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Il neuro sviluppo può essere definito come un processo caratterizzato da profonde trasformazioni

neurobiologiche e neuro funzionali che interessano il sistema nervoso attraverso due macroaree:
l’area dei fattori genetico-biologici;
l’area dei fattori ambientali;

Capitolo 1
Le competenze adattive del nuovo nato
Aspetti generali
La neurologia neonatale si occupa dello studio dei riflessi del nuovo nato, i riflessi più rappresentativi
sono:
Riflesso di suzione => i riflessi di suzione che si verificano introducendo una tettarella nella
bocca del neonato.
Riflesso dei punti cardinali => è il riflesso che si ottiene stimolando la cute del neonato. La
risposta è rappresentata dalla rotazione del capo verso il lato stimolato.
Riflesso di fuga => è il riflesso che consiste nell’allontanamento di una parte del corpo su cui
viene applicato uno stimolo nocicettivo.
Riflesso alla luce => è il riflesso che consiste nel chiudere gli occhi alla presenza di una
stimolazione luminosa intensa.
Riflesso di Galant => il riflesso di incurvamento del tronco in seguito a stimolazioni tattili
paravertebrali.
Riflesso di Moro => il riflesso di moro si verifica in seguito ad una brusca modificazione della
posizione del capo rispetto al tronco. In una prima fase c’è un’improvvisa estensione ed
abduzione degli arti superiori; in una seconda fase si determina la flessione ed adduzione
degli arti superiori (fase di abbraccio).
Riflesso di sobbalzo => è il riflesso che si manifesta in seguito ad uno stimolo sensoriale acuto
e improvviso.
Riflesso di prensione palmare => si determina quando si stimola la superficie palmare e la
risposta è rappresentata dalla flessione delle dita sull’oggetto stimolante, con chiusura a
pugno della mano.
Riflesso della marcia automatica=> è il riflesso che si presenta quando si sostiene il neonato
in posizione eretta.
Reazione globale di raddrizzamento => la reazione globale di raddrizzamento si ottiene
verticalizzando il neonato e stimolando la superficie plantare sul piano di appoggio. Ciò
determina l’estensione progressiva degli arti inferiori, del tronco e del capo.

Le motivazioni neonatali
Il bambino sin dalla nascita è un attivo ricercatore di stimoli che utilizza per arricchire il suo bagaglio
personale. La ricerca di questi stimoli è dovuta soprattutto alla tensione che si verifica con la rottura
di un equilibrio ben preciso, tensione che il bambino percepisce e non riconosce e cerca soluzioni
che lo portano a ristabilire l’omeostati.
L’equilibrio è determinato da diversi fattori: bisogni fisiologici, bisogni conoscitivi e bisogni
sociativi.
 I bisogni fisiologici sono quei bisogni intuitivi e primordiali quali fame, sete, sonno, freddo
dolore ecc.
 I bisogni conoscitivi rappresentano la curiosità e il bisogno di conoscere qualcosa
 I bisogni sociativi rappresenta il bisogno di interagire con i suoi consimili.

Il temperamento
Il temperamento è un costrutto teorico indiscusso e rappresenta la differenza nel modo di essere,
di rispondere e di relazionarsi che si riscontrano tra neonato e neonato. Ogni bambino è diverso
dall’altro e nasce con tratti temperamentali differenti. Il termine quindi si riferisce a come il bambino
reagisce e non a cosa fa e perché lo fa.
Anche se tutti i neonati presentano queste istanze motivazionali (omeostatiche, conoscitive, sociali),
le modalità con le quali ciascun neonato realizza e manifesta i comportamenti ad esse correlate
sono diversi. Le differenze sono riconducibili al temperamento. Con il termine temperamento viene
inteso un aspetto della personalità, riferito allo stile di comportamento che un individuo ha quando
interagisce con l'ambiente. Le teorie riguardanti il temperamento, seppur diverse tra loro,
condividono alcuni aspetti comuni:
1) Ciascun individuo nasce provvisto di propri schemi caratteristici per rispondere all'ambiente
e alle altre persone.
2) Le caratteristiche del temperamento persistono dall'infanzia fino all'età adulta.
3) Le caratteristiche temperamentali influenzano il tipo di risposte che un individuo dà alle
persone e alle cose e nello stesso tempo influenzano le risposte degli altri verso di lui. (es:
un bambino socievole, cercherà di stabilire dei contatti con le altre persone, sorride di più di
quanto non farebbe un bambino introverso e suscita negli alti risposte positive: i genitori gli
sorridono, lo prendono in braccio ecc.

Il modello transazionale
Secondo un approccio biologico, le forze che spingono e sottendono il processo di sviluppo sono di
due tipi: fattori biologici e fattori ambientali.

Fattori biologici
I fattori biologici sono costituiti dall'insieme di strutture anatomiche definite dal patrimonio
genetico dell’individuo che realizzano una serie di funzioni adattive, quali il movimento, il linguaggio,
la vita di relazione. All'insieme di queste informazioni che dirigono lo sviluppo può essere dato il
termine di "genotipo".

Fattori ambientali
I fattori ambientali sono costituiti dall'insieme di esperienze che derivano dai rapporti che l'individuo
va a stabilire nell'ambiente in cui vive: rapporti con la madre, con il padre, con la famiglia. Sono
quindi le influenze esterne all’individuo e possono essere definite con il termine generico di
"ecotipo". L'ecotipo (influenze esterne di natura ambientale) e il genotipo (influenze interne di
natura genetica) interagiscono costantemente: il prodotto di tale interazione può essere indicato
con il termine di Fenotipo.

Le interazioni reciproche Genotipo, Fenotipo, Ecotipo


I fattori biologici e relazionali interagiscono nel corso di tutto lo sviluppo, anche se la loro
interazione varia nel tempo in una relazione inversamente proporzionale: mentre nelle prime fasi
dello sviluppo il peso dei fattori biologici (genotipo) è massimo, mentre è relativamente modesto
quello dei fattori ambientali (ecotipo), progressivamente i fattori ambientali cominciano ad
assumere un ruolo preponderante. Si tratta di una visione dello sviluppo in rapporto alla quale il
bambino agisce sull'ambiente, il quale a sua volta agisce sul bambino modificandolo. Come effetto
di questa interazione il bambino, modificato, agisce sull'ambiente modificato influenzandolo
nuovamente, e viene a sua volta da esso influenzato, e così via nel corso di tutta l'età evolutiva.
L’importanza di queste interazioni individuo-ambiente è evidente fin dalle primissime fasi dello
sviluppo: il neonato “modifica” la madre e l’aiuta a realizzare adeguati atteggiamenti di
accadimento. Dal canto suo, questa madre riesce a rispondere in maniere sempre più sicura alle
richieste del lattante, influenzandolo e modificandolo. Nelle fasi successive dello sviluppo le
influenze reciproche dell’individuo sull’ambiente e dell’ambiente sull’individuo sono ancora più
evidenti. Basti considerare l’ingresso in un fanciullo nel suo gruppo classe: il suo modo d’essere
influenza l’ambiente, le risposte dell’ambiente, a sua volta, influenzano e modificano il fanciullo.

Le competenze emergenti
Le competenze emergenti osservate nel corso dello sviluppo sono le seguenti:
Area delle competenze motorie
Area delle competenze linguistiche
Area delle competenze cognitive

Capitolo 2
Lo sviluppo delle competenze motorie
Lo sviluppo motorio rappresenta un processo grazie al quale il bambino acquisisce determinate
competenze motorie come il muoversi, mantenere una postura stabile e coordinare in maniera
armonica i movimenti.
 La postura deve essere stabile ed equilibrata ed il baricentro deve cadere sempre nella base
di appoggio.
 Il movimento è lo spostamento di un segmento corporeo nello spazio.
 La coordinazione è legata al movimento es. eseguire un’azione come scrivere.
L’atto motorio segue un’organizzazione specifica: si parte dal cervello, gli impulsi dati da
quest’ultimo arrivano fino al midollo per poi passare al nervo e successivamente al muscolo che
compie l’azione motoria.

Lo sviluppo motorio piò essere raggruppato in due diverse aree:


 Sviluppo delle competenze posturali e locomotorie
 Sviluppo delle competenze fini motorie e prassiche
Lo sviluppo delle competenze posturali locomotorie è diviso in competenze statico-posturali
relative alla postura e dinamico-locomotorie relative al movimento.
Es. alla nascita il bambino non riesce a controllare il capo, raddrizzare il tronco né tanto meno se
messo in posizione eretta riesce a sostenersi in piedi. Nel corso dei primi 18 mesi di vita si hanno dei
cambiamenti notevoli, sviluppa quindi inizialmente le sue competenze statico-posturali.
Nel corso dei primi 2-3 mesi di vita acquisisce la capacità di controllare il capo;
Dai 6-7 mesi di vita sviluppa la capacità di controllare il tronco e quindi riesce a mantenere una
posizione seduta;
Dai 10-12 mesi di vita il bambino matura una reazione di equilibrio a livello della muscolatura,
dunque, riesce a mantenere una posizione eretta anche se comunque ha bisogno di un appoggio.

Nelle competenze dinamico-locomotorie il bambino riesce ad acquisire capacità che gli permettono
di spostarsi nello spazio in cui è collocato.
Le prime due tappe fondamentali sono rappresentate da due acquisizioni: la partecipazione attiva
alla modifica della postura (es. il bambino presenta una partecipazione attiva quando l’adulto sta
per prenderlo in braccio oppure lo solleva per le mani) e i passaggi posturali (il bambino una volta
acquisito la capacità di stare seduto da solo riesce a passare spontaneamente a quella posizione,
stessa cosa vale per la posizione eretta).
Per realizzare i suoi bisogni sociali e conoscitivi il bambino ha bisogno di spostarsi vale a dire
muoversi nello spazio.
Le forme principali che il bambino usa per spostarsi sono le seguenti:
 Strisciamento/rotolamento rappresenta una delle prime forme di locomozione utilizzata
inizialmente come esercizio motorio e solo dopo finalizzata con uno scopo.
 Andatura quadrupedica forma di locomozione molto tipica che si verifica dai 9 mesi in poi.
Viene chiamata comunemente anche andatura a gattoni, andatura a quattro zampe e non è
una forma obbligatoria nel senso che il bambino non sempre la utilizza quindi rifiuta questa
posizione.
 Deambulazione autonoma forma di locomozione che avviene tra i 14-15 mesi quando il
bambino “si lascia a camminare”. All’inizio questa forma è molto incerta, infatti, il bambino
tende a camminare con braccia alzate e aperte quasi a tenersi pronto per eventuali cadute.
L’ordine con cui compaiono le diverse tappe evolutive è sempre sequenziale e questo permette di
definire due leggi evolutive:
 Progressione cefalo-caudale le competenze emergenti seguono una progressione che va
dall’alto verso il basso (controllo del capo-tronco-bacino).
 Progressione prossimo-distale controllo dall’alto verso il basso per gli arti superiori prima la
spalla poi il gomito ed infine il polso, stessa cosa per gli arti inferiori coscia ginocchio e piede.

Lo sviluppo delle competenze fini motorie e prassiche


Nel tempo riusciamo a conferire alle mani un’abilità tale da poter compiere determinati movimenti
di alta precisione attraverso varie.

Lo sviluppo della prensione


Le mani in epoca neonatale sono coinvolte in un automatismo primario chiamato riflesso di
prensione palmare es. ponendo un dito o un oggetto al neonato questo automaticamente tende ad
afferrarlo e stringerlo con la mano.
Successivamente il neonato tende a presentare una prensione più intensionale cioè la prensione a
contatto es. quando si sfiora un qualsiasi punto della mano il neonato la muove per disporla ad
afferrare l’oggetto.
In una situazione-stimolo di un bambino con un oggetto davanti, in questo caso prenderemo come
esempio un cubo, possiamo osservare una successione di tappe.
La prima viene chiamata prensione a rastrello nel senso che il bambino poggia la mano sull’oggetto
e lo attira a sé con un movimento a rastrello. Subito dopo il bambino utilizza la prensione di tipo
digito-palmare dove l’oggetto viene tenuto con le 4 dita sul palmo della mano (pollice escluso).
L’evoluzione della prensione prevede un uso più frequente del pollice prima con la pinza inferiore
dove il pollice viene opposto alla parte prossimale del dito indice. Successivamente si ha la pinza
superiore caratterizzata dall’opposizione distale del pollice con l’indice.

Le abilità grafo-motorie
Il disegno rappresenta un’attività gradita dal bambino sia per quel che riguarda gli aspetti forma che
per i contenuti.
La prima attività grafica è rappresentata da tracciati e segni disordinati, sono il prodotto di segni
energetici ottenuti senza il controllo degli occhi sul movimento delle mani.
18-20 mesi il bambino comincia a variare volontariamente i movimenti per ottenere tracce diverse
perché capisce che c’è un rapporto di causa-effetto tra i propri gesti e i segni ottenuti.
2-3 anni il bambino comincia ad attribuire dei significati ai segni prodotti e lo scarabocchio stesso
può rappresentare un oggetto diversi.
3-4 anni ha inizio la fase figurativa dove i disegni strutturati rappresentano oggetti corrispondenti a
specifiche e immagini mentali già elaborate.
5-6 anni il bambino riesce ad apprendere la scrittura grazie alla capacità di padroneggiare lo spazio
grafico.
6-7 anni il bambino ha il desiderio di raccontare e comunicare le esperienze vissute, questo desiderio
lo spinge a disegnare dunque l’attività grafica assume un’esplicita finalità narrativa.
Il contenuto riveste un ruolo importante sia nei disegni a tema libero che nei disegni a tema indicato.
Tra quest’ultimi c’è spesso il disegno della figura umana e il disegno della famiglia.

Le funzioni mentali del movimento


Il sistema nervoso centrale rappresenta la sede naturale di una serie di meccanismi di controllo che
regolano postura e movimento.
Due processi interconnessi, per avere una postura stabile devo fare degli aggiustamenti (movimenti)
con il corpo.
La postura rappresenta la capacità di riuscire a mantenere il corpo in equilibrio.
Il movimento è lo spostamento di un segmento corporeo o dell’intero corpo nello spazio.
Gli apprendimenti si realizzano, come anticipato, grazie allo sviluppo dal Sistema nervoso centrale,
e partono tutti dal cervello (encefalo), infatti ogni movimento viene deciso da quest’ultimo.
L’atto motorio viene così organizzato: gli impulsi che partono dal cervello vanno verso il midollo si
buttano nel nervo e arrivano al muscolo esecutore dell’azione.

Attività motorie coordinate (le prassie)


Le prassie sono l’insieme di un’automatizzazione e di precisione di un determinato movimento.
Dunque, rappresentano gesti coordinati e finalizzati diretti ad uno scopo, intenzionali ma effettuati
in modo automatico senza controllo cognitivo e cosciente. La costruzione delle prassie è data da tre
componenti principali:
 La componente senso-percettiva che include tutti i processi che portano all’acquisizione dei
dati necessari ad analizzare le circostanze interne ed esterne all’individuo per realizzare il
compito.
 La componente elaborativa che si riferisce ai processi encefalici preposti a pensare l’azione
elaborarla mentalmente e conservarla.
 La componente esecutiva che si occupa della realizzazione del movimento contando su
strutture base che traducono il movimento da pensato a realizzato.
Le prassie si realizzano (costruiscono) progressivamente nel tempo in rapporto agli scambi con
l’ambiente, sollecitati dalla voglia di agire, interagire e conoscere.
Una prassia per essere funzionale deve essere sottoposta a dovuti aggiustamenti prima di essere
mandata in esecuzione.

La laterizzazione
La laterizzazione rappresenta il processo in base al quale, nei compiti di maggior precisione ed
abilità, una delle due mani prevale e diventa maggiormente competente rispetto all’altre. Le mani
pur essendo uguali e simmetriche sono funzionalmente asimmetriche; quindi, tendiamo ad avere
una preferenza nell’usare la mano destra o viceversa per compiere un’azione ben precisa. Alcuni
compiti meno impegnativi richiedono l’uso di una mano che potrebbe essere la destra o la sinistra
a prescindere dell’uso predominante es. aprire un ombrello; altri compiti come lo scrivere implicano
necessariamente l’uso della mano esperta.
Tramite alcuni studi si è dedotto che nei destri mani il centro di controllo è situato nell’emisfero sx
e viceversa.
Nei primi 5-6 mesi il bambino ha già una preferenza di lato, a 12 mesi ha una preferenza di mano
ma a 3-4 anni la preferenza è ancora del tutto incerta (50% dx – 20% sx- 30% indefinita).
Gli incidenti di percorso
Durante l’acquisizione delle varie competenze motorie possono verificarci alcuni incidenti di
percorso, intesi come irregolarità nella normale emergenza di una o più abilità. I disturbi del
movimento primari non riconducibili a quadi patologici definiti sono:
 Ritardo motorio semplice;
 Disprassie evolutive;
 Tic;

Ritardo motorio semplice


Con ritardo motorio si indica una situazione in cui il bambino non presenta le acquisizioni posturo-
cinetiche previste dall’età. In pratica l’allarme dei genitori scatta quando il bambino ai 18 mesi non
si lascia a camminare.
L’aggettivo semplice va ad indicare l’assenza di segni di natura lesionale, lascia prevedere
un’evoluzione benigna. Vi è la presenza di atteggiamenti posturali come sitting in air e shuffling,
posture che si presentano prima di alzarsi e camminare e che non prevedono subito dopo l’andatura
a carponi e la pecorella.

Le disprassie evolutive
Le disprassie rappresentano disturbi del movimento riconducibili ad un deficit dello sviluppo e
dell’organizzazione delle prassie.
La natura delle disprassie evolutive risiede in una difficoltà nella maturazione e nello sviluppo dei
sistemi che risiedono nell’encefalo preposti al controllo, all’automatizzazione e all’armonizzazione
dei movimenti che costituiscono l’azione motoria. Possiamo avere diversi tipi di disprassie come la
disprassia verbale e disprassia della scrittura.
La disprassia verbale rappresenta l’incapacità da parte del bambino di padroneggiare la motricità
oro-bucco-faringea.
Esempio di disprassia della scrittura sono la disgrafia e la disortografia. La disgrafia va a verificarsi
quando il bambino ha una velocità eccessiva o al contrario scarsa nello scrivere, illeggibilità,
impugnatura sbagliata ecc. mentre la disortografia va a manifestarsi con errori ortografici come
l’invertire il termine delle parole, omissioni e sostituzioni.

Disturbo da Tic
Il quadro clinico del disturbo da tic è rappresentato dalla presenza di Tic ossia dei movimenti
improvvisi rapidi e stereotipati che si attivano nei momenti di forte stress e si placano durante il
sonno.

Capitolo 3
Lo sviluppo del linguaggio
Il linguaggio è un sistema arbitrario di segni e simboli utilizzati per comunicare. Il linguaggio è quella
competenza che ci permette di interagire ed accedere con gli altri. Rappresenta, inoltre, la modalità
privilegiata per emettere e ricevere messaggi. I messaggi possono avere varie nature come:
esternare un’emozione per rendere partecipe l’altro (COMUNICAZIONE SOCIALE)
ottenere qualcosa partendo dai bisogni contingenti (COMUNICAZIONE RICHIESTIVA)
rispondere ad una domanda diretta che ci viene posta dall’altro riguardante un’informazione

Le basi anatomo-funzionali del linguaggio verbale


Il linguaggio verbale necessita di:
1. Integrità di un apparato senso-percettivo (orecchio e vie uditive)
2. La formazione di strutture encefaliche (centri di linguaggio)
3. Encefalo nella sua totalità
4. L’organizzazione dell’apparato fono articolatorio (bocca laringe diaframma ecc.)
5. Padronanza delle strutture linguistiche
Tali strutture neuro -anatomiche e funzionali rappresentano la base sulla quale si organizza la
funzione linguistica.
1. Per poter organizzare il linguaggio si parte dal sistema di ricezione degli stimoli ossia
l’orecchio e le vie uditive. Gli stimoli arrivano al cervello codificano questi suoni per poi
decodificarli.
2. L’encefalo esegue queste funzioni attraverso dei centri di linguaggio specifici come il
centro di Wernicke (verbo acustico) e il centro di Broca (verbo motore).
3. L’encefalo partecipa all’organizzazione del linguaggio nella sua globalità. Per riconoscere
il significato di una frase non è sufficiente decifrare il messaggio udito ma bisogna anche
accedere al proprio patrimonio delle conoscenze.
4. Tutto ciò che viene “pensato”, “pianificato” ed “organizzato” dall’encefalo viene poi
mandato in esecuzione agli organi oro-bucco-fonatori attraverso le vie motorie. Una
volta sviluppato questo processo sviluppiamo delle prassie (atti motori coordinati
appresi con l’esperienza e memorizzati nell’encefalo) in modo tale che il messaggio trova
pronto degli engrammi motori che sviluppano il pensiero in frasi e parole.
5. I punti 1-2-3 e 4 si pongono alla base per la realizzazione del linguaggio verbale che si
organizza poi seguendo una serie di regole che il soggetto deve acquisire. Tali regole sono
la competenza fonologica, la competenza morfologica, la competenza semantica e la
competenza pragmatica.

FONOLOGIA: rappresenta la capacità di riconoscere e gestire i suoni del linguaggio.


MORFOLOGIA E SINTASSI: rappresenta capacità di riconoscere e gestire i morfemi e le regole che
legano le parole nella frase.
SEMANTICA: rappresenta capacità di gestire il significato di parole e frasi.
PRAGMATICA: capacità di utilizzare informazioni extra-verbali e contestuali al di là del significato
letterale della frase.

Le tappe dello sviluppo del linguaggio verbale


Lo sviluppo del linguaggio verbale inizia con la comparsa delle prime parole, il che avviene intorno
ai 12 mesi. Con il riferimento a tale parametro possiamo distinguere 2 fasi la fase pre-verbale e la
fase verbale.

La fase pre-verbale
La fase pre-verbale caratterizza tutto il primo anno di vita durante il quale il lattante non è ancora
capace di utilizzare le parole per comunicare. A partire da 6 settimane il bambino inizia ad emettere
dei vocalizzi, esclusivamente vocali come “a” e “e” che progressivamente assumono variazioni di
tono. Dai 3-4 mesi in poi il bambino inizia a produrre suoni consonantici. A 6 mesi il bambino inizia
ad utilizzare suoni vocali e consonantici tanto da formare una sillaba, è la fase del balbettio (ma –
pa). Ta gli 8-10 mesi il bambino comincia volontariamente a ripetere suoni e a modulare
l’espressione sonora, utilizza dunque una sorta di pseudo-linguaggio chiamato lallazione.
Le prime parole nascono dalla segmentazione di fonemi bisillabici all’interno della lallazione, il
bambino mentre si allena alla lallazione stacca il suono (es ma-ma-ma-ma diventa ma-ma).
L’importanza del suono è la sua referenzialità ossia il bambino si riferisce ad una persona ben
definita in questo caso ma-ma viene riferito alla mamma. Contemporaneamente il bambino inizia
ad associare altri suoni a specifici oggetti (brum brum macchina).

La fase verbale
Con l’emissione della prima parola inizia la fase verbale, nella seguente tabella vengono riportate le
prime tappe fondamentali della fase verbale:
12 mesi il bambino comincia ad emettere fonemi bisillabici (pa-pa, ma-ma) con refente
15 mesi il suo vocabolario è costituito da circa 5 parole
14 e i 20 mesi riesce ad indicare su richiesta fino a 5 immagini, che gli vengono mostrate giornale o
su un libro, e ne nomina 2-3
18 mesi Entra nella fase della parola-frase: usa, cioè, una singola parola per esprime una frase
("brum-brum" (-automobile) per "voglio l'automobile" O "si è rotta l'automobile”
voglio uscire con l'automobile")
16-20 mesi presenta spesso ecolalia: ripete, cioè, le parole udite
24 mesi presenta un vocabolario costituito da circa 150 parole, che adesso riesce a mettere
insieme per formare frasi semplici
3 anni riesce a strutturare una frase completa

Partendo dalle prime parole il bambino progressivamente acquisisce un linguaggio verbale sempre
più evoluto passando attraverso una serie di tappe. C’è ovviamente da fare una distinzione tra la
capacità del bambino di emettere parole e frasi e la capacità di comprendere parole e frasi
pronunciate dall’altro. La capacità di comprendere le parole e le frasi è sempre più avanzata rispetto
a quella di tradurre il pensiero in parole e frasi.

Il linguaggio della parola-frase (olofrastico)


La prima tappa del linguaggio verbale si riferisce all’uso di parole singole per esprimere una richiesta
o dichiarare un pensiero. Il bambino, ad esempio, può utilizzare la parola “Mamma” per esprimere
diversi bisogni. Ciò che aiuta l’interlocutore a decodificare il messaggio e a capire cosa vuol dire il
bambino è rappresentato da diversi fattori come il contesto, lo stato emotivo e la presenza di un
altro codice comunicativo.

Il linguaggio telegrafico
A partire dai 24 mesi il bambino comincia a mettere insieme 2 o più parole per formare delle frasi.
Queste prime frasi rappresentano delle versioni abbreviate e assomigliano molto ai telegrammi
utilizzati in passato (es. “Tira palla”, “Voglio gelato”). C’è una presenza dominante di verbi, sostantivi
e aggettivi mentre mancano del tutto i funtori ossia preposizioni, articoli verbi, ausiliari ecc.
Inizialmente si pensava che le omissioni operate dal bambino fossero segno di un deficit di memoria;
tuttavia, questa ipotesi è risultata successivamente inadeguata in quanto il bambino a quell’età ha
una fisiologica immaturità della produzione verbale per cui utilizza solo poche parole.
In questa prima fase si verificano spesso degli errori da parte del bambino:
 L’iperestensione: un frequente errore in cui il bambino collega ad una parola una varietà di
oggetti che l’adulto invece distingue (es. utilizza il termine “cane” per indicare tutti gli animali
a 4 zampe).
 L’iperestensione: il bambino collega una parola ad un significato specifico senza estenderla
all’intera classe di riferimento (es. cagnolino è il mio cagnolino e non quello del vicino).

La fase grammaticale
La fase grammaticale segna l’accesso a un vero e proprio linguaggio.
A partire dai 24-36 mesi con l’ingresso nella seconda infanzia fanno la loro comparsa i funtori
grammaticali: il bambino inizia ad utilizzare i plurali, gli ausiliari, le proposizioni e il tempo passato.
Un aspetto di questo periodo è rappresentato dall’iper-grammatismo o iper-regolarizzazione. Il
bambino una volta appresa la regola relativa al morfema tende a generalizzarla (es. applicano il
morfema -ato al verbo chiudere “ho chiudato la porta”).
A partire dai 6 anni, con l’inizio della fanciullezza, si verificano progressi nello sviluppo di forme
grammaticali sempre più complesse legate alla padronanza delle regole trasformazionali.

Le teorie sullo sviluppo del linguaggio


Le teorie sullo sviluppo del linguaggio sono riconducibili a 3 approcci fondamentali: l'approccio
ambientalista, l'approccio innatista, l'approccio interazionista.

L’approccio ambientalista: appartenenti all’approccio ambientalista sono:


 La teoria dell'apprendimento S timolo-Risposta di Skinner: Skinner sosteneva che il
linguaggio, così come il comportamento, veniva appreso mediante condizionamento
operante. Secondo il suo punto di vista, infatti, il meccanismo primario in base al quale il
bambino acquisisce la sintassi è il rinforzo selettivo da parte dei genitori. In altri termini,
secondo questa visione, i genitori modellano il linguaggio del bambino rinforzando
selettivamente quegli aspetti della lallazione che somigliano maggiormente al discorso
dell’adulto, aumentando così la probabilità che questi suoni vengano ripetuti. Gli adulti
continuerebbero quest’azione fino a che il bambino non inizia a combinare le parole e ad
utilizzare correttamente la grammatica.
 L'apprendimento sociale: Una concezione di apprendimento meno tradizionale è quella di
Bandura e altri seguaci, i quali sostenevano che ciò che il bambino apprende è frutto
dell'osservazione e dell'imitazione del comportamento di un modello, in molti casi senza
rinforzo. L’importanza dell’imitazione emerge da una serie di evidenze rappresentate, ad
esempio, dal fatto che i bambini utilizzano lo stesso modo di parlare dei genitori o comunque
del contesto di appartenenza.
 Gli orientamenti che enfatizzano l’importanza dell’ambiente (del contesto). Questi
orientamenti partono da alcuni rilievi empirici. Un esempio è costituito dallo stile espressivo
particolare con cui le madri si relazionano ai figli (costituito da un tono alto, ritmo lento, frasi
corte e grammaticalmente corrette, ridondante, concreto), che è stato definito madrese. In
relazione ai modi di espressione usati in famiglia, i bambini sviluppano modalità e capacità
diverse di linguaggio. Quelli di classe sociale media dispongono abitualmente di un
vocabolario più ampio, chiamato da Bernstein "linguaggio formale"; le classi sociali
svantaggiate utilizzano invece un linguaggio più concreto e limitato, definito da Bernstein
“pubblico”.

L'approccio innatista: Secondo l’approccio innatista, indipendentemente dall'ambiente, il linguaggio


si sviluppa in rapporto alla maturazione di meccanismi geneticamente programmati. Appartenenti
all’approccio innatista sono le posizioni di Chomsky e Slobin.
 L'apparato per l'acquisizione del linguaggio secondo Noam Chomsky: Secondo Chomsky, il
linguaggio non si impara, ma si manifesta o emerge come parte del processo di maturazione.
Il meccanismo innato di cui l'individuo dispone è il Language Acquisition Device (LAD) o
apparato per l’acquisizione del linguaggio. Si tratta di una struttura predisposta in modo tale
da consentire al bambino di elaborare il linguaggio, di costruire regole e di comprendere e
produrre un opportuno linguaggio aderente alla grammatica. Questo modello innato ci
sarebbe indipendentemente dalla specificità della lingua di appartenenza.
 La capacità di costruire il linguaggio secondo Dan Slobin: Dan Slobin ha un approccio meno
forte. Secondo il suo punto di vista i bambini non hanno una conoscenza innata del
linguaggio, ma semplicemente una innata capacità di costruire il linguaggio.

L'approccio interazionista: I sostenitori dell'approccio interazionista riconoscono che i bambini sono


"biologicamente preparati" ad acquisire il linguaggio. Tuttavia, essi affermano che ciò che è innato
non è un sistema specifico per un’elaborazione linguistica specializzata, ma piuttosto un
"preadattamento" ad interagire con l'ambiente. Questo preadattamento si realizza attraverso la
maturazione biologica che influisce sullo sviluppo cognitivo e che a sua volta influisce sullo sviluppo
del linguaggio.

Il linguaggio scritto: la lettura e la scrittura


Il linguaggio scritto è un codice comunicativo che utilizza simboli grafici ossi lettere, parole, frasi e
punteggiatura. Attraverso tali simboli l’emittente, colui che scrive, emette un messaggio; dal canto
suo il ricevente, colui che legge il messaggio, decodifica i simboli e facendo ciò comprende il
messaggio. Si riproduce il sistema emittente/ricevente.

La lettura
In fase di lettura il ricevente è chiamato a interpretare un messaggio formulato in forma scritta. La
parola scritta sul foglio accede all’encefalo e viene depositata in uno spazio chiamato analisi visiva.
Da qui la parola può seguire due destini: la via lessicale diretta e la via non lessicale o fonologica.
Nel lettore competente, la parola accede direttamente al deposito delle parole e viene riconosciuta.
Dopo tale riconoscimento della parola viene individuato il significato e si passa quindi alla sua
pronuncia.

La via fonologica
Il lettore competente, nonostante ciò, può imbattersi in una parola sconosciuta che non appartiene
al suo bagaglio lessicale. Nell'apprendimento della lettura si succederebbero quattro fasi teorizzate
da Firth nel modo seguente: lo stadio logografico lo stadio alfabetico lo stadio ortografico e lo
stadio lessicale.
 Lo stadio logografico rappresenta il periodo prescolare. Il bambino al di sotto dei 5 anni
riesce a memorizzare alcune immagini scritte associandole ad esperienze piacevoli e
spiacevoli. Una volta avvenuta tale associazione, quando il bambino si imbatte nello stesso
logo i si attiva uno stato emotivo che si traduce in comportamenti congruenti con tale stato.
In qualche modo il bambino legge il logo.
 lo stadio alfabetico rappresenta la fase successiva, durante la quale il bambino comincia a
rendersi conto che ci sono elementi costitutivi. Il primo elemento è rappresentato dalle
lettere dell'alfabeto, la lettera a e il grafema, la quale ha un certo suono fonema.
 Lo stadio ortografico è e lo stadio ancora successivo in cui il bambino prende maggior
padronanza delle corrispondenze tra il grafema e fonema estendendolo dalla singola lettera
a un gruppo di lettere le sillabe, cogliendo anche una serie di regole ortografiche.
 lo stadio lessicale è caratterizzato da un'espansione del deposito mentale di parole, per cui
quelle ad alta frequenza d'uso come casa palla dado vengono riconosciute vedendo le senza
dover fare la conversione grafema-fonema.
La scrittura
Con la scrittura un'emittente si prefigge di inviare un messaggio a uno più riceventi. Anche per
questo nuovo codice risulta utile ricorrere al modello del doppio accesso lessicale proposto per la
lettura ad alta voce. Così come nella è importante la trasformazione grafema-fonema, nella scrittura
è importante la trasformazione fonema-grafema.
 Nello stadio logografico il bambino tende a riprodurre graficamente qualcosa che assomigli
a una lettera o ad una parola, o almeno tende a riprodurre qualcosa che lui ritiene assomigli
ad una lettera ad una parola. Viene a configurarsi uno scarabocchio rappresentativo in cui il
bambino riproduce sul foglio dei segni e dice che sta scrivendo.
 Nello stadio alfabetico, unito alla comprensione delle lettere dell'alfabeto e al fatto che
ciascuna lettera a uno specifico suono(fonema) il bambino si impadronisce dell'aspetto
grafico della lettera (grafema) È la fase in cui il bambino scopre dei tratti distintivi della
lettera e si esercita a riprodurli.
 Nello stadio ortografico il bambino apprende una serie di regole grammaticali che gli
permettono di evitare gli errori ortografici legati in particolare all'uso delle doppie e gruppi
consonantici.
 Nello stadio lessicale, il bambino arricchisce il suo lessico, si impadronisce della
punteggiatura per riprodurre in forma grafica alle pause, alla fine del periodo e così via.

Il ritardo del linguaggio


Con ritardo del linguaggio viene indicata una situazione in cui c'è la mancata emergenza delle prime
produzioni verbali. Il bambino dovrebbe cominciare a produrre le prime parole intorno ai 18 mesi e
dovrebbe utilizzarle in maniera funzionale intorno ai 24 mesi. Si tratta comunque di tempi biologici
che presentano variazioni tra bambino e bambino ma che non dovrebbero sforare l'età dei 36 mesi.
Dopo tale epoca viene a considerarsi un ritardo.
Per un bambino nella fascia di età compresa tra i due e i quattro anni che non parla, che non abbia
problemi di udito, che non abbia impedimenti strumentali nella meccanica fono articolatoria, ma
che allo stesso tempo abbia una buona intenzionalità comunicativa si può porre la diagnosi di
disturbo del linguaggio; Ossia una condizione in cui le strutture mentali del linguaggio stentano a
maturare e organizzarsi.
nel caso specifico del linguaggio si vengono a creare diverse evenienze che si differenziano in
rapporto alla risposta E quindi alla prognosi.
1. Prima evenienza: nella maggior parte dei casi con opportune stimolazioni ambientali la
situazione si risolve completamente, nel senso che il bambino inizia a parlare e poi è tutto
un fluire del linguaggio come un fiume in piena. Si tratta di ritardo semplice del linguaggio.
2. Seconda evenienza: il linguaggio è sempre un po' stentato e poco fluente. I miglioramenti
proseguono nel tempo e in età scolare il soggetto riesce ad accedere ad un linguaggio
formalmente normale, anche se alcune componenti del linguaggio risultano poco efficienti
ed efficaci. in questo caso il ritardo del linguaggio rappresenta la modalità di esordio di un
disturbo del linguaggio sotteso da una difficoltà di organizzazione di specifiche funzionali
mentali.
3. Terza evenienza: nonostante le misure educative e abilitative messe in atto il linguaggio
stenta a venire fuori. In tali casi il ritardo del linguaggio è solo un sintomo di un quadro clinico
più complesso. La terza evenienza è sicuramente quella più severa, siccome le inadeguate
competenze verbali del soggetto lo accompagneranno per tutto il ciclo della sua vita.

Le balbuzie
La balbuzie è un disturbo dell'articolazione della parola dovuto ad uno spasmo emittente
dell'apparato fonatorio, per cui la conversazione si presenta esitante, tronca o con ripetizioni.
La balbuzie viene abitualmente suddivisa in:
 Balbuzie tonica, quando uno spasmo ostacola l'avvio del suono ho il passaggio da un suono
a quello successivo.
 Balbuzie clonica, quando il inceppo della conversazione è dovuto alla ripetizione di un suono
che in genere è la prima sillaba o la prima parola della frase.
La balbuzie presenta diversi gradi di intensità e subisce nello stesso individuo variazioni molto
evidenti: si accentua in particolari situazioni di impegno emotivo (presenza di persone importanti
per il soggetto), mentre si attenua in circostanze nelle quali linguaggio è automatizzato (canto,
gioco, ripetizioni di brani a memoria).
in alcuni casi si hanno periodi anche di mesi di remissione della sintomatologia, che fanno pensare
alla guarigione della malattia, alternati a fasi di accentuazione.

Il disturbo semantico-pragmatico
Gli incidenti che possono interferire sulle capacità di usare il linguaggio possono essere 3:
1. Disordine del pensiero, il soggetto non ha le idee chiare in testa per cui quel che dice caotico,
incoerente, incomprensibile in termini logici; Le situazioni che rientrano in questo tipo di
disturbo riguardano i disturbi del pensiero e quindi non rientrano nei possibili disturbi del
linguaggio.
2. Disordine specifico del linguaggio, legato ad un malfunzionamento di quelle aree del
linguaggio che riguardano la morfosintassi e la semantica; Le situazioni che riguardano
questo disturbo del linguaggio rappresentano la naturale evoluzione di un ritardo del
linguaggio che si è realizzato in epoca precoce. Il soggetto non riesce a comprendere i deficit
che attengono la componente morfosintattica e semantica, con conseguenti limitazioni delle
abilità conversazionali e narrative.
3. Disordine della comunicazione sociale (pragmatica), poiché quando ci si rivolge a una
persona la comunicazione diventa una comunicazione sociale. Ciò comporta da parte
dell'emittente l'esigenza di assumere la prospettiva dell'altro, l'attenzione nel valutare le
circostanze in cui si realizza uno scambio comunicativo, la capacità di capire le competenze
del ricevente. Le situazioni che riguardano questo disturbo della pragmatica vengono anche
chiamate disturbo della comunicazione sociale.

I disturbi specifici dell'apprendimento


Nel 1890 ci fu la prima descrizione di una cecità congenita alle parole, riferita ai soggetti che in
assenza di altri disturbi non riuscivano a leggere un testo scritto. Veniva ad aprirsi la strada che
conduceva all' individua azione di Un'entità clinica autonoma in cui soggetti, avevano difficoltà a
leggere (dislessia). Successivamente il capitolo dei disturbi specifici dell'apprendimento si è
arricchito con altre forme di incapacità che investivano la scrittura (disortografia) e il calcolo
(discalculia).

Capitolo 4
Lo sviluppo delle strategie di risoluzione dei problemi
Aspetti generali
Il cervello umano e la struttura centrale di un sistema preposto a risolvere i problemi. i problemi che
possono presentarsi ad una persona possono essere di svariata natura, problemi di ordine pratico,
di ordine concettuale e di ordine sociale.
 nell'ambito dei problemi di ordine pratico possiamo prendere come esempio l'aver esaurito
la benzina mentre di notte si è su una strada solitaria di campagna.
 nell'ambito dei problemi di ordine concettuale possiamo prendere come esempio il dover
elaborare un documento scritto, prepararsi per superare un esame oppure rispondere a
domande di cultura generale.
 nell'ambito, invece, dei problemi di ordine sociale possiamo prendere per esempio: Mio
capo vuole che al lavoro indossi una cravatta, una cosa che io non tollero proprio. Che fare?

Dalla capacità del soggetto di trovare strategie sul live a tali problemi dipende la sua possibilità di
adattarsi all'ambiente in cui vive, la capacità del soggetto di trovare soluzioni alle sfide dell'ambiente
fornisce una misura della sua intelligenza. L'intelligenza e quindi la funzione che permette alla
persona di adattarsi l'ambiente in cui vive. La persona sviluppa progressivamente le strategie utili a
risolvere le richieste ambientali e da questa risoluzione deriva l'adattamento del soggetto
nell'ambiente in cui vive.
L’intelligenza è chiamata a risolvere tre principali ambiti: concettuale, sociale e pratico.
 L'ambito concettuale si riferisce ai problemi che richiedono il ragionamento, memoria di
lavoro e la flessibilità degli schemi di pensiero.
 l'ambito sociale include i problemi quotidiani delle relazioni interpersonali come, ad
esempio, i rapporti con i familiari, come gli amici o con tutte le persone con cui
inevitabilmente ci imbattiamo nella nostra giornata.
 L'ambito pratico invece fa riferimento a problemi di natura accidentale che riguardano il
quotidiano, la cui risoluzione permette la capacità di adattamento all'ambiente. Adattarsi
all'ambiente vuol dire provvedere a sé stessi e avere quelle capacità che rientrano
nell'ambito dell'autonomie Personali, domestiche e di comunità.
Il fine ultimo del comportamento intelligente e costruire delle strategie di risoluzione dei
problemi, costruire delle strategie vuol dire apprendere, e di metterle in pratica quando si
presentano situazioni analoghe (intelligenza vuol dire applicazione delle conoscenze).
Ci sono diverse modalità di studio del comportamento intelligente e sono in questo caso quattro:
1. l'approccio comportamentista
2. l'approccio psicometrico
3. l'approccio costruttivista
4. l'approccio neuropsicologico

L’approccio comportamentista
Il comportamentismo nasce come scuola ufficiale nel 1913 a opera di Watson.
Il comportamentismo si pone come scienza del comportamento rifiutando tutti i concetti e i
termini di tipo speculativo come volontà, coscienza, mente, introspezione e destituendoli di
qualsiasi fondamento scientifico siccome privi di base empirica verificabile.
L'unica metodologia e conoscenza valida e quella che si basa sulla osservazione. L'oggetto di studio
fondamentale è il comportamento che viene considerato in rapporto al proprio ambiente e viene
visto in termini di meccanismo stimolo risposta. le richieste ambientali possono essere considerate
gli stimoli in grado di sollecitare una risposta.
Quindi il compito centrale del comportamentismo è quello di interpretare e controllare il
comportamento. Siccome si può arrivare a prevedere la risposta una volta conosciuto lo stimolo e
viceversa si può prevedere lo stimolo necessario per determinare una risposta.

Apprendimento per condizionamento classico


Per spiegare bene l'apprendimento per condizionamento classico possiamo partire da uno degli
esperimenti fatti dal fisiologico russo Pavlov.
Quest'ultimo studiando la secrezione salivare del cane aveva osservato che essa si produceva ogni
volta che il cibo veniva introdotto nella bocca dell'animale. Dato che la salivazione era immediata e
automatica e non presupponeva alcuna forma di apprendimento venne chiamata risposta
incondizionata ed il cibo stimolo incondizionato.
Cibo = stimolo incondizionato
Salivazione = risposta incondizionata

Subito dopo Pavlov notò che prima ancora che il cibo fosse ingerito si verificava una secrezione
anticipata di saliva il rapporto a diversi stimoli che erano stati prodotti in connessione con la
presentazione del cibo stesso. Nel suo più conosciuto esperimento Pavlov faceva suonare un
campanello prima di presentare del cibo all'animale. Dopo che l'associazione campanello cibo è
stata ripetuta molte volte il cane cominciava a salivare non appena sentiva il rumore del campanello
anche se il cibo non veniva ancora somministrato.
Il suono del campanello venne chiamato stimolo condizionato e la salivazione anticipata risposta
condizionata.

Campanello = stimolo condizionato


Salivazione= risposta condizionata
Il principio generale classico è il seguente: l'associazione contigua di due stimoli fa sì che uno dei
due riesca a determinare la risposta che precedentemente veniva evocata sono in reazione all'altro
stimolo.
L'approfondimento degli studi di Pavlov portò a definire due regole aggiuntive la generalizzazione e
l'estinzione.
La generalizzazione dello stimolo e il principio secondo cui stimoli simili a quello utilizzato per il
condizionamento evocano uguale risposta ossia con campanelli che hanno suoni leggermente
diversi la risposta condizionata avviene comunque.
L'estinzione è data invece dal progressivo indebolimento della risposta condizionata: quando allo
stimolo condizionato non segue lo stimolo incondizionato la risposta comincia progressivamente ad
indebolirsi fino a scomparire.

Apprendimento per condizionamento operante


Questa seconda tipo di condizionamento si fonda su un principio diverso, in base al quale il soggetto
che deve apprendere mette in atto dei comportamenti ossia agisce sull’ambiente e poi associa
questa azione con le conseguenze piacevoli e spiacevoli che essa produce.
Dal paradigma sperimentale di Pavlov, Thorndike E la bruna teoria da lui denominata
connessionismo. secondo Thorndike la mente è un’articolatissima sistema di connessioni di
intensità variabile fra stimoli ambientali e risposte mani feste dell'organismo.

Thorndike concludeva inoltre chi colui che apprende, posto in una determinata situazione, procede
per prove di errori o si avvia arriva la soluzione attraverso ripetuti tentativi: man mano che procede
le risposte inesatte diminuiscono mentre quelle giuste si fissano.
Thorndike formulò alcune leggi generali, tra cui la legge dell'effetto che aprì la strada al vero e
proprio condizionamento operante di cui Skinner è il maggior teorico.
Secondo la legge dell'effetto le risposte riuscite ossia seguite da risultati favorevoli, vengono
impresse tornando a ripetersi con più probabilità. Al contrario le risposte non riuscite si ripeteranno
con minore probabilità e verranno soppresse dopo un certo numero di tentativi.
Secondo Skinner sia gli animali che gli uomini ripetono le azioni che determinano risposte piacevoli
mentre tendono a non ripetere quelle che hanno portato a risposte spiacevoli.
Esempio: un animale che premi una leva ed ottiene del cibo tenderà nuovamente a ripetere questo
comportamento.
In questo caso la leva è definita operante mentre il cibo è definito rinforzo.
Inoltre, le risposte che sopprimono determinati comportamenti una e riducono la probabilità di
ripetizione vengono definite punizioni.
L'individuo presenta molte attività spontanee indipendenti da una specifica situazione di stimolo,
Non resta passivo nel suo ambiente ma al contrario entra in interazione con molteplici stimoli che
discrimina seleziona e modifica.
l'importanza del risultato dell'azione rappresenta l'elemento che determinerà la probabilità che la
stessa azione possa essere effettuata o meno in futuro. Sotto questo aspetto il risultato dell'azione
può assumere tre connotazioni funzionali: rinforzo positivo, rinforzo negativo e punizione.

 Il rinforzo positivo è rappresentato dall'esperienza di una ricompensa piacevole quando si


attua uno specifico comportamento.
Il rinforzo negativo consiste nell'esperienza piacevole che si verifica solo quando con una
determinata azione si riesce a far cessare uno stimolo avversativo. Ad esempio, un bambino
che si rende conto che mettere i giochi a posto dopo averli usati evita rimproveri della madre
tenderà a ripetere questo comportamento in questo caso quindi evitare il rimprovero
rappresenta un rinforzo negativo.
 C'è una linea sottile tra il Rinforzo negativo e la punizione, quest'ultima consiste nella
soppressione di un comportamento ad opera di un atto dell'altro. Sotto questo aspetto i
teorici ritengono che la punizione sia poco efficace.

L'approccio psicometrico
Il concetto di intelligenza è difficilmente circoscrivibile in un ambito definito. Essa è stata di volta in
volta indicata come “la capacità di acquisire abilità”, la capacità di trarre profitto dall'esperienza”,
“la capacità di condurre un ragionamento astratto” oppure come “la capacità di adattarsi a
situazioni mutevoli”.
L'approccio psicometrico nasce con il desiderio di trasformare una funzione complessa come
l'intelligenza in una variabile quantitativa misurabile.
Tra il 1909 e il 1911 furono due gli psicologi incaricati di costruire una scala di valutazione per
l'intelligenza costituita da prove di natura diversa. campionando per fasce di età, stabilirono per
ciascuna prova qual era l'età in cui essa veniva superata abitualmente. Questo permise loro di crearsi
per ciascuna fascia di età una serie di prove che potevano essere considerate tipiche di quell'età. In
questo modo confrontando un qualsiasi soggetto con le prove in base al numero di quelle che
riusciva a superare si stabiliva la sua età mentale. Subito dopo il passaggio era quello di rapportare
l'età mentale dell'individuo alla sua età cronologica, in questo modo crearono tutti gli elementi utili
per il calcolo del quoziente intellettivo.

QI= EM/EC X100

Nasce in questo modo l'approccio psicometrico, secondo i teorici della psicometria l'intelligenza può
essere considerata un tratto quantitativo e pertanto misurabile.

Le scale più usate sono quelle della serie Wechsler, si tratta di scale complete in quanto includono
prove di diverso tipo che cercano di valutare i vari aspetti dell'intelligenza così come siamo abituati
a concepirla nelle sue componenti fondamentali: concettuale, sociale e pratica. Il numero di prove
superate attraverso il confronto con questi valori fornisce direttamente il QI. Il QI esprime in forma
quantitativa il potenziale cognitivo e presenta nell'ambito della popolazione una distribuzione
continua.
A parità di livello intellettivo alcuni soggetti possono eccellere in determinate prove e cadere in
altre, mentre viceversa altri soggetti possono essere maggiormente brillanti in queste ultime ma
presentare i risultati mediocri nelle altre. Questi rilievi portarono a ipotizzare l'esistenza di diverse
abilità mentali ciascuna responsabile di un certo numero di prove dei reattivi.
Per questo tipo di ipotesi è stata utilizzata una procedura statistica definita analisi fattoriale, tale
procedura metti in evidenza associazioni fra i vari tipi di prove e suggerisce l'esistenza di fattori
comuni.
Utilizzando l'analisi fattoriale Spearman ipotizzò l'esistenza di due fattori:
 il fattore g, definito capacità mentale generale che condizionava le prestazioni di un
individuo nella maggior parte dei compiti cognitivi;
 il fattore s, definito capacità speciale che prevedeva appunto diverse capacità speciali
ciascuna delle quali era specifica per una particolare prova;
Un altro ricercatore, Thurstone, sempre utilizzando l'analisi fattoriale ipotizzo l'esistenza di 7 distinti
fattori chiamati capacità mentali primarie. Le capacità mentali primarie sono costituite dai seguenti
fattori:
 abilità spaziali
 velocità percettiva
 ragionamento aritmetico
 abilità lessicale
 fluidità verbale
 memoria
 ragionamento induttivo
Le due ricerche sopracitate propongono un concetto ampiamente condiviso ossia che esiste un
numero ragionevolmente piccolo di abilità di base che costituiscono ciò che viene chiamata
intelligenza.
Alcuni punti di vista sull’intelligenza, infatti, si rifanno a queste due ricerche e secondo Raimond
Cattell e John Horn I fattori.se le capacità mentali primarie possono essere suddivise in due
importanti dimensioni dell'intelligenza:
 intelligenza fluida rappresentata da quelle abilità mentali proposte alla risoluzione dei
problemi astratti
 l'intelligenza cristallizzata costituita da quelle abilità che dipendono dalla conoscenza
acquisita come il risultato dell'apprendimento scolastico o di altre esperienze
L’intelligenza fluida aumenterebbe solo nel corso dell'infanzia e dell'adolescenza il rapporto ai
processi di maturazione crescita del sistema nervoso centrale, l'intelligenza cristallizzata
aumenterebbe attraverso tutto il corso dell'esistenza in quanto espressione delle esperienze di
apprendimento.
Sternberg formulò invece la teoria triarchica dell’intelligenza il rapporto alla quale bisogna tenere
in considerazione le dimensioni entro cui questa prestazione si realizza, in particolare riconosce
l'esistenza di tre dimensioni o tre tipi di intelligenza:
 Intelligenza componenziale si riferisce ai processi di organizzazione dei dati percepiti di
richiamo dei dati in memoria e di pianificazione delle risposte tenendo conto dei dati
percepiti e di quelli in memoria;
 l'intelligenza esperienziale riguarda la capacità di utilizzare i dati dell'esperienza in maniera
flessibile e creativa;
 l’intelligenza contestuale spesso definita scaltrezza riguarda la capacità di manipolare le
situazioni a proprio vantaggio virgola di adattarsi all'ambiente e di capire gli atteggiamenti
migliori da adottare in determinate situazioni
Inoltre, in una serie di saggi l'autore Gardner ha suggerito l'esistenza di diverse forme di intelligenza,
spostando l'interesse da un approccio quantitativo ad un approccio qualitativo. Nella formulazione
originaria della sua ipotesi fa riferimento a 6 forme di intelligenza:
1. intelligenza corporea-cinestetica
2. intelligenza logico-matematica
3. intelligenza spaziale
4. intelligenza linguistica
5. intelligenza musicale
6. intelligenze personali
La natura qualitativa dell'approccio dell'autore sta nel fatto che lui scoraggia l'uso di numeri per
valutare l'intelligenza piuttosto invita a definire per ciascuna persona il suo profilo cognitivo.
Nel caso della scuola, visto come luogo privilegiato per favorire tutte le intelligenze, mettere in
risalto le sole carenze che investono una determinata intelligenza senza valorizzare le altre corre il
rischio di innescare pericolose spirali che possono avere pesanti ricadute sullo sviluppo psicologico
della persona.

L’approccio costruttivista
Un approccio articolato per cercare di capire come si sviluppa l'intelligenza è sicuramente
l'approccio costruttivista di cui Jean Piaget ne fu il maggior teorico.
Per cercare di definire come gli esseri umani comprendere il mondo Piaget ha analizzato quei
processi di adattamento attraverso i quali il soggetto ricerca e realizza un equilibrio tra sé e il suo
ambiente. La regolarità di questo processo è testimoniata dall'emergenza di comportamenti
intelligenti sempre più evoluti e funzionali con il progredire dell'età.
L'ambiente stimola lo sviluppo ma è soprattutto lo sviluppo che è facilità una maggiore raccolta di
informazioni ambientali è una loro migliore utilizzazione.
gli aspetti caratterizzanti il pensiero di Piaget sono rappresentati da punti critici che vengono fatti
rientrare in due ipotesi di lavoro. In particolare, Piaget distingue gli invarianti funzionali dalle
strutture variabili.

Le invarianti e funzionali
Invarianti funzionali sono le spinte appartenenti all' individuo, comuni a tutte le età virgola che sono
alla base del suo comportamento. Dunque, rappresento le attività della mente che operano fin dalla
nascita e che sono comuni a tutte le persone.
l'adattamento all'ambiente si realizza attraverso due processi complementari l'assimilazione e
l'accomodamento.
 l'assimilazione è il processo attraverso il quale l'individuo utilizza gli stimoli esterni
attraverso le strutture mentali già a disposizione reagendo con le risposte comportamentali
già utilizzate (es un bambino che ha già la capacità d’istruzione, utilizzerà questo schema
mentale per succhiare anche un nuovo oggetto).
 l'accomodamento è il processo messo in atto quando le risposte precedentemente apprese
non risultano idonee alla situazione attuale. Dunque, il soggetto, deve esprimere nuove
soluzioni e nuove strutture mentali (es. il bambino non riesce a prendere un oggetto
imparerà nuove modalità di prensione modificando le sue strutture mentali).

Le strutture variabili
L'altro aspetto caratterizzante il pensiero di Piaget è rappresentato dal concetto di struttura
variabile. I diversi modi di comportamento e di rispondere agli stimoli che provengono dall'ambiente
e sono sostenuti dalle invarianti funzionali, variano nel tempo a seconda dell'età e il rapporto al
grado di maturazione dell'individuo. Per descrivere le modifiche evolutive che si verificano in una
mente Piaget ricorse alla descrizione di tre strutture mentali:
1. Gli schemi comportamentali che rappresentano le strutture tipiche mentali del bambino dai
zero ai 18 mesi di vita. uno schema comportamentale è un modello organizzato di
comportamento che il bambino usa per adattarsi e affrontare oggetti diversi. Ad esempio, il
succhiare è uno schema comportamentale, mediante il quale il bambino interagisce con
l'ambiente punto con il procedere dello sviluppo questo schema comincia a differenziarsi,
nel senso che il bambino classifica gli oggetti distinguendoli in categorie (oggetti che si
succhiano e che non si succhiano) e in sottocategorie (oggetti da succhiare duri o morbidi);
2. Gli schemi simbolici che compaiono nel secondo anno di vita e permettono al bambino di
lavorare mentalmente sulle esperienze, grazie alla capacità di pensare alle cose. Ad esempio,
un bambino può vedere effettuare una certa azione su un oggetto e ripetere il giorno dopo
la stessa azione anche se in precedenza non aveva mai agito su quell'oggetto in quel modo.
3. Gli schemi operazionali cominciano a partire all'età di 7 anni e vengono anche definiti
operazioni. Un'operazione cognitiva è un'attività mentale interna che il soggetto esegue sui
contenuti del pensiero per raggiungere una conclusione logica appunto risulta evidente che
queste strutture mentali sono variabili: se il bisogno di capire e di spiegare è un aspetto
comune a tutte le età, il particolare tipo di spiegazione che il soggetto da all'esperienza è
diversa a seconda del grado di sviluppo del livello intellettuale.

Gli stadi dello sviluppo


All'interno del processo di adattamento vengono individuati una serie di stadi successivi e graduali
la cui sequenza è uniforme in ogni individuo. Ciascuno stadio è caratterizzato da strutture cognitive
specifiche che lo distinguono dagli altri. Ogni stadio rappresenta una forma specifica di equilibrio ed
insieme una tappa del cammino verso lo sviluppo finale.
Gli stadi definiti per Piaget sono i seguenti:
 Lo stadio senso motorio
 lo stadio preoperatorio
 lo stadio operatorio concreto
 lo stadio operatorio formale

Lo stadio senso-motorio
Lo stadio senso motorio è il primo stadio di sviluppo e va dalla nascita fino ai due anni di vita. Esso
si divide ulteriormente in sei livelli successivi di organizzazione:
1. i riflessi: nel primo mese di vita il bambino presenta solo riflessi punto i riflessi non sono
altro che semplici coordinazioni sensoriali e motorie innate ed automatiche;
2. le reazioni circolare primarie: dal primo al quarto mese di vita il bambino sviluppa le reazioni
circolari e primarie. Le azioni che inizialmente vengono prodotte in maniera automatica sono
ripetute e il bambino inizia ad eseguirle per il piacere che esse provocano. gli atti senso
motori del bambino sono ancora centrati sul suo corpo (guardarsi le mani, portarle alla bocca
ecc);
3. le reazioni circolari e secondarie: vanno dai quattro agli 8 mesi di vita dove il bambino
acquisisce queste reazioni circolari e secondarie ossia ripete intenzionalmente determinate
azioni per gli effetti interessanti che esse provocano (es. scuotere un giocattolo per ascoltare
il suono che produce). Durante questo stadio il bambino comincia a provare interesse per gli
oggetti esterni;
4. il coordinamento degli schemi secondari: tra l’8 e il 12 mese di vita Si sviluppa il
coordinamento degli schemi secondari ossia il bambino utilizza le attività senso motorie
precedentemente acquisite per arrivare ad un obiettivo punto se nei comportamenti della
fase presidente l'intenzionalità era dubbia adesso diventa esplicita. Per esempio se si
nasconde un oggetto sotto un cuscino, il bambino diventa ora capace di sollevare con una
mano il cuscino e con l'altro afferrare l'oggetto. L'aspetto più importante è rappresentato
dal fatto che il bambino acquisisce la capacità di permanenza dell'oggetto cioè la capacità
di pensare all'oggetto come esistente anche al di fuori della sua percezione diretta.
5. le reazioni circolari terziarie: tra il 12 e 18 mese di vita si sviluppano le reazioni circolari
terziarie ossia il bambino utilizza gli schemi precedentemente acquisiti in modo diverso per
ottenere effetti diversi. in questo periodo l'apprendimento avviene per prove ed errori.
6. le combinazioni mentali: tra i 18 e due anni il bambino non procede più per prove ed errori
ma inizia a compiere combinazioni mentali ossia si rappresenta mentalmente un'azione e ne
anticipa gli effetti.

Lo stadio preoperatorio
Lo stadio preoperatorio parte dai due anni fino ai 7 anni di vita. questo stadio viene suddiviso in
periodo pre-concettuale e periodo intuitivo.
 il periodo pre-concettuale va dai due ai quattro anni ed è caratterizzato dallo sviluppo della
funzione simbolica ossia la capacità di utilizzare segni e simboli che rappresentano altre cose;
 Il periodo intuitivo va dai quattro ai 7 anni ed è il periodo in cui il bambino sviluppa le abilità
di manipolare mentalmente i simboli, riuscendo a classificare gli oggetti sulla base di attributi
percettivamente condivisibili;
Gli aspetti caratterizzanti di tale stadio sono
1. la funzione simbolica: la capacità di utilizzare segni simboli per rappresentare le cose. Ad
esempio, un aeroplano può essere rappresentato attraverso vari significati, quali la parola
ossia aeroplano, il gesto di una mano che vola, un'immagine mentale, un aeroplano
giocattolo ecc.
Il bambino in questo stadio manifesta una serie di nuove competenze:
 L’imitazione differita che consiste nella capacità del bambino di ripetere un gesto in
momenti successivi a quello in cui ha osservato tale gesto. Secondo Piaget sia un
comportamento viene osservato in un certo momento e imitato più tardi, allora deve
esserci necessariamente un magazzino dell'elemento osservato e una codifica
simbolica.
 il gioco di finzione è rappresentato da quella attività in cui il bambino ripropone in
chiave ludica azioni che ha osservato nella vita reale. I giochi di finzione si riscontrano
anche prima ma solo a partire dai due anni, grazie alla comparsa della funzione
rappresentativa, nel gioco di finzione gli oggetti adoperati cominciano a
rappresentare cose completamente diverse (utilizzare come esempio una scopa
facendo finta che sia un cavallo).
 il linguaggio in questa fase si arricchisce enormemente virgola in quanto la funzione
simbolica permette di usare le parole come significati per rappresentare gli oggetti
reali.
2. L'egocentrismo: durante questo periodo il bambino è impegnato in un’esplorazione
dell'ambiente circostante virgola che gli consente di acquisire simboli nuovi. Il termine viene
utilizzato per indicare come prima cosa una differenziazione di sé dal mondo circostante e
come seconda cosa la tendenza a percepire capire e interpretare il mondo dal proprio
punto di vista.
Il bambino non riesce ad adottare il punto di vista di un'altra persona, ad esempio in questa
fase non si rende conto che una persona che sta guardando una scena da una posizione
diversa la vede in una prospettiva diversa dalla sua. Questa difficoltà di mettersi nei panni
dell'altro investe anche il linguaggio. Il linguaggio egocentrico è caratterizzato dal fatto che
il bambino non si preoccupa di adattare il suo linguaggio alla necessità dell’ascoltatore, ad
esempio io e possibile trovare nelle espressioni di un bambino “lei piangeva perché lui la
regalata ad un altro” senza preoccuparsi di spiegare all'interlocutore chi è lei e chi è lui di chi
e l'altro e cosa gli ha regalato. l'egocentrismo è presente anche nei giochi di gruppo come,
per esempio, quando giocano insieme ciascun bambino sembra parlare seguire le proprie
regole.
3. Il ragionamento: i bambini giudicano gli eventi solo sulla base della loro configurazione
percettiva, Piaget Definisce il pensiero del bambino in questo stadio pre-casuale o
transduttivo. La rigidità del pensiero del bambino è espressa dall'incapacità di tener conto
contemporaneamente di due aspetti diversi. in questo caso un'esperienza per illustrare il
carattere limitato del pensiero del bambino e quella dei due bicchieri ossia si presentano al
bambino due bicchieri diversi uno stretto e lungo e l'altro largo e basso. Si introduce una
quantità uguale di liquido in entrambi i bicchieri, nel primo il livello del liquido raggiunge
un'altezza superiore rispetto al secondo. chiedendo al bambino se la quantità di liquido nei
due bicchieri e uguale la risposta è no e facendo riferimento all'altezza affermerà che nel
primo bicchiere c'è più liquido. Fino all'età dei 6 7 anni il bambino giudicherà maggiore la
quantità del liquido contenuta nel primo bicchiere in base ad un confronto immediato e
puramente visivo.

Lo stadio operatorio concreto


lo stadio operatorio concreto va dai 7 ai 12 anni ed è caratterizzato da importanti progressi piano
sul dell'organizzazione intellettuale. è il periodo in cui compaiono gli schemi operazionali.
L'operazione rappresenta la capacità di agire E di operare sulle rappresentazioni per raggiungere
una conclusione logica. in questa fase, i bambini sono capaci di conservazione hanno cioè la capacità
di comprendere che certe proprietà degli oggetti rimangono tali anche a fronte di variazioni di
forma. facendo riferimento all'esperienza dei due bicchieri di diversa dimensione, alla domanda se
si hanno lo stesso contenuto di acqua il bambino a partire dai 7 anni risponderà sì dimostrando di
avere acquisito il concetto di conservazione.
Secondo Piaget il concetto di conservazione e ha reso possibile dall'acquisizione di reversibilità e
compensazione. La reversibilità e la capacità del bambino di invertire il flusso di un'azione, mentre
la compensazione e la capacità di tener conto di più aspetti del problema contemporaneamente.

Lo stadio operatorio formale


L'ultimo stadio e lo stadio operatorio formale che va dai 12 anni in poi. Nel corso di questa fase
l'adolescente è in grado di compiere operazioni mentali indipendentemente dalla percezione o dalla
manipolazione di oggetti concreti ed è In grado di svolgere il pensiero su ciò che è possibile. È tipica
di questa fase l'attrazione per i problemi generali, filosofici, artistici, politici e la tendenza a
formulare progetti.

L'approccio neuropsicologo
L'approccio neuropsicologico si rivolge allo studio dei processi che si attivano nel cervello quando si
tratta di risolvere un problema. Uno dei modelli che si è mosso in questa prospettiva e il modello
dell'elaborazione delle informazioni, che si occupa di funzioni ossia operazioni attivate nella mente
nei confronti di un problema da risolvere.
Per risolvere i problemi in ambito concettuale sociale e pratico le operazioni cognitive che vengono
messe in atto sono le seguenti:
1. accensione di uno spazio di lavoro che può essere immaginato come una scrivania su cui
vengono posti tutti i dati utili all'analisi del problema e alla ricerca di una strategia risolutiva;
2. estrazione dei dati relativi allo stimolo è un'operazione che porta all'estrazione dei tratti
dello stimolo tenendo conto dei problemi in esame e dei dati che appartengono al contesto;
3. recupero dei dati depositati nella memoria a lungo termine che rappresenta in magazzino
delle conoscenze relative alle pregresse esperienze;
4. analisi del problema per la formulazione di ipotesi utili a risolvere il problema;
5. Valutazioni delle possibili conseguenze una volta messe in atto le risposte ipotizzate come
utili;
6. emissione della risposta, la risposta può consistere in un enunciato verbale in un
comportamento e /o in un'azione transitiva su determinati oggetti
7. monitoraggio dell'effetto della risposta con possibilità di apportare delle modifiche in
itinere (in cammino);
Uno schema come quello appena esposto permette di rileggere in chiave attuale alcuni concetti
come la percezione, l'attenzione e la memoria.

La percezione
Per quanto riguarda la percezione il soggetto esamina gli elementi del problema e esplora
l'ambiente alla ricerca delle informazioni che possono essere utili alla risoluzione. Gli organi che si
occupano di raccogliere le informazioni vengono suddivisi in esterocettori ed enterocettori.
 Gli esterocettori si identificano con i sensi ossia l'udito, la vista, il tatto, l'olfatto, ed il gusto;
 Gli enterocettori Raccolgono gli stimoli provenienti dall'interno del corpo: sono i ricettori
sparsi nei muscoli, nelle articolazioni, nella muscolatura liscia degli organi cavi.
Attraverso questi dispositivi le informazioni viaggiano come semplici impulsi elettrici, l'encefalo
deve poi interpretare questi impulsi e definire la provenienza e il significato.
Questo processo viene appunto definito percezione che può essere definita come quella
operazione cognitiva che permette di attribuire un significato al dato sensoriale in entrata.
Inizia in mente ha dominato una sorta di realismo ingenuo virgola in base al quale i dati della realtà
erano talmente familiari che non c'era bisogno di spiegare come venissero percepiti siccome ad
esempio nella realtà che ci circonda, noi vediamo molti oggetti perché ci sono molti oggetti, li
vediamo con una certa forma perché hanno quella forma.
Il realismo ingenuo dava per scontato la corrispondenza tra realtà fisica e quella percettiva.
Con una serie di esperienze possiamo affermare che il mondo esterno non è sempre come noi lo
vediamo: la percezione non è copia perfetta di quanto ci circonda.
Quello che noi vediamo o sentiamo non sempre risponde ad una realtà oggettiva.
Il cervello guida al processo percettivo con lo scopo di ricercare dati aggiuntivi presenti nello stimolo
per completare il processo di riconoscimento. La percezione è un processo attivo, l'encefalo
raggiunto dai primi dati va attivamente a ricercare nello stimolo ulteriori dati che messi insieme
portano l'attribuzione del suo significato.

Abilità percettive del neonato: il bambino fin dalle prime fasi di sviluppo, dimostra di possedere
capacità percettive in particolare riconosce la voce della madre, preferiscono la voce della madre a
quella di un estraneo, preferiscono le favole udite in utero rispetto alle altre ed infine sono attratti
dalla musica ma sono infastiditi dai rumori.
La più sorprendente abilità percettiva dei neonati risulta quella espressa dalla capacità di imitazione
delle espressioni facciali.
Abilità percettive del lattante: le abilità percettive del lattante si arricchiscono progressivamente
con il procedere dello sviluppo. A quattro mesi il lattante sembra essere capace di riconoscere i
colori, mostrando predilezione per alcuni come il giallo o il rosso.
A sei mesi c'è già una percezione della profondità come dimostra il precipizio visivo utilizzato da
Gibson e Walk nei loro studi sulla percezione della profondità dei bambini. Il precipizio visivo
consiste da una piattaforma di vetro divisa in due parti: la prima è coperta da una tavola a
scacchiera, l'altra è trasparente e permette di vedere il fondo. Ponendo il bambino sulla piattaforma,
i due studiosi notarono che il bambino sgusciò sulla parte solida e si fermò sulla parte trasparente
che lasciava vedere il fondo, indicando che aveva percepito la profondità.
Anche la percezione del volto umano subisce notevoli progressi nei primi mesi di vita: i bambini
acquisiscono gradualmente l'identità del volto e imparano che uno stesso volto può assumere
configurazioni diverse, ciascuna delle quali è associata ad un particolare stato emotivo.
Apprendimento percettivo: in relazione al modo in cui il bambino arricchisce le sue competenze
percettive esistono ancora oggi notevoli incertezze. Tutte le conquiste appena citate sono legate
allo sviluppo di una serie di competenze connesse alla percezione. per chiarire questo concetto
possiamo ricorrere ad un esempio: consideriamo la possibilità di ascoltare un brano musicale per la
prima volta, ad una domanda del tipo se ci è piaciuto meno daremo un giudizio che si riferisce ad
un'impressione globale punto Se però ascoltiamo lo stesso pezzo 10 o 20 volte alla ventesima
impareremo a percepire le pause all'interno del pezzo, la ricorrenza dei ritornelli e così via. Quello
che si verifica e un apprendimento percettivo, inteso come il processo in base al quale si impara ad
estrarre dallo stimolo una serie di informazioni.
Da ciò è possibile affermare che ciò che si sviluppa nel corso dell'età evolutiva è:
 le modalità di esaminare lo stimolo
 la capacità di estrarre le caratteristiche rilevanti
 la capacità di escludere ciò che è irrilevante
Il bambino successivamente perfeziona le strategie di esplorazione e la capacità di estrarre le
caratteristiche rilevanti e di escludere i dati irrilevanti.
Per quanto riguarda le strategie di esplorazione il bambino nei primi quattro mesi di vita esplora
l'ambiente alla ricerca di eventi ed è particolarmente interessato dal movimento. Fra i 5 e di 8 mesi,
quando lo sviluppo della prensione glielo consente virgola non è più interessato solo agli enti ma
soprattutto agli oggetti e attraverso il tatto e la manipolazione cerca di scoprirne le caratteristiche.
Tra i 9 e 12 mesi, quando è in grado di spostarsi, le sue strategie si estendono a contesti più ampi
per vedere dietro sotto dentro eccetera.
La capacità invece di estrarre dati sempre più rilevanti, aiuta il bambino ad individuare i tratti
distintivi dello stimolo. Il bambino impara un volto è sempre lo stesso anche se si modifica nel suo
aspetto (di profilo di faccia con la bocca aperta eccetera). Lo stesso avviene anche per la forma, il
colore e la dimensione siccome il bambino riesce a riconoscere già verso i quattro mesi di vita che il
giocattolo anche con diverse inclinazioni, se vicino o lontano è sempre lo stesso.
Dopo questo il bambino raggiunge il concetto dell'oggetto, questo porta il bambino comprendere
che l'oggetto possiede un'esistenza autonoma (concetto di permanenza dell'oggetto) è dotato di
alcuni tratti distintivi (la palla è rotonda, se spinta rotola).

L’attenzione
L'attenzione è l'elemento critico che condiziona la capacità di elaborazione del sistema. Il sistema
attentivo a tre componenti fondamentali:
1. L'attenzione selettiva: quella che seleziona il flusso dei dati in ingresso;
2. L'attenzione divisa: e la capacità di spostare rapidamente l'interesse nell'esecuzione di
compiti simultanei
3. l'attenzione sostenuta: e la capacità di mantenere attivo lo spazio di lavoro per tutto il
tempo necessario al completamento del compito.
Prendiamo in considerazione l'insegnante che fa un dettato, la prima componente del sistema
attentivo e quella dell'attenzione selettiva, l'alunno deve aprire il filtro sulle parole dell'insegnante
e bloccare gli altri input. Il dettato comporta una serie di operazioni simultanee: sentire ciò che dice
l'insegnante, scrivere e controllare quello che si scrive. Queste operazioni si svolgono su canali
differenti tant'è vero che se l'insegnante accelera il ritmo di dettatura oh se la penna non scrive per
un secondo il sistema si de sincronizza.
Quindi un'altra caratteristica dell'attenzione da utilizzare e quella di spostarsi rapidamente da un
canale all'altro nell'esecuzione di un compito questa è chiamata attenzione divisa. Infine, questa
attività di selezione e di spostamento deve durare per un tempo sufficientemente lungo cioè per il
tempo necessario al completamento del compito questa viene chiamata attenzione sostenuta.

La memoria
Il termine memoria viene utilizzato per indicare che il sistema nervoso riesce a mantenere una
traccia delle esperienze a cui è sottoposto. Il concetto di memoria è molto complesso e investe
diversi aspetti:
 la classificazione delle diverse forme di memoria
 lo sviluppo della memoria in età evolutiva

Classificazione delle diverse forme di memoria


Si possono ottenere diverse classificazioni della memoria in rapporto al parametro di riferimento
scelto. Se ci si riferisce al tempo di permanenza della traccia in memoria può essere divisa in tre
componenti dal punto di vista strutturale:
 La memoria istantanea che si identifica nel registro sensoriale ossia in quello spazio in cui
soggiorna per breve tempo le informazioni in ingresso;
 la memoria a breve termine e la seconda componente del sistema e rappresenta quello
spazio di lavoro in cui l'informazione permane da pochi secondi a diversi minuti.
 la memoria a lungo termine e lo spazio in cui vengono collocati i prodotti dei vari
apprendimenti. questa si differenzia dalle precedenti per le sue capacità di conservare
l'informazione in essa depositata permanentemente. di informazione una volta depositata
non viene più persa quello che si può e che spesso si perde e la capacità di recuperarla.
Un altro tentativo di classificazione fa riferimento ai contenuti della memoria quindi alla natura della
traccia mantenuta in memoria:
 la memoria visiva: se la traccia in memoria è di natura visiva (per esempio il ricordo della
forma di un particolare oggetto);
 memoria visuo spaziale: se la traccia in memoria riguarda il ricordo della collocazione di un
particolare oggetto;
 memoria semantico lessicale: se la traccia in memoria riguarda il ricordo del nome di un
particolare oggetto;
 memoria musicale: se la traccia in memoria riguarda il ricordo di una particolare melodia;
 memoria uditiva: se la traccia riguarda il ricordo di un particolare suono (sirena, tuono ecc);
 memoria tattile: se la traccia riguarda il ricordo di una particolare sensazione tattile;
 memoria cinestesica: il ricordo di una particolare sensazione motoria;
 memoria olfattiva: ricordi di un particolare odore;
 memoria gustativa: ricordo di un particolare gusto;
Un altro tipo di classificazione fa riferimento alle modalità con cui la traccia in memoria riesce o
meno ad essere oggetto di rielaborazione cosciente:
 La memoria esplicita o dichiarativa: è quella forma di memoria, i cui contenuti possono
essere verbalizzati o sottoposti ad elaborazione cosciente (un esempio è la rievocazione del
ricordo di eventi passati);
 la memoria procedurale: è quella forma di memoria che comprende atti, gesti e
comportamenti complessi che si svolgono in maniera automatica (andare in bici, preparare
un caffè ecc.);
In entrambi i casi le tracce memorie appartengono alla memoria a lungo termine.

Lo sviluppo della memoria in età evolutiva


Ci sono delle differenze tra le prestazioni del bambino e quelle dell'adulto in termini di memoria.
Il bambino possiede una memoria di riconoscimento cioè sa riconoscere un'immagine o un suono
già visto e ricordato (il neonato sa riconoscere la voce della madre o sa ricordare alla madre che gli
legge una fiaba di essersi dimenticata una parola). Ciò che invece possiede l'adulto e non il bambino
è la memoria di rievocazione cioè la capacità di rievocare esperienze precedenti in assenza di
esperienze analoghe, questo dipende però dal diverso grado di conoscenza e da una diversità di
interessi.
Un altro aspetto che definisce le differenze tra adulto e bambino e l’inadeguatezza. Nel bambino
della meta-memoria. La meta-memoria consiste nella conoscenza della conoscenza cioè nella
capacità di comprendere e riflettere su ogni aspetto del pensiero umano. Con questa immaturità il
bambino non mette in atto quelle tecniche che gli adulti utilizzano per ricordare. Una di queste è la
reiterazione verbale che consiste nel ripetere sottovoce una parola, un numero o una serie di cose
da ricordare.

Capitolo 5
La competenza sociale
Aspetti generali
La comunicazione sociale può essere definita come la capacità della persona ad entrare in relazione
con l'altro. L'intenzione è quella di influenzare il suo pensiero ma anche quella di lasciarsi influenzare
dal pensiero dell'altro. La comunicazione sociale rientra in una funzione definibile come competenza
e si tratta di una funzione che comprende tre distinte dimensioni:
 motivazione sociale
 cognizione sociale
 padronanza di codici comunicativi

La motivazione sociale
Il neonato presenta la capacità di discriminare tra stimoli sociali e stimoli non sociali mostrando di
preferire i primi. infatti, preferisce il volto umano, ma riesce anche ad imitare le espressioni facciali,
l'altro viene riconosciuto come “qualcosa che è simile a me” e stimola il bisogno di attivare uno
scambio interattivo. questa spinta associativa favorisce l'avvio degli scambi relazionali sono intimi e
strutturanti, questi scambi si organizzano nel costrutto teorico dell'attaccamento.

L’attaccamento
La prima persona con cui il bambino stabilisce un rapporto sociale e la madre. I rapporti che si
stabiliscono durante i primi mesi di vita fra il bambino e la madre sono così intimi da configurare
un'unità inscindibile chiamata diade o relazione diadica.
La diade madre figlio è definita attaccamento. Il termine attaccamento indica un legame affettivo
con una figura specifica che in questo caso è la madre. L'esistenza di un attaccamento è testimoniata
dalla presenza di alcuni comportamenti, i cosiddetti comportamenti di attaccamento. I
comportamenti di attaccamento sono quei comportamenti che ci fanno capire che c'è un
attaccamento. Può rimanere immutata nel tempo i comportamenti ad essa correlati possono
cambiare il rapporto all'età o alle capacità espressive del soggetto.

I modelli interpretativi
sulla natura dell'attaccamento del neonato alla madre ci sono delle ipotesi interpretative:
 prospettiva psicoanalitica: secondo Freud l'attaccamento del bambino alla madre è legato
al fatto che essa è in grado di soddisfare i suoi bisogni fisiologici come fame, siete, sonno e
bisogno di calore. Questo significa che l'attaccamento non deriva da una motivazione sociale
in quanto è una pulsione secondaria rispetto ai bisogni fisiologici. In questa prospettiva la
madre è solo uno strumento per il soddisfacimento dei bisogni fisiologici e non un oggetto
d'amore;
 prospettiva associazionistica: secondo questa teoria detta anche teoria dell'apprendimento
il bambino si attacca alla madre a causa del condizionamento con valore di ricompensa
positiva. Siccome la madre dà al bambino una ricompensa positiva ai suoi bisogni primari, il
bambino apprende che l'avvicinamento ad essa determina una gratificazione dei suoi bisogni
e quindi che la madre è fonte di piacere e soddisfazione. Anche in questo caso,
l'attaccamento è ricondotto al soddisfacimento di un bisogno primitivo.
 prospettiva etologica: nasce il rapporto ad alcune esperienze effettuate sul comportamento
degli animali. Una delle più importanti serie di ricerche è stata svolta da Harlow. Egli collocò
delle scimmiette appena nate in una gabbia con due madri surrogate una madre costituita
da una semplice rete metallica dotata di un poppatoio dal quale le scimmie potevano
alimentarsi, una madre di peluche rivestita di un tessuto spugnoso e soffice. Quando alle
scimmiette veniva offerta la possibilità di avvicinarsi tanto alla prima quanto alla seconda, e
se sceglievano la madre di pezza, anche laddove esse erano state nutrite dalla sola madre
metallica. Questo comportamento si verificava anche in occasione di un evento stressante,
quando nella gabbia veniva introdotto uno stimolo pauroso, le scimmiette correvano dalla
madre di tessuto a spugna. Questo dimostrò chiaramente che l'attaccamento non nasce da
un bisogno alimentare ma da un bisogno innato di un rapporto di vicinanza.
Un altro contributo che deriva dall'etologia è quello di Lorenz, relativo al fenomeno
dell’imprinting o dell'impronta percettiva. in pratica è stato osservato che Nicola dall'uovo,
segue la prima cosa che cade nel suo campo percettivo, che essa sia la madre, un oggetto o
una figura umana. questo testimonia un bisogno di vicinanza, attaccamento con una figura
palleggiata anche se essa non luce in alcun modo la fame, il dolore o il disagio. Entrambe
queste esperienze testimoniano che i piccoli vengono al mondo con un bisogno innato di
un rapporto di vicinanza con una figura privilegiata, indipendentemente dal fatto che
questa riesca o meno a soddisfare i loro bisogni alimentari.

L'attaccamento secondo John Bowlby


La teoria di Bowlby Si inserisce sempre nell'ambito della ricerca etologica punto secondo questa
teoria la motivazione primaria dell'attaccamento è la socializzazione: Il bambino nasce con una
predisposizione a ricercare e mantenere la vicinanza con una figura specifica che ne garantisce la
sopravvivenza. Il legame di attaccamento tra madre e figlio è garantito dal fatto che entrambi sono
predisposti a questa relazione così intima grazie ad una serie di preadattamenti. Il bambino è dotato
di una serie di segnali che si attivano nella madre meccanismi innati che la inducono ad occuparsi di
lui; la madre possiede le caratteristiche capace di soddisfare i bisogni del bambino, dunque, c’è un
attaccamento del bambino alla madre e alla madre del bambino.
I segnali di cui è dotato il bambino capaci di attivare nei genitori meccanismi innati che ad occuparsi
di lui, comprende sia caratteristiche fisiche che morfologiche.
Esse sono:
1. L'apparenza fisica: secondo Lorenz, esistono un insieme di tratti distintivi dei piccoli di ogni
specie animale che costituiscono un vero e proprio prototipo infantile, che stimolano a
sentimenti di tenerezza e proiettività da parte degli individui umani.
2. I comportamenti di segnalazione: i bambini già da neonati dispongono di una serie di
espressioni mimiche per indicare svariati sentimenti. Queste espressioni, utilizzate anche
dagli adulti, inducono a interpretazioni adultomorfe da parte della madre; la madre inizia ad
attribuire dei significati da adulti alle sue espressioni mimiche di valore comunicativo,
intellettivo e affettivo. Questi comportamenti di segnalazione hanno l'effetto di avvicinare
la madre e il bambino.
3. I comportamenti di avvicinamento: il bambino presenta dei comportamenti attivi di
avvicinamento cioè ricerca il contatto fisico, come per esempio il tendere le braccia,
l’accarezzare o l'abbracciare. Questi comportamenti hanno l'effetto di avvicinare il bambino
alla madre.
Di risposta a questi segnali dei bambini, la madre è predisposta ad attuare una serie di
comportamenti caratteristici:
 espressioni facciali di falsa sorpresa;
 il sorriso;
 il linguaggio puerile;
 lo sguardo continuo e insistente;
 l'esigenza di attirare attenzione ad ogni costo;
Questi pre-adattamenti facilitano la sintonizzazione e la sincronizzazione tra madre e figlio.

I pattern di attaccamento
le interazioni che si realizzano all'interno della relazione di attaccamento rappresentano esperienze
emozionali e relazioni che si traducono in strutture interne, definite da Bowlby modelli operativi
interni di attaccamento. l'attaccamento nasce dal bisogno del bambino di un rapporto di vicinanza
dica che gli garantisce sicurezza e tranquillità, soprattutto quando è spaventato lo ha timore. Questo
senso di sicurezza gli permette poi di esplorare il mondo e di organizzare le sue esperienze.
Progressivamente, crescendo, il bambino costruisce e interiorizza un'immagine mentale non solo
della figura di attaccamento, ma anche della qualità che ha caratterizzato la relazione di
attaccamento divenuta la base per interpretare tutti i futuri rapporti.
Questo significa che è un bambino che ha vissuto in una famiglia in cui le figure genitoriali si sono
poste come basi sicure in grado di comprenderlo, accudirlo e soddisfare i suoi bisogni, interiorizzerà
un modello operativo interno di attaccamento di qualità positivo. Dall'altro lato un bambino che ha
avuto figure incapaci di fornire cura e protezione interiorizzerà un modello operativo interno di
attaccamento di qualità negativa.
Mary Ainsworth, individuo tre pattern di attaccamento attraverso una situazione sperimentale
chiamata strange situation, successivamente fu aggiunta una quarta.
questa situazione fu obbligata a bambini di 12 mesi ed era finalizzata a registrare i comportamenti
di questi bambini quando, dopo un'assenza di tre minuti, la madre di tornava da loro. I 3 pattern di
attaccamento individuati furono:
1. Attaccamento sicuro: l’attaccamento sicuro è un pattern di attaccamento che si sviluppa
quando genitore è stato disponibile e presente, quando egli ha cercato protezione conforto
e aiuto. quando l'attaccante sicuro il bambino dimostra di aver fiducia che il genitore sarà
disponibile.
2. Attaccamento resistente: l'attaccamento resistente è un pattern di attaccamento che si
sviluppa quando c'è una scarsa continuità nel rapporto (separazione), quando ci sono
situazioni che mettono a rischio la continuità del rapporto e quando un genitore è disponibile
in alcune occasioni ma non in altre. Il bambino non ha la sicurezza del fatto che il genitore
sarà disponibile in caso di bisogno. Quindi non si tranquillizza al ritorno della madre, ha paura
di separarsi, ricerca il contatto fisico, resta attaccato alla madre non riesce a riprendere il
gioco.
3. attaccamento evitante: un attaccamento evitante è un pattern di attaccamento che si
sviluppa quando ci sono carenze affettive quantitative o qualitative. il bambino mostra una
completa sfiducia nella capacità dei genitori di rispondere ai suoi bisogni di aiuto e
protezione che determina la tendenza a vivere senza l'amore e sostegno degli altri. il
bambino sembra non accorgersi del l'allontanamento della madre, non mostra apparenti
reazioni al suo rientro continuando a fare quello che stava facendo.
4. attaccamento disorganizzato: lui i comportamenti del bambino sono variabili e hanno una
scarsa prevedibilità, indicando un serio disturbo della relazione di attaccamento. Il bambino
mostra reazioni incoerenti: puoi rimanere bloccato, come può stringersi alla madre ma poi
cercare di allontanarsi.
Il pattern di attaccamento è relativo alla qualità della relazione che è strettamente dipendente dai
atteggiamenti dei genitori e di conseguenza dalle esperienze emozionali e relazionali che si
instaurano. il bambino tenderà a trasferire i pattern di attaccamento nei rapporti successivi.

La consapevolezza sociale
Si tratta di una consapevolezza sociale nella misura in cui riguarda le prime esperienze di sé-con-l
’Altro. Il bambino è sempre molto attento ai comportamenti dell’altro, specialmente quando
quest’ultimo esaspera le espressioni mimiche, i gesti, le produzioni verbali etc.
Nel corso dello sviluppo il rivolgere l’attenzione verso l’altro diventa un comportamento
progressivamente più frequente e diviene abituale a partire dai 3 mesi di vita: è sufficiente
avvicinarsi al bambino perché lui cominci ad orientare la sua attenzione verso l’altro.
Si tratta di una fase dove non c’è ancora condivisione, ma c’è attenzione e curiosità per l’Altro. La
motivazione sociale è un bisogno primario che nasce con l’individuo. Una tappa fondamentale è il
sorriso alla vista del volto dell’altro, riconducibile all’abilità del bambino di riconoscere una gestalt
privilegiata, vale a dire un insieme percettivo, i cui elementi costitutivi sono le caratteristiche del
volto: due nasi, una bocca, e un naso. La connotazione emotiva è decisamente positiva. A questa
età il bambino sorride a chiunque si avvicini, specialmente quando lo stimolo visivo è associato ad
uno stimolo uditivo, la voce.
A partire dai 6 mesi, nei confronti di uno spettacolo interessante il bambino sposta lo sguardo
dallo spettacolo al caregiver per guardarlo e poi ritorna a rivolgere lo sguardo allo spettacolo.
Questo comportamento prende il nome di sguardo referenziale.
Un’altra tappa che risulta determinante nel processo di socializzazione è l’attenzione congiunta o
condivisa, indica quella situazione in cui due persone rivolgono la loro attenzione su un comune
fuoco di interesse.
A partire dai 9 mesi il bambino comincia a rivolgere l’attenzione su ciò che l’altro sta facendo; il
bambino comincia a rendersi conto che l’altro è impegnato in qualche cosa, e dunque riconosce
l’altro come agente causale.
Il passo successivo è capire le intenzioni dell’altro: il bambino attraverso l’osservazione dei
comportamenti dell’altro comprende la finalità di tali comportamenti.
Contestualmente, il bambino comincia a comprendere che un comportamento è sempre
finalizzato ad uno scopo (agente causale) e, che l’altro ricorre a determinati comportamenti per
soddisfare un bisogno (agente mentale). Il bambino assume la prospettiva dell’altro, e ciò può
avvenire:
1. Spontaneamente, come quando il bambino senza alcuna sollecitazione si accorge che
l’altro si sta interessando a qualche cosa e va a curiosare con il suo sguardo;
2. Su sollecitazione dell’altro, come quando l’altro richiama l’attenzione del bambino.
Entrambe queste forme di attenzione vengono incluse nell’attenzione congiunta “in risposta”: il
bambino si aggancia all’attenzione dell’altro e lo segue nelle sue attività oppure si lascia guidare
dalle richieste dell’altro;
l’attenzione congiunta “su iniziativa” del bambino: mette in atto una serie di comportamenti tesi
ad agganciare l’attenzione dell’altro su una cosa o un evento che attira la sua attenzione. Il
bambino vuole attirare l’attenzione dell’altro per renderlo partecipe di un suo interesse.
La motivazione sociale quale dispositivo innato presenta delle differenze tra soggetto e soggetto,
nel senso che esistono bambini molto aperti alla relazione ed altri meno. In altri termini, La
Motivazione Sociale si configura come una funzione che ha un’espressività dimensionale.
Bisogna considerare che la normale socievolezza del bambino a partire dai 18-24 mesi deve
trasformarsi in socialità. La socievolezza si riferisce all’interesse nei confronti dell’altro e nel
piacere di stare in mezzo agli atri; la socialità si riferisce alla capacità ed alla disponibilità di
accettare le regole che lo stare con gli altri comporta.
A due anni il bambino sviluppa l’auto-consapevolezza: la presa di coscienza di sé porta il bambino
a proporsi, imporsi nell’ambiente.

LA TENSIONE SPINGE ALL’AZIONE


L’azione può consistere nel provvedere direttamente all’appagamento del bisogno, oppure
nell’attivare l’altro affinché faccia qualcosa di utile a soddisfare il bisogno. L’azione del richiedere
un aiuto esterno si realizza attraverso una serie di comportamenti che il bambino mette in atto per
la riduzione della tensione, e quindi per il ripristino dell’omeostasi. Come tali rientrano in una
comunicazione che viene definita comunicazione richiestiva. La comunicazione richiestiva è una
forma di comunicazione finalizzata a richiedere che l’altro (il ricevente) faccia qualcosa che soddisfi
il bisogno dell’emittente.
1. Nei primi mesi di vita l’unico mezzo di comunicazione che il lattante possiede è il pianto.
2. A partire dai 6-7 mesi la comunicazione si arricchisce di nuovi codici, in particolare compare
l’estensione del braccio verso l’oggetto desiderato, denominato come il cercare di
raggiungere (reaching).
3. Verso gli 8-9 mesi il reaching con la capacità di una motricità differenziata delle dita si
trasforma in pointing: vale a dire l’indicare con il dito indice.
Con l’emergere del linguaggio verbale il messaggio risulta essere inequivocabile, in quanto la
comunicazione assume i caratteri di una comunicazione vera e propria.
Un segnalatore che assume una valenza inequivocabile quando il bambino non manda al vento
la sua richiesta, è la triangolazione dello sguardo. Il contatto oculare affinché diventi tale, il
lattante deve guardare un oggetto, cercare lo sguardo della madre e spostare nuovamente lo
sguardo sull’oggetto.
La comunicazione proto-dichiarativa
Il bambino si rivolge all’esterno per esternare un suo stato mentale: di piacere, di benessere, di
rabbia. Esternare un sentimento non sempre vuol dire informare l’altro del suo stato emotivo. La
motivazione sociale facilita le esperienze sociali del bambino e progressivamente le esperienze
sociali aiutano il bambino a capire le regole del vivere sociale: processo indicato
anche come accesso alla cognizione sociale. Dunque, la motivazione sociale apre la strada alla
cognizione sociale.

LA COGNIZIONE SOCIALE
Consiste nell’avere consapevolezza degli stati della mente propri e altrui. La cognizione sociale
inizia con la rivoluzione socio-cognitiva dei 9 mesi e, attraverso la capacità di assumere la
prospettiva dell’altro, conduce alla Percezione sociale, alla Teoria della mente ed ai processi di
Mentalizzazione. Viene a verificarsi la possibilità di capire quello che gli altri credono
relativamente ad alcuni aspetti della realtà che condiziona il loro comportamento:

 La capacità di capire che gli altri hanno delle loro convinzioni rispetto ad alcuni aspetti
della realtà,
 La capacità di capire quello che gli altri credano sia falso,
 La capacità di capire che gli altri si comporteranno in base a ciò che credono,
indipendentemente dal fatto che sia vero o falso.
Queste capacità rientrano in un costrutto teorico definito con il termine Teoria della Mente. ->
capacità dell’individuo di riflettere sulle emozioni, credenze, sui sentimenti propri e altrui e di
comprendere il comportamento degli altri.
In effetti, tutta la nostra vita è impegnata nel capire perché gli altri si comportano in un certo
modo, è una capacità che ci permette di vivere e sopravvivere.
In questa prospettiva la Teoria della Mente ci permette di scegliere i comportamenti più opportuni
nelle diverse circostanze.
Per cercare di datare l’accesso del bambino a queste nuove capacità viene abitualmente utilizzato
il paradigma dei compiti di falsa credenza-> viene mostrato al bambino una scatola di Smarties,
viene dunque chiesto al bambino cosa contenga quella scatola; il bambino dirà che ci sono i
confettini, ma in realtà sono pezzetti di plastica etc.
A partire dai 4 anni il bambino riesce a pensare con la testa degli altri, riesce cioè a prevedere il
comportamento degli altri tenendo conto non di ciò che lui sa, ma ciò che l’altro sa o crede di
sapere.

DALLA TEORIA DELLA MENTE ALLA MENTALIZZAZIONE


Con l’ingresso nella scuola, il ragazzo riceve un forte stimolo allo sviluppo della socialità, dove però
deve scontrarsi con una serie di richieste contestuali:

 Non basta voler proporsi agli altri, ma anche sapere come proporsi agli altri;
 Bisogna saper utilizzare adeguate strategie di avvicinamento;
 Non basta voler esprimere ad un altro un’emozione, un desiderio, ma bisogna
saper utilizzare adeguate capacità narrative, tenendo conto della disposizione
emotiva dell’altro.
Con l’ingresso nella scuola primaria il ragazzino accede a nuove capacità auto-riflessive che gli
permettono di fare considerazioni più approfondite su sé stesso. Tutto ciò investe in maniera
determinante alcune dimensioni interne della persona quali la sicurezza, l’immagine di sé; tutto
ciò trova la sua massima espressività nell’adolescenza.
A partire dai 12 anni ha inizio l’adolescenza, che viene a definirsi come l’età del cambiamento. Essa
si pone come passaggio tra l’infanzia e l’età adulta; una stagione fatta di turbolenze, di rinunce, di
delusioni -> la crisi adolescenziale.
Le nuove richieste vengono a definirsi come dei veri e propri compiti che l’ambiente pretende che
il Soggetto risolva affinché egli possa essere considerato ben adattato (=compiti di sviluppo).
I compiti di sviluppo tipici del periodo sono riassumibili nel modo seguente:

 Accettazione del proprio corpo e integrazione dei cambiamenti somatici, ovvero


estetici
 Sviluppo di un’identità sociale
 Costruzione di un proprio sistema di valori
 Costruzione di rapporti affettivi
 Integrazione della sessualità nell’immagine di sé
 Avvio di relazioni sentimentali.
Il tentativo dell’adolescente di nascondere sé stesso all’altro ed a volte di nascondersi a se stesso
porta all’adozione di comportamenti tesi all’evitamento o al camuffamento.
Il soggetto deve possedere dei sottosistemi rappresentati da:

 Capacità percettive che permettono al soggetto di essere attento agli stimoli sociali e di
saperli analizzare senza lasciarsi confondere dalla loro mutevolezza;
 Competenze empatiche, sia intesa come empatia affettiva (capacità di vivere quello che
vive l’altro), che in termini di empatia cognitiva (capacità di capire l’emozione che l’altro sta
vivendo).
 Cognizione sociale, intesa come assunzione della prospettiva dell’altro per operare su
quanto il soggetto pensa che gli altri pensano;
 Capacità di mediare tra bisogni sociali personali e bisogni sociali dell’altro.

LA PADRONANZA DEI CODICI COMUNICATIVI


La terza componente necessaria per realizzare una soddisfacente comunicazione sociale è
rappresentata dal padroneggiamento di un repertorio di codici comunicativi sufficientemente
ricco. Il linguaggio verbale è sicuramente uno dei codici maggiormente rappresentativi. Il
linguaggio può essere definito come un linguaggio arbitrario di segni e simboli che servono per
comunicare.
Il linguaggio si riferisce a più linguaggi:
 La postura. Gli atteggiamenti e le posizioni che può assumere il corpo sono veicoli di
messaggi altamente informativi. Tali atteggiamenti posturali sono naturali.
 Le espressioni facciali, quali il sorriso, lo spalancare gli occhi, etc. tali espressioni
assumono valenza universale, sono codificabili e riproducibili intenzionalmente.
 La mimica facciale. Indipendentemente dalle espressioni facciali, il volpo può essere
investito da particolari sfumature.
 I gesti, espressi soprattutto attraverso le mani e le dita delle mani;
 Il linguaggio verbale vero e proprio;
 Gli elementi non verbali del parlato. Si tratta di una serie di elementi che caratterizzano
il modo di esprimersi verbalmente e sono rappresentati dalla velocità dell’eloquio,
dall’intensità, dall’intonazione della voce, etc.…
Secondo Ekman e Friesen i gesti vengono inclusi in 5 categorie funzionali:
1) Gesti emblematici= sono gesti intenzionali, come ad esempio fare no con il dito
della mano;
2) Gesti illustratori= sono gesti intenzionali che hanno la funzione di accompagnare il
linguaggio verbale, e possono essere suddivisi in
 Iconici, che rinforzano alcuni aspetti concreti del contenuto;
 Deittici, che indicano cose, situazioni o eventi, oggetto di attenzione
condivisa.
3) Gesti emozionali= sono gesti non intenzionali correlati con uno stato di emozione.
4) Gesti regolatori= sono gesti non intenzionali che svolgono importanti funzioni
nell’ambito degli scambi conversazionali. (fare un gesto per interrompere o per
sollecitare l’eloquio).
5) Gesti adattatori= sono gesti non intenzionali che svolgono la funzione di
riequilibrare uno stato di tensione. (toccarsi i capelli, dondolare)
La comunicazione non si esaurisce in uno scambio di informazioni, attraverso la comunicazione la
persona realizza il suo modo di percepire la realtà.
L'attenzione condivisa
L'attenzione condivisa indica quella situazione in cui due persone rivolgono la loro attenzione su un
comune fuoco di interesse. Nel corso dello sviluppo il rivolgere l'attenzione verso l'altro diventa un
comportamento progressivamente più frequente e diviene abituale a partire dai 3-4 mesi. Verso i 9
mesi, il bambino inizia a polarizzare la sua attenzione non tanto sull’altro (sui gesti, sulle espressioni
mimiche ecc.) ma sui comportamenti dell’altro, quindi su quello che l’altro fa. Il bambino inizia a
percepire, quindi, che un comportamento è spinto da un interesse ed è finalizzato ad un
determinato scopo. Per comprendere a cosa l’altro sia interessato, il bambino volge il suo sguardo
in direzione della cosa o dell’evento. Questa forma di attenzione è definita attenzione condivisa “in
risposta”: il bambino cioè, si aggancia all’attenzione dell’altro. Esiste, però, anche l’attenzione
condivisa “su iniziativa del bambino”. L’attenzione condivisa su iniziativa del bambino si verifica
quando il bambino mette in atto una serie di comportamenti per agganciare l’attenzione dell’altro
su una cosa o un evento cui è interessato lui. La rivoluzione socio cognitiva dei 9 mesi. L’età di 9
mesi rappresenta un punto nodale dello sviluppo: - Secondo Piaget, è l’età in cui il bambino arriva
all’acquisizione del concetto di permanenza dell’oggetto. È l’età, cioè, in cui il bambino riconosce
un’esistenza autonoma dell’oggetto, che esiste anche quando non è nel suo campo percettivo; -
Secondo Spitz, è l’età in cui il bambino entra nella fase dell’oggettivazione: scopre cioè, che la madre
è un essere autonomo e deve fare i conti con l’ansia di separazione e la paura dell’estraneo. -
Secondo Malher l’età di 8-9 mesi è un momento critico per il processo di separazione individuazione:
il bambino, cioè, dall’iniziale fase simbiotica, con l’acquisizione a quest’età delle prime autonomie
motorie e locomotorie avvia quel processo di distanziamento che in termini emotivi significa
appunto separazione dalla madre e progressiva individuazione di sé. Secondo Stern, all’età di 9 mesi
si passa dal sé nucleare al sé soggettivo, in cui il bambino accede ad una “teoria delle menti
separate”: egli, cioè, riconosce che ha una sorta di contenuto mentale e che lo stesso vale per gli
altri, e sente altresì che i due contenuti possono sovrapporsi oppure no. Le prime angosce infantili
Questa consapevolezza dell'Altro come persona è alla base di due paure comuni nella prima
infanzia: la paura dell'estraneo e l'ansia di separazione. La paura dell'estraneo è una reazione
emotiva di tonalità negativa che il bambino mette in atto alla comparsa di una figura "non familiare".
Tale reazione si esprime con una serie di comportamenti indicativi del disagio del bambino
(interrompere un’attività in corso, guardare la madre e l’estraneo in maniera alternata, avvinghiarsi
alla madre ecc.). Questa paura contrasta con i comportamenti presentati dal bambino in epoca
precedente, quando tendeva “ad andare con tutti”. L'ansia di separazione è una reazione emotiva
con tonalità negativa che compare quando il bambino vede che la madre si allontana.

Capitolo 6
La regolazione delle emozioni
Aspetti generali
Le emozioni possono essere definite come stati della mente che vengono attivati da eventi-stimolo
rilevanti per gli interessi del soggetto. Gli eventi-stimolo nascono con il rapporto dialettico con
l’ambiente. L’emozione si accompagna ad espressioni corporee involontarie, comportamenti
espliciti di avvicinamento e di allontanamento. Le caratteristiche associate dipendono dal tipo di
emozione in gioco.
Nelle prime fasi dello sviluppo gli stati di attivazione vengono definiti come emozioni primarie;
progressivamente si estendono in un insieme pluriarticolato di emozioni primarie denominate come
emozioni secondarie. In uno stato di attivazione emotiva è possibile riconoscere 4 componenti
fondamentali: affetto, componente neurovegetativa, un correlato somatico automatico con valenza
comunicativa e un comportamento.
1. L’affetto: si riferisce alla qualità dello stato mentale attivato dall’evento-stimolo. Nelle
primissime fasi dello sviluppo vengono individuate quattro emozioni di base: paura, rabbia,
gioia, disgusto. Nelle fasi successive, la gamma delle emozioni si estende in maniera
significativa in rapporto al modificarsi delle esperienze relazionali.
2. La componente neurovegetativa: si riferisce ad una serie di manifestazioni che vengono
fuori come una tempesta che comporta un massivo investimento del sistema nervoso
neurovegetativo. Tali manifestazioni si esprimono con: sudorazione delle mani, rossore del
volto, respiro frequente e superficiale…
3. Il correlato somatico automatico con valenza comunicativa: è rappresentato da una serie
di manifestazioni posturali e mimico-facciali che accompagnano le varie emozioni. Gli
atteggiamenti che assume il corpo sono chiaramente indicativi di una data emozione. Tali
atteggiamenti contribuiscono dall’interno a determinare il particolare stato della mente
della persona che si trova a vivere un’emozione intensa. Il suo sistema nervoso, infatti, viene
investito da una serie di messaggi raccolti dai recettori profondi del sistema muscolo-
scheletrico e dalla muscolatura facciale. Tali messaggi servono a determinare il vissuto legato
alla particolare emozione in causa. Le espressioni facciali partono indipendentemente dalla
volontà del soggetto. Il sentire un urlo di gioia, di dolore, oppure il pensare ad una
determinata emozione ci porta ad assumere l’espressione facciale congruente.
4. Il comportamento: ad un’emozione segue necessariamente un comportamento che non è
mai uguale per tutti i soggetti. Tale comportamento tende ad assumere una forma diversa
da soggetto a soggetto in rapporto ad una serie di variabili che appartengono alla storia
personale di ciascun soggetto; inoltre, una stessa emozione può dar luogo ad emozioni
diverse in base al contesto.
Bisogna analizzare i fattori che mediano tra le emozioni e il comportamento conseguente; si tratta
di fattori di natura molto diversa tra di loro, quali:

 Fattori temperamentali: svolgono un ruolo particolarmente importante. Nel concetto di


temperamento stesso è sottintesa una particolare reattività in ciascun soggetto a stimoli;
tale reattività presenta una variabilità innata da soggetto a soggetto nel suo grado di
espressività. Esistono soggetti iper-reattivi, per contro esistono soggetti poco reattivi con
emozioni mai molto “vivaci”.
 L’apprendimento: si riferisce ai processi di associazione tra eventi. Il soggetto impara che
alcune risposte comportamentali risultano più gratificanti rispetto ad altre, così come
altre risultano improduttive e controproducenti. Il meccanismo è quello dello stimolo-
risposta con relativi sistemi di rinforzo.
 Gli stili cognitivi: riflettono la particolare modalità di funzionamento mentale che
caratterizza il modo di pensare, riflettere ed affrontare i problemi da parte di ciascun
soggetto.
 Gli stili attribuitivi: si riferiscono alle spiegazioni che ciascun soggetto attribuisce agli
accadimenti che lo investono. Il concetto viene espresso con il termine di locus of control
(luogo di controllo); consiste nell’attribuire a sé stessi sempre e comunque la
responsabilità degli avvenimenti che capitano. Il locus of control esterno porta ad
attribuire la responsabilità degli eventi a cause esterne sulle quali il soggetto si convince
di non avere possibilità di controllo.
 Le circostanze particolari: sono caratterizzate dall’hic et nunc (del qui ed ora). Per
esperienza ciascun soggetto analizza le esperienze del contesto prima di mettere in atto
un determinato comportamento.
 Le pregresse esperienze emozionali e relazionali, talvolta di natura traumatica: possono
aver determinato la strutturazione di condotte comportamentali apprese che vengono
emesse in automatico, perdendo una reale congruenza con lo stato emotivo di fondo.
L’insieme dei fattori che condizionano il particolare tipo di risposta comportamentale sono gli
elementi portanti dell’autoregolazione, intesa come la capacità di gestire le emozioni. Non si tratta
di reprimerle, ma di imparare a gestirle, è il processo comunemente denominato di regolazione
delle emozioni. I passaggi che caratterizzano questo processo sono i seguenti:
 riconoscimento delle emozioni: è la fase in cui il bambino impara a conoscere le
emozioni;
 comprensione delle emozioni: il bambino comincia a capire che le emozioni nascono
in risposta ad eventi-stimolo interni ed esterni;
 espressione delle emozioni: il bambino realizza che le emozioni si associano a
sensazioni neurovegetative e che si esprimono con segnali corporei inequivocabili;
 valutazione degli effetti delle emozioni: è la fase in cui il bambino capisce che le
proprie emozioni influenzano lo stato mentale dell’altro e viceversa;
 regolazione delle emozioni: è la fase di piena comprensione delle emozioni e che
esistono strategie utili a contenerle.
La realizzazione di questi “passaggi” è progressiva e segue tre fasi: infanzia, fanciullezza e
adolescenza.
L’INFANZIA
Il bambino come già accennato, nasce con una serie di emozioni di base che vive, ma di cui non ne
ha chiara consapevolezza. Tale consapevolezza è il frutto di un percorso di conoscenza attraverso le
esperienze relazionali che andrà ad effettuare nel corso della crescita. In questo costante lavoro di
scoperta, il bambino “scienziato” analizza ed elabora i comportamenti degli altri e le relazioni
emotive che accompagnano tali comportamenti. I neuroni specchio rivestono un ruolo importante,
in quanto permettono al bambino di sentire prima ancora di capire gli stati emotivi dell’altro.
L’epoca in cui il bambino deve fare i conti con le prime vere emozioni si presenta all’età dei 9 mesi;
in tale età compaiono le prime angosce del bambino: la paura dell’estraneo e l’ansia di separazione.
La paura dell’estraneo è una reazione emotiva di tonalità negativa che il bambino mette in atto alla
comparsa di una figura non familiare. Questa paura contrasta nettamente i comportamenti presenti
nel bambino in epoca precedente, quando tendeva ad “andare con tutti”.
L’ansia di separazione è una reazione emotiva di tonalità negativa che compare quando il bambino
vede che la madre si allontana.
Entrambe queste paure troverebbero una loro spiegazione nel costrutto teorico denominato
“sviluppo della relazione oggettuale”.
Rene Spitz con lo sviluppo della relazione oggettuale.
Rene Spitz ha fornito importanti contributi allo sviluppo del concetto di relazione oggettuale. Il
termine oggetto nella prospettiva psicoanalitica vuole indicare l’oggetto per eccellenza con il quale
il bambino crea una relazione affettiva privilegiata. Gli stadi indicati dall’autore sono: lo stadio pre-
oggettuale o stadio senza oggetto, lo stadio dell’oggetto precursore, lo stadio dell’oggetto libidico
propriamente detto o stadio dell’oggettivazione.
Lo stadio pre-oggettuale o stadio senza oggetto
È caratterizzato dal fatto che il neonato non percepisce il mondo esterno come separato da lui stesso
non è in grado di differenziare le sensazioni interne da quelle esterne. Nelle prime settimane di vita
il mondo esterno non esiste, e ciò che lo gratifica (come, ad esempio, il seno materno), è percepito
come parte di sé. Il primo oggetto di percezione è il seno materno e la prima esperienza di
percezione è una percezione di contatto.
A partire dal secondo mese di vita il lattante inizia a preferire il volto umano e tende a seguirlo con
gli occhi.
Lo stadio dell’oggetto precursore
È lo stadio in cui compare il sorriso. Fin dalla nascita e durante le prime settimane di vita, il neonato
assume un’espressione facciale improntata ad un sorriso. L’autore definì questa manifestazione
come un sorriso endogeno, nel senso che non veniva suscitato da cause esterne, ma da uno stato
interiore di benessere. Il sorriso endogeno è un riflesso involontario e che non ha alcuna valenza
comunicativa. A partire dalla fine del secondo mese e per tutto il terzo mese di vita, secondo Rene
Spitz, compare il sorriso esogeno: si tratta di un’espressione mimica che nasce in risposta a stimoli
esterni al lattante. In questo arco di tempo il lattante sorride al volto umano, anche di una maschera.
A partire dal 4 mese di vita comincia a comparire un sorriso che può definirsi sociale, nella misura
in cui è assolutamente volontario e comunicativo ed è rivolto al volto umano; il lattante comincia
ad instaurare intenzionalmente le sue prime relazioni ed a comunicare le sue emozioni.
Lo stadio dell’oggetto libidico o dell’oggettivazione
Il bambino è facilitato nel consolidamento delle tracce mnemoniche delle esperienze investite
affettivamente e rivolge la sua attenzione agli stimoli che vengono dal mondo esterno. Le esperienze
che si stabilizzano intorno alle ripetizioni di gratificazioni e frustrazioni si collocano lungo l’asse
piacere-dispiacere che risultano essere categorie affettive di primaria importanza per l’evolversi e
lo strutturarsi dell’apparato psichico.
Tra il sesto e l’ottavo mese avviene di norma un cambiamento decisivo nel comportamento del
bambino: quando un estraneo si avvicina non risponde con il sorriso, ma con un comportamento di
evitamento-> “angoscia dell’ottavo mese”. Si tratta di una risposta che viene fuori alla percezione
che il volto dell’estraneo non corrisponde al volto materno. Questa risposta emotiva testimonia la
costituzione nella psiche dello stabilimento dell’oggetto libidico. ->un volto non vale l’altro.
La rivoluzione socio-cognitiva dei 9 mesi
L’età che va dagli 8 ai 9 mesi è caratterizzato da orientamenti teorici profondamente differenti l’uno
dagli altri.

 Per Rene Spitz è la fase dell’oggettivazione, con il riconoscimento dell’oggetto


libidico per eccellenza;
 Per Jean Piaget è il momento in cui il lattante accede al concetto di permanenza
dell’oggetto: l’oggetto esiste anche se non cade nel suo campo visivo;
 Per Margaret Mahler si completa la prima sottofase del processo di
individuazione-separazione per accedere alla fase della sperimentazione;
 Per Melanie Klein la vita emotiva del lattante si amplia nel riconoscimento della
madre come persona (oggetto totale). Ciò comporterà ad un mutamento delle
angosce infantili per il timore di perdere l’oggetto d’amore;
 Per Donald Winnicott dagli 8 ai 10 mesi emerge l’area transizionale che insieme
al mondo interno ed al mondo esterno rappresenta la terza dimensione della
natura umana. L’area transizionale rappresenta un ponte tra il mondo esterno e
quello interno. La formazione di questa terza area è testimoniata dall’utilizzo del
bambino di un oggetto transizionale, ovvero utilizzato per lenire la paura o il
dolore conseguente all’allontanamento della madre;
 Per Micheal Tomasello, che ha utilizzato per quest’età la rivoluzione socio-
cognitiva, i 9 mesi rappresentano il momento in cui il bambino riesce ad accedere
all’assunzione della prospettiva dell’Altro individuato come agente d’azione.
Lo sviluppo dell’attaccamento assume particolare importanza nella qualità delle esperienze
emozionali, in relazione alle nuove sfide che il bambino già in prima infanzia si trova ad affrontare.
Non c’è più soltanto la paura di separazione, ma c’è:

 La rabbia di non poter effettuare determinate azioni;


 Il disappunto per non poter ottenere qualcosa di tanto desiderato;
 La felicità per un evento particolarmente desiderato;
 La soddisfazione per aver realizzato un’impresa.
In questa prospettiva, l’inserimento nel gruppo è un altro evento molto carico emotivamente. La
gestione delle emozioni comporta il ricorso a diverse strategie di fronteggiamento, rappresentate
da:

 La fuga: il bambino di rifiuta di accettare la nuova situazione e pertanto il risultato è il rifiuto


della nuova situazione
 Il ricorso all’oggetto transizionale
 Il ricorso ai processi di identificazione: il bambino mediante l’identificazione assimila la forza
e l’adeguatezza del genitore (principalmente dello stesso sesso, verso la quale percepisce
una maggiore somiglianza). Tale processo inizia quando il bambino percepisce di essere simili
al modello. Ogni bambino si identifica in una certa misura con entrambi i genitori.
 A partire dai 2-3 anni il bambino trova un importante mezzo per gestire l’emotività
accumulata: il gioco, in particolare il gioco socio-drammatico. È nel gioco ed attraverso il
gioco che si realizza uno dei più importanti meccanismi di difesa di cui dispone il bambino;
permette al bambino di tradurre in chiave ludica situazioni o eventi fonte di frustrazione.

La funzione modulatrice delle figure familiari


È particolarmente importante in tutte le fasi dell’infanzia. Essa si esplica sia in maniera diretta che
indiretta.
La funzione modulatrice diretta si concretizza con l’adozione da parte dei genitori di atteggiamenti,
spiegazioni e strategie educative che possono permettere la metabolizzazione dell’esperienza
emotiva. Ciò permette al bambino di associare determinate conseguenze a determinate azioni che
mette in atto.
La funzione modulatrice indiretta è legata alle modalità con cui i genitori si pongono nei confronti
del bambino. Non si tratta dei soli atteggiamenti dei genitori nella gestione di situazioni di crisi.
La capacità della funzione modulatrice è svolta dalla capacità dei genitori di porsi in generale come
modelli stabili, rassicuranti ed accoglienti, ma anche disapprovanti gli eccessi comportamentali.

La fanciullezza
L’inizio della scuola primaria segna l’inizio della fanciullezza, in cui il bambino si trova a dover
affrontare nuovi compiti di sviluppo che sono molto carichi in termini emotivi:

 Il dover rispettare i tempi imposti dalla scuola,


 Il dover apprendere nuovi codici,
 Il doversi impegnare nei compiti assegnati, etc.
Si tratta di richieste che attivano dinamiche emozionali particolarmente intense che il ragazzo deve
imparare a fronteggiare e gestire ai fini di un soddisfacente adattamento. Con la fanciullezza il
ragazzo passa:

 da un globalismo percettivo al pensiero astratto;


 da una morale imitativa ad un codice morale;
 da un clan familiare al gruppo sociale.
Sono passaggi resi possibili da una nuova organizzazione del funzionamento mentale, in cui il
bambino si avventura nelle prime riflessioni su sé stesso e sugli eventi che lo coinvolgono, e che
sono fioriere di emozioni nuove ed intense.
Un’altra acquisizione molto coinvolgente sul piano emotivo è l’accesso definitivo al concetto di
morte come fatto irreversibile-> per sempre.
Il bambino nella fanciullezza è più intelligente, ma è anche impreparato a fronteggiare il carico
emotivo che queste nuove conquiste cognitive comportano.
Un’adeguata gestione delle emozioni costringe il fanciullo a ricorrere a strategie di fronteggiamento
chiaramente evocatrici del disagio evolutivo che sta attraversando:
1) la fuga: il sottrarsi all’evento, alla situazione fonte di frustrazioni. Possono presentarsi
comportamenti quali:
 il rifiuto ansioso della scuola;
 l’estraniarsi durante le attività scolastiche;
 le fughe nell’immaginario

2) la creazione di un Falso Sé è un concetto introdotto da Winnicott per indicare una situazione
in cui il bambino per compiacere la madre assume atteggiamenti e comportamenti
congruenti con quanto lui pensa che la madre si aspetti da lui. Nel pensiero di Winnicott il
Falso Sé nasce a scopi difensivi: protegge il Vero sé che rimane allo stato di potenziale
sviluppo.
3) Il ricorso a processi di identificazione: in questa fascia d’età sposta il modello di riferimento
dalle figure familiari a figure che appartengono al mondo della scuola.

L’adolescenza
L’adolescenza è un periodo di eventi-stimolo in grado di attivare stati emotivi molto intensi. La
complessità delle dinamiche che vengono ad attivarsi durante tale periodo sono tali che può
verificarsi una destabilizzazione dei processi di regolazione emotiva appena acquisiti. In particolare,
la dimensione della sicurezza va incontro a forti attacchi. L’adolescenza è il periodo del
cambiamento; tali cambiamenti sono di portata molto rilevante, in quanto riguardano il passaggio
da una condizione di bambino ad una di adulto, che comporta assunzioni di ruoli e di comportamenti
totalmente sconosciuti. Tale contesto porta l’adolescente a rivolgersi al gruppo dei pari, vale a dire
persone che sente che stanno provando i suoi stessi turbamenti. Il bisogno di sicurezza si estende
alla ricerca di una stabilità dei livelli di autostima, alla realizzazione di esperienze sentimentali.

INFANZIA FANCIULLEZZA ADOLESCENZA


1-5 ANNI 6-12 ANNI DAI 12 ANNI

Capitolo 7
Il controllo degli impulsi
Aspetti generali
La denominazione controllo degli impulsi si riferisce alla capacità del soggetto di inibire quelle
risposte comportamentali che nei confronti di eventi-stimolo tenderebbero automaticamente ad
esplodere come comportamenti impulsivi. I principali indirizzi teorici che si occupano
dell’argomento sono: la prospettiva psicoanalitica, la prospettiva associazionista e la prospettiva
neuropsicologica.
La prospettiva psicoanalitica
La teoria psicoanalitica, elaborata da Sigmund Freud, comprende una serie di ipotesi volte a spiegare
le forme del funzionamento psichico dell’uomo ed i modi del suo sviluppo.
È il principio del determinismo psichico, in base al quale nulla accade per caso nell’organizzazione
mentale: per quanto un evento possa apparire accidentale o privo di significato, risulta ad un’analisi
più attenta, legato ad eventi o fattori che lo hanno preceduto e che lo spiegano.
Ogni processo psichico può essere compreso secondo i seguenti tre punti di vista: topico, dinamico
ed economico.
1. Il punto di vista topico considera l’apparato psichico come un’organizzazione di diversi
sistemi che, pur essendo collegati tra di loro, assicurano funzioni diverse.
2. Il punto di vista dinamico pone l’accento sull’esistenza di un gioco di forze in costante
interazione tra di loro. Tali forze possono tendere ad una meta comune oppure trovarsi in
contrapposizione, determinando una situazione di conflitto. (conflitto intrapsichico)
3. Il punto di vista economico sottolinea che ogni fenomeno psichico è sostenuto e regolato da
una quantità di energia. Tale energia, che trova origine nel substrato biologico-pulsionale, è
spostabile, può subire variazioni d’intensità, può essere utilizzata per varie funzioni.
Moltissimi esempi clinici sottolineano l’importanza del punto di vista economico per
giungere alla comprensione dell’attività psichica: nella vita quotidiana ogni individuo, che è
impegnato a risolvere pressanti problemi interiori, finisce per avere a disposizione una
quantità di energia molto più ridotta per lo svolgimento di altre funzioni.
La teoria psicoanalitica sottolinea l’importanza dello sviluppo, inteso come un processo di lenta e
graduale formazione, attraverso il quale si viene a delineare una struttura di personalità che nella
fase adulta risulterà relativamente stabile ed unica di quell’individuo.
La concezione psicoanalitica della persona s’incentra sull’interazione organismo/ambiente. Tale
interazione si svolge secondo processi dinamici che si caratterizzano nel corso dello sviluppo con
modalità particolari.
Con l’opera INTERPRETAZIONE DEI SOGNI, Freud mise a punto una prima concezione dell’apparato
psichico, distinguendo tre sistemi o livelli:

 Al livello INCONSCIO appartengono contenuti esclusi dal campo della coscienza, ma che per
altre vie continuano ad esercitare influenza sul funzionamento mentale.
 Al livello PRECONSCIO appartengono quei contenuti che se pur non appartengono alla
coscienza possono essere richiamati alla coscienza stessa.
 Al livello CONSCIO appartengono tutti i pensieri, i ricordi e le azioni di cui l’individuo ha chiara
consapevolezza e percezione.
A partire dal 1920, Freud elaborò una seconda concezione dell’apparato psichico, denominata come
seconda topica o ipotesi strutturale. Questa privilegia il concetto di strutture psichiche, piuttosto
che la raffigurazione spaziale di luoghi psichici distinti. Con l’ipotesi strutturale Freud descrive la
personalità dell’individuo come costituita da tre istanze psichiche: l’Io. l’Es, ed il Super-Io.
L’ES rappresenta il polo pulsionale della personalità, che comprende tutto l’insieme delle energie
pulsionali, sia di tipo libidico che aggressivo. I contenuti dell’Es appartengono puramente alla sfera
dell’inconscio e tendono alla scarica ed al soddisfacimento immediato. Il modo di funzionare dell’Es
viene definito come processo primario, che esprime la naturale prepotenza dell’Es. Si tratta di una
modalità di funzionamento psichico che risulta predominante nei primi stadi di vita, quando il
bambino tende ad agire secondo il principio del piacere, richiedendo un immediato soddisfacimento
delle proprie esigenze.
L’IO rappresenta un’istanza della personalità estremamente complessa ed articolata, che svolge
diverse funzioni. Scopo dell’Io è quello di garantire il successo nel processo di adattamento
attraverso un lavoro di coordinazione e regolazione delle istanze psichiche e del loro rapporto con
la realtà. In questa prospettiva è attribuibile all’Io una funzione prevalentemente organizzatrice, che
si esprime nel mantenere in costante equilibrio le esigenze interiori e le esigenze del mondo esterno.
In tal modo al principio del piacere viene a sostituirsi il principio di realtà con il quale, il bambino,
impara a rinunciare ad un piacere istantaneo che contrasti le richieste ambientali, per raggiungere
un soddisfacimento futuro.
IL SUPER-IO è l’istanza che comprende le funzioni di divieto e sistema di valori. Quando viene
formulata un’idea o compiuta una qualsiasi azione, contemporaneamente viene anche espresso un
parere, un giudizio interiore che può essere di approvazione se l’azione corrisponde al proprio
sistema di valori, o di rimprovero o condanna. Esso potrebbe essere definito come “coscienza
morale”, vale a dire l’insieme di valori, norme, precetti in base ai quali l’individuo dirige il proprio
comportamento e le proprie azioni; se ne differenzia però per il suo carattere prevalentemente
inconscio.
Secondo Freud il Super-Io comprare abbastanza tardi nel corso dello sviluppo, si può dire che si
comincia a differenziare tra i 4-5 anni d’età.
La psicoanalisi si accosta al concetto di personalità. Il termine personalità sottolinea il carattere
stabile, continuo, costante di tale equilibrio tra le istanze psichiche-> può essere definita come il
modo abituale per un dato individuo di organizzare ed armonizzare i compiti e le funzioni tra le
istanze psichiche descritte.
Bisogna tener presente che, secondo Bion, la finalità ultima dell’apparato psichico consiste nel
realizzare il processo di adattamento, il quale implica a sua volta la capacità di modificarsi
parallelamente al variare dei dati ambientali: “apprendere dall’esperienza”

I meccanismi di difesa
L’Io svolge anche attività di tipo inconscio che trovano espressione nei meccanismi di difesa, cioè in
tutti quei processi dinamici tramite i quali esso cerca di reagire al conflitto generato dalle opposte
spinte dell’Es e del Super-Io.
Rappresentano modalità messe in atto dall’Io, in maniera inconscia, per proteggersi da tutto quello
che viene concepito come inaccettabile dalla coscienza. La classificazione dei meccanismi di difesa
dell’Io sono stati particolarmente studiati da Anna Freud. La loro caratteristica fondamentale è
quella di svilupparsi e di funzionare al di fuori della consapevolezza del soggetto ed il loro scopo è
quello di proteggere l’Io contro l’ansia legata a conflitti interiori e con l’ambiente esterno.
Il conflitto rappresenta lo scontro fra due istanze diverse, di cui l’una tende all’appagamento
immediato delle pulsioni e l’altra al contenimento. I principali meccanismi di difesa sono:
1. La rimozione si tratta di un meccanismo fondamentale con il quale vengono respinti e
mantenuti a livello inconscio impulsi e sensazioni sgradevoli
2. La introiezione è un processo attraverso il quale il mondo esterno ed i suoi aspetti
vengono incorporati dall’individuo.
3. La proiezione implica la tendenza ad attribuire propri sentimenti e contenuti psichici
spiacevoli ad altre persone.
4. La negazione consiste nella tendenza a ridurre l’ansia rifiutando il riconoscimento di
realtà esterne spiacevoli fino al disconoscimento dell’esperienza percettiva
5. La forma reattiva: il contenuto temuto e rifiutato di un sentimento viene respinto a livello
inconscio e sostituito inconsapevolmente con quello opposto.
6. La fissazione: consiste nell’arresto ad una delle fasi di sviluppo in quanto il passaggio alla
successiva implica un’angoscia eccessiva.
7. La regressione l’individuo ritorna a fasi antecedenti il suo sviluppo psicologico.
8. Lo spostamento consiste nel trasferire pulsioni mal tollerate verso motivazioni o fantasie
accettabili a livello cosciente.
9. La sublimazione: le energie legate all’appagamento di un impulso profondo vengono
distolte dall’impulso originario e mobilitate verso una finalità socialmente approvata.
10. La razionalizzazione tendenza a proporre spiegazioni eticamente e logicamente
giustificate di certi conflitti o debolezze.
11. L’intellettualizzazione è un meccanismo particolarmente presente nei soggetti con tratti
ossessivi.
Ciascun individuo sembra ricorrere con maggiore frequenza ad un determinato meccanismo di
difesa. In questa maniera, i vari meccanismi di difesa finiscono per determinare il formarsi dei “tratti
del carattere”. Quando però divengono eccessivamente rigidi e ripetitivi, tali meccanismi acquistano
carattere patologico.

La prospettiva associazionista
In accordo ad una prospettiva associazionista, l’appagamento del bisogno, e quindi la riduzione di
uno stato di tensione, rappresenta un rinforzo oltremodo fondamentale nel mantenere il
comportamento messo in atto e nel riproporlo nelle situazioni future. Nel progredire del tempo
molti di questi comportamenti, tuttavia, risultano poco idonei con le esigenze del contesto.
Il controllo degli impulsi si traduce nella scelta di rinunciare ad una ricompensa immediata in
previsione di una ricompensa “ritardata” ma più gratificante. In questa prospettiva il controllo degli
impulsi è il prodotto di un apprendimento che si realizza in accordo alle prospettive associazioniste.
È evidente che per sostituire una ricompensa immediata con una ritardata è necessaria
un’organizzazione maggiormente strutturata dell’apparato psichico. Il riferimento è ad aspetti
complessi ed interagenti, quali:
L’attenzione, intesa come la capacità di tener conto di molteplici aspetti del contesto;
La memoria, riferita sia alla memoria esplicita (ricordo cosciente di esperienze pregresse),
che alla memoria implicita (tracce mnemoniche inconsce di esperienze pregresse)
Il sistema di valori vale a dire l’importanza che il bambino ha imparato ad attribuire a
determinate esperienze;
I tratti temperamentali, rappresentati dalle particolari modalità reattive del singolo soggetto
nei confronti delle novità.
L’APPRENDIMENTO OSSERVATIVO
Con l’apprendimento osservativo enfatizzato da Bandura, si assiste ad una sensibile svolta del
comportamentismo che tende ad individuare nuove forme di “rinforzo”. L’importanza
dell’imitazione nell’apprendimento è stata particolarmente sottolineata nel 1960, in quanto
Bandura ha effettuato numerosi studi per dimostrare gli effetti di un modello sul
comportamento.
Indipendentemente da queste situazioni sperimentali, questa tendenza ad imitare è facilmente
verificabile nei bambini, i quali adottano abitualmente svariati comportamenti che hanno visto
mettere in atto da altre persone. L’attenzione permette di cogliere, non solo i comportamenti
degli altri, ma anche le ricompense e le punizioni che comportano. -> rinforzo vicario.
Il piacere, la soddisfazione, la sensazione di benessere che derivano dall’aver effettuato un certo
tipo di comportamento agiscono, dall’interno nel rinforzare tale comportamento,
indipendentemente dall’approvazione esterna. Questo tipo di rinforzo prende il nome di ->
rinforzo intrinseco o ricompense intrinseche.
probabilmente uno degli spunti di maggiore interesse che emerge dagli studi di Bandura è
l’enfasi posta sui processi che sottendono l’apprendimento per imitazione. In particolare,
sottolinea alcuni aspetti:
Gli uomini sono individui cognitivi, ovvero elaboratori attivi di informazioni, che tendono
a pensare e riflettere sui propri comportamenti e sulle conseguenze che comportano;
I bambini imparano nuove risposte semplicemente osservando il comportamento degli
altri: modelli sociali;
I bambini immagazzinano i comportamenti osservati dal modello come rappresentazioni
mentali, che depositate in memoria vengono recuperate in tempi successivi per fungere
da guida ai tentativi di imitazione;
Le rappresentazioni mentali simboliche possono essere immagazzinate come immagini
caratterizzate da etichette verbali: “non è giusto compiere questa azione!!”
Il bambino è in grado di apprendere osservando semplicemente, ovvero senza agire sul
modello;
Il bambino apprende non solo i comportamenti positivi, ma anche quelli negativi.
Il bambino che ha appreso deciderà in seguito se e quando ripetere quei comportamenti.
La prospettiva di Bandura sostituisce un determinismo ambientale, in cui il bambino era visto
come un recettore passivo degli stimoli, con un determinismo reciproco, che individua il
bambino come fruitore attivo degli stimoli ambientali, stimoli che il bambino seleziona,
elabora e traduce in risposte comportamentali che a loro volta influenzano l’ambiente.
Sia l’approccio psicoanalitico che quello associazionista riescono a definire:
o Quali sono le spinte che inducono il bambino ad agire;
o Quali sono le forze che si oppongono all’appagamento di queste spinte
istintuali;
o Quali sono le strategie volte a mediare tra istanze istintuali ed imposizioni
esterne.
La prospettiva neuropsicologica
La prospettiva neuropsicologica si propone di indagare su cosa succede nell’encefalo in situazioni di
conflitto motivazionale. Pertanto, rientra nel campo delle Scienze Cognitive, che fa rientrare il
controllo degli impulsi nei più generali processi di controllo centrale preposti all’elaborazione
dell’informazione. Tali processi riguardano le modalità con cui il sistema nervoso centrale pianifica
il flusso, lo smistamento e l’analisi dei dati, ottimizzando le prestazioni del sistema.
I cambiamenti si configurano come sfide costanti che il soggetto impara a padroneggiare ed il più
delle volte lo fa in maniera automatica, grazie ad una serie di strategie apprese che non prevedono
più il controllo cosciente. Questo processo di automatizzazione risulta economico in quanto non
impegna la partecipazione cosciente del soggetto, può risultare tuttavia inadeguato per alcune
situazioni problematiche nuove. In questo caso entrano in gioco le FUNZIONI ESECUTIVE, attraverso
le quali il cervello si mette al lavoro per risolvere coscientemente i problemi. Le FE, chiamate anche
funzioni del controllo esecutivo o del controllo cognitivo, si riferiscono a processi mentali top-down
che procedono, cioè, dall’alto verso il basso.
Le funzioni esecutive entrano in campo quando è necessario concentrarsi e prestare attenzione
intenzionalmente all’analisi di una situazione, o alla risoluzione di un problema, o che riguardano
vere e proprie scelte di vita.
Il ricorso alle FE comporta un dispendio di energie mentali. L’orientamento prevalente è che le
funzioni esecutive siano costituite da tre componenti fondamentali, operativamente distinte ma che
lavorano in maniera congiunta, e come tali costituiscono un costrutto teorico unitario. Tali
componenti sono:
 IL CONTROLLO INIBITORIO: si riferisce alla componente specificamente preposta a
controllare, e quindi inibire, quelle risposte comportamentali che potrebbero
risultare non idonee alla particolare situazione in esame. Il controllo inibitorio
prevede di non mettere in atto una risposta che tenderebbe per consuetudine ad
essere mandata in esecuzione in maniera automatica; blocca una risposta impulsiva
per valutarne la sua idoneità.
 LA MEMORIA DI LAVORO da un lato rimanda al concetto di memoria a breve termine,
ovvero ad una traccia mnesica, ad un ricordo che rimane attivo per un tempo
limitato; per un altro può lasciare intendere ad uno spazio di lavoro, ad una scrivania
su cui vengono depositati dei dati. Entrambi questi luoghi comuni sono inadeguati.
Nelle situazioni in cui le funzioni esecutive entrano in funzione, la programmazione
cosciente, accanto all’inibizione delle risposte impulsive, prevede che:

 Vengano definite le finalità;


 Vengano monitorati i risultati dei tentativi messi in atto, rapportandoli alle
finalità;
 Vengano aggiornate le strategie in relazione alle finalità;
 Vengano continuamente rivalutate dinamicamente le finalità, quando tutte le
strategie risultino fallimentari.
Queste funzioni di costante aggiornamento (Updating) rappresentano la memoria di lavoro
 LA FLESSIBILITA’ COGNITIVA è lo Shifting. Lo spostare, il tenere l’attenzione in
movimento, il mutare il fuoco d’attenzione, sono tutte attività che valgono a definire
una flessibilità cognitiva come componente centrale per l’efficacia delle strategie di
risoluzione di un problema. Essa rende capace la possibilità di cambiare la prospettiva
con cui vengono letti i dati contestuali, sia in termini spaziali che logici ed anche
interpersonali.
“Come mi apparirebbe quest’oggetto se lo guardassi da una prospettiva diversa?”

Tra le componenti costitutive le funzioni esecutive, il controllo inibitorio rappresenta


la componente che può rivestire un ruolo chiave nel controllo degli impulsi; il controllo
inibitorio ha un effetto determinante nel:
o Mantenere l’attenzione su un compito in corso;
o Modulare il comportamento per adattarlo alle esigenze del contesto;
o Evitare fughe di pensiero;
o Impedire di dare libero sfogo alle emozioni.
In assenza di controllo inibitorio, la persona sarebbe in balia degli impulsi. Avere la capacità di
esercitare il controllo inibitorio crea la possibilità di cambiamento e di scelta.
Il controllo inibitorio riferito all’attenzione permette di dedicarsi selettivamente ad un compito,
sopprimendo la tendenza a spostare l’attenzione su un altro fuoco d’interesse.
In questa prospettiva il controllo inibitorio va in aiuto all’attenzione selettiva permettendo di essere
concentrati sui soli stimoli importanti. Tale processo assume le caratteristiche di un processo top-
down, cioè che va dall’alto verso il basso.
L’autocontrollo è un altro aspetto che rientra nella funzione del controllo inibitorio. Esso comporta
il controllo del proprio comportamento direttamente (bloccare l’azione impulsiva) ed
indirettamente (attraverso la gestione delle emozioni che tenderebbero ad incidere sul
comportamento). L’autocontrollo, pertanto, è la capacità di resistere alle tentazioni e di non agire
d’istinto. Senza autocontrollo inteso come autodisciplina nessuno giungerebbe al compimento di
un’attività complessa come laurearsi, superare un esame etc. Gli errori dovuti dall’impulsività sono
causati dall’incapacità di aspettare.
Capitolo 8
L’immagine di sé
Aspetti generali
Chi sono? Quanto valgo? Cosa pensano gli altri di me? Cosa penso io di me stesso?
Sono interrogativi costanti che cominciano ad affacciarsi nella coscienza del soggetto
progressivamente, man mano cioè che le competenze cognitive permettono di accedere ad
un’esperienza auto-riflessiva. In particolare, ciò comincia a verificarsi nella fanciullezza, periodo in
cui avviene un salto del pensiero. Tali interrogativi assumono un carattere particolarmente
pressante in adolescenza quando il soggetto accede al pensiero ipotetico-deduttivo.
Concepisce il Sé come “un insieme organizzato di percezioni che la persona individua come proprie”.
Queste percezioni sono spesso contraddittorie in quanto “ciò che mi sento di essere in questo
momento è spesso diverso da ciò che mi sento di essere in un altro momento. Il Sé evolutivo si
riferisce al come prende progressivamente spazio la consapevolezza di sé stessi quale presupposto
per un’esperienza auto-riflessiva del Sé. Nella progressiva acquisizione della conoscenza di Sé, il
bambino passa attraverso una lunga serie di fasi.

LA PRESA DI COSCIENZA DEL CORPO


La presa di coscienza del corpo è un percorso di progressiva scoperta di pezzi, di parziali parti del
corpo che solo in un secondo momento verranno ricomposti in un corpo concepito come un
tutt’uno.
Il bambino è particolarmente attratto dagli stimoli che si riferiscono al volto dell’altro: inizialmente
si sofferma sui contorni e, molto precocemente, avvia un’esplorazione sistematica con l’esame dei
particolari.
Riesce a discriminare, anche se in forma elementare stimoli con caratteristiche differenti nell’ambito
delle abilità sensoriali. Il volto dell’altro diviene una scoperta di “qualcosa simile a me”. In questo
senso sarebbe interpretata la partecipazione del lattante a giochi di imitazione di espressioni
facciali.
Melzof e Collaboratori ritengono che l’aspetto eccezionale dell’imitazione in un’epoca così precoce
risieda nel fatto che il bambino non può effettuare un confronto visivo diretto fra il proprio volto e
quello dell’adulto. Dunque, si può ipotizzare che la capacità originaria di imitare faccia parte della
dotazione innata del bambino. Essa testimonia da un lato, la capacità del bambino di recepire alcuni
stimoli ai quali riserva un’importanza particolare e, dall’altro, l’esistenza di un dispositivo senso-
percettivo-motorio innato capace di entrare in funzione in maniera automatica. Tale sistema viene
attualmente individuato all’interno dei neuroni specchio. Si attivano vedendo l’altro impegnato in
un’azione. La co-attivazione di tali neuroni porta ad assumere le stesse espressioni facciali dell’altro.
L’esame sistematico delle parti del volto e delle modificazioni che continuamente assumono
permettono al bambino di giungere a due importanti conquiste complementari:
 L’identità del volto. La maggioranza degli autori concorda sul fatto che la comparsa del
sorriso sociale, inteso come risposta intenzionale alla vista del volto dell’altro, testimonia
l’avvenuta acquisizione dell’identità del volto.
Con l’acquisizione del concetto di identità del volto, il bambino impara che esiste un insieme di
dati percettivi (occhi, naso, bocca), i quali, anche se variabili nella forma, costituiscono nel loro
complesso un’unità percettiva distinta e definita: il volto umano.
Secondo Renè Spitz il sorriso sociale sarebbe preceduto dal sorriso esogeno. Il bambino non
sorride solo al volto della madre o dei familiari, ma anche ad una maschera che raffiguri in
maniera esplicita i caratteri del volto; ma solo se visti di fronte. È solo in una fase
immediatamente successiva che il bambino non si lascia più ingannare dall’angolazione del
volto. È possibile affermare che all’età di 4 mesi il bambino ha raggiunto l’identità del volto. In
questa prospettiva il sorriso sociale compare quale che sia la prospettiva del volto.
 La costanza del volto. Parallelamente all’acquisizione del concetto di identità del volto, il
bambino impara che uno stesso volto può modificarsi di momento in momento per
assumere aspetti diversi. Mostrare i denti, spalancare gli occhi, corrugare la fronte etc. Il
volto, cioè, può essere apparentemente diverso, ma è sempre volto (costanza del volto) e le
varie modifiche che assume possono e devono avere significati diversi.
La conoscenza del corpo si estende progressivamente alla scoperta degli altri segmenti corporei
attraverso un’esplorazione sistematica che si estende dal volto alle altre parti del corpo. Un
ruolo centrale nell’esplorazione del corpo è svolto dalle mani. La sequenza che si realizza è
grossomodo la seguente:
1. Nel primo mese il lattante porta le mani alla bocca;
2. A due mesi inizia a guardare con interesse le proprie mani;
3. A tre mesi congiunge le mani sulla linea mediana, le guarda e le porta alla bocca;
4. A quattro mesi riesce a tenere in mano un oggetto, lo testa, lo scuote, lo porta alla bocca
assieme alle sue mani e non riesce a discriminare attraverso la conoscenza orale le
sensazioni che derivano dal succhiare e mordere le mani da quelle che derivano dal leccare
e mordere l’oggetto.
Attraverso questo gioco esplorativo, infine, il lattante riesce a capire che l’oggetto è qualcosa di
diverso dalle sue mani.
In questo processo di progressiva scoperta del corpo c’è un momento cruciale, momento in cui il
lattante arriva alla formazione del modello intero del corpo: è la scoperta del corpo. Si tratta di un
primitivo senso di unità corporea, cui il bambino vi arriva un po' per volta, mettendo insieme i pezzi
sparsi.
Lo schema corporeo rappresenta un quadro di riferimento eminentemente topologico, che
permette la discriminazione, il riconoscimento degli stimoli in ingresso, ed insieme la
consapevolezza della posizione del corpo e delle sue parti nello spazio. Lo schema corporeo,
pertanto, va inteso come un’unità che garantisce la sintesi percettiva dei dati provenienti
dall’ambiente interno e da quello esterno e, allo stesso tempo, si pone come premessa
dell’organizzazione dell’atto motorio. Molti Autori ritengono che esso venga acquisito intorno agli
8-9 mesi. Intorno a quest’età le reazioni del bambino di fronte allo specchio risultano vivaci ed
entusiastiche; il bambino ha appena scoperto l’esistenza del corpo e lo vede lì, riflesso nello
specchio. Bisogna precisare che ciò che il bambino vede nello specchio è un corpo, non il suo corpo.
Per quanto riguarda il contributo che lo sviluppo cognitivo può fornire, va segnalato l’acquisizione
del concetto di permanenza dell’oggetto descritto da Jean Piaget. Nei primi mesi di vita, se si
nasconde un oggetto che il bambino stava utilizzando, egli rapidamente demorde, nel senso che
non vedendo più un oggetto attiva l’attenzione su un altro. Viceversa, a partire dagli 8-9 mesi il
bambino va con determinazione a cercarlo, cioè capisce che l’oggetto esiste, anche se lui non lo
vede.
CORRELATI EMOTIVI DI QUESTE PRIME CONQUISTE RELATIVE AL CORPO
Guardare allo specchio e riconoscersi come un’unità, secondo molti autori di formazione
psicodinamica, rappresenta una conferma entusiasmante in quanto permette di risolvere una delle
prime angosce infantili: sensazione di andare a pezzi, in frantumi. A quest’età le cose cambiano: il
bambino non ha più bisogno di essere tenuto insieme dalle braccia della madre per sfuggire a questa
fantasia.
L’AUTO-CONSAPEVOLEZZA
A partire dagli 8-9 mesi comincia ad avviare un lungo periodo di esercizi finalizzati a proporsi agli
altri ed a raccogliere informazioni relative alle conseguenze dei suoi atti.
Si tratta di comportamenti che, in quanto eseguiti su richiesta dell’altro, sono finalizzati a ricevere
la sua approvazione. Il bambino comincia a adottare comportamenti per mettersi in mostra: tali
comportamenti sono definiti reazioni di prestanza (Wallon). Il bambino attraverso tali
comportamenti si esibisce con tutto il suo repertorio di comportamenti che divertono il genitore. Il
significato di tali comportamenti risponde al desiderio di stare al centro dell’attenzione e di piacere
agli altri: il piacere di piacere.
Le sequenze appena accennate aiutano il bambino a rendersi conto di essere in grado di incidere sui
tempi e sui modi delle relazioni e a comprendere che l’agente d’azione è lui stesso con i suoi
comportamenti realizzati attraverso il movimento. In questa prospettiva diventa evidente
l’importanza del contributo delle competenze motorie al percorso di crescita psicologica. Il piacere
di muoversi è tale che lo porta ad allontanarsi dalla base sicura. Viene in questa fase a verificarsi lo
scontro tra due piaceri: il piacere di sentirsi protetto ed il piacere di esplorare e di sentirsi libero. Ciò
è reso possibile dalla sicurezza che il bambino ha che, anche se la madre si allontana, sa di poterla
ritrovare quando vuole. Intorno ai 18-24 mesi avviene la presa di coscienza di sé. A quest’età il
bambino guardandosi allo specchio vedrà riflesso l’involucro che lo contiene: è l’autocoscienza. Il
piacere di piacere comincia ad essere sostituito dal piacere di essere e quindi di proporsi ed imporsi
per affermare la propria volontà.
È la fase dell’opposizione, ovvero si viene a configurare una vera e propria crisi epocale: è
l’adolescenza dell’infanzia.
I bisogni che questa persona esprime non sempre coincidono con l’immagine creata dai genitori.
L’AUTO-CONSAPEVOLEZZA E L’IDENTITA’ SESSUALE
Nel processo di conoscenza di sé il bambino viene a confrontarsi con le caratteristiche del proprio
sesso. Il primo aspetto che deve chiarirsi è che esistono due sessi, il maschile ed il femminile,
identificati in base a delle caratteristiche corporee ben specifiche, che lo portano a capire a quale
sesso appartiene.
Questa capacità di definire il sesso di appartenenza viene definita come identità sessuale, la quale
indica l’esperienza soggettiva del proprio essere sessuati.
Le attuali teorie della sessuologia considerano l’identità sessuale un costrutto multidimensionale
costituito da quattro componenti:

 Sesso biologico, ovvero l’appartenenza biologica al sesso maschile ed al sesso femminile


determinata dai cromosomi sessuali: cariotipo 46, XX o 46 XY.
 Identità di genere, ovvero l’identificazione primaria della persona come maschio o
femmina. Essa si definisce in un periodo che va dalla nascita fino ai tre anni di età. Fin da
quando il bambino concepisce il proprio genere può compiacersene oppure avere delle
resistenze a farlo.
 Ruolo di genere, ovvero l’insieme di aspettative sul come si debbano comportare in base
al periodo storico ed alla religione; ciascuna cultura definisce i doveri, i diritti e gli obblighi
propri di ciascun genere. Gli stereotipi educativi influenzano una serie di scelte educative
durante l’età evolutiva. Già verso i 5 anni il bambino è in grado di riconoscere gli attributi
comportamentali propri di ciascun genere, e solo verso gli 8 anni tali attributi si
consolidano.
 Orientamento sessuale, ovvero l’attrazione erotica ed affettiva nei confronti del sesso
opposto, uguale o verso entrambi i sessi.
L’AUTO-CONSAPEVOLEZZA E L’AUTOSTIMA.
L’autostima può essere definita come la valutazione delle qualità che l’individuo percepisce come
proprie. Si tratta, cioè, di un giudizio qualitativo. Possedere un’autostima alta significa avere
sentimenti positivi circa i propri attributi; possedere un’autostima bassa vuol dire avere scarsa
considerazione di sé e delle proprie capacità.
È evidente che per esprimere un giudizio su sé stesso, la condizione necessaria e indispensabile è
che il bambino abbia raggiunto l’auto-consapevolezza, cioè la capacità di concepirsi come persona.
L’età dei 7 anni indica l’inizio della fanciullezza e viene indicata da alcune scuole di pensiero con un
periodo di quiescenza degli impulsi: il periodo di latenza. Tre sono gli elementi che caratterizzano
questo periodo:
 Il passaggio dal globalismo percettivo al pensiero astratto: il bambino esce dal
linguaggio egocentrico, dal monologo e si sforza di comunicare il proprio pensiero.
 Il passaggio da una morale imitativa ad un codice morale: le norme morali si avviano
in questo periodo ad una sostanziale trasformazione. Diviene particolarmente
importante la congruenza tra gli stili vissuti in famiglia e gli stili percepiti al di fuori
della famiglia. -> presa di coscienza del clima normativo in cui è cresciuto.
 Il passaggio dal clan familiare al gruppo sociale: in questo periodo un altro passo in
avanti è rappresentato dall’immissione in società.
C’è una tendenza ad entrare in relazione con i propri simili, ad entrare in comunità.
La descrizione che il bambino fornisce di sé è molto più articolata e completa; egli
comincia a fornire informazioni sulle proprie qualità interiori. È una capacità che gli
permette di delineare all’età di circa 11 anni, un ritratto di Sé di tipo psicologico.
Un altro aspetto è che la descrizione di sé, in questo periodo, è di tipo comparativo,
ovvero il bambino non dirà mai “sono bravo a scuola”, ma dirà “sono più bravo di …”
Questa autovalutazione si riferisce a varie competenze, le quali possono essere
raggruppate in 4 aree.
1) Competenza cognitiva: si riferisce al concetto che il bambino sviluppa nei riguardi della sua
capacità ad apprendere, di ricordare e di capire;
2) Competenza sociale: riguarda la capacità di riuscire a stabilire validi rapporti interpersonali;
3) Competenza fisica: si riferisce alla capacità di riuscire a competere in maniera soddisfacente
in attività motorie.
4) Competenza generale di Sé: riguarda in maniera più generale il sentimento di padronanza di
sé stesso e la soddisfazione per le caratteristiche che lo definiscono come persona.
È anche vero che i messaggi che gli altri ci mandano non vengono sempre registrati in maniera
fedele; subiscono, cioè, una sorta di rielaborazione soggettiva, con attribuzione di significati non
presenti nel messaggio stesso.
L’AUTO-CONSAPEVOLEZZA E IL CONCETTO DI SÉ
L’immagine di sé, l’autostima definita sono due aspetti che vengono messi in crisi nella fase
adolescenziale. In questo periodo, l’immagine di sé viene sottoposta a brusche sollecitazioni che
minano agli equilibri raggiunti. Ciò sia a causa dei bruschi e rapidi cambiamenti dovuti dalla pubertà,
sia per effetto di nuovi compiti sociali, che impongono all’adolescente l’abbandono definitivo dei
modelli infantili. La ricerca di una propria identità personale e sociale contribuisce a determinare
turbamenti emotivi, che rendono conflittuali i rapporti con sé stesso e con l’ambiente (crisi
adolescenziale). Tale crisi si concluderà nella maggior parte dei casi in un adattamento al proprio
ruolo sessuale e nella ricerca d’amore in individui al di fuori del contesto familiare. L’integrazione
sociale porta l’adolescente ad allontanarsi dalla famiglia per formarsi un proprio sistemi di valori.
L’abbandono delle precedenti identificazioni comporta la ricerca di nuovi modelli che avviene
principalmente nel gruppo.
La vera essenza del percorso di crescita psicologica di una persona è lo sviluppo del concetto di sé.
Tra i vari approcci che hanno mostrato particolare interesse verso lo studio del concetto di sé
abbiamo la teoria del “looking glass self”, ovvero del Sé Rispecchiato di Cooley. Secondo l’autore il
modo in cui ci vediamo non dipende solo da riflessioni personali sulle nostre caratteristiche, ma
anche dalla percezione di come noi siamo percepiti dagli altri. Questa self image si costruisce
attraverso una serie di fasi:
1) Innanzitutto, iniziamo immaginando come noi siamo visti dagli altri
2) Successivamente cerchiamo di capire qual è il giudizio che gli altri hanno su di noi
3) Infine, vediamo e ricostruiamo l’immagine di noi in base al significato che attribuiamo alle
osservazioni ed alle valutazioni che gli altri possono avere di noi.
Un aspetto critico è rappresentato dal fatto che la costruzione del Sé si costruisce dal modo in
cui noi ci prefiguriamo come potremmo apparire agli altri. Secondo Cooley qualsiasi individuo
con cui interagiamo contribuisce a modificare il modo in cui ci vediamo e ci rappresentiamo.
George Herbert Mead, teorizzando lo Sviluppo del Sé, sosteneva che solo alcuni individui
significativi possono avere quest’influenza. Inoltre, Mead pone l’accendo su alcune fasi evolutive
specifiche, anziché su tutto l’arco della vita, quali:
I. Nella prima fase, preparatory stage, i bambini interagiscono con l’adulto attraverso
l’imitazione
II. Nella seconda fase, play stage, i bambini non si limitano più ad imitare, ma iniziano a
comunicare con l’altro attraverso il linguaggio. Ciò facendo i bambini iniziano a prestare
attenzione anche ai comportamenti ed ai pensieri degli altri.
III. Nell’ultima fase, game stage, l’attenzione alle esperienze sociali si incrementa
notevolmente. Le azioni dell’adolescente cominciano ad essere dettate anche dai
principi sociali, dalle aspettative del mondo esterno.
L’IDENTITA’ STABILE
La psicologia sociale pur affermando che un’immagine di sé si sviluppa a partire dall’infanzia, segnala
l’importanza di non considerare questa immagine come non modificabile, ma anzi ritiene che essa
sia sottoposta a continui e ripetuti cambiamenti. Nell’immagine di sé è esso stesso mutevole, nella
misura in cui le relazioni interpersonali sono a loro volta in continuo cambiamento. Non viene
esclusa l’esistenza di un nucleo stabile dell’identità che ci consente di mantenere una determinata
personalità.
Questo processo di auto conferma si realizza attraverso tre strategie orientate a manipolare i
messaggi che l’ambiente ci manda:
Attenzione orientata a conferma dell’immagine che abbiamo di noi stessi: consiste nel
selezionare informazioni, prestando attenzione solo a quelle che confermano l’immagine di
noi stessi.
Interpretazione orientata a conferma dell’immagine che abbiamo di noi stessi: nelle
situazioni in cui l’immagine di noi stessi viene ad essere smentita dagli eventi e accadimenti,
viene adottata una 2interpretazione orientata” dell’evento attraverso un meccanismo di
minimizzazione “tutto sommato l’esame non era così difficile e posso rifarlo”. In essa
rientrano anche quei meccanismi di attribuzione all’altro di finalità e pensieri contrari a quelli
che vuol far credere.
Scelta del gruppo: consapevolmente ed inconsapevolmente si è proiettati a scegliere
compagnie e gruppi che rimandano a pensieri e comportamenti congruenti e vicini
all’immagine di noi stessi. Quindi scegliamo il gruppo di appartenenza che rinforzi la nostra
immagine e che ci mandi feedback positivi.
L’AUTO-CONSAPEVOLEZZA E L’ADATTAMENTO SOCIALE
Lo scoprire che esiste una realtà sociale fatta di persone che agiscono ed interagiscono tra loro in
rapporto a regole definite dal gruppo di appartenenza è un fatto importante nel processo di
adattamento sociale.
L’individuo sente, da un lato, il bisogno di aderire al mondo sociale e, dall’altro, sente l’esigenza di
mantenere la propria libertà e di resistere, quindi, alle influenze esterne. Egli, dunque, si trova
costantemente combattuto tra il bisogno di uguaglianza ed il bisogno di individualità.
IL BISOGNO DI UGUAGLIANZA: il vivere sociale si traduce in tre forme di influenze a cui il soggetto
sente di dover rispondere quale membro del gruppo:
1. L’uniformità: gli uomini sono portati ad avere una condotta uniforme, a condividere cioè
caratteristiche simili agli altri membri del proprio gruppo di appartenenza. I contributi
maturati nell’area di ricerca della psicologia sociale hanno spostato l’attenzione su
diversi fattori “esterni” all’individuo alla base di questa tendenza all’uniformità:
o Le norme sociali, sul rispetto di regole del buon vivere comune, applicate in modo
spontaneo e frutto di insegnamenti provenienti dalla famiglia, dalla scuola etc. il
mancato rispetto di tali norme comporta un’opposizione da parte degli altri
membri del gruppo.
o I modelli di comportamento, gli individui imitano i comportamenti dei loro simili
per evitare un danno o per trarne vantaggio
o Il confronto sociale, il confronto con gli altri soggetti permette di trovare
conferme alle nostre azioni e di dissolvere i nostri dubbi.
o Il confronto verso l’alto. Cerchiamo un confronto con gli è migliore di noi per
migliorare le nostre prestazioni ed i nostri risultati
o Il confronto verso il basso. Cerchiamo il confronto con chi è peggiore di noi per
rassicurarci attraverso chi ha avuto esperienze più negative delle nostre.
2. La conformità: l’individuo cede alle pressioni sociali che lo obbligano ad essere simile agli
altri. È una tendenza naturale che porta l’individuo a conformarsi con le regole del
gruppo, giungendo persino a modificare le proprie posizioni e le proprie abitudini.
3. L’ubbidienza: si verifica quando un individuo si sottopone agli ordini di un’autorità
superiore, che occupa una posizione superiore nella scala gerarchica.
IL BISOGNO DI INDIVIDUALITA’: non tutti gli individui cedono all’influenza proveniente dal mondo
esterno. Esistono infatti diverse forme di resistenza che formano innumerevoli conflitti interni.
Capitolo 9
Gli incidenti di percorso nell’emergenza delle funzioni affettivo-relazionali
Gli “incidenti” sono percorsi inquadrabili come varianti fisiologiche dello sviluppo. Nella prospettiva
di capire meglio la natura del loro sviluppo, anziché i sintomi da curare, risulta utile prendere in
considerazione, separatamente tre fasi dello sviluppo: infanzia, fanciullezza e adolescenza.
L’INFANZIA
Vengono di seguito riportati gli “incidenti” più frequenti riferiti dai genitori:

 DISTURBI DEL SONNO


I disturbi del sonno possono manifestarsi in diversi modi. I genitori spesso si lamentano di una
riduzione complessiva della quantità del sonno. Il bambino si addormenta tardi la sera e si
sveglia presto la mattina. Ciò non rappresenta il problema per il quale viene richiesta una
consultazione medica. La difficoltà nell’addormentamento, per contro, sono vissute come un
problema in cui risulta necessario ricorrere ad una ricostruzione anamnestica relativa alle
routine che si sono venute a creare nel corso del tempo. Nella maggioranza dei casi, infatti, non
vi è alcun disturbo del sonno, ma una serie di cattive abitudini apprese. I frequenti risvegli
notturni rappresentano un problema, non tanto nelle situazioni in cui il bambino si sveglia e poi
si riaddormenta in breve tempo e senza difficoltà, quanto piuttosto quando tali risvegli si
associano a parasonnie. Le parasonnie sono disturbi del sonno episodici caratterizzati da
comportamenti anomali o eventi fisiologici indesiderati. La classificazione internazionale dei
disturbi del sonno, 3° edizione ICDS – III, elenca una serie di condizioni patologiche. Per quel che
riguarda l’età evolutiva le condizioni che assumono particolare rilevanza sono:

 Parasonnie connesse al sonno non-REM: si verificano nel corso della prima parte del
sonno, quando il sonno del soggetto oscilla tra lo stadio 2 e 3. Il soggetto può sembrare
sveglio, ma di fatto dorme e le manifestazioni che presenta possono essere caratterizzate
da:
o risvegli confusionali: episodi di risveglio parziale non associati a deambulazione o
automatismi motori: il bambino sembra sveglio, ma è confuso; emette dei
vocalizzi e può anche parlare, ma è confuso.
o automatismi motori: sono dei comportamenti motori effettuati in maniera
automatica. Tali episodi vengono spesso inquadrati nell’ambito del
sonnambulismo.
o manifestazioni di terrore: sono quelle che mettono maggiormente in allarme il
genitore. La denominazione abituale è quella di pavor nocturnus. Il bambino
improvvisamente sembra svegliarsi e grida, è agitato, ha il volto arrossato, suda.
In tutte le parasonnie non-REM il bambino al risveglio non ha alcun ricordo
dell’episodio.

 Parasonnie connesse al sonno REM: si iscrivono in sindromi complesse di cui ICDS-III


include in tale gruppo gli incubi notturni, le paralisi del sonno, disturbi comportamentali
in sonno REM. Nella fascia di età 2-5 anni le parasonnie ascrivibili sono gli incubi notturni,
che consistono in sogni paurosi spesso di lunga durata, i quali inducono il risveglio del
bambino che ne mantiene un vivido ricordo.
 Altre parasonnie: l’enuresi notturna fa riferimento a bambini che abbiano superato l’età
dei 5 anni ed è il disturbo che porta all'emissione incontrollata e involontaria di urina
durante il sonno pur in assenza di lesioni dell'apparato urinario.
 I disordini del movimento legati al sonno vengono classificati nel modo seguente:
o Sindrome delle gambe senza riposo: i bambini possono presentare
all’addormentamento segni di malessere con movimenti sub-continui delle gambe;
o Disordini da movimento ritmico: rappresentata da movimenti ripetitivi ritmici del
capo, a volte violenti, frequenti in fase di addormentamento;
o Bruxismo: digrignamento dei denti;
o Mioclono notturno benigno dell’infanzia: include le scosse muscolari che possono
presentarsi in corso di addormentamento o anche durante il sonno.
La presenza di disturbi del sonno deve indurre a valutare la possibilità che le irregolarità rilevate
possano rientrare in un disordine maturativo dell’organizzazione dei ritmi del sonno. Risulta
essenziale un’attenta ricostruzione anamnestica in quanto può interessare il regolare sviluppo di
altre funzioni. Nel vissuto genitoriale un bambino che dorme è un bambino sereno, per contro un
bambino che non dorme è agitato ed insoddisfatto.

 DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE
Nel rifiuto del cibo è necessaria un’attenta ricostruzione anamnestica finalizzata a valutare la storia
delle difficoltà dell’alimentazione e le modalità adottate dai genitori per porvi rimedio. Se il
momento dell’alimentazione diviene uno strazio per i genitori comincia a diventarlo anche per il
bambino. Se in base ad un peso corporeo rispondente ai parametri normativi, il bambino assume le
calorie di cui ha bisogno il genitore non deve cercare di farlo mangiare in eccesso. Prendere atto di
tali evidenze è particolarmente utile, in quanto esse possono dar luogo a dinamiche tensive
bambino-caregiver.

 DISTURBI DELL’INTERAZIONE SOCIALE


Si tratta di una serie di comportamenti indicativi di una scarsa disponibilità del bambino a lasciarsi
agganciare in sequenze di interazioni condivise. Es: “presta poco attenzione e curiosità alle persone
presenti attorno a sé”. Tali comportamenti indicano che il bambino non individua l’altro quale
partener privilegiato per la condivisione di interessi ed attività. Nella fascia di età 2-5 anni va
considerata la possibilità che il disturbo sia legato ad una situazione di immaturità definita come
reciprocità sociale: il bambino è poco attento ai bisogni dell’altro, poco aderente alle richieste che
non coincidono con i suoi interessi. È necessario fornire ai genitori suggerimenti psicoeducativi per
evitare che il bambino insista sui comportamenti di evitamento.

 LA DISUBBIDIENZA
Si inserisce in un profilo comportamentale caratterizzato da scarsa aderenza alle richieste dell’altro,
difficoltà di farsi coinvolgere in attività condivise, scarso rispetto delle regole, oppositività. “il
bambino dà il peggio di sé in presenza dei genitori”.
Ciò che può essere concepita come la conseguenza delle intemperanze del bambino è il riscontro di
atteggiamenti educativi inadeguati da parte dei genitori. L’elemento comune in questi
comportamenti è l’incapacità del bambino di dilazionare l’appagamento dei bisogni, di resistere alla
forza degli impulsi. Ciò che colpisce è l’aspetto eccessivo delle risposte; il bambino sembra avere
una scarsa padronanza nella capacità di contenere e gestire le proprie emozioni.
Ubbidire vuol dire essere sensibili all’approvazione dell’Altro, cercare il suo consenso.
LA FANCIULLEZZA
In questa fascia d’età possono fare la loro comparsa nuovi comportamenti che vanno a sommarsi a
quelli precedenti. Un aspetto importante è valutare i contesti in cui essi si presentano: contesto
osservativo (il luogo in cui viene effettuata l’osservazione), contesto familiare, contesto scolastico,
il contesto del tempo libero.

 IL RIFIUTO DELLA SCUOLA


Rappresenta un’evidenza che spesso sconvolge i ritmi organizzativi familiari. Al di là di questo
aspetto rappresenta un segno di malessere emotivo del bambino che attiva nei genitori dinamiche
complesse. Essi sono portati a considerare, da un lato il comportamento del bambino come un
capriccio, dall’altro sono preoccupati circa la probabile presenza di problematiche psicopatologiche.
Il rifiuto scolastico può presentarsi con due diverse modalità di esordio:
1. Rifiuto scolastico ad esordio acuto: il bambino è sempre andato volentieri a scuola, aveva
un rendimento adeguato e partecipava attivamente alle iniziative della scuola. Il rifiuto viene
a verificarsi improvvisamente. Il più delle volte viene a verificarsi in seguito ad un evento
esterno verificatosi o a scuola o a casa, come: atti di bullismo, litigi con compagni di scuola,
condizioni mediche che interessano la famiglia, etc.…
Sotto questo aspetto, una situazione emblematica è la fobia scolare; compare in maniera acuta
verso i 7-8 anni in ragazzini che in precedenza non avevano mai mostrato insofferenza nei
confronti della scuola. Il bambino già la sera prima comincia a preoccuparsi ed a domandare se
l’indomani dovrà andare a scuola. Il disagio scompare nel momento in cui i genitori decidono di
non mandarlo. In questi casi avviene una riattivazione dell’ansia di separazione: l’oggetto
fobogeno non è la scuola di per sé, ma la paura di allontanarsi dall’ambiente familiare.
2. Il rifiuto scolastico ad esordio subdolo: in tali situazioni c’è sempre stata una tiepidezza nei
confronti della comunità scolastica. Il bambino non è mai andato con piacere a scuola. Può
verificarsi in qualsiasi periodo del percorso scolastico. Tali situazioni sono riconducibili a due
profili temperamentali. In un primo profilo l’elemento caratterizzante è rappresentato da
una bassa tolleranza alle frustrazioni, con scarsa disponibilità ad accettare le regole che lo
stare in società comporta. La causa va ricercata in quella dimensione del Neurosviluppo che
riguarda il livello di attivazione e nei confronti degli stimoli. Un secondo profilo
temperamentale mette in risaldo dinamiche completamente diverse, improntate a vissuti di
inadeguatezza, prevalgono elementi di fragilità emotiva, timidezza, insicurezza.
La causa va ricercata in una traiettoria atipica che investe la regolazione delle emozioni e del
comportamento.

 LA TIMIDEZZA
Nel periodo prescolare la presenza di sicurezza in casa porta a sottovalutare gli atteggiamenti che il
bambino adotta fuori dall’ambiente domestico. Spesso è presente una discordanza fra i
comportamenti adottati nei diversi contesti. Gli aspetti rilevanti che si presentano sono: piangere
per futili motivi, avere paura di tutto, non sapersi difendere, e così via.
Si può nascere harm avoidance, cioè timorosi; si può nascere tendenzialmente novelty seeking,
cioè intraprendenti, curiosi. Come per tutti i tratti temperamentali, l’ambiente svolge un ruolo
determinante nel modificare queste naturali tendenze.
Un altro fattore di particolare importanza è rappresentato dal giudizio auto-valutativo che ciascuno
formula su sé stesso. Avere una bassa autostima porta inevitabilmente il soggetto a sottrarsi a prove
o situazioni che richiedono capacità che lui crede di non possedere: il soggetto vorrebbe ma non
può.
Un’ultima dimensione che va presa in considerazione è la Reciprocità Sociale: il bambino presenta
una scarsa motivazione sociale; il bambino potrebbe ma non vuole.

 IL BAMBINO ESPLOSIVO
L’esplosività rende difficile la gestione del bambino: “non sta mai fermo”, “è distratto”. In tali casi
risulta fondamentale valutare il funzionamento mentale del bambino per individuare le dimensioni
affettivo-relazionali emergenti. La funzione che assume un ruolo determinante è quella definita
come controllo degli impulsi e regolazione emotiva. Le esperienze relazionali riescono a far
emergere e a consolidare adeguate strategie per fronteggiare gli impulsi che nascono all’interno
della Persona.
L’ADOLESCENZA
L’adolescenza è una fase sicuramente impegnativa per la Persona che è alla ricerca della sua
identità, del suo ruolo nel contesto sociale. La complessità del periodo è legata alla concomitanza di
profondi mutamenti che investono gli aspetti biologici, psicologici e sociali; aspetti che interagiscono
in maniera dinamica con effetti non sempre prevedibili. Sul piano biologico l’adolescenza è segnata
dalla pubertà, nella quale avviene un’immissione in circolo di ormoni sessuali che stimolano tutti gli
organi e gli apparati del corpo umano. Queste modifiche morfo-funzionali investono anche il
Sistema Nervoso Centrale. I processi di riequilibrio saranno tanto più efficaci quanto più le
componenti di ordine sociale saranno in grado di favorire i processi di integrazione e adattamento.
La rete sociale in questa prospettiva risulta oltremodo importante; è anche vero che determinati
contesti sociali possono influenzare negativamente lo sviluppo psicologico della persona in crescita.
Quanto appena detto rende facilmente prevedibile la comparsa di comportamenti atipici che
mettono in allarme i genitori.

 IL RITIRO SOCIALE.
Consiste nella comparsa di comportamenti tesi ad evitare le situazioni sociali e a chiudersi sempre
più all’interno delle mura domestiche. Nel contesto osservativo il soggetto non mostra segni di ansia
o di tensione, più che altro “sta sulle sue”.
L’adolescenza con i suoi caratteristici mutamenti destabilizza gli equilibri che sottendono le
dimensioni intrapsichiche rappresentate dalla sicurezza, dall’immagine di Sé, dal controllo degli
impulsi e dalla regolazione delle emozioni; soprattutto nelle situazioni in cui tali equilibri erano già
precari.

 COMPORTAMENTI ANTISOCIALI
Si configurano come comportamenti antisociali inequivocabili furti, rapine, stupri etc.
La ricostruzione anamnestica mette in evidenza alcuni tratti temperamentali indicativi di un basso
livello di empatia, di una carenza di rimorso. Il ricorso a comportamenti antisociali può
rappresentare il prodotto di una miscela esplosiva fatta di bassa tolleranza alle frustrazioni,
impulsività, scarsa capacità di prevedere le conseguenze delle proprie azioni.

 DIPENDENZA DA INTERNET E DA ATTIVITA’ ASSOCIATE


Fra i motivi di consultazione specialistica la “dipendenza da internet” rappresenta un
comportamento che preoccupa molto i genitori. Le dipendenze comportamentali ed in particolare
le technological addictions (dipendenze tecnologiche) condividono con le dipendenze da sostanze
una serie di caratteristiche comuni:

 La preminenza o dominanza: sia l’attività che la sostanza dominano i pensieri ed il


comportamento;
 Influenza sul tono dell’umore;
 Tolleranza: è il fenomeno per cui è necessario aumentare progressivamente la quantità di
droga o dell’attività per ottenere l’effetto desiderato;
 Astinenza: si riferisce al malessere psichico che si manifesta quando si interrompe o si riduce
il comportamento o l’uso della sostanza;
 Conflitto: riguarda la presenza di una serie di dinamiche che vengono a verificarsi tra il
soggetto e chi è intorno a lui;
 Ricaduta: esprime l’esigenza di ricominciare l’attività o l’uso della sostanza dopo averla
interrotta.
Il tirarsi fuori dalle relazioni sociali nelle dipendenze comportamentali è secondario all’interesse
preminente per una data attività, che porta il soggetto a disinteressarsi da tutto il resto. Il ritiro
sociale è sotteso dal bisogno primario di evitare le relazioni.
La dimensione che svolge un ruolo fondamentale è quella connessa al controllo degli impulsi, in
quanto l’impulsività è l’elemento centrale dei comportamenti di dipendenza. La regolazione delle
emozioni si pone come un’altra dimensione particolarmente importante. La dipendenza da
un’attività si associa ad una serie di emozioni forti, intense e variegate. L’incapacità di gestirle
espone il soggetto a rimanere intrappolato nell’attività.
Capitolo 10
Le variazioni della struttura familiare
L’adozione
Nell’immaginario collettivo l’adozione è un momento felice, in cui trovano una risposta le
aspettative dell’adottante (che sentono il bisogno di soddisfare il loro desiderio di maternità e
paternità) e dell’adottato (che sente il bisogno di avere una famiglia che gli fornisca cure e affetto).
In realtà, il percorso dell’adozione è caratterizzato da problematiche di diverso tipo che investono
aspetti giuridici e psicologici:
 Iter lunghi che prevedono la valutazione di idoneità della coppia e del bambino da parte di
organi competenti;
 Storie personali caratterizzate spesso da vissuti traumatici (atti di violenza, maltrattamenti,
abbandoni);
 Dinamiche legate alla strutturazione del nucleo nascente. In effetti, nelle situazioni di
adozione, si determinano “necessariamente” dei punti critici che, in termini psicologici, sono
molto rilevanti:
 C’è una persona che rinuncia al proprio figlio (o che, per cause di forza maggiore, è costretto
a farlo);
 C’è una persona (il bambino) che deve elaborare questa rinuncia;
 Ci sono due persone che decidono di sottoporti ad un “giudizio di idoneità” per assolvere ad
un ruolo che viene loro permesso dalla legge e non dalla natura. Considerazioni sull'iter
burocratico connesso all’adozione.
L'adozione può essere definita come "l'istituto giuridico grazie al quale soggetti non riconosciuti
o non educabili da parte dei genitori naturali possono diventare figli legittimi di altri genitori".
L'adozione è disciplinata dalla legge n.184 del 04/05/1983, modificata e integrata dalla legge
n.149 del 28/03/2001. In base a tale legge per poter avviare il procedimento adottivo, la coppia
deve possedere: - certificazione di un matrimonio di almeno tre anni in assenza di separazioni
legali o di fatto; - un'età che deve superare di almeno di diciotto e di non oltre i quarantacinque
anni l'età di chi viene adottato. Il primo momento dell'adozione è rappresentato dalla domanda
di adozione al Tribunale di Minori. A questo punto il Giudice invia i coniugi ai Servizi Sociali delle
ASL, in cui psicologi e assistenti sociali sottopongono la coppia ad un serie di colloqui, che
servono sia a valutare l’idoneità della coppia, sia a favorire una sorta di preparazione psicologica.
Al termine di questa fase la coppia riceve una relazione da consegnare in busta chiusa al
Tribunale dei Minori. Tale relazione descrive il percorso svolto dai coniugi e attesta la loro
"idoneità all'adottare". A questo punto gli organi istituzionali scelgono il bambino più adatto alla
coppia per garantire un corretto inserimento nel nuovo nucleo familiare.

Considerazioni sulle dinamiche della coppia adottante


Per quanto riguarda le dinamiche della coppia adottante, l'elemento più costante è rappresentato
dal ruolo svolto dalla sterilità. Solitamente, sono le coppie sterili che decidono di adottare un
bambino, le quali si aspettano un prodotto perfetto, che possa aiutarli a riparare la loro mancata
capacità creativa. Indipendentemente dalle dinamiche specifiche relative a ciascun genitore,
l’adozione di un bambino rappresenta in ogni caso un momento critico e delicato per la coppia, che
deve riorganizzarsi per includere il nuovo membro nella famiglia. È importante sottolineare che, per
esercitare in maniera adeguata le funzioni genitoriali, è molto importante che il rapporto tra i
coniugi sia positivo. Il rapporto reciproco nella coppia è molto più importante delle caratteristiche
personali: se la madre e il padre si soddisfano e si valorizzano reciprocamente, il bambino
apprenderà validi modelli di interazione e comunicazione tra i sessi.

Considerazioni sulle dinamiche del bambino adottato


Per quanto riguarda le dinamiche del bambino adottato, si riscontra sicuramente una difficoltà
diffusa. Innanzitutto, il bambino adottato, che non conosce le sue origini, ma sa di essere stato
rifiutato dai suoi genitori naturali: - ha difficoltà ad integrare nella rappresentazione di sé il vissuto
di appartenere ad un'unica madre; - viene a mancare di una sicurezza fondamentale per il suo
sviluppo, che riguarda il diritto di possedere la madre. I bambini adottivi, nell'affrontare il passaggio
tra Istituto a casa dei genitori adottivi, devono sostenere un brusco cambiamento e affrontare una
situazione completamente nuova, mantenendo rapporti con oggetti idealizzati nella fantasia ( la
madre naturale idealizzata). Le fantasie forniscono un senso a ciò che il bambino sta affrontando:
se l’evoluzione dell’adozione è favorevole, il bambino disinveste progressivamente la madre
naturale e arriva al principio di realtà secondo il quale è meglio una madre media reale, piuttosto
che una madre perfetta, ma che non c’è. Sul piano comportamentale, l'essere stati abbandonati dai
genitori biologici spinge spesso il bambino adottivo a richiedere la conferma di essere gradito, e
molto spesso assume atteggiamenti provocatori e/o aggressivi come prova di accettazione.

Coppia adottiva e bambino


Un aspetto molto interessante nelle relazioni adottive fallimentari è il segreto delle origini, che non
significa mantenere il segreto sulle origini e sul passato del bambino, ma nel creare una serie di
fantasie attorno alla procreazione. In ogni caso, nel definire il potenziale ruolo dell’adozione come
fattore di rischio, è importante valutare l’atteggiamento dei genitori verso il bambino e soprattutto
il vissuto e l’elaborazione della propria sterilità e dell’illegittimità del figlio. Infatti, in alcuni casi, i
genitori possono utilizzare il bambino per compensare la propria mancanza. I bambini, d’altra parte,
tendono a provare un risentimento ed ostilità nei confronti dei genitori adottivi, ai quali
attribuiscono la colpa delle precoci esperienze di abbandono.

Adozione e rischio psicopatologico


Nel corso degli ultimi decenni si è venuto accumulando un corpo crescente di ricerche in merito alla
personalità dei bambini adottati. La maggioranza delle ricerche sembrano confermare un aumento
della vulnerabilità psicologica associata con l'adozione. È chiaro che non si possono definire quadri
clinici definiti o profili psicopatologici specifici: le famiglie adottive si differenziano per la struttura
del nucleo familiare, per il contesto socioculturale, per le caratteristiche dei genitori; i bambini
adottati, a loro volta, possono avere una serie di variabili diverse (sesso, età, aspetto fisico,
precedenti situazioni carenziali, patologie ecc.) che determinano, nell’incontro con i nuovi genitori,
possibilità relazionali molto varie. In generale, si può affermare che le adozioni danno risultati più
favorevoli se attuate nei primi sei mesi di vita: si garantisce un attaccamento precoce e si riducono
le situazioni di privazione (sistemazione in istituti, cambiamenti di personale). I rischi di disturbi
emotivi e comportamentali sembrano maggiori se l’adozione avviene dopo tale periodo. Fra i quadri
psicopatologici segnalati con maggiore frequenza c’è il Disturbo Reattivo dell’Attaccamento, cioè un
disturbo relativo alla modalità relazionale. La “atipia” della relazione sociale può esprimersi in due
modi:
 Tipo inibito = Incapacità ad interagire e di relazionarsi, manifestando atteggiamenti di
resistenza e di evitamento (es: il bambino può essere freddo o resistente agli atteggiamenti
di tenerezza)
 Tipo disinibito = socievolezza indiscriminata con notevole incapacità di selezionare gli
attaccamenti (es: eccessiva familiarità con parenti lontani ecc.).
Il divorzio
Il divorzio rappresenta oggi una situazione abbastanza diffusa, il cui impatto sullo sviluppo
psicologico del bambino, dipende da numerose variabili: - l'età in cui avviene il divorzio; - le
caratteristiche del suo profilo emotivo di base (autostima, capacità di fronteggiare le difficoltà,
sicurezza ecc.); - la qualità delle relazioni che è riuscito a stabilire, non solo con i membri della
coppia, ma più in generale con le figure dell'ambiente significativo.

Rapporti tra i genitori antecedenti il divorzio


È necessario distinguere il concetto di "divorzio", che è la rottura del vincolo matrimoniale, e quello
di "discordia" che si riferisce alla modalità di interazione familiare che conduce poi al divorzio.
Diversi Autori hanno documentato che il principale fattore di disturbo a lungo termine non è la
separazione stessa, ma la discordia familiare associata alla separazione. Ad incidere, sul vissuto dei
figli è innanzitutto l’intensità delle manifestazioni della discordia ( che possono andare dal completo
disinteresse di ciascun coniuge nei confronti dell’altro, a situazioni di aperta conflittualità o
addirittura alla violenza) e in secondo luogo il coinvolgimento dei figli nelle dispute (i figli, infatti,
possono essere presi come testimoni o ostaggi, possono essere resi responsabili della discordia o
essere complici e confidenti di uno dei genitori).

Rapporti tra i genitori successivi al divorzio


Il periodo che segue il divorzio è una fase critica, sia per i genitori che per il bambino, in quanto
entrambi devono adattarsi ad un nuovo sistema di vita. Anche quando il divorzio è consensuale, c’p
un’asimmetria tra i due membri nella coppia per quanto riguarda la capacità di metabolizzare il
fallimento dell’esperienza matrimoniale. È evidente che, nelle situazioni di discordia, il risentimento
di uno o di entrambi i membri finisce per investire i figli. Al figlio, per esempio, può essere richiesto
di sostituirsi al genitore che non vive più in casa o di prendersi cura del genitore cui viene affidato,
che, dopo il divorzio, può essere andato in contro ad una situazione depressiva. Conseguenze
psicologiche Non esiste una patologia precisa associata alle situazioni di divorzio. Si possono
verificare diversi sintomi (che includono: disturbi del comportamento alimentare (anoressia,
bulimia), disturbi d'ansia insuccesso scolastico, disturbi dell'umore, disturbi della socializzazione
ecc.) che, chiaramente, per essere compresi e affrontati, devono esser letti alla luce di due dati:
 La “realtà”, e quindi le caratteristiche oggettive della situazione, cioè i comportamenti dei
genitori, le dinamiche che precedono e seguono il divorzio e le soluzioni organizzative
adottate; -
 Come il bambino vive la realtà.
Indipendentemente dalle dinamiche specifiche per ogni bambino, il divorzio è comunque vissuto
dal bambino come una minaccia al suo bisogno di sicurezza: egli rinuncia ad una serie di elementi di
riferimento e fronteggia situazioni emotivamente nuove. In effetti il divorzio comporta
inevitabilmente una modificazione della struttura familiare e dei ruoli dei genitori: la madre, di
solito, ottiene l’affido e il padre può vedere il bambino nei tempi e nelle modalità stabiliti dal giudice.
Questo tipo di organizzazione risponde ad esigenze di carattere psicoeducativo: garantire la
prevedibilità dei ritmi, dei tempi e delle relazioni facilita nel bambino i processi di rielaborazione
della “Nuova” condizione di figlio di genitori separati. Inoltre, come accennato precedentemente, il
divorzio porta ad una ri-caratterizzazione dei ruoli parentali: la mamma è solitamente vista come la
“vittima”, che è costretta a farsi carico di tutti gli impegni; il padre è solitamente svalorizzato,
perché, di fatto, non è più lui quello che decide. È per questo motivo che, solitamente, il padre cerca
di mettere in atto atteggiamenti accattivanti e di recupero con comportamenti di “padre-amico”. In
generale, si può dire che se i genitori mantengono tra loro un rapporto amichevole e poco ostile e
se i figli hanno contatti frequenti e costanti con entrambi, gli eventuali effetti negativi si riducono.

Capitolo 11
L’abuso
Problemi di classificazione
Il termine abuso si riferisce, genericamente, a qualsiasi atto di commissione o di omissione in grado
di interferire con lo sviluppo ottimale del bambino. Per approfondire maggiormente il fenomeno, è
utile operare delle classificazioni differenti effettuate a diversi parametri di riferimento. Una prima
classificazione può essere effettuata in base alle caratteristiche dell’atto abusante. In accordo a
questo parametro di riferimento, le situazioni di abuso possono essere suddivise in:
 Atti intenzionali: rappresentati da comportamenti “attivi” ai danni del bambino, che
possono essere di natura fisica (per esempio, percosse) o di natura emotiva (per
esempio, minacce verbali);
 Omissioni (“neglect”): rappresentati dalla disattenzione nel provvedere alle esigenze del
bambino, che possono essere di carattere fisico (es, trascuratezza nell’igiene del corpo)
o di carattere emotivo (es, assenza di atteggiamenti affettuosi).
Una seconda classificazione può essere effettuata facendo riferimento al parametro di
severità. In accordo a questo parametro di riferimento, le forme di abuso possono essere
suddivise in:
 Maltrattamento: che consiste in un atto intenzionale o omissione, perpetrato ai danni di
un bambino da parte di chi si prende cura di lui, si entità tale da determinare danni fisici
o psicologici di entità contenuta;
 Violenza: che consiste in un atto intenzionale o omissione, perpetrato ai danni di un
bambino da parte di chi si prende cura di lui, di entità tale da determinare gravi danni
fisici e profondi traumi psicologici.
Una terza classificazione può essere effettuata facendo riferimento alla natura dell’abuso. In
questo senso l’abuso può essere:
 Abuso fisico: cioè può consistere in atti intenzionali (per esempio, percosse) o omissioni
(per esempio, privazione di cibo) che si traducono in danni di tipo somatico;
 Abuso emotivo: cioè può consistere in atti intenzionali (per esempio, sovraccarico di
cure) o omissioni (per esempio disattenzione nei confronti delle esigenze affettive del
bambino).

L’abuso fisico
Molti studi hanno cercato di mettere in luce le “cause” dell’abuso, ponendo particolarmente
attenzione sulle caratteristiche del genitore abusante. Da questi studi è emerso che l’abuso può
dipendere da tre fattori:
 Dall’esistenza di un più generale quadro psicopatologico (depressione, schizofrenia ecc.);
 Da una modalità reattiva di dinamiche intrapsichiche problematiche e conflittuali;
 Da un comportamento appreso, secondo cui il genitore è abusante perché è stato a sua volta
abusato.
Un’altra area di ricerca tende invece a prendere in considerazione i fattori sociali che determinano
l’abuso (povertà, emarginazione, isolamento sociale). Entrambe queste prospettive, però, risultano
limitative: non si può ricondurre il fenomeno dell’abuso ad un nesso causa-effetto, in quanto l’atto
abusante è il prodotto di un’interazione di molteplici fattori. Pertanto, si è definito, con gli anni, un
modello eziologico di carattere multidimensionale, in rapporto al quale nelle situazioni di abuso
viene a verificarsi la co-presenza di fattori di differente natura. Attualmente, il concetto
maggiormente enfatizzato è quello di vulnerabilità, intesa come un fattore che predispone
l’abusante e l’abusato.

Vulnerabilità relativa al bambino


Alcune categorie di bambino sono particolarmente a rischio di abuso:
 Bambini con handicap => la disabilità di un figlio attiva complesse problematiche nei genitori
che passano attraverso le fasi della disperazione, dell’angoscia e della rassegnazione. I
genitori non riescono, spesso, ad elaborare adeguatamente queste emozioni spiacevoli e le
fanno sfociare in atti di violenza nei confronti del bambino. Spesso, questi genitori, vivono
una ferita narcisistica, secondo la quale il bambino disabile non è altro che la testimonianza
della loro incapacità di mettere al mondo figli belli e sani.
 Bambini i cui tratti temperamentali determinano profili di sviluppo variabili dall’iperattività
o per contro all’inibizione. Nelle situazioni in cui i bambini sono iperattivi, capricciosi o, al
contrario inibiti, i genitori possono attuare dei movimenti reattivi che sfociano in atti di
abuso. Molto spesso entrano in gioco, in queste circostanze, percezioni distorte da parte dei
genitori che interpretano i comportamenti del bambino come sfida alla loro autorità.
Bambini con grave rischio anamnestico => in queste situazioni sono da prendere in
considerazione diverse dinamiche. La prima è il distacco tra il genitore e il figlio in un periodo
determinante per l’attaccamento: il periodo post-partum; la seconda è il senso di
inadeguatezza che provano i genitori nel non essere capaci di provvedere ai bisogni del loro
bambino; la terza è l’incertezza della morte del figlio, che provoca una situazione di lutto
anticipato: i genitori, in pratica, cercano di non attaccarsi al bambino per prevenire la
disperazione nel caso in cui egli dovesse morire.

Vulnerabilità genitoriale
Anche per quel che riguarda i genitori, ci sono una serie di fattori che “predispongono” ad incorrere
in atti abusanti:
L’incapacità alla genitorialità => che si traduce nell’incapacità di sentire empaticamente, e
quindi di comprendere intuitivamente quello che il bambino comunica o quello che sottende
il suo comportamento. Questa incapacità di sintonizzazione empatica può essere ricondotta
in parte ad un tratto “costituzionale”, in parte alla presenza di un quadro psicopatologico,
come la depressione, la schizofrenia o sindromi borderline. In queste situazioni, il genitore
può incorrere in un atto abusante. –
La presenza di un’esperienza di abuso nella storia personale. I genitori che compiono atti di
abuso sui propri figli sono persone che a loro volta sono stati sottoposti ad atti di abuso. Si
tratta di un dato sulla cui interpretazione non c’è un accordo unanime. Per alcuni autori
l’essere stato oggetto di atti di abuso determina nel futuro un genitore con una serie di
disturbi psicopatologici, che possono predisporlo a compiere sul proprio figlio atti abusanti.
Secondo altri autori, l’aver subito atti di abuso può determinare una distorta percezione
delle modalità e delle finalità dell’atto educativo che porta a stili di comportamento atipici.

Situazioni di stress familiare


Numerose ricerche hanno messo in evidenza, poi, che determinate situazioni familiari possono
predisporre agli atti di abuso. Sono esempi le situazioni di isolamento sociale del nucleo familiare,
l’assenza di uno dei genitori, l’esistenza di pressioni di carattere economico, o la presenza di quadri
psicopatologici che interessano uno dei componenti della famiglia.

Fattori socio-culturali
È chiaro che il sistema socio-culturale in cui è inscritto un sistema familiare esercita un pesante
effetto sugli atteggiamenti e sui comportamenti dei genitori. In alcuni contesti socio-culturali, ad
esempio, l’abuso fisico è uno stile educativo accettato e condiviso da quel particolare gruppo
sociale.

A conclusione di questa rapida disamina dei fattori implicati nella genesi dell’abuso va ribadito e
sottolineato un concetto fondamentale: nessuno dei fattori precedentemente esposto, da solo, può
essere considerato causa dell’atto abusante.

La trascuratezza
Anche la trascuratezza è una forma di abuso. Ovviamente la trascuratezza non è un atto intenzionale
(fisico o emotivo) ma una disattenzione e quindi un’omissione da parte dei genitori nei confronti dei
bisogni fisici e affettivi del bambino. A seconda del tipo di omissione che il genitore mette in atto, si
distinguono: -
 Trascuratezza fisica => quando il genitore non provvede alle esigenze nutritive e/o igieniche
del bambino;
 Trascuratezza nelle cure mediche => quando il genitore non sottopone il bambino alle cure
mediche di cui ha bisogno;
 Trascuratezza nella “supervisione” => quando il genitore non opera un controllo sul bambino
per evitare che si faccia male o incorra in traumi ( es: quando un genitore affida ad un
bambino piccolo la custodia del fratellino minore, quando lascia incustoditi detersivi ecc.)
 Trascuratezza educativa => quando il genitore non si preoccupa di inserire il bambino a
scuola, quando non partecipa al suo percorso formativo, quando lo priva delle esperienze
necessarie a favorire la sua crescita psicologica e sociale (feste di compleanno, pratiche
sportive ecc.)
 Trascuratezza emotiva => quando il genitore è disattento ai bisogni affettivi del bambino.

L’abuso sessuale
L’abuso sessuale è il coinvolgimento del bambino in attività sessuali inappropriate rispetto al suo
livello di sviluppo e improprie rispetto al ruolo che occupa nella famiglia. Indica, propriamente, lo
sfruttamento sessuale da parte di un individuo maggiore del bambino per età e per ruolo. Ne deriva
che il bambino diventa vittima impotente in quanto non è in grado cognitivamente (per età e
maturità sessuale) di elaborare realisticamente la situazione e non riesce emotivamente ad opporre
un’adeguata resistenza. Le caratteristiche di quest’atto abusante sono le seguenti: -
 L’atto abusante è di natura sessuale. Il repertorio è variabile e può assumere diversi aspetti:
riferimento ad attività sessuali espresse verbalmente (linguaggio di estrema crudezza
sessuale) o evocate attraverso immagini (riviste pornografiche, esibizionismo); stimolazioni
sessuali espresse attraverso la masturbazione o contatti genitali;
 La vittima è generalmente di sesso femminile (oltre l’80% degli abusi avvengono ai danni di
bambine);
 L’abusante è generalmente una figura di cui il bambino si fida. Le cronache recenti hanno
ampiamente dimostrato che solitamente gli atti di abuso sessuale avvengono all’interno
delle mura domestiche, e quindi si configurano come atti incestuosi.
Da alcune ricerche effettuate in merito, sono emerse una serie di caratteristiche che fanno parte
del nucleo familiare in cui avvengono atti di abuso sessuale: -
 Il padre presenta talvolta chiari tratti psicopatologici (ritardo mentale, disturbi di
personalità, alcolismo). Esistono due categorie di padri incestuosi: quella in cui il padre
si sente vittima della sua stessa perversione, e quindi ha atteggiamenti di tipo depressivo;
quella in cui il padre “giustifica” il suo comportamento sulla base di argomentazioni
teoriche relative al suo “possesso” del figlio.
 La madre molto spesso presenta atteggiamenti o comportamenti di qualità depressiva:
raramente è complice attiva dell’abuso, ma spesso fa finta di ignorare la situazione,
accettandola passivamente;
 Il contesto familiare è generalmente connotato da una situazione di isolamento sociale.

Effetti a breve, medio e lungo termine delle varie forme di abuso

Gli effetti a breve, medio e lungo termine sono diversificati in relazione all’età, al profilo emotivo di
base del bambino, alle caratteristiche dell’atto abusante o della trascuratezza in termini di gravità e
durata. Ci sono, però, delle possibili conseguenze che è opportuno analizzare.

Effetti a breve e medio termine (riferiti, cioè, alla fase dello sviluppo)
 Effetti fisici => per quanto riguarda le conseguenze fisiche degli abusi, esse vanno da semplici
cicatrici fino a deformità permanenti, e variano in relazione alla gravità dell’evento abusante.
Per quanto riguarda gli effetti della trascuratezza, anch’essi possono essere gravi (la
malnutrizione può causare difficoltà nella crescita; le trascuratezze mediche possono
causare infezioni o malattie ecc.) e condurre addirittura alla morte. Per quanto riguarda gli
effetti degli abusi sessuali, ci possono essere lesioni a carico dell’apparato uro-genitale e il
rischio di malattie veneree.
 Effetti sullo sviluppo cognitivo => le situazioni di abuso e di trascuratezza interferiscono in
modo significativo sullo sviluppo cognitivo, traducendosi in ritardi del linguaggio, ritardi
nell’apprendimento scolastico. L’entità di queste conseguenze è correlata all’età e alla
durata degli eventi abusanti o di trascuratezza (quanto più piccolo è il bambino, tanto
maggiori saranno le conseguenze; quando maggiore è la durata degli eventi, tanto maggiori
e durature saranno le conseguenze).
 Effetti emotivi => le conseguenze di carattere emotivo, spesso, non sono eclatanti.
Solitamente esse si riconoscono sul piano comportamentale. Esse sono rappresentate da:
atteggiamenti inibitori, condotte oppositivo-provocatorie, manifestazioni ansiose, difficoltà
di inserimento nel gruppo, cadute prestazionali, che riguardano principalmente gli
apprendimenti scolastici, disordini nel linguaggio, perdita di interessi e mancanza di
iniziativa.
Dal punto di vista clinico, si verificano:
 Disturbo reattivo dell’attaccamento dell’infanzia
 Disturbo post-traumatico da stress
 Disturbo acuto da stress
 Disturbo dell’adattamento
Questi sintomi sono riconducibili ad una disfunzione che investe tre aree critiche dello sviluppo:
 La sicurezza: la sicurezza è quel sentimento di stabilità emotiva derivante dalla maturazione
di alcune certezze interne, per permettono al bambino di affrontare situazioni nuove o
insolite. La sicurezza ha chiaramente a che fare con l’attaccamento e con i processi di
identificazione. Un attaccamento sicuro, che permette al bambino di avere fiducia che la
madre sarà disponibile, presente e attiva nel caso di situazioni spiacevoli, garantirà al
bambino una sicurezza interna che gli consentirà di sentirsi audace nelle esplorazioni del
mondo e capace di interagire con esso. Allo sviluppo del senso di sicurezza contribuiscono
anche i processi di identificazione: mediante l’identificazione con uno dei genitori, il bambino
assimilerà la forza e l’adeguatezza del genitore. È chiaro che se il modello di identificazione
è inadeguato, il bambino si sentirà insicuro e inadeguato. –
 L’auto-controllo: l’autocontrollo è la capacità di rinunciare ad una ricompensa immediata in
previsione di una ricompensa ritardata ma più gratificante. L’autocontrollo è quindi
strettamente connesso all’impulsività: l’impulsività è l’agire di impulso, senza considerare le
conseguenze delle proprie azioni. In questa prospettiva, l’autocontrollo è la capacità di
inibire l’impulsività. L’autocontrollo presenta sensibili modifiche nel corso dello sviluppo, in
rapporto alla maturazione e alla crescita dell’individuo. È chiaro che, a contribuire allo
sviluppo dell’autocontrollo, ci sono fattori neurobiologici, ma anche fattori ambientali, come
il ruolo che il genitore ha nella modulazione dei bisogni del bambino. Dunque, in condizioni
di abuso e/o trascuratezza, laddove viene a mancare il ruolo modulatore dei genitori, il
controllo degli impulsi ha delle disfunzioni: si può verificare una situazione di estremo
autocontrollo, oppure una situazione di bassissimo auto-controllo.
 L’autostima: L’autostima è il giudizio qualitativo che ciascuno esprime su sé stesso, sulle
proprie capacità cognitive, motorie, sociali ecc. lo sviluppo dell’autostima è chiaramente
connesso al ruolo genitoriale: un bambino abusato sviluppa sentimenti di inadeguatezza,
non accettazione e colpa che minano la sua autostima.

Effetti a lungo termine


Gli effetti a lungo termine possono essere espressi da quadri psicopatologici rilevanti, come: disturbi
della personalità, depressione maggiore, abuso di sostanze o severi disturbi d’ansia. Anche quando
non si struttura un vero e proprio quadro patologico, sono comunque presenti problematiche
emozionali ed affettivo-relazionali che condizionano la qualità di vita dell’individuo.

La sindrome di Munchausen per procura


La sindrome di Munchausen per procura, definita anche Disturbo Fittizio per procura, è stata
descritta dal dottor R. Ascher nel 1951. Questa sindrome si caratterizza per la simulazione
intenzionale di segni o sintomi fisici o psichici con la finalità di assumere il ruolo di malato. Per
quanto riguarda la genitorialità, la Sindrome di Munchausen per procura indica quella condizione in
cui un genitore, di solito la madre, “sposta” i suoi comportamenti atipici sul figlio, facendolo
sottoporre a lunghe e rischiose indagini diagnostiche, a causa di presunti sintomi che il figlio
presenterebbe. Il genitore, addirittura, arriva a falsificare i referti medici e, cosa molto più grave, a
provocare i sintomi nel bambino somministrandogli sostanze tossiche. Solitamente, in queste
situazioni, la madre è affetta da un grave disturbo di personalità (per lo più Borderline), in cui
prevalgono meccanismi difensivi come la negazione, la proiezione e la scissione. L’intento di queste
madri è dimostrare di prendersi cura del proprio figlio, mostrano astio nei confronti del marito, che
descrivono come figura assente e disinteressata, e dei propri genitori, giudicandoli inadeguati. I
danni provocati nel bambino sono essenzialmente di due tipi:
 Danni fisici;
 Danni psicologici, legati allo stato perenne di malato che il bambino deve assumere. In effetti
il bambino, per adattarsi all’immagine di sé distorta che gli viene mandata dalla madre,
forma un falso sé e assume il ruolo di malato;
È chiaro che il bambino, per evitare il rifiuto materno, assumono il ruolo di malato identificando la
malattia come “Punizione meritata”. Nel sentirsi colpevoli, si fanno complici e accondiscendenti nei
confronti della madre. Una situazione affine alla sindrome di Munchhausen per procura è quella del
“Dottor Shopping” per procura. In questo caso si tratta di madri estremamente preoccupate, che
sono continuamente alla ricerca di medici che le rassicurino circa lo stato di salute del proprio figlio.
In questo caso le madri si limitano a proiettare le proprie ansie ipocondriache senza simulare sintomi
o falsificare gli accertamenti diagnostici.

Capitolo 12
La malattia cronica e le condizioni associate
Aspetti generali
Una malattia cronica può, nell’età evolutiva, svolgere una notevole influenza sulla strutturazione
della personalità, soprattutto se comporta ospedalizzazione.

L'ospedalizzazione
Il ricovero in ospedale rappresenta per il bambino un'esperienza sconvolgente. Gli aspetti traumatici
dell'ospedalizzazione sono costituiti dal fatto che il bambino viene introdotto in un ambiente a lui
estraneo e costretto a separarsi dai propri familiari. La separazione viene vissuta con sentimenti di
abbandono che incidono sull'equilibrio emotivo del bambino. Numerose osservazioni hanno
dimostrato che la separazione, interagendo con la malattia, accentua lo stress psicologico e le
conseguenze emotive. Nel processo di adattamento durante il ricovero, Robertson ha individuato
tre fasi principali:
 La protesta: è la prima risposta istintiva del bambino che, attraverso il pianto, le urla e il
rifiuto di ricevere attenzioni dal personale sanitario, esprime l'ansia della separazione con la
madre. La disperazione: è indicativa del dolore e del lutto per la perdita dell'oggetto amato.
Il bambino è poco attivo, passa le ore a piangere e si alimenta poco.
 La negazione: si realizza per il trasferimento nell'inconscio della nostalgia per l'oggetto
amato. Il bambino partecipa alla vita del reparto, sembra adattato, si sottopone alle pratiche
mediche e mostra attaccamento alle persone che lo curano.
Ci sono due variabili che incidono sugli effetti dell’ospedalizzazione:
 L’età=> i bambini di 3-4 anni sono più vulnerabili perché sono completamente dipendenti
dai genitori, i quali soddisfano i suoi bisogni non solo biologici ma soprattutto affettivi e
sociali;
 Le caratteristiche della personalità di base del bambino => bambini eccessivamente
dipendenti o emotivamente disturbati hanno razioni più intense durante e dopo
l’ospedalizzazione, mentre bambini bene adattati tollerano meglio il ricovero.

Malattia cronica
È stato osservato che ogni malattia fisica, colpendo un corpo che non esiste come entità isolata,
s'inserisce nella vita psichica del bambino e della famiglia, determinando un perturbamento emotivo
ed una modificazione dei rapporti con l'ambiente. Mentre nelle malattie acute i problemi psichici
sono in secondo piano rispetto alla sintomatologia fisica, in quanto è possibile la guarigione, la
malattia cronica influenza l’assetto psicologico della personalità, apportando stabili modificazioni
nelle relazioni del bambino con sé stesso e con l’ambiente. Essa comporta innanzitutto modificazioni
nelle sensazioni cenestesiche e corporee. Specialmente nella prima infanzia, il dolore fisico,
provocato dalla malattia, altera l'equilibrio tra piacere e dispiacere. Accanto alle alterazioni
corporee si verificano, nella vita del bambino, profondi cambiamenti nelle abitudini, che
comportano rinunce ed adattamenti spesso traumatici: vengono impedite determinate attività di
gioco, modificate abitudini alimentari, la vita quotidiana viene ritmata da nuovi orari e da pratiche
terapeutiche spiaceli. Spesso anche l’ambiente fisico nel quale il bambino si muove è sostituito da
quello estraneo dell’ospedale, dove egli deve vivere da solo con persone che lo sottopongono a
pratiche mediche dolorose. Infine, l’ambiente familiare tende a manifestare intense reazioni di
angoscia e a creare un clima emozionale iperprotettivo. Queste situazioni comportano
generalmente una minaccia all’equilibrio psichico del bambino, generando uno stato di
disorientamento nei confronti del quale l’io si difende con vari meccanismi, quali:
 La regressione che in parte è richiesta dalla malattia, che richiede la delega della gestione
del corpo ad altre persone, in parte è richiesta dal bambino che rinuncia ad alcune
autonomie già raggiunte diventando esigente, lamentoso, dipendente dai genitori in un
modo che non corrisponde alla sua età.
 La negazione, fa sì che il bambino si comporti come se non fosse ammalato; rifiuta la terapia
e si mostra aggressivo nei confronti dell'ambiente. Le reazioni psicologiche alla malattia
presentano dinamiche molto diverse in relazione all’età del soggetto, al tipo di malattia e
alle modalità reattive dei genitori.
Per quanto riguarda l’età, è stato rilevato che, nei primi anni di vita, la malattia generalmente induce
fantasmi di divisione e mutilazione, mentre in età successive provoca dei vissuti di punizione
collegati all’inosservanza dei divieti imposti dai genitori e dalle norme sociali. Via via che cresce, il
bambino prende coscienza della propria diversità e tende ad avere reazioni depressive oppure
comportamenti patologici di tipo fobico-ossessivo o di isolamento. Nel periodo adolescenziale
invece, la vulnerabilità è più accentuata: in questo periodo è maggiore il bisogno di autonomia,
quindi i processi di regressione imposti dalla malattia hanno un effetto destrutturante. Per quanto
riguarda la malattia, i modi di viverla sono chiaramente differenti, in relazione alle diverse
caratteristiche della malattia e alle restrizioni che essa comporta. Ad esempio, il diabete "infanto-
giovanile", richiedendo un costante controllo del cibo ingerito e del materiale eliminato, riconduce
il paziente alle modalità di relazione con la madre tipiche della prima infanzia; oppure le cardiopatie,
per la limitazione delle attività, favoriscono la passività e l’inibizione emozionale ed intellettuale.
Per quanto riguarda l’atteggiamento dell’ambiente, e in particolar modo della famiglia, è stato
dimostrato che c’è un’intima relazione tra la modalità di reazione dei genitori e l’intensità dei
disturbi del bambino. L’attitudine emotiva del bambino è plasmata dall’atteggiamento dei genitori,
e quindi sulla loro capacità di accettare l’handicap del figlio, di dargli motivazioni sufficienti ed
adeguata e di ispirargli fiducia.

I disturbi del neuro sviluppo


La Clinica nell'area disciplinare di Neuropsichiatria Infantile comprende malattie, disturbi e sindromi
quanto mai variabili ed eterogenee. Una possibile classificazione delle situazioni patologiche
riscontrabili nella comune pratica clinica prevede fondamentalmente tre categorie:
o quadri clinici solitamente inclusi nelle Malattie Neurologiche;
o quadri clinici solitamente inclusi nei Disturbi Mentali, tipici dell'adulto, ma che possono
insorgere anche in età evolutiva;
o quadri clinici tipici dell'età evolutiva in quanto ascrivibili a un Disordine del Neurosviluppo.
La scelta di una classificazione di questo genere necessita di qualche chiarimento, soprattutto per
quel che riguarda i termini di Malattia, Disturbo e Disordine. Il significato generalmente attribuito a
questi tre termini è ancora oggetto di discussioni e le precisazioni terminologiche di seguito elencate
dovrebbe facilitare il senso di quanto successivamente verrà esposto.
Il termine Malattia, unitamente a quello di sindrome, appartiene per definizione all'area della
Medicina. La differenza fra malattia e sindrome sta nel fatto che nella malattia, si riesce a definire
la sequenza eziopatogenetica che partendo da una causa nota o fortemente presunta porta
all'espressione dei sintomi e delle alterazioni anatomopatologiche così come appaiono alla
valutazione diagnostica (epatite virale, artrite reumatoide, diabete, atrofia muscolare spinale, ecc.).
Nella seconda situazione, vale a dire nella sindrome, la sequenza eziopatogenetica non è conosciuta,
per cui il termine finisce per diventare un’etichetta descrittiva di un insieme di sintomi che tendono
a presentarsi in una configurazione ricorrente (sindrome influenzale, sindrome da ipertensione
endocranica, sindrome nefrosica, ecc.).
Anche il termine disturbo appartiene all'area medica. In particolare, in Psichiatria, l'aggettivo
mentale va a conferirgli una valenza clinica quale etichetta denominativa di quadri
nosograficamente definiti. Il Disturbo mentale indica, infatti, un quadro patologico con
caratteristiche cliniche e di decorso ben definite, tali da permettere una loro collocazione nei sistemi
di nosografia codificata (WHO 1992 e APA, 2013). L'ultima edizione del DSM-5 ha fornito la seguente
definizione: Un disturbo mentale è una sindrome caratterizzata da un'alterazione clinicamente
significativa della sfera cognitiva, della regolazione delle emozioni o del comportamento di un
individuo, che riflette una disfunzione nei processi psicologici, biologici o evolutivi che sottendono
il funzionamento mentale.

In qualsiasi malattia, sindrome o disturbo che facesse il suo esordio nelle prime fasi dello sviluppo
rientrava in rapporto ad un parametro crono- logico in un Disordine del Neurosviluppo"
Progressivamente si è venuto a definire un nuovo orientamento concettuale, in rapporto al quale la
denominazione di "Disordine del Neurosviluppo" assume un'accezione più si- stretta. Si tratta di
processi ampiamente descritti e sempre meglio approfonditi sia sul piano macroscopico che su
quello microscopico:
• sul piano macroscopico sono da anni documentate le trasformazioni che a partire
dalla formazione della placca neurale nelle prime settimane di vita intrauterina
portano alla complessa conformazione dell'encefalo, con i suoi lobi, scissure, nuclei,
fasci; una conformazione rilevabile già alla nascita;
• sul piano microscopico ed ultrastrutturale le nuove metodologie a supporto della
ricerca forniscono sempre maggiori dettagli relativi ai fenomeni di proliferazione dei
neuroblasti.
Tutti i fenomeni appena descritti sono dovuti all'azione e all'interazione di due forze incontenibili:
la forza delle spinte genetiche, inscritte nel patrimonio della specie e la forza delle spinte ambientali.
La complessità dei fenomeni che si verifica- no nel corso del neurosviluppo rende facilmente
intuibile quanto essi siano esposti all'azione interferente " da parte di una molteplicità di fattori.
Le conseguenze di queste interferenze possono concretizzarsi in due grossi raggruppamenti:
(a) alterazioni; (b) traiettorie atipiche.
(a) Nell'area delle "alterazioni" rientrano tipicamente le Malattie. La Malattia, infatti, è un qualcosa
di "patologico" ' che va ad inter- rompere un percorso "normale" ed è riconducibile a specifiche
alterazioni della trama anatomo-funzionale di base.
(b) Nell'area delle "traiettorie atipiche" rientrano, viceversa, i Disordini del neurosviluppo. Nel caso
dei Disordini del neurosviluppo, infatti, vengono a crearsi "percorsi evolutivi atipici, originali,
immaginabili come connessioni intra e interneurali "diverse" da quelle che abitualmente si
verificano in uno sviluppo tipico.
L'ultima edizione del 2013 (DSM-5), infatti, ha introdotto la meta-categoria dei Neurodevelopmental
disorders, denominazione che è stata tradotta come "Disturbi del neurosviluppo" (DNS). Tra i vari
DNS quelli maggiormente rappresentativi della metacategoria sono i seguenti:
 Disturbo dello Spettro dell'Autismo (ASD: Autism Spectrum Disorder);
 Disabilità Intellettiva, anche se viene espressa una preferenza per la denomina- zione di
 Disturbo dello Sviluppo Intellettivo (DSI);
 Disturbo del Linguaggio (DL);
 Disturbo Specifico dell'Apprendimento (DSA);
 Disturbo di Sviluppo della Coordinazione (DSC);
 Disturbo da Deficit dell'Attenzione/Iperattività (DDAI o ADHD = Attention Deficit with
Hyperactivity Disorder).
Ciascuna Categoria riconosce quale elemento caratterizzante la presenza di sintomi clinici
"'specifici" che valgono a definirne l'autonomia nosografica e come tali vengono definiti "sintomi
nucleari".

Il riferimento ai Disordini del Neurosviluppo e lo spazio loro riservato è legato al fatto che per
definizione queste situazioni sono prese in carico da équipe specialistiche che con dedizione e
competenza si dedicano alla educazione, alla riabilitazione e alla terapia del "disturbo
caratterizzante il quadro clinico attuale".
 Si "cura" 'iperattività nel DDAI,
 si "cura il deficit dell'interazione e della comunicazione nell'ASD,
 si "cura" la disabilità intellettiva nel DSI, si "cura "la compromissione del linguaggio nel DL
 si "cura" la difficoltà di apprendimento nel DSA.
La prospettiva è quella dettata dall'assunto che il disturbo incide negativamente sull'adattamento
del soggetto al suo ambiente, per cui la strada obbligata per favorire l'adattamento e l'inclusione è
quella della "cura" del disturbo. Un aspetto che non viene adeguatamente considerato è quello
relativo al fatto che un bambino con uno dei disturbi appena citati è comunque una Persona che
deve effettuare il suo percorso di crescita psicologica come qualsiasi altro bambino. Viene quindi a
verificarsi il paradosso che il bambino è "penalizzato" in tale percorso non solo dal deficit che
appartiene al disturbo, ma anche alla scarsa considerazione delle sue esigenze come persona in
crescita. L'adattamento emozionale e sociale di una Persona Down da adulto sicuramente sarà
favorito da quanto saremo riusciti a fare per migliorare il suo sviluppo intellettivo, ma dipenderà in
maniera preponderante da quanto saremo riusciti a fare per garantire un'adeguata strutturazione
del Sé. Lo stesso discorso vale per la Persona autistica da adulto o per la Persona disfasica da adulto.
Sulla base di quanto appena accennato ne deriva che il Progetto Terapeutico Personalizzato (PTP)
da introdurre per i soggetti con un Disordine del Neurosviluppo deve tenere un occhio rivolto al
presente e un occhio rivolto al futuro.

Capitolo 13
Il bullismo
Problemi di definizione e classificazione
Il termine bullismo è riferito ad una relazione asimmetrica e oppressiva in cui c’è un persecutore e
una vittima. È un fenomeno molto diffuso, soprattutto nelle scuole, per tanto, si può adottare la
seguente definizione: “uno studente è oggetto di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato,
quando viene esposto, ripetutamente, ad azioni offensive messe in atto da uno o più compagni”. In
effetti, il bullismo può essere perpetrato da un singolo individuo, il “bullo”, oppure da un gruppo di
soggetti, “il branco”; la vittima, allo stesso modo, può essere rappresentata da un singolo studente,
oppure da un gruppo di studenti. Il bullismo può essere:
 Diretto => se si manifesta con azioni offensive dirette nei confronti della vittima (che possono
essere di natura verbale, fisica o gestuale);
 Indiretto => se si manifesta con azioni indirette, ovvero comportamenti tesi ad ignorare,
escludere o isolare intenzionalmente la “vittima” dal gruppo.

Aspetti epidemiologici
Prevalenza
Alcune indagini epidemiologiche effettuate in Norvegia, su un campione di popolazione delle scuole
elementari e medie, hanno messo in evidenza che circa il 15% della popolazione studiata era stata
coinvolta nel fenomeno del bullismo. Un aspetto particolarmente interessante è che il 9% della
popolazione studentesca apparteneva alla categoria delle vittime, il 7% a quella dei “Bulli” ed una
percentuale di circa il 2% apparteneva ad una categoria mista, la quale prevedeva l’assunzione
contemporanea di entrambi i ruoli. Le ricerche condotte in Italia hanno tristemente messo in
evidenza che il fenomeno del bullismo nelle nostre scuole assume stime di prevalenza superiori a
quelle degli altri paesi (42% nelle scuole elementari, 30% nelle scuole medie).

Caratteristiche legate al sesso


Il fenomeno del bullismo è più frequente nella popolazione maschile rispetto a quella femminile, sia
per quanto riguarda la categoria del “persecutore”, sia per quel che riguarda la categoria della
“vittima”. Nella situazione maschio-maschio prevale il bullismo "diretto", che si esprime solitamente
attraverso attacchi fisici nei confronti delle vittime. Nella situazione femmina-femmina prevale,
invece, la forma di bullismo "indiretto". Per quanto riguarda le forme di bullismo "miste": quando il
prevaricatore è una donna (femmina-maschio) prevalgono le forme di bullismo "indiretto"; quando
il prevaricatore è un uomo (maschio-femmina), prevalgono le azioni offensive fisiche o perpetrate
attraverso l'uso di gesti.

Cause e fattori facilitanti


Il bullismo è un fenomeno “complesso”, pertanto non esiste la “causa” del bullismo, ma una serie
di fattori che possono avere un ruolo nel partecipare alla sua insorgenza:
 fattori individuali, legati alle caratteristiche psicologiche del persecutore e della vittima;
 fattori familiari, intesi in termini di dinamiche intra ed interpersonali fra i membri del nucleo
familiare;
 fattori culturali, cioè modelli di comportamento e di stili di vita;
 fattori sociali che includono emergenze socioeconomiche e di emarginazione.
Tuttavia, esistono alcuni tratti fisici e comportamentali che sembrano predisporre il soggetto ad
assumere il ruolo di “persecutore” o di “vittima”.

Caratteristiche della vittima


Sul piano fisico le caratteristiche della "vittima" sono:
 il peso corporeo (obesità o anoressia);
 la statura (molto alta o molto bassa);
 il colore e le caratteristiche dei capelli;
 piccoli dismorfismi del cranio, del viso o del corpo;
Questi tratti predispongono a comportamenti di derisione da parte dei coetanei, ma non
necessariamente sfociano in atti di bullismo. Un ruolo determinate sembra assumere, invece, il
profilo “prestazionale” dell’individuo:
 La goffaggine motoria;
 La mancata padronanza di adeguate competenze linguistiche;
 L’alto rendimento scolastico (secchioni);
Nel complesso, tuttavia, gli elementi che sembrano incidere maggiormente nel determinare una
particolare vulnerabilità sono quelli che appartengono alla sfera affettivo-relazionale: gli individui
vittime di bullismo sono di solito contraddistinti da insicurezza e fragilità emotiva che li portano ad
essere inibiti, passivi e dimessi. Solitamente, essi si configurano come “vittime passive”, cioè come
vittime che non riescono a difendersi. Un altro sottotipo di vittima è la “vittima provocatrice”, che,
anziché mostrare passività, risponde con reattività, ma che comunque non riesce ad arginare gli atti
di prevaricazione del bullo.
Caratteristiche del bullo
Fra gli aspetti caratterizzanti il profilo del bullo è stato messo in evidenza:
 Uno scarso controllo degli impulsi
 Una bassa tolleranza nei confronti delle frustrazioni
 Un umore disforico (passaggi repentini tra rabbia, allegria sfrenata, esaltazione e
depressione)
 Una carenza di empatia (capacità di riflettere sulle emozioni proprie ed altrui).
Questi elementi determinano la presenza di atteggiamenti di sfida nei confronti dell’ambiente che
sfociano nell’atto di bullismo. Il profilo appena descritto viene a collocarsi in una categoria
diagnostica ben definita, indicata con la denominazione di Disturbo della Condotta. Alcuni autori
leggono il bullismo come un atteggiamento "antisociale" che si caratterizza per la mancanza del
rispetto delle regole; altri sostengono che alla base di molti dei comportamenti del bullo esistano
elementi di insicurezza ed ansia, che si esprimerebbero tramite l’aggressività. Vanno infine
considerati i casi di bullismo di gruppo: gli studenti che vi partecipano solitamente assumono un
ruolo passivo (non prendono mai l'iniziativa, ma vengono solo sollecitati dal bisogno di uniformarsi
al gruppo). È presente, in queste situazioni, un vissuto di insicurezza da parte dei partecipanti passivi,
i quali eleggono come punto di riferimento il compagno più forte e più popolare: il bullo.

Caratteristiche delle famiglie


Se alcuni tratti psicologici possono predisporre al bullismo, non si possono non prendere in
considerazioni le caratteristiche delle famiglie, le quali modalità affettivo-educative possono
sicuramente facilitare la definizione di un profilo da vittima o da persecutore. Per quanto riguarda
la famiglia della vittima, dalle ricerche è emerso che esse sono caratterizzate o da atteggiamenti di
forte aggressività, richieste pressanti, regole molto rigide e aspettative non realistiche; o da
atteggiamenti affettivo-educativi iperprotettivi legati ad una fragilità emotiva di fondo. In entrambi
i casi i processi di maturazione e strutturazione del Sé determinano un’incapacità di mettere in atto
adeguate strategie per fronteggiare le difficoltà. Per quanto riguarda le caratteristiche della famiglia
del bullo, possono essere adottate due prospettive di ricerca:
 la prospettiva psicodinamica enfatizza le relazioni “atipiche” che possono riscontrarsi
all’interno di una famiglia, delle quali fanno parte le dinamiche già segnalate per la vittima
(forte aggressività dei genitori o, per contro, atteggiamenti iper-permissivi e iperprotettivi).

 La prospettiva comportamentale-descrittiva enfatizza il comportamento dei genitori, che
verrebbe appreso per imitazione dal bambino.
È chiaro che uno stesso stile educativo o le stesse dinamiche relazionali possono avere un impatto
molto diverso a seconda del bambino (che può quindi venire a profilarsi come vittima o come bullo).
Questo significa che bisogna tenere sempre in considerazione i tratti temperamentali di ciascun
bambino, che determinano le particolari modalità di reagire nei confronti delle sollecitazioni
ambientali.

Fattori sociali
Il fatto che i mass-media, internet e la televisione abbiano posto un’attenzione crescente nei
confronti del fenomeno del bullismo, se da un lato ha ottenuto effetti positivi di sensibilizzazione
del fenomeno, dall’altro ha favorito il dilagare in rete di atti “eccessivi”: sempre più ragazzi mettono
online i video con la propria gesta da bulli (bullismo cibernetico). Questo perché alla base del
bullismo, e del bullo, c’è sempre una componente esibizionistica. Il bullo, soprattutto in età
adolescenziale, utilizza la sua aggressività per esibirsi, auto affermarsi e sfidare le regole.
Effetti a lungo termine
L'evoluzione a lungo termine è variabile. In queste situazioni, entrano in gioco una serie di fattori:
 età in cui si verifica il fenomeno del bullismo;
 il tipo di atto di bullismo
 la durata degli atti di bullismo
 il profilo emotivo di base (che ne condiziona la capacità di elaborare e metabolizzare
l’esperienza traumatica)
Fra le conseguenze a breve termine vanno segnalate le manifestazioni ansiose, con somatizzazioni
(dolori addominali, cefalee, tachicardia); condotte di evitamento, che riducono gli spazi esperienziali
del bambino; cadute del rendimento scolastico; decadimento dell’umore; alterazione del ritmo
sonno veglia (sonnolenza/insonnia) e del comportamento alimentare (inappetenza/voracità). In
alcuni casi questa sintomatologia può assumere una particolare “gravità” e configurare un vero e
proprio quadro clinico, definito con il termine di “Disturbo dell’Adattamento con Umore Depresso”.
Per quel che riguarda l'evoluzione a lungo termine, è stata descritta la comparsa a partire dall'età
adolescenziale di disturbi di personalità, disturbi dell'umore, disturbi d'ansia, disturbi del
comportamento alimentare. In situazioni meno “gravi”, sono stati comunque rilevati tratti di
personalità improntati all’insicurezza e a bassi livelli di autostima. Per quel che riguarda, infine, il
"destino" dei bulli molte ricerche hanno evidenziato la presenza, in età adulta, di problemi
psicopatologici con disturbo di personalità, condotte antisociali, disturbi repressivi, disturbo da
abuso di sostanze ecc.

Il gioco in età evolutiva


Il gioco è in grado di offrire all'esaminatore una serie di conoscenze in merito a diversi aspetti, quali:
 attitudine del bambino a rapportarsi ai giochi (inibizione, eccitazione) e le modalità con
cui li usa (tutti insieme, uno dopo l'altro, etc.);
 la capacità di organizzare il gioco, che indica la maturazione affettiva del bambino ed il
tipo di funzionamento mentale;
 la tematica del gioco (stereotipie, scene d'aggressione, etc.) per il suo alto significato
proiettivo;
 la verbalizzazione che accompagna il gioco;
 l'abilità psicomotoria (armonia dei gesti, modalità di prensione, stabilità motoria);
 la tolleranza alle frustrazioni, che si può rilevare al momento di interrompere il gioco.
Nel complesso, il gioco rappresenta una modalità privilegiata per valutare il livello di sviluppo del
bambino, per conoscere le caratteristiche del suo pensiero e, soprattutto, per accedere al suo
mondo interno. Due aspetti vanno, in particolare, sottolineati:
1. il gioco come strumento per conoscere il livello di sviluppo;
2. il gioco come strumento per capire dinamiche relative al mondo interno del bambino.

Il gioco come strumento per conoscere il livello di sviluppo


Le attività che il bambino svolge nel corso del "gioco" riflettono: le sue capacità di organizzare i dati
percettivi; gli schemi di conoscenza che possiede; il repertorio di "comportamenti" che gli
permettono di agire sulla realtà esterna. In una parola, il gioco traduce il livello di sviluppo cognitivo
raggiunto dal bambino, nella misura in cui, anche per il gioco, è possibile individuare un'evoluzione
sequenziale, per tappe.
Fino all'età di 7-8 mesi il rapporto con l'oggetto, si limita ad un gioco "mani- polativo" mediante il
quale il lattante peraltro estrae i dati rilevanti dello stimolo, in termini di caratteristiche fisiche e
connotazioni emozionali ad esso connesse.
A partire dagli 8 mesi comincia ad impegnarsi in giochi pre-simbolici, nell'ambito dei quali il bambino
si diverte ad agire sull'oggetto (batterlo su un piano, farlo cadere, lanciarlo-raccoglierlo; riempire-
svuotare; etc.).
All'età di 10 mesi fa la sua comparsa il "gioco funzionale" legato all'acquisita capacità del bambino
di riconoscere l'oggetto secondo l'uso.
 Già verso i 10 mesi, infatti, il bambino fa finta di bere da una tazza vuota o di mangiare con
un cucchiaio una pappa inesistente. Si tratta di un tipo di gioco che viene definito funzionale,
in quanto l'oggetto è riconosciuto nel suo uso ed utilizzato per gioco come tale.
 Questo tipo di gioco funzionale molto precocemente subisce un cambiamento, nel senso che
sempre più spesso il destinatario del far finta di diventa un'altra persona o un giocattolo. In
particolare, le bambole si prestano molto bene a questo gioco di simulazione (vestirle,
svestirle, darle da mangiare). Si tratta comunque di un gioco in cui l'oggetto continua ad
essere adoperato secondo il suo vero uso.
 È solo a partire dai 2 anni, grazie alla comparsa della funzione rappresentativa, che nel gioco
di finzione gli oggetti adoperati rappresentano cose completamente diverse (usare una
scopa facendo finta che sia un cavallo o utilizzare un cubo di legno per rappresentare un
gatto ed un altro cubo per rappresentare un topo, etc.).

Verso i 4-5 anni compare il gioco socio-drammatico, nell'ambito del quale il bambino comincia ad
interpretare delle parti o ad assumere ruoli definiti. Ne sono esempi, il giocare a "papà, mamma e
figlio", "maestra e alunni" "dottore e ammalato" guidatore e passeggeri", etc. Al di là degli aspetti
emozionali e relazionali rilevabili nell'ambito di questo tipo di giochi, essi testimoniano la raggiunta
capacità del bambino di "capire" i ruoli sociali, le regole che caratterizzano i rapporti interpersonali,
e di "pensare con la testa degli altri" Sempre in relazione alle conquiste cognitive, a partire dai 7
anni il bambino comincia ad impegnarsi in giochi che hanno regole ben precise: il calcio, i birilli ed
altri giochi simili.

Il gioco come strumento per capire dinamiche relative al mondo interno del bambino
Il significato del gioco infantile è stato sviluppato ed approfondito soprattutto da Melanie Klein che
indicò, nell'analisi del gioco, la tecnica più adatta al bambino; tecnica che permette di individuare i
disturbi affettivi anche nell'età che precede la comparsa del linguaggio verbale.
Il gioco viene in tale prospettiva considerato l'equivalente delle libere associazioni geniale al
bambino. dell'adulto, in quanto esso costituisce un mezzo di espressione fondamentale e congeniale
al bambino.
L'indagine può essere condotta o osservando il bambino che gioca liberamente con giocattoli vari
oppure fornendogli del materiale prestabilito (soprattutto utile è il "metodo dei burattini" della
Rambert, che consiste nell' invitare il soggetto a rappresentare delle scene con dei burattini).
Nel contesto diagnostico, l'osservazione delle modalità attraverso le quali il bambino si muove coi
giocattoli, l'analisi delle sequenze ludiche e dell'organizzazione del mondo rappresentativo, può
fornire indicazioni valide sull'organizzazione psichica ed in particolare su eventuali nuclei
conflittuali, sulla struttura dell'Io e sui meccanismi di difesa.
L'interpretazione è naturalmente psicodinamica, anche se la valutazione del significato del gioco
non dovrebbe mai prescindere dall'analisi del contesto relazionale in cui esso si svolge.
I particolari del gioco non vanno infatti valutati in sé stessi e secondo schemi interpretativi fissi e
costanti, eventualmente di tipo simbolico: uno stesso oggetto può infatti assumere significati
diversi, molteplici e va quindi ricondotto all'ambiente di cui fanno parte il bambino e l'esaminatore.
Un aspetto particolarmente importante è l'atteggiamento che deve assumere l'osservatore
nell'ambito dell'osservazione.
Abitualmente è prevista la partecipazione dell'esaminatore; una partecipazione in- tesa come un
atteggiamento propositivo teso ad incoraggiare l'azione e l'interazione del bambino. Nei confronti
dei bambini più "resistenti" l'esaminatore molto spesso parte da una contestualizzazione di alcuni
comportamenti spontanei del bambino, ripetendoli, ampliandoli e rilanciandoli per creare
un'esperienza di sintonizzazione, quale premessa per avviare un'azione condivisa. Si tratta tuttavia
di una partecipazione che non è mai invadente né direttiva. L'esaminatore si limita a favorire
l'attività del bambino lasciando ampio spazio alla sua libera iniziativa. Bisogna, infatti, tener
presente che quanto più l'osservazione è apparentemente libera, in un contesto relazionale
rassicurante, tanto maggiori saranno le possibilità espressive del soggetto e, quindi, gli elementi che
si riescono a cogliere. Il termine apparentemente viene sottolineato per indicare che,
nell'organizzazione dell'osservazione, nulla è lasciato al caso o all'improvvisazione. In effetti
l'operatore ha uno schema mentale ben preciso che lo guida. La stessa scelta di lasciare "libero" il
bambino di agire e di interagire risponde ad un criterio metodologico inserito in un protocollo
predefinito, in cui le variabili esterne sono controllate attraverso una sorta di standardizzazione
(spazio in cui deve svolgersi l'osservazione, materiale messo a disposizione del bambino, sequenza
delle attività che vengono proposte, etc.).

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