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Relazioni Internazionali

di Alice Lavinia Oppizzi


Appunti per esame di Relazioni Internazionali con il prof. Colombo. Basati sul
manuale di relazioni internazionali edito da Il Mulino, AAVV.

Università: Università degli Studi di Milano


Facoltà: Scienze Politiche
Corso: Scienze Internazionali e Diplomatiche
Esame: Relazioni Internazionali
Docente: Prof. Colombo
Alice Lavinia Oppizzi Sezione Appunti

1. Introduzione alle relazioni internazionali


Le relazioni politiche internazionali hanno continuamente a che fare con la pace e con la guerra. Il contesto
internazionale è instabile anche se il numero di guerre e la loro intensità sono inferiori rispetto al ‘900;
motivi:
1- non possiamo nutrire aspettative sul futuro siamo abituati all’incertezza, non siamo in grado di stabilire
quali saranno le future grandi potenze (non è come nel sistema bipolare)
2- non c’è una vicenda politica fondamentale; la guerra globale al terrore viene considerata come alternativa
alla guerra fredda, ma non è una vicenda unificante, difficile stabilire una gerarchia d’importanza
3- non sappiamo quali saranno gli allineamenti internazionali (incognita India)
4- contesto storico lacerato da una crescente crisi della legittimità; crisi costituzionale (tensione tra
uguaglianza formale degli stati e odierna discriminazione a favore della democrazia) -> diritti umani
(tensione tra invocazione ai diritti umani e critica alla loro universalità) .

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2. Criteri distintivi tra sistema politico interno e sistema politico


internazionale
a) principio organizzativo della politica internazionale: i sistemi politici interni sono ordinati in quanto
esistono governi che li sostengono , mentre il sistema internazionale non ha un governo -> è un sistema
politico anarchico. Due accezioni del termine anarchia -> contesto sociale privo di governo disordine ->
quando si parla di anarchia del sistema politico internazionale si intende che non c’è un governo. Nessuno
detiene il monopolio legittimo della forza. Non c’è un garante del possesso della proprietà. Non c’è
un’agenzia garante delle promesse a lungo termine.
Quattro conseguenze di tale anarchia:
Condanna all’autodifesa: i soggetti sono obbligati a trovare da sé le risorse (tutti si armano) e non solo per
raggiungere un obiettivo politico; paura. Autodifesa non significa soltanto proteggere ciò che già si ha e non
significa nemmeno autarchia, poiché possono essere instaurate alleanze.
Incertezza continua: sulle intenzioni altrui, manca un garante esterno. L’ambiente anarchico crea diffidenza
e percezioni errate.
Rischio competizione: le percezioni sbagliate rischiano di innescare una competizione. Dilemma della
sicurezza: meccanismo che nasce quando un soggetto che ne teme un altro reagisce in anticipo e si attrezza
di conseguenza. L’altro soggetto reagisce a sua volta allo stesso modo confermando così le sue intenzioni
aggressive (corsa agli armamenti guerra fredda, corsa al nucleare India vs Pakistan) .
Ostacoli alla cooperazione: il contesto anarchico rende la cooperazione più difficile a causa del rischio/paura
dell’inganno e del problema dei vantaggi relativi (ovvero dei propri vantaggi a confronto con quelli altrui) .
b) forma di competizione: i contesti politici si distinguono in base a come è organizzata la competizione; la
forma di competizione del sistema internazionale non è la guerra, essa non è onnipresente. Essa è data dalla
possibilità della guerra, questa è onnipresente. Altre forme di competizione: risorse economiche,
capacità/potere di persuasione, capacità di diventare poli ideologici/culturali.
Funzioni della guerra (non solo distruttive ma anche funzioni sociali) -> soluzione a violazione dei diritti
propri/altrui in mancanza di un elemento comune che se ne incarichi; funzione conservativa, di autodifesa;
mezzo per ottenere cambiamenti incrementali, cambiamento dei diritti; cambiare qualcosa di un
ordinamento presente, ma anche trasformare il sistema internazionale in toto (guerre napoleoniche,
mondiali, guerra fredda… la posizione in gioco era il dominio del sistema, potere di dettare il contenuto
politico, economico, culturale.
c) attori fondamentali: i soggetti principali delle relazioni internazionali sono gli stati, ma non sono gli
unici. Essi sono i più rilevanti; la storia del ‘900 ha visto il trionfo dello stato e la politica internazionale era
diventata sinonimo di politica interstatale. Corsa allo stato: tutti i popoli cercano indipendenza attraverso la
statualità. Le organizzazioni internazionali sono nate dal volere dei maggiori stati e questo le limita. Gli stati
restano i soli titolari del diritto di fare la pace/guerra.
Il modo comune di rappresentare le relazioni internazionali si basa sulla politica interstatale e sul fatto che
essa abbia una dimensione universale, ubiqua. Ma equiparare l’internazionale al globale è un errore. La
centralità dello stato e la sua globalità sono fenomeni recenti. I pilastri delle relazioni internazionali sono
fragili e si possono anche rompere. Il modello Westfaliano (pace di Westfalia, 1648) dà inizio al periodo di
centralità degli stati, gli stati non sono disposti a riconoscere un superiore politico, sovranità degli stati. Si
tratta però di un modello eccezionale, non eterno. Caratteristiche di tale sistema eccezionale:

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Anarchia: non esiste un soggetto riconosciuto da tutti come superiore e titolare ultimo della legittimità.
Esistono tre modelli tipici di convivenza -> impero: un soggetto titolare del potere da cui tutti gli altri
soggetti dipendono per affermare la propria legittimità, principio organizzativo gerarchico; sistema
feudatario: pluralismo di unità politiche che almeno formalmente riconoscono di dipendere da un’autorità
comune; state system (modello westfaliano) : pluralistico, unità politiche auto fondatesi che non
riconoscono un superiore politico -> questo sistema è una colossale eccezione storica.
Eguaglianza funzionale/formale degli stati: gli stati svogono le proprie prerogative, esercitano la sovranità,
si riconoscono formalmente come uguali; questa non è la norma poiché di solito i soggetti non si somigliano
per nulla. Negli altri modelli di convivenza internazionale di solito non c’è riconoscimento tra stati dei
propri diritti: se ne reclamano sempre maggiori e non ci sono rapporti alla pari.
Modo in cui è organizzato lo spazio: spazi omogenei; i territori degli stati sono a cesure lineari, segnati da
confini. I cittadini sono sottoposti a più giurisdizioni. Il confine segna la fine di una giurisdizione e l’inizio
di un’altra con gli stessi diritti -> confine come proiezione di uguaglianza, idea di reciprocità.
Conseguenza della nozione di confine: distinzione tra politica nazionale e internazionale.

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3. Globalità
Un’altra caratteristica del sistema che è eccezionale, ma che non ha a che vedere con il sistema Westfaliano
è la GLOBALITA’ ->
GLOBALITA’ = prodotto storico reversibile formatosi in 3 fasi:
1) Preistoria della globalità: fino al ‘500 il globo era un insieme di sistemi internazionali preglobali che
avevano ciascuno i propri attori diversi dagli altri, le proprie gerarchie di poteri/principi organizzativi, le
proprie regole per disciplinare i propri soggetti e quelli esterni. L’Europa al suo interno non era un sistema
internazionale, c’erano pochi rapporti trascurabili. Con la pace di Westfalia c’è la svolta decisiva: la guerra
dei 30 anni fonde i sistemi europei in un unico sistema.
2) Espansione della globalizzazione: il conflitto delle civiltà avviene sullo sfondo di questa vicenda. La
globalizzazione come espansione del sistema europeo sul resto del mondo. Tra ‘500 e ‘900 progressiva
globalizzazione delle relazioni internazionali -> eurocentrismo: paesi inglobati nelle dinamiche europee;
Giappone e Cina no, competitori troppo forti che ammettevano l’Europa solo alle loro condizioni. Anche
l’India resiste fino al ‘700. Quando l’impero ottomano cede, ‘600, inizia il sistema delle capitolazioni: la
Cina resiste fino all’800 poi tutti gli ordinamenti internazionali vengono subordinati e inglobati.
3) 1850 - guerre mondiali: fase decisiva che vede la fine della globalizzazione eurocentrica -> tutti gli altri
sistemi sono stati inglobati, le relazioni internazionali sono eurocentriche. Ammessi a questo sistema (diritto
di partecipare alle conferenze) alcuni stati subordinati come l’Impero Ottomano oppure con il rango di
grande potenza come Giappone e Russia. Lo smottamento dell’eurocentrismo avviene con le due guerre
mondiali. Con le guerre mondiali si ha uno dei culmini della globalizzazione, si hanno guerre Mondiali in
quanto il sistema è già diventato globale, il sistema internazionale è uno, come vediamo il fulcro delle guerre
è l’Europa; da metà 900 a fine secolo troviamo una fase una globalizzazione ormai compiuta, il sistema
internazionale è compiutamente globale (guerra fredda è tipicamente globale) ,la novità di questa epoca è il
superamento dell’eurocentrismo, ora l’Europa non è più il centro di irradiazioni seppur rimanendo teatro
degli scontri.

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4. LE RELAZIONI INTERNAZIONALI COME DISCIPLINA


Disciplina contemporanea che nasce nell’ambito delle scienze sociali, 1919. Essa presuppone un orizzonte
moderno; Waltz nella “teoria delle relazioni internazionali” definisce la politica internazionale come politica
internazionale moderna.
La scuola britannica parla del rapporto Europa-Mondo, problema della determinatezza storica del mondo
moderno.
Carl Schmitt invece sottolinea che l’esperienza moderna è geograficamente determinata ed emerge
l’eccezionalità.
La teoria contemporanea delle relazioni internazionali è di matrice americana e ciò comporta delle
conseguenze:
i quesiti sono posti dall’opinione pubblica americana
due ricerche fondamentali del ‘900 sono state praticamente rimosse: la fine della centralità europea e come
aspetto speculare ad essa la rivolta contro l’Occidente. La destrutturazione dei rapporti Europa-Mondo è
stata marginalizzata.
C’è una vera e propria distorsione prospettica dovuta al fatto che gli Usa sono diversi da tutti gli altri stati ed
il loro punto di vista è eccezionale (eccezionalismo) :
sono eccezionalmente forti
sono “invulnerabili”: gli altri paesi (Gb a parte) hanno sempre convissuto con il terrore della loro
vulnerabilità, mentre gli Usa hanno sempre combattuto guerre lontano da casa.

I principali approcci alle relazioni internazionali.


4 domande fondamentali per caratterizzare ciascun approccio:
1) A quale esperienza storica rispondono?
2) Qual è il problema posto al centro?
3) Qual è la soluzione proposta?
4) Quale immagine del tempo viene suggerita?

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5. IDEALISMO
1) L’idealismo nasce da un trauma storico: la prima guerra mondiale, che vede il crollo del sistema
Westfaliano. La guerra era vista come prassi, come un normale strumento di politica estera -> queste
convinzioni crollano dinnanzi alla distruzione, alla catastrofe, all’intensità del conflitto, al fatto che la
situazione sia sfuggita dal controllo degli stati stessi lasciando spazio alla violenza. Emerge dunque l’idea
che la storia della politica internazionale debba compiere un salto.
2) Il problema posto al centro è dunque una riflessione su come evitare la prossima guerra. Un esito come
quello della Grande Guerra non doveva più essere accettabile, era insostenibile. Un ordinamento che avesse
accettato una simile ipotesi non si poteva nemmeno considerare un ordinamento.
3) Soluzione proposta: vengono individuate 4 strade che diventano progressivamente il linguaggio
dell’amministrazione americana:
a) La causa della guerra è la politica. Le relazioni politiche si nutrono del conflitto e ne creano sempre di
nuovi; l’idealismo quindi si prefissa di cambiare questo concetto di ottenimento del risultato con la guerra
quando le situazioni possono essere risolte diplomaticamente, ciò si ottiene con la crescita del commercio, la
rete globale di consumo; Per diminuire la belligeranza è necessario aumentare le relazioni economiche che
creano interdipendenza ed interessi a non entrare in conflitto.
b) La radice della guerra non è la politica in quanto tale (in politica interna i conflitti non sfociano in guerra)
, bensì il modo in cui NON è organizzata la politica internazionale -> anarchia del sistema internazionale ->
bisogna produrre un governo mondiale, un solo ordine dotato di legittimità, un grado di garantire la pace. La
stessa soluzione del Leviatano di Hobbes, ma su scala mondiale: un governo mondiale, strada verso le
organizzazioni internazionali che abbozzano un governo mondiale o quantomeno lo invocano.
c) Gli stati non riescono a concepire la propria sicurezza se non in termini egoistici -> disastroso gioco a
somma zero, in cui ciò che uno guadagna viene perso da qualcun altro. Bisogna invece elaborare un nuovo
modello di sicurezza collettiva (l’aggressione a uno equivale ad un’aggressione a tutti, la sicurezza di uno fa
parte della sicurezza collettiva) .
4) Nozione del tempo: concezione progressiva della storia; la politica internazionale si può cambiare.

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6. REALISMO
1) Lo scoppio della seconda guerra mondiale e della guerra fredda immediatamente dopo fanno da sfondo
alla nascita di quest’approccio. Questi due elementi, infatti, mettono a nudo le debolezze dell’approccio
idealista dichiarate utopie: l’idealismo non mantiene le promesse (fallimento delle organizzazioni
internazionali e delle politiche estere) . La debellicizzazione delle relazioni internazionali è improbabile.
2) Il problema si sposta da come mantenere la pace/eliminare la guerra a come vincere/non perdere la
guerra che tanto è e resta un male inestirpabile. Come evitare invece le guerre non necessarie, quelle che
costituiscono uno spreco economico.
3) Soluzioni: il vincolo tra le relazioni economiche e quelle politiche è ribaltato: sono le relazioni politiche
quelle più importanti. La sicurezza collettiva non funziona; funziona soltanto controi deboli e non contro i
forti. Riconoscere che la guerra è uno strumento ineliminabile ma estremo e che pertanto prima di arrivarvi
si possono usare minacce, dissuasione. Ciò che conta è la distribuzione del potere, non le caratteristiche
interne di uno stato.
4) Nozione del tempo: fiducia assoluta nell’immobilità della politica internazionale. Rimane la stessa cosa
perché è dominata dalle stesse cose. Mentre nel discorso idealista vi è la possibilità del salto, in quello
realista no, cambiano i nomi ma nella sostanza la politica internazionale rimane il regno della ricorrenza e
della ripetizione.

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7. TEORIE NEO-MARXISTE / RADICALI


1) Trauma storico: anni ’60-’70 decolonizzazione, rottura dominio coloniale, nascita nuovi stati. disincanto
legato a quest’evento -> la decolonizzazione non era sufficiente -> la rottura dei rapporti formali tra centro e
periferia non era sufficiente ad interrompere la dipendenza, che andava oltre il livello informale perché vi
erano ancora rapporti economici e sociali.
2) Come spezzare tale dipendenza, meccanismo infernale. Rispazializzazione delle relazioni internazionali,
rotazione dell’asse bellico da est-ovest a nord-sud. L’approccio neo-marxista/radicale sembra riprendere
l’enfasi degli idealisti sui rapporti economici, la struttura concreta delle relazioni internazionali è economica.
Ma per gli idealisti i rapporti economici sono la soluzione alla guerra, mentre per i neo-marxisti è la
dipendenza economica il nocciolo del conflitto.
3) Soluzioni: rivoluzione interna-internazionale. Sganciarsi dal meccanismo-strategia di sostituzione delle
importazioni, per uscire dal meccanismo di riproduzione della disuguaglianza. Sganciarsi dal sistema
capitalistico mondiale cercando uno sviluppo autocefalo da punto di vista politico economico sociale.
4) Nozione del tempo: a cavallo tra quella realista e idealista. Anche i radicali neomarxisti considerano
come gli idealisti la discontinuità, non credono che la politica internazionale sia sempre la stessa cosa, hanno
una prospettiva rivoluzionaria sul futuro; tutto il loro approccio sul futuro si fonda sull’opzione
rivoluzionaria. Gli apposti dal punto di vista scientifico sono: una complicazione dello spazio politico
internazionale, questo approccio è la fine della egemonia europea, subentra il conflitto nord-sud, il rapporto
centro-periferie, il rapporto centro periferie e semiperiferie. Reintroduzione del punto di vista del lungo
periodo, bisogna andare oltre l’unico blocco del ‘900, per la comprensione del 900 bisogna immergerlo
nuovamente in una corrente storica più lunga. le teorie marxiste e radicali sottolineano l’esistenza di un
rapporto continuo tra conflitti interni e internazionali, un concetto elaborato dalla teoria della “dependencia”
che si occupa delle ragioni delle dipendenza dell’America Latina dagli Usa, tale teoria va a guardare non
solo la struttura dei rapporti internazionali ma anche il loro interno, significa che il conflitto contro la
borghesia comprador è un conflitto interno ma con resoconti a livello internazionale.
Oggi queste teorie sono abbastanza scomparse. In quanto non rispondevano alle domande sulle relazioni
esistenti ma ne creavano di nuovi, la disciplina ormai consolidata ha rigettato l’insediarsi di tutti questi
nuovi problemi, ci sono anche 2 ragioni storiche : il successo delle tigri asiatiche ovvero i paesi che vengono
da condizioni di sottosviluppo che sperimentano una crescita straordinaria avendo adottato una tecnica del
tutto opposta alla teorie di sganciamento (teoria dell’inserimento) ; la seconda ragione è la fine dell’unione
sovietica, la sconfitta politica di una vicenda storica nella quale si collocavano questi studiosi e questi
approcci.

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8. ISTITUZIONALISMO LIBERALE
1) Anni ’70. Trauma storico: non c’è un vero e proprio choc, ma piuttosto la preoccupazione crescente che
esso arrivi. A partire dalla seconda metà degli anni 60 si diffonde l’idea che almeno tra i paesi più forti
dell’Occidente (triangolo economico dell’epoca, Europa Usa Giappone) non ci siano più relazioni di tipo
politico militare, bensì si siano diffuse ormai le relazioni economiche. Comincia ad apparire impossibile uno
scontro armato tra paesi europei o tra Usa e Giappone, si diffonde l’idea che le relazioni internazionali siano
entrate in una fase del tutto nuova. L’interdipendenza economica si fa sempre più fitta (antenato della
globalizzazione) ed i problemi sorgono da questa dimensione -> choc petrolifero. Si assiste ad un crescente
declino Usa: fine di Bretton-Woods, sconfitta in Vietnam, Watergate, rivoluzione islamica in Iran, ripresa
Urss.
2) Problema: Nell’eventualità del declino Usa, che cosa accadrà all’interdipendenza economica? Essa è stata
un prodotto degli Usa, loro sono stai gli inventori del sistema. Accade ciò che dicono i realisti? Il
ribaltamento dell’interdipendenza economica? Gli istituzionalisti liberali si chiedono ciò.
3) Soluzioni: per gli istituzionalisti liberali la soluzione è nelle istituzioni prodotte dagli Usa -> esse possono
sopravvivere al declino Usa, esse sono ormai consolidate e possono vivere anche senza il demiurgo
egemone. Interesse centrato sulle istituzioni, ci si scosta dall’anarchia, le istituzioni diminuiscono
l’incertezza in quanto all’interno di una istituzione ci si conosce tutti sempre di più, si dubita un po’di meno.
Le istituzioni una volta consolidate diminuiscono la propensione all’inganno in quanto all’interno di
un’istituzione i costi delle figure di merda sono molto più alti; se sgarro pago.
4) Nozione del tempo: l’immagine del tempo suggerita dai neoliberali non è cosi accentuata come
nell’idealismo, essi pensano ad una maturazione progressiva, rifiuto del’idea realista della politica
internazionale come regno della ricorrenza; essa può cambiare e sta cambiando. I neoliberali collocano la
discontinuità più rilevante degli ultimi decenni non tanto nella nascita del bipolarismo (realisti) ma è la
nascita di istituzioni anni ‘40 ‘50.

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9. DIFFERENZE (NEO) REALISMO-VS-ISTITUZIONALISMO


LIBERALE
i realisti ritengono che ci sia una (o più) gerarchia di potere nelle relazioni internazionali, mentre i liberali
sostengono che non vi sia un’immutabile gerarchia d’importanza, essa dipende dal contesto.
le istituzioni internazionali cambiano il modo in cui gli attori calcolano i loro interessi? Per i realisti no:
abbiamo sempre le stesse preoccupazioni sia in nazionale che internazionale.
Secondo gli istituzionalisti liberali non ci si preoccupa più dei vantaggi relativi ma solo di quelli assoluti
(interessa guadagnare qualcosa non più degli altri) perché ormai ci si fida degli altri; le istituzioni
cambierebbero il modo di calcolare i vantaggi;
le differenze di potere -> secondo i realisti e neorealisti le istituzioni riflettono il potere che le muove, non
vanno contro ad esso (potere Nato dipende dal potere Usa che influenzala Nato stessa, è la gerarchia di
potere che opera attraverso l’istituzione) .
Per i neoliberali l’istituzione non è più solo una maschera delle forze sottostanti, ma agisce come una sorta
di diaframma e cambia almeno in parte le relazioni di potere (non le stravolge purtroppo, ma almeno le
cambia) ;
Contesto attuale; i realisti guardano la distribuzione del potere e dicono che il nostro contesto internazionale
non è più bipolare, con la fine di guerra fredda siamo entrati in un mondo nuovo;
secondo i neoliberali il mondo non è totalmente nuovo perché la vera novità è stata l’invenzione delle
istituzioni internazionali che agiscono da ponte tra il mondo bipolare e il nostro, creando continuità;
PUNTI IN COMUNE REALISMO - - ISTITUZIONALISMO LIBERALE
sia realisti che neoliberali partono dalla premessa condivisa che gli stati restano gli attori fondamentali della
politica internazionale.
sia realisti che neoliberali muovono dall’assunto che gli stati sono egoisti razionali, ovvero che l’obiettivo
sia quello di guadagnare o quantomeno non perdere, massimizzare l’utlità attesa;
sia realisti che liberali dicono che l’identità degli stati sia data una volta per tutte, non dipende da ragioni di
carattere culturale e ideologico, calcolano solo ciò che vogliono ottenere e come ottenerlo.

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10. COSTRUTTIVISMO
Dagli anni ‘90 si sviluppa il costruttivismo che mette in discussione le tre premesse appena enunciate: stati
protagonisti, identità degli stati data una volta per tutte e che siano egoisti razionali.
1) Trauma storico: anni ’90 in Europa; fine della guerra fredda, caduta di identità, spazi.
2) Problema: come ricostruire l’ordine e su cosa basarlo.
3) Soluzione: istituzioni. Affidarsi alle istituzioni per dissipare l’orizzonte stato centrico. I costruttivisti si
aspettano di riplasmare le identità degli attori. Le istituzioni consolidate diventano entità a sé che devono
fare di più di quanto prospettato dagli istituzionalisti liberali: devono cambiare il concetto di sicurezza ->
processi di securizzazione. Eliminare l’anarchia. Debellicizzare.
4) Nozione del tempo: evoluzione storica centrata su una frattura assoluta, salto ad un mondo nuovo.

Come è possibile distinguere, sulla base di quale criterio, un contesto internazionale da un altro; i contesti
continuano a cambiare spesso in modo macroscopico:
ad esempio il cambiamento a cavallo della seconda guerra mondiale; il 1946 vede un mondo diversissimo
da quello prebellico.
lo stesso si può dire per il nostro contesto storico, forse ancora più diverso del 1989, l’assetto si è ridefinito
totalmente, il contesto è ribaltato.

Problema continuo di confronto -> c’è spesso il tentativo (inconsapevole) di leggere il contesto attuale sulla
base del contesto precedente (esempio la tendenza a leggere il mondo in termini bipolari come la guerra
mondiale al terrore, divisione bipolare e tra paesi democratici e paesi non democratici) ; in realtà il
bipolarismo non c’è più.

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11. PRIMO CRITERIO: IL POTERE


Da come è distribuito il potere dipendono molte cose, categoria fondamentale.
Il potere è così importante perché… esso spiega nell’anarchia internazionale vi è sempre una forma
d’ordine, l’anarchia è sempre diversa dallo stato di natura descritto da Hobbes.
INEGUAGLIANZA -> l’ineguaglianza è fonte di ordine internazionale -> in ogni contesto ci sono attori
che contano di più e altri che contano di meno; analogia con lo stato di natura di Hobbes in cui non solo
manca il Leviatano che governi, ma vi è anche uno stato di eguaglianza in cui due si possono uccidere;
dove non c’è eguaglianza c’è un primo elemento di ordine.
- In una situazione di eguaglianza il più debole attraverso l’inganno può uccidere il più forte -> vulnerabilità.
Se c’è disparità può succedere un piccolo episodio di guerra tra una forte e una debole ma non che Al Qaeda
batta USA; -> la diseguaglianza confina la vulnerabilità. Una grande potenza è vulnerabile solo da altre
grandi potenze.
- La diseguaglianza diminuisce l’indeterminatezza, risparmio cognitivo. Nello stato di natura tutti sono
sull’attenti su tutti, la diseguaglianza fa sì che le grandi potenze debbano badare solo le une alle altre.
- I vincoli imposti dai paesi più forti ai paesi piccoli sono come quelli imposti all’interno di un regime
nazionale, la paura della sanzione è credibile e determina che il più piccolo non sgarri, al calare della
credibilità si aprono opportunità che possono ribaltare la situazione.
- Se la diseguaglianza nella vita internazionale è fonte di ordine, l’ordine è necessariamente buono. In ogni
caso non ci può stupire che uno degli incubi della riflessione internazionalistica degli ultimi 50 anni è
l’eccesso di eguaglianza; cosa produrrebbe una diffusione dell’uguaglianza dell’ordine internazionale ->
stato di natura di Hobbes dove chiunque è in grado di uccidere chiunque altro.

Il potere è così importante perché… le differenze nella distribuzione di potere spiegano perché i contesti
internazionali sono così diversi tra loro.
Le forme di ordine continuano a cambiare nel tempo -> le differenze nella distribuzione del potere spiegano
le differenze nei contesti internazionali.
Possiamo definire tre tipi di pace/di ordine riflesso della distribuzione del potere che danno vita a tre tipi di
contesto internazionale:
1) Ordine Imperiale -> esiste un soggetto nettamente più forte di tutti gli altri, diseguaglianza del potere
massima; il sistema internazionale assume una forma gerarchica: il soggetto più forte sfrutta il suo strapotere
per sopprimere la sovranità altrui.
2) Ordine Egemonico -> l’ordine somiglia all’impero per la distribuzione del potere ineguale; c’è un
soggetto più forte che domina tutti gli altri; MA lo strapotere NON viene usato per cancellare la sovranità
degli altri, rispetto almeno formale della sovranità altrui. C’è una struttura gerarchica ma informale, non
sopprimo gli altri, li domino, li guido, ma non arrivo al punto di cancellare la loro sovranità. Il paese
dominante comanda la politica estera dei paesi egemonizzati lasciando la politica interna pressoché libera.
3) Ordine/Pace Di Equilibrio -> ordine sociale prodotto da una distribuzione del potere non gerarchica, non
c’è un soggetto più forte che detta comandi agli altri o li sopprime, al contrario esiste un equilibrio di potere
tra i principali attori. L’ordine è un sottoprodotto dell’incapacità di dominare gli altri.

Le ultime due sono un po’ più importanti in quanto la forma imperiale è una forma che oggi è
sostanzialmente scomparsa. Oggi la scena è anarchica quindi il sistema imperiale è impossibile.

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L’egemonia ci dà una forma di rapporto tra distribuzione del potere e dell’ ordine gerarchico, somigliante
alla forma di rapporto nella politica interna con attore che domina e detta una serie di vincoli agli altri.
L’egemonia può essere regionale o globale, è più frequente quella regionale è più facile che si sviluppi per
esempio l’egemonia regionale degli stati uniti all’interno del continente americano -> imposizione di
vincoli ma senza togliere la sovranità degli altri stati, controllo delle relazioni di politica estera e non
(solitamente) di quella interna. Un altro caso molto più complesso di egemonia regionale è quello
esercitato dall’Urss sui paesi satellite nella seconda metà del ‘900, la sovranità era un limitata.
Le egemonie globali sono paesi egemoni che hanno i domini dei mari con posizione incontrastata non solo
centrale dal punto di vista dei commerci ma anche di “proiezione di potenza” dei mari. Esempi: Portogallo
nel ‘700 e Olanda. Più recenti: Gran Bretagna prima e Usa poi.
Così come per il mare si parla di spazi comuni (aria mare e spazio) , dominare lo spazio comune significa
avere la possibilità di muoversi liberamente e la possibilità di vietare l’uso di questo spazio agli altri, questo
è il dominio.
L’egemone detta l’ordine e la pace, non detta una pace o ordine qualsiasi ma il suo, detta un contenuto
specifico di ordine internazionale (esempio Usa attuali che escono da potenza egemone incontrastata da
scontro Urss e dichiarano la nascita di un nuovo ordine internazionale -> impone come modello politico la
democrazia liberale, il mercato sul piano economico..).
L’egemone guida gli egemonizzati, guida la comunità internazionale -> non solo nel periodo di guerra, ma
organizza anche la pace dal punto di vista diplomatico: rapporto simbiotico tra ordine ed egemonia, più c’è
egemonia più c’è ordine e viceversa.
L’equilibrio: è la modalità opposta all’egemonia; condizione in cui non esiste il predominio di un solo
attore, ma è l’uguaglianza tra un piccolo gruppo di grandi potenze che non sono paritarie tra loro. Nessuna
di esse però è in grado da sola di distruggere le altre. Vi è una continua formazione di coalizioni anti-
egemoniche. C’è un forte incentivo a buttarsi sullo stesso piatto della bilancia per riportare l’equilibrio.
La crisi sopraggiunge quando un attore ha un peso eccessivo rispetto agli altri, l’ordine internazionale si
incrina.
Attenzione a non confondere l’equilibrio con l’eguaglianza! Esso presuppone al contrario la disuguaglianza,
l’uguaglianza è tra poche grandi potenze, non tra tutti.
Nell’equilibrio solo in certe circostanze l’ordine internazionale corrisponde alla difesa dello status quo; in
certe altre circostanze esso deriva dal declino dello status quo.
L’equilibrio cambia a seconda del numero di potenze che si equilibrano tra loro: tra due (bipolarismo più
rigido, ma più ordinato) , tra molte (multipolarismo, più comunicazione e flessibilità, ma più bordel aussi).
Rapporto tra Equilibrio e Egemonia
- Possono essere due modi diversi di interpretare la politica internazionale:
Waltz: l’ordine è il prodotto involontario di più equilibri
Gilpin: l’ordine è il prodotto intenzionale dell’egemonia: una che declina e l’altra che ascende.
Teoria dei sistemi politici internazionali basata sul concetto di sistema politico internazionale.
- Possono essere due modi diversi di interpretare la storia delle relazioni internazionali:
Vista come una successione di equilibri sfidati senza successo da poteri egemonici.
Vista come una successione di egemonie marittime (Gilpin) .
Vista come una compresenza continua di egemonie marittime ed equilibri continentali.
- Possono essere due “ricette” alternative per il giusto ordine internazionale:
Ordine pluralistico europeo.

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Egemonia benigna Usa, ordine egemonico democratico.

Cosa cambia nella politica internazionale quando si passa da una configurazione del potere ad un’altra?
1) A carattere teorico: teoria dei sistemi politici internazionali basata sul concetto di sistema politico
internazionale. Tale concetto caratterizza il passaggio da realismo a neorealismo.
2) A carattere storico: diffusione a partire dagli anni ’50 di strette interdipendenze;
3) A carattere storico (2) : gli equilibri cambiano, mutamenti strutturali. La teoria dei sistemi di Waltz mira a
spiegare –non solo descrivere- i mutamenti in atto. Per fare ciò è necessario in un certo senso allontanarsi
dalla realtà e limitarsi a ritenere il necessario, usare parsimonia, ridurre variabili e criteri fondamentali.
Trascuro ad esempio gli elementi interni degli attori internazionali e li tratto allo stesso modo; VS teorie
riduzionisti che che pretendono di spiegare tutto a partire dai singoli attori. Parsimonia; Rimozione aspetti
interni Concentrarsi sul sistema nel complesso, come un campo di forze, dei campi di gioco da distinguere
attraverso la distribuzione del potere. Miliardi di cose possono cambiare, ma ci si deve concentrare solo
sulla distribuzione del potere, non per dare una buona descrizione, bensì per spiegare il contesto
internazionale. Si può in questo modo interpretare l’evoluzione delle relazioni internazionali come un
passaggio da multipolarismo a bipolarismo post seconda guerra mondiale a unipolarismo attuale. La
condizione normale, cioè la più ripetuta è stata il multipolarismo. L’unipolarismo, sorto negli anni ’90 dalla
fine dello scontro bipolare è un’eccezione.

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12. CRITERI PER DISTINGUERE I SISTEMI


INTERNAZIONALI (multipolarismo, bipolarismo, unipolarismo)
Sono criteri di passaggio da una configurazione di potere ad un’altra.

1) Definizione amico/nemico: momento fondamentale dell’agire politico, che si nutre di polarizzazione e


inimicizie. Prima viene sempre la definizione del nemico, è dopo che si scelgono gli amici, è sulla base di
nemici comuni che si scelgono gli amici.
Multipolarismo -> scelta del nemico è una scelta indeterminata, senza obblighi. Esempio GB fine ‘800
quando giocava su piani diversi con diversi nemici potenziali (Germania per mantenere l’Europa chiusa,
Russia per mantenere l’impero, Francia per aggiudicarsi l’Africa) e quando sceglie la Germania come
nemico le altre due diventano amiche. Se la GB non avesse scelto il suo nemico nemmeno le altre lo
avrebbero fatto e qui sta l’indeterminatezza. Questa indeterminatezza può essere vista come un incentivo
alla prudenza, ma per Waltz questa indeterminatezza crea incertezza e induce a facili errori; essa sarebbe
risolvibile col bipolarismo.
Bipolarismo -> qui l’indeterminatezza è ridotta a un livello minimo perché la domanda su quale nemico
concentrare le proprie forze è risolta una volta per tutte essendo il nemico uno solo. Usa e Urss hanno tanti
problemi, ma non quello di individuare il nemico, esse sono in grado di distruggersi e dunque destinate ad
una relazione competitiva. Guerra fredda per Waltz: inevitabile esito del bipolarismo.
Unipolarismo -> è l’opposto del bipolarismo da questo punto di vista. È l’esasperazione del
multipolarismo, il regno dell’indeterminatezza. Non si è in grado di individuare grandi potenze. È il
peggiore dei sistemi internazionali possibili perché è troppo indeterminato, non c’è continuità perché ci sono
troppo poche costrizioni. Il sistema più forte non sa individuare il suo nemico. Vi è una complicazione
assoluta con nel quale la domanda fondamentale è” cosa fare”. Waltz dice che è il peggiore dei sistemi sia
per chi deve sopportare per chi detta legge. In un sistema così indeterminato gli Usa ha un atteggiamento
capriccioso poiché l’indeterminatezza spiega la ricerca continua e fallimentare di una formula di
semplificazione che possa sostituire la chiarezza ideologica del bipolarismo, di trovare qualcosa che
sostituisca il bipolarismo, questo è il nocciolo della guerra globale contro il terrore; avrebbe dovuto dare una
risposta alla domanda fondamentale “contro chi lottiamo?”. -> Waltz profeta: a causa dell’assenza di
struttura le azioni saranno più dettate a correggere gli errori = ricerca continua della semplificazione e di
chiavi di lettura che funzionino (es. guerra vs terrore) . Gli egemonizzati che decidono di allearsi
all’egemone ci smenano in libertà, ma ci guadagnano nel beneficiare dell’ordine del più forte.
2) Criterio della guerra: la guerra come elemento di continuità ineliminabile, connota il sistema
internazionale presentandosi in modi differenti a seconda del sistema:
Multipolarismo -> la guerra tra grandi potenze non coinvolge necessariamente l’intera posta in gioco. Le
guerre sono limitate: la guerra è più probabile ma meno intensa.
Bipolarismo -> lo spazio per guerre limitate si chiude; qualunque conflitto ha il rischio ineluttabile di
diventare guerra totale, uno scontro limitato non può rimanere tale, escalation, tendenza all’espansione
geografica e all’escalation di pericolosità. La crisi può diventare l’innesco di una guerra mondiale. Questo
carattere di non limitabilità della guerra tra due superpotenze ha una serie di conseguenze: in un sistema
bipolare le uniche guerre comunemente combattibili sono le guerre che non coinvolgono le superpotenze,
la guerra diventa un fatto periferico; anche quando capita che una delle superpotenze si ritrovi in un

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conflitto armato (Vietnam per Usa, Afganistan per Urss) nasce una sorta di ritualizzazione per la quale si
evita lo scontro diretto dunque l’altra superpotenza se deve agire lo fa in via indiretta (strategia indiretta) ,
non intervengo direttamente ma sostengo il nemico del mio nemico (aiuti militari, diplomatici, di risorse
ecc) , ricaduta pacifica di questa dinamica: in un contesto bipolare dove esiste il timore (certezza)
dell’escalation di qualunque conflitto limitato in un conflitto mondiale nasce e si consolida col tempo la
tendenza evitare tutti quei conflitti nei quali l’intervento delle due superpotenze sarebbe inevitabile.
Unipolarismo -> la condizione unipolare è più vicina a quella multipolare in quanto in essa la guerra
limitata torna ad essere possibile ed (inoltre) poco costosa. Il paese più forte incontra pochissimi ostacoli
ed inibizioni all’uso della forza (al contrario del bipolarismo) . L’uso della forza diventa molto più
praticabile.
3) Criterio, la soglia di accesso al gioco principale: ovvero, come si può diventare grandi potenze?
Multipolarismo -> la soglia è ben definita; è più facile misurare le risorse di potere e le forme di
riconoscimento collettivo (effettività e status; il rango diplomatico a livello internazionale, il ruolo nelle
conferenze…) . La soglia è facilmente individuabile e può essere raggiunta e superata; inoltre il candidato
può mettere una potenza contro l’altra.
Bipolarismo -> la soglia si innalza bruscamente, si è in presenza di superpotenze e quindi ci vogliono
enormi risorse. Le superpotenze vogliono conservare l’oligopolio e difendere la soglia che hanno creato,
non ammettono l’entrata in gioco di un terzo soggetto. Le due superpotenze sono d’accordo nel rifiutare il
terzo soggetto perché esso sarebbe destabilizzante in quanto porterebbe ad uno scontro 2 contro 1.
Unipolarismo -> In un sistema unipolare la soglia di accesso è altissima (in questo momento nessuno può
sognarsi di raggiungerla) ; chi supera la soglia diventa il guardiano di essa: gli Usa sono impegnati a
difendere la soglia. Consolidatasi l’impossibilità di arrivare alla soglia e superarla (causa presenza del
custode) si sono moltiplicati i modi operati di sfidare l’attore più forte; livelli di lotta più bassi (terrorismo
suicida), portare il conflitto su un terreno in cui le differenze di potere non contano più. Metodi detti
equalizzatori strategici: trovare nuove armi, nuovi metodi, colpire gli alleati. Colpire gli alleati e
convincerli che non gli conviene essere alleati degli Usa, far venir meno la credibilità dell’egemone,
distruggerne il sistema di alleanze. Gli Usa possono: declinare il ruolo, collassare, riconoscere Cina.
4) Criterio, continuità/discontinuità delle alleanze: quando ci si allea si guadagna in sicurezza, ma si perde
in libertà, bisogna essere pronti a sostenere l’alleato quando lo chiede, è il prezzo della fedeltà. Un’alleanza
è una promessa di mutua assistenza militare. L’alleanza ha un carattere esclusivo, finchè rimane alleanza è
un gruppo limitato di soggetti, qualcuno sempre sta fuori dall’alleanza e normalmente c’è qualcuno contro
cui l’alleanza è rivolta, le alleanze non stanno in piedi se non trovano un nemico.
Ci sono diversi modi di considerare le alleanze:
NUMERO E TAVOLI
Multipolarismo -> è uguale al numero di combinazioni tra gli attori.
Bipolarismo -> c’è un forte incentivo strutturale alla creazione di due sole grandi alleanze strette attorno ai
due blocchi leader. Il numero delle alleanze si riduce.
Unipolarismo -> tentazione di aggregarsi al carro del leader, coalizioni gigantesche, tendenza a costruire
una grande alleanza internazionale. In un unico grande blocco del genere, con tale eccesso di inclusione, si
creano delle sottodinamiche.

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13. FLESSIBILITA’ ALLEANZE


Multipolarismo -> le alleanze sono stabilite in vista di un obiettivo specifico, una volta raggiunto
l’obiettivo comune ognuno va per la sua strada. Ciò pone un problema costante: le alleanze sono sempre
esposte al tradimento -> dato il grado di flessibilità, la scelta del nemico-amico è indeterminata e tutti
possono sempre cambiare opinione. Il problema delle alleanze è quello di tenersi stretti gli alleati perché c’è
il timore dell’abbandono, si replica quindi con continue prove di fedeltà, convincendo l’alleato. Più però
uno dimostra all’alleato di essere fedele più l’alleato rischia di approfittarsene -> si rimane ingabolati
nelle scelte dell’alleato. Nei sistemi multipolari c’è flessibilità di schieramento -> una volta che ti schieri
puoi cambiare schieramento quando vuoi. Per questo c’è rigidità di strategie: dentro un’alleanza bisogna
comportarsi bene, se ti comporti male l’alleato ti abbandona.
Bipolarismo -> conformazione diversa, mentre le alleanze multipolari sono alleanze ad hoc con un
obiettivo, le alleanze bipolari sono fatte per durare. Esempio: patto di Varsavia e patto Atlantico, le
alleanze sono blocchi con alto grado di stabilità. Il dilemma (abbandono e intrappolamento) degli attori
nelle alleanze multipolari, nel bipolare è più semplificato -> non c’è il rischio dell’abbandono, gli attori
sanno che non ci sono possibilità di essere abbandonati. Il rischio dell’intrappolamento rimane.
Conseguenza enorme sulle strategie degli alleati, si rovescia il rapporto tra rigidità di schieramento e
flessibilità di strategia; visto che gli alleati sanno di essere vincolati uno all’atro senza altre opzioni, visto
che ciò è palese, si è paradossalmente molto più liberi, ci si può ricavare degli spazi di manovra (piccole
infedeltà) perchè non saranno punite. Non devo mai dare prova di fedeltà, se faccio qualcosa di male l’altro
non mi può dire niente
Unipolarismo -> ancora una volta ci troviamo in situazione più simile a quella multipolare che bipolare.
La nostra condizione attuale dove c’è un leader unico c’è un incentivo da parte dei più deboli ad attaccarsi
al carro del più forte; oggi Usa molto più libero rispetto a bipolarismo quindi possono chiedersi e si
chiedono quanto conviene fare quanto conviene lasciar fare agli altri. Nel bipolarismo era conveniente
difendere gli alleati, oggi gli Usa non sono più abituati a fare tutto. Per i paesi europei resta la paura
dell’intrappolamento e c’è anche la paura del’abbandono. Non c’è più l’assicurazione del sostegno
americano e per questo sappiamo di dovercelo guadagnare, il modo di guadagnare il sostegno nel futuro è
il seguire gli americani oggi (oggi in Afganistan, dove stiamo pagando il prezzo col rapporto con Usa). In
una condizione storica di tipo unipolare non ci si può permettere dei tradimenti frequenti.

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14. OMOGENEITA’ DEGLI INTERESSI


Ovvero che cosa si mette in comune e cosa no quando ci si allea.
Multipolarismo -> il grado di omogeneità può essere anche molto basso; in un sistema multipolare gli
interessi in gioco possono essere diversi e possono avere pesi diversi, uno può mettere in comune un
interesse marginale e un altro problema fondamentale.
Bipolarismo -> c’è un obiettivo considerato da tutti il principale (contenimento Urss per l’alleanza
atlantica) ; un’alleanza nel sistema bipolare non mette in comune gli interessi di tutti, decide di
disinteressarsi di tutto e non chiedere agli alleati di sostenersi sempre e comunque, ci sono cose che gli
alleati fanno da soli senza assicurazione del sostegno da parte degli altri, un esempio la guerra di Algeria da
parte della Francia; l’algeria è fuori dal raggio d’azione dell’alleanza è un dominio riservato. Un altro
esempio è la guerra in Vietnam, gli Usa hanno grande interesse, ma gli alleati europei no -> non si
immischiano. Nelle bipolari ciò che è messo insieme e che accomuna è un obiettivo che viene considerato
da tutti il più importante, nel caso della carta atlantica è il contenimento dell’Urss; tutti hanno altri obiettivi
ma ognuno li persegue per conto proprio; mettere insieme l’interesse più importante significa che nel
bipolare è più facile sacrificare gli obiettivi secondari.
Unipolarismo -> no interessi comuni; ognuno chiede una cosa diversa, scambio di interessi. Gli attori
vogliono essere sicuri di avere protezione ed in cambio offrono la loro disponibilità ad appoggiare
l’egemonia.

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15. STRUTTURA ORGANIZZATIVA delle alleanze


Multipolarismo -> gli attori si scambiano la stessa promessa, firmano il loro patto su un piede di parità;
scambio di impegni militari. Le alleanze sono eguali ma anche leggere -> sono solo promesse -> no
struttura organizzativa -> non c’è un coordinamento politico e militare centrale.
Bipolarismo -> le alleanze sono fatte per durare; alleanze strutturali. Sono dunque opposte alle alleanze
multipolari, differiscono temporalmente e anche istituzionalmente. La NATO ad esempio è più di una
semplice promessa, è una vera e propria macchina organizzativa, un patto di alleanza che si dà un
comando integrato. Inoltre le alleanze bipolari sono ineguali poiché la distribuzione del potere è ineguale,
le parti non si scambiano la stessa promessa, è un po’ come il patto di Hobbes -> uno promette protezione
e l’altro obbedienza; L’alleanza bipolare è un rapporto di garanzia con le tensioni tipiche dei contratti di
assicurazioni, il soggetto promette la garanzia e chi ne vuole usufruire deve pagare il premio di
assicurazione. Gli americani hanno il sentore che gli europei stiano pagano un prezzo troppo basso e gli
europei di stare pagando un prezzo troppo alto.
Unipolarismo -> In un sistema unipolare l’alleanza conserva ed accentua il carattere di ineguaglianza; per
definizione è una alleanza egemonica, l’egemone non è sullo stesso piano degli altri attori, tale alleanza
ha un tratto che la rende simile alle alleanze bipolari. In un sistema internazionale unipolare senza le
pressioni del bipolarismo, l’alleanza egemonica tende a perdere la propria rigidità, gli alleati sanno di non
essere obbligati a stare insieme e questa è stata la combinazione che ha cercato senza troppo successo
l’amministrazione Bush: “Non possiamo immaginare che il blocco del sistema bipolare rimanga così
rigido nel sistema unipolare” -> tentativo di Bush di trasformare l’alleanza atlantica in un paniere
organizzativo, con lo scopo di sommare l’egemonia con la flessibilità, pescare di volta in volta gli alleati
che ci interessano. Non è più un blocco, ora tutto è flessibile; la cornice è la stessa ma non si va più tutti
insieme perché tutti insieme è impossibile.

La teoria dei sistemi di Waltz è statica, non è una teoria del mutamento ed ha avuto successo perché il
bipolarismo era statico, non sembrava possibile alcun mutamento senza uno scontro nucleare. Ma il contesto
storico attuale è permeato dal mutamento -> necessità di una teoria che lo riguardi.
La prima teoria del mutamento comincia a svilupparsi negli anni ’70 con Gilpin: la sua riflessione sul
mutamento individua tre tipologie di mutamento, che dipendono da frequenza e intensità (rapporto inverso) :
1) < INTENSO, + FREQUENTE -> mutamento di interazione. Cambiano le interazioni ma non la struttura
fondamentale. Mutamenti che riguardano i rapporti tra gli attori ma che non toccano la struttura complessiva
del sistema, mutamenti come la formazione di alleanze, i rovesciamenti di alleanze, unificazioni o
disgregazioni di stati, le guerre limitate (cambiano solo in maniera parziale il sistema) ;
2) + INTENSO, < FREQUENTE -> Mutamento del governo del sistema, delle gerarchie. Cambia la
struttura del sistema internazionale, coincide con il cambiamento dell’egemonia, passaggio da un’egemonia
all’altra (Gilpin vi dedica grande attenzione perché si sta assistendo al declino Usa) .
3) ++ INTENSO, << FREQUENTE -> mutamento del sistema stesso. Cambiano le unità fondamentali, non
la gerarchia di potere o l’egemonia. Cambia la natura delle unità. Esempio: nascita del sistema Westfaliano.
Si tratta di un cambiamento radicale e raro.

Tenere conto del mutamento approfondisce la cognizione dei singoli contesti internazionali, perché essi non
si distinguono solo a seconda del modo in cui è distribuito il potere (alla Waltz) ma anche in base ala

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quantità di mutamenti presenti nel sistema; alcuni sistemi internazionali sono stabili, altri sono in
movimento, le determinanti fondamentali della convivenza sono in mutamento. Entro il sistema statale ci
sono contesti storici nei quali è evidente che la gerarchia del potere sta cambiando. È dunque evidente a tutti
che siamo in una fase di turbolenza.
Oggi è meno chiaro quel che avviene ma si sta diffondendo l’idea che qualcosa di simile stia avvenendo,
siamo alla vigilia di un mutamento delle gerarchie, la crescita della Cina può essere un fattore radicale nel
sistema delle gerarchie internazionali. Quando si diffonde un’idea del genere il sistema tende ad andare in
crisi, di ciò ci sono molte evidenze teoriche e molti esempi storici. Molte teorie internazionali che trattano il
tema del trasferimento del potere come uno degli inneschi fondamentali del collasso internazionale. Questa
vicenda è alla base del modo in cui studiosi hanno studiato lo scoppio di guerre. Già Tucidide interpretava la
nascita della guerra del Peloponneso come la conseguenza di trasferimento di potere -> “la causa profonda
della guerra è la crescita di Atene e la paura che ciò incute a Sparta” -> diffidenza, guerra preventiva.
Golpe dei cretini nel 1991: un’élite militare sovietica tentò di abbattere Gorbacev e ciò suscitò una reazione
violenta. Quando cambia la distribuzione del potere vi sono fasi di grande instabilità.

I tre modelli di mutamento di Gilpin convivono oggi -> la teoria statica di Waltz non funziona più. Nel
nostro contesto storico vi è una quantità infinita di cambiamenti di interazione (mutamenti di alleanza,
formazione di più di 20 nuovi stati, nascita di istituzioni regionali, piccole-grandi guerre Iraq) . Inoltre in
questo stesso contesto troviamo tracce di una crisi del modello Westfaliano delle relazioni internazionali;
crisi di tutte le categorie politiche e spaziali.

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16. SECONDO CRITERIO: DIMENSIONE TEMPORALE


Il passaggio da un sistema internazionale ad un altro non è che un passaggio… è utile invece considerare
l’origine di un sistema internazionale.
DA QUANTO ESISTE UN SISTEMA? Quanto è prossima l’origine? Antico o recente? -> il sistema
regionale europeo occidentale è ad esempio un sistema consolidato che vede gli stessi attori da molto tempo.
Il sistema regionale americano ha 200 anni di storia. Il sistema regionale dell’Asia Orientale ha circa 100
anni e non è ancora definito. Il Medio Oriente è così solo sa metà ‘900. Il Caucaso e l’Asia centrale solo da
dopo il ’91. -> non esiste un intero indistinto! I livelli di consolidamento dei sistemi regionali sono
totalmente diversi. Meno consolidamento significa meno istituzionalizzazione, in Europa infatti vi è un alto
grado di istituzionalizzazione, si è persino arrivati ad una moneta comune. Nei sistemi non consolidati non
vi è nemmeno scambio di rapporti diplomatici, ci sono attori che non ne riconoscono altri e confini che
vengono ancora contestati. C’è addirittura incertezza sugli attori, ad esempio Israele-Palestina, Iraq,
situazione Balcani, Georgia-Ossezia… Conclusione: i sistemi sono diversi a seconda che la loro origine sia
più o meno prossima.
GRADO DI AUTONOMIA/ETERONOMIA DEL SISTEMA -> Gruppi di attori con tipi di relazioni. Il
grado di autonomia del sistema europeo è altissimo, ad eccezione del dopoguerra quando si intromisero
all’interno di esso Usa e Urss. Fuori dall’Europa gli attori sono come sono in virtù del continuo intervento
esterno -> alto livello di eteronomia. I Balcani ad esempio sono configurati da fuori attraverso conferenze
che ne delineano i confini. Un contesto eteronomo comporta continuamente contestazione e deficit di
legittimità -> il risultato eteronomo è continuamente sottoposto alla contestazione di legittimità, perché esso
è un prodotto “coloniale”.
PROCESSO DI NASCITA DEL SISTEMA/FORMAZIONE DEL SISTEMA INTERSTATALE ->
processo di concentrazione del potere: accumulazione, semplificazione, espulsione. Il processo di
concentrazione del potere è riuscito in Europa Occidentale. Negli altri sistemi invece si assiste ad un
processo di deconcentrazione del potere -> le rovine di imperi, il fallimento come nascita del sistema. Si
assiste a 4 grandi ondate di frammentazione: 1) Balcanizzazione ‘800-‘900: il ripiegamento Ottomano, al
rifluire dei turchi nasce il nuovo sistema balcanico di relazioni. 2) Prima Guerra Mondiale: la caduta degli
imperi centrali: Ottomano, Asburgico, Germanico, Zarista; ne nascono di nuovi. 3) Decolonizzazione e
Dopoguerra: nuovi sistemi regionali. 4) Disgregazione Urss: nuovi stati ma anche due nuovi sistemi
regionali.
Un sistema regionale nato da concentrazione è diverso da uno che è nato dalla frammentazione. Per tre
motivi: Il processo di frammentazione tende a innescare una sorta di spirale di mobilitazione, un processo a
cascata di unità sempre più piccole (per emulazione) . Si crea quel che continua a tormentare i paesi nuovi -
> una sorta di dilemma della sicurezza tra i nuovi stati e le rispettive minoranze buttate al loro interno; i
nuovi stati temono le minoranze perché nel momento in cui devono costruire un’identità nazionale
percepiscono qualunque obiezione all’identità una minaccia all’esistenza dello stato. Il sistema non è ancora
consolidato quindi è facile che la minoranza trovi ancoraggi esterni e il conflitto assume carattere
internazionale. Più l’unità è piccola e debole più è facile sfidarla. I sistemi che nascono da deconcentrazione
soffrono di un eccesso di interdipendenza: in mancanza di unità politica (cioè quando sopraggiunge la
frammentazione) ciò è un grave problema perché l’interdipendenza è diventata incoerenza -> per costruire
un sistema deve esserci pluralismo, differenza, bisogna fare i rapporti ex novo ed eliminare i residui di quelli
vecchi -> sia i residui materiali (strade, infrastrutture che diventano innaturali e incoerenti, comunicazioni)

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sia i residui simbolici (uniformità architettonica, linguistica) . Come separarsi dall’identità comune?
Preoccupazione di darsi nuovi simboli, cambiare i nomi delle città.. Un altro residuo è quello demografico,
l’unità politica ha interesse a mescolare i propri abitanti, nel momento in cui l’impero viene meno il residuo
demografico rimane un problema di appartenenza, di fedeltà -> sulle rovine di un intero nascono stati che
inevitabilmente comprendono pezzi delle altre nazioni. (Turchia dammi i miei greci, Grecia dammi i miei
turchi) . L’ultimo problema è che si crea un conflitto caratteristico tra due spinte contraddittorie
(protagonisti antagonisti) da una parte la spinta di ricostruire le relazioni tra vecchio centro e le nuove unità
(Commonwealth, Francia su Nord Africa, la Russia ci prova oggi con gli oleodotti) e dall’altro lato la spinta
opposta alla seccessione completa, lo sganciamento completo cioè il tentativo di sganciarsi da questa
interdipendenza o per forza propria o attaccandosi ad un altro centro di attrazione.

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17. TERZO CRITERIO: DIMENSIONE SPAZIALE (geopolitica)


Questa dimensione riveste una grande importanza. Le dinamiche regionali, il mutamento spaziale sono
sempre più importanti. Introdurre una dimensione spaziale significa introdurre una dimensione che nella
teoria tradizionale novecentesca dei sistemi politici internazionali non è presente -> in Waltz si parla di
sistema politico internazionale interessandosi solo di come è distribuito il potere, Waltz opera in un totale
vuoto geografico. Leggendo il suo libro sappiamo quante sono le potenze non dove si collocano, non
sappiamo se siano potenze continentali o insulari, se stiano sul mare oppure no, se siano vicine o lontane
reciprocamente. Sono differenze fondamentali.
Esempio di Tucidide, la guerra del Peloponneso, egli usa delle categorie geopolitiche perché la storia greca è
raffigurata come egemonie marittime, era la successione di potenze che conquistavano il dominio dei mari;
non ci dice come era diviso il potere ma dove era distribuito: sul mare. Chi aveva il dominio del nodo
connettivo (mari) aveva dominio del sistema. Una categoria geopolitica costituirà, in epoca moderna, la
ripetizione del conflitto tra potenze navali e potenze terrestri (terra e mare) .
Tra fine ‘800 e inizio ‘900 emergono due teorie contrapposte, una del primato della terra e una del mare:
1) La prima è normalmente associata al nome di un geografo britannico Mc Kinder, geografo britannico, che
creò il luogo comune “esiste un pezzo di terra (la massa eurasiatica) il cui controllo assicura il resto del
mondo” -> prendere possesso della massa eurasiatica significa prendere possesso delle relazioni
internazionali perché chiude le possibilità di attracco alle potenze marittime. Primato della terra.
2) Contro questa idea emerge la dottrina navalista (nasce negli Usa) elaborata dall’ammiraglio Mahan che
sostiene che il mare è più importante (dominio commerci, comunicazioni) consente a noi di muoverci
ovunque e impedisce agli altri di fare lo stesso. Vince dunque chi controlla gli oceani.
La geopolitica tedesca (fine ‘800) trasforma lo spazio in elemento fondamentale -> determinismo
geografico, lo spazio detta la politica estera -> ognuno ha una vocazione geopolitica da seguire -> da qui
l’idea dello “spazio vitale” di Hitler. Lo spazio e la geopolitica non vengono più evocati nel dopoguerra
proprio a causa dell’esperienza nazista. Inoltre lo sviluppo tecnologico dà l’impressione che il fattore
spaziale conti molto di meno, vi è un fattore di indifferenziazione spaziale. Anche il continuo sviluppo delle
interdipendenze economiche sembra non dar peso alle distanze. Esiste anche una retorica secondo cui i
conflitti oggi non sarebbero più di natura spaziale e anche il bipolarismo Urss Usa sembrava andare oltre la
dimensione geografica, essendo esso globale.
Finito il bipolarismo lo spazio torna ad essere oggetto di riflessione teorica, perché il crollo dell’Urss
determina una redistribuzione dello spazio e dunque lo spazio torna ad essere percepito come un problema.
Perché la dimensione spaziale interessa nuovamente le relazioni internazionali?

Aron: lo spazio è un fattore determinante per le relazioni internazionali: esso può essere considerato
ambiente, teatro, posta delle relazioni internazionali.
a) ambiente: lo spazio grava sugli attori, detta dei limiti, è esagerato dire che dà una vocazione (come
dicevano i tedeschi) ma comunque ha un’influenza, dà vantaggi e svantaggi. ->
VICINANZA/LONTANANZA: produce interazione strategica, essa detta la percezione della vulnerabilità:
si percepisce come più pericoloso il vicino (Italia e Grecia intervengono con cautela nei Balcani perché
temono immigrazione, gli effetti del conflitto si ripercuotono in primo luogo su di loro che sono vicini, sono
i più esposti geograficamente) . Non vi è dunque necessariamente paura in caso di concentrazione del
potere, bisogna considerare anche la vicinanza/lontananza: ad esempio lo strapotere Usa non ha suscitato

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reazioni di riequilibrio da parte di altri poteri poiché questi ultimi erano preoccupati dalla loro dimensione
regionale e dalle minacce interne ad essa. INSULARITA’/CONTINENTALITA’: anche questa
considerazione non emerge in Waltz. L’insularità è una collocazione che permette di non avere competitori,
cosa che non si può dire della continentalità. L’insularità presenta dunque diversi vantaggi: la possibilità di
non avere un esercito permanente di grandi dimensioni e di avere un minore apparato burocratico e fiscale,
l’insularità è associata ad uno stato leggero e liberale. gli insulari possono contemplare l’opzione di ritirarsi
sull’isola e decidere se e quando intervenire sul continente; secondo alcune teorie vi è un nesso tra insularità
ed egemonia globale: tale egemonia potrebbe essere esercitata solo in presenza di vantaggi insulari, piccolo
esercito, controllo dei mari. L’insularità politica è diversa dall’insularità geografica. La continentalità
presuppone che i paesi siano sempre pronti, che abbiano un grande esercito permanente, un grande apparato
amministrativo -> la mobilitazione è sempre possibile, il liberalismo è difficile. Non vi è libertà in politica
estera, si è condannati a partecipare sempre alla politica internazionale. Per la condizione politica
continentale vale il principio della centralità. La Germania aveva il problema della vulnerabilità su tutti i
fronti. Nei piani di guerra tedeschi di fine ‘800 si intende perfettamente cosa significhi la centralità. (Oggi la
Russia soffre lo stesso problema, con NATO da una parte e espansione della Cina dall’altro) . La Germania
sapeva che la guerra sarebbe stata su tutti i fronti, la soluzione era fare fuori prima il nemico + debole e poi
concentrarsi sulla Russia.
b) Teatro: lo spazio è il luogo di una continua manipolazione da parte degli attori; qualsiasi potere si estende
in qualche modo sullo spazio, gli attori producono lo spazio più opportuno ai loro disegni -> Rete di
comunicazioni e disgiunzioni: alcuni luoghi vengono uniti e altri disgiunti.
Contesti regionali: sono spazi prodotti quando cambia un contesto, cambiano i confini delle regioni; ad
esempio con il crollo Urss scompare la nozione di Europa dell’Est.
c) Posta: lo spazio come ragione di conflitto, come posta in gioco appunto; oggi c’è un luogo comune
secondo il quale lo spazio è politicamente irrilevante, ma in realtà anche nei conflitti recenti è evidente la
questione del controllo dello spazio (Israele-Palestina) . PERCHE’ lo spazio è posta in gioco, perché è
oggetto di competizione?
è un contenitore di risorse materiali e naturali;
è anche un contenitore di risorse immateriali, cioè ha un interesse strategico, occupa una posizione
fondamentale per accedere ad altri interessi, è un luogo di passaggio.
è un contenitore di risorse simboliche: Gerusalemme, ad esempio.
è un oggetto di conflitto anche in quanto sfera d’influenza. Per gli USA lo è il continente americano.
Principio del diritto di intervento. Principio del divieto di ingerenza degli altri (Es: Cuba che ospitò i missili
russi, in quel caso i russi fecero una grave violazione di questo principio) .
Schmitt: LO SPAZIO COME MISURA -> luogo del diritto, qualunque diritto è vincolato in uno spazio.
Nomos della terra(norma). Terra come luogo del diritto. Territorio e confini sono misure. Relazione tra
diritto e spazio. Dopo la scoperta dell’America si sviluppò il problema di dare uno spazio nel diritto a queste
terre.

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18. DETERMINANTI SPAZIALI DEI CONTESTI


INTERNAZIONALI
Per quale ragione lo spazio va tenuto presente per comprendere la diversità tra un contesto internazionale?
Ci sono almeno 2 grandi determinanti spaziali del contesto internazionale;
1) estensione della scena diplomatica e strategica: fino a dove dobbiamo guardare per comprendere la
politica internazionale e i contorni della scacchiera perché solo quando conosciamo i contorni sappiamo
quali sono gli attori da considerare, ed ha senso porsi il problema del potere; quando parliamo di
distribuzione del potere dobbiamo sapere qual è il confine geografico all’interno del quale bisogna misurare
il potere; la storia delle relazioni internazionali è una storia di continui mutamenti spaziali.
Fine ‘400 e inizio ‘500 -> scoperta della globalità in senso moderno (spedizione conquiste e scoperte) -> da
lì in poi la scena diplomatica subisce un grande e progressivo allargamento. Sappiamo che il sistema
internazionale è attualmente globale, la parola globalizzazione coglie l’intera vicenda storica delle relazioni
internazionali moderne. Ci sono due grandi movimenti che spingono alla globalizzazione, all’espansione;
l’inserimento progressivo di nuovi attori nell’equilibrio europeo: l’allargamento del sistema europeo
all’interno della stessa Europa avviene con l’attrazione di nuove potenze laterali che intervengono
nell’equilibrio quando esso non riesce più a reggersi da sé. l’inseirmento progressivo di nuovi spazi utili
all’equilibrio: (non nuovi attori ma nuovi spazi) -> le potenze europee si espandono in uno spazio
extraeuropeo considerato uno spazio vuoto (giuridicamente aperto alla conquista) -> rafforzare certi attori
contro altri; fino al ‘900 questi due elementi si interrompono perché non ce più spazio fuori né nuovi attori
da urtare nel gioco dell’equilibrio; è il momento nel quale si sperimenta una saturazione assoluta dello
spazio; si parla del sistema de ‘900 come di un sistema internazionale chiuso -> non ce più uno spazio oltre,
uno spazio fuori; tutto ciò che poteva essere incluso è stato incluso. Ciò ha molte conseguenze, significa ad
esempio che non c’è più spazio per meccanismi di compensazione, significa che il sistema internazionale
non è più minacciato dall’esterno; questo carattere di globalità oggi sta diventando un fatto critico.
2) Articolazione interna dello spazio della politica internazionale: non è omogenea: ha articolazioni più
piccole interne di tipo regionale. Anche nel linguaggio comune siamo soliti parlare di insiemi ad esempio
Europa Occidentale, Sudest Asiatico… tutti i sistemi regionali hanno zone di penombra, i confini sono
confusi, alcune zone fanno parte di più sistemi regionali (esempio la turchia che è metà europea metà
mediorientale, caucasica) ; tra le varie regioni vi è spesso interdipendenza (pensiamo a nascita di
organizzazioni o tipo di istituzioni globali come Wto, banca mondiale..ecc) politica/economica/diplomatica;
una regione ha anche interdipendenze culturali e simboliche tra appartenenti. Esser consapevoli
(consapevolezza dell’interdipendenza) di far parte di una rete di rapporti che non ci esclude dal mondo ma
ci separa da esso, chi abita in una regione sa di abitarci; in Europa ci sono una serie di meccanismi che
aiutano gli attori a sentirsi europei, sensazione di appartenenza. La libera circolazione all’interno è diversa
dalla libera circolazione all’esterno. le regioni sono anche cementate dalla suscettibilità di essere coinvolti
in una pace-una guerra comune, sapere che ci sono delle dinamiche conflittuali che possono portare alla
guerra o risolte con una pace comune.
-> I diversi complessi regionali da un contesto storico ad un altro hanno relazioni molto diverse, cambiano
continuamente nel tempo. Criteri per distinguerli:
criterio della continuità/discontinuità -> i sistemi regionali da un contesto storico ad un altro possono essere
più o meno simili tra di loro, contesti regionali in cui i protagonisti sono sempre gli stessi, contesti storici in

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cui le differenze tra un contesto regionale e un altro pesano meno.
Ci sono invece contesti storici in cui le differenze sono enormi perché gli attori sono diversi e le poste in
gioco diverse, i linguaggi dei conflitti cambiano.

Gerarchia: in certi contesti internazionali una regione è dominante -> essa agisce come centro di irradiazione
di conflitti e regole, è la regione nella quale in conflitto si decide; ci possono essere contesti internazionali
(teoricamente) nei quali le diverse regioni coesistono in parità, non c’è più un centro perché ci sono contesti
regionali con peso uguale. -> vi sono diversi modelli/possibili scenari di connessione tra contesti regionali -
> Incorporazione: alto grado di continuità gerarchia. Connessione tra aree regionali che ruotano intorno ad
una regione specifica che le ingloba: centro-periferia. Un caso di connessione per incorporazione è quella
del colonialismo europeo, sistema fondato sulla centralità di una regione (Europa) che incorpora anche in
senso formale tutte le altre aree regionali -> per gli attori locali non c è più spazio per dinamiche autonome,
hanno più relazioni con la madrepatria che tra di loro. Subordinazione: vi è meno continuità e alta gerarchia;
c’è sempre un luogo dominante ma non è più tale da incorporare tutto ->la maggior parte delle relazioni
avviene tra attori delle rispettive regioni, preoccupazioni locali. C’è quindi un processo di scomposizione
che si arresta ad un certo punto, i sistemi regionali sono comunque fortemente interessati dalla vicenda
globale; è vero che in ciascuna regione ci sono attori diversi ma comunque Usa e Urss ci sono e valgono,
sebbene il sistema dominante non sia più in grado di incorporare gi altri sistemi regionali resta in grado di
esportare le relazioni di amicizia o inimicizia, la guerra fredda è ovunque ma con forma di versa in ogni
regione.
Connessione: esiste ancora un modello regionale dominante ma viene progressivamente meno la continuità.
A fronte del fatto che c’è una gerarchia, i diversi contesti regionali si diversificano sempre di più. Modello
di diffusione dei conflitti invece che di subordinazione. Anche in questo caso ci sono attori dominanti
riconoscibili in una area dominante, ma c’è una profonda differenza rispetto al modello precedente -> questi
attori non riescono più ad esportare la dinamica di amicizia /inimicizia in tutte le regioni -> il grado di
continuità tra gli attori regionali decresce continuamente.
Contaminazione: il modello storico di oggi culmina con il massimo della gerarchia ed il minimo della
continuità; esiste la potenza dominante Usa, una sola potenza, una sola gerarchia fondamentale, un solo
attore rilevante per tutte le questioni in atto. Il grado di interagibilità si è abbassato ovunque. Gli Usa devono
smettere di fare lo stesso gioco ovunque perché ciò che è efficace in un luogo non lo è in un altro, le chiavi
di accesso universali non esistono più. Gli Usa devono inoltre affrontare altre due questioni: - la sostenibilità
economica dell’egemonia -> il contesto sta diventando sempre più costoso, bisogna far promesse a tutti - la
legittimità. Cosa potrebbe succedere dopo il declino Usa?
1°scenario -> scenario ordinato, globalizzazione senza gerarchia; competizione tra i grandi sistemi regionali
organizzati, nessuna nuova potenza globale.
2°scenario -> contaminazione reciproca tra sistemi non organizzati al loro interno. Caos regionali, non
riescono a darsi un ordine autonomo o gerarchico. Condizione simile all’anarchia di Hobbes.

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19. QUARTO CRITERIO: dimensione culturale-ideologica


Trascurata da Waltz. Nel ‘900 un bordello di conflitti ideologici. Rivoluzione bolscevica e decolonizzazione
sono le due fratture principali. La rimozione della dimensione culturale è un limite delle relazioni
internazionali. Prima del ‘900 funzionava la teoria dei sistemi di Waltz e funzionava indipendentemente da
tutti gli altri fattori diversi dal potere. Nella seconda metà del’900 si perviene ad un approccio materialistico
(consuetudine = trascurare le differenze tra attori, tipico della realpolitik) . Dal 1990 siamo passati ad una
fase in cui si tende a leggere tutti i conflitti in chiave culturale -> discredito nei confronti delle teorie
materialistiche. Da una retorica materialistica estrema ad una retorica soggettivistica estrema. Soprattutto a
partire dall’11 settembre 2001 la tendenza a leggere i conflitti in chiave culturale è diventata quasi una moda
(revival etnico dovuto ai conflitti degli anni ‘90, diffusione radicalismi, degli integralismi + articolo
Huntington) . La dimensione culturale è importante ma non deve essere considerata come unica e
fondamentale. Quando entra in gioco come sta accadendo negli ultimi anni cambia il conflitto ma questo
non significa che essa sia l’unica causa del conflitto. Spesso questa dimensione entra in gioco a conflitto già
cominciato. Vi è un riflusso dell’Occidente e la non accettazione da parte degli Usa a dover cedere a causa
dello scontro di civiltà.
In ogni caso il fattore della distribuzione del potere resta centrale; la dimensione culturale non va
sopravvalutata.

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20. SISTEMI INTERNAZIONALI IN BASE AL CRITERIO


CULTURALE
Aron, realista, mette il potere al centro, ma, al contrario di Waltz, egli considera il fattore culturale -> per
comprendere il sistema internazionale bisogna sapere se e quanto sono simili tra loro gli attori, come
ciascuno percepisce l’altro.
1) Sistemi internazionali omogenei: gli attori principali si percepiscono come simili per aspetto istituzionale,
cultura comune, principio di legittimità comune, memoria comune (Europa ‘700). No conflitti culturali, ma
solo d’interesse.
2) Sistemi internazionali eterogenei: il riconoscimento di somiglianza reciproca non c’è o è venuto meno.
Qualcuno si chiama fuori dalla somiglianza, magari per questioni ideologiche e si dichiara diverso. Eventi
che hanno portato da Europa omogenea ‘700 a eterogeneità -> rivoluzione francese, rivoluzione russa.
Passando da un sistema omogeneo ad uno eterogeneo -> difficoltà a nutrire aspettative in un contesto
anarchico: nel sistema omogeneo si imputavano ad altri stati aspettative nostre, perché si presupponeva la
similitudine di intenti, c’è un risparmio cognitivo. Nel sistema eterogeneo si dà per scontato che l’altro si
muoverà diversamente da noi e difficilmente possiamo prevederne le mosse.
L’anarchia è dominata dal timore dell’inganno, ma un inganno all’interno di un sistema omogeneo si paga
ad un prezzo più alto perché c’è imbarazzo e perdita di credibilità. La comunicazione in un sistema
omogeneo è alta, quindi è più facile ingannare in un sistema eterogeneo in cui la comunicazione è intralciata
dalla traduzione.
Nei sistemi omogenei è più facile sottrarre qualcosa dalla competizione poiché si possono inventare regole
ed istituzioni comuni, mentre negli eterogenei ciò che viene sottratto alla competizione ritorna ad essere
centro del conflitto (Onu) .
Nei sistemi omogenei si può fare distinzione interno/internazionale; tra guerra civile e guerra estera. Nei
sistemi eterogenei le distinzioni vengono meno.
Visione della pace a seconda di sistemi omogenei e sistemi eterogenei. Sistemi omogenei: maggior grado di
flessibilità, ci si può alleare con chiunque; si giudicano gli altri per quello che fanno, non per quello che
sono. Sistemi eterogenei: meno flessibilità, dunque fatica ad allearsi con il nemico ideologico. Si valutano
gli altri per quello che sono “politica dei due pesi e delle due misure”.
Visione della guerra: Sistemi omogenei: guerra limitata, non ci si aggredisce continuamente, è possibile re
immettere nel gioco il nemico sconfitto e ciò è utile per l’equilibrio; Sistemi eterogenei: guerra ideologica
totale, pace è la continuazione della guerra, altri morti, aggressioni continue, salta qualunque regola tra
combattenti. La guerra è fatta per eliminare il nemico, impossibile riammetterlo.
La dimensione culturale si incrocia con quella del potere; quest’ultimo può rimanere immutato, ma possono
cambiare le ideologie ed avere un’influenza sul sistema. Il multipolarismo si metà ‘800 ad esempio è
caratterizzato da un’omogeneità ideologica minore a quello del ‘700 e il bipolarismo ‘900 è l’esito insito di
questa condizione. Oggi siamo in un sistema unipolare…omogeneo o eterogeneo? Dopo la fine della guerra
fredda esso era tendenzialmente omogeneo, adesso è sempre più eterogeneo, il contesto è sempre più
multiculturale.
La distinzione tra sistemi omogenei e eterogenei, la dimensione culturale-ideologica ci permettono di
periodizzare le relazioni internazionali. Dopo il 1900 individuiamo col criterio del potere 2 fratture: post
1945 e post 1990. Questo criterio non tiene in considerazione altre possibili fratture: 1917 rivoluzione russa.

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La distinzione tra sistemi omogenei e eterogenei consente inoltre di porre in un altro modo la questione della
stabilità: introduce un nuovo criterio per capire se è più stabile un sistema bipolare o un sistema multipolare
-> i sistemi omogenei sono più stabili di quelli eterogenei.
Cosa significa omogeneità nell’agire sociale? Non significa essere uguali, ma significa che esiste una radice
comune, un fondamento comune. I popoli di cultura tedesca sono diversi da quelli di cultura francese, ma
hanno comunque un comune senso di appartenenza europea. Tra di loro non si riconoscono tanto diversi
quanto si riconoscono diversi dal popolo turco -> per concepire la somiglianza occurre un’alterità più forte.
Riconoscere somiglianze reciproche, ma su cosa? Vi sono 3 elementi potenziali di somiglianza:
1- [Aron] omogeneità ideologica (fascisti/comunisti..) , l’appartenenza ideologica è reversibile perché è il
frutto di una scelta;
2- [Huntington]appartenenza culturale di civiltà, non è reversibile. Huntington fa l’esempio di tre paesi,
Turchia, Messico, Russia che subiscono un cambiamento radicale di civiltà e per fare questo -> ci vuole
un’élite dirigente estremamente decisa, è necessario che le masse siano acquiescenti, è necessario che gli la
civiltà ricevente mi accolga. Huntington sembra credere che comunque un’uscita completa dalla propria
civiltà sia impossibile; anche se fosse i tempi sarebbero di gran lunga maggiori rispetto al cambio di
ideologia.
3- la memoria, è una parte della differenza culturale ed anche il prodotto di esperienze storiche diverse da
parte degli individui. Ad esempio per i paesi ex-colonizzati la memoria del colonialismo è la memoria
centrale. Quando gli attori sono portatori di memorie diverse, non concordano sul conflitto che stanno
vivendo (Israele-Palestina) -> avendo memorie diverse non si concorda su chi sia la minoranza e chi la
maggioranza, chi la vittima e chi il carnefice.
La somiglianza è un dato di fatto oppure è costruita? Dove e come nasce? ->
a) per A.Smith “L’origine etnica delle nazioni” -> alla radice della nazione c’è l’esistenza culturale e etnica;
un patrimonio comune. Poi si politicizza.
b) Modello civico-territoriale: la nazione è un complesso di diritti e doveri e chi decide di averli può
appartenerle; la società è aperta. Plebiscito comunitario, patto a cui chiunque può accedere.
Huntington -> le somiglianze culturali sono la base per costruire le identità.
Costruttivismo -> l’identità culturale politica è un’invenzione, non un dato di fatto, le somiglianze si
possono creare.
- Tema della Turchia nell’UE: la posizione contraria di Sarkozy e della Merkel si basa sul fatto che per loro
l’UE è la casa dei paesi di cultura europea (identità ebraico-cristiana) e bisogna mantenere forte l’identità;
l’allargamento dei confini deve riflettere la somiglianza culturale.
C’è chi sostiene al contrario che ammettendo la Turchia si favorirebbe il suo processo di rassomiglianza con
il mondo europeo.

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21. QUINTO CRITERIO: DIMENSIONE ISTITUZIONALE


È il criterio più complesso da analizzare. Le istituzioni internazionali sono insiemi di norme, principi,
regole, procedure decisionali sui quali convergono le aspettative degli attori in un dato settore istituzionale.
Ma in un sistema anarchico il problema di avere aspettative verso gli altri è fondamentale e le istituzioni
cercano di mettere un freno a questo problema. Nel sistema politico internazionale il ruolo delle istituzioni è
fondamentale ma c’è un nodo teorico da risolvere un nodo teorico -> la compatibilità tra istituzioni e
anarchia. Essi sono infatti opposti; Waltz risolve il paradosso sostenendo che le istituzioni non funzionano,
esse sono più che altro una maschera. Anche gli idealisti appoggiano la tesi dell’incompatibilità -> se si
vuole l’ordine tale incompatibilità deve essere superata uscendo dall’anarchia e dando spazio alle istituzioni.

In realtà l’dea dell’incompatibilità è fragile e rozza: vi sono enormi esperienze storiche che dimostrano che
contesti anarchici possono avere istituzioni -> ad esempio Europa fine ‘800 inizio ‘900 contesto privo di
governo, ma ci sono regole prese sul serio dagli attori.
Schmitt/scuola inglese/Bull -> muovono dal presupposto che l’anarchia non è disordine ma tessuto di
istituzioni.
Schmitt -> può essere considerato realista perché afferma che comprendere una realtà politica significa
comprendere il conflitto. Qualunque dimensione diventa politica nel momento in cui diventa conflitto. Una
chiesa non è un gruppo politico ma se riesce a scatenare una guerra di religione diventa un gruppo politico.
Per Smith è una falsità che le istituzioni siano una invenzione novecentesca. Le istituzioni si susseguono
continuamente e la storia moderna è la storia delle istituzioni. La loro funzione è di razionalizzare e
umanizzare la violenza, caratteristica dell’anarchia che non si può cancellare ma che si deve confinare. Le
istituzioni sono confinate in uno spazio definito (Europa) .
Bull+Scuola Inglese -> è il British Committee -> esperienza storica ben definita, fine anni ’80, anni
particolari per la storia britannica perché l’Inghilterra perde lo status di grande potenza egemonica. Due temi
di riflessione:
1) Rapporto Occidente-Mondo;
2) Natura della convivenza internazionale moderna.
-> contesto internazionale anarchico dominato da paura, insicurezza e possibilità di errore.

Per Bull il punto di partenza è rappresentare la politica internazionale come un sistema in cui gli attori sono
consapevoli. La politica internazionale a volte è solo una rete di interdipendenze, ma in altre circostanze
matura in una vera e propria società interstatale con valori e interessi comuni -> Europa Occidentale.
Quando matura la consapevolezza sociale nascono anche le istituzioni specifiche di questa società. La
comunità internazionale non è un sistema, è qualcosa di più, c’è un senso di appartenenza. Le tracce
dell’esistenza del sistema sono le interdipendenze economiche-diplomatiche, le tracce della società sono le
istituzioni. Rapporti tra sistema e società -> non ci può essere una società internazionale dove non c’è già un
sistema internazionale. C’è una sorta di rapporto di causalità tra di essi. Problema dell’ambiente: è
necessario inventare norme comuni -> non si può sfuggire all’interdipendenza ambientale e quindi più un
rapporto si rivela obbligato, più nasce l’incentivo a costruire regole comuni, cresce l’interesse a rendere tale
rapporto tollerabile attraverso le norme. Quando gli stati sono rinchiusi in un recinto da cui non possono
uscire e ne sono consapevoli nasce l’incentivo a costruire regole comuni da prendere sul serio. La norma ha
in sé un potere che potrebbe rivelarsi distruttivo: ciascuna violazione spacca l’ordinamento intero, non si

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viola una sola norma, ma anche la credibilità, viene meno la reputazione. -> non ci può essere società senza
sistema, ma ci può essere sistema senza società.
Può anche accadere che la convergenza tra sistema e società si spezzi. In uno stesso contesto storico i
confini del sistema e quelli della società possono non coincidere (stato canaglia=fa parte del sistema ma non
della comunità).

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22. Le istituzioni della società internazionale


1) Istituzioni primarie: definiscono i caratteri fondamentali della società. Si basano su alcuni elementi di
comunanza -> 1) vita internazionale moderna non intesa come puro sistema. 2) Non insistono solo sulle
istituzioni internazionali moderne. 3) Cambia la rappresentazione del ‘900 -> si cerca di inventare nuove
istituzioni a causa della crisi di quelle primarie. OBIETTIVI ISTITUZIONI PRIMARIE L’istituzione
primaria allontana il contesto internazionale dallo stato di natura; il principio di sovranità pone il confine tra
chi è dentro e chi è fuori, definisce quali debbano essere le qualità per essere definiti come soci della società
internazionale. Gli Stati sono soggetti dell’ordinamento politico e si riconoscono tra loro con reciprocità. Si
tratta di un passo fondamentale per uscire dall’anarchia perché la soglia di accesso è la stessa per tutti.
Sopravvivenza. Rapporti tra gli ammessi: autoriproduzione della società, serie di istituzioni la cui
prerogativa è mantenere il pluralismo del sistema, evitando monarchia/impero. L’istituzione più importante
per questo aspetto è l’equilibrio di potenza, quello di Waltz e dei realisti. Per Bull e Schmitt (mentre Waltz
riteneva l’equilibrio un prodotto naturale, in intenzionale) l’equilibrio da un certo momento in poi è
diventato obiettivo comune e lo si trova in ogni momento di qualche sigla di pace. L’equilibrio per Bull è
una specie di principio costituzionale che risolve il problema della sopravvivenza. Scostamento
dall’anarchia, comunicazione. Nell’anarchia di Hobbes manca totalmente la comunicazione e questo rende
impossibile cooperare. La società internazionale moderna ha costruito un canale dedicato alla
comunicazione, la diplomazia. Problema di autoamministrarsi in mancanza di governo -> la soluzione
pluralistica è creare un sistema di conferenze internazionali. Limitare la competizione. L’anarchia è una
condizione nella quale si è condannati all’autodifesa e non si hanno limiti alla competizione. Per evitare
tutto questo l’obiettivo essenziale della società internazionale è quello di limitare la competizione senza però
eliminarla. Il diritto internazionale come marchio di fabbrica della società internazionale. Guerra limitata.
La possibilità della guerra è il prodotto per antonomasia dell’anarchia internazionale, è un prodotto
ineliminabile. La guerra è anche il luogo per eccellenza della capacità organizzativa della società
internazionale -> razionalizzare la violenza che altrimenti sarebbe diffusa. Per Schmitt anarchia e guerra non
sono l’opposto e per Bull si sbaglia a rapportare direttamente anarchia e guerra, la guerra tra stati è soltanto
una parte molto piccola dello spettro della violenza. Si sbaglia a contrapporre guerra a pace perché l’opposto
della guerra è una violenza più diffusa (a causa dell’assenza di organizzazione) . Limitare la guerra
facendosi tre domande -> 1- Chi ha diritto di fare la guerra? Significa già uscire dallo stato di natura di
Hobbes. La risposta a questa domanda è che la guerra è una prerogativa degli stati, solo loro hanno il diritto
di fare la guerra. L’altra parte della risposta è che tutti gli stati hanno diritto al riconoscimento di questa
prerogativa, elemento di non-discriminazione. 2- Cosa è lecito fare in guerra? Ius in bello, prescrizioni che
valgono tra combattenti. Persino tra combattenti non è lecito farsi qualsiasi cosa. La violenza deve avere uno
spazio e un tempo definiti -> la battaglia; fuori dalla battaglia c’è l’immunità degli inermi. 3 - Cos’è la
guerra? Distinzione tra la guerra e le altre forme di violenza, la guerra è pubblica e solenne. Anche la
distinzione tra guerra e pace. Tentativo di inventare istituzioni per limitare la guerra nella sua dimensione
spaziale: neutralità e occupatio bellica (occupazione militare provvisoria in cui l’occupante ha dei doveri) .
Aspirazione a fare della guerra un’attività limitata. Tante volte oggi la guerra non viene nemmeno
dichiarata, assenza di una soglia cerimoniale.
2) Istituzioni secondarie: sulla base delle prime propongono di sviluppare la cooperazione tra stati e il
progresso della società verso obiettivi più ambiziosi. Le istituzioni secondarie nascono per portare avanti
l’universo della cooperazione, ma ciò è possibile solo nel caso in cui le istituzioni primarie siano già

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consolidate.

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23. Il ‘900 è un secolo di proliferazione istituzionale


* Tra fine ‘800 e inizio ‘900 appare chiaro che esistono alcune materie che non è possibile gestire a livello
nazionale -> È necessario formare alcune istituzioni comuni. Esempi: unione postale, la politica ambientale
(possiamo essere un paese virtuoso a livello ambientale, ma se il nostro vicino inquina noi ne subiremo le
conseguenze) . Crisi di Cuba, shock petrolifero ‘73 e incidente di Chernobyl sono tre esperienze di
contaminazioni internazionali.
* Fallimento della prima guerra mondiale -> fallimento della politica mondiale sul controllo razionale della
violenza, una guerra totalmente diversa da come era stata calcolata, trauma, la guerra non rispondeva più a
nessuno era diventata un automa. Diplomazia segreta vista come causa della guerra. Crisi di legittimità
seguita alla prima guerra mondiale.
* La scoperta attraverso la seconda guerra mondiale dei terrori totalitari -> fanno a pezzi qualunque
soluzione Westfaliana.
Questi tre fattori fanno sì che la proliferazione istituzionale della seconda metà del ‘900 abbia prodotto
istituzioni molto diverse da quelle del passato, istituzioni settoriali, regionali, universali che si differenziano
in base alle materie trattate. Quando parliamo di istituzioni non dobbiamo pensare solo ad organizzazioni
internazioni, tutte le organizzazioni internazionali sono istituzioni, ma non tutte le istituzioni sono
organizzazioni. La sovranità è un’istituzione.

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24. Differenze tra vecchie e nuove istituzioni


Esiste un rapporto tra consolidamento dell’istituzione e trascorrere del tempo. Quelle odierne sono più
recenti quindi meno consolidate.
Tutte le istituzioni primarie prevedono la sovranità dello stato, quelle nuove, nate nella seconda metà del
‘900 si consolidano quanto più gli stati sono disponibili a cedere la loro sovranità. Le istituzioni odierne
hanno bisogno dell’erosione della sovranità. L’Onu non funziona perché gli stati non sono disposti a cedere
abbastanza la sovranità.
Le istituzioni primarie si fondavano sul valore della visione pluralistica, quelle odierne su un modello di
convivenza diverso, definito cosmopolitico, in cui il pluralismo politico degli stati più che un valore è un
problema.
Lo sviluppo di queste nuove istituzioni ha costituito un declino o uno sviluppo della società?
a) Visione positiva -> lo sviluppo delle nuove istituzioni è un progresso assoluto -> viviamo in un ordine
nuovo grazie ad una serie di nuove norme che rendono la convivenza internazionale più ordinata;
b) Visione negativa -> (Schmitt) Ricostruzione catastrofista del progresso, come la storia non di uno
sviluppo, bensì di uno sradicamento istituzionale: le guerre totali del ‘900 sono una pietra tombale sulla vita
istituzionale del ‘900.
c) Bull -> ‘900 come declino istituzionale, ma anche come tentativo di risposta a questo declino. Istituzioni
nuove che fanno fatica a farsi prendere sul serio, che non sono in grado di vincolare il comportamento degli
attori a causa del loro debole grado di consolidamento che le rende vulnerabili sul lato del potere.
Le nuove istituzioni non si limitano ad essere costituite sulla base delle vecchie istituzioni, ma presentano
anche assetti istituzionali e principi diversi -> questo ne limita il consolidamento perché i diversi assetti non
riescono a coesistere.
Quanto pesano le istituzioni in un contesto anarchico?
a) per i realisti come Waltz in un contesto anarchico le istituzioni non contano nulla; ma è una risposta
forzata, esse non sono inutili nonostante i loro limiti;
b) ogni istituzione ha una funzione e persino lo stato più forte non è disposto a soverchiare le decisioni
internazionali.
c) Le istituzioni esistono e sono prese sul serio; influenzano gli attori nei loro calcoli.
d) Anche quando queste istituzioni non contano, esse danno comunque un senso di appartenenza comune, un
senso di un tutto diplomatico.

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25. Come può essere impiegata la dimensione istituzionale?


Diversi contesti istituzionali che esistono all’interno di stessi sistemi regionali. Non ci sono sistemi regionali
privi di istituzioni. Distinzione tra anarchia matura e anarchia immatura:
Anarchia matura: (es. per eccellenza) anarchia con altissimo grado di sviluppo di tutte le istituzioni: grandi
istituzioni regionali in rapporto di coesistenza tra loro. Non c’è competizione, ma collaborazione. Forte
consenso su principi primari dell’ordinamento. In queste anarchie gli stati sono forti, maturi, consolidati.
Anarchia immatura: sistema regionale anarchico, privo di una rete istituzionale; le istituzioni primarie non
sono consolidate, c’è un collasso istituzionale. Alla base di questi sistemi ci sono stati poco consolidati (non
hanno risolto il problema dello state building) , mancano coesione, unità politica, sono caratterizzati da
instabilità e non vengono riconosciuti come potenze.
In Medio Oriente oggi cosa c’è e cosa manca?
C’è: stati istituzionalmente forti, ma anche stati istituzionalmente deboli.
Manca: istituzione regionale di tipo comprensivo che racchiuda tutti gli attori. Riconoscimento reciproco e
scambio delle rappresentanze diplomatiche.
La dimensione istituzionale ha un impatto sulla cooperazione; solo gli stati forti possono cedere prerogative.
Solo nelle anarchie mature si distinguono le dinamiche nazionali da quelle internazionali, mentre nelle
anarchie immature le due dimensioni si intrecciano.
In quale misura è vero che gli attori si comportano tutti allo stesso modo? Quanto contano le caratteristiche
interne?
Dal punto di vista teorico cambia il livello di analisi:
1) Livello di sistema -> caratteri del contesto.
2) Livello del singolo attore -> agisce e decide nel contesto.

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26. Politica estera


-> ciò che ciascun attore fa nel contesto internazionale. È la politica pubblica che si distingue dalle altre
politiche pubbliche:
* Impiega strumenti particolari, quali la forza e la diplomazia combinate assieme -> appaiono come opposti
ma non vanno separati perché la minaccia della forza è l’aspetto più paradossale dell’attività diplomatica:
agisce sul confine di pace e guerra.
* La politica estera è rivolta ad un ambito diverso dalle altre politiche rivolte all’interno, ai cittadini -> si
rivolge all’ambiente internazionale, è una politica che seppur fatta dal governo dello stato è dettata da delle
determinanti esterne, che vengon da fuori, dal contesto internazionale. Ha un carattere in parte reattivo a un
ambiente che non controlla ma che comunque è in parte influenzato dalle scelte fatte dallo stato.
Nella conduzione della politica estera pesa di più il contesto internazionale o quello nazionale?
1) Fine ‘800, retorica della Realpolitik -> primato della politica internazionale; il contesto interno è
ammesso in un contesto più ampio e competitivo e che conta di più. Due aspetti -> La politica estera è a sé
stante rispetto alla politica interna, si tiene conto solo delle determinanti esterne. Il primato della politica
internazionale è così forte che la conformazione politica interna dipende da come lo stato è posizionato nella
politica internazionale.
2) In politica estera conta il contesto interno, gran parte dei fattori determinanti arrivano dall’interno.
Osservazioni:
a) Il primato della politica interna diventa popolare nella seconda metà del ‘900. Secondo il punto di vista
realistico/storico il primato era quello della politica internazionale, perché la politica estera era separata e
gestita dai diplomatici. Nel corso del ‘900 si assiste alla nazionalizzazione delle masse, diffusione
propaganda per le guerre mondiali, la politica estera entra in contatto con quella interna, influenza sempre
maggiore dell’opinione pubblica.
b) Dopo la seconda guerra mondiale il peso di politica internazionale/estera può cambiare a seconda delle
situazioni che lo stato sta vivendo -> disperata (pressioni ambientali cogenti, no via di scampo, primato
politica internazionale tipo Churchill che si allea con l’Urss) , estrema (alleanze politicamente impensabili
durante la guerra fredda) , non estrema (libertà, no costrizioni -> primato politica interna) .
-> le due situazioni estreme non si presentano spesso -> spesso le decisioni di politica estera devono dunque
tener conto sia delle determinanti di politica interna che di quelle di politica internazionale.
1° tipo di decisioni -> meno frequente, più rilevante. Decisioni prese quando gli attori vogliono ridefinire le
linee della loro politica estera: Grand Strategy; grandi linee costitutive della politica estera di un attore ->
obiettivi, raggio d’azione dei propri interessi, individuazione minacce reali/potenziali e alleanze potenziali.
2° tipo di decisioni -> decisioni ordinarie, prese una volta stabiliti gli obiettivi principali; implementazione
della Grand Strategy.
3° tipo di decisioni -> decisioni prese durante le crisi internazionali, momenti di tensione, imminente
minaccia di guerra. Percezione minaccia dei valori fondanti, rischio coinvolgimento in ostilità militari,
percezione di tempo limitato per decidere.
Le decisioni di politica estera si possono spiegare attraverso diversi modelli:
* Attore razionale: stati personificati e resi attori unitari -> ci si mette al loro posto. A) le decisioni di
politica estera rispondono ad un criterio di razionalità; B) attori razionali & unitari. Utile perché si evitano
errori e si riesce a calcolare le azioni degli altri attori.
* Burocratico-organizzativo: gli attori non sono unitari e la decisione di politica estera assomiglia ad una

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normale decisione di politica pubblica e può essere inquinata (agenti speciali, intelligence) . Si rimette in
discussione il presupposto della razionalità -> ciò induce il decisore a percepire la situazione in un modo
piuttosto che in un altro. Alcune esperienze collettive possono pesare sulla percezione degli eventi.

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27. La politica estera delle democrazie


E' diversa da quella degli altri regimi. Nei regimi non democratici (autoritarismi, totalitarismi) le politiche
estere sono diverse -> grado di mobilità, rapporto con le ideologie… Le strutture istituzionali si riflettono
nelle politiche estere (in democrazia ad esempio i partiti in competizione tra loro, tensione tra determinanti
interne e internazionali, dilemma, conflitto tra ragion di stato (segretezza) e logiche di pubblicità ->
tensione insolubile) .
Quindi le differenze istituzionali tra regimi in qualche modo influenzano le politiche estere, e anche i diversi
tipi di democrazia (parlamentare, presidenziale) conducono politiche estere differenti.
Bisogna anche tenere conto di due aspetti delle democrazie in analisi per determinarne le politiche estere:
* Efficienza delle democrazie: Tocqueville sosteneva che le democrazie sono meno efficienti degli altri
regimi in politica estera perché non riescono a seguire la ragion di stato e dipendono dalle masse che
cambiano continuamente opinione. Ma in realtà quest’opinione è stata smentita dai fatti perché le masse non
hanno cambiato opinione così spesso e le democrazie hanno vinto quasi tutte le guerre.
* Bellicosità delle democrazie: non è vero che le democrazie sono più pacifiche degli altri regimi; non è
neanche vero che si limitano a subire le guerre perché molto spesso sono loro ad iniziarle; non è vero che
sono più moderate e meno violente; teoria della pace separata -> le democrazie non sono meno violente, ma
almeno non si fanno la guerra tra loro. Si tratta di una teoria di carattere descrittivo, basata cioè
sull’osservazione empirica di quanto avvenuto fino ad ora e di carattere prescrittivo -> esportare la
democrazia dovrebbe significare un allargamento dello spazio della pace. La pace tra democrazie
probabilmente è favorita dal rapporto con un simile; inoltre i cittadini delle democrazie sono consapevoli
delle conseguenze di un conflitto, anche se oggi questa ragione non è valida perché le guerre sono lontane e
da un esercito di costrizione si è passati a quello di professionisti. Punti deboli di questa teoria -> rare
eccezioni empiriche, validità limitata a democrazie consolidate, mentre quelle in transizione sono le più
bellicose di tutte; ci sono comunque guerre informali tra democrazie, non dimentichiamo il CILE!!! Colpo
di stato contro Allende favorito da Usa.

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28. Contesto attuale


Anarchia e instabilità trattenuta a fatica dalle istituzioni. L’anarchia impedisce di fare previsioni sul contesto
internazionale futuro. Questa non è una condizione normale ma altamente anomala. Per esempio il concetto
strategico NATO dal ‘69 e per tutta la guerra fredda è rimasto lo stesso. In seguito si è data un nuovo
concetto strategico e nel ‘99 un altro ancora. Nel 2002, in seguito all’11 settembre, la NATO ha dovuto
riformulare le stesse domande che creano nuovi concetti strategici ma senza dichiararlo ufficialmente. E ora
entro la fine del 2010 ne è previsto uno ulteriore. Tutti questi cambiamenti strategici sono indici di grande
instabilità e non ci permettono di fare previsioni future circa i futuri attori fondamentali o gli allineamenti
internazionali nel breve periodo. Ora gli USA considerano come prossimo evento fondamentale per la
creazione della prossima strategia dei prossimi 5 anni, la competizione con la Cina. Ma sono solo ipotesi che
creano profonda incertezza. Bush inventa l’unilateralismo perché l’America era l’unica che poteva portare
l’ordine.
Crisi di sistema. Crisi di controllo generalizzata. Crisi della legittimità internazionale -> cosa è (in) giusto
nella comunità internazionale, quali sono i suoi principi, discriminazione tra democrazie virtuose e gli altri.
Conflitti culturali sui diritti umani.
In vista: aspettativa di una nuova redistribuzione del potere e del prestigio e innesco di corse competitive. La
Cina reclama la propria universalità con il principio dell’eccezionalità.
Ridistribuzione del potere, angoscia europea per la perdita totale del proprio ruolo. Esempio è stata la crisi
economica di questi anni che hanno segnato ulteriormente l’importanza economica dell’Asia.
Il problema ora è creare nuovi ordini internazionali. Il nostro sistema internazionale non eredita solo la fine
dell’ordine bipolare ma anche la fine della centralità europea ed è anche erede del tentativo di riforma dei
principi cardini della vita internazionale.
Correnti storiche che hanno generato il nostro contesto -> sono quelle che hanno fatto saltare gli strati
dell’ordine del ‘900; tre grandi smottamenti: 1) la fine della guerra fredda e del bipolarismo; 2) fine
dell’ordine europeo, 3) tentativo di riforma (differenziarsi da sistema Westfaliano) attraverso i principi
della Carta Onu.
Come si arriva al contesto attuale: si parla sempre di periodo dopo la guerra fredda perché bisogna fare i
conti con ciò che essa comporta -> nei dopoguerra ci si chiede sempre come trattare il nemico sconfitto; a
differenza di altre situazioni (tipo durissime riparazioni Germania dopo la prima guerra mondiale) nel 1991
non c’è stata una vera risposta a questa domanda, gli alleati non erano d’accordo. Ci si chiedeva come
trattare gli alleati Urss e i paesi neutrali. L’aspetto più riuscito è stato l’allargamento Ue/Nato.
Si cerca di rilanciare l’alleanza vittoriosa, ma Gb e Usa non riescono a gestire il disordine. Ci si chiede quali
regole dare al nuovo ordine internazionale -> vi sono polemiche al principio dell’uguaglianza formale tra
stati. Siamo di fronte alla fine della centralità europea, fine del modello Westfaliano -> modello Onu, oltre
agli stati subentrano organizzazioni internazionali e singoli individui, formazione di una nuova Corte Penale.

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29. Dimensione del potere nel contesto internazionale


Qual è il sistema più stabile, bipolarismo (Waltz) o unipolarismo?
Situazione complessa anche perché non si riesce troppo a configurare il nostro sistema. L’implosione del
bipolarismo poteva dare due esiti -> a) unipolarismo per sottrazione [Usa+ Urss]-Urss=Usa; b) normalità
del multipolarismo; -> ancora non si sa quale dei due esiti scegliere, perché essi si accompagnano a due
diverse preferenze politiche: a) visione internazionalistica degli Usa secondo la quale l’unipolarismo è la
miglior soluzione possibile se l’egemonia è benigna; b) visione europea: preferenza del tradizionale
multipolarismo, visione condivisa anche da altre potenze non occidentali. a) elementi a favore dell’ipotesi
unipolare -> contesto attuale gli Usa sono ancora l’unica grande potenza in tutti i campi, non ha ancora
competitori in tutti i campi; gli Usa sono l’unico attore in grado di condurre una politica estera globale, col
ruolo di attore centrale in tutti i contesti regionali; supremazia militare Usa; l’Ue non è ancora coesa; non si
sa se Cina e India sapranno gestire la loro crescita, Giappone in crisi; gli Usa stessi difendono
l’unipolarismo, che è il loro obiettivo di fondo di politica estera da vent’anni. b) elementi a favore
dell’ipotesi multipolare -> ci sono già tracce di un futuro multipolarismo: solo la dimensione militare è
rimasta davvero unipolare, processo di riavvicinamento Usa-altri attori; fragilità, carattere effimero
dell’unipolarismo: “vizi” dell’unipolarismo -> altissimo grado di indeterminatezza; crescente numero di
impegni internazionali, crisi insolubilità degli impegni, soglia oltre la quale il leader non può più prendere
impegni, l’unipolarismo è una “trappola” -> più partite da giocare, sempre più impegni, ogni alleato vuole
una cosa diversa…problema dell’illegittimità che aggravano l’insolubilità, chi è più forte è visto con
sospetto, il potere eccessivo è sempre abusato, diffidenza, chi è troppo forte è incontrollabile.
Conseguenza -> se gli Usa sono effettivamente in declino e sopraggiunge una paura per l’innesco di
competizioni tipiche della transizione di potere. Incertezza su come trattare gli sfidanti, se come partners
(Clinton) o no (Bush).

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30. Dimensione Geopolitica-Spaziale nel contesto internazionale


C’è una grande trasformazione geospaziale in atto -> lo spazio è tornato ad essere una dimensione
problematica; con lo sgretolamento del bipolarismo non esistono più le sfere d’influeza, cambia il peso delle
aree regionali.
La globalizzazione ha un connotato spaziale; il mondo è sempre più piccolo e le relazioni tra stati e popoli
diversi sono sempre più dense. Il restringimento del mondo ha subito un’accelerazione negli ultimi 30 anni:
dal punto di vista economico è cresciuta. In tutti gli altri campi ha invece subito un riflusso. L’apice della
globalizzazione è stato raggiunto nel ‘900 -> organizzazioni internazionali, ideologie universali…
Quanto di questo tessuto sopravvive?
Se e quanto il tessuto della globalizzazione novecentesca resiste nel contesto internazionale attuale.
Elementi di accelerazione della globalizzazione -> Negli ultimi trent’anni abbiamo avuto un aumento
esponenziale delle capacità di interazione (collegamenti globali tramite nuove tecnologie).
La fine del bipolarismo ha annullato certe fratture che impedivano le relazioni con conseguente
allargamento delle organizzazioni internazionali. Addensarsi delle relazioni politiche, economiche e dei
flussi finanziari.
Crescita delle reti di infrastrutture.
La politica estera degli USA è di per sé un elemento di globalità; essa tiene insieme contesti diversi.
Le interdipendenze attuali tra stati sono molto più deboli di quelle del ‘900. Nel ‘900 tutti sarebbe finiti nella
stessa guerra o nella stessa pace.
Cosa si è spezzato?
* Crisi di connessione: a livello strategico-diplomatico sono diminuite le interdipendenze tra aree regionali;
le alleanze si stanno regionalizzando; le dinamiche locali prevalgono su quelle globali; la sicurezza dipende
dalla distribuzione regionale del potere.
* Crisi di somiglianza: aumenta l’incentivo a creare organizzazioni regionali.
* Crisi di comunicazione: crescita capacità di interazione, ma perdita della comunione di linguaggio, non c’è
più lo stesso modo di esprimere gli antagonismi.
Conseguenze:
* rovesciamento rapporti tra dinamiche regionali e dinamiche globali -> spirali di insicurezza reciproca,
incentivi a giocare d’anticipo. Es. timori iraniani e israeliani, corsa ad armamenti. Le dinamiche competitive
regionali sono aggravate anche dal fatto che coincidono con la parziale trasformazione della gerarchia di
potere.
* crisi delle forme di governance globali a causa della necessità di rafforzare il proprio potere in ambito
regionale.
* incomunicabilità -> diminuisce l’incentivo a moderare la violenza, non c’è più la volontà di convincere il
nemico.
* se gli Usa vogliono essere efficaci devono imparare ad operare diversamente in ogni ambito regionale ->
costo molto più elevato; inoltre problema legittimità e insolubilità, difficoltà a coinvolgere alleati al di fuori
delle loro regioni.
Dimensione Ideologico-Culturale.
La fine del bipolarismo ha portato ad un esito ibrido -> da un lato fine del grande conflitto ideologico;
dall’altro lato deoccidentalizzazione del mondo. Da un lato fine della lacerazione; dall’altro moltiplicazione
delle civiltà data dalla deoccidentalizzazione.

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Data simbolo: 1979; una serie di trasformazioni che tutte insieme delineano un cambiamento ideologico:
* Tatcher in Uk, Reagan negli Usa -> crisi delle socialdemocrazie e avvento del neoliberismo.
* Invasione sovietica dell Afghanistan -> ultimo grande episodio dell’offensiva sovietica -> disastro militare
e politico -> crollo dell’ideologia, crollo delle sue capacità di attrazione.
* Deng Xiao Ping (P.C. Cinese) -> primo viaggio, processo di normalizzazione politica, inserimento nel
mercato capitalistico europeo.
* Rivoluzione islamica in Iran; vicenda storica staccata dal bipolarismo.
Crollo di tutti i regimi comunisti senza resistenze, evento impensabile e imprevedibile. Prima del 1989
c’erano tre economie distinte ed indipendenti (Urss, Cina, Capitalismo) ; dopo il 1989 la Cina smantella la
propria eccezionalità, si ha una nuova ondata di radicalismo islamico (ritorno alle radici, basta copiare
l’occidente!) . Una nuova ondata arriverà nel ’91 con le sconfitte di Saddam e di Arafat.

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31. Il sistema attuale è omogeneo o eterogeneo?


Tesi di Fukuyama sulla fine della storia: il ‘900 è stato un grande scontro secolare tra democrazia e
totalitarismo -> vittoria della democrazia liberale in tutte le grandi sfide -> interpretazione della fine della
guerra fredda come chiusura della frattura che ha spaccato il ‘900 -> compimento della storia, la democrazia
liberale si impone come modello giusto e efficace -> no spazio per du bbi: il sistema attuale è più
omogeneo, la democrazia ha trionfato, la frattura si è chiusa, non ci sono più attori significativi. Omogeneità
data dalla democrazia e dal mercato. Le relazioni competitive sono di tipo economico e non passano più
dalla guerra. Fukuyama offre una visione dualistica del mondo -> per chi ha la democrazia e il mercato la
storia è finita; gli altri restano impantanati nella storia. Comunque vi è una forza centripeta che attira la
periferia verso il centro con democrazia e mercato. Ipotesi molto seguita negli anni ’90 perché rifletteva lo
spirito del tempo, lo spirito di fine ‘900.
Articolo di Huntington 1993: lo “Scontro delle civiltà”, diventa un luogo comune a livello mondiale -> non
è finito nulla! Abbiamo un’epidemia di guerre; attivazione di patrimoni identitari, etnici e religiosi. Lettura
rovesciata di tutti i punti; il ‘900 è stato sì lo scontro tra democrazia e totalitarismi, ma la cosa più
importante è stata la deoccidentalizzazione, il riemergere delle differenze culturali. La fine della guerra
fredda si è rivelata una condizione permissiva, non ha chiuso nulla, anzi. Essa è stata semplicemente l’ultima
grande guerra civile occidentale, l’occidente non sarà più in grado di dettare i suoi conflitti al mondo. -> il
sistema internazionale che ci affliggerà sarà un sistema eterogeneo al massimo grado; le differenze di cultura
detteranno gli allineamenti politici; le civiltà riaffermano i propri diritti e sono destinate al conflitto. Visione
del mondo pluralistica -> 7/8 civiltà diverse; no bipolarismo, no un centro e una periferia. Il confine tra gli
spazi è di guerra, non c’è una forza centripeta. La tendenza dominante è una forza centrifuga. Fine della fase
occidentale della politica internazionale. Per Huntington il conflitto che si prospetta è un conflitto occidente
contro tutti, una sorta di bipolarismo opposto a Fukuyama.
Aspetto realistico delle due tesi:
* Tesi Fukuyama -> la democrazia liberale incontra ostacoli ma non ci sono più ideologie universali
alternative, ad esempio la risposta dell’islam non può attecchire al di fuori delle altre civiltà. Esiste davvero
una forza centripeta: è aumentato il numero di democrazie liberali e di attori sul mercato.
Democratizzazione anche grazie a condizionalità degli aiuti.
* Tesi Huntington -> anche Bull parla del processo di rivolta contro l’occidente -> indigenizzazione,
ripresa di un proprio patrimonio simbolico. La fine del comunismo ha lasciato un vuoto identitario, uno
spazio alla riappropriazione identitaria (Jugoslavia) . L’eterogeneità è più coerente con la scomposizione
geopolitica del sistema internazionale. Scomposizione che favorisce la riorganizzazione delle aree regionali
su principi propri.

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32. Elementi di continuità e discontinuità nella politica estera Usa


Premessa: questa è una fase di ripensamento della Grand strategy di tutti gli attori (fase tipica dei
dopoguerra e noi siamo in un dopoguerra) . Una grande strategia consiste in -> operare una proiezione
temporale nel futuro, valutazione della futura natura del sistema internazionale in cui si opererà, valutazione
realistica su quanto conterà il proprio paese nei prossimi anni, su quali obiettivi mi posso ragionevolmente
porre.
Una volta posti gli obiettivi:
Dove perseguirli, quale dev’essere il raggio d’azione?
Quali sono prevedibilmente le minacce e i rischi che mineranno sul mio interesse nazionale?
Con chi ragionevolmente potrò condividere la mia politica?
Elementi di complicazione:
Contemporaneità: procedere a una grande strategia mentre anche tutti gli altri lo stanno facendo;
Nella elaborazione della grande strategia è inevitabile che pesino gli ideali di élite appartenenti a contesti
passati (contesto bipolare) ;
Il nostro è un contesto indeterminato.
-> Tutto questo pesa sugli Usa perché essendo il paese più forte ha maggiori responsabilità internazionali,
per il peso che le decisioni americane hanno sul contesto degli altri, doppia assunzione di responsabilità.
-> Inoltre c’è una ragione di carattere storico che porta gli Usa a chiedersi quanto gli convenga rimanere nel
contesto internazionale. Quello nel quale operano gli Usa oggi è un contesto completamente diverso da
quelli del passato, enormemente più complicato. L’indeterminatezza dell’unipolarismo grava principalmente
proprio sul paese che sta al vertice. La fine del bipolarismo ha fatto riemergere la tentazione di tagliare
l’impegno internazionale. Dal 1990 ad oggi tutti presidenti che hanno vinto le elezioni le hanno vinte con la
promessa di tagliare gli impegni internazionali.
Elementi di continuità.
* Fortissimo consenso negli Usa sull’interpretazione complessiva del sistema internazionale e del ruolo Usa
all’interno di esso -> significa che tutti sono concordi nell’affermare che gli Usa hanno un ruolo a parte in
questo sistema: un ruolo incomparabile rispetto a quello degli altri. Tutti concordi sul nesso tra ordine
internazionale ed egemonia. L’ordine internazionale attuale è un frutto dell’egemonia Usa. Non sarebbe
possibile avere ordine senza gli Usa né su scala globale né su scala regionale.
* L’obiettivo fondamentale della politica estera americana è di restare il paese più forte, rimanere al vertice
della piramide, anche nell’interesse di tutti “egemonia benigna” (Clinton) .
* C’è anche consenso su cosa deve fare l’America per restare il più forte: 1) mantenere un’economia
internazionale stabile aperta; 2) prevenire l’emergere di un potenziale sfidante, evitare che il sistema torni
ad essere bipolare- gli Usa sono fiduciosi sul fatto che nessuno sarà in grado di sfidarli entro trent’anni; 3)
prevenire l’emergere di egemonie ostili in aree fondamentali; 4) evitare proliferazione di armi di distruzione
di massa nelle mani di soggetti ostili; 5) contenere gli eccessi di debolezza che potrebbero essere un volano
di instabilità e insicurezza.
* Il raggio d’azione della politica estera degli USA deve essere globale. Forte continuità inoltre sulla
definizione delle minacce.
* Tendenza a semplificare tutte queste minacce in categorie unitarie, vedere tutte queste minacce come se
fossero pezzi della stessa minaccia (esempio ne è l’utilizzo dell’espressione terrore al posto di terrorismo).
Questioni aperte.

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Domande da porsi per la preparazione di una strategia.
Ordine delle priorità tra i diversi obiettivi e le diverse minacce.
In quale causa impiegare le proprie risorse?
In base a queste scelte cambia il peso delle risorse militari.
Di quante risorse militari ho bisogno?
A quale circostanza peggiore dobbiamo essere pronti a rispondere al giorno d’oggi?
Quanto fare da sé e quanto lasciare fare agli altri? (esempio: guerra Jugoslava che gli USA lasciarono gestire
agli europei).
Qual è il vantaggio di fare da sé? Mantenere la propria centralità MA a costi altissimi.
Invece qual è il vantaggio di lasciare fare agli altri? Taglio degli impegni MA a costo di perdere la propria
centralità.
Agire da soli o all’interno di istituzioni multilaterali? Unilateralismo (costi di negoziazione)
/Multilateralismo (legittimante) ?
Utilizzare alleati occasionali o utilizzare i soliti vecchi alleati.? Vantaggi: guadagno in termini di legittimità.

Rapporti coi potenziali competitori -> a) coinvolgere il potenziale nemico (accordi/istituzioni) ; b)


prevenirne l’ascesa (eliminazione roll back con offensiva militare veloce ma costosa OPPURE strategia di
contenimento dissuasione, difensiva tecnica potenzialmente infinita).

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33. AMMINISTRAZIONE BUSH


Dal 2001 svolta nella politica estera Usa, amministrazione Bush; Bush rimprovera a Clinton di aver vissuto
8 anni di “vacanza strategica”. Sopraggiunge inoltre l’attacco dell’11 settembre -> brusca modifica. Già
prima di questo avvenimento le linee fondamentali di cambiamento della politica estera (Quadriennal
Defence Review – National Security Strategy) sottolineavano la libertà d’azione derivante dal sistema
unipolare. La dottrina Bush PRE-11/09 -> le alleanze derivanti dall’assetto bipolare precedente non hanno
più senso; libertà di azione significa poter scegliere di volta in volta gli alleati; revisione dei rapporti con i
potenziali nemici -> no engagement, è senza senso, no partner strategici (Cina) ma banali competitori; gli
Usa sono egemoni per la superiorità militare -> il soft power va bene, ma va usata anche la forza militare;
Clinton era ancora troppo attaccato ad un’immagine bipolare della globalità -> ripensare il peso delle varie
aree regionali.
POST-11/09 -> Bush interpreta l’accaduto in modo forte; atto di guerra, una nuova Pearl Harbor -> idea che
una guerra è cominciata, dichiarazione implicita. revisione radicale del concetto di ordine internazionale la
cui difesa non coincide con la difesa dello status quo; Bush sostiene che a volte per avere ordine bisogna
sconvolgere lo status quo. La visione dell’ordine internazionale passa da difensiva a offensiva. visione
estensiva dell’ordine internazionale; la mancanza di democrazia è un male ovunque e per cambiare lo status
quo devo esportare la democrazia. visione eversiva dell’ordine internazionale, gli Usa stanno sopra il diritto.
Tutto ciò porta alla guerra preventiva -> presentata come la soluzione al fallimento della deterrenza; mezzo
per promuovere i mutamenti richiesti dallo status quo; mezzo più efficace ed economico della politica di
contenimento; la presenza Usa all’estero aumenta. L’amministrazione finisce impantanata. Il fallimento in
Iraq è anche un fallimento della dottrina Bush -> messa alla prova la visione offensiva, quella estensiva,
quella eversiva e messa alla prova anche l’efficienza militare -> tutte queste cose non hanno funzionato! No
democrazia, non ha attecchito la visione di un terrore omogeneo da estirpare, i costi sono stati altissimi.
Bush allora si quieta, ma si assiste a un peggioramento dei rapporti con la Russia. Ne escono rafforzati Iran
(liberatosi del vicino) e Afghanistan (trascurato per 5 anni).

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34. AMMINISTRAZIONE OBAMA


Possiamo solo delineare le tendenze -> Promessa di ridurre impegni internazionali; Ricalibrare le priorità e
delle minacce; Nozione più cauta e modesta dell’ordine internazionale; Spostare accento da unilateralismo a
multilateralismo -> cogestione e redistribuzione dei costi dell’egemonia con gli alleati; Rassicurare i
competitori da un punto di vista strategico, più vicino alla politica di engagement; Slitta di nuovo verso soft
power piuttosto che hard power.
Ragioni del change!
1) sensibilità opinione pubblica attualmente molto più rivolta a questioni interne;
2) ricerca di soluzioni bi-partisan che coinvolgano anche i repubblicani;
3) amministrazione poco omogenea
4) problema di consenso; diffidenza tra vertici militari e civili.
5) Situazione Iraq e Afghanistan sempre peggio sia dal punto di vista diplomatico che politico; le promesse
di Obama (occuparsi di ricostruzione) non sono state mantenute nei tempi previsti. Gli americani chiedono
che la guerra finisca, si guarda all’Afghanistan come fosse un nuovo Vietnam. Gli alleati regionali dal canto
loro chiedono di non essere abbandonati. Gli alleati europei vorrebbero uscirne cooperando coi gruppi
talebani, ma questa sarebbe una rinuncia alle istanze sui diritti umani.

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35. NATO-ALLEANZA ATLANTICA


Permanenza nel tempo dei rapporti tra alleati. Le alleanze sono sempre contro qualcuno anche quando
fingono di non esserlo.
* Scopo primario è la difesa collettiva dei paesi membri.
* Obiettivo di evitare la nazionalizzazione della sicurezza in Europa e quindi dievitare le competizioni
reciproche;
* Obiettivo di evitare che il teatro americano e quello europeo possano tornare ad essere separati. Spettro
dell’allontanamento evidenziato dall’acceleramento nella progettazione degli scudi antimissile negli USA.
Cosa è questa stranissima alleanza? Alleanza che somma diverse anomalie.
* Durata -> dura ormai da 60anni.
* Grado di dispersione geografica dei paesi membri.
* Nella sua ossatura è strana: nasce come alleanza permanente (non ad-hoc come tutte le altre alleanze
storiche) con obiettivi molto generici; vera e propria macchina organizzativa con continue esercitazioni
comuni, infrastrutture comuni, calibri delle armi comuni; alleanza atlantica come alleanza ineguale,
apertamente gerarchica, con un paese in termini militari nettamente più forte degli altri e che quindi ha
maggiori poteri. Il paese forte proteggei paesi più deboli i quali garantiscono un certo grado di obbedienza;
* Raggio d’azione limitato.
Queste anomalie erano perfettamente compatibili con il sistema bipolare. La sopravvivenza dell’Alleanza
atlantica è molto più problematica oggi -> In seguito alla caduta di Berlino si era diffusa l’idea che
l’alleanza non sarebbe sopravvissuta. La fine del sistema bipolare segna prima di tutto la sparizione del
proprio nemico. Si intuisce inoltre in quel momento che l’Europa avrebbe perso la propria centralità.
L’11settembre ebbe un pesante contraccolpo sull’alleanza atlantica. Bush considera l’alleanza come un
paniere organizzativo da cui pescare in base alle necessità. Guerra del golfo del 2003, guerra unilaterale e
preventiva, guerra a cui la Nato non partecipa anche se la maggior parte dei paesi europei manda le proprie
truppe in Iraq. Questo rappresenta il punto più basso della storia Nato (marzo 2003) . Agosto 2003 la Nato
prende il comando delle operazioni in Afghanistan -> occasione fondamentale x il rilancio della Nato.
-> Per quali ragioni si ha una rinascita in pochi mesi da quel punto basso della storia?
1) Non ci sono alternative; è lo strumento indispensabile per la suddivisione dei costi militari.
2) Ripensamento quindi americano riguardo l’aumento dei costi.
3) Grande crisi Nato del 2003 mette in luce una volta per tutte le divisioni infraeuropee. L’Afghanistan
diventa per la Nato e per Obama un campo in cui giocarsi la reputazione.
La Nato oggi è già un’alleanza unipolare, un pezzo dell’egemonia degli USA.
La Nato oggi sta pensando di stringere legami con paesi come Giappone e Australia, allontanandola
ulteriormente da quella centralità europea che ne aveva caratterizzato l’epoca bipolare. La missione Afghana
ha un altissimo contenuto multilaterale. Elemento di fragilità della missione Afghana: gli alleati stanno
perseguendo tutti ragioni diverse, tutti sono in Afghanistan per fare agli Usa richieste che nulla hanno a che
fare con la questione Afghana.

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36. POLITICA ESTERA ITALIANA


Premessa: l’Italia è alle prese con un problema comune agli altri attori, ovvero capire quale può essere
l’interesse nazionale dei prossimi vent’anni.
Costanti storiche fondamentali: l’Italia ha una collocazione strana essendo una penisola ed è contrassegnata
da una forte ambiguità geopolitica essendo una potenza europea e una potenza mediterranea.
Questo pone questioni di priorità e di coerenza. Alcuni governi hanno cercato di favorire il ruolo europeo
per abbandonare quello mediterraneo e altri il contrario.
Per fare politica estera bisogna conoscere il proprio peso internazionale e l’Italia ha sempre oscillato tra la
suggestione di essere l’ultima delle grandi potenze e la prima tra le piccole. Spesso viene utilizzata la
definizione media-potenza ma questo è un modo per non definirsi. -> L’Italia ha vissuto con l’ossessione
del declassamento.
Prima risposta a questa incertezza è sempre stata la ricerca di esserci sempre a tutti i costi in tutti i contesti
multilaterali. Consapevolezza di non essere autosufficienti in tema di sicurezza.
Dispersione degli obiettivi, troppi obiettivi incoerenti con il peso di cui disponiamo.
La politica estera italiana da sempre vive una dipendenza assoluta dalla politica interna.
La politica estera italiana è anche figlia dello shock della sconfitta nella II guerra mondiale. La politica
estera finisce per essere vista come forma per la catastrofe. Non riesce più a nominare le parole “interesse
nazionale” fino agli inizi degli anni ’90.
Secondo elemento di discontinuità introdotto dalla II guerra mondiale: il rifiuto della guerra, la diffidenza
nei confronti dello strumento militare che diventa praticamente innominabile.
Abbiamo ancora negli anni ’80 un partito comunista con il 30%(caso unico in Europa) .
L’Italia si butta in tutte le istituzioni esistenti. -> Nelle istituzioni l’Italia vede la soluzione a 2 problemi a
cui non è in grado di trovare soluzione:
* il problema dell’interesse nazionale
* il problema dell’identità.
L’Italia europea, Italia atlantica ma che nel mediterraneo vuole fare di conto proprio confermando la propria
ambiguità. Margine di manovra che è ancora oggi la conferma dell’ambiguità ma a cui replica dicendo che
grazie a questo operato possiamo fare da tramite con paesi come la Libia ecc..
Vero problema della politica estera italiana: negli ultimi 20 anni e soprattutto 10, grande trasformazione del
tessuto delle istituzioni internazionali.
Negli ultimi 20anni di fronte all’impossibilità di usare le isitituzioni multilaterali esistenti, si cercava di
crearne di nuove da cui l’Italia veniva sempre esclusa. Questo rappresentò un grande shock, primi esempi di
grande marginalizzazione.
Da 20 anni a questa parte l’Italia riesce a non interiorizzare più i conflitti internazionali.

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Indice
1. Introduzione alle relazioni internazionali 1
2. Criteri distintivi tra sistema politico interno e sistema politico internazionale 2
3. Globalità 4
4. LE RELAZIONI INTERNAZIONALI COME DISCIPLINA 5
5. IDEALISMO 6
6. REALISMO 7
7. TEORIE NEO-MARXISTE / RADICALI 8
8. ISTITUZIONALISMO LIBERALE 9
9. DIFFERENZE (NEO) REALISMO-VS-ISTITUZIONALISMO LIBERALE 10
10. COSTRUTTIVISMO 11
11. PRIMO CRITERIO: IL POTERE 12
12. CRITERI PER DISTINGUERE I SISTEMI INTERNAZIONALI (multipolarismo, 15
13. FLESSIBILITA’ ALLEANZE 17
14. OMOGENEITA’ DEGLI INTERESSI 18
15. STRUTTURA ORGANIZZATIVA delle alleanze 19
16. SECONDO CRITERIO: DIMENSIONE TEMPORALE 21
17. TERZO CRITERIO: DIMENSIONE SPAZIALE (geopolitica) 23
18. DETERMINANTI SPAZIALI DEI CONTESTI INTERNAZIONALI 25
19. QUARTO CRITERIO: dimensione culturale-ideologica 27
20. SISTEMI INTERNAZIONALI IN BASE AL CRITERIO CULTURALE 28
21. QUINTO CRITERIO: DIMENSIONE ISTITUZIONALE 30
22. Le istituzioni della società internazionale 32
23. Il ‘900 è un secolo di proliferazione istituzionale 34
24. Differenze tra vecchie e nuove istituzioni 35
25. Come può essere impiegata la dimensione istituzionale? 36
26. Politica estera 37
27. La politica estera delle democrazie 39
28. Contesto attuale 40
29. Dimensione del potere nel contesto internazionale 41
30. Dimensione Geopolitica-Spaziale nel contesto internazionale 42
31. Il sistema attuale è omogeneo o eterogeneo? 44
32. Elementi di continuità e discontinuità nella politica estera Usa 45
33. AMMINISTRAZIONE BUSH 47
34. AMMINISTRAZIONE OBAMA 48
35. NATO-ALLEANZA ATLANTICA 49
36. POLITICA ESTERA ITALIANA 50

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