Terapia farmacologica
Attività fisica e dieta sono molto efficaci nelle fasi iniziali del diabete e soprattutto del pre diabete,
in quanto interrompono il circuito di resistenza periferica all’insulina e la tendenza
all’insulinopenia. Nel soggetto diabetico questi presidi possono essere d’aiuto, ma a causa
dell’insulinopenia che si instaura questo approccio da solo è destinato al fallimento. Nel trattamento
del diabete si utilizzano diverse classi di farmaci.
Metformina
Aumenta la sensibilità all’insulina a livello:
~epatico, determinando una riduzione della gluconeogenesi e della glicogenolisi;
~periferico, primariamente muscolare, dove:
1. aumenta la sensibilità all’insulina tramite la stimolazione dell’attività tirosin-kinasica
recettoriale;
2. determina un aumento nell’uptake di glucosio tramite una maggiore espressione e attività
dei GLUT-4;
3. aumenta la sintesi del glicogeno.
In sintesi, la metformina aumenta la captazione di glucosio a livello muscolare, blocca la vie di
nuova biosintesi epatica. Questo si traduce in un aumento nell’ossidazione degli acidi grassi e una
riduzione della lipogenesi e della lipolisi (perché la metformina determina un aumento nell’uso del
glucosio e quindi una minore necessità di substrati lipidici). Nel complesso, il paziente presenterà
una riduzione del grasso ectopico e calo ponderale, quindi rappresenta la prima scelta terapeutica
nel paziente affetto da DM2 con eccesso ponderale.
La metformina ha una buona efficacia terapeutica (<HbA1c 1.5-2%) e scarsi effetti collaterali;
questi possono essere di tipo gastrointestinale (10%, in genere transitori) o raramente acidosi lattica
(<eliminazione farmaco, >produzione del lattato). Non dà ipoglicemie e il costo è basso. Sono
controindicazioni l’IRC (con VFG<30ml/min), insufficienza epatica, cardiaca, respiratoria, allergia
ai mezzi di contrasto iodati.
Pioglitazione
Aumenta la sensibilità all’insulina a livello epatico, muscolare e adiposo. Si lega al recettore
nucleare PPARγ nelle cellule dei tessuti bersaglio e conseguentemente forma un etero dimero con il
recettore dell’acido retinoico (RXR). Il complesso Pioglitazone- PPARγ-RXR si lega a specifiche
sequenze del DNA regolando la trascrizione dei geni che codificano per proteine implicate nel
metabolismo glucidico (aumento nell’espressione dei trasportatori per il glucosio) e lipidico,
nell’adipogenesi e nell’infiammazione.
Presenta una buona efficacia terapeutica (<HbA1c 0.8-1.5%), si può utilizzare in pazienti anziani
(non dà ipoglicemie) e con IR. Può dare come effetto collaterale un aumento ponderale per
ridistribuzione del grasso corporeo. Controindicazioni: insufficienza cardiaca, epatica, carcinoma
della vescica.
Sulfaniluree
Aumentano la secrezione endogena di insulina in maniera indipendente dai livelli glicemici (in
presenza di una funzione beta cellulare residua, quindi non ha effetto nel soggetto insulinopenico).
Si legano a recettori specifici sulla membrana cellulare inibendo i canali del potassio ATP
dipendenti; ciò determina la depolarizzazione della membrana, l’apertura dei canali del calcio
voltaggio dipendenti e conseguentemente la secrezione di insulina.
Hanno una buona efficacia terapeutica (<HbA1c 1-2%, < glicemia a digiuno 60-70mg/dl o 3.3-3.9
mmol/L). Sono presenti diversi preparati con azione variabile, il costo è in genere basso. Sono
possibili effetti collaterali l’aumento ponderale (secondario all’aumentata secrezione insulinica,
ormone anabolizzante) e l’ipoglicemia per eccesso di secrezione insulinica. Questa dipende in gran
parte dalla durata d’azione (glibenclamide>glimepiride>gliclazide), maggiore nei farmaci di nuova
generazione.
Controindicazioni: Gravidanza, DM1 o secondario a pancreatopatia, insufficienza renale e epatica.
Questi farmaci non permettono tuttavia un controllo duraturo della glicemia, e infatti sono destinati
al fallimento farmacologico secondario entro quattro/cinque anni. La percentuale di mortalità
cumulativa nel corso degli anni aumenta nei pazienti trattati con sulfaniluree rispetto a coloro che
fanno uso di metformina (mortalità intermedia nei pazienti che fanno uso di entrambi).
Probabilmente questo è da ricondurre non tanto agli effetti avversi del farmaco quanto più al suo
fallimento nel controllo della glicemia.
I recettori per le sulfaniluree sono ampiamente rappresentati a livello delle beta cellule (SUR1), ma
anche nel muscolo liscio dei vasi e nel tessuto miocardico (SUR2A e SUR2B), sui quali potrebbero
essere presenti degli effetti collaterali.
Glinidi
Si tratta di secretagoghi ad azione rapida e di breve durata che mimano la prima fase della
secrezione insulinica inibendo i canali del potassio ATP dipendenti. Il controllo metabolico è
discreto (<HbA1c 1%) soprattutto nel controllo dell’iperglicemia post prandiale. La farmacocinetica
e la risposta individuale sono molto variabili. Hanno come effetto collaterale il rischio di
ipoglicemia e l’aumento di peso; sono destinati ad una progressiva perdita di efficacia.
Il più utilizzato è il Repaglinide (0.5-2 mg/cp, 3 volte/die con una durata d’azione di 2-4h, quindi
minore rispetto alle sulfaniluree nel controllo della glicemia basale). Caratteristiche:
• rispetto alle sulfaniluree hanno un maggiore effetto sulla glicemia post-prandiale e un
minore rischio di ipoglicemia. Tuttavia hanno una minore efficacia nella riduzione della
HbA1c (0.6-1%). Hanno un’influenza sul peso simile;
• escrezione epatica (possibile utilizzo nell’insufficienza renale con VFG<30);
• secretagogo di prima scelta nell’anziano diabetico. Indicazione in monoterapia in pazienti di
nuova diagnosi, normopeso o con persistenti ipoglicemie post-prandiali. Molto efficaci in
combinazione con farmaci attivi sull’insulino-resistenza (metformina e glitazoni);
• controindicazioni: IR grave, insufficienza epatica.
Acarbosio
Inibisce l’enzima intestinale α-glucosidasi, deputato alla degradazioni di oligo- e polisaccaridi in
monosaccaridi. Determina un ritardo nell’assorbimento del glucosio post-prandiale, con un
controllo metabolico medio (<HbA1c 0.5-1%). Non determina ipoglicemie, e infatti può essere
utilizzato nell’anziano. Dà effetti collaterali transitori a carico del sistema gastrointestinale (tensione
addominale, meteorismo) dovuti al richiamo d’acqua da parte del glucosio all’interno del lume
intestinale. Controindicato in presenza di insufficienza epatica.
6. Insulina, riservata ai pazienti in cui tutti gli altri trattamenti vanno incontro a fallimento. Per
quanto riguarda la storia naturale della patologia, nelle prima fasi si tende ad agire sullo stile di vita
(alimentazione, peso, attività fisica); si può quindi inserire un trattamento ipoglicemizzante orale
(diverso a seconda di peso, comorbilità, ecc; di solito metformina o glitazone), dapprima in
monoterapia a dosi crescenti e poi in combinazione con altri farmaci (repaglinide, sulfaniluree). I
risultati, buoni in fase iniziale, sono destinati al fallimento secondario, per cui si passa alla
somministrazione di insulina, prima basale e poi multiple somministrazioni giornaliere. In
particolare, con HbA1c >10% si valuta il BMI:
• per valori di BMI<25, Insulina (rapida o lenta sulla base del profilo glicemico)
• per BMI>25, Metformina + Insulina
MODY
Forma di diabete legata a difetti genetici della funzione beta cellulare. Si tratta di una rara forma di
diabete monogenico, a trasmissione familiare, caratterizzato da uno scarso effetto dei fattori
ambientali e legato alla mutazione di un singolo gene. Ciò permette il ricorso ad una potenziale
specifica terapia.
I geni responsabili sono stati in gran parte identificati:
• HNF4-alpha (MODY 1)
• Glucochinasi (MODY 2), il più frequente in Italia, localizzato a livello citoplasmatico
• HNF1-alpha (MODY 3), più frequente in UK, che interferisce a livello nucleare con la sintesi
dell’insulina; in genere è più grave rispetto al MODY 2
• IPF1 (MODY 4)
• HNF1-beta (MODY 5)
• NeuroD1/2 (MODY 6)
• Mutazione 3243 DNA mitocondriale
• altri
L’acronimo MODY sta per Maturity Onset Diabetes of the Young: si tratta di una forma di diabete
con età di insorgenza inferiore ai 25 anni, trasmesso per via autosomica dominante a penetranza
incompleta, con almeno tre generazioni affette. Alla base della patogenesi è presente un difetto nella
secrezione insulinica; negatività per gli Ab anti insulina.
MODY 2. Forma di diabete dovuto a mutazione del gene CPK nel locus 7p, codificante la
glucochinasi. Si tratta di un’enzima sensore del glucosio nelle beta cellule e nel fegato: regola la
secrezione insulinica e il metabolismo del glucosio. Mutazioni del gene specifico determinano una
riduzione del 60% della secrezione insulinica in risposta al glucosio, con perdita della prima fase di
secrezione insulinica. Causano a livello epatico ridotta glicogenosintesi e aumentata
gluconeogenesiIn genere restano asintomatici per lunghi periodi, anche se lievi alterazioni
glicemiche sono evidenziabili già in età pediatrica (Glicemia basale 110-130 mg/dl; IGT; HbA1c <
6.5-7%). Spesso viene diagnosticato in gravidanza; per quanto riguarda il peso alla nascita:
• > Peso alla nascita se non affetto, ma madre con genotipo MODY (esposizione a iperglicemia
materna
• < peso see affetto
iperinsulinemia)
per mutazione paterna, ma madre normoglicemica
La gravità della patologia è lieve e le complicanze rare, per cui la terapia è raramente necessaria.
MODY 3. Dovuto a mutazione di HFN1-alpha (12q), fattore di trascrizione che regola l’espressione
di diversi geni in molti tessuti: fegato, pancreas, rene. Si lega all’A3/A4 box del promotore del gene
dell’insulina, regolando la trascrizione del gene o di geni correlati alla secrezione insulinica (come
GLUT2, GCK). I soggetti con MODY3 non sono in grado di aumentare la secrezione insulinica in
risposta all’aumento di glucosio; spesso è presente anche un’alterazione della soglia renale di
glucosio.
La comparsa del diabete è in genere intorno ai 20 anni ed è caratterizzata da un progressivo
peggioramento della tolleranza al glucosio. Alla diagnosi il paziente presenta poliuria, polidipsia,
dimagimento, e infatti la diagnosi differenziale avviene principalmente col DM1: ma il paziente
presenterà Ab negativi e storia familiare positiva. La gravità è maggiore rispetto al MODY2, e le
complicanze frequenti.
Terapia:
• 1/3 dieta,
• 1/3 ipoglicemizzanti orali (sulfaniluree-glinidi, GLP1-AR)
• 1/3 insulina (fabbisogno basso ~ 0.5 U/kg)
Dal punto di vista epidemiologico, prima dei 45 anni sono rappresentati tutti i tipi di diabete (DM1,
MODY, EOD, DD e MID), mentre dopo i 45 anni la netta prevalenza è a carico del diabete di tipo
2.
Diabete gestazionale
Il diabete gestazionale (Gestational diabetes mellitus, GDM) viene definito come “una intolleranza
ai carboidrati di variabile entità, insorta o diagnosticata per la prima volta in gravidanza”.
La definizione si applica indipendentemente dal tipo di diabete e trattamento (insulina o
modificazione del regime alimentare), e dalla possibilità che persista o meno dopo la gravidanza.
Questa definizione peraltro include anche forme probabilmente pregestazionali ma diagnosticate in
gravidanza
Si stima che circa il 6-7% delle gravidanze di donne europee sia complicato dal diabete mellito:
- 99 % dei casi da diabete gestazionale
- 1% dei casi da diabete pregestazionale (tipo 1 o tipo 2)
In Italia circa 40.000 gravidanze all’anno sono complicate da GDM e circa 1300 da diabete pre-
gestazionale.
Si è assistito ad un progressivo aumento sia del GDM che del DM2, ed è tuttora elevata l’incidenza
di outcomes avversi; dal 2010 si opera una differenziazione tra GDM e DM manifesto.
Clinica. Il diabete gestazionale, spesso paucisintomatico, è gravato da una elevata incidenza di
morbilità materna e fetale (soprattutto se diagnosticato tardivamente, anche se grazie alla curva da
carico orale oggi viene diagnosticato più precocemente).
• L’iperglicemia può essere associata ad un aumento del rischio di morte fetale intrauterina durante
le ultime 4-8 settimane di gestazione. Le complicanze fetali e neonatali più frequenti sono:
macrosomia fetale (esposizione a iperglicemia materna) e ipoglicemia neonatale ( da
iperinsulinemia).
• Le complicanze materne più frequenti invece sono: pre-eclampsia, parto pretermine, alterazioni
permanenti del metabolismo glucidico.
2. Fase anabolica Fetale (seconda metà della gravidanza); si instaura insulino-resistenza a livello
del tessuto muscolare e adiposo accentuata dagli ormoni placentari controinsulari (fase catabolica
materna):
• Il flusso nutrizionale si sposta da madre a feto con incremento di peso e sviluppo degli organi
• Catabolismo delle riserve energetiche materne
La gravidanza sarebbe in questo modo comparabile ad una sorta di test pancreatico da stress, che ci
permette di andare ad individuare quelle donne che presentano una ridotta riserva beta cellulare e
conseguentemente a rischio di diabete. Sono primi segni: la presenza di iperglicemie postprandiali e
una riduzione nell’utilizzo di glucosio.
MEDIO RISCHIO
• età 25-35 aa (la maggioranza delle gravide)
• caratteristiche intermedie tra il basso e l’alto rischio
Il test di tolleranza glucidica è indicato tra la 24a e la 28a settimana.
Alla prima visita in gravidanza deve essere valutata la presenza di un diabete manifesto mediante
determinazione della glicemia a digiuno (2 riscontri di glicemia pari o superiori a 126mg/dl o
7,0mmol/L) o di glicemia random superiore ai 200mg/dl da riconfermare con FPG di 126mg/dl. In
questo caso non è necessario effettuare l’OGTT.
Le gestanti con diagnosi di diabete manifesto devono essere prontamente avviate ad un
monitoraggio metabolico intensivo, così come raccomandato per il diabete pregestazionale (in
genere si tratta con approccio dietetico, attività fisica e, in caso di insuccesso, si passa direttamente
alla terapia insulinica).
Per lo screening e la diagnosi di GDM invece si raccomanda di utilizzare una OGTT con procedura
in fase unica, perché quella in due fasi (“minicarico glucidico” + OGTT nei casi con minicarico
positivo) è da considerarsi superata e non raccomandata.
L’OGTT dovrà essere eseguita con 75 grammi di glucosio e prelievi venosi ai tempi 0’, 60’ e 120’
per la determinazione della glicemia su plasma. Si pone diagnosi di GDM quando uno o più valori
risultano uguali o superiori a quelli soglia. Si esclude se tutti i valori sono inferiori a quelli soglia.
Il tempo di esecuzione del test dipende dal livello del rischio
Nella procedura in due tempi, come primo test tutte le donne vengono sottoposte ad un minicarico
con 50 g di glucosio (OGCT, Oral Glucose Challenge Test) valutando la glicemia dopo un’ora; il
test è positivo se la glicemia è ≥ 140 mg/dl.
In tal caso, la gestante deve essere sottoposta per una diagnosi definitiva a un test con un carico di
75g di glucosio, valutato nell’arco di 3 ore ed eseguito a digiuno (OGTT, Oral Glucose Tolerance
Test). La diagnosi di diabete gestazionale richiede almeno due valori glicemici alterati.
I valori di cut off nella curva da carico di glucosio sono generalmente indicati come normali al di
sotto di 140 mg/dl, ridotta tolleranza ai carboidrati per valori da 140 mg/dl a 199mg/dl, diabete per
valori a partire da 200mg/dl.
In questo caso si cerca di ottenere valori più bassi perchè la gravidanza va protetta: viene quindi
considerato patologico se il valore supera i 180mg/dl a 1h, i 153mg/dl alla seconda ora, i 145mg/dl
alla terza.
Questa procedura potrebbe però sottostimare la relazione tra alterazioni glicemiche in gravidanza e
outcomes gravidici avversi, come il parto con taglio cesareo o pretermine, la macrosomia neonatale,
l’iperinsulinemia e ipoglicemia neonatale.
Il diabete conclamato aumenta il rischio di outcome gravidico avverso ma spesso non è
diagnosticato se non al momento dello screening, per questo è necessario stabilire:
4. quali livelli di glicemia in gravidanza, al di fuori del diabete conclamato, sono associati con
i rischi di outcome avversi;
5. è importante chiarire la quantità di glucosio per il test.
Lo studio HAPO (Hyperglycemia and Adverse Pregnancy Outcome), condotto su circa 25.000
donne in 15 centri di varie nazioni del mondo (pubblicato nel 2008), ha messo in evidenza:
6. una relazione lineare tra i livelli di glicemia a digiuno e dopo 1 e 2 ore dal carico orale con
75 grammi di glucosio e l’aumento della frequenza degli outcomes primari e secondari
avversi (taglio cesareo, macrosomia, iperinsulinemia e ipoglicemia neonatali);
7. la procedura del test da carico glucidico a due fasi può essere sostituita da un unico test
con 75 grammi di glucosio.
In sintesi:
(per il dott. Boi, per FPG compresa tra 92 e 126 si parla di pre-diabete gestazionale)
In donne con diabete gestazionale o pre-gestazionale (tipo 1 o tipo 2), i target glicemici sotto terapia
sono:
– 95 mg/dl a digiuno;
– 140 mg/dl un’ora dopo i pasti;
– 120 mg/dl due ore dopo i pasti.
Se gli obiettivi glicemici non vengono raggiunti dopo 2 settimane di dieta seguita correttamente,
deve essere iniziata la terapia insulinica. In questa decisione possono essere considerati anche i
parametri ecografici di crescita fetale, considerati indici indiretti di insulinizzazione fetale.
Ipoglicemia
Si intende l’abbassamento sintomatico del glucosio, misurato attraverso prelievo venoso, al di sotto
di 40-50mg/dl. Si tratta della complicanza più comune del diabete, e nel 10% dei casi si possono
avere delle complicanze severe che richiedono assistenza.
Le cause possono essere: un eccesso di farmaci anti iperglicemizzanti (insulina), un ridotto introito
alimentare, pasti ritardati, uso di alcool, eccessiva attività fisica (che migliora l’utilizzo del
glucosio, per questo è raccomandato avere sempre con sé una fonte di zuccheri semplici). Il rischio
è tanto maggiore quanto più intensivo è il trattamento della patologia.
I sintomi sono legati a due sistemi:
• all’iperattività del sistema adrenergico, quindi degli ormoni contro regolatori (adrenalina,
catecolammine) che cercano di aumentare la secrezione epatica di glucosio: tachicardia,
palpitazioni, sudorazione, tremori, induzione del senso di fame;
• sintomi legati alla sofferenza del SNC: vertigini, confusione, sonnolenza, convulsioni, coma.
Ipoglicemie anche lievi possono causare disfunzione cognitiva anche protratta per decine di minuti:
non è indispensabile che si arrivi al coma, la riduzione della lucidità e dei riflessi sono sufficienti
per innescare potenziali complicanze.
Complicanze. Possono essere di vario tipo: cerebrali (ictus, demenza), cardiache (infarto, aritmie,
emorragie, mediate dall’attività inotropa positiva delle catecolammine), ipotermia, traumi.
L’ipoglicemia può quindi essere causa di mortalità e di peggioramento della qualità della vita. La
paura nei confronti di tali effetti è spesso causa di una riduzione della compliance del paziente al
trattamento e conseguentemente dell’efficacia metabolica.
Prevenzione. Si effettua con una corretta gestione della propria terapia ed alimentazione,
sincronizzando terapia e stile di vita, facendo dei pasti adeguati al regime terapeutico (in genere
viene dato un regime dietetico); se si fa esercizio fisico extra bisogna supplementare
l’alimentazione (es. 15g di carboidrati), con eventuale riduzione del dosaggio terapeutico del 20-
30% in caso di attività intensa (corsa, piscina); monitoraggio della glicemia.
Trattamento. Al paziente viene insegnato come riconoscere i sintomi che precedono la crisi di
ipoglicemia (tachiardia, freddo, astenia) in modo da introdurre 10-15g di zucchero semplice (no
grassi, proteine o carboidrati complessi). La glicemia dev’essere riportata intorno ai 100mg/dl.
In caso di inefficacia, altri presidi sono: iniezione di glucagone intramuscolo in 2 somministrazioni
oppure glucosio endovena fino a ripresa della coscienza (soluzione al 33%).