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CICLI A VAPORE DIRETTI ED INVERSI

Prof. Ing. Vittorio Ferraro


Dimes
Università della Calabria
vittorio.ferraro@unical.it

Bibliografia
• M. Cucumo, V. Marinelli, “Termodinamica Applicata”, Pitagora
Editrice, Bologna.
• G. Alfano, V. Betta, “Fisica Tecnica”, Liguori Editore, Napoli.
• A. Cavallini, L. Mattarolo, “Termodinamica Applicata”, Cleup Editore,
Padova.
Cicli diretti a vapore. Ciclo Rankine

E' possibile immaginare di costruire una macchina di Carnot


a vapore, sfruttando la proprietà che i processi di
evaporazione di un liquido e di condensazione di un vapore a
pressione costante avvengono a temperatura costante.

Nel piano (T, s), un ciclo di Carnot ideale, con cambiamenti di


fase, è rappresentato come nella fig. 1, ed è composto:
dalla compressione del vapore saturo dallo stato 1 di miscela
bifase allo stato 2 di liquido saturo,
dall'evaporazione 23 durante la quale viene fornito la
quantità di calore q1 al ciclo,
dall'espansione in turbina 34 e
dalla condensazione 41 durante la quale viene sottratta la
quantità di calore q2 dal ciclo.
T
q1
2 3

q2

1 4

Fig. 1 - Ciclo di Carnot a vapore saturo


Qualora si volesse realizzare questo ciclo, sarebbero
ineliminabili le irreversibilità esterne di scambio termico tra le
sorgenti ed il fluido, ma il ciclo avrebbe certamente il
rendimento massimo rispetto a tutti gli altri cicli funzionanti tra
le temperature estreme.

Questo ciclo risulta tuttavia irrealizzabile, perché i tentativi di


costruire compressori di miscele bifasi con rendimenti
accettabili non hanno avuto successo, sia a causa del
notevole lavoro degli attriti che per i problemi di erosione
delle palette.

Risulta inoltre difficile controllare il processo di


condensazione parziale, arrestando quest'ultima al valore del
titolo del punto 1. Per i motivi sopra esposti, il ciclo di Carnot
viene in pratica sostituito dal ciclo Rankine a vapore saturo,
riportato nella fig. 2 nel piano (T, s).
Le trasformazioni di questo ciclo sono:
condensazione completa fino alle condizioni di liquido
saturo (trasformazione 51);
compressione del liquido mediante pompe fino alla
pressione vigente nel generatore di vapore
(trasformazione 12);
riscaldamento isobaro del liquido nel generatore di vapore
(trasformazione 23);
evaporazione del liquido fino alle condizioni di vapore
saturo secco nel generatore di vapore (trasformazione
34);
espansione in turbina (trasformazione 45).
T K

4
3

1 5

Fig. 2 - Ciclo Rankine ideale a vapore saturo nel piano (T, s)


E' evidente che questo ciclo ha un rendimento inferiore a
quello del ciclo di Carnot operante tra le stesse
temperature di condensazione e di evaporazione.

Per aumentare il rendimento è conveniente modificare il


ciclo, surriscaldando il vapore prima di immetterlo in
turbina, come è mostrato nella fig. 3 dove è riportato lo
schema dell’impianto.

In questo caso, nel generatore di vapore, l'acqua subisce


una trasformazione isobara di riscaldamento,
evaporazione e surriscaldamento (linea 2-3-4-5).
5 5
Turbina
surriscaldatore 4
caldaia

S
3

2
6
pompa
condensatore

Fig. 3 – Impianto di turbina a vapore


Il ricorso al surriscaldamento del vapore, oltre ad
aumentare il rendimento del ciclo, comporta un aumento
del titolo di vapore ed una conseguente riduzione del
contenuto di gocce liquide in uscita dalla turbina rispetto al
caso senza surriscaldamento.

Ciò riduce il problema costituito dall'erosione delle


palettature della turbina ad opera delle gocce di liquido. Il
titolo del vapore in uscita non deve essere più basso del
valore limite di 0,88. Il ciclo Rankine a vapore
surriscaldato viene talvolta denominato ciclo Hirn (fig. 4).
T
5
K

3 4

1 6

Fig. 4 - Ciclo Rankine ideale a vapore surriscaldato (ciclo Hirn)


Nella figura è riportato il ciclo Rankine con
surriscaldamento nel piano (p, v).
Al fine di aumentare ulteriormente il rendimento del ciclo si
ricorre spesso a due o tre surriscaldamenti, facendo
espandere parzialmente il vapore in turbina, rimandandolo nel
generatore di vapore, e rinviandolo poi in turbina per il
completamento dell'espansione.
Nel piano di Mollier (h, s), il ciclo di Rankine con
surriscaldamento è rappresentabile come nella figura.
h 5

4
Ciclo Rankine ideale K
a vapore
surriscaldato nel
piano (h, s)
3 6
2

1
s
Calcolando q1 e q2 per mezzo dell'equazione del 1°
principio per sistemi aperti, e trascurando i termini cinetici e
potenziali, si ottiene il rendimento del ciclo Rankine:

q2 h6  h1
 1  1 
q1 h 5  h2
Facendo alcuni passaggi algebrici, l'equazione precedente
si può scrivere come:

h 5  h6   h 2  h1  t  p
 
h 5  h2  h 5  h2 
dove t è il lavoro ottenuto nella turbina ed p è il
lavoro (in valore assoluto) assorbito dalle pompe.

Ai fini del calcolo del rendimento, il lavoro delle pompe


risulta trascurabile.
Il rendimento del ciclo Rankine sarà:

h 5  h6 
  t
h 5  h2  h 5  h2 
Cicli a vapore reali

Negli impianti a vapore reali, le trasformazioni ideali fin qui


considerate devono essere modificate per tenere conto
degli effetti delle irreversibilità: gli scambi termici nel
generatore di vapore e nel condensatore non avvengono a
pressione costante, ed in particolar modo nel generatore
bisogna considerare la differenza di pressione tra ingresso
ed uscita dovuta alle perdite di carico lungo il moto; le
espansioni del vapore in turbina e le compressioni del
liquido nelle pompe non sono processi isoentropici, ma
avvengono con lavoro degli attriti non trascurabile.
Per il calcolo del rendimento dell'impianto, l'effetto più
importante è quello della non isoentropicità
dell'espansione. Il ciclo risulta modificato e, nel caso di
ciclo Rankine con un surriscaldamento, ha la forma
mostrata nella fig. 8.
T h
5
K 5
h5

4
K
3 4

h6'
2
h6
3 6 6'
2
1 6 6'

s s
a) b)

Fig. 8 - Ciclo Rankine reale a vapore surriscaldato nei piani (T, s) ed (h, s)
Viene definito rendimento isoentropico della turbina il
rapporto tra il lavoro reale r ed il lavoro ideale
isoentropico
id .
La figura mostra che, ovviamente, il lavoro reale 56’ è
inferiore al lavoro ideale 56.
Il rendimento isoentropico di espansione è dunque:

h 5  h6' 
ie  r

id h 5  h6 
In generale il rendimento isoentropico di espansione è
compreso tra 0,85 e 0,90.
Cicli inversi: macchine frigorifere e pompe di calore
Nella fig. 9 è mostrato lo schema di un impianto frigorifero a
compressione del vapore saturo.

serbatoio caldo
q1

condensatore

4 3 2
serbatoio per compressore
il liquido

Valvola di
laminazione 1
evaporatore

5
q2 Fig. 9 – Schema di impianto frigorifero
serbatoio freddo a compressione di vapore
Nella fig. 10 è mostrato il corrispondente ciclo termodinamico nel
piano (T, s) e nel piano (p, h).
Nei diagrammi sono indicate sia le compressioni ideali che quelle
reali.

T 2' p
K
K
2
q1
4 3 2 2'
3
4

1 5 1
5 q2

s h4=h5 h1 h2 h2' h
a)
b)

Fig. 10 – Schema di impianto frigorifero a compressione di vapore


Anche per le pompe ed i compressori può essere definito il
rendimento isoentropico di compressione come rapporto
tra il lavoro ideale (corrispondente alla compressione
isoentropica) ed il lavoro reale, tenente conto degli attriti.

Chiamando 1 e 2’ gli stati iniziali e finali della compressione


reale e 2 lo stato finale della compressione ideale, il
rendimento isoentropico di compressione ic è pari a:

h 2  h1 
ic  id

r h 2'  h1 
Nel diagramma (p, h), comunemente usato perché
permette la lettura delle entalpie, i valori della pressione
sono solitamente riportati in scala logaritmica.

Il coefficiente di prestazione del ciclo frigorifero (COPF),


pari per definizione al rapporto tra la quantità di calore q2
estratta dall'evaporatore alla sorgente fredda ed il lavoro
reale di compressione, è dato dalla relazione:

q2 h1  h5 
COPF  
rc h 2'  h1 
Nel caso di una pompa di calore, il coefficiente di
prestazione è definito come rapporto tra il calore q1 ceduto
alla sorgente calda ed il lavoro reale di compressione:

q1 h 2'  h4 
COPP C  
rc h 2'  h1 

Poiché il processo di laminazione è completamente


dissipativo, non si raccoglie in esso alcun lavoro; si
otterrebbe lavoro nella trasformazione 45 qualora la
valvola di laminazione fosse sostituita da una turbina, cosa
in pratica non realizzabile sia per ragioni di costo che per
ragioni costruttive.
Fluidi frigorigeni

I primi fluidi frigorigeni adoperati nelle macchine frigorifere


a compressione di vapore furono l'ammoniaca (NH3),
l'anidride solforosa (SO2), l'anidride carbonica (CO2) ed il
cloruro di metile (CH3Cl). L'ammoniaca fu di gran lunga il
fluido più usato. Essa ha ottime caratteristiche nel
complesso ma presenta una certa tossicità per l'uomo e
può dar luogo ad esplosioni se mescolata con l'aria in certe
proporzioni. Il suo uso impone la messa in opera di
accorgimenti per la sicurezza, e per questi motivi l'uso
dell'ammoniaca è oggi limitato agli impianti di media e
grande potenza.
A partire dal 1930 furono introdotti, quali fluidi frigorigeni, i
clorofluorocarburi (CFC), generalmente noti col nome
commerciale di Freon. Sono derivati dal metano (CH4) e
dall'etano (C2H6) per sostituzione degli atomi di idrogeno
con atomi di cloro, di fluoro e talvolta di bromo.

I diversi tipi di Freon si affermarono rapidamente per le loro


ottime caratteristiche: sono poco aggressivi chimicamente
e in generale non tossici, con proprietà termodinamiche
soddisfacenti, particolarmente nei frigoriferi domestici.
I Freon derivanti dal metano vengono comunemente
indicati con la sigla Rxy dove:
• x è il numero di atomi di idrogeno presenti nella
molecola aumentato di uno;
• y è il numero di atomi di fluoro.

Si considerino, ad esempio, i Freon R11, R12, ed R22: il


Freon R11, per quanto detto sopra, ha un atomo di
carbonio, non ha atomi di idrogeno ed ha un atomo di
fluoro; il numero rimanente di atomi, per saturare le
valenze del carbonio, è costituito da cloro e pertanto la sua
formula chimica è CCl3F.

Analogamente le formule chimiche dell'R12 e dell'R22 sono


rispettivamente CCl2F2 e CHClF2.
I Freon derivati dall'etano vengono individuati con la sigla
Rxyz, dove:
• x è il numero degli atomi di carbonio presenti nella
molecola diminuito di 1;
• y è il numero di atomi di idrogeno aumentato di 1;
• z è il numero di atomi di fluoro.
Ad esempio, il Freon R114 ha due atomi di carbonio,
nessun atomo di idrogeno, quattro atomi di fluoro e due
atomi di cloro per saturare tutte le valenze del carbonio; la
sua formula chimica è C2Cl2F4.

Recentemente, a partire dal 1974, con conferme


sperimentali ottenute nel 1985, è stato scoperto l'effetto
distruttivo prodotto dai clorofluorocarburi sull'ozono
atmosferico.
L'ozono atmosferico esercita un'azione importante di
assorbimento della componente ultravioletta della
radiazione solare.

Se viene a mancare l'efficacia di questo assorbimento, i


raggi ultravioletti, arrivando sulla superficie della terra,
possono arrecare gravi danni agli organismi umani, alle
colture ed agli ecosistemi acquatici.

Il famoso "buco dell'ozono", scoperto prima nel continente


antartico e successivamente anche nell'emisfero
settentrionale, è dovuto alla presenza dei Freon scaricati
nell'atmosfera per accidentali rotture, o alla fine della vita
utile degli impianti frigoriferi, quando gli stessi vengono
distrutti.
La vita media dei Freon nell'aria, una volta rilasciati
nell'atmosfera, è di diverse decine di anni.
L'azione distruttiva dell'ozono è dovuta principalmente ai
Freon che, contenendo cloro, non presentano idrogeno
nella molecola: questi Freon vengono più propriamente
detti clorofluorocarburi (CFC).

La loro molecola nella stratosfera viene fotodissociata con


liberazione di cloro atomico e successiva attivazione di un
processo chimico catalitico di distruzione dell'ozono.

La capacità di distruggere l'ozono da parte di un Freon


viene individuata mediante l'indice ODP (Ozone Depletion
Potential). Generalmente l'ODP si misura prendendo come
unitario il valore riferito al Freon R11 (CCl3F).
Tra i fluidi frigorigeni alternativi ai CFC vi sono gli
idroclorofluorocarburi (HCFC), composti che, sempre
contenendo cloro, presentano idrogeno nella molecola.
Questi composti hanno vita media assai più breve, di pochi
anni, in quanto sono decomposti soprattutto nella reazione
con i radicali ossidrile OH presenti nella troposfera. Il loro
ODP è nettamente più basso. Esempi di HCFC sono l' R22
(CHClF2), l' R123 (C2HCl2F3), l' R124 (C2HClF4), etc.

Fluidi alternativi ai CFC ed anche agli HCFC sono gli


idrofluorocarburi (HFC), i quali non contengono cloro ed
hanno ODP nullo. Tra questi composti vi sono l' R23
(CHF3), l' R32 (CH2F2), l' R134a (CF3-CH2F) , e miscele di
composti puri in varie proporzioni, tra cui l' R407A
(R32/125/134a con proporzioni 20/40/40) e l' R410A
(R32/125 con proporzioni 50/50).
Si guarda anche con interesse, come fluidi alternativi ai
CFC, all'impiego di fluidi naturali già esistenti
nell'atmosfera, il cui impiego e le cui emissioni non
modificano la composizione dell'atmosfera stessa.

Questi fluidi sono costituiti dagli idrocarburi saturi a catena


lineare (alcani), come il propano, l'n-butano, l'i-butano, le
miscele propano-butano ed altri fluidi come l'ammoniaca,
l'anidride carbonica, l'aria e l'acqua.

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