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Opere complete
E in a u d i
Non si faceva illusioni, Walter Benjamin, su quale sarebbe stato il destino dell’Eu
ropa alla fine degli anni Trenta. E sapeva che per lui e per i suoi compagni di esilio
l’esistenza sarebbe diventata ancora più difficile allorché il conflitto - giudicato ormai
inevitabile dopo l’annessione tedesca dell’Austria e di gran parte della Cecoslovacchia
- avrebbe coinvolto la Francia, il paese che da molti anni lo ospitava. Si aggiunga che
anche dall’Unione Sovietica, in cui molti intelettuali avevano riposto le proprie spe
ranze, giungevano segnali inequivocabili, ultimo fra i quali il patto Hitler-Stalin
nell’estate del 1939.
In questa situazione, ulteriormente aggravata dai costanti problemi di mera sussi
stenza, Benjamin riuscì tuttavia a tornare su Kafka, uno dei suoi autori prediletti, a
redigere un nuova stesura di Infanzia berlinese intorno al millenovecento, e soprattut
to ad affrontare quel libro su Baudelaire che, se fosse stato portato a termine, sa
rebbe senza dubbio diventato una delle sue opere più significative. Del vastissimo
materiale accumulato su questo tema, il presente volume propone per la prima vol
ta in italiano il saggio La Parigi del secondo Impero in Baudelaire, la rielaborazione del
medesimo testo {Su alcuni motivi in Baudelaire), l’edizione integrale di Parco centra
le, le Note sui Quadri parigini di Baudelaire nonché una serie di frammenti anch’essi
inediti in Italia. Espressione definitiva dell’atteggiamento estremo del filosofo ber
linese sono infine le celebri tesi Sul concetto di storia, redatte nella primavera del
1940. Poco prima dell’ingresso della Wehrmacht a Parigi il 14 giugno, Benjamin la
sciò la città, approdando dopo diverse tappe a Port Bou, nei Pirenei. Da qui inten
deva attraversare la frontiera e raggiungere la Spagna. Venne tuttavia respinto dal
le guardie di frontiera spagnole, e temendo di essere riconsegnato ai tedeschi si tol
se la vita nella notte tra il 25 e il 26 settembre.
Rolf Tiedemann ha diretto per molti anni il Theodor W. Adorno Archiv di Fran
coforte sul Meno. Autore di numerosi saggi, ha curato l'opera omnia tanto di Ador
no quanto dello stesso Benjamin.
9 788806 18?168
€ 95,00
opere complete di 'Walter Benjamin
a cura di Rolf Tiedemann e Hermann Schweppenhàuser
Edizione italiana a ciora di Enrico Ganni
Volume VII
Opere complete di Walter Benjamin
I
(1 9 0 6-1922)
II
(1 9 2 3 -1 9 2 7 )
III
(1 9 28-1929)
IV
(1 9 30-1931)
V
(I932-I933)
VI
(I934-I937)
VII
(1 9 3 8 -1 9 4 0 )
VIII
Frammenti
IX
I «passages» di Parigi
Walter Benjamin
S critti 1 9 3 8 - 1 9 4 0
A cura di Rolf Tiedemann
Edizione italiana a cura di Enrico Ganni
con la collaborazione di Hellmut Riediger
Traduzioni-. Francesca Boarini 93-100, 416-30, 438-39; Gianfranco Bonola e Michele Ranchetti
483-317; Margherita Botto 5-8, 77-80, 254-63, 465-66, 479-82; Cinzia Cerrato 242-45; Enrico
Filippini 270-97, 300-31,332-58; Enrico Ganni 17-61,101-78,518-20; Ugo Marcili 230-31, 240-
241, 376-77, 467; Ginevra Quadrio-Curzio vn-xx, 298-99, 332-42, 323-74; Anna Maria Mariet
ti 9-16, 62-76, 81-84, 89-92, 234-39, 249-53, 264-69, 468-69, 473-73; Giulio Schiavoni 83-88,
210-33. 343 ' 3 *> 359 ’75 >431 -37 . 44°-64, 476-78; Renato Solmi 378-413; Renato Solmi ed Enri
co Ganni 179-209.
Redazione: Rossetto Editing, Moncalieri (TO)
www.einaudi.it
ISBN 88-06-18216-1
Indice
p. vn Prefazione
XI Cronologia delk vita di Walter Benjamin (gennaio 1938 - settembre 1940)
Scritti 1938-1940
1938
1939
1940
521 Note
575 Indice dei nomi
Prefazione
1938
Alla fine di dicembre del 1937 - probabilmente appena dopo Natale - Benja
min è a San Remo, dove trova É figlio Stefan e vede per l’ultima volta gli Ador
no. Poco prima di morire, Adorno ha rievocato quell’incontro: «L’ultima sera
che passam|no con Benjamin, nel gennaio del 1938 sul molo di San Remo, mia
moglie e io, già allora convinti dell’imminenza della guerra e dell’inevitabile ca
tastrofe cui andava incontro la Francia, consigliammo insistentemente a Benja
min di tentare di emigrare al pid presto in America; tutto il resto si sarebbe poi
deciso là. Benjamin rifiutò, e disse testualmente: “In Europa ci sono posizioni
da difendere” ». I colloqui tra gli amici sono dedicati al saggio su Wagfier di Ador
no e al Baudelaire di Benjamin, di cui l’autore ritiene che sarà influenzato in ma
niera decisiva dalla scoperta della Etemité par ks astres, una speculazione cosmo
logica di Auguste Blanqui improntata a un profondo pessimismo; in effetti, so
prattutto nel secondo exposé dei Passages si trovano tracce di questa lettura.
L’8 gennaio gli Adorno lasciano la città ligure, mentre Benjamin rimane fino
al 20 gennaio. Il giorno successivo entra nella sua prima vera casa da quando ha
dovuto abbandonare Berlino nel marzo 1933: 10 rue Dombasle, nel 15° arron-
dissement. Il monolocale si trova all’ultimo piano. Il 7 febbraio scrive a Horkhei
mer: «Da ieri l’installazione della mia stanza è più o meno conclusa. Si trova al
settimo piano e ha la vista libera sopra l’infilata delle case. Il fatto che sia orien
tato a nord non è un difetto, dato che l’estate parigina è spesso torrida; un pre
gio notevole è la terrazza, sulla quale la sera tardi ci si può trattenere anche in
più persone-. Comunque sia, lo spazio, quando gli scaffali vuoti ospiteranno la
mia biblioteca, che si trova ora da Brecht, si presenterà in modo che potrò rice
vere senza imbarazzo anche i locali». Uno dei suoi vicini è Arthur Koestler, il cui
Testamento spagnolo - «un ottimo libro» - sarà uno dei primi testi che Benjamin
leggerà nella nuova casa; i collegamenti con la Bibliothèque Nationale sono «ec
cellenti».
In viaggio verso New York, l’i i febbraio passa da Parigi Scholem, che Benja
min non vede da più di dieci anni, dal 1927. Si ferma cinque giorni. Scholem ha
raccontato come «l’aspetto esteriore» di Benjamin fosse «alquanto mutato. Si
era appesantito, aveva qualcosa di più trasandato nel contegno, portava baffi mol
to più folti. I suoi capelli si erano notevolmente ingrigiti». Retrospettivamente
Benjamin cosi parla del loro incontro: «La prevista disputa filosofica si è svolta
nelle debite forme. Se non mi sbaglio gli ha dato di me un’immagine che è al-
l’incirca quella di chi si è comodamente insediato nelle fauci di un coccodrillo
che mantiene aperte per mezzo di controvenature». Stando a Scholem, la di
scussione con Benjamin ebbe luogo «in un’atmosfera piuttosto carica e concita
ta, che la portò in due o tre momenti a toccare punti di alta drammaticità, allor
xn Scritti
sarà quindi la mia prima mossa». Nel frattempo Benjamin aveva letto le bozze
del saggio adorniano Sul carattere di feticcio in musica e m ila regressione dell’a
scolto, forse senza riconoscervi appieno quella «risposta» alla sua teoria della ri-
produzione che nelle intenzioni di Adorno esso rappresenta.
1939
In un «opuscolo programmatico» dell’istituto, Benjamin ha la soddisfazione
di trovare «il primo compendio bibliografico» delle sue «cose», ossia una bi
bliografia ragionata dei suoi scritti. NeUe intenzioni di Horkheimer, l’opuscolo
avrebbe dovuto attirare sull’istituto, il cui patrimonio si era drasticamente ri
dotto, l’attenzione delle fondazioni americane. Nel gennaio del 1939 Benjamin
riprende la stesura delle lettere sulla letteratura, con le quali intendeva informa
re Horkheimer e gli amici di New York sulle più recenti pubblicazioni francesi,
■e che non tìrano destinate alla pubblicazione. Al centro della pitì recente lettera
c’è la posizione degli autori francesi riguardo alle violenze antisemite in Germa
nia. Sempre in gennaio, ma forse addirittura prima, Benjamin scrive alcune im
portanti recensioni che saranno pubblicate solo postume, come quelle di Philo-
sophie und Sprache [Filosofia e linguaggio] di Honigswald e di Panorama di Stern-
berger, in cui crede di riconoscere uno «sfacciato tentativo di plagio» ai danni
del suo lavoro. Nel contesto della revisione del Baudelaire va assumendo un pe
so sempre maggiore la riflessione sul concetto di progresso storico.
All’inizio del 1939, quando l’antisemitismo comincia ad assumere un carat
tere violento anche in Italia, la ex moglie e il figlio di Benjamin lasciano il paese
e si rifugiano a Londra. Il 4 febbraio Benjamin viene privato della cittadinanza
tedesca, probabilmente senza esserne informato. Tra le sue letture segnala posi
tivamente l’ultimo libro di Lev èestoy, Athen und Jerusalem [Atene e Gerusa
lemme]: «Mi pare che la filosofia di Sestov sia abbastanza ammirevole ma del
tutto inutile. Tanto di cappello invece di fronte al commentatore e anche il suo
modo di scrivere sembra straordinario». Resta «molto colpito» anche dal libro
di Hannah Arendt su Rahel Varnhagen. In occasione di un concerto, Benjamin
rivede Soma Morgenstern, che «è fuggito da Vienna all’ultimo istante»; legge il
romanzo di Morgenstern Der Sohn des verlorenen Sohns [Il figlio del figjiol pro
digo], che era uscito a Berlino già nel 1935, ma poteva essere venduto soltanto
a ^ ebrei.
Alla fine di febbraio Benjamin inizia a rielaborare il Baudelaire, inizialmente
senza entusiasmo: «Di tutti i procedimenti letterari le rielaborazioni sono quel
le che mi piacciono meno». Ma una successiva lettera di Adorno del 1° febbraio
1939 conduce Benjamin «in una cella della problematica», in cui ritiene di po
tersi «insediare»: adesso può dedicarsi «nell’usuale forma monografica» al tema
del fldneur nel contesto complessivo dei Passages.
In una lettera del 23 febbraio, Horkheimer lo informa che «in un tempo non
troppo lontano, potrebbe arrivare il giorno in cui ci troveremo costretti a farLe
sapere che anche con tutta la buona volontà non siamo più in grado di prolun-
garLe il contratto di ricerca». Un’ipotesi molto inquietante, dato che dal 1934
Benjamin vive quasi esclusivamente dei compensi dell’Institut fiir Sozialfor-
schung. Nel marzo del 1939 scrive in francese l'exposé Paris, Capitale du xix" siè-
cle: gli era stato richiesto da Horkheimer nel quadro dei suoi tentativi di trova
XVI Scritti
Nello Chàteau de Vernuche incontra tra gli altri Hermann Kesten, Hanns-
Erich Kaminski e il direttore d’orchestra Hans Bruck. Qui lo raggitmge anche il
testo di un telegramma firmato da Horkheimer e Gretel Adorno a proposito del
suo secondo saggio su Baudelaire: «Votre étude admirable sur Baudelaire nous
est venue comme trait de lumière. Nos pensées sont avec vous». Benjamin si ri
fugia soprattutto nel gioco degli scacchi: nella prima fase della detenzione non
riesce quasi a dedicarsi alla lettura. E probabilmente la lealtà dimostratagli dagli
amici non solo di New York, ma anche francesi - tra gli altri Adrienne Monnier,
Sylvia Beach e Bryher [ovvero Winifred EUerman], e poi Paul Desjardins, Pier
re Missac e Jean Ballard - a restituirgli la forza interiore, così che dopo qualche
tempo torna a leggere e scrivere. Partecipa ai preparativi per un giornale del cam
po e per la prima volta legge le Confessions di Rousseau.
Il 25 novembre del 1939 Benjamin torna a Parigi, prima della maggior parte
degli altri internati. Il suo rilascio avviene in base alla decisione di una commis
sione interministeriale influenzata in maniera decisiva da Henri Hoppenot, che
ricopre una posizione importante al Quai d ’Orsay ed è molto amico di Adrien
ne Monnier. Benjamin può tornare alla sua abitazione parigina e riprendere il la
voro alla Bibliothèque Nationale. Fino a maggio inoltrato del 1940 continua a
trascrivere brani destinati ai Passages. Il 30 novembre del 1939 scrive a Horkhei
mer: «Une chose à vous proposer, ce serait une étude comparée des Confessions
de Rousseau et du “Journal” de Gide». Horkheimer lo lascia libero di scegliere
se come prossimo lavoro preferisce affrontare questa ricerca o proseguire lo stu
dio su Baudelaire; Benjamin decide infine per il Baudelaire, che però non farà in
tempo a riprendere.
Dopo che il Pen-Club francese si era adoperato per la liberazione dal campo,
sostenuto da Alfred Doblin e Hermann Kesten, Benjamin fa richiesta per esse
re ammesso nel Pen tedesco in esilio: viene ammesso il 24 gennaio 1940. Volen
do raccogliere la somma necessaria per un viaggio a New York, prega Stephan
Lackner, che si trova già negli Usa, di cercare un acquirente per il suo Angelus
Novus di Klee; in realtà E quadro è stato poi trovato nel lascito di Benjamin.
Legge le bozze del saggio di Horkheimer Die Juden und Europa [Gli ebrei e
l’Europa]: «Depuis bien des années, il n ’y en a pas eu d ’analyse politique qui
m’ait impressioné à ce point. C’est le son de cloche que nous avons attendu pen
dant très longtemps».
1940
A Benjamin viene diagnosticata una miocardite che lo costringe a fermarsi
per strada ogni tre o quattro minuti. Alla fine di aprile la diagnosi è di tachicar
dia e ipertrofia cardiaca, cui si aggiunge l’ipertensione. Poiché il suo apparta
mento non è sufficientemente riscaldato, all’inizio dell’anno è costretto a passa
re a letto metà della giornata. Il giorno in cui per la prima volta torna alla Bi
bliothèque Nationale è per lui una piccola festa. All’inizio di gennaio l’ultimo
fascicolo della «Zeitschrift fiir SozisJforschung» uscito in Europa e in lingua te
desca, accanto ai fragmente iiber Wagner [Frammenti su Wagner] di Adorno e al
citato Die Juden und Europa di Horldieimer, contiene Su alcuni motivi in Baude
laire di Benjamin nonché la sua introduzione a Ruckschritte der Poesie [Regressi
della poesia] di Cari Gustav Jochmann.
xvni Scritti
Jud Sufi [SiiB l’ebreo] di Veit Harlan con Werner KrauB e Heinrich George, che
come nessun altro vanifica la teoria dell’Open? d ’arte nell'epoca della sua riprodu
cibilità tecnica e la sua speranza in una funzione emancipatoria del medium film:
la pellicola contribuirà a far sf che la popolazione tedesca accetti la «soluzione fi
nale della questione ebraica» e ne sia complice.
E stato in varie occasioni messo in dubbio che la morte di Benjamin sia stata
un suicidio. Ma si tratta di ipotesi poco credibili. Heimy Gurland comprerà una
tomba per cinque anni nel cimitero di Port-Bou. Qui - in un loculo, una sorta di
colombario con il numero 563 - Benjamin viene seppellito il 28 settembre del
1940. Nessuno di quelli che lo hanno conosciuto prende parte alla cerimonia. Al
la fine del 1945, la tomba viene riassegnata una prima volta, più tardi trasfor
mata in doppia sepoltura con quella sottostante. I resti di Benjamin saranno tra
sferiti nell’ossario del cimitero.
SCRITTI
1938-1940
1938
Dipinti cinesi alla Bibliothèque Nationale
le masse, rende queste masse più cieche e piò deboli del necessa
rio» («ZfS», VI, 2, p. 268). Non è la sublimazione del proletaria
to che può dissolvere il nimbo imperiale di cui si sono circondati
coloro che aspirano al dominio millenario. In questa cognizione è
già implicito l ’oggetto di una teoria critica della società.
I lavori dell’istituto per la Ricerca Sociale convergono in una
critica della coscienza borghese. Questa critica non avviene dall’e
sterno, ma nella forma di un’autocritica. Non è legata al momento
attuale, ma è rivolta all’origine. I confini più esterni sono traccia
ti dai lavori di Erich Fromm le cui ricerche risalgono a Freud e, più
su, fino a Bachofen. Freud ha indicato i nimierosi strati che si so
no accimiulati e intrecciati nella pulsione sessuale. Le sue scoperte
hanno carattere storico; ma concernono più spesso la preistoria che
le epoche storiche dell’umanità. Fromm pone con energia il pro
blema delle variabili storiche della pulsione sessuale. (Analoga
mente, altri studiosi del gruppo hanno posto H problema delle va
riabili storiche della percezione umana). Fromm fa un uso molto
cauto dell’idea di strutture istintuali «naturali»; ciò che gli impor
ta è di accertare il condizionamento dei bisogni sessuali in società
storicamente date, dove gli sembra errato considerarli di volta in
volta come omogenei: «La classe dipendente deve reprimere le sue
pulsioni in misura maggiore di quella dominante» {Studien ùber
Autorìtat und Famìlie [Studi sull’autorità e la famiglia]). Ricerche
condotte nell’Institut fùr Sozialforschung, Parigi 1936 {Schrìften
des Instìtuts fùr Sozialforschung, a cura di Max Horkheimer, voi. V].
Le ricerche di Fromm concernono la famiglia come elemento di
trasmissione grazie al quale le energie sessuali influenzano la strut
tura sociale, mentre le energie sociali influenzano la struttura ses
suale. L’analisi della famiglia lo riconduce a Bachofen. Fromm fa
propria la sua teoria dell’ordine polare della famiglia, matricentri-
co e patricentrico, che a loro tempo Engels e Lafargue avevano
considerato come una delle maggiori conquiste storiche del seco
lo. La storia dell’autorità, nella misura in cui è la storia della cre
scente integrazione della coazione sociale da parte della vita inte
riore dell’individuo, coincide sostanzialmente con la famiglia pa-
tricentrica. «La stessa autorità dtìpaterfam tlias si fonda in ultima
analisi sulla struttura autoritaria della società nel suo insieme. N ei
confronti del figlio il capofamiglia è sf il primo mediatore (dal pun
to di vista temporale) dell’autorità sociale, ma (dal punto di vista
del contenuto) non è il modello di quest'ultima, bensì la sua co
pia» (op. cit., p. 88). L’interiorizzazione della coazione sociale,
che nella famiglia estremamente patriarcale che si forma nell’età
14 Scritti
Premessa.
Logge.
Kaiserpanorama.
Telefono.
A caccia di farfalle.
‘ Il nome che poco oltre suggerisce a Benjamin l’impiego dei vocaboli ila u e (azzurro),
behausen (ospitare) e Berg (monte), significa «M onte della fabbrica di birra» [N .i/.T].
24 Scritti
Tiergarten.
e compresi perché Luise von Landau, con la quale fino alla sua
morte avevo condiviso la cerchia, doveva avere dimora lungo il
Liitzowufer di fronte al piccolo tratto di vegetazione selvaggia i
cui fiori vengono bagnati dalle acque del canale.
Più tardi scoprii nuovi cantucci; di altri perfezionai la cono
scenza. Eppure su questo nessuna ragazza, nessuna esperienza, nes
sun libro potè dirmi alcunché di nuovo. Quando perciò, trent’an-
ni pili tardi, una persona esperta dei luoghi, un contadino di Ber-
lin o \ si prese cura di me per fare ritorno dopo lunga separazione
comune dalla città, i suoi percorsi solcarono questo parco in cui egli
seminava la semente del silenzio. Avanzava lungo i viottoli, e ognu
no si faceva scosceso. Conducevano giù, se non alle Madri di ogni
esistere, certamente a quelle di questo parco. N ell’asfalto che cal
pestava, i suoi passi destavano un’eco. La luce a gas che illumina
va il nostro selciato spandeva su quel terreno un chiarore ambiguo.
Le piccole scale, gli atri a colonnato, i fregi e gli architravi delle vil
le del Tiergarten - fummo noi a prenderli per la prima volta in pa
rola. Soprattutto le trombe delle scale che con le loro vetrate era
no rimaste le stesse, anche se all’interno, dove si abitava, molto era
stato cambiato. Ricordo ancora i versi che dopo la scuola colma
vano gli intervalli del mio battito cardiaco quando salendo le sca
le riprendevo fiato. M i si presentavano in una luce soffusa dalla
vetrata da cui, sospesa come la Madonna Sistina, una donna fuo
riusciva da una nicchia reggendo in mano una corona. Sollevando
con il pollice le cinghie deUa cartella che avevo in spalla leggevo;
«Il lavoro è il decoro dell’uomo I La prosperità il premio della fa
tica». In basso la porta si richiudeva con un sospiro, come uno spet
tro che fa ritorno nella sua tomba. Fuori forse pioveva. Una delle
variopinte vetrate era rimasta aperta, e accompagnati dal ticchet
tio della pioggia si continuava a salire le scale.
Fra le cariatidi e gli atlanti, fra i putti e le pomone che allora
mi avevano osservato, le più vicine mi erano ora quelle polverose
figure della famiglia dei numi tutelari che proteggono l ’ingresso
nella vita e nella casa. Ben sanno infatti cosa significhi attendere.
E cosi per loro era lo stesso aspettare un estraneo, il ritorno delle
antiche divinità, o il bambino che trent’anni prima, con la sua car-
’ Benjamin allude al titolo del racconto fantastico di Louis a rag o n , Lepaysan de Paris
[11 contadino di Parigi], 1926, con un omaggio all’amico Franz Hessel (1880-1941) e al ce
rnirne interesse per la letteratura francese del surrealismo. A Hessel, Benjamin dedicò il
saggio Die Wiederkehr des Vlaneun - Zu Franz Hessek «Spaziergang in Berlin» [trad. it. Il ri
torno delflàneur, in w a l te r bet^jamin. Ombre corte, Einaudi, Torino 1993, pp. 468 sgg.]
[N.ii.T.].
1938 27
In ritardo.
verno, quando nella calda stanza me ne stavo alla finestra, era in
vece il turbinio di neve a narrare così senza rumore. N on avevo
mai capito con precisione cosa mi raccontasse perché troppo
fittam ente e incessantemente il noto si avvicendava all’ignoto.
Avevo appena stretto amicizia con uno sciame di fiocchi, e già mi
accorgevo come avesse dovuto cedermi a un altro che s’era im
provvisamente mescolato al primo. Ora però era arrivato il mo
mento di seguire, nel turbinio delle lettere, le storie che quando
ero alla finestra mi si erano sottratte. I paesi lontani che vi incon
travo danzavano confidenzialmente l’uno intorno all’altro come i
fiocchi di neve. E poiché quando nevica la lontananza non ci con
duce più verso l ’esterno, ma verso l’interno, Babilonia e Baghdad,
Akko e l ’Alaska, Troms0 e il Transvaal erano dentro di me. La mi
te aria da romanzone d’avventure che li pervadeva si insinuò così
incontrastatamente nel mio cuore col sangue e il periglio, che re
stò per sempre fedele ai consunti volumi.
O restò fedele a volumi più vecchi, irreperibili? E cioè a quel
li meravigliosi che solo una volta in sogno mi fu concesso rivede
re ? Come si chiamavano ? Sapevo solo che erano proprio questi li
bri scomparsi ormai da tempo che non ero più riuscito a trovare.
Adesso però erano in un armadio, che al risveglio mi resi conto di
non aver mai visto prima. N el sogno mi sembrava vecchio e fami
liare. I libri non erano disposti in verticale ma in orizzontale; e
precisamente nell’angolo più minaccioso. In essi c’era aria di tem-
jesta. Aprirne uno, mi avrebbe condotto nel bel mezzo del grem-
Do in cui, cangiante e fosco, si rannuvolava un testo gravido di co-
ori. Erano gorgoglianti e sfuggenti, sempre trapassavano in un
violetto che sembrava provenire dalle viscere di un animale ma
cellato. Innominabili e carichi di significato come queU’esecrabile
violetto erano i titoli, ciascuno dei quali mi sembrava più bizzar
ro e più familiare del precedente. Ma prima ancora di potermi
impadronire anche di uno soltanto di essi, mi ridestavo senza aver
sfiorato, neppure in sogno, i vecchi libri per ragazzi.
Mattini d ’inverno.
me, anche se non fu per questo motivo. Fu invece il primo fra quel-
K dei coetanei su cui sentii cadere l’accento della morte. Avvenne
quando, lasciata ormai quella cerchia, andavo in quinta. Ogni vol
ta che raggiungevo il Liitzowufer, con lo sguardo cercavo la sua
abitazione. Si dà il caso che di fronte, suU’altra riva, ci fosse un
piccolo giardino digradante verso l’acqua. Con l’andar del tempo
10 intrecciai cosi profondamente al nome amato, da convincermi
alla fine che quell’aiuola di fiori splendente e inavvicinabile fosse
11 cenotafio della piccola defunta.
La signorina Pufahi fu sostituita dal signor Knoche. Ormai an
davo a scuola. Quel che avveniva in classe per lo più mi ripugna
va. Ma non è durante imo dei suoi processi che il ricordo incontra
il signor Knoche, bensì nel ruolo del veggente che predice il futu
ro. Avevamo l’ora di canto. Si studiava la «Canzone dei cavalie
ri» del Wallenstein: «A cavallo, a cavallo camerati! I Muoviamo
al campo, dov’è libertà! I Soltanto in campo sono i cuor pesati, I
fa prova l’uomo di forza o di viltà». Il signor Knoche volle sapere
dalla classe cosa mai significasse il penultimo verso. Naturalmen
te nessuno riuscì a rispondere. Il signor Knoche sembrò contento,
e commentò: «Lo capirete quando sarete grandi».
A ll’epoca mi sembrava che un fiume di anni separasse la mia
età dalla sponda dell’essere adulto, sponda tanto lontana quanto
quella del canale sxil quale si affacciava l’aiuola e che nelle passeg
giate con la bambinaia non avevo mai raggiunto. In seguito, quan
do nessuno mi prescriveva più il percorso e ormai capivo anche la
«Canzone dei cavalieri», talvolta passai molto vicino all’aiuola sul
Landwehrkanal. Ora però sembrava fiorire più raramente. E del
nome che un tempo avevamo conservato insieme, non sapeva più
di quanto il verso della «Canzone dei cavalieri», ora che la capi
vo, contenesse di quel significato che il signor Knoche aveva pro
messo di rivelarci nell’ora di canto. La tomba vuota e i cuor pesa
ti - due immagini enigmatiche, della cui soluzione la vita mi ri
marrà sempre debitrice.
Mercato coperto.
La febbre.
tro le palpebre chiuse. Perché non c’era cura o amore che riuscis
se a collegare del tutto la camera dov’era il mio letto aUa vita del
la nostra casa. Dovevo aspettare fino a sera. Allora, quando la por
ta si apriva davanti alla lampada, e la cupola del paralume, on
deggiando sulla soglia, si muoveva verso di me, era come se la
dorata sfera della vita che faceva turbinare ogni ora del giorno
avesse per la prima volta trovato la strada verso quell’isolato cas
setto che era la mia camera. E prima ancora che la sera avesse po
tuto mettersi a suo agio, cominciava per me una vita nuova; o me
glio, quella vecchia contrassegnata d ^ a febbre, alla luce della lam
pada da un istante all’altro sbocciava. Il solo fatto di essere coricato
mi consentiva di trarne un vantaggio che altri non sarebbero riu
sciti a procurarsi cos£ facilmente. Approfittavo della mia tran
quillità e salutavo la luce proiettando ombre cinesi suUa parete ac
canto al letto. I giochi ai quali avevo lasciato che le mie dita si ab
bandonassero, tornavano ora sulla tappezzeria, ma più indefiniti,
5Ìù grandi, più misteriosi. «Invece di aver paura delle ombre del-
a sera - cosi stava scritto nel mio libro dei giochi - i bambini al
legri ne approfittano per divertirsi». E seguivano istruzioni ricca
mente illustrate, secondo le quali suUa parete si potevano proiet
tare stambecchi e granatieri, cigni e conigli. Io stesso però
raramente andai oltre le fauci di un lupo. Solo che erano così gran
di e così spalancate da sembrare quelle di Fenri, che, proprio in
quella stessa camera dove si lottava per strapparmi alla malattia
dell’infanzia, facevo mettere in movimento nel ruolo di distrutto
re del mondo. Un bel giorno la malattia se ne andava. L’approssi
marsi della guarigione, come la nascita, allentava legami che la feb
bre era tornata dolorosamente a rinsaldare. Nella mia esistenza, le
persone di servizio riprendevano a sostituire la mamma con mag
giore frequenza. E una mattina, dopo lunga parentesi, con esili
forze mi abbandonavo di nuovo al rumore del battipaimi: entrava
dalle finestre e nel cuore del bambino si scolpiva più pro
fondamente che la voce dell’amata nel cuore dell’uomo, quel bat
tere che era l’idioma degli strati inferiori, di autentici adulti, che
mai si interrompeva, mai divagava, talvolta se la prendeva como
da, che, lento e attutito, si teneva pronto a tutto, che talvolta ri
cadeva in un imprevedibile galoppo, come se là fuori ci si dovesse
affrettare prima della pioggia.
Impercettibilmente, come quando aveva iniziato a occuparsi di
me, la malattia se ne andava. Quando stavo ormai per dimenticar
la del tutto, mi inviava tuttavia un ultimo saluto dalla mia pagel
la. In calce alla quale era registrata la somma delle ore perdute. Non
1 93 8 37
La lontra.
ria del mio dominio che aveva inizio con l’investitura da parte di
un giorno d ’estate e durava sino al momento in cui il mio regno
tornava al tardo autunno. La mia esistenza, del resto, era tutta spe
sa in battaglie per quelle mie terre. N on riguardavano un antiim-
peratore, ma quella terra stessa e gli spiriti che mobilitava contro
di me.
Fu sull’isola dei pavoni, un pomeriggio, che subii la sconfitta
più severa. Mi era stato chiesto di cercare nell’erba delle penne di
pavone. Quanto più seducente mi apparve a quel punto l’isola, luo
go di ritrovamento di trofei così affascinanti. Ma quando ebbi per
lustrato inutilmente in lungo e in largo i prati alla ricerca di quan
to mi era stato promesso, più che l’astio contro gli animali, che con
il loro inviolato tesoro di penne passeggiavano davanti alle volie
re, si impadronì di me lo scoramento. Per un bambino un ritrova
mento è ciò che per un adulto è una vittoria. Avevo cercato qual
cosa che l’isola avrebbe potuto consegnare a me solo, qualche co
sa che a me solo avrebbe potuto svelare. U n’unica penna mi
sarebbe bastata per prenderne possesso - non solo dell’isola, ma
anche del pomeriggio, della traversata in traghetto da Sakrow, con
quell’unica penna tutto ciò sarebbe diventato incontestabilmente
mio. L’isola era perduta, e con lei una seconda patria: la terra dei
pavoni. E solo allora, prima di tornare a casa, sulle scintillanti fi
nestre della corte del castello decifrai i cartelli che lo splendore del
sole vi stampava: oggi non dovevo penetrare all’interno.
Come allora il mio dolore non sarebbe stato tanto inconsolabi
le se, con la penna che mi era sfuggita, non avessi perduto anche
una terra avita, così un giorno il piacere di aver imparato ad an
dare in bicicletta non sarebbe stato tanto grande se in quel modo
non avessi anche conquistato nuovi territori. Successe in uno di
quei padiglioni asfaltati dove, ai tempi in cui il ciclismo era di mo
da, l ’arte che oggi i bambini si trasmettono l’un l’altro, veniva in
segnata con lo stesso impegno con cui si insegna a guidare l ’auto
mobile. Il padiglione si trovava in campagna, nei pressi di Glie-
nicke; risale a un’epoca in cui sport e aria aperta non erano ancora
inscindibili. Inoltre, le varie forme di allenamento non si erano an
cora unificate. Con propri spazi e con un appariscente vestiario,
ciascuna mirava gelosamente a distinguersi da tutte le altre. Ed
egualmente tipico di quell’età pionieristica era il fatto che nello
sport - almeno in quello che si praticava in quel posto - fossero le
eccentricità a dare il la. Ecco perché in quei padiglioni, accanto al
le biciclette da uomo, da donna e da bambino, si vedevano circo
lare dei telai più moderni la cui ruota anteriore era di quattro, cin
40 Scritti
que volte più grande di quella posteriore, e il cui aereo sellino era
lo scranno sul quale gli acrobati provavano i loro numeri.
Spesso le piscine prevedono vasche separate per nuotatori e non
nuotatori; anche qui si poteva parlare di una analoga distinzione.
E precisamente tra chi doveva esercitarsi sull’asfalto e chi poteva
abbandonare il padiglione e pedalare nel parco. Ci volle un bel po’
prima che fossi promosso in questo secondo gruppo. Ma un bel
giorno d’estate mi lasciarono andare all’aperto. Ero stordito. Il
sentiero era ghiaioso; i sassolini scricchiolavano; per la prima vol
ta non c’era riparo dal sole, che mi accecava. L’asfalto era all’om
bra, comodo e senza un preciso percorso. Qui invece, i pericoli
erano in agguato a ogni curva. La bicicletta sembrava procedere
da sola, sebbene non fosse a ruota libera e il terreno ancora pia
neggiante. Per me era come se prima di allora non l’avessi mai mon
tata. N el manubrio cominciò a manifestarsi ima volontà autono
ma. Ogni impervietà poteva farmi perdere l’equilibrio. Da tempo
non ero più abituato a cadere, ma ora succedeva che la forza di
gravità avanzasse diritti cui aveva abdicato da anni. D ’un tratto,
dopo una breve salita, il sentiero cominciò repentinamente a scen
dere, l’ondulazione che mi fece scivolare d ^ a sua sommità, da
vanti alla gomma si disintegrò in una nuvola di polvere e pietrisco,
i rami mi sfiorarono il viso, e quando ormai avevo perso ogni spe
ranza di riuscire a fermarmi, all’improvviso mi arrise la lieve so
glia davanti all’ingresso. Con il cuore in gola, ma con tutto lo slan
cio che il pendio appena percorso mi aveva impresso, mi tuffai nel
l’ombra del padiglione. Quando scesi di sella, fu con la certezza
che grazie al congiungimento con quell’ondulazione, proprio co
me ducati o reami per matrimonio divengono appannaggio della
Casa imperiale, quell’estate senza alcuna fatica avrei avuto in do
te Kohlhasenbriick con la sua stazione ferroviaria, il lago di Grieb-
nitz con i suoi pergolati declinanti verso i pontili, il castello di Ba-
belsberg con i suoi merli severi, i profumati orti di Glienicke.
Un annuncio di morte.
Avrò avuto forse cinque anni. Una sera, ero già a letto, com
parve mio padre. Venne per darmi la buona notte. Fu forse in par
te contro la sua intenzione che mi diede la notizia della morte di
un cugino. Era un uomo un po’ in là con gli anni, con il quale non
avevo quasi contatti. M io padre integrò la notizia con tutti i par
ticolari. N on colsi tutto del suo discorso. Quella sera, invece, mi
1938 41
Blumeshof 12’".
‘ Blumeshof (recte-, Mumes Hof), alla lettera «Corte dei fiori», una via a sud del Tier-
garten, era l’indirizzo della nonna materna di Walter Benjamin [N.<i.T.].
42 Scritti
bilio che a causa del capriccio con cui riuniva in sé gli ornamenti
di molti secoli, era compenetrato di se stesso e della loro durata.
La miseria non poteva trovare accoglienza in stanze in cui non ne
otteneva nemmeno la morte. In esse non c’era posto per morire;
cosi i loro inquilini morivano nei sanatori, mentre i mobili già al
la prima successione ereditaria finivano in un negozio. La morte
in essi non era prevista. Per questo di giorno apparivano così
confortevoli e di notte diventavano lo scenario di sogni paurosi.
Appena vi accedevo, la tromba delle scale risultava abitata da un
incubo che prima appesantiva e toglieva forza a tutte le membra,
e alla fine, quando dalla sospirata soglia mi separavano ormai so
lo pochi passi, mi prendeva in suo potere. Siffatti sogni furono il
prezzo con cui mi guadagnai la sicurezza.
La nonna non morì nel Blumeshof. Di fronte a lei abitò per lun
go tempo la madre di mio padre, che era più vecchia. Anche lei
morì altrove. Così quella strada divenne per me l’eliso, il regno
delle ombre di nonne immortali eppure defunte. E poiché, una vol
ta che ha gettato un velo su di un luogo, volentieri la fantasia la
scia che gli orli ne siano increspati da inconcepibili umori, essa tra
sformò un vicino negozio di generi coloniali in un monumento del
noimo, che era mercante, solo perché anche il suo proprietario si
chiamava Georg. Il busto di quell’uomo morto ancor giovane era
collocato, in grandezza naturale e come pendant di quello di sua
moglie, nel corridoio che portava alle parti meno frequentate del
l’appartamento. Occasioni mutevoli le richiamavano in vita. La vi
sita di una figlia sposata riapriva una stanza guardaroba ormai in
disuso; un’altra stanza sul retro mi accoglieva quando gli adulti fa
cevano il riposo pomeridiano; una terza era quella da cui proveni
va il crepitare della macchina da cucire nei giorni in cui una sarta
veniva a lavorare in casa. Fra quei locali defilati il mio preferito
era la loggia, vuoi perché, ammobiliata più modestamente, era me
no apprezzata dagli adulti, vuoi perché vi saliva, smorzato, il ru
more della strada, vuoi infine perché mi consentiva di spingere lo
sguardo su altri cortili con portinai, bambini e suonatori d’orga
nino. Erano peraltro più voci che non forme quelle che mi si of
frivano dalla loggia. Inoltre il quartiere era elegante e l’animazio
ne nei cortili mai febbrile; qualcosa della pacatezza dei ricchi, a fa
vore dei quali si svolgeva il lavoro, si era trasmessa a quest’ultimo
e una traccia della domenica sedimentava sul fondo della settima
na. Per questo la domenica era la giornata della loggia. La dome
nica, che le altre stanze, quasi non fossero stagne, non riuscivano
mai a contenere, al punto che essa ne traboccava - solo la loggia.
1938 43
che dava sul cortile con le barre per battere i tappeti e con le altre
logge, poteva contenerla. E nessuna vibrazione del carico di cam
pane con il quale le chiese dei Dodici Apostoli e di San Matteo la
investivano andava perduta, ma tutte vi restavano accumulate fi
no a sera.
Le stanze di questo appartamento non solo erano numerose ma
in parte anche molto spaziose. Per dire buon giorno alla nonna se
duta nel suo bow window, dove accanto al cestino da lavoro ben
presto sarebbero spuntate per me frutta o cioccolata, dovevo su
perare l’enorme sala da pranzo e poi attraversare la stanza con il
bow window. Soltanto il giorno di Natale l’appartamento rivela
va a cosa fossero propriamente destinate queste sale. A causa del
la quantità dei beneficiati, le lunghe tavole che servivano alla di
stribuzione dei doni erano apparecchiate fitte fitte. Ogni posto era
appiccicato all’altro e non si era mai al sicuro da perdite territo
r i^ quando al pomeriggio, finito il grande pranzo, c’era ancora da
apparecchiare per un vecchio factotum o per il figlio del portiere.
Ma la maggiore difficoltà della giornata non consisteva in questo,
bensì nell’inizio, quando si apriva la porta a battenti. Sullo sfon
do della grande sala luccicava l’albero. Sulle lunghe tavole non c’e
ra un posto da cui non si mostrasse, seducente, almeno un piatto
variopinto con il marzapane e i rami d’abete; da molti poi ammic
cavano libri e giocattoli. Meglio però non lasciarsi troppo andare.
Mi sarei potuto rovinare la giornata se mi fossi affrettato a pre
gustare regali che poi si sarebbero rivelati legittima proprietà al
trui. Per evitarlo, restavo li imbambolato sulla soglia, sulle labbra
un sorriso di cui nessuno avrebbe potuto dire se me lo suscitava lo
splendore dell’albero o quello dei doni a me destinati ai quali, so
praffatto, non osavo avvicinarmi. Ma a determinare il mio com
portamento era infine un terzo motivo, più profondo di quelli sup
posti e persino di quello vero. Per il momento infatti i regali ap
partenevano più al donatore che a me stesso. Erano ritrosi; avevo
paura di afferrarli malaccortamente davanti agli occhi di tutti. Sol
tanto nell’ingresso, dove la ragazza H avvolgeva per noi in carta da
pacco e la loro forma scompariva in fagotti e pacchettini lascian
doci in pegno un peso, eravamo finalmente sicuri delle nostre nuo
ve sostanze.
Questo accadeva dopo molte ore. Quando infine uscivamo nel
crepuscolo con le nostre cose legate e ben strette sottobraccio, e
la carrozza aspettava davanti al portone, la neve giaceva immaco
lata su cornicioni e stecconate, e più grigia sul selciato, dal Lùtzo-
wufer si levava lo scampanellio di una slitta, e i lampioni a gas che
44 Scritti
Serata d ’inverno.
Krumtne Strafié.
Il calzino.
La Comarehlen.
Nascondigli.
Uno spettro.
Fu una sera del mio settimo od ottavo anno di vita davanti al
la nostra abitazione estiva di Babelsberg. Una delle domestiche si
attarda presso il cancello che dà su non so quale viale. Il grande
giardino, nelle cui zone periferiche mi sono aggirato, per me si è
già chiuso. È giunta l’ora di andare a letto. Forse mi sono saziato
del mio gioco preferito e in qualche punto della recinzione, in mez
zo alla sterpaglia, mi sono messo a tirare, con le frecce di gomma
della mia pistola Heureka, contro gli uccelli di legno che, all’urto
del proiettile, cadevano dal bersaglio dove se ne stavano circon
dati dal fogliame dipinto.
Per tutto il giorno avevo conservato un segreto - era il sogno
della notte precedente. Nel quale mi era apparso uno spettro. D if
ficilmente avrei potuto descrivere il luogo dove si stava affaccen
dando. E tuttavia somigliava a un posto che conoscevo, pur non
essendo accessibile. Era, nella stanza dove dormivano i genitori,
1938 49
Un angelo di Natale.
che, mutilato della base, sommerso nella neve o lucente nella piog
gia, concludeva la festa là dove un organetto l’aveva iniziata.
Disgrazie e delitti.
I colori.
Il cestino da lavoro.
“ Storpiando gnadige Vrau («gentile signora»), si ottiene g«a Fraa, che nella pronuncia
richiama Nàhfrau («signora cucitrice») [N.d.T.].
1938 55
La luna.
La luce che piove dalla luna non è destinata alla scena del no
stro esistere diurno. Il cerchio che essa indistintamente rischiara,
sembra essere quello di una terra rivale o secondaria. Non è quel
la che la luna segue da satellite, ma quella a sua volta trasformata
in satellite della luna. Il suo vasto petto, il cui respiro era il tem
56 Scritti
non avevano molto in più del mio lavamano. Della mia stessa esi
stenza non era rimasto altro che il sedimento del suo abbandono.
Due fanfare.
La giostra
graziare questo riserbo, se tutte le volte che chiama le cose per no
me lo stesso spirito del popolo prende le sue parti. E quando un di
soccupato forestiero, sbattuto nell’ufficio del bollo di Findlingen,
si orienta sulla constatazione: «Qui c’è proprio lo stesso puzzo di
Kalingen», l’autrice fissa, con un unico gesto, la stessa società di
classe. Essa possiede prima di tutto i mezzi di usare con parsimo
nia il linguaggio, in una maniera che non ha niente a che fare con
la falsa semplicità che è consueta nell’arte regionale moderna. Ri
corda piuttosto l’autentica arte popolare - a cui si era richiamato
il «Cavaliere azzurro» - , il modo in cui mediante piccoli sposta
menti del consueto sono messi in luce angoli riposti della vita quo
tidiana. Quando la polizia perquisisce la stanza di Bentsch, sua mo
glie scambia un’occhiata con lui. «Egli le fece un piccolo sorriso.
Era come se avessero vissuto insieme tutti quegli anni solo per eser
citarsi per quel minuto If» (pp. 498 sg.). Oppure: «Katharina non
contava, proprio come il gatto» (p. 118).
Si sta parlando della singolare creatura, della figliastra di Bentsch
che è ospite nella sua fam i^a. Ma non vi è domiciliata più di quan
to lo sia Melusina quando soggiorna per un certo tempo presso un
uomo. Aspira a tornare nel palazzo che è costruito sul fondo del
la fonte. Cosi Katharina ha nostalgia di casa sua. Ma la creatura
umana non ha ancora una sua casa. Katharina pulisce la finestra:
«Dove erano i vetri che non si sarebbe mai stancata di strofinare,
perché una luce chiara ma non abbagliante illuminasse tutti gli an
goli della stanza, con la tavola apparecchiata, il letto preparato,
non alla svelta e di ripiego, ma da sempre e per sempre? [...] fi
nalmente, Katharina! » (p. 118). Essa muore in seguito a un abor
to. Ha percorso tutto il suo stretto sentiero in silenzio e più in fret
ta di quanto si pensasse. E venuta, non ha saputo arrangiarsi ed è
scomparsa. Ma questa Katharina non sarebbe quello che è e man
cherebbe della sua parte migliore, se non stesse soltanto al di qua
dell’esperienza della vita, ma anche e altrettanto al di là di essa.
In questo senso è sorella della Katherlieschen con cui la fiaba fa
capire così bene quale promessa rappresentano le vergini folli per
la gente saggia. Il loro sorriso non è in accordo col mondo, e loro
non sono in accordo con se stesse. Non hanno fretta di avere un
proprio domicilio, finché il cuore nel mondo è soltanto un rifugio
non il centro.
«Devo farmi venire in mente qualcosa?», pensa Katharina, che
ha appena ascoltato un saggio consiglio di Bentsch a una terza per
sona. «Rifletté a lungo, ma non le venne in mente nulla. Non pos
sedeva niente e non le mancava niente. Non aveva nessun proget
68 Scritti
Bibliografia
‘ I testi di Werner Kraft su Kafka, comparsi su giornali e riviste, sono stati ripresi in
WERNER KRAFT, Vranz Kafka. Durchdringung und Geheimnis [Franz Kafka. Compenetrazio
ne e mistero], Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1968 [N.<i.T.].
’ MAX BROD, Zauberreich der Liete [Paese incantato dell’amore], Zsolnay, Berlin-Wien-
Leipzig 1928 [N.ii.T.].
84 Scritti
to delle parallele; ciò che è caduto in questa nuova teoria del tea
tro è la «catarsi» aristotelica, la scarica degli affetti attraverso l’em
patia, l’immedesimazione nel movimentato destino dell’eroe. Un
destino che ha il movimento dell’onda, che trascina il pubblico con
sé. (La famosa «peripezia» è la cresta dell’onda, che rotola caden
do in avanti, fino a esaurirsi).
Per parte sua il teatro epico avanza a scosse, e può essere quin
di paragonato alle immagini della pellicola cinematografica. La sua
forma fondamentale è quella dello shock con cui le ben distaccate
situazioni singole del dramma si scontrano tra loro. I songs, le di
dascalie, le convenzioni gestuali degli attori staccano una situa
zione dall’altra. Si determinano cosf continui intervalli, che con
trastano notevolmente all’illusione del pubblico. Questi interval
li sono riservati alla sua presa di posizione critica, alla sua
riflessione. (Analogamente, il teatro classico francese faceva po
sto, in mezzo agli attori, alle persone di alta condizione, che ave
vano le loro poltrone sul palcoscenico).
Questo teatro epico aveva eliminato decisive posizioni di quel
lo borghese, con l’aiuto di una regia ad esso superiore per metodo
e precisione. E tuttavia questa conquista non era avvenuta una
volta per tutte, ma caso per caso. Questo teatro epico non era an
cora così consolidato, la cerchia di quelli che ne erano stati istrui
ti non era ancora cosf ampia che esso avrebbe potuto essere co
struito nell’emigrazione. Questa intuizione sta alla base del nuo
vo lavoro di Brecht.
Terrore e miseria del Terzo Reich è un ciclo composto di venti
sette atti imici costruiti secondo le regole della drammaturgia tra
dizionale. Talvolta il drammatico si accende come un lampo al ma
gnesio alla fine di uno sviluppo apparentemente idilliaco. (Chi en
tra dalla porta della cucina sono gli addetti al soccorso invernale,
che portano un sacco di patate per una piccola famiglia; quelli che
la lasciano sono le SA in mezzo a cui cammina la figlia che hanno
arrestato). Altrove si rivela im elaborato intrigo. (Cosf nella Croce
di gesso, dove il proletario riesce, con l’astuzia, a farsi rivelare da
una SA uno dei trucchi con cui i complici della Gestapo lottano
contro il lavoro illegale). Talvolta è la stessa contraddizione nei rap
porti sociali che è rappresentata sul palcoscenico quasi senza tra
sposizioni nella sua tensione drammatica. Mentre camminano in
tondo nel cortile del carcere sotto gli occhi del guardiano, due pri
gionieri parlano sottovoce tra loro; sono entrambi fornai; uno è in
prigione perché non ha messo crusca nel pane; l’altro è stato arre
stato un anno dopo perché ha messo della crusca nel suo impasto).
1938 91
29 giugno. Brecht parla del teatro epico; cita il teatro per bam
bini, in cui gli errori nella recitazione, fungendo da effetti di stra-
niamento, conferiscono dei tratti epici alla rappresentazione. Qual
cosa di simile può accadere anche nel teatro degli artisti girovaghi.
Mi viene in mente la rappresentazione ginevrina del Cià, in occa
sione della quale, nel vedere la corona sbilenca del re, trassi il pri
mo spunto di ciò che poi, nove anni più tardi, esposi nel mio libro
sul dramma barocco. Da parte sua, Brecht ricorda il momento a cui
risale l’idea del teatro epico. Fu durante le prove à&]\!Edoardo II
a Monaco. La battaglia che compare nell’opera deve occupare la
scena per tre quarti d’ora. Brecht non riusciva a risolvere il pro
blema dei soldati. (E come lui neppure Asja [Lacis], la sua aiuto-
regista). Alla fine si rivolse a [Karl] Valentin, allora suo intimo ami
co, che assisteva alle prove; lo fece, ormai stremato, domandan
dogli: «Dunque com’è la faccenda di questi soldati? Cosa fanno?
Insomma, cos’è che non va in loro ?» Valentin: « Sono smorti e han
paura». Questa osservazione fu quella decisiva. Brecht aggiunse:
« Sono stanchi». Le facce dei soldati furono ricoperte di uno spes
so strato di calce. E quel giorno si trovò la chiave di volta della
rappresentazione.
Poco dopo si ripresentò il vecchio tema «positivismo logico».
Mi mostrai piuttosto intransigente e la conversazione rischiò di
prendere una brutta piega. Si riuscì ad evitarlo perché Brecht, per
la prima volta, riconobbe la superficialità delle sue formulazioni.
Lo fece con la bella espressione: « al bisogno profondo corrisponde
un intervento superficiale». Più tardi, quando ci trasferinmio a ca
sa sua - dal momento che la discussione era avvenuta nella mia stan
za: «E un bene quando ci si trova in una posizione estrema e si vie
ne sorpresi da un’epoca reazionaria. Allora si perviene a uno stato
intermedio». Cosi, disse, era successo a lui: era diventato mite.
La sera: vorrei dare a qualcuno un piccolo dono per Asja; dei
guanti. Brecht pensa che sia un problema. Potrebbe diffondersi la
voce che Jahnn [Jehne?] le abbia portato un paio di guanti per ri
pagarla dei suoi servizi di spionaggio. - «La cosa peggiore: che ven
gano sempre liquidate intere cellule. Ma le loro disposizioni re
stano presumibUmente valide».
* Nell’originale, gioco di parole con il verbo sitzen, che significa sia «stare seduti» che
«essere in galera» [N.<i.T.].
193 » 97
dal momento che non c’è opera del teatro tedesco, anche la più si
gnificativa, che non porti i segni della grettezza piccolo-borghese.
Io notai che anche la ricezione de Le affinità elettive era avvenuta
proprio in tal senso, era stata cioè pessima. Brecht: «Mi fa piace
re. - I tedeschi sono un popolo di merda. Non è vero che parten
do da Hitler non si possano trarre conclusioni sui tedeschi. Anche
in me, tutto ciò che è tedesco è negativo. Ciò che è insopportabi
le nei tedeschi è la loro ottusa indipendenza. Qualcosa di simile
alle libere città imperiali come, per esempio, quella città di merda
di Augusta non è mai esistita da nessuna parte. Lione non è mai
stata una libera città; le libere città del Rinascimento erano città-
stato. - Lukàcs è un tedesco d’elezione. In lui non è rimasta nep
pure la minima traccia della puszta».
Ne Le più belle leggende del brigante Woynok della [Anna] Se-
ghers, Brecht ha apprezzato il fatto che in esse si percepisca il se
gno dell’emancipazione della Seghers dall’opera su commissione.
«La Seghers non riesce a produrre su commissione, come se io sen
za commissione proprio non sapessi come fare a scrivere». Ha ap
prezzato anche che in queste storie il personaggio principale sia
uno stravagante e un solitario.
26 luglio. Brecht ieri sera: «Non c’è più alcun dubbio - la lot
ta contro l’ideologia è diventata una nuova ideologia».
I. La bohème
* Proudhon, che noti vuole essere confuso con i cospiratori di professione, si definisce
in alcune occasioni «un uomo nuovo - un uomo il cui obiettivo non è la barricata ma la di
scussione; un uomo che potrebbe andare a cena ogni sera con il Capo della Polizia e confi
darsi con tutti i de la Hodde di questo mondo» (cfr. g u s t a v e g e f f r o y , L'enfermé, Paris
1987, pp. 180-81) [N.(i.y4 .].
‘ KARL MARX e FRIEDRICH ENGELS, Bespr. VOTI Adolph Chefiu, «Les Compimteurs». Paris
1830 und Lucie» de la Hodde, «La Naissance de la République en Février 1848» (1850), in
«Die Neue Zeit», IV (1886), p. 555 [trad. it. Recensione ad A . Chenu, «Les Conspirateurs»,
e a L .d e la Hodde^ «La naissance de la République en Février 1848», in k a r l m a r x e F r ie
d r ic h ENGELS, OpereX, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 317-18] [N.d.A.].
102 Scritti
‘ KARL MARX, Der achtzehnte Brumaire des Louis Bomparte. Neue ei^àtizte Ausgabe mit
einem Voruiortvon F. Engels, a cura e con un’introduzione di D[avid] Rjazanov, Wien-Bet-
lin 1927, p. 73 [trad. it. Il i8 brumaio ài Luigi Bomparte, Editori Riuniti, Roma 1974, p.
133] [N .d.A .l
’ CHARLES BAUDELAIRE, (Euvres, a cura di Yves-Gérard Le Dantec, 2 voli., Paris 1931-
32 (Bibliothèque de la Plèiade I e VII), II, p. 415 [trad. it. Opere, Mondadori, Milano 1996,
p. 723] [N .d.A .l
1938 103
' ID., CEuvres cit., II, p. 666 [trad. it. Opere cit., p. 1447] [N.rf.A.].
’ c . PROLÈS, Raoul Rigault. La préfecture de polke sous la Commune. Les otages (Les
Hommes de la révolutìon de 1871), Paris 1898, p. 9
’ CHARLES BAUDELAIRE, Lettres à SU mère cit., p. 278 [trad. it. p. 338] [N.ii.A.].
“ KARL MARX e FRIEDRICH ENGELS, Bespr. voti Àdolph Chetiu c i t . , p . 5 5 6 [ tr a d . i t . p . 3 19]
iK d.A :\.
'* Cfr. AJASSON DE GRANDSAGNE e M . PLAUT, Révolution de i8 }o . Pian des combats aux
2 7 ,28 et z^juillet, Paris [s.d.] [N.<i..A.].
“ VICTOR HUGO, CEuvres complètes, edizione definitiva sulla scorta dei manoscritti ori
ginali, Roma», voi. V ili: Les misérables, IV, Paris 1881, pp. 522-23 [trad. it. IMiserabili,
Garzanti, Milano 1975, pp. 1029-30] [N.^i.A.].
1938 105
“ KARL MARX, Die Kkssenkàmpfe in Vmnkreich 1848 bis 1850, ripreso dalla «Neue
Rheinischen Zeitung», Politisch-okonomische Revue, Hamburg 1850, con un’introduzio
ne di Friedrich Engels, Berlin 1895, p. 87 [trad. it. Le lotte di classe in Francia i848-i8;o,
in KARL MARX e FRIEDRICH ENGELS, O pereX àt., p. 118] [N.d.A.].
HONORÉ-ANTOINE FREM ER, Des closses dangereuses de la populatione dans les grandes vii-
les, et des moyens de les rendre meilleures, Paris 1840, voi. I, p . 86 [N.<i.i4 .].
” EDOUARD FOUCAUD, PaHs inventeut. Physiologie de 1‘industrie fmngaise, Paris 1844, p .
IO [N.d.A .1
ro8 Scritti
* Il bilancio è un documento sociale non tanto per le rilevazioni, condotte su una de
terminata famiglia, quanto per il tentativo di far apparire meno sconveniente la più profon
da indigenza rubricandola in bell’ordine. Con l’ambizione di non lasciare nessuno dei loro
tratti disumani sprovvisto del relativo articolo di legge il cui rispetto si può constatare pro
prio in tale disumanità, gli stati totalitari hanno portato a fioritura un seme che, come di
mostra questo esempio, già sonnecchiava in un precedente stadio del capitalismo. La quar
ta sezione di questo bilancio di un cenciaiolo - bisogni culturali, divertimenti e igiene - si
presenta come segue «Istruzione dei figli: la retta scolastica viene pagata dal datore di la
voro della famiglia - 48 fr.oo; - acquisto libri - i fr.45. sussidi ed elemosine (i lavoratori
di questo ceto sociale di norma non fanno l’elemosina); festività e ricorrenze: pasti di tu t
ta la famiglia a una delle bamères di Parigi (8 gite all’anno): vino, pane e patate arrosto -
8 fr.oo; - pasti a base di maccheroni - con burro e formaggio - e con l’aggiunta di vino, a
Natale, il martedì grasso, a Pasqua e a Pentecoste: queste spese sono registrate nella prima
sezione; - tabacco da masticare per il marito (cicche raccolte dal lavoratore stesso)... per
un valore dai 5.00 ai 34.00 fr.; - tabacco da fiuto per la moglie (acquistato)... 18 fr.66; -
giocattoli e altri regali per il figlio - i fr.oo... corrispondenza con i parenti: lettere dei fra
telli del lavoratore che vivono in Italia: in media una all’anno... Appendice. In caso di di
sgrazie, gli aiuti più consistenti alla famiglia provengono da forme di beneficenza priva
ta... Risparmio annuo (il lavoratore è del tutto incapace di guardare al futuro; gli preme
soprattutto ottenere per la moglie e la figliolina tutto il benessere momentaneo consentito
loro dalla situazione; non risparmia e spende ogni giorno tutto ciò che guadagna)» (fré-
DÉRic LE PLAY, Les ouvrìen européens, Paris 1855, pp. 274-75). “ Una sarcastica conside
razione di Buret illustra lo spirito che animava simili indagini: «Poiché il senso di umanità,
ma anche il semplice decoro, vieta di lasciare morire come bestie gli esseri umani, non si
può negare loro l’elemosina di una bara» (e u g è n e B im E T , De la misère des classes laborìeuses
en Angletene et en Vrance;de k nature de la misère, de son existence, de ses effets, des ses cau-
ses, et de l'insuffisance des remèdes qu'on lui a opposés jusqu’ici;avec l'indicatìon des moyens
propresà en affranchir les sociétés, Paris 1840, voi. I, p. 266) [N.d.A.].
” CHARLES BAUDELAIRE, CEuVres cit., I, p. 120 [N.d.A.].
1938 109
* Il titolo è seguito da una nota introduttiva, soppressa nelle successive edizioni, che
fa passare le poesie di questo gruppo per una riscrittura di alto livello «dei sofismi dell’i
gnoranza e della rabbia». Di riscrittura in realtà non si può proprio parlare. Lo comprese
la magistratura del Secondo Impero e lo comprendono anche i suoi successori. Lo rivela
con grande nonchalance il barone Seillière nella sua interpretazione Le reniement de Saint
Pierre e contiene i versi: «Révais-tu de ces jours... I Où, le coeur tout gonflé d ’espoir et de
vaillance, I Tu fouettais tous ces vils marchands ì tour de bras, I Où tu fus maitre enfin?
Le remords n ’a-t-il pas I Pénétré dans ton flanc plus avant que la lance?» (I, p. 136). L’i
ronico esegeta interpreta questi remords nel senso di un’autoaccusa per avere perso «un’ec
cellente occasione per imporre la dittatura del proletariato (e r n e s t s e i l l i è r e , Baudelaire,
Paris 1931, p. 139) [N.d.A.].
“ KARL MARX, Dos Kapitul. Kritik derpolitischen Ókonomie, testo integrale sulla scorta
della 2 “ edizione, voi. I, Berlin 1932, p. 173 [trad. it. Il Capitale. Critica dell’economia po
litica, Editori Riuniti, Roma 1964, p. 204] [N.d.A.].
” CHARLES BAUDELAIRE, CEuvreS cit., I, p. 138 [N.d.A.].
1938 111
va in più rispetto agli scrittori del suo tempo - non esclusi i più
grandi. E ciò spiega in cosa fosse superiore alla prassi letteraria del
suo tempo.
La prassi letteraria quotidiana per centocinquant’anni aveva
gravitato intorno alle riviste. Verso la fine del primo terzo del se
colo le cose iniziarono a cambiare. Grazie al feuilleton, le belle let
tere si conquistavano un mercato nei quotidiani. L’introduzione
del feuilleton riassume in sé i cambiamenti che la rivoluzione di
luglio aveva determinato nella stampa. Nel periodo della Restau
razione, di un giornale non si poteva comprare un singolo nume
ro; bisognava essere abbonati. Chi non poteva permettersi di spen
dere 80 franchi, che erano una somma elevata, per l’abbonamen
to annuale, dipendeva dai caffè dove spesso più persone si
raccoglievano intorno alla stessa copia. Nel 1824 a Parigi vi era
no 47 000 persone abbonate a un giornale, nel 1836 7000 e nel
1846, 200 000. In questo aumento svolse un ruolo decisivo il quo
tidiano di Girardin «La Presse» che aveva introdotto tre impor
tanti novità: la riduzione del prezzo dell’abbonamento a 40 fran
chi, l’inserzione pubblicitaria e il romanzo d ’appendice. Nello stes
so periodo la notizia breve e svincolata dal contesto cominciò a
fare concorrenza all’articolo più meditato. Aveva il vantaggio di
poter essere sfruttata commercialmente. A spianarle la strada fu
la cosiddetta «réclame», termine con il quale ci si riferiva a una
notizia all’apparenza indipendente, ma in realtà pagata daU’edi-
tore, con la quale nella parte redazionale si richiamava l’attenzio
ne su un libro cui il giorno prima, o anche nello stesso numero,
era dedicato una pubblicità. Già nel 1839 Sainte-Beuve si lamen
tava dei suoi effetti deprimenti. «Come era possibile stroncare»
nella parte critica «un prodotto... di cui due dita più sotto si di
ceva che era il capolavoro dell’epoca? La forza di attrazione del
la pubblicità, con i suoi caratteri sempre più grandi ebbe il so
pravvento: era una montagna magnetica che deviava l’ago della
bussola»” . La «réclame» segna l’inizio di un processo la cui con
clusione è la notizia di borsa dei giornali pagata da chi ne trae van
taggio. La storia dell’informazione non può essere disgiunta da
quella della corruzione della stampa.
La notizia non necessitava di molto spazio; era la notizia, non
il fondo politico, né il romanzo d’appendice, a dare al giornale quel
l’aspetto ogni giorno diverso, accortamente variato nell’impagina-
n. Ilflàneur
* EDUAKD FUCHS, T>ie Karikatur der europàischen Vólker. Erster Teil: Vom Altertum bis
lum Jahre 1848, 4 “ ed., Miinchen 1921, p. 362 [N.d.A.].
’ FERDINAND VON GALL, Paris und seitie Salons, voi. 2, Oldenburg 1845, p. 22 [N.d.A.].
1938 123
che Marie Roget, la vittima, sia stata eliminata subito dopo avere
lasciato l’appartamento della madre. «E impossibile che una per
sona nota a tanta gente, come lo era questa giovane, possa essere
passata davanti a tre blocchi di edifici senza essere stata vista da
qualcuno. Questa può essere l’idea di un uomo che risiede da lun
go tempo a Parigi, un uomo noto, un uomo le cui passeggiate per
la città si sono limitate per lo più alla zona degli uffici pubblici.
Egli va e viene, a intervalli regolari, entro un perimetro fisso, do
ve sono molte le persone indotte a notare la sua persona per quel
la comunanza di interessi che nasce dalla natura affine alle loro ri
spettive occupazioni. Ma, in linea di massima, le passeggiate di
Marie si possono immaginare saltuarie. Nel caso in questione, poi,
si può pensare benissimo che molto probabilmente ella abbia fat
to una strada molto diversa da quella che solitamente faceva. Il pa
rallelo che, secondo noi, è sorto nella mente del “Commerciel”,
potrebbe reggere soltanto nel caso di due individui che attraver
sassero l’intera città. In questo caso, supponendo che le conoscenze
personali dei due fossero uguali, sarebbero anche uguali le proba
bilità di un ugual numero di incontri personali. Per parte mia, ri
terrei non solo possibile, ma addirittura molto probabile che Ma
rie possa avere deviato in un dato momento da una qualunque del
le molte strade che corrono fra il suo domicilio e quello di sua zia,
senza incontrare una sola persona che ella conoscesse o da cui el
la fosse conosciuta. Ponendo questo problema nella sua giusta pro
spettiva, non dobbiamo perdere di vista la grande sproporzione
fra le conoscenze personali della più nota personalità di Parigi e la
intera popolazione di Parigi stessa»**. Se si prescinde dal contesto
che induce Poe a queste riflessioni, l’investigatore perde la sua
competenza, ma il problema conserva il suo interesse. In forma
modificata, è alla base di una delle poesie più famose delle Yleun
du mal, il sonetto A une passante.
La rue assourdissante autour de moi hurlait.
Longue, mince, en grand deuil, douleur majestueuse,
Une femme passa, d’une main fastueuse
Soiilevant, balangant le feston e l’ourlet;
Agile et noble, avec sa jambe de statue.
Mois, je buvais, crispé comme un extravagant,
Dans son oeil, d el livide od germe l’ouragan,
La douceur qui fascine et le plaisir qui tue.
* Il motivo dell’amore per la passante è ripreso in una poesia del primo George, al qua
le è tuttavia sfuggito l’elemento decisivo - la corrente in cui la donna, trasportata dalla fol
la, passa accanto al poeta. Ne risulta una timida elegia. Come deve confessare alla sua da
ma, gli sguardi del poeta sono «feucht vor sehnen fortgezogen I eh sie in deine sich zu tauchen
trauten» ( s t e f a n g e o r g e , Hymnen Pilgerfahrten Algahal\lnm pellegrinaggi Elagabalo], Ber
lin 1922’, p. 22; «Passati oltre, umidi di passione I prima di osare immergersi nei tuoi»)
[N.ii.X.].
CHARLES BAIIDELAIRE, (EuVreS cit., I, p. 106 [N.d.A.].
“ ALBERT THIBAUDET, Intérieurs.BaudekÌK,Ffomentin,Amiel, Paris 1924, p. 22 [N.<i..i4 .].
1938 131
far scomparire per volgersi di coni, se non la traccia dei suoi gior
ni terreni, almeno quella dei suoi accessori e oggetti d’uso. E un in
stancabile affannarsi a prendere l’impronta di un’infinità di ogget
ti; si cercano custodie e astucci per pantofole e orologi da tasca, per
termometri e portauova, per posate e ombrelli. Si preferiscono fo
dere in velluto e in felpa che conservano l’impronta di ogni con
tatto. Con lo stile makart - lo stile del Secondo Impero declinante
- l’appartamento si trasforma in una sorta di guscio. Lo si conce
pisce come astuccio dell’uomo nel quale adagiarlo con tutti i suoi
aggeggi, custodendone la traccia come la natura custodisce nel gra
nito una pianta morta. Non si può negare che il fenomeno presen
ta due lati. Si sottolinea il valore reale o sentimentale degli ogget
ti così custoditi. Essi vengono celati allo sguardo profano di chi non
li possiede, e significativamente si tende a cancellarne i contorni.
Non sorprende che il rifiuto di ogni controllo, che è una seconda
natura dell’asociale, si ripresenti nella borghesia abbiente. - Que
ste abitudini possono essere intese come l’illustrazione dialettica di
un testo apparso in molte puntate nel «Journal officiel». Già nel
1836 Balzac aveva scritto Modeste Mignon: «Povere donne di
Francia! certamente gradireste restare anonime, per continuare a
tessere la trama del vostro piccolo romanzo d’amore. Ma come po
tete riuscirvi in una civiltà che sulle pubbliche piazze fa registrare
arrivo e partenza delle carrozze, che conta le lettere e che le tim
bra due volte, prima quando vengono spedite e poi quando si con
segnano, che dà dei numeri alle case e che presto nei suoi libri ca
tastali avrà registrato tutto il paese... sino al più piccolo appezza
mento»^*. A partire dalla Rivoluzione francese, una capillare rete
di controlli si era progressivamente stretta intorno alla vita bor
ghese. La numerazione delle case è un buon esempio del procede
re della normazione nelle metropoli. A Parigi era stata resa obbli
gatoria dall’amministrazione napoleonica. Nei quartieri proletari
tuttavia questa semplice misura poliziesca aveva incontrato delle
resistenze a proposito di Saint-Antoine, il quartiere degli ebanisti;
ancora nel 1864 si diceva: « Se si chiede l’indirizzo a un abitante di
questo quartiere periferico, dirà sempre il nome della sua casa, e
mai il freddo numero ufficiale »“ . Simili resistenze alla lunga non
potevano naturalmente contrapporsi al tentativo di compensare,
grazie a una complessa rete di registrazioni, quell’assenza di tracce
che la scomparsa della gente nelle masse delle metropoli porta con
sé. Queste tendenze danneggiarono Baudelaire al pari di un qua
lunque criininale. In fuga dai creditori, trovò riparo nei caffè e nei
circoli di lettura. Vi furono periodi in cui viveva contemporanea
mente in due case - ma nei giorni in cui scadeva l’affitto spesso dor
miva da amici in una terza. Così si aggirava per quella città dove il
fldneur ormai non si sentiva più a casa. Ogni letto in cui si corica
va era per lui un «lit hasardeux»". Per gli anni fra il 1842 e il 1858,
Crépet ha rintracciato quattordici indirizzi parigini di Baudelaire.
Al processo di controllo amministrativo dovevano venire in soc
corso delle misure tecniche. Al principio del processo di identifi
cazione il cui standard attuale è dato dal metodo Bertillon, si col
loca l’identificazione della persona grazie alla firma. Nella storia
di questo processo, l’invenzione della fotografia costituisce una ce
sura. Per la criminalistica essa ha un significato non inferiore di
quello avuto dalla stampa per la letteratura. Con la fotografia per
la prima volta è possibile fissare in maniera duratura e univoca le
tracce di un essere umano. Il racconto d’investigazione nasce nel
momento in cui si consolida quella che fu la più incisiva limita
zione dell’incognito dell’uomo. Da allora non hanno più avuto fi
ne i tentativi di impedirgli di agire e di parlare.
L ’uomo della folla, la famosa novella di Poe, è una sorta di ra
diografia del racconto d’investigazione. Della veste esteriore, rap-
jresentata dal delitto, in questo caso si è fatto a meno. E rimasta so-
o l’ossatura: l’inseguitore, la foUa, uno sconosciuto che organizza il
suo percorso per le vie di Londra facendo in modo di restare sem
pre fra la folla stessa. Questo sconosciuto è ilflàneur. In questo sen
so del resto lo ha inteso Baudelaire, quando nel suo saggio su Guys
definisce il flàneur «L’homme des foules». Poe tuttavia descrive il
proprio personaggio senza quella connivenza che è invece caratteri
stica di Baudelaire. Per Poe, il flàneur è soprattutto uno che non è
del tutto a proprio agio in compagnia di se stesso. Per questo cerca
la foUa; e non si dovrà cercare molto lontano per trovare il motivo
che lo spinge a nascondersi in essa. Poe cancella intenzionalmente
la differenza tra asociale e flàneur. Quanto più risulta difficile rin
tracciarlo, tanto più im uomo diventa sospetto. Rinunciando a in
seguirlo a limgo, il narratore così riassume il senso delle proprie ri
flessioni: « “Questo vecchio”, mi dissi, “è la personificazione, il ge
nio del delitto. Egli non vuole essere solo. E l’uomo della foUa” »“ .
* La stessa immagine in Crépuscule du soir. il cielo si chiude lentamente, come una gran
de alcova; cfr. Ch a r l e s b a u d e l a ir e , (Euvres cit., I, p. io8 [N.d.A.].
“ Cit. ANON. [FRANZ m e h r in g ], Charles Dìckem, in «Die neue Zeit», 30 (1991/12), voi.
I, p. 622 [N.d.A .1
” CHARLES BAtJDELAiRE, (EuvKs c i t . , II, p. 710 [ t i a d . i t . La Capitale delle scimmie c i t . ,
p. 8] [N.d.A .1
“ Cfr. (MARCEL POETE [e t A L.]), La tmnsformatìon de Paris sous le Second Empire. Expo-
sition de la Bibliothèque et des travaux historique de la ville de Paris. Organisée avec le concours
des collections de P. Blondel [et al.], Paris 1910, p. 65 [N.d.A.].
” jtJU E N LEMER, Paris au gaz, Paris 1861, p. 10 [N.^i.^.].
” ALFRED DELVAU. Les heuresparisiennes, Paris i866, p. 206 [N.<ì.j4 .].
1938 135
” Cfr. GEORGES FRIEDMANN, La cùse du pTogrès. Esquisse d'histoire des idées 1S95-J9JJ,
Paris 1936^, p. 76 [N.d.A.].
138 Scritti
nella sua utopia Paris n ’existe pas, «che si era soliti incontrare per
strada e davanti alle vetrine, questo personaggio futile, insignifi
cante, eternamente curioso, sempre alla ricerca di emozioni a buon
mercato, ed esperto solo di pavimentazione stradale, fiacre e lam
pioni a gas... adesso si è fatto agricoltore, vignaiolo, produttore di
lino, raffinatore di zucchero, industriale siderurgico»^.
Nel corso del suo girovagare, sul tardi l’uomo della foUa finisce
in un grande magazzino ancora molto affollato. Sembra conosce
re il posto alla perfezione. All’epoca di Poe esistevano grandi ma
gazzini a più piani? Come che sia, quell’uomo irrequieto trascor
re nel grande magazzino circa «un’ora e mezza». «Visitò l’uno do
po l’altro tutti i reparti senza comprare nulla, senza pronunciare
una parola, gettando solo sulle merci uno sguardo smarrito e vuo
to»". Se il passage è la forma classica di intérieurìn cui la strada si
presenta al flàneur, il grande magazzino ne è la forma degenerata.
Il grande magazzino è l’ultimo terreno che il flàneur può calcare.
Se inizialmente la strada era stata per lui un intérieur, ora questo
diventava per lui una strada, ed egli errava attraverso il labirinto
delle merci come in passato attraverso il labirinto della città. E un
tratto straordinario del racconto di Poe che nella prima descrizio
ne del flàneur esso già inscriva la figura della sua fine.
A proposito di Baudelaire, Jules Laforgue ha detto che era sta
to lui il primo a parlare di Parigi dal punto di vista di chi «giorno
dopo giorno è condannato a vivere nella capitale»". Avrebbe po
tuto dire che era stato il primo a parlare anche dell’oppiato con
cesso a questo - e solo a questo - condannato. La foUa non è solo
il rifugio più recente del proscritto; è anche la più recente droga
di chi è abbandonato a se stesso. Il flàneur è un uomo abbandona
to a se stesso nella folla. Egli condivide così la situazione della mer
ce. Di questa particolarità non è cosciente. Non per questo essa
agisce meno su di lui. Essa lo compenetra e inebbria come una dro
ga in grado di compensarlo di molte umiliazioni. L’ebbrezza cui si
abbandona il flàneur è quella della merce immersa nel cupo rumo
reggiare dei clienti.
Se esistesse quell’anima della merce cui Marx di quando in
quando fa scherzosamente cenno'*’, sarebbe la più empatica mai
esistita nel regno delle anime. Perché dovrebbe vedere in ciascu-
sero nulla in comune, nulla a che fare l’uno con l’altro, e tra loro
vi è solo il tacito accordo per cui ciascuno sul marciapiede tiene la
destra, affinché le due correnti della calca, che si precipitano in
direzioni opposte, non si ostacolino a vicenda il cammino; eppure
nessuno pensa di degnare gli altri di uno sguardo. La b ru tte in
differenza, l’insensibile isolamento di ciascuno nel suo interesse
personale emerge in modo tanto più ripugnante ed offensivo, quan
to maggiore è il numero di questi singoli individui che sono am
massati in uno spazio ristretto»'”.
Il flàneur solo apparentemente infrange questo «insensibile iso
lamento di ciascuno nel suo interesse personale», colmando il vuo
to che il suo isolamento ha creato in lui con quelli presi in presti
to, e oltretutto immaginati, degli estranei. Se paragonato alla chia
ra descrizione di Engels, quanto scrive Baudelaire appare oscuro:
«Il piacere di trovarsi tra le folle è un’espressione misteriosa del
godimento della moltiplicazione del numero»’®;la frase tuttavia si
chiarisce se la si immagina pronunciata non dal punto di vista del
l’essere umano bensì da quello della merce. Nella misura in cui l’es
sere umano, in quanto forza lavoro, è merce, non ha proprio bi
sogno di immedesimarsi appositamente nella merce. Quanto più
diviene cosciente che questo suo modo di essere è quello impo
stogli dal sistema produttivo - quanto più si proletarizza - tanto
più lo pervade l’alito gelido dell’economia mercantile, tanto meno
gli accadrà di immedesimarsi nella merce. Ma la classe dei piccoli
borghesi, di cui faceva parte anche Baudelaire, ancora non aveva
raggiunto questo stadio. Aveva appena iniziato a scendere lungo i
gradini della scala. Era inevitabile che molti suoi esponenti un gior
no avrebbero compreso la natura di merce della loro forza lavoro.
Ma quel giorno non era ancora giunto. E sino ad allora potevano,
per cosi dire, far passare il tempo. Proprio il fatto che essi frat
tanto, nella migliore delle ipotesi, potessero essere partecipi del
godimento, ma mai del potere, faceva del periodo concesso loro
dalla storia un oggetto per passare il tempo. Chi va in cerca di un
passatempo, va in cerca del godimento. Va da sé che al godimen
to di questa classe erano posti limiti tanto più ristretti quanto più
essa vi indulgeva in questa società. Il godimento era invece meno
limitato, quando era possibile godere óiella società. Se in questo
” FRIEDRICH ENGELS, Die Lage der orbeitenden Klasse in England. Nach eigner Anschauung
und authentìschen Quelkn, 2“ ed., Leipzig 1848, pp. 36-37 [trad. ìt. La situazione della clas
se operaia in Inghilterra, in k a r l m a r x e F r ie d r ic h e n g e l s , Opere IV, Editori Riuniti, Ro
ma 1972, pp. 262-63] [N.d.A.].
” CHARLES BAUDELAIRE, CEuvres cit., II, p. 626 [trad. it. Opere cit., p. 1387] [N.<i.y4 .].
142 Scritti
* L’originale propone la traduzione che dei versi di Shelley diede Brecht: «Die Halle ist
eìne Stadt, sehr àhnlich London - 1 Etne volkreiche und eine muchige Stadt. I Dort giht es alle
Arten von ruinierten Leuten I Vnd dort ist wenig oder gar kein Spa^ I Wenig Gerechtigkeit und
noch weniger Mitkid» [«L’inferno è una città, molto simile a Londra - I Una città piena di
gente e di fumo. I Ci sta un’infinità di gente rovinata 1e poco o nessun divertimento I poca
giustizia e ancor meno compassione»] [N.<i.T.].
’ * PERCY BYSSHE SHELLEY, The Complete Poetical Works, London 1932, p, 346 (Peter
Bell thè Third Part, trad. di Brecht) [N.<i.i4 .].
” CHARLES BAUDELAIRE, (Euvres cit., I, p. 102 [trad. it. Opere cit., p. 183] [N.d.A.].
” Cfr. ibid. [N.d.A.].
” Ibid., II, p. 193 [trad. it. Scritti sull’arte cit., p. 165] [N.d.A.].
1938 143
Foule sans nom! chaos! des voix, des yeux, des pas.
Ceux qu’on n’a jamais vus, ceux qu’on ne connaìt pas.
Tous les vivants! - cités bourdonnant aux oreilles
Plus qu’un bois d’Amérique ou des ruches d’abeilles*^.
“ GUSTAVE SIMON, Chez VictorHugo. Les tahks toumantes de Jersey. Procés-verbaux des
séances, Paris 1923, pp. 306-8, 314
193 » 147
All’idea di una massa oppressa collocata nel segno della foUa po
teva corrispondere un giudizio rivoluzionario attendibile ? Non era
quell’idea piuttosto espressione evidente della limitatezza del giu
dizio quale che ne fosse l’origine? Nel dibattito alla Camera del 2
novembre 1848, Hugo aveva protestato contro la barbara repres
sione dell’insurrezione di giugno a opera di Cavaignac. Il 20 giu
gno tuttavia, nella discussione sugli ateliers mtìonaux aveva coniato
il motto: «La monarchia aveva i suoi perdigiorno, la repubblica ha
i suoi fannulloni»*. Il riflesso, inteso come idea superficiale del
l’immediato e ingenua del futuro, in Hugo si ritrova accanto alla
profonda intuizione della vita che si crea nel grembo della natura
e del popolo. Hugo non fu mai in grado di giungere a una media
zione; il fatto che non ne abbia mai avvertito la necessità, era il
jresupposto dell’enorme ambizione, dell’enorme dimensione del-
a sua opera, e probabilmente anche dell’enorme effetto che essa
ebbe sui contemporanei. Nel capitolo à.€\Misérables intitolato L'ar-
got i due lati contrastanti della sua natura si contrappongono con
particolare asprezza. Dopo avere gettato arditi sguardi nell’offici
na linguistica del popolo minuto, il poeta così conclude: «Dall’89
in poi, tutto il popolo si dilata nell’individuo sublimato; non v’è
povero che, con il suo diritto, non abbia il suo raggio; il morto di
fame sente in sé l’onestà della Francia; la dignità del cittadino è
una armatura interiore; chi è libero è scrupoloso; chi vota regna»*’.
Victor Hugo vedeva le cose filtrate dalle esperienze di una glorio
sa carriera letteraria e da una brillante carriera politica. Fu il pri
mo grande scrittore a dare titoli collettivi alle sue opere - Les mt-
sérables, Les travailleurs de la mer. La foUa era per lui, quasi in sen-
* Pélin, un tipico rappresentante della bohème minuta, nel suo giornale «Les boulets
rouges. Feuille du club pacifique des droits de l’homme» a proposito di questo discorso
aveva scritto: «Il cittadino Hugo ha fatto il suo debutto all’Assemblea nazionale. Si è ri
velato, come era prevedibile, un delatore, un istrione e un parolaio; rifacendosi al senso del
suo ultimo scaltro e diffamatorio manifesto, ha parlato degli oziosi, della miseria, dei per
digiorno, dei lazzaroni, dei pretoriani della rivolta, dei condottieri: insomma, ha abusato
della metafora per attaccare gli ateliers m tiom ux» (a n o n . , Vaits diven, in «Les boulets rou
ges. Feuille du club pacifique des droits de l’homme» [redattore: Le C“ PéUn], i “ anna
ta, n. I , dal 22 al 25 giugno 1848, p. i ) . - Nella suaHistoireparlamentairede la SecondeRé-
puhlique Eugène Spuller scrive: «Victor Hugo era stato eletto con i voti della reazione. [...]
Fatta eccezione per due o tre occasioni di scarso rilievo politico, aveva sempre votato con
la Destra» (e u g è n e s p u l l e r , Histoireparlamentaire de la Seconde RépubUtjue suivi d'une pe
tite hhtoire du Second Empire, Paris 1891, pp. i n e 266) [N.d.A.].
“ VICTOR HUGO, CEuvres complètes cit., Poesìe cit., v o i. IV: Les Chàtiments, Paris 1882,
P- 397 («Le carovane W ») [N .i.A .].
" Ibid., Roman cit., voi. V ili: Les misérables cit., IV, p. 306 [trad. it. p. 917] [N.ii./l.].
148 Scritti
m. La modernità
vare nelle ore in cui gli altri dormono, mentre «chino sul suo ta
volo, lancia sul foglio di carta lo stesso sguardo che poc’anzi ri
volgeva alle cose; tira di scherma con la sua matita, la sua penna,
il suo permeilo; fa schizzare l’acqua dal bicchiere al soffitto, asciu
ga la penna sulla camicia; lavora in fretta, violento, quasi temesse
che le immagini gli sfuggano; è in lotta benché solo e para i suoi
stessi colpi»*. Nella prima strofa del Soleìl, Baudelaire ha ritratto
se stesso nel pieno di una simile «scherma fantastica», e questo è
forse il solo passo delle Vleurs du mal che lo mostri nel suo lavoro
poetico. Il duello che coinvolge ogni artista e nel quale egli «pri
ma di soccombere, grida per l’orrore»’ è inserito nella cornice di
un idillio; i suoi tratti violenti sono posti in secondo piano, men
tre si manifestano quelli affascinanti.
Le long du vieux faubourg, ou pendent aux masures
Les persiennes, abri des sécrètes luxures,
Quand le soleil cruci frappe à traits redoublés
Sur la ville et les champs, sur les toits et les blés,
Je vais m’exercer seul à ma fantasque escrime,
Flairant dans tous les coins les hasards de la rime,
Trébuchant sur les mots comme sur les pavés,
Heurtant parfois des vers depuis longtemps révés“ .
rando nei dintorni*. Sono però soprattutto due famosi versi di Bau
delaire con la loro impercettibile sincope a risuonare con maggiore
evidenza sopra il vuoto sociale di cui parla Marx. Essi concludono
la seconda strofa della terza poesia delle Petites vìeìlìes. Proust le
commenta con le parole «Il semble impossible d’aller au del໓ .
Ah! Que j’en ai suivi, de ces petites vieilles!
Une, entre autres, à l’heure od le soleil tombant
Ensanglante le d el de blessures vermeilles,
Pensive, s’asseyait à l’écart sur un banc,
Pour entendre un de ces concerts, riches de cuivre,
Dont les soldats parfois inondent nos jardins,
Et qui, dans ces soirs d’or où l’on se sent revivre,
Versent quelque héroì'sme au coeur des citadins*’.
* Cft. «Pour toi, vieux maraudeur, I L’amour n’a plus de goùt, non plus que la dispu
te» (CHARLES BAUDELAIRE, CEuvres cit., I, p. 89). Fra i rari esempi ripugnanti nella vasta, e
per lo più incolore letteratura critica su Baudelaire è il volume di tale Peter Klaseen. Di
questo testo, che, redatto nella terminologia corrotta del «Georgekreis», rappresenta Bau
delaire per cosi dire sotto lo «StahUielm» - è significativo che al centro della sua vita col
lochi la restaurazione ultramontana, ossia U momento «in cui, coerentemente con la re
staurazione della monarchia per grazia divina, il sancta sanctorum è condotto per le stra
de di Parigi scortato dallo scintillo delle armi. Nella sua essenzialità, questa esperienza
potrebbe essere stata decisiva per tutta la sua esistenza» (p e t e r k l a s e e n , Baudelaire: Welt
unà Gegenwelt, Weimar 1931, p. 9). All’epoca Baudelaire aveva sei anni [N.d.A.].
“ MARCEL PROUST, A propos de Baudelaire, in «Nouvelle revue fran9aise», volume 16,
1° giugno 1921, p. 646 [trad. it. A proposito di Baudelaire, in ro., Scrìtti mondarti e lettera
ri, Einaudi, Torino 1984, p. 576] [N.i.y4 .].
CHARLES BAUDELAIRE, CEuVreS cit., I, p. 104 [N.d.A.].
1938 155
quartieri dove le virtù più umili e più grandi abitano al fianco dei
vizi più incalliti e dei vomiti del bagno penale; da questa moltitu
dine sospirante e languente a cui la terra deve le sue meraviglie, che
sente un sangue vermiglio e impetuoso scorrerle nelle vene, che getta
un lungo sguardo carico di tristezza sul sole e l’ombra dei grandi
parchi»^. Questa moltitudine costituisce lo sfondo sul quale si ri
taglia la silhouette dell’eroe. Al quadro che cosf si delineava, Bau
delaire diede un titolo a suo modo: vi appose la parola modernità.
L’eroe è il vero soggetto della modemité. Detto altrimenti - per
vivere la modernità è necessaria una disposizione eroica. Anche Bal-
zac era di questa opinione. Balzac e Baudelaire si contrappongono
cosf al romanticismo. Essi trasfigurano le passioni e la risolutezza;
il romanticismo, la rinuncia e la dedizione. Ma questo nuovo mo
do di vedere ha maglie incomparabilmente più fitte, è incompara
bilmente più denso di riserve nel poeta lirico che non nel roman
ziere. Due figure retoriche spiegano in che termini. In entrambe
l’eroe è presentato al lettore nella sua manifestazione moderna. In
Balzac il gladiatore si trasforma in commis voyageur. Il grande com
messo viaggiatore Gaudissart si accinge a conquistare la Turenna.
Balzac descrive i suoi preparativi e si interrompe per esclamare:
«Che atleta! che arena! e che armi: lui, il mondo e la sua parlanti
na! »^‘. Baudelaire invece individua lo schiavo schermitore nel pro
letario; la quinta strofa d e L ’àme du vin menziona alcune delle pro
messe che il vino mette a disposizione del diseredato:
J’allumerai les yeux de ta femme ravie;
A ton fils je rendrai sa force et ses couleurs
Et serai pour ce fréle athlète de la vie
L’huile qui raffermit les muscles des lutteurs“ .
” CHARLES BENOIST, L ’homme de 1848, II: Comment ils est àéveloppé le communtsme,
1‘organisatìon du travati, la réforme, in «Revue des deux mondes», 84® annata, 6“ periodo,
volume 19, 1° febbraio 1914, p. 667 [N.ii.A.].
“ CHARLES BAUDELAIRE, CEuvres c i t . , II, p p . 54-55 [tta d . it. Scritti sull'arte c i t . , p. 47]
[N.ÉÌ./4 .].
” Ibid., p. 134 [ibid., p. 121]
158 Scritti
fascino che esercita sul poeta la passante vestita a lutto del sonet
to. Il testo del 1846 si conclude come segue: «In effetti gli eroi
dell’Iliade non vi arrivano alla caviglia, o Vautrin, Rastignac, Birot-
teau, - e tu, Fontanarès, che non hai osato confessare al pubblico
i tuoi dolori sotto il frac funebre e spiegazzato che tutti indossia
mo; - e tu, Honoré de Balzac, tu il più eroico, il più singolare, il
più romantico e il più poetico di tutti i personaggi che hai tratto
dalla tua carne»“ .
Quindici anni più tardi, Friedrich Theodor Vischer, un demo
cratico della Germania meridionale, in una critica della moda ma
schile giunge a considerazioni simili a quella di Baudelaire. Tut
tavia si sono modificati gli accenti; quanto in Baudelaire si inseri
sce come tonalità nella prospettiva crepuscolare della modernità,
in Vischer appare come esplicito argomento della lotta politica.
«Dichiarare il colore della propria gabbana», scrive Vischer con
riferimento alla reazione che domina dal 1850, «è considerato ri
dicolo, essere severi infantile; come potrebbe perciò l’abito non
essere a sua volta incolore, allo stesso tempo floscio e stretto?»” .
Gli estremi si toccano; quando si esprime in immagini metafori
che, la critica politica di Vischer si sovrappone a un’immagine del
la fantasia del giovane Baudelaire. Albatros - un sonetto che
risale all’epoca del viaggio oltremare grazie al quale si sperava di
mettere sulla retta via il giovane poeta - Baudelaire si identifica
con questi uccelli e così ne descrive la goffagine sul ponte dove
vengono tenuti dalla ciurma:
A peine les ont-ils déposés sur les planches,
Que ces rois de l’azur, maladroits et honteux,
Laissent piteusement leurs grandes ailes blanches
Gomme des avirons traìner à còté d’eux.
Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule!’“
” CHARLES BAUDELAIRE, (Euvresòi.., II, pp. 134-35 [«ad. ìt. Scritti sull’arte dx.,'p. 122]
* Baudelaire coltivò a lungo l’idea di cimentarsi in romanzi che avessero per sfondo
questo ambiente. Ne recano traccia i titoli trovati nel lascito: Les enseignements d’un mon
stre, L ’entreteneur, La femme malhonnéte [N.<i.y4 .].
” CHARLES BAUDELAIRE, (Euvres c i t . , I, p p . 2 4 9 - 5 0 [ t r a d . i t . Opere c i t . , p p . 5 2 7 - 2 8 ]
” Cfr. FiRM iN M A nxA R D , La cité des intellectuels. Scènes cruelles et plaisantes de la vie
littéraire des gens de lettres au xix^ siècle, Paris s.d. [ 1 9 0 5 ^ , p . 3 6 2
“ CHARLES BAUDELAIRE, (EuvreS c i t . , I, p . I 9 3 [N.d.A.^.
1938 i6 i
* Tre quarti di secolo più tardi, il raffronto fra E protettore e il letterato ha ricevuto
nuova linfa. Quando gli scrittori furono scacciati dalla Germania, nella letteratura tedesca
fece ingresso la leggenda di Horst Wessel [N.ii.yl.].
” Ibid., II, p. 336 [trad. it. Scritti sull’arte cit., p. 289]
Kahn, op. cit., p. 15 [N.d.A.].
” CHARLES BAUDELAIRE, CEuvres c it- , II, p . 580 [ tr a d . i t . Opere c i t . , p . 996] [N.fi.yl.].
■" Ibid., p. 508 [ibid., pp. 914 sg.]
IÓ2 Scritti
* Nel XX secolo, Meryon trovò un biografo in Gustave Geffroy. Non a caso il capola
voro di questo autore è una biografia di Blanqui [N.d.AX
” MAXIME DU CAMP, Paris, ses organes, ses fonctions et sa vie dans la seconde moitìé du
xix"siècle, voi. VI, Paris 1886, p. 253 [N.d.A.].
” j[ o s e p h ] j o u b e r t . Pensée!. Précédées de sa cone^ondence. D ‘m e notice sur sa vie, son
caractère et ses travaux par Paul de Raynal, Paris 1869 , voi. II, p. 267 IN.d.A.].
1938 i6y
” CHARLES BAUDELAIRE, CEuvres cit., II, p. 293 [trad. it. Scritti suU’arte cit., p. 327]
[N .d.A .l
” MARCEL PROUST, A pfopos de Baudelaire cit., p. 656 [trad. it. p. 586] [N.d./4.].
” CHARLES BAUDELAIRE, (EuVreS cit., I, p. 53 [N .i.^.].
1938 169
CLAiRE DEMAR, Ma loi d ’ovenir, opera postuma pubblicata da Suzanne, Patis 1834,
pp. 58-59 [Kd.A.].
“ Cfr. FiRM iN MAUJLARD, La legende de k femme émancipée. Histoire defemmes pour ser
vir à l'histoire contempomine, Paris [s.d.], p. 65 [N.</./4 .].
*’ CHARLES BAUDELAIRE, (Euvres c i t . , II, p . 445 [ tr a d . i t . Opere c i t . , p . 839] [N .d.A.l
“ Ibid., p. 448 [N .d.A .l
1938 ly i
Nella seconda:
- Descendez, descendez, lamentables victimes,
Descendez le chemin de l’enfer éternel!“
dire una del passato e una del presente. Un capolavoro della vo
lontà...; l’ultima novità nella sfera dei sentimenti»” . Corrispon
deva perfettamente alle intenzioni di Baudelaire considerare que
sto atteggiamento un atto eroico della volontà. Il rovescio tutta
via è una mancanza di convinzione, di comprensione, di costanza.
In tutti i suoi moti, Baudelaire era esposto a mutamenti improv
visi, simili a shock. Tanto più seducente gli appariva un modo di
verso di vivere negli estremi. Esso prende forma nel fascino che
emana da molti dei suoi versi perfetti; in alcuni di questi esso si
auto-definisce.
Vois sur ces catiaux
Dormir ces vaisseaux
Dont l’hiimeur est vagabonde;
C’est pour assouvir
Ton moindre désir
Qu’ils viennent du bout du monde” .
* In questa massa citiamo: «Nous volons au passage un piaisir clandestin I Que nous
pressons bien fort comme une vieille orange» (caURUES B a u d e l a i r e , (Euvres cit., I, p. 17);
«Ta gorge triomphante est une belle armoire» (ibid., p. 65); «Comme un sanglot coupé par
un sang écumeux I Le chant du coq au loin déchirait l’air brumeux» (ibid., p. 118); «La té-
te, avec l’amas de sa crinière sombre I E t de ses bijoux précieux, I Sur la tab e de nuit, com
me une renoncule, I Repose» (ibid., p. 126) [N.</./4 .].
*’ Cfr. JACQUES RIVIÈRE, Etudes, Paris 1948“ , p. 15 [N.d.A.].
“ Cfr. JULES L E M A irn E , Les contemporaines cit., p. 29 [N.d.A.'i.
" JULES LAFORGUE, Mékng^sposthumes, Paris 1 9 0 3 , p . 1 1 3 [N.ii..(4 .].
“ CHARLES-AUGUSTIN SAINTE-BEUVE, Vie,poésies etpcnsées cit., p. 170 [N.d.A.].
“ CHARLES BAUDELAIRE, (EuvreS cit., I, p. 57 [N.<i.i4 .].
1938 177
[I.]
[n.]
Lo spleen come diga contro il pessimismo. Baudelaire non è un
pessimista. Non lo è perché per lui sul futuro grava un tabu. E que
sto che maggiormente distingue il suo eroismo da quello di Nietz
sche. In lui non vi è alcuna riflessione sul futuro della società bor
ghese e questo, visto il carattere delle sue annotazioni intime, ap
pare sorprendente. Questa unica circostanza consente di valutare
quanto poco per la durata delle sue opere egli contasse sugli effet
ti e quanto la struttura delle Vleun du mal sia monadologica.
[m.]
[rv.]
[V .]
[v i .]
[vn.]
[vm.]
[IX .]
[X .]
[X I.]
[xn.]
[xm.]
[xiv.]
[XV.]
[ x v i .]
Per gli uomini come sono oggi c’è solo una novità radicale - ed
è sempre la stessa: la morte.
[xvn.]
anche dell’umanità (la classe) che non vuol sapere che ne sarà
di lei.
[xvm.]
[XDC.]
L’estrapolare le cose dai loro nessi abituali - che per le merci nel
lo stadio della loro messa sial mercato è normale - è un modo di pro
cedere molto caratteristico di Baudelaire. Ha a che fare con la di
struzione dei nessi organici nell’intenzione allegorica. Cfr. Une marty
re strofe 3 e 5 nei motivi naturali o la prima strofa di Madrigai triste.
[XX.]
[xxi.]
[xxn.]
[xxm.]
Per il dialettico ciò che conta è essere sospinto dal vento della
storia universale. Pensare per lui significa: alzare le vele. Quel che
conta è come si alzano. Le parole per lui sono solo le vele. Come
vengono alzate fa di loro un concetto.
[xxrv.]
[ x x v .]
[xxvi.]
[xxvn.]
[xxvm.]
[xxix.]
[xxx.]
[xxxi.]
[xxxn.]
Uessence du rire non contiene altro che la teoria della risata sa
tanica. In questo scritto, Baudelaire arriva a sostenere che persi
no il sorriso è di per sé satanico. I contemporanei hanno spesso os
servato che c’era qualcosa di spaventoso nel suo modo di ridere.
[xxxna.]
[xxxm.]
[xxxrv.]
[xxxv.]
[xxxvi.]
[xxxvn.]
[xxxvm.]
Non si può negare che fra gli aspetti peculiari del panteismo di
Hugo e della sua fede nel progresso vi sia il tentativo di trovare un
accordo con i messaggi delle sedute spiritiche. La problematicità
di questo fatto è tuttavia secondaria di fronte all’atra, connessa
al costante rapporto della sua opera con il mondo. E difficile con
ciliare questo spettacolo con l’atteggiamento di altri scrittori.
1938 205
[xxxix.]
Molte delle sue poesie hanno il loro punto pili incomparabile al
l’inizio - dove sono, per cosi dire, nuove. Ciò è stato osservato più
volte.
[XL.]
[xu.]
[XLH.]
[x L m .]
[XLTV.]
[XLV.]
Au lecteur
Questa poesia raccoglie i lettori attorno a sé come una camaril
la. In tal modo si rivolge loro in un atteggiamento del tutto in
consueto.
«Et, quand nous respirons, la Mort dans nous poumons I De-
scend, fleuve invisible, avec de sourdes plaintes».
Quando Baudelaire descrive Tabiezione e il vizio, vi si vede
sempre coinvolto. Egli ignora l’atteggiamento del satirico. (Ciò ri
guarda, d’altronde, soltanto le ¥leurs du mal).
Bénédiction
La poesia va associata interamente all’idea della passion della
sessualità maschile.
«Et s’enivre en chantant du chemin de la croix».
«Et les vastes éclairs de son esprit lucide Lui dérobent l’aspect
des peuples furieux»: Apollinaire.
«Et je tordrai si bien cet arbre misérable, Qu’il ne pourra pous-
ser ses boutons empestés! ». Fanno qui capolino il motivo vegeta
le dello stile liberty e la sua linea, e sicuramente non nel luogo più
evidente.
Il gesto del benedire con le mani elevate in verticale, in Fidus
(anche in Zarathustra?) - nel gesto di chi regge qualcosa.
Bohémiens en voyage
«Cybèle, qui les aime, augmente ses verdures»: nulla potrebbe
descrivere la polvere soffocante della strada provinciale in modo
più sicuro di questo verso, in cui Cibele sembra trovarsi di fronte
a un’impresa di Sisifo.
«L’empire familier des ténèbres futures», cfr. Obsession: «Mais
les ténèbres sont elles-mémes des toiles I Où vivent, jaUlissant de
mon oeil par milliers, I Des étres disparus aux regards famUiers».
1938 211
Je t ’udore a l’égal
«Et que tu me parais, ornement de mes nuits, I Plus ironique-
ment accumuler les lieues I Qui séparent mes bras des immensités
bleues». Annientamento dell’apparenza. - In proposito: «Et le vi-
sage humain, qu’Ovide croyait fa9onné pour refléter les astres, le
voilà qui ne parie plus qu’une expression de férocité folle, ou qui
se détend dans une espèce de mort» (Fusées, IV [recte III]).
Tu mettrais l’univers
«Tes yeux, illuminés ainsi que des boutiques I Et des ifs flam-
boyants dans les fétes publiques, I Usent insolemment d’un pou-
voir emprunté».
Spegnersi dell’apparenza.
«Machine aveugle et sourde, en cruautés feconde! », cfr. le vìn
de l ’assasim «Cette crapule invulnérable I Gomme les machines de
fer I Jamais, ni l’été ni l’hiver, I N’a connu l’amour véritable» E
Danse macabre-. «L’élégance sans son nom de l’humaine armature».
Le Balcon
Proust: «Bien de vers du “Balcon de Baudelaire” donnent aus-
si cette impression de mystère».
Le Portrait
Notevoli sono la forza e la precisione con cui a volte, nella poe
sia di Baudelaire, si muovono allegorie consolidate. Cosi ad esem
pio le temps in questo sonetto.
Rèversibilité
«Connaissez-vous... I ... les vagues terreurs de ces affreuses
nuits I Qui compriment le cceur comme un papier qu’on froisse ?».
Confession
«Des chats... I ..., comme des ombres chères, I Nous accompa-
gnaient lentement».
Harmonie du soir
Baudelaire nota in Poe «des répétitions du méme vers ou de
plusieurs vers, retour obstinés de phrases qui simulent les obses-
siona de la mélancolie ou l’idée fixe» {Nouvelles notes sur Edgar
Poe, Nouv. Hist. Extraord. [Paris 1866], p. 22).
Chant d ’automne
I fa parte delle rare poesie che mantengono la stessa distanza
dalla donna, dalla città e dalla morte; da ciò sicuramente il suo par
ticolare e felice equilibrio.
Le mori joyeux
«O vers! noirs compagnon sans oreiUe et sans yeux»: Simpatia
per gli scrocconi.
Spleen I
«Pluvióse»: la poesia fa capire, sia pure velatamente, che le mas
se esanimi della metropoli e l’esistenza disperatamente esanime
del singolo divengono complementari. Per la prima abbiamo il ci-
mitìère e i faubourgs - assembramenti in massa di abitanti della
città; per il secondo, il valet de coeur e la dame de piqué.
La prima strofa contiene la configurazione che in Baudelaire sta
alla base di ogni evocazione poetica di Parigi: la caducità dispera
ta della metropoli.
Spleen II
Pietrificazione o lignificazione di ciò che è vivente, l’immede-
simazione di ciò che è vivente nella materia inerte ha interessato
molto intensamente al tempo stesso anche la fantasia di Flaubert
(cfr. l’articolo nella «Revue de Paris» (?)).
Questa tendenza ha affinità con il feticismo: «Désormais tu n’es
plus, ò matière vivante ! I Qu’un granit entouré d’une vague épou-
vante, I Assoupi dans le fond d’un Sahara brumeux».
«Je suis un vieux boudoir plein de roses fanées, I Ou gits tout un
fouillis de modes suranneés», cfr. Recueillenìent-. «Vois se pencher
les défuntes Aimées, I Sur les balcons du del, en robes surannées».
Le années profondes della vie antérieure sono gli stessi - in quan
to neigeuses années - che alimentano lo spleen.
193 » 213
Spleen IV
(fino alla quarta strofa inclusa) Lo spleen è il sentimento che, in
sermanenza, corrisponde alla catastrofe. In effetti il permanere del-
’esistente è la catastrofe. A questo permanere si adatta in manie
ra eccellente ciò che di volta in volta è moderno. Ciò che ad essa
appare come catastrofe è la crisi. Il corso della storia quale Baude
laire lo descrive sotto il dominio delle crisi è una rotazione parago
nabile a quella del caleidoscopio, in cui, a ogni suo capovolgimen
to, tutto ciò che è ordinato precipita formando xm nuovo ordine.
[Coup d’état di Napoleone III !) Egli non ha riconosciuto che i con
cetti dei dominatori sono certamente gli specchi grazie a cui si rag
giunge l’immagine di un «ordine».
Il cielo che viene assalito dalle campane è quello in cui si sono
mosse le speculazioni di Blanqui.
Obsession
{Raramente Baudelaire ha fatto echeggiare la propria affinità
con Poe in maniera più profonda che nell’ultima terzina di questa
poesia. P
Lo sgomento che si prova nella natura viene qui paragonato -
come se fosse quello l’elemento comune - allo sgomento che l’uo
mo di città prova di fronte a una cattedrale, ossia al configurarsi
di xm’immagine della strada.
A proposito degli regards famìlien (che ricordano molto Poe):
sono soprattutto i souvenirs a presentarsi come familiers.
Le goùt du néant
Il poeta ha stabilito la propria dimora nell’abisso: «Je contem-
ple d’en haut le globe en sa rondeur, I Et je n’y cherche plus l’abri
d’une cahute».
Horreur simpatique
Le raffigurazioni sfilano lentamente accanto al malinconico si
mili a una processione. In Baudelaire l’immagine, del resto tipica
in questo contesto sintomatico, è divenuta poche volte un canone
della fantasia. Uno dei rari passi: «Vos vastes nuages en deuil I
Sont les corbiUards de mes réves».
Il «ciel bizarre et livide» è quello di Meryon.
' Le parentesi graffe indicano i passi cancellati dallo stesso Benjamin [N.ii.T.].
214 Scritti
L ’irrémédiable
Se a questa poesia si accosta Un jour de pluie, che Mouquet at
tribuisce a Baudelaire, diventa subito evidente che a ispirare Bau*
delaire è l’essere abbandonati all’abisso, e si vede dove esso si spa
lanca. La Senna fissa il jour de pluie a Parigi. Si dice: «Dans un
brouillard chargé d’exhalaisons subtiles ILes hommes enfouis com-
me d’obscurs reptiles, I Orgueilleux de leur force, en leur aveu-
glement, I Pas à pas sur le sol glissent péniblement» (I, p. 212).
NéSl'Irrémédiable questa immagine delle strade parigine è divenu
ta una delle visioni allegoriche dell’abisso che vengono connotate
nella conclusione come «emblémes nets»: «Un malheureux ensor-
celé I Dans ses tàtonnements futiles I Pour fuir d’un lieu plein de
reptiles, I Cherchant la lumière et la clé».
VUliers de l’Isle-Adam osserva riguardo a questa poesia - in una
lettera a Baudelaire - che essa «commen^ant das une profondeur
hégelienne».
A proposito di questa poesia, Crépet cita un passo delle Soirées
de Saint-Pétersbourg: « Ce flueve qu’on ne passe qu’une fois; ce ton
neau des Danai'des toujours rempli et toujours vide; ce fois de Titye,
toujours renaissant sous le bec de l’auteur qui le dévore toujours ...
sont autant d’hiéroglyphes parlant sur lesquels il est impossibile
de se méprendre».
l’Horloge
La poesia si spinge notevolmente in avanti nello svolgimento
allegorico. Intorno al simbolo dell’orologio - che occupa un posto
di estremo rilievo nella gerarchia degli emblemi - essa raggruppa
il piacere, l’adesso, il tempo, il caso, la virtù e il pentimento.
La consapevolezza del tempo che scorre vuoto e il taedium vi-
tae sono i due pesi che tengono vivo il congegno della melancolia.
In questo senso le ultime poesie del ciclo Spleen e ideale e La mor
te si corrispondono perfettamente.
«Il me semblait que dans mon cerveau était né ce quelque chose
dont aucuns mots ne peuvent traduire à une intelligence purement
humaine une conseption méme confuse. Permets-moi de définir ce
la: vibration du pendute mental. C’était la personnification mora
le de l’idée humaine abstraite du Temps ... C’est ainsi que je me-
surai les irrégularités de la pendule de la cheminée et des montres
des personnes présentes. Leir tic tac remplissant mes oreUles de leur
sonorités. Les plus légères déviations de la mesure juste... m’af-
fectaient exactement comme, parmi les vivants, les violations de la
1938 215
Paysage
I tableaux parisiens iniziano con una trasfigurazione della città.
La prima e la seconda poesia, e se si vuole anche la terza, collabo-
rano neU’attuarla. Le Paysage è il téte à téte della città con il cie
lo. In questo caso, nell’orizzonte delle luci non sono confluiti -
quali elementi costitutivi della città - nient’altro che Vatelier qui
chante e qui bavarde, ks tuyuax, les clochers.
In le Soleil si aggiunge il faubourg-, nessun elemento della vera
e propria massa cittadina emerge fino a confluire nelle prime tre
poesie dei tableaux parisiens. La quarta inizia con l’esorcismo del
Louvre. Ma poi passa immediatamente - nel bel mezzo della stro
fa - al lamento suUa caducità della metropoli.
II crépuscule du matin sta al Paysage così come il singhiozzare sta
al sorridere.
Le cygne
La prima strofa di Le cygne II ha il movimento di una culla che
ondeggi avanti e indietro fra Moderno e Antico.
A proposito del finale di I, Proust ritiene che esso caschi à plat.
Su questo movimento simile a quello di una culla si veda il pas
so seguente: «Concevoir un canevas pour une bouffonnerie lyri-
que ou féerique, pour pantomime ... Noyer le tout dans une at-
mosphère anormale et songeuse, - dans l’atmosphère des grands
jours. Que ce soit quelque chose de ber9ant» {Fusées XXII). For
se questi grandi giorni sono giorni del ritorno (per esempio, del-
rAntico nel Moderno). A proposito delle poesie-cornice Proust di
ce: «Le moi de Baudelaire est un étrange sectionnement des tem
ps où seuls de rares jours notables apparaissent; ce qui explique les
fréquentes expressions telles que “Si quelque soir” etc.».
Baudelaire indica - ma dove ? - come fonte del Cygne H terzo
libro de]l’Eneide (cfr. [Alphonse] Séché, [La vie des «Fkurs du mal»,
Amiens 1928,] p. 104).
2i 6 Scritti
A une passante
Motivo tratto da Champavert von Petrus Borei [d’Hauterive].
La novella specifica si intitola Dina la belle juive [Dina, la bella
ebrea]. (J 2Óa,3)’
Le squelette lahoureur
In questa poesia la stessa Parigi ctonia è simile a un libro aperto.
«la Beauté» appare, per mezzo dell’articolo determinativo, so
bria e senza patria. E diventata l’aUegoria di se stessa.
he crépuscule du soir
La città stessa assume il volto dell’abisso, della notte antica, in
cui la vita è identica alla morte.
«la soupe parfumée»
Chiusa della poesia: qui la Musa stessa si stacca dal poeta per
bisbigliare le parole àtWìspirazione.
Le strade sovraffollate al rientro dal lavoro sono descritte alla
stessa maniera di quelle prive di gente nel crépuscule du matin: a
guisa di un mosaico, in minuscole unità poetiche.
’ Qui e in seguito la sigla si riferisce al manoscritto dei Passages (cfr. Scritti IX) [N. d. T.ì.
1938 217
Le jeu
Esistono poche poesie in cui l’«abìme» viene valorizzato in ma
niera meno forte clie in questa. Esso perde qui, dove è quasi una
figura retorica, mo to del proprio significato.
L ’amour du mensonge
Da una lettera ad Alphonse de Calonne: «Le mot royal facili
terà pour le lecteur l’inteUigence de certe métaphore qui fait du
souvenir une couronne de tours, comme celles qui inclinent le front
des déesses de maturité, de fécondité et de sagesse... ».
Cancellazione dell’apparenza attraverso la sua esaltazione nel
la menzogna.
Brumes et pluies
Sorprende trovare questa poesia nei tableauxparisiens. Essa sug
gerisce immagini rurali. Ma ovviamente il suo paesaggio è soltan
to quello della città affogata nella nebbia. Il tempo atmosferico si
è impadronito della città. E la trama che la noia ama ricamarsi più
di tutto.
Si pensi a Daumier, in cui l’ombrello è l’emblema del benpen
sante. Dramon, Les héros et lespitres, p. 304: «Le parapluie sur le-
quel s’appuie cet etre assifié, inerte... qui attend l’omnibus, ex
prime je ne sais quelle idée de pétrification absolue».
Questa città è divenuta assolutamente estranea, «estraneata».
Essa non è più patria in nulla. In essa, ogni letto è un lithasardeux.
(Cfr. il Libro di lettura per gli abitanti delle città).
In proposito si veda La plaine-octobre nelle Poésies di Joseph De-
lorme (ricordata da Baudelaire il 15 gennaio 1866 contro Sainte-
Beuve): «Oh! que la piaine est triste autour du boulevard! »
Réve parisien
cfr. l’univers in De Profundis clamavi-. «Un soleU sans chaleur
piane au-dessus six mais, I Et les six autres mais la nuit couvre la
terre; I C’est un pays plus nu que la terre polaire; I - Ni bétes, ni
ruisseaux, ni verdure, ni bois! ».
Interpretato da Brecht come fantasmagoria dell’esposizione
mondiale.
Fantasia delle forze produttive dismesse.
Le crépuscule du matin
Il sorriso e il singhiozzo sono i due specchi in cui l’essere uma
no coglie lo splendore del linguaggio là dove egli si è già avvicina
to alla creatura senza parole. La riproduzione di questi fenomeni
mimetici è molto frequente nelle poesie di Baudelaire, ed è la fi
gura vera della loro «spiritualità». Il crépuscule du matin è il sin
gulto di chi si ridesta, riprodotto nel tessuto, nella materia di una
città. In questa poesia la descrizione non finisce mai per catturare
il proprio oggetto; il suo compito è soltanto quello di nascondere
lo shock di chi si sente di nuovo strappato via dal cappello del son
no. Sorriso e singhiozzo come aspetti nubiformi del viso umano.
Rivière: «Chaque vers du “Cr d M” sans cris, avec dévotion
évoque une infortune».
Da Prarond, 1843 circa - come je n ’ai pas oublié e la servante au
grand cceur.
1938 219
L ’ame du vin
I «refrains des dimanches» nel vin.
«ce fréle athlète de la vie» - ossia il figlio dell’operaio. Una cor
rispondenza infinitamente tragica di Moderno e Antico.
Le vin du solitaire
«cri lointain de l’humaine douleur» - Non si vuol forse far in
tendere qui, incidentalmente, che il dolore è un elemento che di
stingue gli esseri umani? Cfr. Be'nédiction, [strofa] 17, [verso] 1/2
{Lesbos}
{Rileggere la vicenda di Saffo}
La Destruction
Questa poesia contiene il più violento esorcismo dell’ingegno
allegorico presente in tutti i testi poetici baudelairiani. L’appareil
sanglant de la Destruction che essa propaga è lo strumento con cui
l’allegoria stessa tramuta il mondo reale in frammenti distrutti e
deformati, di cui allora essa domina i significati.
E facile aggiungere che questo sonetto suscita, sia pure in modo
non così ovvio, l’impressione di essere anch’esso un frammento.
Le Démon «le... le sens qui brulé mon poumon 1 Et l’emplit
d’un désir éternel et coupable». Questa precisione fisiologica è sor
prendente; un desiderio del genere dovrà essere pensato come inat
tuabile.
Svuotamento di ogni spiritualità della donna: «Parfois il prend,
sachant mon grand amour de
VArt, I La forme de la plus séduisante des femmes».
La conclusione della poesia presenta l’immagine dell’irrequie
tezza irrigidita. (Cfr. Keller, Yerlorenes Rechi, verlorenes Glùck
[Diritto perduto, felicità perduta]: « War wie ein Medusenschild I
der erstarrten Unruh Bild»)^
Une martyre
Testo ricco di riferimenti in virtù dellat posizione che le spetta
immediatamente dopo La destruction. Su questa martyrerie l’in
tenzione allegorica ha portato a compimento il proprio lavoro: l’ha
sminuzzata. - 1 due versi finali implorano - in maniera quasi spet
trale - un «tuteur ». Esso resta una vignetta, una remarque nel sen
so della grafica, condannando tanto più fermamente la vera in
tenzione che ha dominato la poesia.
All’ambito di questa intenzione appartiene il ricordo, che vie
ne così fissato nei versi straordinari: «Un bas rosatre, orné de coins
d’or, à la jambe, I Gomme un souvenir est resté...».
La natura è migrata ne]ì'intérieur in stile Makart: «Un cadavre
sans tete épanche, comme im fleuve, I .. .Un sang rouge .. .dont la
toHe s’abreuve I Avec l’avidité d’un pré. I . . .La téte ... I Sur la ta-
ble de nuit, comme une renoncule, I Repose; et, vide de pensers,
I Un regard vague et blanc comme le crépuscule I S’échappe des
yeux révulsés».
«Era come uno scudo di Medusa I immagine dell’irrigidita inquietudine» [N.i.T.].
222 S critti
La Beatrice
«intéresser au chant de ses douleurs I Les aigles, les grillons, les
ruisseaux et les fleurs» distrazione allegorica.
Il nuage en pìetn midi in cui infuriano i demoni è una raffigura
zione molto prossima a quelle di Meryon.
U« voyage à Cythère
«Ahi Seigneur! donnez-moi la force et le courage I De contem-
pler mon coeur et mon corps sans dégoùt!». In proposito: «Le
Dandy doit aspirer à étre sublime, sans interruption. Il doit vivre
et dormir devant un miroir». (Mon cceur mis à nu V). La fisiono
mia baudelairiana del mimo.
La fin de la joumée
«La nuit voluptueuse monte, I Apaisant tout, méme la faim».
{Cancellazione dell’apparenza}.
Bagliori lontani dei conflitti sociali nel cielo notturno.
Le voyage
A proposito della conclusione del ciclo, Proust ritiene sorpren
dentemente che essa caschi à plat.
Imitatio Christi: «Quid potes alibi videre, quod hic non vides?
Ecce coelum, et terra, et omnia dementa: nam ex istis omnia sunt
facta».
Il sogno della lontananza appartiene all’infanzia. Il viaggiatore
ha visto ciò che è lontano, ma ha perduto la fede nella lontananza.
Baudelaire - il melancolico che dalla propria stella è sospinto
nella lontananza. Lui però non l’ha seguita. Nelle sue poesie, le
immagini di quella stella appaiono soltanto come isole emergenti
193» 223
Lesbos
Il vero slancio e la vera forza d’equilibrio di questa poesia do
vrebbero consistere nel fatto che qui l’abisso non tanto affiora co
me un’immagine, ma piuttosto esprime il canone dell’intera raffi
gurazione. Lesbo è posta nella profondità dell’abisso stesso, da es
so si solleva fino a raggiungere l’orlo del baratro «cri de la tourmente
que poussent vers es cieux ses rivages déserts».
Baudelaire crea strofe là dove sembra quasi impossibile crear
le; «Cceurs ambitieux, I Q u’attire loin de nous le radieux sourire
I Entrevu vaguement au bord des autres cieux! »
Delphine et Hippolyte
«Ses bras vaincus, jetés comme de vaines armes»; Proust dice
che questo verso è come se provenisse dal Britannicus.
La voix
Cercare una serie di schemi che rivelino l’elemento caratteristi
co delle poesie di Baudelaire in stretta compenetrazione con ciò che
caratterizza la poesia in generale. A tale scopo vanno cercati i generi
della lirica precedente che ritornano nelle poesie baudelairiane. Que
sti generi potrebbero essere ad esempio: la poesia religiosa, la poe
sia votiva, la lamentazione iplainte), la canzone dei saltimbanchi.
Tra gli schemi a cui si potrebbe pensare andrebbero ricordati il
labirinto sotterraneo o anche la graticcia.
224 Scritti
L ’imprévu
Per ammissione di Crépet, forse riferimento a una lettera di
d’Aurevilly: «Adieu, le dernier de mes vices. Quand deviendrez-
vous une vertu?». La poesia, pubblicata il 25 janvier 1863, è de
dicata a lui.
Il verso «Dans ces soirs solennels de célestes vendanges» è un’a
scensione dell’autunno.
Le Gouffre
La poesia è l’equivalente baudelairiano della visione di Blanqui.
Le couverck
Uno dei rari versi di Baudelaire che abbiano un prospettiva co
smica immediata: «Le Ciel! couverck noir de la grande marmite
I Où bout l’imperceptible et vaste Humanité».
Vroìet d ’epilogue
«Tes magiques pavés dressés en forteresses, I Tes petits orateurs,
aux enflures baroques, I Prechant l’amour, et puis tes égouts pleins
de sang, I S’engouffrant dans l’Enfer comme des Orénoques».
’ C f r . S c r itii 1 9 3 4 - 1 9 3 7 , p p . 4 6 6 - 5 0 2 [ N . i / . T . ] .
22Ó Scritti
n.
dendosi - sulla base delle sue opere - che cosa egli abbia da dire
ai nuovi quadri dirigenti progrediti di tale società, senza, benin
teso, mancare di chiedersi se egli abbia effettivamente qualcosa da
dir loro ? Lo impedisce il fatto che, nella lettiira di Baudelaire, noi
siamo stati sottoposti a un apprendimento storico proprio dalla so
cietà borghese. Tale apprendimento non può mai essere ignorato.
La lettura critica di Baudelaire e la revisione critica di tale ap
prendimento sono un’unica cosa, poiché è un’illusione volgar-
marxista poter determinare la fvmzione sociale sia di un prodotto
materiale che di uno spirituale prescindendo dalle circostanze e
dai mezzi attraverso cui la sua tradizione si è trasmessa. «Consi
derato come la quintessenza di formazioni considerate indipen
dentemente, se non dal processo di produzione attraverso il qua
le si sono generate, perlomeno da quello in cui continuano a du
rare, il concetto di cultura mantiene ... un aspetto feticistico»'. La
tradizione della poesia baudelairiana è solo molto breve, ma essa
manifesta già delle intaccature storiche a cui la critica si deve in
teressare.
Il gusto
' «Pierre Louys écrit: le throne; on trouve partout des abymes, des ymages, ennuy des
fleurs, etc.... Triomphe de l’y.»
’ Cfr. KARL MARX, Il 18 brumaio cit., p. i8 i [N.d.T.].
Roger Caillois, L ’aridité
‘ STEPHEN LACKNER, /«« Heimatlos Uan senza patria], romanzo, Verlag Die Liga, Zurich
1939, 222 pp. [N.d.A.].
1938 239
SÌ” , [ . . .] fede e stato, diritto, eticità, lingua, vita interiore ecc. Tut
te queste cose infine sono “datità” » (p. 32). «Creando cultura e
protetta dalla cultura» l’umanità si muove in questa corrente.
Il libro osserva una distanza astronomica da tutti i problemi lin
guistici concreti*. Nella misùra in cui promuove un processo del
pensiero, si tratta di un processo radicalmente reificato. E carat
teristica, in questo senso, la definizione che Hònigswald dà del
l’uomo. Che a prima vista appaia un po’ ridicola sarebbe certa
mente il male minore. Dal punto di vista della teoria del linguag
gio, il concetto dell’uomo comprende «certi corpi organizzati, che
sono legati possessivamente a “qualcuno”, “appartengono” a qual
cuno o, pili esattamente, in quanto corpi organizzati appaiono ad
dirittura determinati dalla necessità che appartengano a “qualcu
no” » (p. 274). Questa impostazione potrebbe dare qualche risul
tato, se non fosse intesa a una determinazione dell’uomo, ma del
possesso. Include una critica del possesso nel suo senso corrente;
indica, in questo rapporto, la presenza di limiti come quelli che il
corpo impone al suo possessore. Mettere in rilievo questo aspetto
della cosa è un compito che si addirebbe al pensiero critico. In Ho-
nigswald ciò non accade. La sua definizione si muove in circolo:
«qualcuno» è appunto soltanto un uomo. Qualcuno non è nessu
no, a meno che non sia chiamato per nome. In questo modo l’at
tenzione cadrebbe sul problema del denominare. Denominazione
e indicazione rappresentano i poli tra i quali scaturisce la scintilla
che la filosofia del linguaggio cerca di salvare. Lo insegna la sua
storia, a partire dal Cratilo. Il libro quasi non riflette su di essa. È
«sistematico» nel senso problematico che evita di considerare sia
le condizioni storiche di ogni conoscenza precedente sia anche
quelle della propria.
' In questo si contrappone diametralmente alla fondamentale Teoria del linguaggio di
Biiher, che è uscita tre anni prima (vedi «Zeitschrift fiir Sozialforschung», IV (1935), pp.
260 sgg.). Le ricerche sul linguaggio degli animali e dei bambini, sull’espressione mimica e
sull’afasia - al livello attualmente raggiunto - incidono sulle riflessioni di Biiher. Non è
questo il caso di Hònigswald. Può illustrarlo il problema dell’onomatopea, facilmente iso-
labile. Dice Biiher in proposito; «Chi mette da parte il linguaggio, può fare dell’onomato
pea a piacere; il problema è esclusivamente se e in che modo ciò è possibile all’interno del
linguaggio. Nella struttura del linguaggio ci sono determinate commessure e spazi in cui
questo può accadere; ma questo soltanto non può accadere, che queste disperse, sporadi
che isole in cui esistono certi gradi di libertà possano fondersi in modo da costituire un
campo rappresentativo coerente» (k arl b u h le r, Sprachtheorie,]ena 1934, p. 196). In Ho-
nigswald la trattazione del problema culmina in constatazioni che congiungono una com
prensibilità minima con una banalità massima. L’onomatopea propone «alla discussione
[...] il problema di processi naturali le cui valenze acustiche ritornano in certe parole. Ora,
che e come si presentino queste valenze nella cornice di sistemi linguistici storicamente de
terminati, questo soltanto appare come il vero problema di base dell’onomatopea, ma an
che come quello più difficile» (p. 321) [N.d.A.].
25 2 Scritti
^ Ad esempio la definizione della fonte storica è fatta in questo modo: un oggetto «può
chiamarsi una fonte nella misura in cui appare determinabile solo dal punto di vista di ima
possibile intenzione di rappresentare. [...] Ciò [...] conferisce alla fonte un’oggettività del
tutto peculiare. Essa esiste solo in conformità delle condizioni di quella “rappresentazio
ne” a cui deve servire essa stessa da supporto, come istanza condizionata dalla rappresen
tazione. Il significato oggettivo della fonte può essere giudicato solo a partire dal fine del
la rappresentazione, che peraltro a sua volta si basa sulle qualità rappresentazionali della
fonte» (pp. 221 sgg.) [N.^..4 .].
1939 253
lo dei geni che sono evocati nei circoli spiritici. Staccati dalla loro
opera, devono accondiscendere a un’apoteosi. Così i termini della
fUosoiEia trascendentale. Come è avvenuto che siano sprofondati
così in basso? Kant voleva fondare la conoscenza, nella misura in
cui la sua struttura si basa sulla pura ragione. Le pretese degli epi
goni non sono così limitate. «Fondano» tutto. La loro forza non è
più sufficiente per escludere qualcosa. Nella loro fondazione non
è affatto insita ima malizia critica, che invece si afferma così trion
falmente nella dialettica trascendentale di Kant. Quindi questo
pensiero epigonale serve soltanto a coonestare «ciò che ormai non
può più essere cambiato». Le parole, che devono servire a tutti, in
realtà sono potute sembrare come fatte apposta per assicurare la
testimonianza a favore di una filosofia così sollecita.
Louis Dimier, De l’esprit à la parole.
Lem bruilk et leur accord
canza in quei settori che, ignorati dalla scienza ufficiale, sono sta
ti campo d’azione di un’avanguardia. Essa ha dato la preferenza al
saggio come forma dei suoi scritti. Sternberger è riuscito nell’in
credibile impresa di registrare forma e sostanza di questa produ
zione. Come accenna il titolo del libro, egli non intendeva disegnare
una mappa del suo campo di ricerca, bensì dominarlo dall’alto con
lo sguardo. La successione dei capitoli ce lo conferma. Nello sfor
zo di mantenere a ogni costo il contatto con la produzione saggi
stica, l’autore cerca in molte direzioni. Meno egli è stato in grado
di affrontare metodicamente il suo oggetto, più si è perso nelle sue
critiche, più queste sono diventate esigenti e complesse.
Se le impressioni visive dell’uomo non siano determinate solo
da costanti naturali, ma anche da variabili storiche: questa è una
delle domande più all’avanguardia della ricerca, partendo dalla
quale ogni centimetro di risposta è difficile da conquistare. Stern
berger affronta il problema solo di sfuggita. Se lo mettesse a fuo
co esattamente e dicesse ad esempio: la luce rientra nell’esperien
za solo in quanto le circostanze storiche lo permettono, allora uno
aspetterebbe con curiosità lo sviluppo di questa tesi. Sternberger
dice anche questo (p. 159), ma solo per avere anche qui il suo as
so nella manica. L’argomentazione relativa è frammista di apposi
zioni, subordinate e parentesi, nelle quali va perso il contenuto.
Inoltre non può essere esposta da chi non sa dire nulla riguardo al
l’interesse da cui scaturisce questa domanda. E l’interesse a rico
noscere che le naturali condizioni dell’esistenza umana vengono
modificate dal modo di produrre degli uomini.
Di molto si parla, non sempre a proposito. Spesso si farà bene a
tornare indietro nella lettura, per ritrovare i passi in cui motivi co
me il genere, l’allegoria, lo stile liberty furono affrontati in conte
sti analoghi. Così Adorno ha dimostrato che negli scritti di Kierke
gaard c’è una forma tarda di rappresentazione allegorica; Giedion
ha riconosciuto nel genere storico il bisogno proprio del secolo scor
so di nascondere le conquiste costruttive sotto la maschera dell’i
mitazione; Salvador Dalì aveva interpretato lo stile liberty nel sen
so del surrealismo. Sternberger ha indagato tutti questi temi. Ma
se essi costituiscono nella sua opera dei motivi, è soltanto in quan
to ornamenti, che vi si sovrappongono in forma arbitraria.
Il saggista ama sentirsi artista. Così può cedere alla tentazione
di sostituire alla teoria l’immedesimazione (tanto nell’epoca quan
to in un modo di pensare). I sintomi di questo problematico stato
di cose sono evidenti nella lingua di Sternberger. A im tedesco ele
vato e pretenzioso si accompagna l’apparente bonarietà con cui il
1939 259
' Sternberger vuole seguire il trionfo del genere fin negli scritti sul cambiamento di va
lore di Nietzsche. A questo proposito parla di un «ritorno del genere» e con ciò ha colto
un momento costruttivo. Non riesce però a superarlo o affrontarlo. Gli sfugge la connota
zione storica del «genere capovolto» con cui Nietzsche si contrappose ai suoi contempo
ranei. Questa connotazione sta nell’art nouveau. M a vivacità che risiede nel genere, l’art
nouveau contrappone come medium la sua curva floreale; riposa nell’innocenza del quoti
diano lo sguardo che aveva appena immerso nell’abisso del male; e al filisteismo superbo
contrappone la nostalgia le cui braccia sono destinate a restare vuote [N.<i.i4 .].
2Ó2 Scritti
Canto di Mahagonny n. 2
Ogni giorno a Mahagonny
cinque dollari era il minimo
e magari non bastavano
per chi aveva più pretese.
Nel poker-drink-salon di Mahagonny
tutti chiusi se ne stavano.
Che perdessero era giusto
ma vuoi mettere che gusto!
1
Sulla terra e sul mare
tutta quella brava gente si fa scorticare
e rimane U seduta
e la pelle va venduta
visto che tra pelli e dollari sempre c’è conguaglio.
Ogni giorno a Mahagonny
cinque dollari era il minimo
e magari non bastavano
per chi aveva più pretese.
Nel poker-drink-salon di Mahagonny
tutti chiusi se ne stavano.
Che perdessero era giusto
ma vuoi mettere che gusto !
2
Sulla terra e sul mare
si cerca pelle fresca in stragrande quantità.
Certo, sanguini a levarla
ma la sbornia puoi pagarla
e la pelle costa poco mentre il whisky costa caro.
Ogni giorno a Mahagonny
cinque dollari era il minimo
e magari non bastavano
per chi aveva più pretese.
Nel poker-drink-salon di Mahagonny
tutti chiusi se ne stavano.
Che perdessero era giusto
ma vuoi mettere che gusto !
3
Sulla terra e sul mare
i mulini del buon Dio vedi lenti macinare;
tanta gente sta seduta
e la pelle va venduta
ché gli va di far bisboccia ma pagare non gli va.
Chi non risica non rosica
1939 273
Canto di Mahagonny n. j
In un mattino grigio
in mezzo al whisky
Dio venne a Mahagonny
Dio venne a Mahagonny.
In mezzo al whisky
abbiamo notato Dio a Mahagonny.
deve per forza configurarsi una collettività che accetta Dio. Del
resto anche questo Dio è un Dio ridotto. La formulazione:
abbiamo notato Dio
^ Frate viennese (1644-1709), noto per il vigoroso linguaggio, tra popolaresco e baroc
co, delle sue prediche [N.<i.T.].
276 Scritti
Contro la seduzione
I
Non lasciatevi sedurre!
Non ritorna più nessuno.
II giorno è al limitare;
il vento della notte potete fiutare:
non viene un altro mattino.
NeU’inferno i peccatori
hanno più caldo di quanto si creda.
Pure se uno piange, scorre soave
la lacrima sulla loro testa.
7
E li la buona Marie
marcita all’ospedale,
non le hanno versato una lacrima,
per lei era tale e quale.
8
E li nella luce sta Bertolt Brecht, accanto
a una pietra per i cani, privo
del tutto di acqua, perché si crede
che lui sia in paradiso.
9
Ora nell’inferno arde, fratelli,
versate i vostri pianti!
Se no, il pomeriggio di domenica è sempre
vicino alla sua pietra per i cani.
7
Siamo vissuti noi, volubile schiatta,
in case che credemmo indistruttibili
(così abbiamo costruito i lunghi edifici nell’isola di Manhattan
e le antenne sottili che intrattengono l’oceano Atlantico).
Nei boschi è freddo, nelle città non potrebbe fare più freddo.
Già nel grembo materno il poeta ha provato il freddo delle città
d’asfalto in cui poi avrebbe vissuto.
A quest’ora vuoto il mio bicchiere in città e butto via
il mozzicone e m’addormento inquieto.
[Sulla prima poesia del «Libro di lettura per gli abitanti della città» .]
Sulla terza poesia del «Libro di lettura per gli abitanti della città».
Sulla, nona poesia del «Libro di lettura per gli abitanti della città».
Il Libro di lettura per gli abitanti della città impartisce, come ac
cennato, un insegnamento oggettivo in materia di clandestinità ed
emigrazione. La nona poesia tratta di un processo sociale che i
clandestini, come pure gli emigranti, devono condividere con chi
subisce lo sfruttamento senza opporre resistenza. La poesia illu
stra in brevissimi tratti il significato della crescente povertà nella
metropoli. Nello stesso tempo illumina di riflesso la prima poesia
del ciclo.
Ciascuna delle Quattro richieste a un uomo da diverse parti in di
versi momenti svela la specifica situazione economica di quest’uo
mo. Egli è diventato sempre più povero. I suoi affittacamere ne
tengono conto; lo autorizzano sempre meno a lasciare tracce. La
prima volta prendono ancora nota delle sue proprie cose. Nel se
condo alloggio si parla solo di un unico piatto, ed è difficile che lo
1939 287
S>uglì «Studi».
’ EDUARD MÒRIKE, Am Walde: «Denn des Sonetts gedrangte Kranze flechten I Sich wie
von selber unter meinen Handen I Indes die Augen in der Ferne weiden»
1939 289
5-
I lavoratori reclamano il pane
i commercianti reclamano i mercati.
II disoccupato ha fatto la fame. Ora
fa 1^ fame chi lavora.
Le mani che erano ferme tornano a muoversi:
torniscono granate.
^3 -
E notte.
Le coppie
vanno a letto. Le giovani mogli
partoriranno orfani.
is
c h i sta in alto dice:
si va verso la gloria.
Chi sta in basso dice:
si va verso la fossa.
18.
Al momento di marciare molti non sanno
che alla loro testa marcia il nemico.
La voce che li comanda
è la voce del loro nemico.
E chi parla del nemico
è lui stesso il nemico.
Il susino
Nel cortile c’è un susino.
Quant’è piccolo, non crederesti.
292 Scritti
Questo albero Green, che offre la sua cima alla tempesta, vie
ne ancora da un «paesaggio eroico» (anche se il poeta se ne di
stanzia apostrofando l’albero con il Lei). Con il passare degli an
ni, la partecipazione lirica di Brecht al tema dell’albero si rivolse
piuttosto a ciò per cui l’albero è simile agli uomini, le finestre dei
quali dànno sul suo cortile: a ciò che è mediocre e rachitico. Nel
1939 293
12.
E una m attina il ragazzo porse
al gabelliere ottantun sentenze.
E per qualche provvista ringraziando
pei dirupi dietro il pino presero.
Pid di cosi chi può esser cortese?
13-
Ma non solo al Saggio si dia lode
che sul libro col suo nome splende !
Ché strappargliela si deve, prima, al Saggio la saggezza.
Anche sia grazie dunque al gabelliere
che la seppe volere.
PAUL VALÉRY, Pìèces suT l ’art [Scritti sull’arte], Paris, pp. 104
sgg. (La conquète de l ’ubiquité [La conquista dell’ubiquità]).
Premessa.
’ PAUL VALÉRY, Ptèces sur l’art, Paris 1934, p. 105 (La conquète de l'ubiquité) [N.d.yl.].
1939 3°3
n.
^ Anche la pili scadente rappresentazione del Faust in una città di provincia presuppo
ne, rispetto a un film tratto dal Faust, il fatto di essere in un rapporto di ideale concorren
za con la prima di Weimar. E tutto ciò che ci si può ricordare, quanto a contenuti tradi
zionali, di fronte al palcoscenico, diventa inutilizzabile di fronte allo schermo cinemato
grafico - ad esempio, che nel personaggio di Mefistofele si nasconde un amico di gioventù
di Goethe, Johann Heinrich Merck, e simili [N.ii.y4 .].
1939 3°5
m.
’ ABEL GANCE, he tempi de l’image estvenu [Il tempo deU’immagine è giunto], in L ’art
cinématographique [L’arte cinematografica], II, Paris 1927, pp. 94 sgg. [N.d.A.].
‘ La Wiener Genesis è un famoso codice viennese del libro biblico della Genesi, proba
bilmente del secolo vi, particolarmente rinomato per le sue miniature, su cui cfr. f r a n z
WICKHOFF, Die Wiener Genesis, Freytag, Wien 1895 [N.(i.T.].
3o6 Scritti
’ Avvicinarsi umanamente alle masse può voler dire: eliminare dal campo visuale la fun
zione sociale. Nulla garantisce che un ritrattista attuale che dipinga un chirurgo famoso
nell’atto di fare colazione in mezzo ai suoi congiunti ne colga la funzione sociale in modo
più preciso di un pittore del secolo xvi che dipingeva i suoi medici nelle loro mansioni, co
me ad esempio Rembrandt aeWAnatomia [N.d.A.].
1939 3°7
IV.
* Definire l’aura un’«apparizione unica di una distanza, per quanto questa possa esse
re vicina» non significa altro che formulare, usando i termini delle categorie della perce
zione spazio-temporale, il valore cultuale deU’opera d ’arte. La distanza è il contrario della
vicinanza. Ciò che è sostanzialmente lontano è l’inavvicinabUe. Di fatto l’inawicinabilità
è una delle qualità principali dell’immagine cultuale. Essa rimane, per sua natura, «lonta
nanza, per quanto vicina». La vicinanza che si può strappare alla sua materia non elimina
la lontananza che essa conserva dopo il suo apparire [N.d.A.].
’ Nella misura in cui il valore cultuale del quadro si secolarizza, le rappresentazioni del
substrato della sua unicità diventano più indeterminate. Nell’appercezione del fruitore l’ir
ripetibilità delle immagini, che appaiono nell’opera cultuale, viene sempre più sostituita
dall’unicità empirica dell’esecutore o della sua esecuzione. Certo, ciò non avviene mai sen
za residui; il concetto di irripetibilità non cessa mai di tendere oltre quello deU’attribuzio-
ne autentica (ciò si rivela con particolare evidenza nella persona del collezionista, il quale
conserva sempre alcuni tratti caratteristici del servo di un feticcio e che, attraverso il pos
sesso dell’opera d ’arte, partecipa alla virtù cultuale di questa). Fermo restando tutto ciò,
la funzione del concetto di autenticità nella considerazione dell’arte rimane univoco; con
la secolarizzazione dell’arte, l’autenticità si pone al posto del valore cultuale [N.^i.yl.].
3 o8 Scritti
“ Nel caso defle opere cinematografiche la riproducibilità tecnica del prodotto non è,
come ad esempio nel caso delle opere letterarie o dei dipinti, una condizione di origine ester
na della loro diffusione tra le masse. La riproducibiUtà tecnica dei film si fonda immediata
mente sulla tecnica della loro produzione. Questa non soltanto permette immediatamente la dif
fusione in massa delle opere cinematografiche:piuttosto, addirittura la impone. La impone poi
ché la produzione di un film è talmente costosa che un singolo in grado di permettersi di
acquistare, ad esempio, un dipinto, non è in grado di permettersi di acquistare un film. Nel
1927 si è calcolato che un film di mole maggiore, per diventare redditizio, doveva raggiun
gere un pubblico di nove milioni di persone. Con il film sonoro si è manifestata una ten
denza inversa; il suo pubblico venne a trovarsi limitato dai confini linguistici, e ciò avven
ne contemporaneamente aU’accentuazione degli interessi nazionali da parte del fascismo.
Più che registrare questa recessione, che peraltro venne subito attenuata mediante la sin
cronizzazione, è importante considerare il suo nesso col fascismo. La contemporaneità dei
due fenomeni si basa sulla crisi economica. Le stesse perturbazioni che, viste nel loro com
plesso, hanno portato al tentativo di conservare con l’uso aperto della forza i rapporti di
proprietà costituiti, hanno indotto il capitale cinematografico ad accelerare i lavori preR-
minari per la produzione di film sonori. L’avvento del film sonoro produsse un tempora
neo sollievo. E ciò non soltanto perché il film sonoro indusse di nuovo le masse ad andare
al cinema, ma anche perché esso stabilf la solidarietà di nuovi capitali, che venivano dal
l’industria elettrica, col capitale cinematografico. Cosi, visto dall’esterno, il cinema sono
ro ha promosso gli interessi nazionali, ma visto dall’interno ha internazionalizzato ancora
di più la produzione cinematografica [N.«/./4 .].
1939 3°9
V.
Statue degli dèi sono accessibili soltanto al sacerdote nella sua cel
la. Certe immagini della Madonna rimangono invisibili per quasi
tutto l’anno, certe sculture dei duomi medievali non sono visibili
al visitatore che stia in basso. Con l’emancipazione dei singoli eser
cizi artistici dal grembo del rituale, aumentano le occasioni di esposi
zione dei prodotti. L’esponibilità di un ritratto a mezzo busto, che
può essere inviato in qualunque luogo, è maggiore di quella della
statua di un dio che ha la sua sede permanente all’interno di un
tempio. L’esponibilità di una tavola è maggiore di quella del mo
saico o dell’affresco che l’hanno preceduta. E se l’esponibUità di
una messa non era per sua natura probabilmente più ridotta di
quella di una sinfonia, tuttavia la sinfonia nacque nel momento in
cui la sua esponibilità prometteva di diventare maggiore di quella
di una messa.
Con i vari metodi di riproduzione tecnica dell’opera d ’arte, la
sua esponibilità è cresciuta in una misura cosi poderosa che la di
screpanza quantitativa tra i suoi due poli si è trasformata, analo
gamente a quanto è avvenuto nelle età primitive, in un cambia
mento qualitativo della sua natura. E cioè: cosi come nelle età pri
mitive, attraverso il peso assoluto del suo valore cultuale, l’opera
d’arte era diventata uno strumento della magia, che in certo mo
do soltanto più tardi venne riconosciuto quale opera d ’arte, oggi,
attraverso il peso assoluto assunto dal suo valore di esponibilità,
l’opera d’arte diventa una formazione con funzioni completamente
nuove, delle quali quella di cui siamo consapevoli, cioè quella ar
tistica, si profila come quella che successivamente potrà venir ri
conosciuta come marginale” . Certo è che attualmente la fotogra
fia, e poi il cinema, forniscono gli spunti più fecondi per il rico
noscimento di questo dato di fatto.
Riflessioni analoghe, anche se su un altro piano, sono quelle di Brecht: «Se il con
cetto di opera d’arte diventa inutilizzabile per definire la cosa che si ha quando l’opera
d ’arte si è trasformata in merce, allora, con prudenza e cautela ma senza alcun timore, dob
biamo lasciar perdere questo concetto, se insieme non vogliamo liquidare anche la funzio
ne della cosa stessa, poiché attraverso questa fase deve passare, e senza riserve; non si trat
ta di una deviazione irrilevante dalla retta via; bensf: ciò che cosi avviene la modificherà
radicalmente, estinguerà il suo passato, a un punto tale che qualora il vecchio concetto do
vesse venir ripreso - e lo sarà, perché no ? - non susciterà più alcun ricordo della cosa che
.un tempo designava» (b e r t o l t b r e c h t , Der Dreigroschenprozess [Il processo da tre soldi],
ripreso in Versuche 1-4 [Esperimenti 1-4], Berlin 1931, pp. 301-2) [N.d.A.].
1939 311
VI.
v n .
La disputa, che ebbe luogo nel corso del secolo xix, tra la pit
tura e la fotografia, intorno al valore artistico dei rispettivi pro
dotti appare oggi fuori luogo e confusa. Ciò non intacca tuttavia
il suo significato e anzi potrebbe anche sottolinearlo. Di fatto que-
312 Scritti
vm.
IX.
“ «Il film... dà (o potrebbe dare): informazioni utilizzabili suHe azioni umane nei loro
particolari... Vien meno ogni motivazione sulla base del carattere, la vita interiore dei per
sonaggi non costituisce mai la causa principale ed è di rado il risultato principale dell’azio
ne» (b e r t o l t BRECHT, Der Dreigwschenprozess cit., p. 257). L’ampliamento del campo di
ciò che è certificabile mediante test, ampliamento che l’apparecchiatura realizza nella per
sona dell’interprete cinematografico, corrisponde allo straordinario ampliamento del cam
po del certificabile mediante test, intervenuto, per l’individuo, in conseguenza delle cir
costanze economiche. Cosi cresce costantemente l’importanza delle prove volte a stabilire
le attitudini professionali. In queste prove professionali si verificano frammenti della pre
stazione dell’individuo. La ripresa cinematografica e la prova di attitudine professionale
nascono dallo stesso grembo, costituito dagli esperti. Il direttore di scena negli studi cine
matografici occupa esattamente la stessa posizione che nelle prove professionali è occupa
ta dal direttore dell’esperimento [N.<i.>4 .].
1939 315
X.
Tutto questo vale senz’altro anche per il cinema, nel cui cam
po certi spostamenti, che in quello letterario hanno richiesto se
coli, avvengono nel giro di un anno. Infatti nella pratica cinema
tografica - specialmente in quella russa - questi spostamenti sono
già stati in parte realizzati. Una parte degli interpreti del cinema
russo non sono tali nel senso nostro, bensì persone che interpre
tano se stesse - in primo luogo nel lord processo lavorativo. Nel
l’Europa occidentale lo sfruttamento capitalistico del cinema im
pedisce di prendere in considerazione la legittima pretesa dell’uo
mo di oggi di essere riprodotto. In questa situazione, l’industria
cinematografica ha tutto l’interesse a imbrigliare, mediante rap
presentazioni illusionistiche e ambigue speculazioni, la partecipa
zione delle masse.
XI.
pubblico molto largo che è capace di leggere e che è in grado di procurarsi oggetti di lettu
ra e materiale illustrativo. Per produrre tutto ciò si è creata un’importante industria. Ora,
però, le doti artistiche sono qualcosa di molto raro; da ciò consegue [...] che in ogni epoca
e in ogni luogo la maggior parte della produzione artistica è sempre stata scadente. Oggi
tuttavia la percentuale degli scarti nella produzione artistica complessiva è maggiore di
quanto sia mai stata Ci troviamo di fronte a una relazione aritmetica semplice. Nel
corso del secolo scorso la popolazione dell’Europa occidentale è aumentata di più del dop
pio. Ma il materiale letterario e figurativo è aumentato, a quanto mi è dato valutare, in una
proporzione che va da i a 20, e forse anche 500 100, Se una popolazione di x milioni pos
siede n talenti artistici, una popolazione di 2x rmlioni avrà 2n talenti artistici. Ora, la si
tuazione può essere descritta nel modo che segue. Se cento anni fa si pubblicava una pagi
na a stampa occupata da materiale letterario e da illustrazioni, oggi se ne stampano venti
se non cento. Se d ’altra parte, cento anni fa esisteva un talento artistico, oggi ne esistono
due. Ammetto che, in seguito all’istruzione scolastica generale, oggi possono diventare pro
duttivi parecchi talenti virtuali che un tempo non sarebbero riusciti a sviluppare le loro do
ti. Poniamo dunque [...] che oggi ci siano tre o quattro talenti artistici di contro a quell’u
no di un tempo. Resta tuttavia indubbio che il consumo di materiale letterario e figurati
vo ha superato di molto la naturale produzione di scrittori e di disegnatori dotati. Non
diversa è la situazione a proposito del materiale sonoro. La prosperità, il grammofono e la
radio hanno suscitato un pubblico che consuma in modo del tutto sproporzionato rispetto
all’incremento della popolazione e quindi al naturale aumento di musicisti di talento. Ri
sulta cosi come in tutte le arti, in senso assoluto come in senso relativo, la produzione di
scarti sia maggiore di quanto fosse un tempo; e cosi sarà fintanto che la gente continuerà
a praticare un consumo sproporzionato di materiale letterario, illustrativo e sonoro» (a l -
D o u s HUXLEY, Cromère d'hiver. Voyage en Amérique Centrale (1933) [Crociera d’inverno.
Viaggio in America Centrale], Paris 1935, pp. 273 sgg.). Evidentemente questo modo di
vedere non è progressista [N.d.A.J.
320 Scritti
se, il parco lampade, il gruppo degli assistenti ecc., che non rien
trano nella vicenda ripresa vera e propria, possano esulare dal cam
po visuale di chi sta a guardare (a meno che la posizione della sua
pupilla non coincida con quella dell’obiettivo della cinepresa). Que
sto fatto - questo più che qualunque altro - rende superficiali e ir
rilevanti le eventuali analogie tra una scena ripresa nello studio ci
nematografico e una scena recitata in teatro. Per principio, il tea
tro conosce un punto dal quale ciò che avviene in scena non deve
necessariamente essere visto come illusorio. Di fronte alla scena
ripresa nel film invece questo luogo non esiste. La sua natura illu
sionistica è una natura di secondo grado; è il risultato del mon
taggio. Vale a dire: nello studio cinematografico l ’apparecchiatura è
penetrata cosi profondamente dentro la realtà che l ’aspetto puro di
quest’ultima, l ’aspetto libero dal corpo estraneo dell’apparecchiatura
è il risultato di uno speciale procedimento, cioè della ripresa median
te la macchina disposta in un certo modo e del montaggio di questa ri
presa insieme ad altre dello stesso genere. Quell’aspetto della realtà
che rimane sottratto all’apparecchio è diventato cosi il suo aspet
to pili artificioso e la vista sulla realtà immediata è diventata una
chimera nel paese della tecnica.
La stessa situazione, che così si differenzia da quella del teatro,
può essere ancora più utilmente confrontata con quella che si dà
nella pittura. Qui la domanda da porre è la seguente: qual è il rap
porto tra l’operatore e il pittore ? Per rispondere a questo interro
gativo ci sia consentito ricorrere a una costruzione ausiliaria fon
data su un concetto di operatore derivante dalla chirurgia. Il chi
rurgo incarna il polo di un ordinamento, all’opposto del quale c’è
il mago. L’atteggiamento del mago, che guarisce un ammalato me
diante imposizione delle mani, è diverso da quello del chirurgo, il
quale intraprende invece un intervento sull’ammalato. Il mago con
serva la distanza tra sé e il paziente; in termini più precisi: la ri
duce - grazie all’imposizione delle sue mani - soltanto di poco e
l’accresce - mediante la sua autorità - di molto. Il chirurgo pro
cede alla rovescia: riduce la sua distanza dal paziente di molto -
penetrando nel suo interno -, e l’accresce di poco - mediante la
cautela con cui la sua mano si muove tra gli organi. In una parola:
a differenza del mago (che ancora si nasconde anche nel medico
comune), nel momento decisivo il chirurgo rinuncia a porsi di fron
te all’ammalato da uomo a uomo; piuttosto, penetra nel suo in
terno operativamente. Il mago e il chirurgo si comportano rispet
tivamente come il pittore e l’operatore. Nel suo lavoro, il pittore
osserva una distanza naturale da ciò che gli è dato, l’operatore in
1939 321
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