Sei sulla pagina 1di 15

Luca Marconi

DAR SENSO ALLE FORME1

Ritengo che avviare la didattica della forma musicale significhi sviluppare la capacità di cogliere in
un brano ascoltato una certa “relazione di successione” o, come direbbe Imberty (1990, 114), uno
“schema della percezione temporale”. Non è tutto: questa capacità va integrata con altre due, che
sono:
- quella che consiste nel riuscire a distinguere l’una dall’altra le varie relazioni di successione
presenti nei brani musicali;
- quella che consiste nel conoscere e utilizzare i termini ‘tecnici’ usati in ambito musicale per
parlare di tali relazioni.
I bambini e i ragazzi che frequentano le scuole del ciclo primario sono già, almeno in parte, dotati
del primo tipo di capacità, perché hanno imparato a riconoscere diversi schemi di relazioni di
successione quantomeno nelle esperienze ludiche, nelle favole, nei riti familiari e sociali e nei
modelli mass mediali2 che già hanno incontrato e assimilato; sono dunque in grado, senza neanche
pensarci, di proiettare questi schemi sulle musiche ascoltate.
Essi manifestano tale loro capacità in due diversi tipi di interpretazione, con i quali danno senso agli
oggetti musicali.
- Il primo di questi tipi di interpretazione consiste nell’attribuire alcune funzioni al brano
ascoltato reagendo ad esso con un determinato comportamento di risposta (battere il tempo o
ballare, fischiettare o cantare la melodia, modificare il proprio stato d’animo, fermarsi e
concentrarsi sull’ascolto per capire bene di cosa si tratti, ecc.). Questa interpretazione
pragmatica può manifestarsi anche semplicemente nell’interazione verbale: i ragazzi
intervengono nell’ipotizzare scopi e usi possibili di una data musica, in situazioni attuali o
storiche.
- Il secondo tipo di interpretazione corrisponde invece a un gioco simbolico3: consiste
nell’esprimere attraverso vari linguaggi (verbale, motorio, visivo) come ci appare l’oggetto
musicale ascoltato una volta che abbiamo proiettato metaforicamente4 su di esso lo schema
di un’esperienza extramusicale.
In entrambi i processi di attribuzione di senso, ma soprattutto in quello simbolico, emerge, da parte
dei nostri studenti, la capacità di proiettare sulle successioni musicali tre tipi di schemi, ricorrenti
nel loro vissuto:
- gli schemi cinetici, in base ai quali una successione musicale è percepita come se fosse una
successione di movimenti o un percorso motorio, a volte anche realizzato in quanto tale
dall’ascoltatore: slancio, partenza, spostamento, progressione, arrivo, arresto… (vedi Jacques-
Dalcroze 1986, Buzzoni e Tosto 1998, Marconi 2001, 111-128)
- Gli schemi retorici, in base ai quali una successione musicale è colta come se fosse
l’articolazione di un discorso, con premesse, esposizioni di temi, elaborazioni, digressioni,
dialoghi, ecc. (vedi Stefani 1985. 82-84)
- Gli schemi narrativi, in base ai quali una successione musicale è sentita come un racconto, con
personaggi, episodi in sequenza, trasformazioni, antagonismi, ecc. (vedi Marconi 2001, 191-200
e 298-300).
1
Ringrazio Franca Ferrari per aver riletto e rivisto con me il testo.
2
Rifacerndosi al modello della competenza musicale di Gino Stefani (1998), si potrebbe sostenere che la competenza
dei bambini e dei ragazzi nei confronti di molti “schemi della percezione temporale” appartiene al livello della
competenza relativa alle “Pratiche sociali”.
3
Sulla relazione tra l’ascolto musicale e il gioco simbolico, vedi Delalande 1993, 47-48 e 2001, 34-35.
4
Il concetto di “proiezione metaforica” è stato sviluppato in Lakoff e Johnson 1998. Per una sua applicazione allo
studio dell’ascolto musicale, vedi Marconi 2001, 25-28.
I processi d’attribuzione di senso fin qui sommariamente descritti dovrebbero risultare chiari negli
esempi che seguono, che verranno descritti indicando anche alcuni modelli di approccio didattico
mirati a farli emergere e a valorizzarli. In particolare, verranno distinti due livelli rispetto ai quali si
possono sviluppare delle attività didattiche sulla forma musicale, corrispondenti a due tipi di
relazioni di successione presenti in un brano musicale:
- le relazioni di successione parziali, rilevabili considerando solo alcune parti di un brano musicale;
- le relazioni di successione complessive, rilevabili considerando tutto il brano musicale.
Il lavoro sulle relazioni parziali può risultare propedeutico a quello sulle relazioni complessive;
verrà dunque presentato per primo anche in questa sede.

RELAZIONI DI SUCCESSIONE PARZIALI

Con il tema

Leggiamo cos’è un “tema” secondo un vocabolario, ad esempio il Devoto Oli: “Formula che
propone o riassume schematicamente le fondamentali linee di sviluppo di un discorso più ampio”.
Ascoltiamo allora le prime 30 battute del Rondò in La minore KV 511 per pianoforte di Mozart e
chiediamoci qual è il suo tema. Gli studenti non dovrebbero aver dubbi a indicare ciò che si
presenta nelle prime 8 battute.
Domandiamoci anche in che modo un tema qualsivoglia (sia un tema discorsivo che un tema
musicale) sia in grado di “proporre le fondamentali linee di sviluppo” del contesto in cui è inserito.
In risposta, dovremmo poter far emergere fondamentalmente due aspetti:
- la compiutezza: ogni tema è circoscritto, si stacca da ciò che lo precede e lo segue;
- l’identificabilità: ogni tema presenta un insieme finito di caratteristiche che permettono di
riconoscerlo e distinguerlo da altri temi.
Raccogliamo poi una serie di espressioni che indicano ciò che può avvenire al tema nello
svolgimento del discorso linguistico: c’imbatteremo in termini come “esposizione”,
“presentazione”, “elaborazione”, “ripresa”.
Riascoltando l’inizio del Rondò di Mozart, faremo notare agli studenti che tutte queste espressioni
possono essere ben utilizzate per descrivere un brano musicale, e che esse permettono di seguirne
l’ascolto (o la lettura) distinguendovi diverse fasi. Nell’esempio prescelto, osserveremo così che le
prime 8 battute costituiscono una prima fase, corrispondente all’esposizione del tema, mentre le
battute 9-22 sono la seconda fase, corrispondente all’elaborazione di quel tema, e le battute 23-30
rappresentano, con la terza fase, la ripresa del tema.

Per introdurre

Continuando a considerare come comincia un discorso, o anche un evento pubblico (uno spettacolo,
una festa, ecc.), noteremo con i nostri studenti che quella di esporre subito il tema, presentando
senza alcun preambolo il momento più ‘sostanzioso’, non è che una delle soluzioni possibili; in
realtà, spesso si inizia in molti altri modi. Possiamo provare a stilarne una lista, nella quale vale la
pena di inserire esempi come quelli che seguono:
- attirare l’attenzione rompendo il silenzio con segnali clamorosi (squilli di tromba, rulli di
tamburi, colpi di cannone…) o con altre formule di ‘contatto’ (saluti, richieste di silenzio….);
- incuriosire con eventi misteriosi, che non espongono, ma invogliano a rimanere attenti per
sapere come sarà la continuazione (suoni e gesti accennati, atmosfere oscure, confusione,
esitazioni, indugi ecc.);
- presentare uno sfondo, creando l’atmosfera nella quale il tema verrà a inserirsi, riservandone
l’apparizione ad una fase successiva;
- cominciare con pochi elementi, per poi aggiungere altre componenti progressivamente fino a
ottenere il tema (passaggi graduali o irregolari da una presenza minima a una molto più
consistente);5
- intrattenere con qualcosa che, pur non essendo il tema principale, mantiene su di sè l’attenzione
fino alla sua apparizione.6
Lascio al lettore la scelta di partire da questa lista per trovare nella memoria degli studenti degli
esempi musicali corrispondenti alla casistica descritta, o invece di costruire una lista di tipi di
introduzioni musicali man mano, insieme ai ragazzi, ascoltando i primi trenta secondi di tutte le
registrazioni che ci troviamo intorno, in cui l’insegnante avrà avuto cura di inserire occorrenze che
inducano alla rilevazione e al confronto di modelli diversi. Il sinfonismo ottocentesco ne ha per tutti
i gusti e questo “menu di aperitivi musicali” costituisce una divertente chiave di ascolto e di
confronto per assumere contatto, in un colpo solo, con una sfilza di opere colossali. Così, come
esempio di introduzione clamorosa, potremo ascoltare l’avvio del I^ Movimento dell’Eroica di
Beethoven o quello, più ampio, della Sinfonia Praga di Mozart. Un tipico inizio misterioso è invece
quello della Sinfonia Rullo di tamburi di Haydn, mentre una famosissima presentazione dello
sfondo del tema, che prepara l’inserimento del tema stesso a composizione già avviata, è quella del
primo movimento della Sonata Al Chiaro di luna di Beethoven. Rimanendo sempre nel repertorio
beethoveniano, un’introduzione con accumulazione è quella della Nona Sinfonia. Infine, per quanto
concerne l’ultimo modello sopra indicato, si può osservare che tanto il lessico della musica colta
quanto quello della popular music hanno un termine, e dunque un ruolo, per quell’elemento
melodico che, diverso dal tema, viene esposto nell’introduzione fino all’arrivo del tema stesso: in
un caso esso viene chiamato “motivo”, nell’altro “hook” (“gancio”)7. Si possono inoltre distinguere
sommariamente almeno due tendenze assumibili nel realizzare un’introduzione di questo tipo: da
una parte, quella a far ricomparire il motivo/hook iniziale, o quantomeno alcuni suoi aspetti, nelle
parti successive del brano, facendolo così apparire come un’anticipazione, o come uno dei germi dai
quali deriva quanto segue; è ciò che avviene, ad esempio, nel primo movimento della Sonata op.
81a “Gli addii” di Beethoven, ma anche in una canzone come From me to you dei Beatles. Una
tendenza opposta consiste invece nel far sparire il motivo/hook iniziale nel resto del pezzo,
limitando la sua funzione ad attirare l’attenzione all’inizio del brano: è ciò che avviene spesso, ad
esempio, in molti brani di musica techno; in ambito colto questa tendenza è meno seguita, ma può
essere rilevata nel Preludio IX “Hommage à S. Pickwick Esq. P.P.M.P.C.” (nel Secondo volume di
Preludi di Debussy), che si apre con una citazione dell’inno nazionale britannico abbandonata dopo
poche battute e seguita da una continuazione che non appare come una sua elaborazione.
L’attenzione alla forma dell’inizio diventa estremamente importante quando è riferita ai brani
eseguiti dai ragazzi stessi. L’ideazione di un progetto esecutivo, anche se relativo alla più semplice
delle canzoni o dei brani strumentali, è fondamentale perché quell’esecuzione acquisti valore
musicale e spessore estetico, prima di tutto alle orecchie dei suoi protagonisti, e comincia proprio
con la costruzione di rappresentazioni uditive chiare e distinte su come iniziare e come terminare il
pezzo. I modelli dati sopra in lista potranno offrire anche in questo caso validi spunti; possiamo
immaginare un’esecuzione per solista, coro e chitarra di O Bella Ciao in cui, a seconda delle

5
Su qusto tipo di “figura” formale assai stimolanti sono le riflessioni di Sciarrino (1998, 17-58), che distingue due tipi
di passaggio dal vuoto al pieno, rilevabili sia nei fenomeni extramusicali che in musica: da una parte ci sono i processi
di “accumulazione”, che si aggregano caoticamente e in modo eterogeneo caratterizzando sia l’addensarsi della case nel
passaggio dalla campagna alla città o il temporale, che l’inizio della Nona Sinfonia di Beethoven o di Gruppen di
Stockausen; dall’altra vi sono i processi di “moltiplicazione”, crescite ordinate fatte di elementi omogenei percepibili
sia quando si vede formarsi gradualmente una processione che quando si ascolta un crescendo rossiniano.
6
Una lista di “Tanti modi di cominciare” simile a questa, anche se non identica, si trova in Stefani 1985, 53-59.
7
Sul concetto di “hook”, vedi Ferrari 1994 e Agostini e Marconi 2003.
motivazioni emerse in una discussione di gruppo, sia stata scelta una delle seguenti ipotesi di
partenza:
- il canto è preceduto da suoni di bombe e raffiche di mitragliatrici in primo piano
- il canto è precedeuto dalla recitazione del testo bisbigliato in modo quasi impercettibile
- il canto è preceduto da uno sfondo di “suoni del mattino” (uccelli, fronde, gallo ecc.)
- il canto è preceduto dalla chitarra che enuncia l’inizio del suo giro di accompagnamento
- il canto inizia subito, ma molto lentamente e in piano (prima strofa interamente al solista); ad
ogni strofa successiva, si aggiunge una parte del coro e l’esecuzione della scansione incitativa
(Ciao, ciao, ciaociao ciao) si fa più marcata e incisiva
- il canto è preceduto da un’introduzione melodica strumentale (armonica a bocca? melodia
fischiata?) nella stessa scala (anche se non necessariamente nella stessa tonalità)
- il canto è preceduto da .un suono di pianto solo.

Tra le voci

Ascoltiamo l’inizio del II^ Movimento dal Quarto Concerto per pianoforte e orchestra di
Beethoven; non ci vorranno molte sollecitazioni per giungere alla conclusione che si tratta di un
colloquio: l’orchestra enuncia una prima frase e poi si ferma, subentra allora il pianoforte e scatta
subito il parallelo tra la sua alternanza con l’orchestra e il rispetto dei turni nelle relazioni verbali di
botta e risposta. Questa occorrenza costituisce un buon punto di partenza per suggerire agli studenti
l’idea che tra le “voci” percepibili nel corso di un pezzo di musica, anche quando si tratta di musica
esclusivamente strumentale, si possono riconoscere e seguire varie forme di dialogo. Altri buoni
esempi da interpretare (anche aggiungendo movimenti coerenti con le fasi del dialogo) e descrivere:
il duetto tra archi gravi e tromba con sordina nel brano dai Quadri ad un’esposizione di Musorgsky
intitolato “Samuel Goldenberg e Schmuyle”, il movimento lento centrale della “Marcia dei Nani”
dalle Danze norvegesi per pianoforte di Grieg, o i “Colloqui della bella e della bestia” in Ma mere
l’oye di Ravel.

Verso la meta

Facendo leva sulle esperienze motorie dei nostri studenti, è utile invitarli a confrontare casi nei quali
un percorso musicale intrapreso sembra interrompersi ad un certo punto, con altri in cui il percorso
arriva chiaramente a una conclusione. Si può introdurre il termine “cadenza”, spiegando che esso è
solitamente usato per indicare la parte terminale di un frammento di musica, per poi invitare a
riconoscere, confrontando vari tipi di cadenze, i casi in cui ci si trova di fronte ad
un'interruzione/sospensione (e dunque a una “cadenza sospesa o interrotta”), e quelli che invece
forniscono una vera e propria conclusione (e dunque una “cadenza conclusiva o finale”).
Per impostare agevolmente il percorso didattico, è utile far ascoltare dei periodi musicali nei quali
l’antecedente e il conseguente iniziano allo stesso modo, ma terminano l’uno con una cadenza
sospesa e l’altro con quella finale, così come avviene nell’ “Inno alla gioia”, in Oh Susannah e in
tanti altri esempi, anche afferenti a diversi repertori.
Si può fare il confronto con i videogiochi, nei quali l’occhio segue il movimento di un oggetto sullo
schermo misurando continuamente i suoi avvicinamenti o allontanamenti rispetto ad un punto
d’arrivo; è possibile fare più o meno la stessa cosa con l’orecchio ascoltando un movimento
musicale. Un buon …audiogioco per cominciare può essere il primo preludio del primo libro del
Clavicembalo ben temperato di Bach.
RELAZIONI DI SUCCESSIONE COMPLESSIVE

Forme strofiche e non strofiche

Facciamo ascoltare ai nostri studenti Schiarazula Marazula di Mainerio e la Danza Ungherese tratta
dal Lago dei cigni di Caikovski.
Raccogliamo innanzitutto le proposte di movimento che vengono in mente ascoltando queste
musiche. Nel primo caso, qualcuno suggerirà movimenti ciclici o periodici, quali quelli di una ruota
o di un girotondo. Nel secondo caso, forse si penserà ad un gruppo di persone che avanzano insieme
dapprima marciando, poi camminando e infine correndo, lungo un percorso il cui punto di partenza
è diverso da quello di arrivo.
Se poi volessimo mettere delle parole a queste melodie, che tipo di testi potremmo immaginare? Per
la danza di Mainerio, forse, una poesiola in forma di filastrocca, o una formula magica, in cui strofa
dopo strofa si ripete sempre la stessa tiritera. Sulla musica di Caikovski, invece, si potrebbe
costruire un discorso in prosa, all’inizio altisonante, poi con toni patetici e infine entusiastico.
E se volessimo far coincidere a ciascun brano un racconto? La prima musica farà forse venire in
mente una storia infinita del tipo “C’era una volta un re, seduto sul sofà, che disse alla sua serva
“Raccontami una storia” e la storia incominciò: “C’era una volta un re, seduto sul sofà, ecc. ”. Dalla
seconda potrà invece uscire una storia con lo stesso inizio solenne (c’era una volta un re), ma con
una continuazione molto diversa, prima triste, poi con un lieto fine travolgente.
Queste differenze possono essere ricondotte al fatto che la danza di Mainerio ha una forma
“strofica”, cioè prevede la continua ripetizione di una certa successione dotata di un’ampiezza che
valica l’istante (la durata della memoria a breve termine), e quella del Lago dei cigni no. Ecco che
siamo passati da un’interpretazione simbolica (i movimenti ciclici, le poesie strofiche e i racconti
circolari da una parte e i movimenti unidirezionali, la prosa e i racconti terminativi dall’altra) ad un
discorso analitico ‘alfabetizzato’. Fondamentale per approfondire questa distinzione è il passaggio
ad un’interpretazione pragmatica: a cosa servivano Schiarazula Marazula e la Danza Ungherese al
tempo in cui sono nate? E oggi, cosa ci invitano a fare?
Anche senza fornire i titoli o qualsiasi altra imbeccata, tra gli studenti dovrebbe emergere l’idea che
si tratta di musiche per la danza. Provando ad ideare delle coreografie per l’uno e per l’altro brano,
risulterà palese una delle principali funzioni che da sempre la forma strofica ha soddisfatto: quella
di facilitare l’organizzazione e la memorizzazione dei movimenti coreutici consentendo di ripetere
più volte una medesima successione di passi e figure.
Trasferendo la riflessione alle funzioni della musica vocale, noteremo che i canti strofici sono per
l’ascoltatore più memorizzabili di quelli non strofici. Inoltre, l’organizzazione metrica costante di
strofa in strofa crea la possibilità della previsione: risulta pertanto più funzionale non solo alla
sincronizzazione motoria, ma, in generale, alla coordinazione (anche emotiva) tra esecutore e
ascoltatore.
Quanto detto sull’opposizione tra forma strofica e forma libera (si potrebbe, sulla scorta del
musicologo tedesco Besseler, parlare di forme musicali poetiche in un caso e prosastiche nell’altro)
dovrebbe servire a comunicare agli studenti l’idea che la scelta anche inconsapevole, da parte di un
compositore, di adottare un certo modello formale piuttosto che un altro non va considerata solo
come la partecipazione a un gioco di regole, con un compiacimento ‘virtuosistico’ (mostrare di
saper usare una certa forma “a regola d’arte”) fine a se stesso, ma corrisponde invece anche
all’intenzione (anch’essa, spesso, inconsapevole) di adempiere a una certa funzione piuttosto che ad
altre possibili, invitando gli ascoltatori a vivere un dato tipo di esperienza (simbolica, o emotiva, o
motoria, ecc) difficilmente assumibile di fronte ad altre forme.

Ritornelli, Barform e strofe incrementate


Una delle capacità musicali di cui gli studenti sono solitamente già dotati, come conseguenza delle
loro abitudini d’ascolto, consiste nel saper individuare il ritornello di un canzone.
Supponiamo di aver già fatto rilevare che Ancora tu nell’universo è una composizione strofica; se
chiediamo quale sia il suo ritornello, gli studenti non avranno dubbi nell’indicare la parte che inizia
con le parole “Tu, tu che sei diverso”. Potremo allora far notare che il termine “strofa” viene usato
in musica con due accezioni diverse: in primo luogo, per indicare tutta la parte musicale di una
forma strofica che in essa viene ripetuta; secondariamente, per indicare, in una canzone dotata di
ritornello, la parte che si alterna a tale ritornello.
Ma cosa distingue la strofa dal ritornello? Qualcuno risponderà immediatamente che nel ritornello
si ripetono sempre le stesse parole, mentre, nella strofa, le parole cambiano di volta in volta. E’
opportuno allora far notare che questa non è l’unica differenza. Basta riflettere sul nostro
comportamento durante l’ascolto; possiamo assumere di nuovo ad esempio Ancora tu nell’universo,
oppure un brano più classico, come Azzurro: durante l’ascolto della strofa, il nostro comportamento
è più distaccato e si limita, tutt’al più, a raccogliere informazioni utili a capire il senso dell’evento
musicale in corso. Sembra che la strofa non faccia che preparare l’arrivo del motivo clou del
ritornello8, in corrispondenza del quale cresce, di norma, la densità emotiva della nostra
partecipazione, tanto da unirci al canto della voce che avvertiamo in primo piano,
immedesimandoci col personaggio rappresentato. Per invitare a compiere questo cambiamento di
comportamento, le caratteristiche musicali di strofa e ritornello di solito sono assai diverse. La
melodia della strofa non deve distogliere troppo l’attenzione dalle parole ed è più simile alle curve
prosodiche che la nostra voce realizza nel parlato emotivamente ‘neutro’; anche la durata
complessiva del testo cantato non è troppo diversa da quella dello stesso testo se fosse solo parlato.
Il ritornello, invece, per risultare momento clou del brano, è più cantabile9, ha di solito un profilo
melodico complessivo più marcato, si articola in motivi melodici più incisivi, si caratterizza per
un’espressività più enfatica, una scansione ritmica del testo verbale più poetica e misurata rispetto
a quella prosastica del parlato, una organizzazione dinamica e timbrica più vivide di quanto non
accada nella strofa.
Alla luce di tale distinzione, possiamo allora far ascoltare agli studenti le musiche (senza le parole)
di alcune canzoni e di alcuni Lieder con ritornello (ad esempio, Heldenroselein di Schubert),
chiedendo loro di distinguere il ritornello dalla strofa.
Ci si può poi domandare se tutte le musiche con forma strofica siano organizzate in base
all’alternanza di una strofa e un ritornello: ascoltando una canzone come Geordie nella versione di
De Andrè o un Lied come An Silvia di Schubert si riscontrerà la presenza della forma strofica, con
le parole che cambiano di strofa in strofa, ma senza che appaia un ritornello. Si potrà anche far
emergere la differenza di funzione tra le musiche di questo tipo e quelle col ritornello: se la
presenza di un refrain con motivo clou invita ad un ascolto più ‘partecipativo’, anche dal punto di
vista della densità emotiva dell’ascolto, la sua assenza porta invece a concentrare l’attenzione sulle
parole ascoltate: non a caso, la forma strofica senza ritornello riconoscibile in Geordie caratterizza
la stragrande maggioranza delle ballate, cioè delle canzoni narrative, della nostra tradizione.
Non solo; un modello di forma strofica senza ritornello piuttosto noto agli studenti è quello che si
trova in molti blues: ad esempio, Outlaw Blues10 di Bob Dylan. In essi, la melodia di ogni strofa è
articolata in tre fasi: le prime due sono identiche o molto simili (se il brano è vocale, hanno anche le
stesse parole), mentre la terza, che conclude la strofa, è diversa (in genere, la parte finale della terza
fase rima con quella delle due precedenti).

Ain’t it hard to stumble


and land in some funny lagoon
Ain’t it hard to stumble

8
Sul ritornello come momento clou della canzone, vedi Fabbri 2001, 553-561 e Agostini e Marconi 2003.
9
Sulle caratteristiche che rendono una musica “cantabile”, vedi Stefani e Marconi 1992, 13-26.
10
Questo brano si trova nella raccolta di canzoni di Bob Dylan intitolata Subterrean Homesick Blues.
and land in some muddy lagoon
Especially when it’s nine below zero
And three o’clock in the afternoon

Si può far notare che, molto prima dei blues, questo tipo di organizzazione, chiamata in inglese “bar
form”, si trovava già in molti altri repertori storici e di tradizione, per esempio nelle canzoni dei
Minnesanger.
Infine, rileveremo l’esistenza di un modello particolare di forma strofica senza ritornello, in cui le
strofe risultano progressivamente incrementate. E’ il caso di esempi celebri come Nella vecchia
fattoria o Alla fiera dell’est, che prevedono un incipit fisso, ma l’aggiunta di un nuovo frammento
ad ogni strofa successiva. La presenza di forme di questo tipo nei repertori di canto infantile di
moltissime tradizioni (i due esempi ricordati appartengono l’uno al folclore statunitense, l’altro a
quello ebraico) sta a testimoniare un collegamento tra la forma musicale e le sfide cognitive (o
affettive) proprie di determinate tappe dell’età evolutiva: in questo caso, lo sviluppo della memoria
verbale e della capacità di organizzare sequenze ordinate ed enumerazioni sempre più lunghe che si
manifesta, all’incirca, tra i cinque e i sette anni.

Ipotassi e paratassi

Anche le forme musicali non strofiche, come quella della Danza Ungherese di Caicovski sopra
citata, possono essere osservate, descritte ed utilizzate a partire dal senso ad esse attribuito.
Si può cominciare chiedendo agli studenti di cercare, tra le musiche che ascoltano più spesso, degli
esempi di composizioni non strofiche e di portarne in classe la registrazione. Li possiamo aiutare
suggerendo un brano techno, o una canzone come Vorrei dei Lunapop.
E’ possibile esercitarsi a descrivere questi due brani come se fossero dei discorsi; allo scopo, è utile
far prima confrontare due esempi di forme discorsive, tratte dagli Esercizi di stile di Queneau
(tradotti da Umberto Eco): la stessa vicenda è riferita in due modi molto diversi.

1
Ho l’onore di informare la S.V. dei fatti sotto esposti di cui ho potuto essere testimone tanto imparziale
quanto orripilato. In questa stessa giornata, verso mezzogiorno, mi trovavo sulla piattaforma di un
autobus che andava da rue de Corcelles verso place Champierret. Detto autobus era pieno, anzi più che
pieno, oso dire, perché il bigliettaio aveva accolto un sovraccarico di numerosi postulanti, senza valide
ragioni e mosso da una eccessiva bontà d’animo che lo portava oltre i limiti imposti dal regolamento e
che pertanto rasentava il favoritismo. A ogni fermata il movimento bidirezionale dei passeggeri in salita e
in discesa non mancava di provocare una certa ressa tale da incitare uno di detti passeggeri a protestare,
anche se con qualche timidezza. Devo riconoscere che detto passeggero andava a sedersi non appena
rivelatane la possibilità.
Mi si consenta di aggiungere al mio breve esposto un particolare degno di qualche rilievo: ho avuto
l’occasione di riconoscere il sopra menzionato passeggero qualche tempo dopo in compagnia di un
personaggio non meglio identificato. La conversazione intrapresa dai due con animazione sembrava
vertere su questioni di natura estetica.
In considerazione di quanto sopra descritto prego la S.V. di voler cortesemente indicarmi le conseguenze
che debbo trarre dai fatti elencati e l’atteggiamento che Ella riterrà opportuno che io assuma per quanto
concerne la mia successiva condotta. Nell’attesa di un cortese riscontro alla S.V. i sensi della mia
profonda considerazione e mi dico con osservanza….ecc.ecc (Queneau 1983, 47).

2
Psst! Ehi! Ah! Oh! Uhm Ouf! Eh! Toh! Puah! Ahia! Ouch! Ellalla’! Pffui! No!? Sì? Boh! Beh? Ciumbia!
Urca! Ma va! Che?! Acchio! Te possino! Non dire! Vabbé! Bravo! Ma no! (Queneau 1983, 219).
Il primo caso esemplifica i discorsi “ipotattici”, nei quali le unità presenti sono sottoposte ad una
gerarchia “forte”11 di livelli: ad un primo livello, le unità più brevi (le parole) sono organizzate sulla
base della sintassi delle unità che le contengono (le frasi). Queste, a loro volta, si relazionano in
base ad un secondo livello di organizzazione sintattica, che prevede un’introduzione (la prima
frase), un’esposizione dei fatti principali (dalla seconda alla quinta frase), un’aggiunta di altre
annotazioni (comprendente la sesta e la settima frase) e un commiato finale (le ultime due frasi).
Il secondo caso esemplifica invece i cosiddetti discorsi “paratattici”, articolati in unità (qui, solo
interiezioni) accostate l’una all’altra sullo stesso livello e non sottoposte a unità più ampie di un
altro livello12 (la gerarchia di livelli è “debole”).
Sulla base di questi esempi, i ragazzi dovrebbero riconoscere senza dubbi in Vorrei un discorso
ipotattico; nella canzone si può infatti individuare una gerarchia “forte”, con due livelli:
- una successione di brevi frammenti, ciascuno corrispondente, come durata, a un verso del testo
verbale,
- un’articolazione in sei sezioni (ciascuna costituita da alcuni dei frammenti/versi dell’altro livello
gerarchico) organizzata secondo uno schema molto comune, che prevede:
1) un’introduzione, che preannuncia gran parte degli elementi tematici che verranno poi esposti
2) l’esposizione del tema
3) la sua ripetizione con parole leggermente diverse
4) l’inserimento di un elemento diverso dal tema
5) la riesposizione del tema
6) una breve conclusione.

In un qualsiasi brano techno, come nei preludi di Debussy analizzati da Imberty, è invece possibile
rilevare una sorta di discorso paratattico, nel quale la gerarchia è “debole”: all’inizio c’è un breve
frammento che si ripete costantemente, dopodiché, simultaneamente ad esso o in sua sostituzione,
ne vengono inseriti e ripetuti altri, come se si trattasse della lunga introduzione ad un tema che, in
effetti, però non compare mai. Fino alla fine, invece, il brano si presenta come un’alternanza di
ripetizioni piuttosto imprevedibile e termina senza che sia stato possibile individuare
un’organizzazione ipotattica in sezioni contenenti i frammenti che via via si sono succeduti.

Sintassi AABA e ABA

Dopo aver presentato la distinzione tra le musiche non strofiche ipotattiche e quelle paratattiche,
vale la pena di presentare le principali organizzazioni sintattiche presenti nelle musiche ‘ipotattiche’
più diffuse nella nostra cultura.
Un primo tipo è quello che abbiamo già rilevato in Vorrei, con un’esposizione iniziale (a volte
preceduta da un’introduzione), la ripetizione dell’esposizione, l’inserimento di una componente
diversa che fornisce varietà all’insieme e la ripresa dell’esposizione iniziale (a volte seguita da una
coda); questo modello, solitamente indicato come “forma AABA”, quando si trova nelle canzoni
che si rifanno a una tradizione sviluppatasi soprattutto nella popular music statunitense, quali ad
esempio Blue Moon, viene chiamato anche “forma chorus-chorus-bridge-chorus” (vedi Fabbri 2001,
557-561 e Agostini e Marconi 2003).

11
“Una gerarchia forte implica alcuni cambiamenti molto pregnanti, alcune rotture maggiori; fra questi cambiamenti o
rotture, altri cambiamenti meno pregnanti, e fra questi ultimi, altri cambiamenti ancora meno pregnanti, e così via, ma
sempre pochi ad ogni livello (…) Una gerarchia debole implica invece sia numerosi cambiamenti tutti ugualmente
pregnanti immediatamente percepibili, insieme a mutamenti più debolmente percepibili e in numero relativamente più
grande, sia numerosi cambiamenti la cui organizzazione è incerta nel senso che non vi appare nessun contrasto chiaro o
nessuna rottura netta” (Imberty 1990, 111)
12
Sono esempi di discorsi paratattici le liste e gli elenchi.
Simile a questa è poi la “forma ABA”, nella quale non si trova la ripetizione immediata della prima
fase espositiva. Partendo ancora una volta dalla musica vocale, si può individuare questo modello
nell’aria “Stizzoso mio stizzoso” della Serva padrona di Pergolesi. Si può poi invitare gli studenti a
ritrovarla nella musica strumentale, facendo notare, ad esempio, che, se realizziamo interpretazioni
simboliche dell’Adagio del Concerto per Clarinetto e Orchestra di Mozart, nelle successioni di
movimenti, nei discorsi e nei racconti immaginati dagli studenti emergeranno tre fasi, con la prima
e la terza simili tra loro e la seconda diversa.
Continuando ad adottare questo metodo di estrazione di relazioni formali dalle interpretazioni degli
studenti, si può poi far rilevare che molto spesso in musica si trovano brani con “forma ABA” nella
quale l’A iniziale, subito dopo essere stato esposto, viene ripetuto, dopodiché anche la rimanente
successione di B e A viene a sua volta ripetuta: è ciò che avviene di solito nei minuetti delle
Sinfonie di Haydn, ad esempio in quello della Sinfonia n. 102. In questa e in molte altre Sinfonie, al
Minuetto segue un Trio, di solito più breve e con una tessitura ridotta, con la stessa forma AA
BABA, dopodiché si ripresenta il minuetto nella forma ABA senza ripetizioni, sicchè minuetto e
trio appaiono a loro volta inseriti in una forma ABA’, che viene anche chiamata “forma ABA
composta” (Azzaroni 1997, 472-473).

Sintassi binarie

Oltre alle forme AABA e ABA, un altro tipo principale di sintassi è quello organizzato in due parti
fondamentali. Vale la pena di rilevare che questo tipo di sintassi si trova innanzitutto in gran parte
della musica teatrale della nostra tradizione, dai melodrammi seicenteschi alle più recenti opere
rock, dove un recitativo precede un “numero chiuso” con una relazione “preparazione-momento
clou” simile a quella tra la strofa e il ritornello: in entrambi i casi si invita ad assumere due condotte
d’ascolto diverse, una più ‘informativa’ e l’altra più ‘partecipativa’, presentando una musica prima
più ‘declamata’ e ‘prosastica’ e poi più lirica e cantabile. Si può poi notare che tale sintassi è
presente, oltre che nelle canzoni strofiche e nella musica teatrale, anche in alcune canzoni non
strofiche recenti, come è il caso di Tutto quello che un uomo di Sergio Cammariere, che, pur non
essendo nate per essere inserite in spettacoli teatrali, utilizzano la forma delle canzoni da musical
(ad esempio, The man I love di Gershwin), nelle quali la parte preparatoria analoga al recitativo
viene chiamata “verse” (vedi Fabbri 2001, 557-561, e Agostini e Marconi 2003).
Infine, la sintassi “preparazione – momento clou” si può trovare anche nella musica strumentale
ogni volta che un brano è diviso in due parti delle quali la prima è un “preludio”.
Per mostrare poi un altro tipo di sintassi bipartita si può partire dall’ascolto di Greensleeves,
chiedendo di tradurre questo brano in movimenti del corpo.
Ci si può aspettare una traduzione così articolata: una partenza con un primo gesto prima
ascendente e poi discendente che al suo termine rimane sospeso, la ripetizione dell’inizio di tale
gesto stavolta portato a termine; un secondo gesto fondamentalmente discendente sospeso al suo
termine e la ripetizione dell’inizio del secondo gesto portata a una conclusione simile a quella del
primo gesto.
A partire da tale traduzione ci si può allora rendere conto che il brano è diviso in due parti,
articolate in modo simile, sulla base dell’andamento “antecedente sospeso – conseguente con inizio
uguale e cadenza finale”, ma diverse nel loro profilo.
Questa sintassi bipartita con due sezioni diverse, ma dotate di pari importanza, si può poi ritrovare
in brani più ampi, come la Furlana della Suite BWV1066 per orchestra di Bach, traducibile in una
successione di movimenti di questo tipo:

A
Gesto iniziale che, dopo un salto ascendente seguito da due ripetizioni del punto d’arrivo, ha una
successione irregolare di salite e discese fino a una conclusione provvisoria che riporta
simmetricamente al punto di partenza.

B
Secondo gesto che risulta come conseguente del gesto precedente: dopo aver ripercorso con una
successione continua di passi il tragitto del salto iniziale del primo gesto, facendolo seguire, come il
gesto iniziale, da due ripetizioni di tale punto, presenta una successione irregolare di salite e discese
che termina con una conclusione molto meno provvisoria di quella del gesto precedente.

Ripetizione della successione A-B

C
Nuova partenza che, dopo una piccolo salto discendente seguito da due ripetizioni del punto
d’arrivo, ha una successione irregolare di salite e discese che conclude con un altro piccolo salto
discendente inferiore al precedente seguito dalla ripetizione del punto d’arrivo.

D
Gesto successivo che inizia in modo simile a B (scaletta seguita dalla doppia ripetizione del punto
d’arrivo) ma più in basso, dopodiché vi è una progressione discendente seguita da una parte
conclusiva che termina con il punto d’arrivo ripetuto 3 volte.

E
Gesto successivo che inizia in modo diverso dai precedenti, dopodiché c’è una progressione
ascendente seguita da una parte conclusiva che termina in modo analogo a D, con il punto d’arrivo
ripetuto 3 volte, ma più in basso, nel punto dove era partito il primo movimento.

Ripetizione della successione C-D-E

Discorsi e percorsi nella forma-sonata

Nell’ambito dell’educazione musicale di base, riuscire a far comprendere la relazione tra un brano
ascoltato e la forma-sonata è un obiettivo di non semplice attuazione. I percorsi che fanno leva sulla
produzione di senso descritti nel corso di questo saggio possono comunque fornire un valido
supporto per conseguire tale obiettivo.
Chiediamo innanzitutto di ascoltare l’esposizione di un brano in forma-sonata come un discorso nel
quale vengono esposti due temi diversi: scegliendo, ad esempio, l’esposizione del primo tempo di
Eine kleine nachtmusick di Mozart si può prevedere che le battute 1-18 verrano sentite come un
primo tema, in gran parte forte, maestoso e in continua alternanza tra ascese e discese, mentre le
battute 35-51 verranno sentite come la presentazione di un secondo tema, alternante momenti deboli
a momenti più forti e fondamentalmente discendente.
Ascoltiamo poi il primo tema e il secondo tema immediatamente l’uno dopo l’altro confrontando i
loro percorsi: ci si renderà conto che nell’uno e nell’altro il punto di partenza e di arrivo coincidono,
mentre i punti di partenza e di arrivo dell’uno non coincidono con quelli dell’altro.
Potremo allora descrivere l’esposizione di Eine kleine nachtmusick come un discorso e come un
percorso. Emergerà allora un discorso nel quale si comincia subito, senza alcun preambolo, con
l’esposizione del primo tema, divisa in tre momenti: un inizio deciso, forte ed energico (b. 1-4), un
secondo momento (b. 5-10) nel quale si espande la prima parte di tale inizio, riproponendo il suo
tono energico con maggiore agitazione, e una terza fase (b. 11-18) che porta a conclusione ciò che
era rimasto sospeso in precedenza sostituendo al tono forte ed energico uno più debole e moderato.
Il contrasto tra forte e piano, dopo essere stato esposto come una delle componenti del primo tema,
viene poi riproposto quando si passa dall’esposizione del primo tema a quella del suo secondo tema,
organizzata in due parti: dapprima (b. 18-27), dopo brusche alternanze tra forte e piano, il tono
forte, energico ed agitato della seconda fase del primo tema ha il sopravvento, poi (b. 28-35) ritorna
l’andamento debole e moderato della terza fase del primo tema. Si passa poi a esporre il secondo
tema, nel corso del quale il contrasto tra forte e piano viene organizzato in modo diverso rispetto al
primo tema: l’inizio (b. 35- 39) è in piano, dopodiché la fase successiva (b. 39-43), che porta a
conclusione la sospensione precedente, è in forte. Il tutto viene poi immediatamente ripetuto,
riproponendo così una prima parte (b. 43-47) in piano e una seconda (b. 47-51) in forte. Infine c’è
una conclusione provvisoria, anch’essa all’insegna del contrasto energetico: infatti dapprima c’è
una fase in forte (b. 51-53) e poi una in piano (b. 54-55).
Il percorso corrispondente con questo discorso emergerà considerando se, ascoltando l’esposizione
di Eine kleine nachtmusick, appaiono dei punti di arrivo provvisori; individuatili in corrispondenza
dell’inizio delle battute 18 e 35, risulterà un percorso in tre fasi: nella prima (b. 1-18) il punto di
partenza coincide col punto d’arrivo, nella seconda (b. 18-35) tali due punti non coincidono, e nella
terza (b. 35-55) il punto di partenza coincide con quello di arrivo, ma entrambi sono diversi da
quelli della prima fase.
Dopo essersi concentrati sull’esposizione, rilevando anche che essa, per imprimersi maggiormente
nella memoria, viene di solito ripetuta integralmente, si passerà a considerare come i temi vengono
elaborati, mettendo in relazione lo sviluppo con l’esposizione.
Nel caso di Eine kleine nachtmusick emergeranno allora tre fasi dello sviluppo: nella prima (b. 56-
60) viene riproposta in maniera variata la prima fase del primo tema; nella seconda (b. 60-70) viene
elaborato l’inizio del secondo tema, e infine nella terza (b. 70-75) si trova un’altra elaborazione
dell’inizio del secondo tema, diversa dalla precedente sotto diversi aspetti: innanzitutto, mentre la
seconda fase riprendeva l’andamento discendente dell’inizio del secondo tema, la terza fase
ripropone il ritmo di tale inizio, ma con un andamento ascendente; un’altra differenza tra queste fasi
è poi dal punto di vista energetico: mentre la seconda fase dello sviluppo ripropone costantemente il
tono debole, in piano, dell’inizio del secondo tema, contrastando così con l’inizio dello sviluppo,
che era in forte, la terza fase dello sviluppo si divide in una primp momento (b. 70-72) in forte e in
una secondo (b. 72-75) in piano, elaborando ulteriormente il contrasto tra questi due toni energetici.
Il passo successivo sarà quello di rilevare che al termine dello sviluppo si sente la ripresa dell’inizio
del brano; converrà allora ascoltare immediatamente l’una dopo l’altra l’esposizione del primo tema
e la sua ripresa chiedendo di confrontarle: nel caso di Eine kleine nachtmusick si noterà che sono
perfettamente uguali. Fatto ciò, si passerà a confrontare la prima fase di transizione dell’esposizione
con la continuazione della ripresa del primo tema: si noterà così che la ripresa ripropone la prima
fase di transizione per un po’ in modo del tutto identico cambiandone il finale. Continuando il
confronto, si potrà poi notare che la ripresa prosegue con un passaggio simile, ma non identico, alla
seconda fase di transizione dell’esposizione. Considerando poi che questa fase giunge, come
avveniva nella ripresa, a un punto di arrivo provvisorio, si potrà notare che, mentre nella ripresa, il
punto di partenza e quello di arrivo della fase di transizione tra il primo e il secondo tema non
coincidevano, nella ripresa il punto di partenza e il punto di arrivo della continuazione della ripresa
del primo tema coincidono.
Continuando il confronto tra l’esposizione e la ripresa, si potrà poi notare che in essa viene
riproposto non solo il primo tema, ma anche il secondo: ascoltando di fila la sua esposizione e la
sua ripresa si noterà però che queste due sezioni non sono uguali, e che, mentre nell’esposizione il
punto di partenza e quello di arrivo del secondo tema coincidevano, ma erano diversi dal punto di
partenza del brano, il punto di partenza e quello di arrivo della ripresa del secondo tema coincidono
sia tra loro che con l’inizio del brano.
Infine, si tratterà di confrontare, ascoltandoli l’uno dopo l’altro, i finali della prima e della seconda
parte. Si noterà allora che il finale della seconda parte è più lungo di quello della prima: dopo una
prima fase in forte e una in piano simili a quelle del finale della prima parte, c’è una fase in più,
simile al primo tema e dunque forte ed energica; inoltre, mentre nel finale della prima parte il punto
finale non coincideva col punto di partenza del brano, in quello della seconda il punto finale
coincide col punto di partenza di tutto il brano: dunque il discorso termina ribadendo energicamente
il tema col quale aveva cominciato e il percorso ritorna alla fine al suo punto di partenza.
Una volta effettuati tutti questi rilevamenti parziali, si potrà riassumerli in uno schema di questo
tipo:

Primo movimento di Eine Kleine Nachtmusick

Prima parte: Esposizione (di solito ripetuta integralmente)


- Esposizione del primo tema (inizio deciso, forte ed energico - secondo momento di espansione,
energico con maggiore agitazione - terza fase conclusiva, debole e moderata). Il punto di inizio
e di arrivo coincidono.
- Transizione (prima fase prima contrastata poi forte, seconda fase in piano). Il punto di inizio e di
arrivo non coincidono.
- Esposizione del secondo tema (prima fase prima piano poi forte, seconda fase ripete la prima). Il
punto di inizio e di arrivo coincidono, ma sono diversi da quello iniziale.
- Conclusione (prima fase forte, seconda fase in piano). Il punto di inizio e di arrivo coincidono,
ma sono diversi da quello iniziale.

Seconda parte: Sviluppo – Ripresa


Sviluppo
- Sviluppo dell’inizio del primo tema, in forte.
- Sviluppo della prima fase del secondo tema, in piano.
- Sviluppo della prima fase del secondo tema, prima in forte poi in piano.
Ripresa
- Ripresa del primo tema, uguale all’esposizione del primo tema. Il punto di inizio e di arrivo
coincidono.
- Transizione (prima fase prima contrastata poi forte, seconda fase in piano). A differenza
dell’esposizione, il punto di inizio e di arrivo coincidono.
- Ripresa del secondo tema. Il punto di inizio e di arrivo coincidono, non coincidono con quelli
dell’esposizione del secondo tema, e invece coincidono col punto di partenza di tutto il brano.
- Conclusione (prima fase forte, seconda fase in piano, terza fase forte, simile al primo tema). Il
punto di inizio e di arrivo coincidono e sono uguali a quello iniziale di tutto il brano.

L’ultima operazione da fare consisterà nell’ascoltare di fila tutto il brano seguendo questo schema
riassuntivo.

Relazioni tra episodi

Finora ci siamo dedicati soprattutto a mostrare dei percorsi didattici che permettono di far cogliere e
distinguere alcune delle più comuni forme musicali (le forme strofiche e quelle non strofiche, le
forme ternarie, quelle binarie e la forma-sonata) partendo da processi di attribuzione di senso.
In questa parte conclusiva vedremo invece come, di fronte a musiche che non sono dotate di tali
forme ‘grammaticali’, sia comunque possibile individuare la presenza al loro interno di una forma
‘individuale’, partendo ancora una volta dal senso attribuito a tali musiche.
In particolare, vale la pena di far leva sulle attribuzioni di senso che proiettano sul brano ascoltato
degli schemi narrativi; più precisamente si tratta di far notare che, quando si ascolta un brano di
musica come se fosse un racconto, si vengono a distinguere nell’arco di tale brano diversi episodi e
vengono anche considerate alcune relazioni esistenti tra tali episodi: innanzitutto si tratta di
relazioni temporali, indicate da una serie di “connettori” che utilizziamo per parlarne (“all’inizio”,
“prima”, “poi”, “infine”, ecc.); spesso però, soprattutto di fronte a musica a programma, vengono
rilevate altre forme di relazione che si trovano frequentemente nei racconti: ad esempio, si sente se
un episodio è la continuazione logica del precedente o risulta invece come una prosecuzione
imprevista, se sono presenti o assenti dei contrasti, se tra un episodio e l’altro avvengono molte
trasformazioni oppure ci sono pochi cambiamenti, e così via.
Di fronte ad attribuzioni di senso di questo tipo vale allora la pena invitare a considerare che a
ciascun episodio individuato nella storia immaginata dai nostri studenti corrisponde una sezione
della forma del brano ascoltato, e che le relazioni individuate tra tali episodi corrispondono alle
relazioni tra le sezioni presenti in tale brano.
Per fornire un esempio del tipo di attività che si può condurre a tale proposito, considereremo un
brano sul quale a più riprese si è concentrata Franca Ferrari (1991 e 2002), il preludio del Macbeth
di Verdi.
Facendo ascoltare questo brano senza fornire alcuna informazione preventiva, sono state raccolte
risposte di questo tipo:

- Siamo in un bosco, è notte / Siamo in un paese orientale / Ci sono dei suoni misteriosi e magici,
dei presagi sinistri, sta per accadere qualcosa, c’è un’ansia solo a tratti placata
- Si realizza il “fattaccio”: è l’attacco di un vampiro / un agguato / un omicidio / un’esplosione /
la scoperta di un evento drammatico e inatteso
- E’ la lotta/ una tensione, tra il bene e il male / tra due personaggi / due eventi, uno positivo e
uno negativo / uno aggressivo e uno rassegnato
- Marcia funebre / malinconia / rimpianto / ricordi ed emozioni del passato / senso di colpa /
situazione idilliaca, ma disturbata / accenno di speranza
- Un dramma fortemente esteriorizzato e un ripensamento interiore
- Il contrasto, con successivo distacco intensamente sofferto, tra due personaggi (Ferrari 2002,
64).

Se a nostra volta riproponessimo l’ascolto di questo brano, è prevedibile che raccoglieremmo molte
risposte simili a queste. Per proseguire, si tratterà di proporre di riascoltare il brano fermando la
registrazione ogni volta che si sente che è finito un episodio della storia che questa musica racconta,
chiedendo di descrivere la relazione tra l’episodio appena concluso e quelli precedenti. Si potrà
allora notare che tanto il racconto presentato da questo brano quanto il brano stesso si articolano
fondamentalmente in otto sezioni, le cui relazioni possono essere così descritte:
- Primo episodio (b. 1-10): è un inizio misterioso; decisivi per far sentire questo senso di mistero
sono la scarsità del suono (all’inizio due soli strumenti, il clarinetto e il fagotto, con intensità piano),
la melodia iniziale sospesa e i gruppi di note rapidissime, sovracute e in pianissimo dei violini, che
riempiono le pause della melodia dei legni con movimenti strani e furtivi;
- Secondo episodio (b. 11-16): si realizza un “fattaccio”; all’inizio c’è un’improvvisa sorpesa
provocata da un cambiamento imprevisto dopo una pausa che aveva interrotto il primo episodio
facendo perdere la possibilità di sentire una scansione regolare. Il cambiamento dal clima misterioso
iniziale a questo colpo di scena è provocato da una radicale mutazione di quasi tutti i parametri: la
dinamica va dal pianissimo al forte, come timbri si passa dai legni e dai violini delicati e misteriosi
agli ottoni, duri e squillanti, e come tessitura dalla presentazione di singole linee all’uso di accordi
massicci che reiterano una figura ritmica marziale con accenti marcati La continuità con l’inizio
può essere invece vista nel fatto che, come nel primo episodio, durante le pause dei legni, si
inserivano dei movimenti velocissimi dei violini, così ora durante le pause degli scoppi degli ottoni
sentiamo altri veloci movimenti di reazione dei violini;
- Terzo episodio (b. 17-18): subentra un nuovo breve momento di mistero; dopo una nuova lunga
pausa che fa perdere di vista la scansione del brano, tra il secondo e il terzo episodio il
cambiamento è fondamentalmente l’inversione di quello precedente: la dinamica, dopo essere
passata dal pianissimo al forte, torna al pianissimo; il timbro, dopo gli ottoni, è nuovamente quello
dei violini e la tessitura, dopo gli accordi massicci, recupera gli andamenti lineari; non c’è però una
ripresa esatta del primo episodio (che era caratterizzato dai movimenti ascendenti dei legni, mentre
ora si sentono movimenti discendenti degli archi, in imitazione), ma solo una continuazione del suo
clima misterioso;
- Quarto episodio (b. 19-25): si realizzano un secondo “fattaccio” e una lotta tra due contendenti; a
differenza di quanto è avvenuto in precedenza, il passaggio dal terzo al quarto episodio avviene
senza pause, semplicemente attraverso un nuovo improvviso cambiamento, simile a quello tra il
primo e il secondo episodio come dinamica (dal pianissimo al fortissimo) e come timbrica (dai
violini agli ottoni); come nel secondo episodio, c’è un’alternanza tra ottoni e archi, che in questo
caso appare come un desciso contrasto: gli uni, nel registro più scuro, realizzano dei vigorosi
arpeggi ascendenti ai quali gli altri, nel registro più chiaro, oppongono discese cromatiche
altrettanto energiche;
- Quinto episodio (b. 26-32): dopo una nuova pausa, subentra una marcia funebre, con un
andamento assai diverso da quanto era avvenuto in precedenza; il senso di “marcia funebre” e/o di
“malinconia” è determinato dalla lenta articolazione metrica binaria, dalla presenza del modo
minore e dal profilo melodico, che dapprima fa uso della nota ribattuta per poi passare a una serie di
cadute che possono ricordare quelle di una voce singhiozzante;
- Sesto episodio (b. 33-38) : dopo un profondo cambiamento senza pause, si presenta un nuovo
contrasto; tra i cinque episodi precedenti, il sesto assomiglia soprattutto al quarto, ma non è una sua
ripresa; con esso condivide un senso di scontro tra due contendenti, basato sull’opposizione
timbrica tra gli ottoni e gli archi che si alternano al loro interno; mentre, però, nel quarto episodio si
sentiva anche un contrasto gestuale, dato che ottoni e archi si muovevano con linee melodiche
molto diverse tra loro, in questo caso tale contrasto è scomparso, giacché ottoni e archi si alternano
realizzando sostanzialmente lo stesso andamento melodico;
- Settimo episodio (b. 39-43): dopo una pausa e un deciso cambiamento, ritorna una marcia funebre
simile, anche se non identica, a quella del quinto episodio;
- Ottavo episodio (b. 43-49): è un finale meno malinconico; il passaggio tra questo episodio e quello
precedente avviene senza pause e con un cambiamento molto meno profondo di tutti quelli che
erano intercorsi tra gli altri episodi del brano. Si possono comunque sentire due fondamentali
differenze tra quest’ultima fase e quanto la precede: innanzitutto, mentre nel settimo episodio la
tessitura è costituita da una melodia con accompagnamento arpeggiato, nell’ottavo si sente una
melodia senza accompagnamento; in secondo luogo, mentre la marcia funebre ha un carattere
decisamente malinconico, a causa della presenza nella sua melodia di una serie di discese sospirose
rese ancora più angosciose dal loro ritmo sincopato, il finale è meno malinconico, giacché
spariscono le sincopi, nella sua parte centrale si trova un ampio arpeggio ascendente e la
conclusione è realizzata giustapponendo al timbro scuro dell’ultima nota degli archi un accordo
molto più chiaro dei fiati.
Come nel caso dell’ascolto di un brano in forma-sonata, anche in questo caso sarà fondamentale
terminare l’attività facendo riascoltare la composizione per intero, cercando di seguire la
descrizione che se ne è fatta considerandola passo dopo passo.

Riferimenti bibliografici

Agostini Roberto e Marconi Luca, “Introduzione” in L’analisi della popular music, Lucca, LIM,
2003
Azzaroni Loris, Canone infinito. Lineamenti di teoria della musica, Bologna, CLUEB,1997
Besseler Heinrich, L’ascolto musicale nell’età moderna, Bologna, Il Mulino, 1993
Buzzoni Patrizia e Tosto Ida Maria, Gesto Musica Danza, Torino, EdT, 1998
Delalande François, Le condotte musicali, Bologna, CLUEB, 1993
Delalande François, La musica è un gioco da bambini, Milano, Franco Angeli, 2001
Fabbri Franco, “La canzone”, in Enciclopedia della Musica. Vol. I, Torino, Einaudi, 2001, pp. 551-
576
Ferrari Franca, 1991
Ferrari Franca, “Acchiappa lo hook: traccia didattica per un lavoro cooperativo sulla melodia”, in
Imparerock?A scuola con la popular music (a cura di Franca Ferrari e Enrico Strobino), Milano,
Ricordi, 1994, pp. 52-64
Ferrari Franca, Giochi d’ascolto, L’ascolto musicale come tecnica d’animazione, Milano, Franco
Angeli, 2002
Imberty Michel, Le scritture del tempo. Semantica psicologica della musica, Milano,
Ricordi/Unicopli, 1990.
Jacques-Dalcroze Emile, Il ritmo, la musica e l’educazione, Torino, Nuova ERI, 1986
Lakoff George e Johnson Mark, Metafora e vita quotidiana, Milano, Bompiani, 1998
Marconi Luca, Musica Espressione Emozione, Bologna, CLUEB, 2001,
Queneau Raymond, Esercizi di stile, Torino, Einaudi, 1983
Sciarrino Salvatore, Le figure della musica, Milano, Ricordi, 1998
Stefani Gino, Il linguaggio della musica, Roma, Paoline, 1985
Stefani Gino, Musica: Dall’esperienza alla teoria, Milano, Ricordi, 1998
Stefani Gino e Marconi Luca, La Melodia, Milano, Bompiani, 1992

Potrebbero piacerti anche