Sei sulla pagina 1di 29

ARCHEOLOGIA GRECA

PARTE I DALLE ORIGINI ALLE GUERRE PERSIANE


CAPITOLO 1 INTRODUZIONE
1.1 FONTI LETTERARRIE E TESTIMONIANZE MATERIALI

Prima dello sviluppo della ricerca archeologica, la ricostruzione della Grecia classica avveniva attraverso le fonti
letterarie, ma allo stesso tempo queste non interpretavano correttamente la realtà storica. Il primo a destare i dubbi
sulla ricostruzione storiografica fu Friedrich Nietzsche (1844-1900), il quale dubitava sulla ricostruzione “idealistica”
affermando che essa non restituiva il dato oggettivo del mondo reale. Soltanto dopo si è raggiunta la consapevolezza
scientifica di restituire una cultura ellenica “corretta” e non abusata e fraintesa.
Qual è lo scopo dell’archeologia in questo caso?
Lo scopo dell’archeologia è tracciare un profilo diverso dai testi antichi grazie allo studio di documenti diretti e di capire
la formazione, le strutture, i fenomeni sociali, le motivazioni culturali, le dinamiche del mondo antico.
Ma ulteriori elementi possono essere d’aiuto per la ricerca archeologica:
-studio della lingua e della letteratura che hanno permesso di approfondire forme e contenuti della comunicazione
scritta
-tradizione antiquaria che ha permesso di esplorare testi per ricavare informazioni per la ricostruzione
dell’ambientazione e i costumi
-studio della critica storica che ha analizzato gli eventi, le motivazioni e contesti culturali, sociali ed economici delle
comunità greche
-la ricerca storico-religiosa-antropologica che ha indagato il patrimonio mitico e rituale confrontandolo con analoghe
forme di rappresentazione e di comportamento di altre società

Il punto di partenza dell’archeologia è con:


• Joachim Winckelmann (1717-1768) che lascia un gran numero di documenti sulla produzione scultorea antica
• Eduard Gerhard (1795-1867) che avvia gli studi per la comprensione del mondo greco attraverso lo studio delle
ceramiche rinvenute in Etruria
Invece la ricerca, sui siti archeologici e le testimonianze architettoniche, inizia nei primi anni dell’800 quando la Società
inglese “Dei dilettanti” (fondata nel 1732) organizza una spedizione in Grecia; effettuano scavi, rilevano le strutture e
comprano sculture e materiali. I risultati di questo lungo lavoro hanno i suoi frutti nei volumi pubblicati in quegli anni,
nei quali vengono disegnati dal vero e nel dettaglio architetture e decorazioni.
L’anno di svolta è il 1831 quando la Grecia si libera dell’impero ottomano. La liberazione da quest’ultimo segna l’inizio
di una nuova fase di scoperte archeologiche:
-ATENE -> Ludwig Ross (1806-1859) tra il 1824-34 avvia un’attività di demolizione, scavo e restauro dell’acropoli della
città, restituendo i monumenti principali della città nella sua interezza
-1837 -> Kyriakos Pittakis (1798-1863) fonda la “Società archeologica greca” che promuove ricerche, scavi e restauri,
attività di recupero
-1860 -> Francois Lenormant (1837-1883) ricerca nel santuario di Demetra a Eleusi
Anno in cui si ha una crescente e intensa attività esplorativa:
- Heinrich Schliemann (1822-1890) -> Troia 1871 e Micene 1879
- Ernst Curtius (1814-1896) -> Olimpia 1875
- Federico Halbherr (1857-1930) -> Creta, Festo, Gortina, Hagia Tradia 1884
- Arthur Evans (1851-1941) -> Cnosso 1899
- Paolo Orsi (1859-1935) -> Fondatore dell’archeologia dell’Italia meridionale
1.2 PRIMA DELLA STORIA
Il crollo del sistema miceneo
Dopo la crisi della cultura protostorica micenea, si sviluppa la Grecia del I millennio a.C. nel Peloponneso tra il
1400 e 1100. Il suo centro è l’Argolide, nella quale troviamo vari insediamenti autonomi (insediamento più
importante è Micene). Questi insediamenti hanno una struttura sociale di tipo “piramidale”, al vertice della
quale c’era il Wanax, il dinasta, che aveva la responsabilità della gestione del territorio. Il dinasta risiedeva
all’interno del suo palazzo “Il palazzo del dinasta”, posto su una rocca fortificata, il quale è il centro produttivo
dei beni per l’intera regione di appartenenza.
Il sistema palaziale entra in crisi tra il XIII e XII secolo, scompare insieme alle sue funzioni organizzative e
produttive e la scrittura “Lineare B”, utile per la registrazione amministrativa. La crisi del sistema palaziale nasce
a causa di un’economia vulnerabile che si verifica durante l’espansione nel Mediterraneo e nell’Egeo dei centri
autonomi; la crisi si manifesta in momenti e regioni diverse:
- Nel Peloponneso e nelle zone periferiche risulta essere più forte e distinta, ma meno inclusiva
Nonostante una distruzione generalizzata, l’Elladico recente IIIB2, tra il 1250-1200 si riorganizzano le difese di
Micene e Tirinto. Ma alla fine di questo periodo eventi distruttivi incombono i siti più importanti anche se nel
XII secolo mostravano segni di ripresa, ma nonostante ciò il sistema palaziale ha una cesura definitiva nel 1225-
1100 con la distruzione e l’abbandono di Micene e Tirinto; così ha avuto inizio la “Dark Age” (secoli bui).
Il problema delle migrazioni
I Greci ricostruivano la storia più antica attraverso un sistema di fasi successive, ognuna associata a una
generazione o a una popolazione diversa. Questa ricostruzione a metà tra mito e storia si fondava anche sulla
distinzione linguistica, sia rispetto ai nuclei non greci e sia tra Greci di culture diverse.
I dialetti ionici, dorici ed eolici, diffusi in aree abbastanza omogenee, infatti, erano associati a tradizioni ritenute
comuni e distinguevano gruppi convinti di avere la stessa origine mitica.
-IONI: presenza antica, diffusi in un’area ampia, il Peloponneso. Gli ioni furono cacciati dai DORI provenienti
dalla Grecia settentrionale, e si sarebbero spostati da ovest verso le zone più orientali della penisola ellenica
(Eubea, Attica), le isole dell’Egeo e infine la costa anatolica centrale (Mileto, Efeso). Gli Eoli si sarebbero spinti
verso la costa anatolica settentrionale.
I Dori, eroi discendenti di Eracle, volevano appropriarsi delle terre da cui erano stati ingiustamente cacciati; il
loro arrivo ha segnato la fine del sistema di potere miceneo, fornendo una spiegazione ancora più chiara sulla
la crisi che ha comportato la fine del sistema palaziale.
1.3 I GRECI NELL’AMBIENTE E NEL TEMPO
L’ambiente = disomogeneo, impervio
La Grecia mostra una geografia complessa a causa della morfologia del territorio e della sua posizione che occupa
all’interno del bacino mediterraneo.
Possiamo suddividerla in due parti:
-Il NORD comprende l’EPIRO (*1), la MACEDONIA (*1), la TESSAGLIA (*2)
*1 presentano un andamento montuoso con profonde valli e boschi
*2 racchiusa da alti rilievi e comprende la pianura più grande del territorio ellenico
-Il SUD comprende regioni diverse l’ACARNIA, ETOLIA, LOCRIDE OZOLIA, DORIDE, FOCIDE, LOCRIDE OPUNZIA,
BEOZIA E ATTICA, queste sono regioni con ampie pianure
Nella parte meridionale della Grecia abbiamo il Peloponneso che comprende l’ACAIA, l’ARCADIA e l’ARGOLIDE,
le quali sono segnate da rilievi più importanti e strette valli, tra queste ARGO.
L’estremità sud-est è occupata dalla Laconia, area montuosa con ristrette pianure vallive, di cui la principale è
formata dal fiume Eurota.
ISOLE DELLO IONIO seguono l’andamento della costa e hanno caratteristiche geografiche generali: umide e
boscose. Le più importanti: CEFALONIA E CORFU’ presentano diversi rilievi.
ISOLE DEL MAR EGEO, a nord Thasos fronteggia la costa della Tracia, mentre Samotracia, Lemno e Imbro si
dispongono in prossimità dell’accesso al mar di Marmara. Le altre isole sono distribuite tra gli arcipelaghi delle
Sporadi e delle Cicladi.
Si distinguono le importanti isole dell’Egeo settentrionale, vicino alla costa anatolica, Lemno, Lesbo, Chio, Samo
e le isole del Dodecaneso (Egeo sud-orientale) tra cui spiccano Rodi e Kos.
A sud dell’Egeo abbiamo CRETA, la maggiore delle isole greche, che presenta tre massicci monti, LEUKA, IDA,
DIKTE, che rendono difficile la comunicazione interna; la costa sud è raggiungibile da profonde valli create grazie
all’erosione di torrenti stagionali, la pianura più ampia prende il nome di “Messara” (centro-meridionale).
Il popolamento
Nell’VIII secolo i movimenti di colonizzazione portarono alla fondazione di insedimaenti in Occidente, nel mar di
Marmara, sulle coste del mar Nero e in Africa settentrionale. E’ difficile definire l’esatta demografia di quel
periodo a causa
-dell’imperfetta conoscenza del sistema amministrativo antico
-incapacità di valutazione delle classi sociali (esempio uomini, donne, bambini, schiavi, liberti, aristocratici)
-confusione tra cittadini con diritti e popolazione complessiva.
Tra ETA’ ARCAICA e CLASSICA si assiste ad una crescita demografica derivata dal miglioramento di vita, da una
maggiore produzione e da uno sviluppo commerciale e di attività artigianali e minerarie. Questi elementi
portano all’affermazione di un sistema economico articolato in ATTICA, CORINZIA e nelle COSTE dell’ASIA
MINORE, nelle quali però si diversifica.
Tra ETA’ CLASSICA E PROTO-ELLENISTICA si assiste, invece, ad un aumento insediativo che però in altre aree,
come Focide e la Locride Opunzia, si sviluppa in ritardo. In età ellenistica le regioni settentrionali (Etolia, Epiro,
Illiria, Tessaglia e Macedonia) mostrano un’accelerazione verso le forme urbane più complesse, conoscendo una
crescita di impianti urbani soprattutto tra la fine del IV e il III secolo a.C.
L’impresa di Alessando Magno rompe gli equilibri dell’età classica, allargando i confini del mondo greco, che
giugne a estendersi, in forme e tempi di volta in volta diversi, dall’Asia centrale fino all’Indo e parte dell’Africa
settentrionale, dove nascono forme di scambio culturale tra le popolazioni residenti e i gruppi greco-macedoni
che invadono e colonizzano. In questi paesi si esporta il modello della polis, con molte nuove fondazioni di cui
alcune molto importanti, come Alessandria, Antiochia, Pergamo.
CAPITOLO 2 LA FORMAZIONE (PROTOGEOMETRICO E GEOMETRICO secoli X-VIII a.C.)
2.2 IL POPOLAMENTO IN ETA’ PROTOGEOMETRICA
Una società diversa

Con l’inizio dell’Elladico Recente IIIC (1200-1050) si registra un decremento dei siti occupati nel Peloponneso,
nell’Attica e nella Grecia centrale. Decrescono la produzione artigianale: le forme ceramiche, drasticamente
diminuite, sono legate a occasioni particolari, mentre l’uso quotidiano prevede probabilmente contenitori in
materiale deperibile: cesti per i soldi e otri per i liquidi, oggetti tipici di una società di allevatori. La mancanza di
un’amministrazione centralizzata emerge chiaramente dal cambiamento nei modi di produzione e di
organizzazione sociale; le figure tradizionali del potere scompaiono e al loro posto emerge il basileus, termine
che nei tesi in Lineare B indicava un referente della produzione o un artigiano specializzato, mentre nei poemi
omerici indicava un capo o un re.
La diminuzione di reperti mobili e il calo di insediamenti potrebbero essere collegati al passaggio da un’economia
agricola a un’altra basata sull’allevamento e su forme limitate di transumanza e seminomadismo, attività che
lasciano tracce decisamente ridotte. L’instabilità politica e l’esaurimento della capacità di resistenza del sistema
miceneo possono aver indotto a scegliere nuove forme insediative e di produzione, come i “sito-rifugio”, abitati
di cultura e funzioni difensive.
Il mosaico insediativo
La Dark Age non è dappertutto un momento di isolamento e di interruzione delle attività di scambio con le
popolazioni vicine. Alcune regioni come l’Eubea, hanno mantenuto invece contatti con il mondo esterno
raggiugendo forme di sviluppo complesse; una testimonianza è rappresentata dalla residenza aristocratica del
X secolo “Lefkandi” (ricorda il palazzo di Ulisse descritto nell’Odissea). Nell’area dell’Eubea si registrano scambi
commerciali a partire dal IX secolo e tra la seconda metà dell’VIII e il VII, nonostante l’invasione dei Dori che
marcano due periodi diversi si ha una ripresa culturale. Le fonti epigrafiche e letterarie rivelano la presenza di
una fitta rete di comunità frammentate per due motivi: geografici e individualità politica ed espressiva derivata
dall’assenza del potere centrale che ha permesso la proliferazione di comunità che hanno maturato un processo
autonomo di formazione dell’identità. All’interno della comunità troviamo vari gruppi che costituiscono un
elemento importante, poiché sono indice di etnie e lingue diverse. La gente che non apparteneva alla stessa
etnia era impiegata per i lavori manuali e agricoli gli “Iloti”, i loro opposti erano invece i “Perieci”, gruppi sociali
con maggiori diritti.
In questo mosaico di non Greci e di Greci di tradizioni e culture diverse, di nuovi arrivati e di seminomadi, si
avvia la costituzione di comunità politiche più ampie, in cui tendono a confluire singole identità ed esperienze
storiche di comunità che partecipano in maniera diversa alla costruzione di culture regionali condivise e danno
origine alla caratteristica conformazione della Grecia storica.
2.3 LA FORMAZIONE DELLE POLEIS

Nell’VIII secolo il mondo greco assiste ad una rivoluzione insediativa e culturale grazie al proliferare della produzione
e del consumo, lo stabilizzarsi di pratiche religiose e sociali e la comparsa della scrittura (derivato dall’alfabeto
fenicio), l’insieme di questi fattori sono indice di un vero e proprio cambiamento. In questo contesto nasce la POLEIS
“città-stato”, in alcune regioni il suo sviluppo è parziale, in altre invece, a partire dall’VII secolo, è un sistema già
affermato. La Pòlis comprende l’insieme della struttura sociale, associando il significato di comunità, di abitato e
territorio “chòra”, quest’ultimo è parte integrante del popolamento e dell’economia della società. La pòlis è
un’aggregazione sociale che si basa su un legame di partecipazione, almeno tra i membri del gruppo dominante i
“perieci”, e che tende ad articolarsi progressivamente, distinguendo il corpo civico in classi dotate di un ruolo
politico e di una capacità economica e culturale differenti. La pòlis nasce da un processo di formazione molto lungo,
influenzato da vari fattori:

1.La crescita demografica e strutturale in età geometrica


2.L’incremento del ceto sociale emergente, che tende ad esprimere il ruolo e potere attraverso le
manifestazioni sociali.
Una delle prerogative di questo gruppo emergente e dominante è sicuramente la gestione delle attività sacre, mezzo
fondamentale per costruire la solidarietà e l’identità dell’intera comunità, ma non solo: la nascita di uno o due culti
nel territorio favorisce e difende la società dell’abitato. Si parla di divinità “poliadi” che presiedono l’intera comunità
civica nella pòlis, nella quale viene destinato uno spazio specifico “i santuari”. La crescita dei santuari è percepibile
solo dalla fase del tardo geometrico (second metà dell’VIII secolo), anche se in alcuni casi si sono riconosciute
attestazioni più antiche risalenti al IX secolo.
Durante il processo di formazione delle pòleis coesistono forme insediative “minori” (nuclei rurali o villaggi) che sono
state annesse o confluite all’interno del sistema complesso della pòlis. Questo processo poteva avvenire in differenti
modi:
1. Annessione militare = es. Eleusi viene conquistata da Atene agli inizi del VI secolo e viene inserita nel sistema
insediativo “secondario” dell’Attica
2. Sinecismo = aggregazione di comunità gravitanti su uno stesso territorio e dei rispettivi gruppi dirigenti
all’interno di una struttura politica più ampia
3. Attrazione tra sistemi diversi, uno più ampio e articolato, e l’altro di dimensioni minori e con basso tenore di
vita
Diversi abitati di età proto-geometrica e geometrica non hanno avuto uno sviluppo continuo, ma sono scomparsi a
favore di un sistema insediativo centralizzato. Un esempio è LEFKANDI in EUBEA a vantaggio delle POLEIS, dove queste
si sviluppano si nota una continuità insediativa lunga e una concentrazione di diversi nuclei abitativi, in genere
interpretati come villaggi autonomi che condividono un medesimo territorio e che procedono verso un “obbligato”
sinecismo; Argo e Sparta sembrano aver mantenuto a lungo uno stadio di sviluppo di questo tipo, essendo formate da
comunità distinte con necropoli separate.
L’aspetto urbanistico e monumentale della città nasce lentamente, infatti all’inizio non esiste un modello definito ma
attraverso l’esperienza maturata in alcuni centri, come Atene, Ago e Corinto (abbiamo scarsi dati su alcuni centri
maggiori della Grecia continentale, la conseguenza purtroppo è una limitata conoscenza dei modelli insediativi del
periodo, nascono modelli di urbanizzazione definiti con una forma stabile.
I centri di età geometrica noti in maniera adeguata sono: Lefkandi (Eubea), Zagos (Isola d’Andros), Smirne (Asia
minore). Questi insediamenti hanno un’estensione ridotta, con abitati di modeste dimensioni e organizzati in forme
diverse. Abitazioni monocellulari e absidate, sono stati rinvenuti in Asia minore, in Grecia continentale, nelle isole
dell’Egeo e in Macedonia. Si tratta di strutture in mattoni crudi o con pareti di fango su intelaiatura lignea che poggiano
su uno zoccolo in pietra, con tetto stramineo.
LEFKANDI: formata da gruppi di casa abbastanza uniformi e isolate tra loro.
ZAGORA’: in età geometrica avanzata, è un abitato più denso, situato su un promontorio sul mare, racchiuso tra due
insenature; protetto da un muro di difesa sull’istmo che lo collega alla terraferma, si articola in agglomerati di case
addossate le une alle altre, le quali, inizialmente monocellulari, verso la fine dell’VIII secolo mostrano più vani, a volte
arredati con banchine lungo le pareti interne e articolati attorno a un cortile.
SMIRNE: l’abitato mostra uno stato insediativo avanzato con abitazioni disposte su file regolari, separate da strade e
racchiuse per un’area quasi 3.5 ettari da una cinta muraria, come nel caso di Zagorà. La precoce realizzazione di
fortificazioni, a Smirne e in altri centri insulari e asiatici, sembra tuttavia rispondere a specifiche esigenze di difesa
piuttosto che riallacciarsi all’avvio del processo di trasformazione verso forme di città-stato evolute.
2.4 L’EMERGENZA DEL SACRO
Le pratiche rituali
Nelle comunità greche emerge e assume un ruolo importante il sacro. Infatti attraverso le pratiche del culto
vengono governati alcuni degli aspetti principali della pòlis, come la trasmissione della conoscenza collettiva, la
gestione e il mantenimento delle strutture organizzative, la socializzazione e l’integrazione degli individui nella
comunità. Le pratiche rituali o di culto è l’insieme di quei atti formali ripetuti in sequenza, soprattutto se da essi
si aspetta un esito positivo. Tra i vari tipi di riti, una categoria interessante è quella sui “RITI DI PASSAGGIO”, si
tratta di pratiche che gestiscono e codificano i cambiamenti di stato dei singoli o dei gruppi. Quali in particolare?
Quelli che riguardano la nascita, la pubertà, l’adolescenza, il matrimonio, la morte. In queste occasioni
l’individuo sancisce il passaggio dell’individuo da una condizione a un’altra, inserendolo in un nuovo gruppo
sociale e riconoscendo il cambiamento di diritti e di funzioni.
 DOVE SI SVOLGE IL RITO?
Il rito si svolge all’interno di un’area ben definita il “SANTUARIO” costituita da un elemento fondamentale
l’ALTARE *
Il SANTUARIO è il luogo di adunanza in cui accamparsi (si accampavano negli spazi liberi con le tende “skenài”)
per i giorni della festa (da uno a tre giorni) condividendo i vari tempi della cerimonia. La comunità partecipa alle
attività sacre suddividendoli per ruoli e competenze: uccisione della vittima spetta agli uomini, le donne
contribuiscono con altre funzioni quali il trasporto degli oggetti per la cerimonia o la preparazione di alimenti o
di altre offerte destinate alla divinità.
Per accedere al santuario è necessario osservare prescrizioni ben definite che possono riguardare lo stato fisico
o giuridico dell’individuo, il suo abbigliamento o la sua dieta alimentare. Lo spazio del culto è separato da quello
circostante definito da segni che indicano la sua esistenza (alberi, fosse, arbusti ecc.), questi elementi con il
tempo vengono sostituiti da elementi costruiti, come cippi (horoi, monumento funerario o commemorativo o
segno di confine da un tronco di colonna o di pilastro), con o senza iscrizione, muri continui oppure edifici che
ne segnano i limiti.
L’attività sacra coinvolge luoghi e momenti diversi della vita collettiva e individuale. All’interno dello spazio
consacrato il carattere è più accentuato. Manifestazioni analoghe con differenti obbiettivi e forme di
partecipazione ridotte, possono caratterizzare il culto individuale, quello familiare o quello di gruppi legati a una
stessa struttura sociale o culturale.
*L’ALTARE è la struttura in cui, tramite il fuoco, si consumano le parti delle vittime o delle offerte dedicate alla
divinità. L’altare può essere di vari tipi con funzioni e tradizioni diverse:
1. BOTHORS
pozzetto nel terreno entro cui depositare vittime animali e offerte diverse, con destinazione indirizzata
soprattutto ai culti della terra, dei morti e delle divinità infere
2. ESCHARA
Fossa meno profonda e circolo di pietre coperte da una griglia su cui praticare offerte cruente, destinata a
specifici culti per le divinità e più spesso impiegata nella venerazione degli eroi
3. BOMOS
Elemento costruito sopra terra; è la tipologia più diffusa. Assume forme diverse:
- Ampia e piattaforma sopraelevata
- Una base sul terreno su cui si ammassano i resti dei diversi sacrifici fino a costituire un cumulo di notevole
altezza
- Elemento parallelepipedo o cilindrico in pietra in genere su una base o una sopraelevazione a gradini
- Costruzione monumentale rettangolare, sulla quale si può salire e praticare il rito
La superficie del Bomòs è destinata ad accogliere il fuoco per la consumazione del sacrificio e può essere dello
stesso materiale della struttura di supporto, ma può prevedere anche una piastra di cottura in pietra o metallo
A fianco l’altare abbiamo bacini (loutèria) per la purificazione rituale, posti presso gli ingressi allo spazio sacro,
tavole di offerta dove si possono preparare le vittime durante la macellazione o deporre altri tipi di doni
alimentari che non verranno consumati dal fuoco, oppure si possono collocare oggetti di carattere simbolico da
utilizzare nel corso delle cerimonie.
 COSA AVVIENE NEL SANTUARIO?
Nel santuario avviene il SACRIFICIO che può essere di 2 tipi:
-CRUENTO, prevede l’uccisione di vittime animali
-INCRUENTO, comprendente l’offerta dei beni, in genere alimentari
Possono essere alternativi, addirittura alcuni culti non prevedono il sacrificio cruento.
SACRIFICIO CRUENTO: la vittima animale è suddivisa in porzioni uguali, dopo averne asportato la pelle e un pezzo
privilegiato (solitamente è la coscia), destinati al sacerdote o al corpo sacerdotale. Le ossa lunghe, il grasso e in
alcuni casi piccoli pezzi delle varie parti del corpo sono bruciati sull’altare per il dio, il resto è destinato ai
commensali della comunità, può essere consumato sul posto, bollito o arrostito, oppure portato a casa.
 IL RITO
Le azioni che costituiscono il rito sono sostanzialmente simili, ma possono essere disposte in un ordine diverso
o se ne possono operare aggiunte o esclusioni. Durante il rito si utilizzano strumenti, vasellame di forme
specifiche e pratiche alimentari, si individuano pani, focacce o bevande destinati al culto, preparati con prodotti
coltivati nei campi sacri e lavorati solo da addetti al culto. Questi beni hanno un valore simbolico, sono riservati
all’offerta o al consumo durante la celebrazione; la stessa preparazione del cibo mostra caratteri distintivi. Ad
esempio, per il culto di Demetra a Eleusi è attestata l’assunzione di una bevanda particolare “Kykeon”, ottenuta
con orzo aromatizzato con la menta; nello stesso rituale viene impiegato un vaso di offerte suddiviso in
scomparti destinati a contenere una serie di sostanze da assaggiare. La preparazione di dolci e focacce varia a
seconda dei luoghi e dei singoli santuari, mantenendo a volte tradizioni alimentari più antiche, conservate
attraverso il rito. Una delle più antiche è l’esposizione della carne per la cottura al calore del sole.
Il rituale prescrive quindi una serie di azioni che culminano nel sacrificio e prevedono la condivisione della
vittima in un pasto collettivo con i membri che si riconoscono come parte della stessa struttura sociale.
Il banchetto si svolge consumando le parti della vittima non bruciate sull’altare in onore degli dei. Partecipare
al sacrificio significa confermare il patto sociale che unisce tutti i membri e li separa dalle classi o dall’esterno.
Donne e bambini vengono ammessi in forme differenti: per i secondi dipende dal sesso e dalle classi di età nelle
diverse fasi di crescita si partecipa in modo diverso e con funzioni mutate. Le donne, invece, possono gestire
culti specifici, anche in maniera esclusiva, ma sembra che usufruiscono sempre un contributo esterno per alcune
operazioni, come quella dell’uccisione della vittima. Non partecipano al banchetto comune maschile che gestisce
in maniera complessi i ruoli e funzioni degli individui attraverso l’ammissione o l’esclusione da tutto lo sviluppo
dei rituali dalle funzioni attive o da alcune di esse, impedendo l’accesso e la visibilità, oppure limitando la
presenza a una funzione di spettatori.

L’architettura sacra
Le prime strutture sacre collettive risalgono alla seconda metà dell’VIII secolo, ma mancano elementi concreti
per le fasi precedenti. La discontinuità topografica con i luoghi di culto di età micenea sembra essere stata quasi
tottale e la distruzione degli edifici precedenti destinanti alle attività religiose non sembra conoscere immediate
riprese. La Dark Age quindi costituisce una fase di trasformazione e di ricostruzione della tradizione rituale e del
suo valore sociale, in cui si definiscono anche le nuove regole organizzative dello SPAZIO SACRO. Le COSTRUZIONI
SACRE in Età Geometrica manifestano una notevole omogeneità compositiva. Sono simbolo di espressione di
una società impegnata soprattutto nell’elaborazione della tipologia abitativa. All’interno trova spazio l’attività
religiosa della famiglia o del clan, o si possono svolgere le riunioni, occasioni per costruire e affermare i legami
sociali. Non si possono escludere l’esistenza di altre attività di culto, esterne alle case aristocratiche. Infatti, a
partire dal VII secolo, in aree libere da costruzioni, si sviluppano gradualmente i santuari, sia interni che esterni
agli abitati. Un caso esemplare è il SANTUARIO di KALAPODI, sede del culto di Apollo presso Abai, dove la
frequentazione è iniziata intorno al 1200 e prosegue fino all’età classica. Le tracce più antiche della struttura
riguarda lo spazio destinato alle attività sacrali, identificata grazie ai residui di cenere e offerte lasciate in situ,
mentre la costruzione di edifici di culto avviene in un secondo momento, graduale processo di strutturazione
dello spazio santuariale. Nella prima fase di Kalapodi viene costruito un altare e solo verso l’830-20 la prima
semplice struttura in pali di legno, evolutasi in forme più canoniche nella prima metà del VII secolo. A fronte di
una scarsità dei dati archeologici, vi è una tradizione mitostorica che attribuisce ai periodi più antichi la
costruzione di strutture semplici:
- “Tempio di alloro” nel santuario di Apollo a Delfi
- “Tempio di salice” nel santuario di Heràion di Samos
- “Tempio di cera” nell’Apollònion di Delo
Primi edifici costituiti da un’ossatura in legname e rami intrecciati rivestita di argilla cruda.
La diffusione dei santuari è accompagnata dall’apparizione del tempio (naos) che nel tèmenos affianca l’altare
con la specifica funzione d’ospitare l’immagine di culto, gli oggetti liturgici e di consentire lo svolgimento delle
rappresentazioni rituali, nonché di accogliere le più preziose tra le offerte dedicate al santuario. Il tempio può
aver avuto una destinazione d’uso più ampia di quella che avrà in età storica a seguito di un processo di
progressiva specializzazione architettonica, si elaboreranno tipologie diverse per ospitare attività
complementari, quali appunto gli hestiatòria, edifici destinati alla consumazione del banchetto rituale.
Ai fini della comprensione delle trasformazioni che segnano le fasi terminali del geometrico medio deve
riconoscersi nelle peculiarità architettoniche della nuova tipologia templare i “mègara” (le sale di
rappresentanza) o alle residenze dei basilèis del secolo precedente: la casa del dio rispecchia fedelmente i
modelli delle residenze della classe dominante. Il modello della dimora di LEFKANDI mostra in modo evidente
come la tipologia adottata per l’edificio sacro sia una specializzazione dei prototipi residenziali destinati ai
basilèis.
2.5 PRODUZIONI, CONSUMI E COMMERCI IN ETA’ PROTOGEOMETRICA E GEOMETRICA

Il passaggio dall’età micenea alla Dark Age può essere seguito dallo studio della produzione ceramica che è stata
oggetto di ricerche sistematiche.
Nonostante ancora una connessione decorativa con la manifattura micenea in Attica si verifica una nuova
tendenza espressiva che segna modifiche sostanziali.
All’inizio del PROTOGEOMETRICO (1100-900) i rinvenimenti mostrano un artigianato di alto livello grazie al
possesso di tecniche sofisticate di realizzazione, questa ricerca espressiva però non ha trovato una stabilità
formale. I vasi presentano sia ampie superfici con fondo chiaro, sul quale vengono dipinte linee, fasce e figure
geometriche, sia rivestimenti in nero con decorazione risparmiata.
In questa prima fase si denota un’attenzione alla geometria e all’uso di strumenti tecnici come il compasso
multiplo per disegnare cerchi e semicerchi concentrici, e decorazioni con linee ondulate a mano libera.
La manifattura attica predilige vasi di grandi dimensioni (anfore, crateri, hydrìai) ma anche forme di minore
impegno (skyphoi, coppe, oinochòai); inoltre sono state riconosciute altre fabbriche importanti oltre alla
manifattura attica.
Il protogeometrico euboico si distingue per la qualità e l’impegno formale di alcuni vasi, ma anche per la
quantità e la dispersione geografica (come nel caso delle coppe penduli che sgnano la portata dei traffici europei
nel Mediterraneo tra Oriente e Occidente).
I ritrovamenti più significativi sono quelli dell’Heròon di Lefkandi, un cratere con una forma molto curata e una
decorazione quasi calligrafica, e un rhytòn a forma di centauro.
Di questa fase abbiamo i primi indizi di una ripresa della navigazione in Egeo. Infatti alla fine del II millennio la
ceramica testimonia contatti con Cipro; nello stesso tempo a Lefkandi sono stati riconosciuti i primi oggetti
importati e in una fase successiva nella necropoli del Ceramico di Atene sono state deposte coppe in bronzo di
importazione fenicia. Oltre allo scambio di beni di lusso, i flussi commerciali dovevano comprendere lo scambio
di materiali quali legname, vino e olio.
La produzione ceramica nel periodo antico, medio e tardo geometrico
 Nel Geometrico Antico (900-850; abbreviato AG) le botteghe attiche si incrementano e realizzano vasi
con la superficie prevalentemente a sfondo nero con decorazione risparmiata e organizzata in fasce
parallele e spesso con uno spazio metopale tra le anse. Si sviluppano vari motivi decorativi: denti di lupo,
chevrons e soprattutto il meandro.
 Il Geometrico Medio, diviso in due fasi (I: 850-800; II 800-750; abbreviato MG), si distingue per una
maggiore ricchezza dovuta a un maggiore controllo della produzione agricola e all’intensificarsi di
contatti con il Vicino Oriente.
Una testimonianza di questo sviluppo sono le tombe con ricche deposizioni rinvenute ad Atene e a
Lefkandi.
Una delle più antiche, risalente alla fine del geometrico antico (AG) o nei primi anni del geometrico medio
(MG) è quella della “Rich Lady”, rinvenuta alle pendici dell’Areopago ad Atene.
Anfore analoghe a quella della “Rich Lady” sono state rinvenute nella necropoli del Ceramico di Atene e
a Eleusi, probabilmente sono testimonianza dell’attività di un’officina che impiega uno stile a
decorazione fitta che prenderà il sopravvento nel corso della fase più avanzata del geometrico medio
(MG). Infatti nel MGII la decorazione mostra nuovi elementi come animali, quali cavalli, cervidi ecc., e in
alcuni casi anche figure umane. Inoltre questo periodo è caratterizzato per la monumentalità di alcuni
vasi, come le pissidi o gli skyphoi, i quali sono completamenti ricoperti da elementi geometrici.
Alla fine del MGII si colloca la bottega del Maestro del Dìpylon. Il vaso eponimo, rinvenuto presso la
porta del Dìpylon delle mura urbiche, nella necropoli del Ceramico, è per dimensioni (h. 1,76) di gran
lunga il più importante di quelli attribuiti alla sua bottega. La decorazione si caratterizza per il disegno
geometrico che occupa su più registri l’intera superficie; il motivo del meandro verticale di tipo attico si
moltiplica e si ingigantisce in forme nuove, mentre la scena di commiato al defunto viene rigidamente
inquadrata in un pannello decorativo, perdendo la spontaneità di altre rappresentazioni.
Oltre all’anfora del Dipylon, conservata al Museo Nazionale di Archeologia in Atene, è stato rinvenuto
un cratere monumentale, oggi collocato a New York, e un esemplare frammentario a Parigi,
appartenente alla bottega del Dipylon, nel quale è raffigurata la scena di pròthesis (esposizione del
defunto); sempre in un altro frammento a Parigi mostra un combattimento tra guerrieri, uno dei quali
costituito da due corpi uniti. In alcune anfore di minor impegno decorativo dell’anfora del Dipylon,
possiamo osservare come la decorazione copre ugualmente tutta la superficie del corpo.
La bottega del Dipylon si distingue per uno stile decorativo nuovo e per l’innovazione nella morfologia
che sperimenta nuove forme, come i boccali ad ansa sopraelevata o le brocche a orlo circolare.
 L’inizio del Geometrico Tardo (760-700; abbreviato TG) si manifesta con l’apertura di nuove rotte
commerciali vero le regioni occidentali e orientali, di cui l’Eubea trae i maggiori vantaggi, mentre l’Attica
sembra rallentare nella corsa commerciale a favore di una maggiore specializzazione regionale tra i
diversi stili ceramici. In questo periodo il disegno geometrico tende a frammentarsi in favore di
decorazioni in spazi metopali e di figure (cominciano ad apparire le figure femminili caratterizzanti per
l’orientalizzante), nonché delle prime rappresentazioni mitologiche.
- Ad ATENE abbiamo i primi elementi di novità con l’inserimento progressivo della figura umana e di
scene narrative tra il TGI (760-725) e il TGII (725-700), come nei vasi del Pittore di Hirschfeld che
predilige le scene funerarie (pròthesis ed ekphorà) su vasi di grandi dimensioni ricchi di riempitivi
(animali, svastiche, rosette a punte). Tra le raffigurazioni mitiche abbiamo una oinochoé dell’agorà
di Atene che raffigura un combattimento tra i due guerrieri gemelli, forse i Molioni sfidati da Nestore,
un cratere con dei centauri, un altro cratere che rappresenta Dioniso e Arianna. La purezza formale
precedente inizia ad esaurirsi, ma si arricchisce di elementi plastici serpentiformi che sottolineano il
labbro, le anse o la base del collo.
Altro tipo di produzioni risalgono alla metà dell’VIII secolo ad Atene, nella quale si intensifica la
produzione della piccola statuaria, come un guerriero bronzeo dell’Acropoli, un giovane proveniente
da Olimpia e il Minotauro dall’Acropoli di Atene, figure femminili in avorio nella tomba del dipylon.
Una produzione tipica del mondo attico tra il GMII finale e il TG è costituita dalle lamine decorate a
sbalzo con animali, a volte inquadrate in larghi spazi metopali, o con scene di guerra e caccia,
utilizzate per decorare i defunti e gli abiti femminili, con spilloni e gioielli lavorati in lamina e a
granulazione.
In Grecia in questa fase emergono anche altre tradizioni artigianali:
- Nel Peloponneso la ceramica di ARGO TG presenta caratteri distintivi propri nell’uso dei pannelli
decorativi, nella rappresentazione di cavalli isolati o nell’impiego del meandro obliquo (o “scaletta”).
Motivi analoghi si trovano nella produzione di bronzi, che spesso raffigurano cavalli, sia come oggetti
votivi sia come accessori decorativi. La capacità dei bronzisti argivi conosce la sua massima
espressione alla fine dell’VIII secolo nella realizzazione di un’armatura in bronzo proveniente da una
sepoltura di Argo, questa comprende un elmo, una corazza e frammenti di un paio di schinieri
(gambiera, elemento che proteggeva la parte anteriore della gamba).
- CORINTO è uno dei maggiori centri dell’artigianato ceramico già nelle prime fasi del geometrico
quando ancora era legato ai modelli attici e euboci, ma alla fine del MGII inizia una produzione con
decorazione più semplice: decorazioni lineari che percorrono per intero in orizzontale i vasi; dal TGII
invece evolve una nuova fase che prende il nome di “stile transizionale” che anticipa elementi
dell’orientalizzante, come le scene narrative, le teorie di animali e vegetali sul corpo del vaso.
- Anche in EUBEA la ceramica unisce motivi geometrici “tradizionali” (fregi e aree metopali) ad
elementi di transizione verso l’orientalizzante come l’albero della vita; ricorrenti sono i motivi corinzi
e insulari come i fiori a petali lanceolati, il motivo a onda e la rosetta a punti. I vasi più importanti
sono quelli appartenenti al Pittore di Cesnola di cui abbiamo un cratere da Cipro e un’anfora da
Atene, entrambi con corpo ovoidale, piede conico collo svasato; il cratere ha un fittissimo motivo
geometrico, inframezzato con due teorie di animali e tutti gli elementi sopradetti.
- La ceramica BEOTICA è ispirata da quella euboica, si caratterizza per rappresentazioni più libere e
raffigurative, come in un Kàntaros di Dresda dove è rappresentata una danza maschile; in
un’anfora beota, detta della Pothnia Theròn, sono raffigurati vivacemente degli animali (un pesce
ricamato sulla veste e, sul lato opposto, un uccello in volo) e più riempitivi. Tipiche di quest’area
sono anche le fibule in bronzo con rappresentazioni geometriche di navi, battaglie di cacce o in
alcuni casi mitologiche, soprattutto legate ai miti di Eracle.
- La ceramica INSULARE rimane legata a elementi geometrici attici, con elementi euboici, ciprioti e
anatolici. Importante è un’Anfora di Thera decorata solo nella parte superiore con elementi quali il
meandro attico, onde, aironi e petali lanceolati insulari ed euboici.

TOMBA DELLA RICHY LADY

Soggetto: Ricco corredo di Rich Lady


Autore: ignoto
Datazione: tra la fine dell’AG e nei primi anni del MG
Materiale: ceramica dipinta
Dimensioni: ///
Provenienza: pendici dell’Areopago ad Atene
Collocazione attuale: Atene, Museo dell’Agorà

La donna era stata cremata e deposta in un’anfora con


doppie anse decorata con cerchi concentrici e meandri
entro spazi metopali e con un motivo a chevrons sul
collo. Accanto al cinerario, il corredo comprendeva 34
vasi di stile geometrico, tra i quali un modellino di
granaio, vasellame decorato a incisione, tre spilloni in
bronzo e uno in ferro, fibule, anelli in bronzo e in oro; tra
gli ornamenti spiccano una coppia di orecchini in oro decorati a filigrana e granulazione e una collana in dischi
e pendente centrale di vetro. Si aggiungono al corredo tre sigilli. Questi ultimi e il granaio fanno pensare che la
donna gestisse un campo per la produzione del grano: la società è definitivamente uscita dal sistema pastorale
della Dark Age e tornata al modello agricolo statale, l’aristocrazia muovendo i primi passi e inizia ad avere dei
rapporti con il medio oriente come dimostrano i gioielli della defunta di importazione appunto orientale.
ANFORA DEL PITTORE DEL DIPYLON
Soggetto: Commiato funebre
Autore: Maestro del Dìpylon
Datazione: fine del MGII 760-750 a.C.
Materiale: ceramica dipinta
Dimensioni: 1,76 cm
Provenienza: Necropoli del Ceramico di Atene
Collocazione attuale: Atene, Museo Archeologico Nazionale
Nell’VIII secolo a.C., in contrapposizione alla tradizione
micenea della tumulazione, i defunti vengono cremati e le
loro ceneri sono raccolte in urne fittili. Queste vengono poi
interrate a circa un metro di profondità. A protezione di
queste urne cinerarie si incastra nel terreno un lastrone di
pietra poggiante su una tavoletta, sul quale si colloca una grossa anfora (per le
defunte) o un cratere (per i defunti) dall’apertura particolarmente larga.
Questi vasi, riccamente decorati, alti spesso anche oltre un metro e mezzo,
sono a loro volta parzialmente interrati, in modo che dal suolo ne sporgono
soltanto le bocche.
Tra le ceramiche rinvenute nella necropoli presso il Dìpylon (porta
monumentale a doppia entrata, costruita ad Atene negli ultimi decenni del IV
secolo a.C. Posta all’ingresso Nord-occidentale della città, conduceva al
quartiere dei vasai e nelle sue vicinanze alcuni scavi archeologici del 1871 hanno
portato alla luce una vasta necropoli, con sepolture risalenti al IX-VII secolo
a.C.), la più importante porta dell’antica Atene, particolare rilievo assume
l’importante Anfora funeraria detta del “lamento funebre” (760-750 a.C.).
Si tratta di un’anfora del tipo a collo distinto (o staccato), cosiddetta in quanto
la lunga imboccatura si connette al corpo in modo netto, senza raccordi curvi,
quasi come se non fosse frutto della lavorazione al tornio e apparisse applicata
in un momento successivo.
La decorazione consiste in 65 fasce sovrapposte dipinte a motivi geometrici. Esse percorrono tutta la
circonferenza del vaso e hanno spessore diverso a seconda della loro posizione: più spesse quelle in
corrispondenza del collo e delle anse, più sottili quelle in prossimità della bocca, delle spalle e del piede. Le
decorazioni, in vernice nera lucida su fondo color rosso-terracotta, sono costituite da un fantasioso succedersi
di greche, meandri e altre figure geometriche.
L’anfora, conservatosi pressoché intatta, era verosimilmente destinata a individuare la sepoltura della ricca
signora. Fra le anse, infatti, si sviluppa un registro, più alto degli altri, che reca una serie di figure in vari
atteggiamenti. Si tratta della scena di una lamentazione funebre, rappresentata in modo estremamente
schematico. Al centro si nota un alto catafalco (dal greco Katà, sotto, e dal latino fala, torre di legno. Struttura
lignea per l’esposizione dei defunti) sul quale giace il cadavere dei una donna, simbolicamente riconoscibile per
via della lunga veste. Intorno alla salma vi sono 14 figure maschili stanti, raffigurate nell’atto di portarsi le mani
alla testa in segno di disperazione. Esse sono disposte simmetricamente: 7 a sinistra (di cui le ultime due armate
di spada), e sette a destra (sei adulti e, presso il capezzale, un bambino, forse il figlio della defunta). Sotto il
catafalco, infine, sono presenti altre 4 figure piangenti: due femminili, inginocchiate (a sinistra) e due maschili,
sedute (a destra). Questa “impropria” collocazione dipende dalle convenzioni grafiche del tempo, che tendono
a schiacciare tutti i personaggi su un unico piano, senza distinzione fra “davanti” e “dietro”. Dobbiamo
presupporre che queste figurette siano piuttosto disposte ai lati della defunta.
I corpi dei personaggi sono realizzati in modo schematico da non risultare quasi altro che un puro assemblaggio
di figure geometriche elementari: triangoli per i busti, cerchi per le teste e trapezi per le braccia levate.Tra le
fasce geometriche del collo del vaso, infine, due rappresentano una fila di cervi intenti a pascolare. Questo
motivo, di probabile ispirazione orientale, è trattato con la stessa semplificazione dei personaggi umani. Le
figurette degli animali sono infatti tutte uguali ed equidistanti, tanto che anch’esse ci appaiono più come astratti
elementi decorativi e come ripetizione di forme in successione, piuttosto che come immagini autonome, cioè
significanti per quello che rappresentano.
CRATERE DELLA BOTTEGA DEL PITTORE DI HIRSCHFELD

Soggetto: Commiato funebre


Autore: Pittore di Hirschfeld
Datazione: II metà dell’VIII secolo a.C. (750-735/725)
Materiali: ceramica dipinta
Dimensioni: 125 cm
Provenienza: Atene
Collocazione attuale:
New York, The Metropolitan Museum of Art

Tra la fase TGI (760-725) e la fase TGII (725-700) la


produzione ateniese mostra elementi innovativi con
l’inserimento della figura umana e di scene narrative;
decresce, invece, la cura per l’ornamentazione
geometrica, che sempre di più si frammenta in riempitivi
isolati tra le figure
Ne è un esempio il cratere preso in analisi, risalente alla
seconda metà dell’VIII secolo a.C., attribuibile al
ceramografo e pittore di Hirschfeld, di cui ricordiamo le
innovazioni caratterizzanti di questa fase e la
continuazione della prothesis (tema funerario al quale
aggiungiamo il tema di ekphorà) ricorrente nella
produzione ceramica dell’artista.
Il vaso è suddiviso al centro in due registri orizzontali dai quali possiamo leggere chiaramente le scene
raffigurate: nella fascia superiore ad animare la scena sono alcuni animali domestici, visibili sotto il catafalco
(l’impalcatura di sostegno per la bara), e bambini di diverse età. Il catafalco sostiene il corpo del defunto
adagiato su una bara ed è circondato da membri della sua famiglia e, ai lati, persone in lutto; il defunto è
raffigurato su un fianco, e il sudario a scacchi che normalmente ricoprirebbe il corpo è sollevato e regolarizzato
in lungo rettangolo con due sporgenze. Nella fascia inferiore è invece raffigurato il corteo funebre dei carri che
accompagnano il defunto alla cremazione.
2.6 LA COLONIZZAZIONE
La colonizzazione in Oriente
Dopo la caduta dei palazzi inizia un complesso fenomeno migratorio. I movimenti si indirizzano in primo luogo
verso le coste occidentali dell’Anatolia, dove si assiste a processi di “ricolonizzazione” di luoghi già insediati in
precedenza e alla creazione di nuovi abitati; ma vi sono anche spostamenti dal Peloponneso verso l’Egeo
meridionale, in particolare verso Thera, Creta e Rodi, regioni che mostrano tradizioni di culto e forme
istituzionali tipiche delle presunte comunità di provenienza.
Un primo gruppo di fondazioni interessa, attraverso l’isola di Lesbo, la regione antistante, l’Eolia; le fonti
testimoniano l’esistenza di una dodecapoli (Kyme, Phriconis, Larisa, Neon Teichos, Tamnos, Cilia, Notium,
Aegiroessa, Pitane, Aegae, Myrina, Gryneion e Smirne) le cui città sono tuttavia solo parzialmente conosciute.
Anche l’area ionica aveva una dodecapoli il cui centro culturale era il santuario di Poseidone Eliconio; due delle
pòleis erano isole, Samos e Chios, mentre le altre sorgevano sulla costa, Mileto, Myus, Priene, Efeso, Colofone,
Lebedos, Teos, Clazomene, Erythrae, Focea. La colonizzazione ionica e la frequentazione delle sue terre nel
periodo protogeometrico è attestata da rinvenimenti a Smirne e a Mileto. La ceramica, databile dal X secolo,
segnala il costituirsi di insediamenti greci in una regione abitata a sud da Cari e a nord da Lelegi, con i quali i
Greci convivono fino all’epoca ellenistica.
Le città di Rodi, Kos, Cnido e Alicarnasso costituivano l’Esapoli dorica, il cui centro federale era presso il santuario
di Apollo sulla penisola cnidia.
Poche sono le testimonianze archeologiche di tutti questi insediamenti per le fasi più antiche della
colonizzazione. Il materiale più cospicuo viene da Smirne, dove sono state rinvenute abitazioni a pianta ovale a
partire dal X secolo e strutture di fortificazione urbana che risalgono al secolo successivo; case coeve sono state
scavate anche a Mileto. Un ruolo attivo nell’intensificarsi dello scambio marittimo già nell’VIII secolo è rivestito
dalle comunità dell’Eubea. Anche nell’Egeo, in alcuni siti delle isole Cicladi, la presenza della caratteristica
ceramica euboica ha fatto pensare a stanziamenti costieri di sostegno alla navigazione verso l’Oriente, come se
si trattasse di un sistema di approdi di supporto a una rotta stabile e aun sistema commerciale organizzato.
Antiche sono le prime fasi della colonizzazione nell’Egeo settentrionale, un’area fortemente composita e
occupata da etnie e tribù diverse, ma ricca di risorse naturali, in particolare le miniere d’oro e d’argento nella
regione del monte Pangion, scoperte dai Fenici e sfruttate dalle tribù locali. Una prima colonizzazione della
penisola Calcidica si deve alle città di Eretria e Clacide. Il rinvenimento di ceramica euboica o di imitazione locale
di età protogeometrica e geometrica nel golfo Termaico, testimonia una frequentazione fin dalle fasi più antiche
dell’espansione euboica nel Meditteraneo. I rinvenimenti delle necropoli di Torone, colonia calcidese,
confermano la presenza di ceramica euboica e attica almeno dalla fine del submiceneo, e a Mende, fondata da
Eretria, l’insediamento ha con certezza una fase submicenea, mentre la ceramica importata presenta continuità
con produzioni molto simili a quelle di Lefkandi.
Nell’VIII secolo si pare una seconda fase della colonizzazione nell’Egeo settentrionale sempre nel golfo Termaico,
subito dopo il 733; il centro non è uno dei tanti insediamenti di Eretria nel golfo, tra i quali spicca quello di
Dikaia, che coniiava moneta e pagava il tributo ad Atene in età classica.
Le fonti antiche riportano una prima colonizzazione eolica, soprattutto da parte dell’isola di Lesbo; Eoli o Ateniesi
erano coinvolti nella fondazione di Elaious e di Sigeo all’imbocco sud dello stretto. L’interesse ateniese per l’area
diventa più importante alla fine del VII secolo quando si aprono le vie del commercio verso l’Egeo settentrionale.
La colonizzazione del mar Nero è opera soprattutto di Megara e Mileto. Per quest’ultima fonti di periodo romano
computano fino a 75 o 90 pòleis coloniali. Seconda la tradizione, la prima pòlis a essere fondata fu Istros nel
657, poi Olbia nel 647 e Sinope nel 631. Questi centri costieri prosperarono soprattutto come luoghi di scambio
e di esportazione delle merci dei popoli delle steppe, il pesce salato e i prodotti dell’industria artigianale. La
prima fase della colonizzazione si impianta soprattutto lungo le coste meridionali e occidentali.
La colonizzazione in Occidente
Tra la seconda metà dell’VIII e l’VII secolo a.C. si registra un’espansione dei traffici trasmarini di proporzioni
rilevanti anche verso le coste del Mediterraneo centrale, dove l’Italia centro-meridionale è coinvolta in una
frequentazione stabile e capillare. In alcune aree, come il Salento, il rapporto con la penisola greca non sembra
essersi mai interrotto del tutto e all’intensa frequentazione di età micenea succede un lungo periodo in cui il
rarefarsi delle importazioni è evidente, ma non totale e definitivo.
La navigazione dei decenni centrali dell’VIII secolo sembra sfruttare le stesse rotte di quella micenea, con
l’attraversamento del canale adriatico nel punto più stretto e un primo approdo ad Otranto. Il periplo del Salento
introduceva nel mar Ionio tramite una navigazione costiera che si appoggiava ad altri abitati iapigi come Torre
Castelluccia, Saturo e Taranto/Scoglio del Tonno; quindi si presentavano due possibili direttrici, una verso la
Sicilia orientale, l’altra, attraverso lo stretto di Messina, indirizzata sulla costa tirrenica dell’Italia.
Lo scopo di queste frequentazioni è il reperimento di materie prime e in particolare dei metalli dell’Etruria,
soprattutto del minerale di ferro dell’isola d’Elba.
La testimonianza più evidente dell’intensificarsi degli scambi è rappresentata dall’esportazione di ceramica
greca: in Etruria si sono rinvenuti reperti attribuibili già alla fase protogeometrica, che mostrano in maniera
evidente l’antichità di questi contatti, cresciuti rapidamente in varietà e frequenza.
La situazione muta in maniera radicale nel terzo quarto dell’VIII secolo, quando si affermano nuovi modelli e
diverse finalità di questi rapporti. Poco prima della metà del secolo, nell’isola di Ischia si sviluppa un abitato in
località Monte Vico; la frequentazione sembra comprendere soprattutto Greci dell’isola dell’Eubea, ma il
materiale rinvenuto presenta anche provenienze diverse, in particolare del commercio fenicio, che nello stesso
periodo interessa attivamente le coste della Sicilia, della Sardegna e della stessa Italia meridionale.
Nell0insediamento sono attestate attività artigianali e significative testimonianze della lavorazione metallurgica.
L’analisi sul minerale di ferro rinvenuto ne ha riconosciuto l’origine dell’isola d’Elba, fornendo una testimonianza
ulteriore delle specifiche finalità commerciali. Lo scalo di Ischia è un emporio senza finalità di occupazione
territoriale o di popolamento, offriva sicurezza e indipendenza.
Il panorama delineabile appare quanto mai vario: alle frequentazioni mediterranee su più ampia scala si affianca
l’intensa mobilità interna al bacino dell’Egeo, con fenomeni di scambio e di contatto, ma anche con trasferimenti
di nuclei di popolazione. Il fenomeno si amplia rapidamente tra il 740 e il 730 in Occidente, dove assume la
forma di una vera e propria coloniale, superando il modello emporico dell’originario scalo di Ischia, finalizzato
soprattutto al commercio. La fondazione di Cuma, a nord di Napoli, e quella di Naxos in Sicilia, vicino Taormina,
risalirebbero a questa fase e sarebbero attribuibili a genti euboiche, come Catania e Lentini, mentre di poco
successive sono la nascita di Siracusa, colonia di Corinto, di Regio sullo stretto (colonia euboica, come
l’antistante Zankle, nel sito di Messina), di Crotone e Sibari in Calabria (colonie achee, come le successive
Metaponto Caulonia sullo Ionio e Poseidonia sul Tirreno). Sullo scorcio dell’VIII secolo un gruppo proveniente
dalla Laconia, identificato con il nome di Parthrni, dà origine a Taranto.
Quale forma di colonizzazione?
Il contesto storico della colonizzazione rappresenta un problema interpretativo; Douwe Yntema ha interpretato
le fonti disponibili alla luce della ricerca condotta negli ultimi decenni, proponendo che solo a partire dal VI
secolo a.C. gli insediamenti “coloniali” avrebbero costruito la loro “identità greca”, alla fine di un processo di
formazione lungo e articolato. Analizzando soprattutto il carattere di alcuni insediamenti, come quelli di Policoro
e di Incoronata, presso Metaponto, ne ha tratto un modello alternativo rispetto all’interpretazione tradizionale.
Nuclei di avventurieri, militari e mercanti coinvolti nell’incremento del traffico marittimo dell’VIII secolo si
sarebbero progressivamente stabilizzati sulle coste dell’Italia meridionale, costituendo una componente
tecnologica e bellica completamente rispetto alle comunità locali e acquistando nel tempo sempre maggiore
capacità organizzativa. Questi insediamenti avrebbero acquistato progressivamente una loro fisionomia
specifica ricostruendo una tradizione coloniale istituzionalizzata e dando origine alla tradizione storiografica dei
Greci.
Le principali pòleis d’Occidente documentano già nelle loro prime fasi di vita una brusca e completa interruzione
rispetto al sistema precedente: riorganizzano lo spazio disponibile secondo criteri estranei a quelli degli abitati
italici, introducono tecniche artigianali, forme insediative, tipologie di case tipiche del mondo egeo. I depositi
individuati nelle aree sacre mostrano l’introduzione di sistemi espressivi del rituale nuovi rispetto al patrimonio
locale.
Il caso di Megara Hyblaea, oggetto di sistematiche campagne di scavo da parte della missione archeologica
francese, appare di particolare importanza. La ricerca ha permesso di documentare sin dalla fine dell’VIII secolo
lo sviluppo di un abitato che incrementa con il tempo il suo carattere e la sua forma urbana, costituito in una
zona in precedenza priva di insediamento stabile siculo e scelta proprio per le sue specifiche caratteristiche. La
fondazione di questo centro attesta che nella Grecia propria esisteva già un modello di pòlis, ben diverso
nell’aspetto urbano da quello stabilizzatosi a partire dal VI secolo, ma già provvisto di spazi comuni, di un sistema
di proprietà per lotti, di funzioni differenziate e di un patrimonio architettonico delle singole oikìai (case,
famiglie) che componevano la comunità.
Il rapporto tra coloni e popolazioni locali: il caso dell’Italia
I nuovi venuti si impongono con la forza delle armi o con la loro astuzia ottengono aree disponibili per la
costruzione degli abitati; solo raramente si accenna a situazioni non conflittuali, con scelte indirizzate verso aree
non popolate e concordate con le comunità già esistenti.
E’ più difficile riconoscerne invece gli effetti sul territorio circostante: nella regione di Sibari, ad esempio, in
concomitanza con la deduzione coloniale incomincia a delinearsi una profonda trasformazione del sistema
insediativo precedente, mentre in altri casi la situazione è diversa o più difficile ricostruibile i rapporti tra le
società coloniali e le variegate comunità italiche già stabilizzate da tempo nel territorio e qualificate da forme
culturali specifiche. Le fonti a volte ricordano forme di asservimento delle popolazioni presenti nell’area della
futura pòlis, come nel caso di Siracusa, a volte accennano a un ripiegamento dei nativi verso l’interno o verso
altri siti, come nel caso di Taranto, a volte testimoniano anche il coinvolgimento all’interno di un’area di
influenza, come nel caso di Sibari.
Tralasciando l’arrivo e la frequentazione tra Greci e Italici, dobbiamo tenere in considerazione il problema della
convivenza tra le due comunità diverse.
Il problema è complesso e riguarda anche l’inserimento di italici all’interno delle pòleis e le forme attraverso le
quali si attua questo processo. Nel caso di Megara la comunità nelle prime fasi ha avuto un rapido incremento
demografico che non sembra aver escluso l’inserimento dei singoli individui o piccoli gruppi esterni, provenienti
dagli abitati circostanti: anche in questo caso è difficile capire le modalità di questa partecipazione, se si tratti
di fenomeni di cooptazione o di soggetti introdotti nella comunità con funzioni subalterne. La pòlis coloniale
appare una cellula alimentata da una continua osmosi cin gli ambienti vicini, ai quali è strettamente connessa
anche tramite matrimoni, solidarietà aristocratiche e spostamento di mano d’opra e artigiani.
L’espansione coloniale, quindi, è un macrofenomeno con risvolti plurimi: una rete che contribuisce a costruire
anche la ricchezza e lo sviluppo della “madrepatria”, ampliandone il sistema economico e produttivo e
facendone il centro di un complesso meccanismo sociale. Documento diretto di questo livello sono i reperti che
attestano gli intensi scambi commerciali, stabilmente affermati dal VII secolo, che non si limitano alle derrate,
ai prodotti agricoli e artigianali e ai beni di lusso, ma coinvolgono anche le idee, le tecnologie e i comportamenti.
La ricerca sulle anfore da trasporto, contenitori in genere privi di rivestimento a vernice, con una capacità
compresa tra i 7 e 50 l, destinati soprattutto a vino e olio, ma anche a miele, frutta, pesce ecc., ne attesta
l’espressione più evidente dal punto di vista archeologico e permette di ricostruire processi più ampi del singolo
dato materiale. Dalle anfore euboiche o alle corinzie di tipo “A” nel VII secolo oppure, in seguito, alle anfore di
tipo “B”, a quelle della Grecia dell’est e dall’Egeo settentrionale, sino alle anfore laconiche o a quelle di Marsiglia,
il trasporto dei liquidi alimentari sembra costituire la componente più visibile di un’organizzazione che
determina una sempre più forte integrazione tra centri di produzione specializzati e aree di consumo.
CAPITOLO 3 ESPANSIONE E SVILUPPO (ORIENTALIZZANTE)
3.1 L’AFFERMAZIONE DELLE POLEIS
L’VII secolo rappresenta un momento decisivo nello sviluppo degli insediamenti, con maggiore distinzione tra gli
abitati, a seconda delle dimensioni della capacità di attrazione, politica e economica, dell’articolazione organizzativa.
In età geometrica vengono affrontati alcuni problemi di gestione dello spazio, è solo durante l’orientalizzante che
questo aspetto presenta le prime soluzioni organiche. Il centro di Smirne, mostra nell’VII secolo un tessuto viario
regolare al quale si adeguano le unità abitative. Anche la colonia di Megara Hyblaia in Sicilia struttura lo spazio
disponibile per nuclei di strade denotate da orientamenti omogenei, l’impianto urbano delle fasi successive tende a
una suddivisione regolare e non costituisce una novità dei centri coloniali, poiché l’esclusiva ha riguardato anche la
madrepatria; in molti casi anche le città della Grecia presentano due o più nuclei organizzati al loro intorno in maniera
regolare.
La prevalenza delle aree libere, in tutti i centri che non presentano specifiche esigenze difensive o ristrettezze di spazio,
è indice di una concezione dell’abitato ancora legata a modelli abitativi più antichi e in questo spirito sembrano essere
state concepite anche le zone destinante alle attività pubbliche, vaste superfici che vengono suddivise e caratterizzate
tramite funzioni e arredi. Le differenze mostrate dagli insediamenti coloniali risiedono soprattutto nella riconoscibilità
di un sistema di lotti omogenei che utilizzano il sistema regolare per una suddivisione uniforme delle proprietà. Ogni
lotto comprende la casa e uno spazio libero, forse destinato ad esigenze produttive.
La formulazione delle forme insediative sembra investire livelli e aspetti diversi dell’abitato, inclusa l’individuazione
degli spazi comunitari. Ad Atene, alla fine dell’età geometrica, si assiste a una distinzione dell’abitato dalle necropoli:
la zona del Ceramico interno e le pendici dell’Areopago fino a questo momento utilizzate ancora come sepolcreto,
sviluppano ora funzioni insediative e produttive e accolgono le prime aree di culto.
3.2 L’ARCHITETTURA SACRA
Nel VII secolo si assiste al fenomeno della “litizzazione”, ossia il passaggio dall’uso dei materiali deperibili a quello della
pietra; da questo processo prende una prima forma l’apparato decorativo attraverso la definizione degli ordini
architettonici. La trasformazione avviene contestualmente nella madrepatria e nel Mediterraneo orientale, ma è
condizionata dal sistema delle relazioni esterne. Vengono definiti due linguaggi: il DORICO, che si afferma nella
madrepatria, e lo IONICO, tipico dell’Egeo e dell’area microasiatica; all’interno di questi due gruppi si diffonde una
serie di varianti che differenziano la produzione delle diverse pòleis in base a specificità locali, ma anche a
contaminazioni dipendenti dai contatti e dagli scambi con le altre culture. Queste trasformazioni architettonico-
strutturali si associano alla comparsa delle coperture fittili, favorendo l’emergenza di alcuni centri più avanzati; tra
questi spiccano Corinto e Argo.
 CORINTO in particolar modo è la prima pòlis a guidare il processo di litizzazione attraverso le nuove coperture
in terracotta; la città ha il primato nella realizzazione del nuovo sistema di copertura ed è un importante centro
di produzione ceramica durante l’orientalizzante. L’innovazione interessò solo le strutture sacre più
importanti, determinò un aumento del peso del tetto, con un conseguente ridimensionamento delle strutture
portanti, favorendo l’avvio della trasformazione in pietra.
I primi tetti in terracotta documentati archeologicamente, risalenti all’VII secolo, sono quelli dei templi di
Apollo a Corinto, edificio parzialmente lapideo e privo di peristasi, e del tempio di Poseidone a Isthmia, il cui
nucleo interno, interamente in pietra, è racchiuso da una peristasi lignea di 7x18 colonne doriche.
 ARGO deve essere riconosciuta come uno dei centri propulsivi di queste trasformazioni e appare precoce lo
sviluppo delle terrecotte architettoniche. Il sistema di copertura argivo si evolve dalla metà del VII secolo.
L’edificio più importante riconducibile alle officine argive è il tempio realizzato nell’Heràion di Argo, principale
santuario della città, un periptero di 6x14 colonne, ancora in materiali deperibili, con un pronao distilo in antis,
cella suddivisa da colonnati.
Lo sviluppo dell’architettura in pietra connota i centri principali dell’elaborazione delle imprese edilizie
pubbliche, sia in ambito urbano sia nei santuari panellenici, dove è favorita la visibilità del potere politico
(i primi regimi tirannici bisognosi di una visibilità del potere politico favoriscono importanti imprese edilizie
pubbliche ed in particolare la costruzione dei santuari panellenici). La fabbricazione in serie delle tegole e
l’attività di cava finalizzata alla produzione di conci lapidei regolari creano ambiti di lavoro specializzati e
trasformano il cantiere edilizio in un’attività produttiva, agevolando in questo modo anche la crescita della
pòlis- Il successo del sistema ha determinato la diffusione rapida e capillare anche in altre città, e lo sviluppo
iniziale interessa in maniera prevalente l’ambito sacro.
In questo contesto, una particolare rilevanza riveste la produzione architettonica laconica, il cui santuario più
significativo è quello di Artemide Ortigia a Sparta, il quale è interessato alla costruzione di un nuovo altare
parallelepipedo in pietra e di un primo tempio; quest’ultimo è privo di peristasi e presenta una cella
rettangolare allungata, suddivisa in due navate da una fila di colonne; l’edificio avrebbe ricevuto una prima
copertura a due falde in terracotta intorno alla metà del VII, poi sostituita all’inizio dell’ultimo quarto del
secolo, la quale attesta la formazione di una specifica produzione laconica.
Particolarmente scarsa è la documentazione archeologica dell’Attica mentre possiamo notare i primi sviluppi
nella Grecia nord-occidentale con una produzione di terracotta che influenza Corfù e L’Occidente greco. Anche
la Grecia insulare e orientale si evolve architettonicamente con una maggiore articolazione delle aree sacre e
nuove tipologie edilizie, come stoài (portici a fronti colonnate), propilei, hestiatòria (edifici per i pasti
comunitari). Nell’Egeo centrale la tipologia edilizia maggiormente diffusa è quella a òikos con vani interni
suddivisi da colonne e banchine lungo le pareti, altari per offerte e focolari, di cui l’esempio più significativo è
il santuario extraurbano di Dioniso a Yria (Naxos), il quale è racchiuso da un alto peribolo e accessibile
attraverso un propilei e con due hestiatòria (sala per i banchetti rituali) e un tempio interamente in pietra di
pianta quadrangolare con tre navate e un eschara in quella centrale.
Nell’VII secolo si diffonde la costruzione di vie sacre che collegano la città al temenos, spesso
monumentalizzata come nel santuario extraurbano di Era e Samo, dove vengono rinnovati il tempio e l’altare,
e o costruita una monumentale stoà a due navate. Il nuovo tempio chiamato ekatompedon II fu costruito sui
resti e le proporzioni di uno precedente, con mura perimetrali decorate con fregio ionico e fronte prostila;
l’altare fu recintato secondo il modello ionico.
 CRETA, favorita da una pozione geografica vantaggiosa, svolge un ruolo chiave nella nascita e nello sviluppo
della cultura orientalizzante. L’architettura cretese mantiene la tipologia a òikos, combinandola con le
soluzioni a vestibolo chiuso, mentre gli elevati interamente in pietra e le coperture piane accentuano le affinità
con la coeva produzione dell’Egeo centrale. Creta inoltre ha il primato di aver introdotto la decorazione
scultorea all’interno degli edifici tempari di influenza assiro-babilonese: nei resti del tempio A di Prianias,
troviamo una struttura costituita da una cella a pianta rettangolare preceduta da un vestibolo; all’interno
troviamo un eschàra centrale, inquadrata da sostegni lignei del solaio della copertura, e una banchina sul lato
sud. Interessante è la decorazione figurata: un architrave scolpito sormontato da un’apertura inquadrata tra
le due divinità sedute e affrontate, e un fregio figurato continuo con teoria di cavalieri.
Anche nel mondo occidentale affiorano esigenze più complesse, che determinano la nascita di una specifica
architettura religiosa dotata di caratteristiche proprie e di una notevole capacità di sviluppo; è il periodo
intorno al 640 che segna la strutturazione delle principali aree di culto delle comunità coloniali, attestando un
certo ritardo rispetto alle trasformazioni che investono la madrepatria e l’Oriente.
Per tutto il VII secolo, gli edifici templari sono costituiti da òikoi privi di peristasi esterna, in genere costruiti
con materiali deperibili; di proporzioni abbastanza allungate e spesso dotati di una fila di colonne interne a
suddividere la cella due navate, presentano quasi sempre un pronao.
3.3 PRODUZIONI, CONSUMI E COMMERCI NELL’ETA’ DELL’ORIENTALIZZANTE
L’orientalizzante interessa l’intero VII secolo, ma è anticipato da fenomeni di apertura culturale già dalla metà del
secolo precedente (dalla fine del MGII). I materiali d’importazione nella tomba della “Rich Lady” ad Atene ne sono una
testimonianza significativa: il modello del granaio, sigilli e gli oggetti d’oro rappresentano la crescita di un’aristocrazia
terriera che investe ricchezza con il mondo orientale.
A caratterizzare il periodo orientalizzante è proprio l’influsso e il fascino che l’oriente esercitò sui greci; questo influsso
fu naturalmente veicolato e accresciuto dal commercio: adesso infatti non sono solo gli Euboici a stringere legami con
l’Asia minore e l’Occidente dal momento che abbiamo in questo periodo i primi insediamenti di Cirene in Libia, di greci
in Africa settentrionale e nel Mar Nero; anche Samo e Rodi partecipano al commercio come dimostrano i loro grandi
santuari ricchi di doni provenienti dall’oriente. Corinto fu la prima città greca che già nella seconda metà dell’VIII secolo
accoglie e rielabora elementi iconografici e orientali nella decorazione ceramica, produzione che si sviluppa fino ai
primi decenni del VI secolo; si tratta di vasi di piccole dimensioni, per lo più decorati secondo uno stile lineare. Le
forme più diffuse sono gli aryballoi, oinchòai, kotylai e pissidi.
CERAMICA PROTOCORIZIA
Distinguiamo la ceramica protocorinzia del periodo orientalizzante in:
 PROTOCORINZIO ANTICO (720-690, abbreviato APC) lungo il quale si diffondono motivi decorativi come
palmette, fiori di loto, elementi vegetali, tracce all’interno di un disegno prevalentemente geometrico, su
superfici chiare.
 PROTOCORINZIO MEDIO (abbreviato MPC) si distingue in due fasi:
MPC1 nella prima fase si sviluppa uno stile a figure nere ancora su vasi di piccole dimensioni; la pittura
vascolare inizia ad organizzare le prime scene narrative e sono riconoscibili i primi pittori (di Cani, di Aiace) che
adottano nuove tecniche, come l’incisione. Inoltre in questo periodo si ha lo sviluppo delle forme, in
particolare degli aryballoi che diventano ovoidali e più slanciati.
MPC2 nella seconda fase si sviluppa un secondo stile a figure nere. La tecnica pittorica assume forme più
calligrafiche e l’incisione acquista maggiore importanza, le decorazioni diventano più miniaturistiche, con
teorie di animali, figure mitologiche, scene di battaglia. Alcuni aryballoi hanno dimensioni monumentali e
accolgono anche elementi a rilievo: la bocca può essere conformata a testa di leone.
Si distinguono le produzioni di diverse botteghe, come quella del Pittore di Bellerofonte su una kotyle da
Egina, sul vaso è rappresentata la lotta tra Bellerofonte sul cavallo Pegaso e la Chimera, o quella del Pittore di
Ekphantos al quale appartiene la produzione di vasi plastici.
 PROTOCORINZIO TARDO (650-630, abbreviato TPC) si realizzano opere più impegnative, tra cui l’Olpe Chigi.
Questo vaso, rinvenuto in una sepoltura presso Formello, presenta una monumentalità insolita e una
decorazione figurata suddivisa in più fregi sovrapposti: sulla spalla, una schiera di opliti che si muove al suono
dell’auleta (suonatore di flauto che segna il tempo di marcia), mentre il fregio principale è organizzato per
scene continue: una sfinge con due corpi, una caccia al leone, il giudizio di Paride. Fregi minori concludono
l’impianto decorativo del vaso, con una caccia di selvaggina nella zona bassa del ventre e decorazioni vegetali
in bianco su sfondo nero sul labbro e sul collo e cani che assalgono lepri subito dopo sotto l’ansa. L’Olpe è un
vaso eccezionale per le sue dimensioni, alto 26 cm, e per l’impianto iconografico e per le tecniche impiegate
(incisione, policromia, pittura su sfondo nero).
I ceramisti producono vasi configurati a leone, civetta, uccelli (colombe, pernici), anch’essi utilizzati per
contenere oli profumati.
OLPE CHIGI
Autore: Pittore Chigi
Datazione: passaggio tra protocorinzio PCM e protocorinzio PCT (650-640 a.C.)
Materiale: ceramica policroma
Dimensioni: h 26 cm
Provenienza: tomba nei pressi di Veio (Roma)
Collocazione attuale: Roma, Museo nazionale di Villa Giulia

L’Olpe Chigi è una brocca a bocca rotonda di produzione protocorinzia. Fi rinvenuta


nel 1882 insieme ad altri vasi, all’interno di una tomba a tumulo nella località di
Monte Aguzzo, a circa 5 km da Veio (Roma).
L’Olpe è alto 26 cm e data il passaggio tra protocorinzio medio PCM e protocorinzio
tardo PCT (650-640 a.C.), ma anche uno dei momenti di massima potenzialità
espressiva dello stile a figure nere corinzio: figure disposte in profondità e in spazi
liberi da riempitivi, secondo un principio prospettico rudimentale ma efficace e con
estesi ritocchi policromi in bianco, rosso, giallo e bruno.
L’Olpe è quasi completamente ricoperto da un decoro figurato disposto in tre fregi
sovrapposti, di cui quello centrale (altezza maggiore) è il più significativo nel
programma figurativo.
FREGIO INFERIORE: scena di caccia alla lepre e alla volpe
Tutti gli studiosi sono sostanzialmente d’accordo nell’affermare che il fregio inferiore raffigura una caccia “semplice”,
non pericolosa, avendo come obiettivo lepri e volpi. Questo tipo di caccia costituisce, nel sistema dei valori del mondo
greco, il primo gradino dell’educazione riservata al giovane aristocratico greco.
Nel fregio vediamo infatti alcuni giovinetti nudi con capelli corti avventurarsi in un paesaggio caratterizzato da arbusti
e cespugli ai confini con foreste e luoghi incolti. La caccia si svolge con reti e bastoni; fondamentali doti richieste ai
giovani cacciatori sono l’agilità atletica per inseguire la preda e la capacità strategica e risolutiva. In greco questa virtù
è detta metis che può trovarsi tradotta con “astuzia” ma non è semplice astuzia, è piuttosto la capacità di risolvere in
volta in volta i problemi e di conseguire gli obiettivi che ci si è prefissati.
FREGIO MEDIANO: un soggetto complesso e le “nozze splendide, ma pericolose”
Il fregio centrale, quello di maggiore estensione, è di più difficile lettura. Osserviamo anzitutto la prozione di scena che
ci propone quattro cavalieri, ciascuno su un cavallo con accanto un secondo cavallo privo di cavaliere, preceduti da un
carro. Questi cavalieri sono, a detta di tutti gli studiosi, gli hippostrophoi, ossia scudieri che tengono per le briglie un
secondo cavallo privo di montatura. E’ stato evidenziato che il secondo cavallo implica di conseguenza che da qualche
parte ci sia un cavaliere, un hippobates, smontato, più importnate ovviamente dello scudiero che custodisce la
cavalcatura. Alla stessa maniera sulla quadriga è rimasto il solo auriga, mentre il guerriero è smontato. I quattro
cavalieri (hippobatai) smontatia terra e il guerriero sceso dl carro potrebbero identificarsi nei cinque personaggi che
seguono nel fregio, impegnati in una drammatica caccia al leone. Le due scene (ossia quella degli scuderi e quella
successiva di caccia al leone) sono infatti collegate tra loro da una sfinge bicorpore, ora interpretata come Ker, demone
della morte associato nei poemi omerici e nella poesia arcaica a feriti, moribondi e morti; la Ker sarebbe dunque nel
fregio dell’Olpe segnacolo di morte e liminalità.

La caccia al leone è caccia “pericolosa” per eccellenza, da intendersi non tanto come pratica reale, bensì in chiave
simbolica e paradigmatica dell’espressione massima dell’aretè (virtù) del giovane aristocratico. E’ infatti del tutto
improbabile che il Peloponneso di VII secolo a.C. fosse popolato da leoni, ma delle cacce ai leoni i Greci devono aver
sentito parlare o dai mercenari greci che si erano recati nel Vicino Oriente per combattere al soldo dei potenti re assiri
e babilonesi. Si tratta dunque dell’appropriazione da parte dei Greci della caccia regale vicino orientale, exemplum
virtutis (paradigma di virtù) dei sovrani assiri, egiziani, hittiti, persiani ecc. Una tale fatica pericolosa non può che essere
affrontata vittoriosamente in gruppo; l’animale pericoloso viene vinto solo grazie al concorso delle forze di tutti; la
nozione di gruppo, che si riporporrà nel fregio superiore dello scontro oplitico, è centrale nell’ideologia aristocratico-
oligarchica.
In sintesi:
Il secondo fregio rapprenda un episodio unitario: ciò che succede a destra e sinistra della sfinge bicorporee è da leggere
come scena unica. Il secondo fregio rappresenta una caccia “pericolosa” (caccia al leone vista come simbolo:
exemplum virtuosi di tipo regale, modello vicino a quello orientale). La presenza della sfinge bicorporee allude al
pericolo mortale. Alla caccia partecipano 5 personaggi, gli hippobatai e il proprietario di quadriga (forse il personaggio
nudo con cintura), uno dei cinque però soccombe, il pericolo è superato grazie al concorso delle forze di tutti.
IL FREGIO MEDIANO: le “le nozze splendide” e il Giudizio di Alexandros/Paride:
Il fregio mediano si compone di un terzo episodio, l’unico di tuta l’olpe che rechi delle “didascalie” dipinte dal pittore
sopra i persoanggi, ad ulteriore riprova che, se le altre figure erano da intendersi come generiche, queste invece
dovevano essere correttamente identificate.
A sinistra vediamo Alexadros, ossia Paride, il cui nome più frequente nell’epica omerica e nella letteratura arcaica è
appunto Alexadros; seguono tre figure femminili (purtroppo solo parzialmente leggibili per l’ampia lacuna nel corpo
del vaso) che le didascalie dipinte consentono di identificare come Hera, Atene e Afrodite. Il soggetto rappresenta il
celebre episodio del “Giudizio di Paride”, antefatto della Guerra di Troia, narrato in un poema epico, i Kypria, di VII
sec. a.C., di cui si conservano solo frammenti.
Narrano i Kypria che in occasione delle nozze di Peleo e Teti (futuri genitori di Achille), Zeus suscita con l’aiuto di Eris
(dea della discordia) una contesa tra Hera, Afrodite e Atena su chi delle tre dee sia la più bella. La difficile decsione
ricade sul bellissimo pastore troiano Alexadrons/Paride che scegli Afrodite, nonché il premio da lei promesso, di avere
in cambio la donna più bella del mondo: Elena.
FREGIO SUPERIORE: lo scontro oplitico
Il processo di maturazione del giovane aristocratico si completa con il suo impegno, ormai adulto, come guerriero nello
scontro oplitico, armato della panoplia che lo rende cittadino a tutti gli effetti. Come oplita l’aristos difende la sua città
e i suoi abitanti dagli aggressori esterni.
Nello scontro oplitico del fregio superiore dell’Olpe Chigi è peraltro possibile leggere anche un’eco della Guerra di
Troia, scoppiata come conseguenza della scelta matrimoniale non ponderata, quindi “sbagliata”, di Alexandros/Paride.

CONCLUDENDO:
I fregi dell’Olpe Chigi sono una programmatica rappresentazione per immagini del processo di maturazione di un
giovane aristos corinzio, il quale è dapprima chiamato a dare prova della propria virtù (forza fisica, astuzia, coraggio),
quindi a compiere la giusta scelta matrimoniale per un’adeguata perpetuazione della famiglia.
L’olpe ì, vero amalgama per immagini, venne commissionata dalle elites corinzie forse come dono di nozze per il gamos
di un giovane aristos che, giunto a piena maturazione, con il matrimonio entrava nella condizione di cittadino a pieno
titolo.
CERAMICA PROTOATTICA
Se Corinto si porta alla testa del nuovo stile, Atene e l’Attica in genere restano ancorate al proprio, pur non rinunciando
alle interpolazioni orientali e alla sperimentazione di nuove tecniche. Una certa marginalità rispetto alla scia
internazionale può essere dovuta alla minore produzione vascolare: le pratiche funerarie, che avevano spinto la
manifattura locale verso la monumentalità dell’età tardo geometrica, sembrano più contenute e possono aver dettato
un cambiamento del sistema artigianale.
Distinguiamo la ceramica protoattica del periodo orientalizzante in tre fasi:
 PROTOATTICO ANTICO (700-675) rimane ancora legato a stilemi tardo geometrici (riempitivi, fregi, elementi
plastici serpentiformi) e mostra una resistenza alle nuove mode iconografiche. La bottega del Pittore di
Analatos mantiene un impianto sia nell’organizzazione dei fregi decorativi sia nella tettonica. Ma si delineano
meglio le figure umane, anche se sul collo di una hydrìa da Analatos la scena di chròs (ballo in cerchio è un rito
protettivo) ripropone una versione elaborata delle sagome tardo geometriche, così come la processione di
carri su un’anfora al Louvre o su un cratere di Egina. In quest’ultimo il fregio di leoni nello spazio tra le anse
mostra un interessamento ai modelli orientali con la coppia di leoni rampanti, elementi vegetali e uccelli,
dunque ripropone modelli orientalizzanti in una forma più disordinata e narrativa.
 PROTOATTICO MEDIO (675-630) vede il formarsi di diverse botteghe, di cui è possibile riconoscere gli stili e le
produzioni: il Pittore della Scacchiera, quello di Polifemo, quello della Brocca degli Arieti. Quest’ultimo
raffigura Odisseo e i compagni che sfuggono a Polifemo legati agli arieti, ed è un esempio importante della
nuova tecnica. In questa fase infatti si prediligono forme di grandi dimensioni come crateri e anfore con
rappresentazioni impegnative. Il Pittore di Polifemo sul ventre di un’anfora disegna le Gorgoni che inseguono
Perseo, protetto da Atena, e solo sullo spazio metopale, l’accecamento del ciclope con la tecnica del “racconto
compendiario” (più azioni in una sola scena), rinunciando ai riempitivi. Nella seconda metà del VI secolo il
Pittore del Nesso di New York sembra superare questo stile bianco e nero in una tecnica più compiutamente
a figure nere, in un’anfora che raffigura l’uccisione di Nesso da parte di Eracle e il mito di Perseo in maniera
allusiva e compendiaria, usando anche l’incisione.
 PROTOATTICO TARDO segna il passaggio alla pittura vascolare a figure nere con il Pittore di Berlino A34 e
soprattutto con il Pittore del Nesso, attivo nell’ultimo quarto del VI secolo. Quest’ultimo predilige forme di
grandi dimensioni (crateri-skyphoi a volte con coperchio, anfore a collo distinto e profilo continuo) su cui
dipinge scene narrative con uno stile fortemente compendiario, utilizzando la nuova tecnica dell’incisione, a
fianco di riempitivi di tradizione locale e corinzia. Nel vaso di Atene attribuito al Pittore di Nesso la
rappresentazione del combattimento tra Eracle e il centauro Nesso riprende il mito di Perseo, raccontando
l’episodio in forma allusiva, rinunciando a raffigurare l’eroe.
Alcuni pittori raggiungono un calligrafismo e una capacità disegnativa notevole, la personalità più importante
è quella del Pittore della Gorgone (600-580) che padroneggia già tutte le tecniche che caratterizzano la
produzione successiva, visibili nel suo dèinos con la rappresentazione di Perseo e della Gorgone nella zona
superiore del vaso, tanto da essere valutato in un orizzonte arcaico.
CERAMICA LACONICA E CICLADICA
Anche la ceramica Argiva diviene più narrativa, come possiamo vedere in un cratere da Argo raffigurante
l’accecamento di Polifemo su “rocce a squame” (corinzio), mentre le tecniche spartane si sviluppano in senso orientale
solo a partire dal 620, come vediamo dai ritrovamenti presso il santuario di Artemide Orthìa, soprattutto kotylai, coppe
monoansatiche, chantaroi di derivazione corinzia. Più vivace è la produzione cicladica concentrata sulla raffigurazione
di animali e scene narrative (gruppo Melio) e quella cretese con uno stile molto disegnativo e tessitura continua. La
particolarità dell’isola sta in grandi pytoi monumentali (fino a due metri) a bassorilievo con incisi motivi geometrici ma
anche scene di battaglia. La ceramica Rodia si caratterizza per teorie di animali ossessive e poche scene narrative.
HYDRIA DA ANALATOS
Autore: Pittore di Analatos
Datazione: protoattico antico (700-675 a.C.) VII secolo
Materiale: ceramica
Tecnica: silhouette e contorno
Dimensioni: 80 cm
Collocazione attuale: Atene, Museo Archeologico Nazionale
Analisi in breve: motivi floreali curvilinei e leoni (in gran parte cancellati) sono
indicatori di un nuovo stile “orientalizzante” ad Atene, mentre le figure in gran
parte silhouette (collo) cambiano la vecchia silhouette geometrica con il
contorno.
Decorazione: maschi e femmine in lutto (collo), leoni di fronte a un (corpo)
floreale.

Il Pittore di Analatos era un ceramografo attico ad Atene intorno al 700 a.C. ed


è anche quello che ha contribuito a diffondere i nuovi motivi orientalizzanti.
Il nome deriva dalla Hydrìa di Atene trovata a Analatos; lavoro giovanile che è
anche uno dei suoi migliori se non il migliore, per la freschezza e la vivacità del
disegno, l’esuberante e impetuosa fantasia, la ricerca di curve e volute. Nelle
zone secondarie di questo hydrìa i motivi, la sintassi decorativa e la tecnica
(silhouette) sono ancora geometrici; nel fregio principale, invece, dominano
piante, foglie, uccelli, leoni, eseguiti (eccetto i leoni e i due uccelli sotto le anse) nella nuova tecnica della linea di
contorno. Grosse foglie carnose sono rappresentate in un motivo caratteristico a tre o cinque foglie e puntini, che
riappare, più moderato e disciplinato, nella produzione più recente del pittore. Sul collo, ci sono donne e uomini che
danzano tenendosi per mano guidati da un suonatore di lyra: gli uomini sono ancora disegnati a silhouette, ma le
donne hanno una linea di contorno e file di punti che si ritrovano su buona parte della produzione del pittore. Le file
di punti non sono proprie solo di lui, ma egli sembra esser stato il primo a sostituirle al quadrettato del Geometrico
tardo. Sulla faccia principale del vaso, due leoni araldici a fauci spalancate e denti aguzzi, magri e legnosi, ma potenti,
si ergono obliqui fra la vegetazione rigogliosa e gli uccelli. La silhouette dà loro un forte e felice risalto in confronto agli
altri motivi, tutta a linea di contorno. Sotto un’ansa, un uccello acquatico a lungo collo becchetta una foglia. Malgrado
l’importanza e l’altezza del fregio principale, questo si fonde abbastanza bene con le zone a decorazione geometrica e
non spezza l’effetto unitario della decorazione.

STILE
Erede della tradizione figurativa che proveniva dal Maestro del Dypilon e di cui mantiene alcuni schemi rappresentativi
come le sfilate dei carri o le decorazioni astratte, introduce nella produzione vascolare attica i motivi orientalizzanti
provenienti da Corinto come gli animali fantastici e le decorazioni floreali, oltre alla tecnica delle incisioni inventata
sempre a Corinto e chiamata tecnica a figure nere, la quale verrà impiegata stabilmente ad Atene solo qualche anno
più tardi. Malgrado una preferenza per le linee sinuose e per la consistenza corporea quale si può notare nelle figure
femminili vestite e nei volti maggiormente particolareggiati, resta ancora forte la tendenza alla paratassi e all’antitesi
geometrica.
BROCCA DEGLI ARIETI
Autore: Pittore Brocca degli Arieti (nome convenzionale assegnato al
vasaio e ceramografo di questo vaso)
Datazione: protoattico medio (675-630 a.C)
Materiale: ceramica
Tecnica: silhouette e contorno
Dimensioni: //
Collocazione attuale: Egina, Museo Archeologico

Pittore attico che ha dipinto nello stile “nero e bianco” un gruppo di vasi
fra i migliori del protoattico medio (675-650 a.C.). Il nome deriva da uni
dei suoi lavori migliori, una brocca frammentaria del Museo di Egina con
la fuga di Odisseo e dei suoi compagni, nascosti sotto un ariete. Il pittore
ha dipinto soprattutto sostegni di cratere, crateri, anfore, cioè grandi che
gli permettevano di dare al fregio principale, prevalentemente narrativo,
dimensioni notevoli e, quindi, maggior risalto. Ha usato tecniche svariate:
la silhouette, talvolta con particolari sopra dipinti in bianco, o incisi; la
linea di contorno con particolari interni in vernici nera, talvolta diluita e
brunastra. Ha usato abbondantemente il bianco anche per i corpi maschili,
ma non lo adopera in eguale misura su tutti i vasi: in alcuni è la tinta predominante in altri si trova solo per particolari.
Non sembra aver usato gli esuberanti motivi vegetali, volute e lacci, frequenti nei pittori della sua età. Il suo schema
decorativo è semplice: in alto fregio, spesso narrativo, quasi un quadro a pochi personaggi; uno o più fregi minori,
generalmente raggi triangolari, o una fila di animali che pascolano. Sono fregi semplici che non distolgono l’attenzione
della scena principali. Anche i motivi di riempimento sono rari.

La Brocca degli Arieti, a cui il pittore deve il nome, è a corpo scacchiato, una forma non usuale nella ceramica attica di
questa età, frequente in quella di altre fabbriche. Perciò è stato supposto che il vaso non fosse attico, ma protocorinzio,
argivo, cretese, cicladico. Il ritrovamento di altri vasi attici di uguale mano ha chiuso la questione.
Sulla brocca, la composizione della scena è semplicissima: tre arieti, di cui uno solo quasi completo, avanzano tranquilli
l’uno dietro l’altro, un greco è aggrappato a una delle corna. Gli uomini sono lunghi e magri; gli animali, invece, hanno
una corporeità rara in questo periodo, son disegnati con mano sicura e caratterizzati anche nella lana ricciuta; il grande
occhio umano dà loro uno sguardo mansueto e intelligente. Ciascun ariete è simile agli altri (quello centrale, più
grande, sarà quello di Odisseo); ciascun uomo è simile ai compagni. La triplice ripetizione di uno stesso schema è ricca
di effetto. Le teste di Odisseo e del compagno sono disegnate quasi di tre quarti: è una innovazione che il pittore non
usa altrove e che rimane isolata. La tecnica usata è quasi esclusivamente la linea di contorno; i corpi umani sono dipinti
in bianco.
ANFORA DI ELEUSI
AUTORE: Pittore di Polifemo
DATAZIONE: Protoattico medio (675-630) 660 a.C.
MATERIALE: Ceramica
TECNICA: silhouette e contorno
DIMENSIONI: 142 cm
COLLOCAZIONE ATTUALE: Eleusi, Museo Archeologico

Pittore di Polifemo è il nome convenzionale assegnato ad un ceramista e


ceramografo protoattico, formatosi probabilmente nella cerchia del Pittore
di Mesogeia, e attivo nel secondo quarto del VII secolo a.C. (Protoattico
medio) forse a Egina, dove si ritiene sia nato e tornato dopo il periodo di
formazione. Il nome deriva dal soggetto rappresentato sul collo di
un'anfora a lui attribuita (Eleusi, Museo archeologico 2630), ritrovata nel
1954 nella necropoli di Eleusi, detta Anfora di Eleusi, che ne esemplifica
magistralmente la personalità e che riassume allo stesso tempo alcuni degli
aspetti caratteristici della ceramica protoattica ormai completamente
liberatasi dal "classicismo" geometrico: sperimentazioni tecniche,
esuberanza compositiva e stilistica, attenzione agli aspetti narrativi.
Le figure del Pittore di Polifemo hanno caratteristiche isolane e dalle isole
sembrano provenire alcuni elementi decorativi e gli ornamenti di riempimento. Usa sia la tecnica a contorno sia
l'incisione.
Prima del ritrovamento dell'Anfora di Eleusi, alcune opere ora attribuite al Pittore di Polifemo erano state ricondotte
alla mano di un autore chiamato Pittore dei cavalli ora riconosciuto come lo stesso autore in una fase giovanile,
caratterizzata da animali grandi e aggressivi con la bocca aperta e i denti in evidenza, espressioni di uno stile liberatorio
e forzatamente selvaggio. L'anfora di Eleusi appartiene ad una fase più matura del suo lavoro. Al pittore di Polifemo è
stato ricondotto anche un supporto frammentario (Berlino, Antikensammlung A 42) precedentemente attribuito al
Pittore della Brocca degli arieti.

L'Anfora di Eleusi, datata al 660 a.C., è un'anfora monumentale a scopo funerario e un'opera sperimentale sia dal
punto di vista tecnico sia per quanto riguarda la rappresentazione e la narrazione. Sul corpo del vaso il Pittore di
Polifemo ha rappresentato il mito di Perseo, dove la sua attenzione si è concentrata sull'iconografia e sulla resa formale
delle Gorgoni; l'iconografia è ancora liberamente interpretata non sussistendo a quest'epoca alcuna rappresentazione
convenzionale per questi personaggi mitici, ma la parte più interessante di
queste figure è la resa pittorica della volumetria dei corpi, con un chiaroscuro
ottenuto con veloci tratti scuri e lumeggiature bianche aggiunte. Come altre
sperimentazioni del periodo anche questa del Pittore di Polifemo non avrà
seguito e verrà ripresa solo dopo un secolo e mezzo circa, nel cratere con la
lotta tra Eracle e Anteo dipinto da Eufronio (Louvre G 103). Il collo dell'anfora
contiene a fatica la scena dell'accecamento di Polifemo. La sperimentazione
pittorica viene ripresa solo per il corpo di Ulisse a sottolineare l'importanza
del personaggio, ma anche la consapevolezza da parte dell'autore circa l'uso
dei propri strumenti; per le altre figure il ceramografo impiega la silhouette,
il contorno e qualche dettaglio inciso. La cornice della rappresentazione viene
inglobata nella rappresentazione stessa, i compagni di Ulisse afferrano
un'asta immaginaria formata dalle tre linee che fanno da cornice alla scena. Il movimento è dato dalla spinta in avanti
di Ulisse che punta il proprio ginocchio su quello di Polifemo; l'occhio e la bocca aperti del ciclope sembrano una delle
pochissime rappresentazioni del dolore in epoca arcaica. La libertà nei confronti della narrazione poetica è mostrata
nel numero dei personaggi e nell'iconografia della scena che privilegia gli aspetti stilistici e compositivi, ma soprattutto
è interessante l'elaborazione degli aspetti narrativi con il tentativo, uno dei primi nell'arte greca a quanto sappiamo,
di superare in modo ancora rudimentale lo svantaggio nello svolgimento temporale della narrazione, raffigurando
contemporaneamente momenti successivi di un'azione (Polifemo tiene nella mano sinistra la coppa di vino benché
appartenga ad un momento diverso del racconto), violando così l'unità di tempo.
VASO DEL PITTORE DI NESSO
AUTORE: Pittore di Nesso (nome convenzionale assegnato al vasaio e
ceramografo di questo vaso)
DATAZIONE: Protoattico tardo 625-600 a.C. (fine VII secolo)
MATERIALE E TECNICA: Ceramica a figure nere (primitivo)
DIMENSIONI: 122 CM
COLLOCAZIONE ATTUALE: Atene, Museo Nazionale Archeologico
SOGGETTI: Eracle combatte Nessos (collo); due grandi gorgoni fuggono da
Perseo (non mostrato). Un terzo, già decapitato, cade in avanti. La velocità
di fuga delle Gorgoni è indicata dalle loro membra ben flesse e dai delfini,
indicando il mare, che nuotano nella direzione opposta.

Pittore di Nesso è il nome convenzionale assegnato ad un ceramografo


attico del primo periodo della ceramica a figure nere. Prende il nome da
una grande anfora funeraria, detta Anfora di Nesso (Atene, Museo
archeologico nazionale 1002), sulla quale è raffigurata la lotta tra Eracle e
il centauro Nesso. Per il periodo interessato è la prima personalità di
ceramografo che giunge a noi chiaramente definita, e che sia stato la prima
grande personalità della nuova ceramica attica è attestato dalla presenza
di un suo vaso in Italia, il primo vaso attico trovato in un territorio che era
stato fino a questo momento monopolio commerciale corinzio; il
frammento che ci è giunto è ora conservato a Lipsia, ed è stato trovato a
Caere, in Etruria.

Nello stile del Pittore di Nesso la tendenza al movimento ereditata dalla ceramica protoattica risulta controllata e
risolta attraverso elementi compositivi come lo sconfinamento delle figure dai margini dei pannelli. La precisione nelle
linee è invece un elemento che deriva dall'osservazione di lavori protocorinzi; l'unione del controllo lineare e formale
con la predilezione attica per il monumentale, gli aspetti narrativi e per il movimento, determina la qualità dei lavori
di questo ceramografo e la nuova strada intrapresa dalla ceramica attica. Il Pittore di Nesso dipinse grandi vasi con
una particolare predilezione per figure di animali sia reali sia fantastici; rappresentò scene mitiche, alcune delle quali
piuttosto complesse, con un gusto particolare per la sintesi narrativa attraverso accenni e simboli. La sua fonte
d'ispirazione fu la ceramica corinzia; tra gli esempi di questa forte influenza è possibile indicare il Gorgoneion, che si
trova nella ceramica protocorinzia prima della metà del VII secolo a.C. e che viene introdotto in Attica dal Pittore di
Nesso nella decorazione interna di una lekanis. Nella sua bottega fu realizzato un nuovo tipo di anfora (anfora a profilo
continuo del tipo B), la cui forma divenne canonica.

È il capolavoro delle prime figure nere attiche; sul corpo sono raffigurate le Gorgoni alate in fuga, nell'atteggiamento
della "corsa in ginocchio" (detta anche Knielauf o piegarsi su un solo ginocchio) che diverrà tipico e convenzionale e
che si forma in questi anni (lo si trova nella figura di Perseo sulle metope di Thermo); sotto vi è un fregio di delfini che
simboleggiano il mare al di sopra del quale avviene l'inseguimento (come racconta Esiodo)
e che nuotano nella direzione opposta rispetto a quella delle Gorgoni aumentando il senso
del movimento. La figura di Perseo non viene rappresentata. La spalla dell'anfora è decorata
con un motivo floreale in stile orientalizzante che deriva dai vasi protocorinzi. Sul collo sono
rappresentati Eracle e Nesso, ed entrambi i personaggi sono identificati attraverso
iscrizioni: Eracle ha afferrato il centauro per i capelli e sta per affondare la spada nel suo
corpo; Nesso implora di essere risparmiato, allungando le braccia verso Eracle, fino a
sfiorargli la barba, ulteriore convenzione iconografica che continuerà ad avere grande
fortuna in seguito. Sulle maniglie non forate si trovano cigni e la civetta ateniese, sull'orlo
dell'imboccatura una fila di oche. La spirale a uncino protoattica e la rosetta punteggiata corinzia convivono
nell'ornamento di riempimento. Ci sono tracce di rosso e di bianco oltre ad un primo esempio di schizzo inciso,
utilizzato sporadicamente nelle figure nere e regolarmente nelle figure rosse, per tracciare le linee principali della
composizione.
PITTORE DELLA MESOGEIA
Il Pittore della Mesogeia era un ceramografo attico, attivo alla fine dell'VIII e inizio del VII sec. a. C. È uno dei pittori
che segnano il passaggio fra i vasi geometrici e quelli protoattici.
La tecnica usata è la silhouette unita alla linea di contorno; l'incisione è eccezionale e si trova solo per motivi secondari.
Ha dipinto crateri e idrie, per le quali segue la nuova corrente orientalizzante, e piccoli vasi - tazze e kotỳlai - più
trascurati, eseguiti rapidamente e ancora nella tradizione geometrica. Abbiamo di lui: un frammento di cratere, di cui
conosciamo solo un disegno; un'idria a Berlino (inv. 31312); tre idrie nella Collezione Vlasto ad Atene; due tazze a
piede e una kotỳle, anche esse nella Collezione Vlasto. Queste ultime apparentemente sembrano più arcaiche dei
grandi vasi, tuttavia sono contemporanee, perché trovate nelle stesse tombe in cui furono trovate due delle idrie.
Sui grandi vasi il pittore ha usato tanto i motivi del tardo-geometrico (danza di donne con rami in mano; cavalli; motivi
geometrici di riempimento, fra cui, di preferenza, linee parallele ondulate che formano tappeto) quanto quelli
orientalizzanti (leoni, sfingi, centauri, palmette e volute fitomorfe). Le sue sfingi sono caratteristiche e diverse da quelle
dei contemporanei: hanno l'ala doppia, cioè sopra e sotto il corpo. Questo tipo di doppia ala è rarissimo in Grecia; è
più frequente nell'Etruria del VII sec. a. C., ma è sempre molto diverso dalla stilizzazione del nostro pittore.
I motivi orientalizzanti sono riserbati unicamente alle zone principali del vaso (al fregio fra le due anse e, in un caso, a
quello intorno al collo). Il resto del vaso è geometrico, sia per i motivi che per il modo come sono disposti. A differenza
di altri pittori della sua età, il Pittore della M. non è riuscito a fondere il vecchio con il nuovo. Egli ha cercato di
uniformarsi al nuovo gusto, ma è sempre rimasto fedele allo spirito geometrico.
Gli animali, reali o mitici, dei fregi sono, se presi singolarmente, chiari ed equilibrati. L'insieme del fregio, però,
composto di identici animali che si muovono nella stessa direzione, è slegato e monotono. Solo il tappeto di linee
ondulate che si stende sul fondo lega gli animali fra loro. Nelle opere conservate il pittore non ha mai tentato la
composizione chiusa, che esisteva già in vasi tardo-geometrici anteriori di qualche decennio.
L'attività del pittore coincide con quella del Pittore di Analatos: il confronto fra i leoni dell'uno e dell'altro mostra
quanto sono vicini. Ma quelli del Pittore della M. sono più legnosi, duri e rigidi. Alcuni studiosi ne deducono che il
nostro pittore è anteriore di circa un decennio; per altri, invece, egli sarebbe un ritardatario, che imita le novità del
pittore rivale, più geniale e più innovatore. La datazione più alta proposta è quella del Kübler (730-20 a. C. per l'idria
di Berlino; 720 a. C. per la più recente delle idrie Vlasto, quella con tre sfingi intorno al collo e quattro leoni, due per
lato, sul corpo). La più bassa è quella dello Young: 690-70 a. C.

LA SCULTURA E LA PICCOLA PLASTICA


Nella prima parte dell’orientalizzante la piccola plastica in Grecia vive nella tradizione geometrica, come attesta il
bronzetto votivo di Apollo dedicato da un certo Mantiklos, Creta sviluppa una scultura monumentale del tutto nuova,
nelle fonti antiche legata alla figura di Dedalo, mitico artista, architetto, scultore e costruttore di meccanismi e del
labirinto. Le fonti specificano che queste statue di culto più antiche erano in legno o in lamina di bronzo sbalzata, forse
su un’anima di legno o di pece. Proprio da Creta, dal tempio di Apollo a Dreros, provengono tre immagini di culto
sbronzato che rappresentano Apollo, Latona e Artemide. Per il resto la scultura cretese è in calcare e appare molto
omogenea; le figure note, tutte femminili, sono vestite con una stretta tunica, una mantellina che copre entrambe le
spalle e una spessa cintura, forse metallica, secondo una moda locale. Le vesti presentano decorazioni di tipo
geometrico realizzate a incisione sulla pietra e poi dipinte; i capelli, divisi in trecce, scendono sulle spalle in modo
geometrico e spesso sono coperti da un pòlos (copricapo cilindrico rituale).
Dal santuario dell’acropoli di Gortina, nella pianura della Messarà, proviene una coppia di rilievi con tre divinità, una
maschile centrale e due femminili laterali nude con alto pòlos, insieme a una figura femminile seduta, purtroppo
frammentaria; nello stesso centro forse è riferibile la cosiddetta Dama di Auxerre che riassume tutte le peculiarità di
questo stile cretese, generalmente definito dedalico, che nell’ultima parte del secolo si diffonde fuori Creta. Lo stile
dedalico si diffonde anche a Micene, dalla quale provengono alcuni rilievi architettonici di cui il più completo
rappresenta il busto di una figura femminile ammantata che riprende i canoni della scultura cretese, pur con una
maggiore vitalità dovuta a una non perfetta simmetria delle parti.
Oltre alla scultura a tutto tondo, conosce un grande sviluppo la bronzistica, con imitazioni di calderoni orientali e armi
di difesa; sempre Creta offre un’ampia documentazione per le armature da parata o scudi in lamina sbalzata offerti
nei santuari. Si tratta di un repertorio iconografico complesso, con registri decorativi di animali, mostri, scene di caccia,
di guerra o cultuali prodotte da officine attive fino al 650 nella Creta centrale, probabilmente a Gortina.
DAMA KORE DI AUXERRE
ca 640-630 a.C. Pietra calcarea, altezza 75 cm (con il plinto), Museo del Louvre
La Kore è detta di Auxerre perché
rinvenuta nel museo dell’omonima
cittadina francese nel 1907, che la
scambiò con un’altra opera del
Museo del Louvre due anni dopo.
Da anni è oggetto di discussione
anche perché non si conosce il
luogo dello scavo da cui proviene
(probabilmente una località
dell’isola di Creta), né la data in cui
è arrivata sul suolo francese, né da
chi fu portata.
Si tratta, comunque, di uno dei
primi notevoli esempi della
statuaria greca e risale al VII secolo
a.C., solitamente detto “Periodo
orientalizzante”, a motivo degli
influssi orientali, in particolari egizi,
effetto degli scambi commerciali e dei contatti culturali che i Greci avevano stabilito con le civiltà vicine.
La Kore di Auxerre (una statua votiva, la rappresentazione di una dea o di un’orante) è una figura stante, perfettamente
frontale, con il volto dalla forma triangolare caratterizzato da grandi occhi, una fronte bassa e una folta capigliatura a
treccine che, ricadendo sul petto e sul dorso, ma lasciando libere le spalle, quasi annulla la presenza del collo. Il braccio
destro è piegato e la mano, tesa, è portata tra i due seni; il braccio sinistro è disteso lungo il fianco.
La Dama indossa una lunga veste dalla quale sporgono le grosse dita dei piedi. Aderente e stretta in vita da un’alta
cintura che mette in evidenza i fianchi rotondi, la veste è ornata da un motivo di quadrati concentrici, attualmente
solo incisi, ma un tempo anche colorati. Le spalle sono coperte da un manto che copre il braccio destro sino al gomito
e accompagna il braccio sinistro sino al polso.
La rigidità e la posa risentono delle norme rappresentative egizie.

KORE DI NIKANDRE
640 a.C. ca, marmo di Nasso, 175 cm, Atene, Museo Archeologico Nazionale
La Kore di Nikandre è una statua votiva greca di stile dedalico (altezza 175 cm; profondità 17 cm) scolpita in marmo di
Nasso probabilmente da uno scultore del luogo ed eretta nel santuario di Artemide a Delo (Cicladi) intorno al 650/40
a.C. Ritrovata durante gli scavi del santuario nel 1878 è conservata nel Museo archeologico nazionale di Atene.
La datazione è stata assegnata in base allo stile e alla paleografia dell'epigrafe scolpita nella parte inferiore sinistra del
peplo. Nel momento del ritrovamento la statua era divisa in due pezzi all'altezza della vita, entrambe le braccia erano
spezzate vicino al gomito, lungo la stessa linea di rottura. L'avambraccio sinistro è mancante; porzioni di entrambe le
mani sono conservate nei punti in cui sono aderenti ai fianchi. La superficie presenta macchie e incrostazioni di colore
variabile dal rosso bruno al grigio chiaro, ed è fortemente erosa e graffiata. L'iscrizione dedicatoria invece è bene
conservata.
Di questa statua, la più antica in marmo a dimensioni naturali che ci sia pervenuta, fornisce alcune informazioni
l'epigrafe a caratteri arcaici scolpita sulla statua stessa: la dedicataria è Nikandre. Si pensa che Nikandre fosse stata
una sacerdotessa di Artemide presso il santuario di Delo e che la statua sia stata dedicata nel momento del suo
matrimonio, per prendere congedo dal servizio. La statua raffigura una donna in piedi, forse Artemide, forse la stessa
Nikandre o forse ancora una offerente senza alcun riferimento individuale; entrambe le mani presentano buchi da
trapano, per una profondità di 6 mm, i quali contenevano probabilmente aggiunte in metallo, forse doni per gli dei o
attributi che avrebbero aiutato, se conservati, nell'identificazione.
La statua ha i capelli in stile dedalico che si dividono in due grandi masse e che si diffondono sulle spalle; le trecce sono
articolate su tutti i lati con solchi verticali e orizzontali. Alta quanto un essere umano o poco più, ha uno spessore di
soli 17 cm; è una composizione sbozzata sui quattro lati, ma i lati stretti sono così sottili che rendono la figura
praticamente bidimensionale; la si potrebbe considerare un rilievo se la parte posteriore non avesse la stessa
definizione formale di quella anteriore. Le braccia ed i piedi sono attaccati al busto e i piedi sono visibili sotto la gonna
ma non ne fuoriescono. La sottigliezza e la grave erosione rendono i tratti del viso a malapena riconoscibili. E. Paribeni
ricorda come questa «plasticità attenuata ed esangue» sia carattere costante nella produzione artistica di Nasso e di
Thera. Altri, sulla base della planarità e della scultura grezza, sono arrivati a considerare Nikandre come un esempio di
xoanon, statua di culto scavata nei tronchi di legno. È probabile infatti che una lunga tradizione di grandi sculture in
legno si trovi dietro alla statua in marmo di Nikandre. Le proporzioni sono conformi al canone maschile egiziano ed è
probabile che sia stato l'intensificarsi dei contatti con la cultura egiziana, a partire dal 664 a.C. circa a provocare
l'impulso di trasporre gli xoana in legno nel marmo locale; già precedentemente del resto, durante il periodo
geometrico, i greci avevano modellato vasi funerari a misura d'uomo (Vaso del Dipylon) e non è difficile pensare che
l'immagine di Era che doveva trovarsi sulla base in fondo all'Heraion di Samo fosse a grandezza naturale o più. La
tradizione delle statue di culto in legno continuò per tutto il VII secolo a.C. I termini che venivano usati dai greci per
questo tipo di statue erano xoanon, bretas o kolossos, termini non connessi originariamente alle dimensioni, ma alla
forma, simile ad un pilastro, una colonna o un tronco di legno.
ARGOMENTI ESAME DI ARCHEOLOGICA GRECA
ETA’ PROTOGEOMETRICA E GEOMETRICA
ORIENTALIZZANTE

Potrebbero piacerti anche