi il bambino comincia a mettere insieme 2 o più parole per formare delle frasi.
Queste prime frasi rappresentano delle versioni abbreviate e assomigliano molto ai telegrammi
utilizzati in passato (es. “Tira palla”, “Voglio gelato”). C’è una presenza dominante di verbi, sostantivi
e aggettivi mentre mancano del tutto i funtori ossia preposizioni, articoli verbi, ausiliari ecc.
Inizialmente si pensava che le omissioni operate dal bambino fossero segno di un deficit di memoria;
tuttavia, questa ipotesi è risultata successivamente inadeguata in quanto il bambino a quell’età ha
una fisiologica immaturità della produzione verbale per cui utilizza solo poche parole.
In questa prima fase si verificano spesso degli errori da parte del bambino:
L’iperestensione: un frequente errore in cui il bambino collega ad una parola una varietà di
oggetti che l’adulto invece distingue (es. utilizza il termine “cane” per indicare tutti gli animali
a 4 zampe).
L’iperestensione: il bambino collega una parola ad un significato specifico senza estenderla
all’intera classe di riferimento (es. cagnolino è il mio cagnolino e non quello del vicino).
La fase grammaticale
La fase grammaticale segna l’accesso a un vero e proprio linguaggio.
A partire dai 24-36 mesi con l’ingresso nella seconda infanzia fanno la loro comparsa i funtori
grammaticali: il bambino inizia ad utilizzare i plurali, gli ausiliari, le proposizioni e il tempo passato.
Un aspetto di questo periodo è rappresentato dall’iper-grammatismo o iper-regolarizzazione. Il
bambino una volta appresa la regola relativa al morfema tende a generalizzarla (es. applicano il
morfema -ato al verbo chiudere “ho chiudato la porta”).
A partire dai 6 anni, con l’inizio della fanciullezza, si verificano progressi nello sviluppo di forme
grammaticali sempre più complesse legate alla padronanza delle regole trasformazionali.
La lettura
In fase di lettura il ricevente è chiamato a interpretare un messaggio formulato in forma scritta. La
parola scritta sul foglio accede all’encefalo e viene depositata in uno spazio chiamato analisi visiva.
Da qui la parola può seguire due destini: la via lessicale diretta e la via non lessicale o fonologica.
Nel lettore competente, la parola accede direttamente al deposito delle parole e viene riconosciuta.
Dopo tale riconoscimento della parola viene individuato il significato e si passa quindi alla sua
pronuncia.
La via fonologica
Il lettore competente, nonostante ciò, può imbattersi in una parola sconosciuta che non appartiene
al suo bagaglio lessicale. Nell'apprendimento della lettura si succederebbero quattro fasi teorizzate
da Firth nel modo seguente: lo stadio logografico lo stadio alfabetico lo stadio ortografico e lo
stadio lessicale.
Lo stadio logografico rappresenta il periodo prescolare. Il bambino al di sotto dei 5 anni
riesce a memorizzare alcune immagini scritte associandole ad esperienze piacevoli e
spiacevoli. Una volta avvenuta tale associazione, quando il bambino si imbatte nello stesso
logo i si attiva uno stato emotivo che si traduce in comportamenti congruenti con tale stato.
In qualche modo il bambino legge il logo.
lo stadio alfabetico rappresenta la fase successiva, durante la quale il bambino comincia a
rendersi conto che ci sono elementi costitutivi. Il primo elemento è rappresentato dalle
lettere dell'alfabeto, la lettera a e il grafema, la quale ha un certo suono fonema.
Lo stadio ortografico è e lo stadio ancora successivo in cui il bambino prende maggior
padronanza delle corrispondenze tra il grafema e fonema estendendolo dalla singola lettera
a un gruppo di lettere le sillabe, cogliendo anche una serie di regole ortografiche.
lo stadio lessicale è caratterizzato da un'espansione del deposito mentale di parole, per cui
quelle ad alta frequenza d'uso come casa palla dado vengono riconosciute vedendo le senza
dover fare la conversione grafema-fonema.
La scrittura
Con la scrittura un'emittente si prefigge di inviare un messaggio a uno più riceventi. Anche per
questo nuovo codice risulta utile ricorrere al modello del doppio accesso lessicale proposto per la
lettura ad alta voce. Così come nella è importante la trasformazione grafema-fonema, nella scrittura
è importante la trasformazione fonema-grafema.
Nello stadio logografico il bambino tende a riprodurre graficamente qualcosa che assomigli
a una lettera o ad una parola, o almeno tende a riprodurre qualcosa che lui ritiene assomigli
ad una lettera ad una parola. Viene a configurarsi uno scarabocchio rappresentativo in cui il
bambino riproduce sul foglio dei segni e dice che sta scrivendo.
Nello stadio alfabetico, unito alla comprensione delle lettere dell'alfabeto e al fatto che
ciascuna lettera a uno specifico suono(fonema) il bambino si impadronisce dell'aspetto
grafico della lettera (grafema) È la fase in cui il bambino scopre dei tratti distintivi della
lettera e si esercita a riprodurli.
Nello stadio ortografico il bambino apprende una serie di regole grammaticali che gli
permettono di evitare gli errori ortografici legati in particolare all'uso delle doppie e gruppi
consonantici.
Nello stadio lessicale, il bambino arricchisce il suo lessico, si impadronisce della
punteggiatura per riprodurre in forma grafica alle pause, alla fine del periodo e così via.
Le balbuzie
La balbuzie è un disturbo dell'articolazione della parola dovuto ad uno spasmo emittente
dell'apparato fonatorio, per cui la conversazione si presenta esitante, tronca o con ripetizioni.
La balbuzie viene abitualmente suddivisa in:
Balbuzie tonica, quando uno spasmo ostacola l'avvio del suono ho il passaggio da un suono
a quello successivo.
Balbuzie clonica, quando il inceppo della conversazione è dovuto alla ripetizione di un suono
che in genere è la prima sillaba o la prima parola della frase.
La balbuzie presenta diversi gradi di intensità e subisce nello stesso individuo variazioni molto
evidenti: si accentua in particolari situazioni di impegno emotivo (presenza di persone importanti
per il soggetto), mentre si attenua in circostanze nelle quali linguaggio è automatizzato (canto,
gioco, ripetizioni di brani a memoria).
in alcuni casi si hanno periodi anche di mesi di remissione della sintomatologia, che fanno pensare
alla guarigione della malattia, alternati a fasi di accentuazione.
Il disturbo semantico-pragmatico
Gli incidenti che possono interferire sulle capacità di usare il linguaggio possono essere 3:
1. Disordine del pensiero, il soggetto non ha le idee chiare in testa per cui quel che dice caotico,
incoerente, incomprensibile in termini logici; Le situazioni che rientrano in questo tipo di
disturbo riguardano i disturbi del pensiero e quindi non rientrano nei possibili disturbi del
linguaggio.
2. Disordine specifico del linguaggio, legato ad un malfunzionamento di quelle aree del
linguaggio che riguardano la morfosintassi e la semantica; Le situazioni che riguardano
questo disturbo del linguaggio rappresentano la naturale evoluzione di un ritardo del
linguaggio che si è realizzato in epoca precoce. Il soggetto non riesce a comprendere i deficit
che attengono la componente morfosintattica e semantica, con conseguenti limitazioni delle
abilità conversazionali e narrative.
3. Disordine della comunicazione sociale (pragmatica), poiché quando ci si rivolge a una
persona la comunicazione diventa una comunicazione sociale. Ciò comporta da parte
dell'emittente l'esigenza di assumere la prospettiva dell'altro, l'attenzione nel valutare le
circostanze in cui si realizza uno scambio comunicativo, la capacità di capire le competenze
del ricevente. Le situazioni che riguardano questo disturbo della pragmatica vengono anche
chiamate disturbo della comunicazione sociale.
Capitolo 4
Lo sviluppo delle strategie di risoluzione dei problemi
Aspetti generali
Il cervello umano e la struttura centrale di un sistema preposto a risolvere i problemi. i problemi che
possono presentarsi ad una persona possono essere di svariata natura, problemi di ordine pratico,
di ordine concettuale e di ordine sociale.
nell'ambito dei problemi di ordine pratico possiamo prendere come esempio l'aver esaurito
la benzina mentre di notte si è su una strada solitaria di campagna.
nell'ambito dei problemi di ordine concettuale possiamo prendere come esempio il dover
elaborare un documento scritto, prepararsi per superare un esame oppure rispondere a
domande di cultura generale.
nell'ambito, invece, dei problemi di ordine sociale possiamo prendere per esempio: Mio
capo vuole che al lavoro indossi una cravatta, una cosa che io non tollero proprio. Che fare?
Dalla capacità del soggetto di trovare strategie sul live a tali problemi dipende la sua possibilità di
adattarsi all'ambiente in cui vive, la capacità del soggetto di trovare soluzioni alle sfide dell'ambiente
fornisce una misura della sua intelligenza. L'intelligenza e quindi la funzione che permette alla
persona di adattarsi l'ambiente in cui vive. La persona sviluppa progressivamente le strategie utili a
risolvere le richieste ambientali e da questa risoluzione deriva l'adattamento del soggetto
nell'ambiente in cui vive.
L’intelligenza è chiamata a risolvere tre principali ambiti: concettuale, sociale e pratico.
L'ambito concettuale si riferisce ai problemi che richiedono il ragionamento, memoria di
lavoro e la flessibilità degli schemi di pensiero.
l'ambito sociale include i problemi quotidiani delle relazioni interpersonali come, ad
esempio, i rapporti con i familiari, come gli amici o con tutte le persone con cui
inevitabilmente ci imbattiamo nella nostra giornata.
L'ambito pratico invece fa riferimento a problemi di natura accidentale che riguardano il
quotidiano, la cui risoluzione permette la capacità di adattamento all'ambiente. Adattarsi
all'ambiente vuol dire provvedere a sé stessi e avere quelle capacità che rientrano
nell'ambito dell'autonomie Personali, domestiche e di comunità.
Il fine ultimo del comportamento intelligente e costruire delle strategie di risoluzione dei
problemi, costruire delle strategie vuol dire apprendere, e di metterle in pratica quando si
presentano situazioni analoghe (intelligenza vuol dire applicazione delle conoscenze).
Ci sono diverse modalità di studio del comportamento intelligente e sono in questo caso quattro:
1. l'approccio comportamentista
2. l'approccio psicometrico
3. l'approccio costruttivista
4. l'approccio neuropsicologico
L’approccio comportamentista
Il comportamentismo nasce come scuola ufficiale nel 1913 a opera di Watson.
Il comportamentismo si pone come scienza del comportamento rifiutando tutti i concetti e i
termini di tipo speculativo come volontà, coscienza, mente, introspezione e destituendoli di
qualsiasi fondamento scientifico siccome privi di base empirica verificabile.
L'unica metodologia e conoscenza valida e quella che si basa sulla osservazione. L'oggetto di studio
fondamentale è il comportamento che viene considerato in rapporto al proprio ambiente e viene
visto in termini di meccanismo stimolo risposta. le richieste ambientali possono essere considerate
gli stimoli in grado di sollecitare una risposta.
Quindi il compito centrale del comportamentismo è quello di interpretare e controllare il
comportamento. Siccome si può arrivare a prevedere la risposta una volta conosciuto lo stimolo e
viceversa si può prevedere lo stimolo necessario per determinare una risposta.
Subito dopo Pavlov notò che prima ancora che il cibo fosse ingerito si verificava una secrezione
anticipata di saliva il rapporto a diversi stimoli che erano stati prodotti in connessione con la
presentazione del cibo stesso. Nel suo più conosciuto esperimento Pavlov faceva suonare un
campanello prima di presentare del cibo all'animale. Dopo che l'associazione campanello cibo è
stata ripetuta molte volte il cane cominciava a salivare non appena sentiva il rumore del campanello
anche se il cibo non veniva ancora somministrato.
Il suono del campanello venne chiamato stimolo condizionato e la salivazione anticipata risposta
condizionata.
Thorndike concludeva inoltre chi colui che apprende, posto in una determinata situazione, procede
per prove di errori o si avvia arriva la soluzione attraverso ripetuti tentativi: man mano che procede
le risposte inesatte diminuiscono mentre quelle giuste si fissano.
Thorndike formulò alcune leggi generali, tra cui la legge dell'effetto che aprì la strada al vero e
proprio condizionamento operante di cui Skinner è il maggior teorico.
Secondo la legge dell'effetto le risposte riuscite ossia seguite da risultati favorevoli, vengono
impresse tornando a ripetersi con più probabilità. Al contrario le risposte non riuscite si ripeteranno
con minore probabilità e verranno soppresse dopo un certo numero di tentativi.
Secondo Skinner sia gli animali che gli uomini ripetono le azioni che determinano risposte piacevoli
mentre tendono a non ripetere quelle che hanno portato a risposte spiacevoli.
Esempio: un animale che premi una leva ed ottiene del cibo tenderà nuovamente a ripetere questo
comportamento.
In questo caso la leva è definita operante mentre il cibo è definito rinforzo.
Inoltre, le risposte che sopprimono determinati comportamenti una e riducono la probabilità di
ripetizione vengono definite punizioni.
L'individuo presenta molte attività spontanee indipendenti da una specifica situazione di stimolo,
Non resta passivo nel suo ambiente ma al contrario entra in interazione con molteplici stimoli che
discrimina seleziona e modifica.
l'importanza del risultato dell'azione rappresenta l'elemento che determinerà la probabilità che la
stessa azione possa essere effettuata o meno in futuro. Sotto questo aspetto il risultato dell'azione
può assumere tre connotazioni funzionali: rinforzo positivo, rinforzo negativo e punizione.
L'approccio psicometrico
Il concetto di intelligenza è difficilmente circoscrivibile in un ambito definito. Essa è stata di volta in
volta indicata come “la capacità di acquisire abilità”, la capacità di trarre profitto dall'esperienza”,
“la capacità di condurre un ragionamento astratto” oppure come “la capacità di adattarsi a
situazioni mutevoli”.
L'approccio psicometrico nasce con il desiderio di trasformare una funzione complessa come
l'intelligenza in una variabile quantitativa misurabile.
Tra il 1909 e il 1911 furono due gli psicologi incaricati di costruire una scala di valutazione per
l'intelligenza costituita da prove di natura diversa. campionando per fasce di età, stabilirono per
ciascuna prova qual era l'età in cui essa veniva superata abitualmente. Questo permise loro di crearsi
per ciascuna fascia di età una serie di prove che potevano essere considerate tipiche di quell'età. In
questo modo confrontando un qualsiasi soggetto con le prove in base al numero di quelle che
riusciva a superare si stabiliva la sua età mentale. Subito dopo il passaggio era quello di rapportare
l'età mentale dell'individuo alla sua età cronologica, in questo modo crearono tutti gli elementi utili
per il calcolo del quoziente intellettivo.
Nasce in questo modo l'approccio psicometrico, secondo i teorici della psicometria l'intelligenza può
essere considerata un tratto quantitativo e pertanto misurabile.
Le scale più usate sono quelle della serie Wechsler, si tratta di scale complete in quanto includono
prove di diverso tipo che cercano di valutare i vari aspetti dell'intelligenza così come siamo abituati
a concepirla nelle sue componenti fondamentali: concettuale, sociale e pratica. Il numero di prove
superate attraverso il confronto con questi valori fornisce direttamente il QI. Il QI esprime in forma
quantitativa il potenziale cognitivo e presenta nell'ambito della popolazione una distribuzione
continua.
A parità di livello intellettivo alcuni soggetti possono eccellere in determinate prove e cadere in
altre, mentre viceversa altri soggetti possono essere maggiormente brillanti in queste ultime ma
presentare i risultati mediocri nelle altre. Questi rilievi portarono a ipotizzare l'esistenza di diverse
abilità mentali ciascuna responsabile di un certo numero di prove dei reattivi.
Per questo tipo di ipotesi è stata utilizzata una procedura statistica definita analisi fattoriale, tale
procedura metti in evidenza associazioni fra i vari tipi di prove e suggerisce l'esistenza di fattori
comuni.
Utilizzando l'analisi fattoriale Spearman ipotizzò l'esistenza di due fattori:
il fattore g, definito capacità mentale generale che condizionava le prestazioni di un
individuo nella maggior parte dei compiti cognitivi;
il fattore s, definito capacità speciale che prevedeva appunto diverse capacità speciali
ciascuna delle quali era specifica per una particolare prova;
Un altro ricercatore, Thurstone, sempre utilizzando l'analisi fattoriale ipotizzo l'esistenza di 7 distinti
fattori chiamati capacità mentali primarie. Le capacità mentali primarie sono costituite dai seguenti
fattori:
abilità spaziali
velocità percettiva
ragionamento aritmetico
abilità lessicale
fluidità verbale
memoria
ragionamento induttivo
Le due ricerche sopracitate propongono un concetto ampiamente condiviso ossia che esiste un
numero ragionevolmente piccolo di abilità di base che costituiscono ciò che viene chiamata
intelligenza.
Alcuni punti di vista sull’intelligenza, infatti, si rifanno a queste due ricerche e secondo Raimond
Cattell e John Horn I fattori.se le capacità mentali primarie possono essere suddivise in due
importanti dimensioni dell'intelligenza:
intelligenza fluida rappresentata da quelle abilità mentali proposte alla risoluzione dei
problemi astratti
l'intelligenza cristallizzata costituita da quelle abilità che dipendono dalla conoscenza
acquisita come il risultato dell'apprendimento scolastico o di altre esperienze
L’intelligenza fluida aumenterebbe solo nel corso dell'infanzia e dell'adolescenza il rapporto ai
processi di maturazione crescita del sistema nervoso centrale, l'intelligenza cristallizzata
aumenterebbe attraverso tutto il corso dell'esistenza in quanto espressione delle esperienze di
apprendimento.
Sternberg formulò invece la teoria triarchica dell’intelligenza il rapporto alla quale bisogna tenere
in considerazione le dimensioni entro cui questa prestazione si realizza, in particolare riconosce
l'esistenza di tre dimensioni o tre tipi di intelligenza:
Intelligenza componenziale si riferisce ai processi di organizzazione dei dati percepiti di
richiamo dei dati in memoria e di pianificazione delle risposte tenendo conto dei dati
percepiti e di quelli in memoria;
l'intelligenza esperienziale riguarda la capacità di utilizzare i dati dell'esperienza in maniera
flessibile e creativa;
l’intelligenza contestuale spesso definita scaltrezza riguarda la capacità di manipolare le
situazioni a proprio vantaggio virgola di adattarsi all'ambiente e di capire gli atteggiamenti
migliori da adottare in determinate situazioni
Inoltre, in una serie di saggi l'autore Gardner ha suggerito l'esistenza di diverse forme di intelligenza,
spostando l'interesse da un approccio quantitativo ad un approccio qualitativo. Nella formulazione
originaria della sua ipotesi fa riferimento a 6 forme di intelligenza:
1. intelligenza corporea-cinestetica
2. intelligenza logico-matematica
3. intelligenza spaziale
4. intelligenza linguistica
5. intelligenza musicale
6. intelligenze personali
La natura qualitativa dell'approccio dell'autore sta nel fatto che lui scoraggia l'uso di numeri per
valutare l'intelligenza piuttosto invita a definire per ciascuna persona il suo profilo cognitivo.
Nel caso della scuola, visto come luogo privilegiato per favorire tutte le intelligenze, mettere in
risalto le sole carenze che investono una determinata intelligenza senza valorizzare le altre corre il
rischio di innescare pericolose spirali che possono avere pesanti ricadute sullo sviluppo psicologico
della persona.
L’approccio costruttivista
Un approccio articolato per cercare di capire come si sviluppa l'intelligenza è sicuramente
l'approccio costruttivista di cui Jean Piaget ne fu il maggior teorico.
Per cercare di definire come gli esseri umani comprendere il mondo Piaget ha analizzato quei
processi di adattamento attraverso i quali il soggetto ricerca e realizza un equilibrio tra sé e il suo
ambiente. La regolarità di questo processo è testimoniata dall'emergenza di comportamenti
intelligenti sempre più evoluti e funzionali con il progredire dell'età.
L'ambiente stimola lo sviluppo ma è soprattutto lo sviluppo che è facilità una maggiore raccolta di
informazioni ambientali è una loro migliore utilizzazione.
gli aspetti caratterizzanti il pensiero di Piaget sono rappresentati da punti critici che vengono fatti
rientrare in due ipotesi di lavoro. In particolare, Piaget distingue gli invarianti funzionali dalle
strutture variabili.
Le invarianti e funzionali
Invarianti funzionali sono le spinte appartenenti all' individuo, comuni a tutte le età virgola che sono
alla base del suo comportamento. Dunque, rappresento le attività della mente che operano fin dalla
nascita e che sono comuni a tutte le persone.
l'adattamento all'ambiente si realizza attraverso due processi complementari l'assimilazione e
l'accomodamento.
l'assimilazione è il processo attraverso il quale l'individuo utilizza gli stimoli esterni
attraverso le strutture mentali già a disposizione reagendo con le risposte comportamentali
già utilizzate (es un bambino che ha già la capacità d’istruzione, utilizzerà questo schema
mentale per succhiare anche un nuovo oggetto).
l'accomodamento è il processo messo in atto quando le risposte precedentemente apprese
non risultano idonee alla situazione attuale. Dunque, il soggetto, deve esprimere nuove
soluzioni e nuove strutture mentali (es. il bambino non riesce a prendere un oggetto
imparerà nuove modalità di prensione modificando le sue strutture mentali).
Le strutture variabili
L'altro aspetto caratterizzante il pensiero di Piaget è rappresentato dal concetto di struttura
variabile. I diversi modi di comportamento e di rispondere agli stimoli che provengono dall'ambiente
e sono sostenuti dalle invarianti funzionali, variano nel tempo a seconda dell'età e il rapporto al
grado di maturazione dell'individuo. Per descrivere le modifiche evolutive che si verificano in una
mente Piaget ricorse alla descrizione di tre strutture mentali:
1. Gli schemi comportamentali che rappresentano le strutture tipiche mentali del bambino dai
zero ai 18 mesi di vita. uno schema comportamentale è un modello organizzato di
comportamento che il bambino usa per adattarsi e affrontare oggetti diversi. Ad esempio, il
succhiare è uno schema comportamentale, mediante il quale il bambino interagisce con
l'ambiente punto con il procedere dello sviluppo questo schema comincia a differenziarsi,
nel senso che il bambino classifica gli oggetti distinguendoli in categorie (oggetti che si
succhiano e che non si succhiano) e in sottocategorie (oggetti da succhiare duri o morbidi);
2. Gli schemi simbolici che compaiono nel secondo anno di vita e permettono al bambino di
lavorare mentalmente sulle esperienze, grazie alla capacità di pensare alle cose. Ad esempio,
un bambino può vedere effettuare una certa azione su un oggetto e ripetere il giorno dopo
la stessa azione anche se in precedenza non aveva mai agito su quell'oggetto in quel modo.
3. Gli schemi operazionali cominciano a partire all'età di 7 anni e vengono anche definiti
operazioni. Un'operazione cognitiva è un'attività mentale interna che il soggetto esegue sui
contenuti del pensiero per raggiungere una conclusione logica appunto risulta evidente che
queste strutture mentali sono variabili: se il bisogno di capire e di spiegare è un aspetto
comune a tutte le età, il particolare tipo di spiegazione che il soggetto da all'esperienza è
diversa a seconda del grado di sviluppo del livello intellettuale.
Lo stadio senso-motorio
Lo stadio senso motorio è il primo stadio di sviluppo e va dalla nascita fino ai due anni di vita. Esso
si divide ulteriormente in sei livelli successivi di organizzazione:
1. i riflessi: nel primo mese di vita il bambino presenta solo riflessi punto i riflessi non sono
altro che semplici coordinazioni sensoriali e motorie innate ed automatiche;
2. le reazioni circolare primarie: dal primo al quarto mese di vita il bambino sviluppa le reazioni
circolari e primarie. Le azioni che inizialmente vengono prodotte in maniera automatica sono
ripetute e il bambino inizia ad eseguirle per il piacere che esse provocano. gli atti senso
motori del bambino sono ancora centrati sul suo corpo (guardarsi le mani, portarle alla bocca
ecc);
3. le reazioni circolari e secondarie: vanno dai quattro agli 8 mesi di vita dove il bambino
acquisisce queste reazioni circolari e secondarie ossia ripete intenzionalmente determinate
azioni per gli effetti interessanti che esse provocano (es. scuotere un giocattolo per ascoltare
il suono che produce). Durante questo stadio il bambino comincia a provare interesse per gli
oggetti esterni;
4. il coordinamento degli schemi secondari: tra l’8 e il 12 mese di vita Si sviluppa il
coordinamento degli schemi secondari ossia il bambino utilizza le attività senso motorie
precedentemente acquisite per arrivare ad un obiettivo punto se nei comportamenti della
fase presidente l'intenzionalità era dubbia adesso diventa esplicita. Per esempio se si
nasconde un oggetto sotto un cuscino, il bambino diventa ora capace di sollevare con una
mano il cuscino e con l'altro afferrare l'oggetto. L'aspetto più importante è rappresentato
dal fatto che il bambino acquisisce la capacità di permanenza dell'oggetto cioè la capacità
di pensare all'oggetto come esistente anche al di fuori della sua percezione diretta.
5. le reazioni circolari terziarie: tra il 12 e 18 mese di vita si sviluppano le reazioni circolari
terziarie ossia il bambino utilizza gli schemi precedentemente acquisiti in modo diverso per
ottenere effetti diversi. in questo periodo l'apprendimento avviene per prove ed errori.
6. le combinazioni mentali: tra i 18 e due anni il bambino non procede più per prove ed errori
ma inizia a compiere combinazioni mentali ossia si rappresenta mentalmente un'azione e ne
anticipa gli effetti.
Lo stadio preoperatorio
Lo stadio preoperatorio parte dai due anni fino ai 7 anni di vita. questo stadio viene suddiviso in
periodo pre-concettuale e periodo intuitivo.
il periodo pre-concettuale va dai due ai quattro anni ed è caratterizzato dallo sviluppo della
funzione simbolica ossia la capacità di utilizzare segni e simboli che rappresentano altre cose;
Il periodo intuitivo va dai quattro ai 7 anni ed è il periodo in cui il bambino sviluppa le abilità
di manipolare mentalmente i simboli, riuscendo a classificare gli oggetti sulla base di attributi
percettivamente condivisibili;
Gli aspetti caratterizzanti di tale stadio sono
1. la funzione simbolica: la capacità di utilizzare segni simboli per rappresentare le cose. Ad
esempio, un aeroplano può essere rappresentato attraverso vari significati, quali la parola
ossia aeroplano, il gesto di una mano che vola, un'immagine mentale, un aeroplano
giocattolo ecc.
Il bambino in questo stadio manifesta una serie di nuove competenze:
L’imitazione differita che consiste nella capacità del bambino di ripetere un gesto in
momenti successivi a quello in cui ha osservato tale gesto. Secondo Piaget sia un
comportamento viene osservato in un certo momento e imitato più tardi, allora deve
esserci necessariamente un magazzino dell'elemento osservato e una codifica
simbolica.
il gioco di finzione è rappresentato da quella attività in cui il bambino ripropone in
chiave ludica azioni che ha osservato nella vita reale. I giochi di finzione si riscontrano
anche prima ma solo a partire dai due anni, grazie alla comparsa della funzione
rappresentativa, nel gioco di finzione gli oggetti adoperati cominciano a
rappresentare cose completamente diverse (utilizzare come esempio una scopa
facendo finta che sia un cavallo).
il linguaggio in questa fase si arricchisce enormemente virgola in quanto la funzione
simbolica permette di usare le parole come significati per rappresentare gli oggetti
reali.
2. L'egocentrismo: durante questo periodo il bambino è impegnato in un’esplorazione
dell'ambiente circostante virgola che gli consente di acquisire simboli nuovi. Il termine viene
utilizzato per indicare come prima cosa una differenziazione di sé dal mondo circostante e
come seconda cosa la tendenza a percepire capire e interpretare il mondo dal proprio
punto di vista.
Il bambino non riesce ad adottare il punto di vista di un'altra persona, ad esempio in questa
fase non si rende conto che una persona che sta guardando una scena da una posizione
diversa la vede in una prospettiva diversa dalla sua. Questa difficoltà di mettersi nei panni
dell'altro investe anche il linguaggio. Il linguaggio egocentrico è caratterizzato dal fatto che
il bambino non si preoccupa di adattare il suo linguaggio alla necessità dell’ascoltatore, ad
esempio io e possibile trovare nelle espressioni di un bambino “lei piangeva perché lui la
regalata ad un altro” senza preoccuparsi di spiegare all'interlocutore chi è lei e chi è lui di chi
e l'altro e cosa gli ha regalato. l'egocentrismo è presente anche nei giochi di gruppo come,
per esempio, quando giocano insieme ciascun bambino sembra parlare seguire le proprie
regole.
3. Il ragionamento: i bambini giudicano gli eventi solo sulla base della loro configurazione
percettiva, Piaget Definisce il pensiero del bambino in questo stadio pre-casuale o
transduttivo. La rigidità del pensiero del bambino è espressa dall'incapacità di tener conto
contemporaneamente di due aspetti diversi. in questo caso un'esperienza per illustrare il
carattere limitato del pensiero del bambino e quella dei due bicchieri ossia si presentano al
bambino due bicchieri diversi uno stretto e lungo e l'altro largo e basso. Si introduce una
quantità uguale di liquido in entrambi i bicchieri, nel primo il livello del liquido raggiunge
un'altezza superiore rispetto al secondo. chiedendo al bambino se la quantità di liquido nei
due bicchieri e uguale la risposta è no e facendo riferimento all'altezza affermerà che nel
primo bicchiere c'è più liquido. Fino all'età dei 6 7 anni il bambino giudicherà maggiore la
quantità del liquido contenuta nel primo bicchiere in base ad un confronto immediato e
puramente visivo.
L'approccio neuropsicologo
L'approccio neuropsicologico si rivolge allo studio dei processi che si attivano nel cervello quando si
tratta di risolvere un problema. Uno dei modelli che si è mosso in questa prospettiva e il modello
dell'elaborazione delle informazioni, che si occupa di funzioni ossia operazioni attivate nella mente
nei confronti di un problema da risolvere.
Per risolvere i problemi in ambito concettuale sociale e pratico le operazioni cognitive che vengono
messe in atto sono le seguenti:
1. accensione di uno spazio di lavoro che può essere immaginato come una scrivania su cui
vengono posti tutti i dati utili all'analisi del problema e alla ricerca di una strategia risolutiva;
2. estrazione dei dati relativi allo stimolo è un'operazione che porta all'estrazione dei tratti
dello stimolo tenendo conto dei problemi in esame e dei dati che appartengono al contesto;
3. recupero dei dati depositati nella memoria a lungo termine che rappresenta in magazzino
delle conoscenze relative alle pregresse esperienze;
4. analisi del problema per la formulazione di ipotesi utili a risolvere il problema;
5. Valutazioni delle possibili conseguenze una volta messe in atto le risposte ipotizzate come
utili;
6. emissione della risposta, la risposta può consistere in un enunciato verbale in un
comportamento e /o in un'azione transitiva su determinati oggetti
7. monitoraggio dell'effetto della risposta con possibilità di apportare delle modifiche in
itinere (in cammino);
Uno schema come quello appena esposto permette di rileggere in chiave attuale alcuni concetti
come la percezione, l'attenzione e la memoria.
La percezione
Per quanto riguarda la percezione il soggetto esamina gli elementi del problema e esplora
l'ambiente alla ricerca delle informazioni che possono essere utili alla risoluzione. Gli organi che si
occupano di raccogliere le informazioni vengono suddivisi in esterocettori ed enterocettori.
Gli esterocettori si identificano con i sensi ossia l'udito, la vista, il tatto, l'olfatto, ed il gusto;
Gli enterocettori Raccolgono gli stimoli provenienti dall'interno del corpo: sono i ricettori
sparsi nei muscoli, nelle articolazioni, nella muscolatura liscia degli organi cavi.
Attraverso questi dispositivi le informazioni viaggiano come semplici impulsi elettrici, l'encefalo
deve poi interpretare questi impulsi e definire la provenienza e il significato.
Questo processo viene appunto definito percezione che può essere definita come quella
operazione cognitiva che permette di attribuire un significato al dato sensoriale in entrata.
Inizia in mente ha dominato una sorta di realismo ingenuo virgola in base al quale i dati della realtà
erano talmente familiari che non c'era bisogno di spiegare come venissero percepiti siccome ad
esempio nella realtà che ci circonda, noi vediamo molti oggetti perché ci sono molti oggetti, li
vediamo con una certa forma perché hanno quella forma.
Il realismo ingenuo dava per scontato la corrispondenza tra realtà fisica e quella percettiva.
Con una serie di esperienze possiamo affermare che il mondo esterno non è sempre come noi lo
vediamo: la percezione non è copia perfetta di quanto ci circonda.
Quello che noi vediamo o sentiamo non sempre risponde ad una realtà oggettiva.
Il cervello guida al processo percettivo con lo scopo di ricercare dati aggiuntivi presenti nello stimolo
per completare il processo di riconoscimento. La percezione è un processo attivo, l'encefalo
raggiunto dai primi dati va attivamente a ricercare nello stimolo ulteriori dati che messi insieme
portano l'attribuzione del suo significato.
Abilità percettive del neonato: il bambino fin dalle prime fasi di sviluppo, dimostra di possedere
capacità percettive in particolare riconosce la voce della madre, preferiscono la voce della madre a
quella di un estraneo, preferiscono le favole udite in utero rispetto alle altre ed infine sono attratti
dalla musica ma sono infastiditi dai rumori.
La più sorprendente abilità percettiva dei neonati risulta quella espressa dalla capacità di imitazione
delle espressioni facciali.
Abilità percettive del lattante: le abilità percettive del lattante si arricchiscono progressivamente
con il procedere dello sviluppo. A quattro mesi il lattante sembra essere capace di riconoscere i
colori, mostrando predilezione per alcuni come il giallo o il rosso.
A sei mesi c'è già una percezione della profondità come dimostra il precipizio visivo utilizzato da
Gibson e Walk nei loro studi sulla percezione della profondità dei bambini. Il precipizio visivo
consiste da una piattaforma di vetro divisa in due parti: la prima è coperta da una tavola a
scacchiera, l'altra è trasparente e permette di vedere il fondo. Ponendo il bambino sulla piattaforma,
i due studiosi notarono che il bambino sgusciò sulla parte solida e si fermò sulla parte trasparente
che lasciava vedere il fondo, indicando che aveva percepito la profondità.
Anche la percezione del volto umano subisce notevoli progressi nei primi mesi di vita: i bambini
acquisiscono gradualmente l'identità del volto e imparano che uno stesso volto può assumere
configurazioni diverse, ciascuna delle quali è associata ad un particolare stato emotivo.
Apprendimento percettivo: in relazione al modo in cui il bambino arricchisce le sue competenze
percettive esistono ancora oggi notevoli incertezze. Tutte le conquiste appena citate sono legate
allo sviluppo di una serie di competenze connesse alla percezione. per chiarire questo concetto
possiamo ricorrere ad un esempio: consideriamo la possibilità di ascoltare un brano musicale per la
prima volta, ad una domanda del tipo se ci è piaciuto meno daremo un giudizio che si riferisce ad
un'impressione globale punto Se però ascoltiamo lo stesso pezzo 10 o 20 volte alla ventesima
impareremo a percepire le pause all'interno del pezzo, la ricorrenza dei ritornelli e così via. Quello
che si verifica e un apprendimento percettivo, inteso come il processo in base al quale si impara ad
estrarre dallo stimolo una serie di informazioni.
Da ciò è possibile affermare che ciò che si sviluppa nel corso dell'età evolutiva è:
le modalità di esaminare lo stimolo
la capacità di estrarre le caratteristiche rilevanti
la capacità di escludere ciò che è irrilevante
Il bambino successivamente perfeziona le strategie di esplorazione e la capacità di estrarre le
caratteristiche rilevanti e di escludere i dati irrilevanti.
Per quanto riguarda le strategie di esplorazione il bambino nei primi quattro mesi di vita esplora
l'ambiente alla ricerca di eventi ed è particolarmente interessato dal movimento. Fra i 5 e di 8 mesi,
quando lo sviluppo della prensione glielo consente virgola non è più interessato solo agli enti ma
soprattutto agli oggetti e attraverso il tatto e la manipolazione cerca di scoprirne le caratteristiche.
Tra i 9 e 12 mesi, quando è in grado di spostarsi, le sue strategie si estendono a contesti più ampi
per vedere dietro sotto dentro eccetera.
La capacità invece di estrarre dati sempre più rilevanti, aiuta il bambino ad individuare i tratti
distintivi dello stimolo. Il bambino impara un volto è sempre lo stesso anche se si modifica nel suo
aspetto (di profilo di faccia con la bocca aperta eccetera). Lo stesso avviene anche per la forma, il
colore e la dimensione siccome il bambino riesce a riconoscere già verso i quattro mesi di vita che il
giocattolo anche con diverse inclinazioni, se vicino o lontano è sempre lo stesso.
Dopo questo il bambino raggiunge il concetto dell'oggetto, questo porta il bambino comprendere
che l'oggetto possiede un'esistenza autonoma (concetto di permanenza dell'oggetto) è dotato di
alcuni tratti distintivi (la palla è rotonda, se spinta rotola).
L’attenzione
L'attenzione è l'elemento critico che condiziona la capacità di elaborazione del sistema. Il sistema
attentivo a tre componenti fondamentali:
1. L'attenzione selettiva: quella che seleziona il flusso dei dati in ingresso;
2. L'attenzione divisa: e la capacità di spostare rapidamente l'interesse nell'esecuzione di
compiti simultanei
3. l'attenzione sostenuta: e la capacità di mantenere attivo lo spazio di lavoro per tutto il
tempo necessario al completamento del compito.
Prendiamo in considerazione l'insegnante che fa un dettato, la prima componente del sistema
attentivo e quella dell'attenzione selettiva, l'alunno deve aprire il filtro sulle parole dell'insegnante
e bloccare gli altri input. Il dettato comporta una serie di operazioni simultanee: sentire ciò che dice
l'insegnante, scrivere e controllare quello che si scrive. Queste operazioni si svolgono su canali
differenti tant'è vero che se l'insegnante accelera il ritmo di dettatura oh se la penna non scrive per
un secondo il sistema si de sincronizza.
Quindi un'altra caratteristica dell'attenzione da utilizzare e quella di spostarsi rapidamente da un
canale all'altro nell'esecuzione di un compito questa è chiamata attenzione divisa. Infine, questa
attività di selezione e di spostamento deve durare per un tempo sufficientemente lungo cioè per il
tempo necessario al completamento del compito questa viene chiamata attenzione sostenuta.
La memoria
Il termine memoria viene utilizzato per indicare che il sistema nervoso riesce a mantenere una
traccia delle esperienze a cui è sottoposto. Il concetto di memoria è molto complesso e investe
diversi aspetti:
la classificazione delle diverse forme di memoria
lo sviluppo della memoria in età evolutiva
Capitolo 5
La competenza sociale
Aspetti generali
La comunicazione sociale può essere definita come la capacità della persona ad entrare in relazione
con l'altro. L'intenzione è quella di influenzare il suo pensiero ma anche quella di lasciarsi influenzare
dal pensiero dell'altro. La comunicazione sociale rientra in una funzione definibile come competenza
e si tratta di una funzione che comprende tre distinte dimensioni:
motivazione sociale
cognizione sociale
padronanza di codici comunicativi
La motivazione sociale
Il neonato presenta la capacità di discriminare tra stimoli sociali e stimoli non sociali mostrando di
preferire i primi. infatti, preferisce il volto umano, ma riesce anche ad imitare le espressioni facciali,
l'altro viene riconosciuto come “qualcosa che è simile a me” e stimola il bisogno di attivare uno
scambio interattivo. questa spinta associativa favorisce l'avvio degli scambi relazionali sono intimi e
strutturanti, questi scambi si organizzano nel costrutto teorico dell'attaccamento.
L’attaccamento
La prima persona con cui il bambino stabilisce un rapporto sociale e la madre. I rapporti che si
stabiliscono durante i primi mesi di vita fra il bambino e la madre sono così intimi da configurare
un'unità inscindibile chiamata diade o relazione diadica.
La diade madre figlio è definita attaccamento. Il termine attaccamento indica un legame affettivo
con una figura specifica che in questo caso è la madre. L'esistenza di un attaccamento è testimoniata
dalla presenza di alcuni comportamenti, i cosiddetti comportamenti di attaccamento. I
comportamenti di attaccamento sono quei comportamenti che ci fanno capire che c'è un
attaccamento. Può rimanere immutata nel tempo i comportamenti ad essa correlati possono
cambiare il rapporto all'età o alle capacità espressive del soggetto.
I modelli interpretativi
sulla natura dell'attaccamento del neonato alla madre ci sono delle ipotesi interpretative:
prospettiva psicoanalitica: secondo Freud l'attaccamento del bambino alla madre è legato
al fatto che essa è in grado di soddisfare i suoi bisogni fisiologici come fame, siete, sonno e
bisogno di calore. Questo significa che l'attaccamento non deriva da una motivazione sociale
in quanto è una pulsione secondaria rispetto ai bisogni fisiologici. In questa prospettiva la
madre è solo uno strumento per il soddisfacimento dei bisogni fisiologici e non un oggetto
d'amore;
prospettiva associazionistica: secondo questa teoria detta anche teoria dell'apprendimento
il bambino si attacca alla madre a causa del condizionamento con valore di ricompensa
positiva. Siccome la madre dà al bambino una ricompensa positiva ai suoi bisogni primari, il
bambino apprende che l'avvicinamento ad essa determina una gratificazione dei suoi bisogni
e quindi che la madre è fonte di piacere e soddisfazione. Anche in questo caso,
l'attaccamento è ricondotto al soddisfacimento di un bisogno primitivo.
prospettiva etologica: nasce il rapporto ad alcune esperienze effettuate sul comportamento
degli animali. Una delle più importanti serie di ricerche è stata svolta da Harlow. Egli collocò
delle scimmiette appena nate in una gabbia con due madri surrogate una madre costituita
da una semplice rete metallica dotata di un poppatoio dal quale le scimmie potevano
alimentarsi, una madre di peluche rivestita di un tessuto spugnoso e soffice. Quando alle
scimmiette veniva offerta la possibilità di avvicinarsi tanto alla prima quanto alla seconda, e
se sceglievano la madre di pezza, anche laddove esse erano state nutrite dalla sola madre
metallica. Questo comportamento si verificava anche in occasione di un evento stressante,
quando nella gabbia veniva introdotto uno stimolo pauroso, le scimmiette correvano dalla
madre di tessuto a spugna. Questo dimostrò chiaramente che l'attaccamento non nasce da
un bisogno alimentare ma da un bisogno innato di un rapporto di vicinanza.
Un altro contributo che deriva dall'etologia è quello di Lorenz, relativo al fenomeno
dell’imprinting o dell'impronta percettiva. in pratica è stato osservato che Nicola dall'uovo,
segue la prima cosa che cade nel suo campo percettivo, che essa sia la madre, un oggetto o
una figura umana. questo testimonia un bisogno di vicinanza, attaccamento con una figura
palleggiata anche se essa non luce in alcun modo la fame, il dolore o il disagio. Entrambe
queste esperienze testimoniano che i piccoli vengono al mondo con un bisogno innato di
un rapporto di vicinanza con una figura privilegiata, indipendentemente dal fatto che
questa riesca o meno a soddisfare i loro bisogni alimentari.
I pattern di attaccamento
le interazioni che si realizzano all'interno della relazione di attaccamento rappresentano esperienze
emozionali e relazioni che si traducono in strutture interne, definite da Bowlby modelli operativi
interni di attaccamento. l'attaccamento nasce dal bisogno del bambino di un rapporto di vicinanza
dica che gli garantisce sicurezza e tranquillità, soprattutto quando è spaventato lo ha timore. Questo
senso di sicurezza gli permette poi di esplorare il mondo e di organizzare le sue esperienze.
Progressivamente, crescendo, il bambino costruisce e interiorizza un'immagine mentale non solo
della figura di attaccamento, ma anche della qualità che ha caratterizzato la relazione di
attaccamento divenuta la base per interpretare tutti i futuri rapporti.
Questo significa che è un bambino che ha vissuto in una famiglia in cui le figure genitoriali si sono
poste come basi sicure in grado di comprenderlo, accudirlo e soddisfare i suoi bisogni, interiorizzerà
un modello operativo interno di attaccamento di qualità positivo. Dall'altro lato un bambino che ha
avuto figure incapaci di fornire cura e protezione interiorizzerà un modello operativo interno di
attaccamento di qualità negativa.
Mary Ainsworth, individuo tre pattern di attaccamento attraverso una situazione sperimentale
chiamata strange situation, successivamente fu aggiunta una quarta.
questa situazione fu obbligata a bambini di 12 mesi ed era finalizzata a registrare i comportamenti
di questi bambini quando, dopo un'assenza di tre minuti, la madre di tornava da loro. I 3 pattern di
attaccamento individuati furono:
1. Attaccamento sicuro: l’attaccamento sicuro è un pattern di attaccamento che si sviluppa
quando genitore è stato disponibile e presente, quando egli ha cercato protezione conforto
e aiuto. quando l'attaccante sicuro il bambino dimostra di aver fiducia che il genitore sarà
disponibile.
2. Attaccamento resistente: l'attaccamento resistente è un pattern di attaccamento che si
sviluppa quando c'è una scarsa continuità nel rapporto (separazione), quando ci sono
situazioni che mettono a rischio la continuità del rapporto e quando un genitore è disponibile
in alcune occasioni ma non in altre. Il bambino non ha la sicurezza del fatto che il genitore
sarà disponibile in caso di bisogno. Quindi non si tranquillizza al ritorno della madre, ha paura
di separarsi, ricerca il contatto fisico, resta attaccato alla madre non riesce a riprendere il
gioco.
3. attaccamento evitante: un attaccamento evitante è un pattern di attaccamento che si
sviluppa quando ci sono carenze affettive quantitative o qualitative. il bambino mostra una
completa sfiducia nella capacità dei genitori di rispondere ai suoi bisogni di aiuto e
protezione che determina la tendenza a vivere senza l'amore e sostegno degli altri. il
bambino sembra non accorgersi del l'allontanamento della madre, non mostra apparenti
reazioni al suo rientro continuando a fare quello che stava facendo.
4. attaccamento disorganizzato: lui i comportamenti del bambino sono variabili e hanno una
scarsa prevedibilità, indicando un serio disturbo della relazione di attaccamento. Il bambino
mostra reazioni incoerenti: puoi rimanere bloccato, come può stringersi alla madre ma poi
cercare di allontanarsi.
Il pattern di attaccamento è relativo alla qualità della relazione che è strettamente dipendente dai
atteggiamenti dei genitori e di conseguenza dalle esperienze emozionali e relazionali che si
instaurano. il bambino tenderà a trasferire i pattern di attaccamento nei rapporti successivi.
La consapevolezza sociale
Si tratta di una consapevolezza sociale nella misura in cui riguarda le prime esperienze di sé-con-l
’Altro. Il bambino è sempre molto attento ai comportamenti dell’altro, specialmente quando
quest’ultimo esaspera le espressioni mimiche, i gesti, le produzioni verbali etc.
Nel corso dello sviluppo il rivolgere l’attenzione verso l’altro diventa un comportamento
progressivamente più frequente e diviene abituale a partire dai 3 mesi di vita: è sufficiente
avvicinarsi al bambino perché lui cominci ad orientare la sua attenzione verso l’altro.
Si tratta di una fase dove non c’è ancora condivisione, ma c’è attenzione e curiosità per l’Altro. La
motivazione sociale è un bisogno primario che nasce con l’individuo. Una tappa fondamentale è il
sorriso alla vista del volto dell’altro, riconducibile all’abilità del bambino di riconoscere una gestalt
privilegiata, vale a dire un insieme percettivo, i cui elementi costitutivi sono le caratteristiche del
volto: due nasi, una bocca, e un naso. La connotazione emotiva è decisamente positiva. A questa
età il bambino sorride a chiunque si avvicini, specialmente quando lo stimolo visivo è associato ad
uno stimolo uditivo, la voce.
A partire dai 6 mesi, nei confronti di uno spettacolo interessante il bambino sposta lo sguardo
dallo spettacolo al caregiver per guardarlo e poi ritorna a rivolgere lo sguardo allo spettacolo.
Questo comportamento prende il nome di sguardo referenziale.
Un’altra tappa che risulta determinante nel processo di socializzazione è l’attenzione congiunta o
condivisa, indica quella situazione in cui due persone rivolgono la loro attenzione su un comune
fuoco di interesse.
A partire dai 9 mesi il bambino comincia a rivolgere l’attenzione su ciò che l’altro sta facendo; il
bambino comincia a rendersi conto che l’altro è impegnato in qualche cosa, e dunque riconosce
l’altro come agente causale.
Il passo successivo è capire le intenzioni dell’altro: il bambino attraverso l’osservazione dei
comportamenti dell’altro comprende la finalità di tali comportamenti.
Contestualmente, il bambino comincia a comprendere che un comportamento è sempre
finalizzato ad uno scopo (agente causale) e, che l’altro ricorre a determinati comportamenti per
soddisfare un bisogno (agente mentale). Il bambino assume la prospettiva dell’altro, e ciò può
avvenire:
1. Spontaneamente, come quando il bambino senza alcuna sollecitazione si accorge che
l’altro si sta interessando a qualche cosa e va a curiosare con il suo sguardo;
2. Su sollecitazione dell’altro, come quando l’altro richiama l’attenzione del bambino.
Entrambe queste forme di attenzione vengono incluse nell’attenzione congiunta “in risposta”: il
bambino si aggancia all’attenzione dell’altro e lo segue nelle sue attività oppure si lascia guidare
dalle richieste dell’altro;
l’attenzione congiunta “su iniziativa” del bambino: mette in atto una serie di comportamenti tesi
ad agganciare l’attenzione dell’altro su una cosa o un evento che attira la sua attenzione. Il
bambino vuole attirare l’attenzione dell’altro per renderlo partecipe di un suo interesse.
La motivazione sociale quale dispositivo innato presenta delle differenze tra soggetto e soggetto,
nel senso che esistono bambini molto aperti alla relazione ed altri meno. In altri termini, La
Motivazione Sociale si configura come una funzione che ha un’espressività dimensionale.
Bisogna considerare che la normale socievolezza del bambino a partire dai 18-24 mesi deve
trasformarsi in socialità. La socievolezza si riferisce all’interesse nei confronti dell’altro e nel
piacere di stare in mezzo agli atri; la socialità si riferisce alla capacità ed alla disponibilità di
accettare le regole che lo stare con gli altri comporta.
A due anni il bambino sviluppa l’auto-consapevolezza: la presa di coscienza di sé porta il bambino
a proporsi, imporsi nell’ambiente.
LA COGNIZIONE SOCIALE
Consiste nell’avere consapevolezza degli stati della mente propri e altrui. La cognizione sociale
inizia con la rivoluzione socio-cognitiva dei 9 mesi e, attraverso la capacità di assumere la
prospettiva dell’altro, conduce alla Percezione sociale, alla Teoria della mente ed ai processi di
Mentalizzazione. Viene a verificarsi la possibilità di capire quello che gli altri credono
relativamente ad alcuni aspetti della realtà che condiziona il loro comportamento:
La capacità di capire che gli altri hanno delle loro convinzioni rispetto ad alcuni aspetti
della realtà,
La capacità di capire quello che gli altri credano sia falso,
La capacità di capire che gli altri si comporteranno in base a ciò che credono,
indipendentemente dal fatto che sia vero o falso.
Queste capacità rientrano in un costrutto teorico definito con il termine Teoria della Mente. ->
capacità dell’individuo di riflettere sulle emozioni, credenze, sui sentimenti propri e altrui e di
comprendere il comportamento degli altri.
In effetti, tutta la nostra vita è impegnata nel capire perché gli altri si comportano in un certo
modo, è una capacità che ci permette di vivere e sopravvivere.
In questa prospettiva la Teoria della Mente ci permette di scegliere i comportamenti più opportuni
nelle diverse circostanze.
Per cercare di datare l’accesso del bambino a queste nuove capacità viene abitualmente utilizzato
il paradigma dei compiti di falsa credenza-> viene mostrato al bambino una scatola di Smarties,
viene dunque chiesto al bambino cosa contenga quella scatola; il bambino dirà che ci sono i
confettini, ma in realtà sono pezzetti di plastica etc.
A partire dai 4 anni il bambino riesce a pensare con la testa degli altri, riesce cioè a prevedere il
comportamento degli altri tenendo conto non di ciò che lui sa, ma ciò che l’altro sa o crede di
sapere.
Non basta voler proporsi agli altri, ma anche sapere come proporsi agli altri;
Bisogna saper utilizzare adeguate strategie di avvicinamento;
Non basta voler esprimere ad un altro un’emozione, un desiderio, ma bisogna
saper utilizzare adeguate capacità narrative, tenendo conto della disposizione
emotiva dell’altro.
Con l’ingresso nella scuola primaria il ragazzino accede a nuove capacità auto-riflessive che gli
permettono di fare considerazioni più approfondite su sé stesso. Tutto ciò investe in maniera
determinante alcune dimensioni interne della persona quali la sicurezza, l’immagine di sé; tutto
ciò trova la sua massima espressività nell’adolescenza.
A partire dai 12 anni ha inizio l’adolescenza, che viene a definirsi come l’età del cambiamento. Essa
si pone come passaggio tra l’infanzia e l’età adulta; una stagione fatta di turbolenze, di rinunce, di
delusioni -> la crisi adolescenziale.
Le nuove richieste vengono a definirsi come dei veri e propri compiti che l’ambiente pretende che
il Soggetto risolva affinché egli possa essere considerato ben adattato (=compiti di sviluppo).
I compiti di sviluppo tipici del periodo sono riassumibili nel modo seguente:
Capacità percettive che permettono al soggetto di essere attento agli stimoli sociali e di
saperli analizzare senza lasciarsi confondere dalla loro mutevolezza;
Competenze empatiche, sia intesa come empatia affettiva (capacità di vivere quello che
vive l’altro), che in termini di empatia cognitiva (capacità di capire l’emozione che l’altro sta
vivendo).
Cognizione sociale, intesa come assunzione della prospettiva dell’altro per operare su
quanto il soggetto pensa che gli altri pensano;
Capacità di mediare tra bisogni sociali personali e bisogni sociali dell’altro.
Capitolo 6
La regolazione delle emozioni
Aspetti generali
Le emozioni possono essere definite come stati della mente che vengono attivati da eventi-stimolo
rilevanti per gli interessi del soggetto. Gli eventi-stimolo nascono con il rapporto dialettico con
l’ambiente. L’emozione si accompagna ad espressioni corporee involontarie, comportamenti
espliciti di avvicinamento e di allontanamento. Le caratteristiche associate dipendono dal tipo di
emozione in gioco.
Nelle prime fasi dello sviluppo gli stati di attivazione vengono definiti come emozioni primarie;
progressivamente si estendono in un insieme pluriarticolato di emozioni primarie denominate come
emozioni secondarie. In uno stato di attivazione emotiva è possibile riconoscere 4 componenti
fondamentali: affetto, componente neurovegetativa, un correlato somatico automatico con valenza
comunicativa e un comportamento.
1. L’affetto: si riferisce alla qualità dello stato mentale attivato dall’evento-stimolo. Nelle
primissime fasi dello sviluppo vengono individuate quattro emozioni di base: paura, rabbia,
gioia, disgusto. Nelle fasi successive, la gamma delle emozioni si estende in maniera
significativa in rapporto al modificarsi delle esperienze relazionali.
2. La componente neurovegetativa: si riferisce ad una serie di manifestazioni che vengono
fuori come una tempesta che comporta un massivo investimento del sistema nervoso
neurovegetativo. Tali manifestazioni si esprimono con: sudorazione delle mani, rossore del
volto, respiro frequente e superficiale…
3. Il correlato somatico automatico con valenza comunicativa: è rappresentato da una serie
di manifestazioni posturali e mimico-facciali che accompagnano le varie emozioni. Gli
atteggiamenti che assume il corpo sono chiaramente indicativi di una data emozione. Tali
atteggiamenti contribuiscono dall’interno a determinare il particolare stato della mente
della persona che si trova a vivere un’emozione intensa. Il suo sistema nervoso, infatti, viene
investito da una serie di messaggi raccolti dai recettori profondi del sistema muscolo-
scheletrico e dalla muscolatura facciale. Tali messaggi servono a determinare il vissuto legato
alla particolare emozione in causa. Le espressioni facciali partono indipendentemente dalla
volontà del soggetto. Il sentire un urlo di gioia, di dolore, oppure il pensare ad una
determinata emozione ci porta ad assumere l’espressione facciale congruente.
4. Il comportamento: ad un’emozione segue necessariamente un comportamento che non è
mai uguale per tutti i soggetti. Tale comportamento tende ad assumere una forma diversa
da soggetto a soggetto in rapporto ad una serie di variabili che appartengono alla storia
personale di ciascun soggetto; inoltre, una stessa emozione può dar luogo ad emozioni
diverse in base al contesto.
Bisogna analizzare i fattori che mediano tra le emozioni e il comportamento conseguente; si tratta
di fattori di natura molto diversa tra di loro, quali:
La fanciullezza
L’inizio della scuola primaria segna l’inizio della fanciullezza, in cui il bambino si trova a dover
affrontare nuovi compiti di sviluppo che sono molto carichi in termini emotivi:
L’adolescenza
L’adolescenza è un periodo di eventi-stimolo in grado di attivare stati emotivi molto intensi. La
complessità delle dinamiche che vengono ad attivarsi durante tale periodo sono tali che può
verificarsi una destabilizzazione dei processi di regolazione emotiva appena acquisiti. In particolare,
la dimensione della sicurezza va incontro a forti attacchi. L’adolescenza è il periodo del
cambiamento; tali cambiamenti sono di portata molto rilevante, in quanto riguardano il passaggio
da una condizione di bambino ad una di adulto, che comporta assunzioni di ruoli e di comportamenti
totalmente sconosciuti. Tale contesto porta l’adolescente a rivolgersi al gruppo dei pari, vale a dire
persone che sente che stanno provando i suoi stessi turbamenti. Il bisogno di sicurezza si estende
alla ricerca di una stabilità dei livelli di autostima, alla realizzazione di esperienze sentimentali.
Capitolo 7
Il controllo degli impulsi
Aspetti generali
La denominazione controllo degli impulsi si riferisce alla capacità del soggetto di inibire quelle
risposte comportamentali che nei confronti di eventi-stimolo tenderebbero automaticamente ad
esplodere come comportamenti impulsivi. I principali indirizzi teorici che si occupano
dell’argomento sono: la prospettiva psicoanalitica, la prospettiva associazionista e la prospettiva
neuropsicologica.
La prospettiva psicoanalitica
La teoria psicoanalitica, elaborata da Sigmund Freud, comprende una serie di ipotesi volte a spiegare
le forme del funzionamento psichico dell’uomo ed i modi del suo sviluppo.
È il principio del determinismo psichico, in base al quale nulla accade per caso nell’organizzazione
mentale: per quanto un evento possa apparire accidentale o privo di significato, risulta ad un’analisi
più attenta, legato ad eventi o fattori che lo hanno preceduto e che lo spiegano.
Ogni processo psichico può essere compreso secondo i seguenti tre punti di vista: topico, dinamico
ed economico.
1. Il punto di vista topico considera l’apparato psichico come un’organizzazione di diversi
sistemi che, pur essendo collegati tra di loro, assicurano funzioni diverse.
2. Il punto di vista dinamico pone l’accento sull’esistenza di un gioco di forze in costante
interazione tra di loro. Tali forze possono tendere ad una meta comune oppure trovarsi in
contrapposizione, determinando una situazione di conflitto. (conflitto intrapsichico)
3. Il punto di vista economico sottolinea che ogni fenomeno psichico è sostenuto e regolato da
una quantità di energia. Tale energia, che trova origine nel substrato biologico-pulsionale, è
spostabile, può subire variazioni d’intensità, può essere utilizzata per varie funzioni.
Moltissimi esempi clinici sottolineano l’importanza del punto di vista economico per
giungere alla comprensione dell’attività psichica: nella vita quotidiana ogni individuo, che è
impegnato a risolvere pressanti problemi interiori, finisce per avere a disposizione una
quantità di energia molto più ridotta per lo svolgimento di altre funzioni.
La teoria psicoanalitica sottolinea l’importanza dello sviluppo, inteso come un processo di lenta e
graduale formazione, attraverso il quale si viene a delineare una struttura di personalità che nella
fase adulta risulterà relativamente stabile ed unica di quell’individuo.
La concezione psicoanalitica della persona s’incentra sull’interazione organismo/ambiente. Tale
interazione si svolge secondo processi dinamici che si caratterizzano nel corso dello sviluppo con
modalità particolari.
Con l’opera INTERPRETAZIONE DEI SOGNI, Freud mise a punto una prima concezione dell’apparato
psichico, distinguendo tre sistemi o livelli:
Al livello INCONSCIO appartengono contenuti esclusi dal campo della coscienza, ma che per
altre vie continuano ad esercitare influenza sul funzionamento mentale.
Al livello PRECONSCIO appartengono quei contenuti che se pur non appartengono alla
coscienza possono essere richiamati alla coscienza stessa.
Al livello CONSCIO appartengono tutti i pensieri, i ricordi e le azioni di cui l’individuo ha chiara
consapevolezza e percezione.
A partire dal 1920, Freud elaborò una seconda concezione dell’apparato psichico, denominata come
seconda topica o ipotesi strutturale. Questa privilegia il concetto di strutture psichiche, piuttosto
che la raffigurazione spaziale di luoghi psichici distinti. Con l’ipotesi strutturale Freud descrive la
personalità dell’individuo come costituita da tre istanze psichiche: l’Io. l’Es, ed il Super-Io.
L’ES rappresenta il polo pulsionale della personalità, che comprende tutto l’insieme delle energie
pulsionali, sia di tipo libidico che aggressivo. I contenuti dell’Es appartengono puramente alla sfera
dell’inconscio e tendono alla scarica ed al soddisfacimento immediato. Il modo di funzionare dell’Es
viene definito come processo primario, che esprime la naturale prepotenza dell’Es. Si tratta di una
modalità di funzionamento psichico che risulta predominante nei primi stadi di vita, quando il
bambino tende ad agire secondo il principio del piacere, richiedendo un immediato soddisfacimento
delle proprie esigenze.
L’IO rappresenta un’istanza della personalità estremamente complessa ed articolata, che svolge
diverse funzioni. Scopo dell’Io è quello di garantire il successo nel processo di adattamento
attraverso un lavoro di coordinazione e regolazione delle istanze psichiche e del loro rapporto con
la realtà. In questa prospettiva è attribuibile all’Io una funzione prevalentemente organizzatrice, che
si esprime nel mantenere in costante equilibrio le esigenze interiori e le esigenze del mondo esterno.
In tal modo al principio del piacere viene a sostituirsi il principio di realtà con il quale, il bambino,
impara a rinunciare ad un piacere istantaneo che contrasti le richieste ambientali, per raggiungere
un soddisfacimento futuro.
IL SUPER-IO è l’istanza che comprende le funzioni di divieto e sistema di valori. Quando viene
formulata un’idea o compiuta una qualsiasi azione, contemporaneamente viene anche espresso un
parere, un giudizio interiore che può essere di approvazione se l’azione corrisponde al proprio
sistema di valori, o di rimprovero o condanna. Esso potrebbe essere definito come “coscienza
morale”, vale a dire l’insieme di valori, norme, precetti in base ai quali l’individuo dirige il proprio
comportamento e le proprie azioni; se ne differenzia però per il suo carattere prevalentemente
inconscio.
Secondo Freud il Super-Io comprare abbastanza tardi nel corso dello sviluppo, si può dire che si
comincia a differenziare tra i 4-5 anni d’età.
La psicoanalisi si accosta al concetto di personalità. Il termine personalità sottolinea il carattere
stabile, continuo, costante di tale equilibrio tra le istanze psichiche-> può essere definita come il
modo abituale per un dato individuo di organizzare ed armonizzare i compiti e le funzioni tra le
istanze psichiche descritte.
Bisogna tener presente che, secondo Bion, la finalità ultima dell’apparato psichico consiste nel
realizzare il processo di adattamento, il quale implica a sua volta la capacità di modificarsi
parallelamente al variare dei dati ambientali: “apprendere dall’esperienza”
I meccanismi di difesa
L’Io svolge anche attività di tipo inconscio che trovano espressione nei meccanismi di difesa, cioè in
tutti quei processi dinamici tramite i quali esso cerca di reagire al conflitto generato dalle opposte
spinte dell’Es e del Super-Io.
Rappresentano modalità messe in atto dall’Io, in maniera inconscia, per proteggersi da tutto quello
che viene concepito come inaccettabile dalla coscienza. La classificazione dei meccanismi di difesa
dell’Io sono stati particolarmente studiati da Anna Freud. La loro caratteristica fondamentale è
quella di svilupparsi e di funzionare al di fuori della consapevolezza del soggetto ed il loro scopo è
quello di proteggere l’Io contro l’ansia legata a conflitti interiori e con l’ambiente esterno.
Il conflitto rappresenta lo scontro fra due istanze diverse, di cui l’una tende all’appagamento
immediato delle pulsioni e l’altra al contenimento. I principali meccanismi di difesa sono:
1. La rimozione si tratta di un meccanismo fondamentale con il quale vengono respinti e
mantenuti a livello inconscio impulsi e sensazioni sgradevoli
2. La introiezione è un processo attraverso il quale il mondo esterno ed i suoi aspetti
vengono incorporati dall’individuo.
3. La proiezione implica la tendenza ad attribuire propri sentimenti e contenuti psichici
spiacevoli ad altre persone.
4. La negazione consiste nella tendenza a ridurre l’ansia rifiutando il riconoscimento di
realtà esterne spiacevoli fino al disconoscimento dell’esperienza percettiva
5. La forma reattiva: il contenuto temuto e rifiutato di un sentimento viene respinto a livello
inconscio e sostituito inconsapevolmente con quello opposto.
6. La fissazione: consiste nell’arresto ad una delle fasi di sviluppo in quanto il passaggio alla
successiva implica un’angoscia eccessiva.
7. La regressione l’individuo ritorna a fasi antecedenti il suo sviluppo psicologico.
8. Lo spostamento consiste nel trasferire pulsioni mal tollerate verso motivazioni o fantasie
accettabili a livello cosciente.
9. La sublimazione: le energie legate all’appagamento di un impulso profondo vengono
distolte dall’impulso originario e mobilitate verso una finalità socialmente approvata.
10. La razionalizzazione tendenza a proporre spiegazioni eticamente e logicamente
giustificate di certi conflitti o debolezze.
11. L’intellettualizzazione è un meccanismo particolarmente presente nei soggetti con tratti
ossessivi.
Ciascun individuo sembra ricorrere con maggiore frequenza ad un determinato meccanismo di
difesa. In questa maniera, i vari meccanismi di difesa finiscono per determinare il formarsi dei “tratti
del carattere”. Quando però divengono eccessivamente rigidi e ripetitivi, tali meccanismi acquistano
carattere patologico.
La prospettiva associazionista
In accordo ad una prospettiva associazionista, l’appagamento del bisogno, e quindi la riduzione di
uno stato di tensione, rappresenta un rinforzo oltremodo fondamentale nel mantenere il
comportamento messo in atto e nel riproporlo nelle situazioni future. Nel progredire del tempo
molti di questi comportamenti, tuttavia, risultano poco idonei con le esigenze del contesto.
Il controllo degli impulsi si traduce nella scelta di rinunciare ad una ricompensa immediata in
previsione di una ricompensa “ritardata” ma più gratificante. In questa prospettiva il controllo degli
impulsi è il prodotto di un apprendimento che si realizza in accordo alle prospettive associazioniste.
È evidente che per sostituire una ricompensa immediata con una ritardata è necessaria
un’organizzazione maggiormente strutturata dell’apparato psichico. Il riferimento è ad aspetti
complessi ed interagenti, quali:
L’attenzione, intesa come la capacità di tener conto di molteplici aspetti del contesto;
La memoria, riferita sia alla memoria esplicita (ricordo cosciente di esperienze pregresse),
che alla memoria implicita (tracce mnemoniche inconsce di esperienze pregresse)
Il sistema di valori vale a dire l’importanza che il bambino ha imparato ad attribuire a
determinate esperienze;
I tratti temperamentali, rappresentati dalle particolari modalità reattive del singolo soggetto
nei confronti delle novità.
L’APPRENDIMENTO OSSERVATIVO
Con l’apprendimento osservativo enfatizzato da Bandura, si assiste ad una sensibile svolta del
comportamentismo che tende ad individuare nuove forme di “rinforzo”. L’importanza
dell’imitazione nell’apprendimento è stata particolarmente sottolineata nel 1960, in quanto
Bandura ha effettuato numerosi studi per dimostrare gli effetti di un modello sul
comportamento.
Indipendentemente da queste situazioni sperimentali, questa tendenza ad imitare è facilmente
verificabile nei bambini, i quali adottano abitualmente svariati comportamenti che hanno visto
mettere in atto da altre persone. L’attenzione permette di cogliere, non solo i comportamenti
degli altri, ma anche le ricompense e le punizioni che comportano. -> rinforzo vicario.
Il piacere, la soddisfazione, la sensazione di benessere che derivano dall’aver effettuato un certo
tipo di comportamento agiscono, dall’interno nel rinforzare tale comportamento,
indipendentemente dall’approvazione esterna. Questo tipo di rinforzo prende il nome di ->
rinforzo intrinseco o ricompense intrinseche.
probabilmente uno degli spunti di maggiore interesse che emerge dagli studi di Bandura è
l’enfasi posta sui processi che sottendono l’apprendimento per imitazione. In particolare,
sottolinea alcuni aspetti:
Gli uomini sono individui cognitivi, ovvero elaboratori attivi di informazioni, che tendono
a pensare e riflettere sui propri comportamenti e sulle conseguenze che comportano;
I bambini imparano nuove risposte semplicemente osservando il comportamento degli
altri: modelli sociali;
I bambini immagazzinano i comportamenti osservati dal modello come rappresentazioni
mentali, che depositate in memoria vengono recuperate in tempi successivi per fungere
da guida ai tentativi di imitazione;
Le rappresentazioni mentali simboliche possono essere immagazzinate come immagini
caratterizzate da etichette verbali: “non è giusto compiere questa azione!!”
Il bambino è in grado di apprendere osservando semplicemente, ovvero senza agire sul
modello;
Il bambino apprende non solo i comportamenti positivi, ma anche quelli negativi.
Il bambino che ha appreso deciderà in seguito se e quando ripetere quei comportamenti.
La prospettiva di Bandura sostituisce un determinismo ambientale, in cui il bambino era visto
come un recettore passivo degli stimoli, con un determinismo reciproco, che individua il
bambino come fruitore attivo degli stimoli ambientali, stimoli che il bambino seleziona,
elabora e traduce in risposte comportamentali che a loro volta influenzano l’ambiente.
Sia l’approccio psicoanalitico che quello associazionista riescono a definire:
o Quali sono le spinte che inducono il bambino ad agire;
o Quali sono le forze che si oppongono all’appagamento di queste spinte
istintuali;
o Quali sono le strategie volte a mediare tra istanze istintuali ed imposizioni
esterne.
La prospettiva neuropsicologica
La prospettiva neuropsicologica si propone di indagare su cosa succede nell’encefalo in situazioni di
conflitto motivazionale. Pertanto, rientra nel campo delle Scienze Cognitive, che fa rientrare il
controllo degli impulsi nei più generali processi di controllo centrale preposti all’elaborazione
dell’informazione. Tali processi riguardano le modalità con cui il sistema nervoso centrale pianifica
il flusso, lo smistamento e l’analisi dei dati, ottimizzando le prestazioni del sistema.
I cambiamenti si configurano come sfide costanti che il soggetto impara a padroneggiare ed il più
delle volte lo fa in maniera automatica, grazie ad una serie di strategie apprese che non prevedono
più il controllo cosciente. Questo processo di automatizzazione risulta economico in quanto non
impegna la partecipazione cosciente del soggetto, può risultare tuttavia inadeguato per alcune
situazioni problematiche nuove. In questo caso entrano in gioco le FUNZIONI ESECUTIVE, attraverso
le quali il cervello si mette al lavoro per risolvere coscientemente i problemi. Le FE, chiamate anche
funzioni del controllo esecutivo o del controllo cognitivo, si riferiscono a processi mentali top-down
che procedono, cioè, dall’alto verso il basso.
Le funzioni esecutive entrano in campo quando è necessario concentrarsi e prestare attenzione
intenzionalmente all’analisi di una situazione, o alla risoluzione di un problema, o che riguardano
vere e proprie scelte di vita.
Il ricorso alle FE comporta un dispendio di energie mentali. L’orientamento prevalente è che le
funzioni esecutive siano costituite da tre componenti fondamentali, operativamente distinte ma che
lavorano in maniera congiunta, e come tali costituiscono un costrutto teorico unitario. Tali
componenti sono:
IL CONTROLLO INIBITORIO: si riferisce alla componente specificamente preposta a
controllare, e quindi inibire, quelle risposte comportamentali che potrebbero
risultare non idonee alla particolare situazione in esame. Il controllo inibitorio
prevede di non mettere in atto una risposta che tenderebbe per consuetudine ad
essere mandata in esecuzione in maniera automatica; blocca una risposta impulsiva
per valutarne la sua idoneità.
LA MEMORIA DI LAVORO da un lato rimanda al concetto di memoria a breve termine,
ovvero ad una traccia mnesica, ad un ricordo che rimane attivo per un tempo
limitato; per un altro può lasciare intendere ad uno spazio di lavoro, ad una scrivania
su cui vengono depositati dei dati. Entrambi questi luoghi comuni sono inadeguati.
Nelle situazioni in cui le funzioni esecutive entrano in funzione, la programmazione
cosciente, accanto all’inibizione delle risposte impulsive, prevede che:
Parasonnie connesse al sonno non-REM: si verificano nel corso della prima parte del
sonno, quando il sonno del soggetto oscilla tra lo stadio 2 e 3. Il soggetto può sembrare
sveglio, ma di fatto dorme e le manifestazioni che presenta possono essere caratterizzate
da:
o risvegli confusionali: episodi di risveglio parziale non associati a deambulazione o
automatismi motori: il bambino sembra sveglio, ma è confuso; emette dei
vocalizzi e può anche parlare, ma è confuso.
o automatismi motori: sono dei comportamenti motori effettuati in maniera
automatica. Tali episodi vengono spesso inquadrati nell’ambito del
sonnambulismo.
o manifestazioni di terrore: sono quelle che mettono maggiormente in allarme il
genitore. La denominazione abituale è quella di pavor nocturnus. Il bambino
improvvisamente sembra svegliarsi e grida, è agitato, ha il volto arrossato, suda.
In tutte le parasonnie non-REM il bambino al risveglio non ha alcun ricordo
dell’episodio.
DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE
Nel rifiuto del cibo è necessaria un’attenta ricostruzione anamnestica finalizzata a valutare la storia
delle difficoltà dell’alimentazione e le modalità adottate dai genitori per porvi rimedio. Se il
momento dell’alimentazione diviene uno strazio per i genitori comincia a diventarlo anche per il
bambino. Se in base ad un peso corporeo rispondente ai parametri normativi, il bambino assume le
calorie di cui ha bisogno il genitore non deve cercare di farlo mangiare in eccesso. Prendere atto di
tali evidenze è particolarmente utile, in quanto esse possono dar luogo a dinamiche tensive
bambino-caregiver.
LA DISUBBIDIENZA
Si inserisce in un profilo comportamentale caratterizzato da scarsa aderenza alle richieste dell’altro,
difficoltà di farsi coinvolgere in attività condivise, scarso rispetto delle regole, oppositività. “il
bambino dà il peggio di sé in presenza dei genitori”.
Ciò che può essere concepita come la conseguenza delle intemperanze del bambino è il riscontro di
atteggiamenti educativi inadeguati da parte dei genitori. L’elemento comune in questi
comportamenti è l’incapacità del bambino di dilazionare l’appagamento dei bisogni, di resistere alla
forza degli impulsi. Ciò che colpisce è l’aspetto eccessivo delle risposte; il bambino sembra avere
una scarsa padronanza nella capacità di contenere e gestire le proprie emozioni.
Ubbidire vuol dire essere sensibili all’approvazione dell’Altro, cercare il suo consenso.
LA FANCIULLEZZA
In questa fascia d’età possono fare la loro comparsa nuovi comportamenti che vanno a sommarsi a
quelli precedenti. Un aspetto importante è valutare i contesti in cui essi si presentano: contesto
osservativo (il luogo in cui viene effettuata l’osservazione), contesto familiare, contesto scolastico,
il contesto del tempo libero.
LA TIMIDEZZA
Nel periodo prescolare la presenza di sicurezza in casa porta a sottovalutare gli atteggiamenti che il
bambino adotta fuori dall’ambiente domestico. Spesso è presente una discordanza fra i
comportamenti adottati nei diversi contesti. Gli aspetti rilevanti che si presentano sono: piangere
per futili motivi, avere paura di tutto, non sapersi difendere, e così via.
Si può nascere harm avoidance, cioè timorosi; si può nascere tendenzialmente novelty seeking,
cioè intraprendenti, curiosi. Come per tutti i tratti temperamentali, l’ambiente svolge un ruolo
determinante nel modificare queste naturali tendenze.
Un altro fattore di particolare importanza è rappresentato dal giudizio auto-valutativo che ciascuno
formula su sé stesso. Avere una bassa autostima porta inevitabilmente il soggetto a sottrarsi a prove
o situazioni che richiedono capacità che lui crede di non possedere: il soggetto vorrebbe ma non
può.
Un’ultima dimensione che va presa in considerazione è la Reciprocità Sociale: il bambino presenta
una scarsa motivazione sociale; il bambino potrebbe ma non vuole.
IL BAMBINO ESPLOSIVO
L’esplosività rende difficile la gestione del bambino: “non sta mai fermo”, “è distratto”. In tali casi
risulta fondamentale valutare il funzionamento mentale del bambino per individuare le dimensioni
affettivo-relazionali emergenti. La funzione che assume un ruolo determinante è quella definita
come controllo degli impulsi e regolazione emotiva. Le esperienze relazionali riescono a far
emergere e a consolidare adeguate strategie per fronteggiare gli impulsi che nascono all’interno
della Persona.
L’ADOLESCENZA
L’adolescenza è una fase sicuramente impegnativa per la Persona che è alla ricerca della sua
identità, del suo ruolo nel contesto sociale. La complessità del periodo è legata alla concomitanza di
profondi mutamenti che investono gli aspetti biologici, psicologici e sociali; aspetti che interagiscono
in maniera dinamica con effetti non sempre prevedibili. Sul piano biologico l’adolescenza è segnata
dalla pubertà, nella quale avviene un’immissione in circolo di ormoni sessuali che stimolano tutti gli
organi e gli apparati del corpo umano. Queste modifiche morfo-funzionali investono anche il
Sistema Nervoso Centrale. I processi di riequilibrio saranno tanto più efficaci quanto più le
componenti di ordine sociale saranno in grado di favorire i processi di integrazione e adattamento.
La rete sociale in questa prospettiva risulta oltremodo importante; è anche vero che determinati
contesti sociali possono influenzare negativamente lo sviluppo psicologico della persona in crescita.
Quanto appena detto rende facilmente prevedibile la comparsa di comportamenti atipici che
mettono in allarme i genitori.
IL RITIRO SOCIALE.
Consiste nella comparsa di comportamenti tesi ad evitare le situazioni sociali e a chiudersi sempre
più all’interno delle mura domestiche. Nel contesto osservativo il soggetto non mostra segni di ansia
o di tensione, più che altro “sta sulle sue”.
L’adolescenza con i suoi caratteristici mutamenti destabilizza gli equilibri che sottendono le
dimensioni intrapsichiche rappresentate dalla sicurezza, dall’immagine di Sé, dal controllo degli
impulsi e dalla regolazione delle emozioni; soprattutto nelle situazioni in cui tali equilibri erano già
precari.
COMPORTAMENTI ANTISOCIALI
Si configurano come comportamenti antisociali inequivocabili furti, rapine, stupri etc.
La ricostruzione anamnestica mette in evidenza alcuni tratti temperamentali indicativi di un basso
livello di empatia, di una carenza di rimorso. Il ricorso a comportamenti antisociali può
rappresentare il prodotto di una miscela esplosiva fatta di bassa tolleranza alle frustrazioni,
impulsività, scarsa capacità di prevedere le conseguenze delle proprie azioni.
Capitolo 11
L’abuso
Problemi di classificazione
Il termine abuso si riferisce, genericamente, a qualsiasi atto di commissione o di omissione in grado
di interferire con lo sviluppo ottimale del bambino. Per approfondire maggiormente il fenomeno, è
utile operare delle classificazioni differenti effettuate a diversi parametri di riferimento. Una prima
classificazione può essere effettuata in base alle caratteristiche dell’atto abusante. In accordo a
questo parametro di riferimento, le situazioni di abuso possono essere suddivise in:
Atti intenzionali: rappresentati da comportamenti “attivi” ai danni del bambino, che
possono essere di natura fisica (per esempio, percosse) o di natura emotiva (per
esempio, minacce verbali);
Omissioni (“neglect”): rappresentati dalla disattenzione nel provvedere alle esigenze del
bambino, che possono essere di carattere fisico (es, trascuratezza nell’igiene del corpo)
o di carattere emotivo (es, assenza di atteggiamenti affettuosi).
Una seconda classificazione può essere effettuata facendo riferimento al parametro di
severità. In accordo a questo parametro di riferimento, le forme di abuso possono essere
suddivise in:
Maltrattamento: che consiste in un atto intenzionale o omissione, perpetrato ai danni di
un bambino da parte di chi si prende cura di lui, si entità tale da determinare danni fisici
o psicologici di entità contenuta;
Violenza: che consiste in un atto intenzionale o omissione, perpetrato ai danni di un
bambino da parte di chi si prende cura di lui, di entità tale da determinare gravi danni
fisici e profondi traumi psicologici.
Una terza classificazione può essere effettuata facendo riferimento alla natura dell’abuso. In
questo senso l’abuso può essere:
Abuso fisico: cioè può consistere in atti intenzionali (per esempio, percosse) o omissioni
(per esempio, privazione di cibo) che si traducono in danni di tipo somatico;
Abuso emotivo: cioè può consistere in atti intenzionali (per esempio, sovraccarico di
cure) o omissioni (per esempio disattenzione nei confronti delle esigenze affettive del
bambino).
L’abuso fisico
Molti studi hanno cercato di mettere in luce le “cause” dell’abuso, ponendo particolarmente
attenzione sulle caratteristiche del genitore abusante. Da questi studi è emerso che l’abuso può
dipendere da tre fattori:
Dall’esistenza di un più generale quadro psicopatologico (depressione, schizofrenia ecc.);
Da una modalità reattiva di dinamiche intrapsichiche problematiche e conflittuali;
Da un comportamento appreso, secondo cui il genitore è abusante perché è stato a sua volta
abusato.
Un’altra area di ricerca tende invece a prendere in considerazione i fattori sociali che determinano
l’abuso (povertà, emarginazione, isolamento sociale). Entrambe queste prospettive, però, risultano
limitative: non si può ricondurre il fenomeno dell’abuso ad un nesso causa-effetto, in quanto l’atto
abusante è il prodotto di un’interazione di molteplici fattori. Pertanto, si è definito, con gli anni, un
modello eziologico di carattere multidimensionale, in rapporto al quale nelle situazioni di abuso
viene a verificarsi la co-presenza di fattori di differente natura. Attualmente, il concetto
maggiormente enfatizzato è quello di vulnerabilità, intesa come un fattore che predispone
l’abusante e l’abusato.
Vulnerabilità genitoriale
Anche per quel che riguarda i genitori, ci sono una serie di fattori che “predispongono” ad incorrere
in atti abusanti:
L’incapacità alla genitorialità => che si traduce nell’incapacità di sentire empaticamente, e
quindi di comprendere intuitivamente quello che il bambino comunica o quello che sottende
il suo comportamento. Questa incapacità di sintonizzazione empatica può essere ricondotta
in parte ad un tratto “costituzionale”, in parte alla presenza di un quadro psicopatologico,
come la depressione, la schizofrenia o sindromi borderline. In queste situazioni, il genitore
può incorrere in un atto abusante. –
La presenza di un’esperienza di abuso nella storia personale. I genitori che compiono atti di
abuso sui propri figli sono persone che a loro volta sono stati sottoposti ad atti di abuso. Si
tratta di un dato sulla cui interpretazione non c’è un accordo unanime. Per alcuni autori
l’essere stato oggetto di atti di abuso determina nel futuro un genitore con una serie di
disturbi psicopatologici, che possono predisporlo a compiere sul proprio figlio atti abusanti.
Secondo altri autori, l’aver subito atti di abuso può determinare una distorta percezione
delle modalità e delle finalità dell’atto educativo che porta a stili di comportamento atipici.
Fattori socio-culturali
È chiaro che il sistema socio-culturale in cui è inscritto un sistema familiare esercita un pesante
effetto sugli atteggiamenti e sui comportamenti dei genitori. In alcuni contesti socio-culturali, ad
esempio, l’abuso fisico è uno stile educativo accettato e condiviso da quel particolare gruppo
sociale.
A conclusione di questa rapida disamina dei fattori implicati nella genesi dell’abuso va ribadito e
sottolineato un concetto fondamentale: nessuno dei fattori precedentemente esposto, da solo, può
essere considerato causa dell’atto abusante.
La trascuratezza
Anche la trascuratezza è una forma di abuso. Ovviamente la trascuratezza non è un atto intenzionale
(fisico o emotivo) ma una disattenzione e quindi un’omissione da parte dei genitori nei confronti dei
bisogni fisici e affettivi del bambino. A seconda del tipo di omissione che il genitore mette in atto, si
distinguono: -
Trascuratezza fisica => quando il genitore non provvede alle esigenze nutritive e/o igieniche
del bambino;
Trascuratezza nelle cure mediche => quando il genitore non sottopone il bambino alle cure
mediche di cui ha bisogno;
Trascuratezza nella “supervisione” => quando il genitore non opera un controllo sul bambino
per evitare che si faccia male o incorra in traumi ( es: quando un genitore affida ad un
bambino piccolo la custodia del fratellino minore, quando lascia incustoditi detersivi ecc.)
Trascuratezza educativa => quando il genitore non si preoccupa di inserire il bambino a
scuola, quando non partecipa al suo percorso formativo, quando lo priva delle esperienze
necessarie a favorire la sua crescita psicologica e sociale (feste di compleanno, pratiche
sportive ecc.)
Trascuratezza emotiva => quando il genitore è disattento ai bisogni affettivi del bambino.
L’abuso sessuale
L’abuso sessuale è il coinvolgimento del bambino in attività sessuali inappropriate rispetto al suo
livello di sviluppo e improprie rispetto al ruolo che occupa nella famiglia. Indica, propriamente, lo
sfruttamento sessuale da parte di un individuo maggiore del bambino per età e per ruolo. Ne deriva
che il bambino diventa vittima impotente in quanto non è in grado cognitivamente (per età e
maturità sessuale) di elaborare realisticamente la situazione e non riesce emotivamente ad opporre
un’adeguata resistenza. Le caratteristiche di quest’atto abusante sono le seguenti: -
L’atto abusante è di natura sessuale. Il repertorio è variabile e può assumere diversi aspetti:
riferimento ad attività sessuali espresse verbalmente (linguaggio di estrema crudezza
sessuale) o evocate attraverso immagini (riviste pornografiche, esibizionismo); stimolazioni
sessuali espresse attraverso la masturbazione o contatti genitali;
La vittima è generalmente di sesso femminile (oltre l’80% degli abusi avvengono ai danni di
bambine);
L’abusante è generalmente una figura di cui il bambino si fida. Le cronache recenti hanno
ampiamente dimostrato che solitamente gli atti di abuso sessuale avvengono all’interno
delle mura domestiche, e quindi si configurano come atti incestuosi.
Da alcune ricerche effettuate in merito, sono emerse una serie di caratteristiche che fanno parte
del nucleo familiare in cui avvengono atti di abuso sessuale: -
Il padre presenta talvolta chiari tratti psicopatologici (ritardo mentale, disturbi di
personalità, alcolismo). Esistono due categorie di padri incestuosi: quella in cui il padre
si sente vittima della sua stessa perversione, e quindi ha atteggiamenti di tipo depressivo;
quella in cui il padre “giustifica” il suo comportamento sulla base di argomentazioni
teoriche relative al suo “possesso” del figlio.
La madre molto spesso presenta atteggiamenti o comportamenti di qualità depressiva:
raramente è complice attiva dell’abuso, ma spesso fa finta di ignorare la situazione,
accettandola passivamente;
Il contesto familiare è generalmente connotato da una situazione di isolamento sociale.
Gli effetti a breve, medio e lungo termine sono diversificati in relazione all’età, al profilo emotivo di
base del bambino, alle caratteristiche dell’atto abusante o della trascuratezza in termini di gravità e
durata. Ci sono, però, delle possibili conseguenze che è opportuno analizzare.
Effetti a breve e medio termine (riferiti, cioè, alla fase dello sviluppo)
Effetti fisici => per quanto riguarda le conseguenze fisiche degli abusi, esse vanno da semplici
cicatrici fino a deformità permanenti, e variano in relazione alla gravità dell’evento abusante.
Per quanto riguarda gli effetti della trascuratezza, anch’essi possono essere gravi (la
malnutrizione può causare difficoltà nella crescita; le trascuratezze mediche possono
causare infezioni o malattie ecc.) e condurre addirittura alla morte. Per quanto riguarda gli
effetti degli abusi sessuali, ci possono essere lesioni a carico dell’apparato uro-genitale e il
rischio di malattie veneree.
Effetti sullo sviluppo cognitivo => le situazioni di abuso e di trascuratezza interferiscono in
modo significativo sullo sviluppo cognitivo, traducendosi in ritardi del linguaggio, ritardi
nell’apprendimento scolastico. L’entità di queste conseguenze è correlata all’età e alla
durata degli eventi abusanti o di trascuratezza (quanto più piccolo è il bambino, tanto
maggiori saranno le conseguenze; quando maggiore è la durata degli eventi, tanto maggiori
e durature saranno le conseguenze).
Effetti emotivi => le conseguenze di carattere emotivo, spesso, non sono eclatanti.
Solitamente esse si riconoscono sul piano comportamentale. Esse sono rappresentate da:
atteggiamenti inibitori, condotte oppositivo-provocatorie, manifestazioni ansiose, difficoltà
di inserimento nel gruppo, cadute prestazionali, che riguardano principalmente gli
apprendimenti scolastici, disordini nel linguaggio, perdita di interessi e mancanza di
iniziativa.
Dal punto di vista clinico, si verificano:
Disturbo reattivo dell’attaccamento dell’infanzia
Disturbo post-traumatico da stress
Disturbo acuto da stress
Disturbo dell’adattamento
Questi sintomi sono riconducibili ad una disfunzione che investe tre aree critiche dello sviluppo:
La sicurezza: la sicurezza è quel sentimento di stabilità emotiva derivante dalla maturazione
di alcune certezze interne, per permettono al bambino di affrontare situazioni nuove o
insolite. La sicurezza ha chiaramente a che fare con l’attaccamento e con i processi di
identificazione. Un attaccamento sicuro, che permette al bambino di avere fiducia che la
madre sarà disponibile, presente e attiva nel caso di situazioni spiacevoli, garantirà al
bambino una sicurezza interna che gli consentirà di sentirsi audace nelle esplorazioni del
mondo e capace di interagire con esso. Allo sviluppo del senso di sicurezza contribuiscono
anche i processi di identificazione: mediante l’identificazione con uno dei genitori, il bambino
assimilerà la forza e l’adeguatezza del genitore. È chiaro che se il modello di identificazione
è inadeguato, il bambino si sentirà insicuro e inadeguato. –
L’auto-controllo: l’autocontrollo è la capacità di rinunciare ad una ricompensa immediata in
previsione di una ricompensa ritardata ma più gratificante. L’autocontrollo è quindi
strettamente connesso all’impulsività: l’impulsività è l’agire di impulso, senza considerare le
conseguenze delle proprie azioni. In questa prospettiva, l’autocontrollo è la capacità di
inibire l’impulsività. L’autocontrollo presenta sensibili modifiche nel corso dello sviluppo, in
rapporto alla maturazione e alla crescita dell’individuo. È chiaro che, a contribuire allo
sviluppo dell’autocontrollo, ci sono fattori neurobiologici, ma anche fattori ambientali, come
il ruolo che il genitore ha nella modulazione dei bisogni del bambino. Dunque, in condizioni
di abuso e/o trascuratezza, laddove viene a mancare il ruolo modulatore dei genitori, il
controllo degli impulsi ha delle disfunzioni: si può verificare una situazione di estremo
autocontrollo, oppure una situazione di bassissimo auto-controllo.
L’autostima: L’autostima è il giudizio qualitativo che ciascuno esprime su sé stesso, sulle
proprie capacità cognitive, motorie, sociali ecc. lo sviluppo dell’autostima è chiaramente
connesso al ruolo genitoriale: un bambino abusato sviluppa sentimenti di inadeguatezza,
non accettazione e colpa che minano la sua autostima.
Capitolo 12
La malattia cronica e le condizioni associate
Aspetti generali
Una malattia cronica può, nell’età evolutiva, svolgere una notevole influenza sulla strutturazione
della personalità, soprattutto se comporta ospedalizzazione.
L'ospedalizzazione
Il ricovero in ospedale rappresenta per il bambino un'esperienza sconvolgente. Gli aspetti traumatici
dell'ospedalizzazione sono costituiti dal fatto che il bambino viene introdotto in un ambiente a lui
estraneo e costretto a separarsi dai propri familiari. La separazione viene vissuta con sentimenti di
abbandono che incidono sull'equilibrio emotivo del bambino. Numerose osservazioni hanno
dimostrato che la separazione, interagendo con la malattia, accentua lo stress psicologico e le
conseguenze emotive. Nel processo di adattamento durante il ricovero, Robertson ha individuato
tre fasi principali:
La protesta: è la prima risposta istintiva del bambino che, attraverso il pianto, le urla e il
rifiuto di ricevere attenzioni dal personale sanitario, esprime l'ansia della separazione con la
madre. La disperazione: è indicativa del dolore e del lutto per la perdita dell'oggetto amato.
Il bambino è poco attivo, passa le ore a piangere e si alimenta poco.
La negazione: si realizza per il trasferimento nell'inconscio della nostalgia per l'oggetto
amato. Il bambino partecipa alla vita del reparto, sembra adattato, si sottopone alle pratiche
mediche e mostra attaccamento alle persone che lo curano.
Ci sono due variabili che incidono sugli effetti dell’ospedalizzazione:
L’età=> i bambini di 3-4 anni sono più vulnerabili perché sono completamente dipendenti
dai genitori, i quali soddisfano i suoi bisogni non solo biologici ma soprattutto affettivi e
sociali;
Le caratteristiche della personalità di base del bambino => bambini eccessivamente
dipendenti o emotivamente disturbati hanno razioni più intense durante e dopo
l’ospedalizzazione, mentre bambini bene adattati tollerano meglio il ricovero.
Malattia cronica
È stato osservato che ogni malattia fisica, colpendo un corpo che non esiste come entità isolata,
s'inserisce nella vita psichica del bambino e della famiglia, determinando un perturbamento emotivo
ed una modificazione dei rapporti con l'ambiente. Mentre nelle malattie acute i problemi psichici
sono in secondo piano rispetto alla sintomatologia fisica, in quanto è possibile la guarigione, la
malattia cronica influenza l’assetto psicologico della personalità, apportando stabili modificazioni
nelle relazioni del bambino con sé stesso e con l’ambiente. Essa comporta innanzitutto modificazioni
nelle sensazioni cenestesiche e corporee. Specialmente nella prima infanzia, il dolore fisico,
provocato dalla malattia, altera l'equilibrio tra piacere e dispiacere. Accanto alle alterazioni
corporee si verificano, nella vita del bambino, profondi cambiamenti nelle abitudini, che
comportano rinunce ed adattamenti spesso traumatici: vengono impedite determinate attività di
gioco, modificate abitudini alimentari, la vita quotidiana viene ritmata da nuovi orari e da pratiche
terapeutiche spiaceli. Spesso anche l’ambiente fisico nel quale il bambino si muove è sostituito da
quello estraneo dell’ospedale, dove egli deve vivere da solo con persone che lo sottopongono a
pratiche mediche dolorose. Infine, l’ambiente familiare tende a manifestare intense reazioni di
angoscia e a creare un clima emozionale iperprotettivo. Queste situazioni comportano
generalmente una minaccia all’equilibrio psichico del bambino, generando uno stato di
disorientamento nei confronti del quale l’io si difende con vari meccanismi, quali:
La regressione che in parte è richiesta dalla malattia, che richiede la delega della gestione
del corpo ad altre persone, in parte è richiesta dal bambino che rinuncia ad alcune
autonomie già raggiunte diventando esigente, lamentoso, dipendente dai genitori in un
modo che non corrisponde alla sua età.
La negazione, fa sì che il bambino si comporti come se non fosse ammalato; rifiuta la terapia
e si mostra aggressivo nei confronti dell'ambiente. Le reazioni psicologiche alla malattia
presentano dinamiche molto diverse in relazione all’età del soggetto, al tipo di malattia e
alle modalità reattive dei genitori.
Per quanto riguarda l’età, è stato rilevato che, nei primi anni di vita, la malattia generalmente induce
fantasmi di divisione e mutilazione, mentre in età successive provoca dei vissuti di punizione
collegati all’inosservanza dei divieti imposti dai genitori e dalle norme sociali. Via via che cresce, il
bambino prende coscienza della propria diversità e tende ad avere reazioni depressive oppure
comportamenti patologici di tipo fobico-ossessivo o di isolamento. Nel periodo adolescenziale
invece, la vulnerabilità è più accentuata: in questo periodo è maggiore il bisogno di autonomia,
quindi i processi di regressione imposti dalla malattia hanno un effetto destrutturante. Per quanto
riguarda la malattia, i modi di viverla sono chiaramente differenti, in relazione alle diverse
caratteristiche della malattia e alle restrizioni che essa comporta. Ad esempio, il diabete "infanto-
giovanile", richiedendo un costante controllo del cibo ingerito e del materiale eliminato, riconduce
il paziente alle modalità di relazione con la madre tipiche della prima infanzia; oppure le cardiopatie,
per la limitazione delle attività, favoriscono la passività e l’inibizione emozionale ed intellettuale.
Per quanto riguarda l’atteggiamento dell’ambiente, e in particolar modo della famiglia, è stato
dimostrato che c’è un’intima relazione tra la modalità di reazione dei genitori e l’intensità dei
disturbi del bambino. L’attitudine emotiva del bambino è plasmata dall’atteggiamento dei genitori,
e quindi sulla loro capacità di accettare l’handicap del figlio, di dargli motivazioni sufficienti ed
adeguata e di ispirargli fiducia.
In qualsiasi malattia, sindrome o disturbo che facesse il suo esordio nelle prime fasi dello sviluppo
rientrava in rapporto ad un parametro crono- logico in un Disordine del Neurosviluppo"
Progressivamente si è venuto a definire un nuovo orientamento concettuale, in rapporto al quale la
denominazione di "Disordine del Neurosviluppo" assume un'accezione più si- stretta. Si tratta di
processi ampiamente descritti e sempre meglio approfonditi sia sul piano macroscopico che su
quello microscopico:
• sul piano macroscopico sono da anni documentate le trasformazioni che a partire
dalla formazione della placca neurale nelle prime settimane di vita intrauterina
portano alla complessa conformazione dell'encefalo, con i suoi lobi, scissure, nuclei,
fasci; una conformazione rilevabile già alla nascita;
• sul piano microscopico ed ultrastrutturale le nuove metodologie a supporto della
ricerca forniscono sempre maggiori dettagli relativi ai fenomeni di proliferazione dei
neuroblasti.
Tutti i fenomeni appena descritti sono dovuti all'azione e all'interazione di due forze incontenibili:
la forza delle spinte genetiche, inscritte nel patrimonio della specie e la forza delle spinte ambientali.
La complessità dei fenomeni che si verifica- no nel corso del neurosviluppo rende facilmente
intuibile quanto essi siano esposti all'azione interferente " da parte di una molteplicità di fattori.
Le conseguenze di queste interferenze possono concretizzarsi in due grossi raggruppamenti:
(a) alterazioni; (b) traiettorie atipiche.
(a) Nell'area delle "alterazioni" rientrano tipicamente le Malattie. La Malattia, infatti, è un qualcosa
di "patologico" ' che va ad inter- rompere un percorso "normale" ed è riconducibile a specifiche
alterazioni della trama anatomo-funzionale di base.
(b) Nell'area delle "traiettorie atipiche" rientrano, viceversa, i Disordini del neurosviluppo. Nel caso
dei Disordini del neurosviluppo, infatti, vengono a crearsi "percorsi evolutivi atipici, originali,
immaginabili come connessioni intra e interneurali "diverse" da quelle che abitualmente si
verificano in uno sviluppo tipico.
L'ultima edizione del 2013 (DSM-5), infatti, ha introdotto la meta-categoria dei Neurodevelopmental
disorders, denominazione che è stata tradotta come "Disturbi del neurosviluppo" (DNS). Tra i vari
DNS quelli maggiormente rappresentativi della metacategoria sono i seguenti:
Disturbo dello Spettro dell'Autismo (ASD: Autism Spectrum Disorder);
Disabilità Intellettiva, anche se viene espressa una preferenza per la denomina- zione di
Disturbo dello Sviluppo Intellettivo (DSI);
Disturbo del Linguaggio (DL);
Disturbo Specifico dell'Apprendimento (DSA);
Disturbo di Sviluppo della Coordinazione (DSC);
Disturbo da Deficit dell'Attenzione/Iperattività (DDAI o ADHD = Attention Deficit with
Hyperactivity Disorder).
Ciascuna Categoria riconosce quale elemento caratterizzante la presenza di sintomi clinici
"'specifici" che valgono a definirne l'autonomia nosografica e come tali vengono definiti "sintomi
nucleari".
Il riferimento ai Disordini del Neurosviluppo e lo spazio loro riservato è legato al fatto che per
definizione queste situazioni sono prese in carico da équipe specialistiche che con dedizione e
competenza si dedicano alla educazione, alla riabilitazione e alla terapia del "disturbo
caratterizzante il quadro clinico attuale".
Si "cura" 'iperattività nel DDAI,
si "cura il deficit dell'interazione e della comunicazione nell'ASD,
si "cura" la disabilità intellettiva nel DSI, si "cura "la compromissione del linguaggio nel DL
si "cura" la difficoltà di apprendimento nel DSA.
La prospettiva è quella dettata dall'assunto che il disturbo incide negativamente sull'adattamento
del soggetto al suo ambiente, per cui la strada obbligata per favorire l'adattamento e l'inclusione è
quella della "cura" del disturbo. Un aspetto che non viene adeguatamente considerato è quello
relativo al fatto che un bambino con uno dei disturbi appena citati è comunque una Persona che
deve effettuare il suo percorso di crescita psicologica come qualsiasi altro bambino. Viene quindi a
verificarsi il paradosso che il bambino è "penalizzato" in tale percorso non solo dal deficit che
appartiene al disturbo, ma anche alla scarsa considerazione delle sue esigenze come persona in
crescita. L'adattamento emozionale e sociale di una Persona Down da adulto sicuramente sarà
favorito da quanto saremo riusciti a fare per migliorare il suo sviluppo intellettivo, ma dipenderà in
maniera preponderante da quanto saremo riusciti a fare per garantire un'adeguata strutturazione
del Sé. Lo stesso discorso vale per la Persona autistica da adulto o per la Persona disfasica da adulto.
Sulla base di quanto appena accennato ne deriva che il Progetto Terapeutico Personalizzato (PTP)
da introdurre per i soggetti con un Disordine del Neurosviluppo deve tenere un occhio rivolto al
presente e un occhio rivolto al futuro.
Capitolo 13
Il bullismo
Problemi di definizione e classificazione
Il termine bullismo è riferito ad una relazione asimmetrica e oppressiva in cui c’è un persecutore e
una vittima. È un fenomeno molto diffuso, soprattutto nelle scuole, per tanto, si può adottare la
seguente definizione: “uno studente è oggetto di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato,
quando viene esposto, ripetutamente, ad azioni offensive messe in atto da uno o più compagni”. In
effetti, il bullismo può essere perpetrato da un singolo individuo, il “bullo”, oppure da un gruppo di
soggetti, “il branco”; la vittima, allo stesso modo, può essere rappresentata da un singolo studente,
oppure da un gruppo di studenti. Il bullismo può essere:
Diretto => se si manifesta con azioni offensive dirette nei confronti della vittima (che possono
essere di natura verbale, fisica o gestuale);
Indiretto => se si manifesta con azioni indirette, ovvero comportamenti tesi ad ignorare,
escludere o isolare intenzionalmente la “vittima” dal gruppo.
Aspetti epidemiologici
Prevalenza
Alcune indagini epidemiologiche effettuate in Norvegia, su un campione di popolazione delle scuole
elementari e medie, hanno messo in evidenza che circa il 15% della popolazione studiata era stata
coinvolta nel fenomeno del bullismo. Un aspetto particolarmente interessante è che il 9% della
popolazione studentesca apparteneva alla categoria delle vittime, il 7% a quella dei “Bulli” ed una
percentuale di circa il 2% apparteneva ad una categoria mista, la quale prevedeva l’assunzione
contemporanea di entrambi i ruoli. Le ricerche condotte in Italia hanno tristemente messo in
evidenza che il fenomeno del bullismo nelle nostre scuole assume stime di prevalenza superiori a
quelle degli altri paesi (42% nelle scuole elementari, 30% nelle scuole medie).
Fattori sociali
Il fatto che i mass-media, internet e la televisione abbiano posto un’attenzione crescente nei
confronti del fenomeno del bullismo, se da un lato ha ottenuto effetti positivi di sensibilizzazione
del fenomeno, dall’altro ha favorito il dilagare in rete di atti “eccessivi”: sempre più ragazzi mettono
online i video con la propria gesta da bulli (bullismo cibernetico). Questo perché alla base del
bullismo, e del bullo, c’è sempre una componente esibizionistica. Il bullo, soprattutto in età
adolescenziale, utilizza la sua aggressività per esibirsi, auto affermarsi e sfidare le regole.
Effetti a lungo termine
L'evoluzione a lungo termine è variabile. In queste situazioni, entrano in gioco una serie di fattori:
età in cui si verifica il fenomeno del bullismo;
il tipo di atto di bullismo
la durata degli atti di bullismo
il profilo emotivo di base (che ne condiziona la capacità di elaborare e metabolizzare
l’esperienza traumatica)
Fra le conseguenze a breve termine vanno segnalate le manifestazioni ansiose, con somatizzazioni
(dolori addominali, cefalee, tachicardia); condotte di evitamento, che riducono gli spazi esperienziali
del bambino; cadute del rendimento scolastico; decadimento dell’umore; alterazione del ritmo
sonno veglia (sonnolenza/insonnia) e del comportamento alimentare (inappetenza/voracità). In
alcuni casi questa sintomatologia può assumere una particolare “gravità” e configurare un vero e
proprio quadro clinico, definito con il termine di “Disturbo dell’Adattamento con Umore Depresso”.
Per quel che riguarda l'evoluzione a lungo termine, è stata descritta la comparsa a partire dall'età
adolescenziale di disturbi di personalità, disturbi dell'umore, disturbi d'ansia, disturbi del
comportamento alimentare. In situazioni meno “gravi”, sono stati comunque rilevati tratti di
personalità improntati all’insicurezza e a bassi livelli di autostima. Per quel che riguarda, infine, il
"destino" dei bulli molte ricerche hanno evidenziato la presenza, in età adulta, di problemi
psicopatologici con disturbo di personalità, condotte antisociali, disturbi repressivi, disturbo da
abuso di sostanze ecc.
Verso i 4-5 anni compare il gioco socio-drammatico, nell'ambito del quale il bambino comincia ad
interpretare delle parti o ad assumere ruoli definiti. Ne sono esempi, il giocare a "papà, mamma e
figlio", "maestra e alunni" "dottore e ammalato" guidatore e passeggeri", etc. Al di là degli aspetti
emozionali e relazionali rilevabili nell'ambito di questo tipo di giochi, essi testimoniano la raggiunta
capacità del bambino di "capire" i ruoli sociali, le regole che caratterizzano i rapporti interpersonali,
e di "pensare con la testa degli altri" Sempre in relazione alle conquiste cognitive, a partire dai 7
anni il bambino comincia ad impegnarsi in giochi che hanno regole ben precise: il calcio, i birilli ed
altri giochi simili.
Il gioco come strumento per capire dinamiche relative al mondo interno del bambino
Il significato del gioco infantile è stato sviluppato ed approfondito soprattutto da Melanie Klein che
indicò, nell'analisi del gioco, la tecnica più adatta al bambino; tecnica che permette di individuare i
disturbi affettivi anche nell'età che precede la comparsa del linguaggio verbale.
Il gioco viene in tale prospettiva considerato l'equivalente delle libere associazioni geniale al
bambino. dell'adulto, in quanto esso costituisce un mezzo di espressione fondamentale e congeniale
al bambino.
L'indagine può essere condotta o osservando il bambino che gioca liberamente con giocattoli vari
oppure fornendogli del materiale prestabilito (soprattutto utile è il "metodo dei burattini" della
Rambert, che consiste nell' invitare il soggetto a rappresentare delle scene con dei burattini).
Nel contesto diagnostico, l'osservazione delle modalità attraverso le quali il bambino si muove coi
giocattoli, l'analisi delle sequenze ludiche e dell'organizzazione del mondo rappresentativo, può
fornire indicazioni valide sull'organizzazione psichica ed in particolare su eventuali nuclei
conflittuali, sulla struttura dell'Io e sui meccanismi di difesa.
L'interpretazione è naturalmente psicodinamica, anche se la valutazione del significato del gioco
non dovrebbe mai prescindere dall'analisi del contesto relazionale in cui esso si svolge.
I particolari del gioco non vanno infatti valutati in sé stessi e secondo schemi interpretativi fissi e
costanti, eventualmente di tipo simbolico: uno stesso oggetto può infatti assumere significati
diversi, molteplici e va quindi ricondotto all'ambiente di cui fanno parte il bambino e l'esaminatore.
Un aspetto particolarmente importante è l'atteggiamento che deve assumere l'osservatore
nell'ambito dell'osservazione.
Abitualmente è prevista la partecipazione dell'esaminatore; una partecipazione in- tesa come un
atteggiamento propositivo teso ad incoraggiare l'azione e l'interazione del bambino. Nei confronti
dei bambini più "resistenti" l'esaminatore molto spesso parte da una contestualizzazione di alcuni
comportamenti spontanei del bambino, ripetendoli, ampliandoli e rilanciandoli per creare
un'esperienza di sintonizzazione, quale premessa per avviare un'azione condivisa. Si tratta tuttavia
di una partecipazione che non è mai invadente né direttiva. L'esaminatore si limita a favorire
l'attività del bambino lasciando ampio spazio alla sua libera iniziativa. Bisogna, infatti, tener
presente che quanto più l'osservazione è apparentemente libera, in un contesto relazionale
rassicurante, tanto maggiori saranno le possibilità espressive del soggetto e, quindi, gli elementi che
si riescono a cogliere. Il termine apparentemente viene sottolineato per indicare che,
nell'organizzazione dell'osservazione, nulla è lasciato al caso o all'improvvisazione. In effetti
l'operatore ha uno schema mentale ben preciso che lo guida. La stessa scelta di lasciare "libero" il
bambino di agire e di interagire risponde ad un criterio metodologico inserito in un protocollo
predefinito, in cui le variabili esterne sono controllate attraverso una sorta di standardizzazione
(spazio in cui deve svolgersi l'osservazione, materiale messo a disposizione del bambino, sequenza
delle attività che vengono proposte, etc.).