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Prima dello sviluppo della ricerca archeologica, la ricostruzione della Grecia classica avveniva attraverso le fonti
letterarie, ma allo stesso tempo queste non interpretavano correttamente la realtà storica. Il primo a destare i dubbi
sulla ricostruzione storiografica fu Friedrich Nietzsche (1844-1900), il quale dubitava sulla ricostruzione “idealistica”
affermando che essa non restituiva il dato oggettivo del mondo reale. Soltanto dopo si è raggiunta la consapevolezza
scientifica di restituire una cultura ellenica “corretta” e non abusata e fraintesa.
Qual è lo scopo dell’archeologia in questo caso?
Lo scopo dell’archeologia è tracciare un profilo diverso dai testi antichi grazie allo studio di documenti diretti e di capire
la formazione, le strutture, i fenomeni sociali, le motivazioni culturali, le dinamiche del mondo antico.
Ma ulteriori elementi possono essere d’aiuto per la ricerca archeologica:
-studio della lingua e della letteratura che hanno permesso di approfondire forme e contenuti della comunicazione
scritta
-tradizione antiquaria che ha permesso di esplorare testi per ricavare informazioni per la ricostruzione
dell’ambientazione e i costumi
-studio della critica storica che ha analizzato gli eventi, le motivazioni e contesti culturali, sociali ed economici delle
comunità greche
-la ricerca storico-religiosa-antropologica che ha indagato il patrimonio mitico e rituale confrontandolo con analoghe
forme di rappresentazione e di comportamento di altre società
Con l’inizio dell’Elladico Recente IIIC (1200-1050) si registra un decremento dei siti occupati nel Peloponneso,
nell’Attica e nella Grecia centrale. Decrescono la produzione artigianale: le forme ceramiche, drasticamente
diminuite, sono legate a occasioni particolari, mentre l’uso quotidiano prevede probabilmente contenitori in
materiale deperibile: cesti per i soldi e otri per i liquidi, oggetti tipici di una società di allevatori. La mancanza di
un’amministrazione centralizzata emerge chiaramente dal cambiamento nei modi di produzione e di
organizzazione sociale; le figure tradizionali del potere scompaiono e al loro posto emerge il basileus, termine
che nei tesi in Lineare B indicava un referente della produzione o un artigiano specializzato, mentre nei poemi
omerici indicava un capo o un re.
La diminuzione di reperti mobili e il calo di insediamenti potrebbero essere collegati al passaggio da un’economia
agricola a un’altra basata sull’allevamento e su forme limitate di transumanza e seminomadismo, attività che
lasciano tracce decisamente ridotte. L’instabilità politica e l’esaurimento della capacità di resistenza del sistema
miceneo possono aver indotto a scegliere nuove forme insediative e di produzione, come i “sito-rifugio”, abitati
di cultura e funzioni difensive.
Il mosaico insediativo
La Dark Age non è dappertutto un momento di isolamento e di interruzione delle attività di scambio con le
popolazioni vicine. Alcune regioni come l’Eubea, hanno mantenuto invece contatti con il mondo esterno
raggiugendo forme di sviluppo complesse; una testimonianza è rappresentata dalla residenza aristocratica del
X secolo “Lefkandi” (ricorda il palazzo di Ulisse descritto nell’Odissea). Nell’area dell’Eubea si registrano scambi
commerciali a partire dal IX secolo e tra la seconda metà dell’VIII e il VII, nonostante l’invasione dei Dori che
marcano due periodi diversi si ha una ripresa culturale. Le fonti epigrafiche e letterarie rivelano la presenza di
una fitta rete di comunità frammentate per due motivi: geografici e individualità politica ed espressiva derivata
dall’assenza del potere centrale che ha permesso la proliferazione di comunità che hanno maturato un processo
autonomo di formazione dell’identità. All’interno della comunità troviamo vari gruppi che costituiscono un
elemento importante, poiché sono indice di etnie e lingue diverse. La gente che non apparteneva alla stessa
etnia era impiegata per i lavori manuali e agricoli gli “Iloti”, i loro opposti erano invece i “Perieci”, gruppi sociali
con maggiori diritti.
In questo mosaico di non Greci e di Greci di tradizioni e culture diverse, di nuovi arrivati e di seminomadi, si
avvia la costituzione di comunità politiche più ampie, in cui tendono a confluire singole identità ed esperienze
storiche di comunità che partecipano in maniera diversa alla costruzione di culture regionali condivise e danno
origine alla caratteristica conformazione della Grecia storica.
2.3 LA FORMAZIONE DELLE POLEIS
Nell’VIII secolo il mondo greco assiste ad una rivoluzione insediativa e culturale grazie al proliferare della produzione
e del consumo, lo stabilizzarsi di pratiche religiose e sociali e la comparsa della scrittura (derivato dall’alfabeto
fenicio), l’insieme di questi fattori sono indice di un vero e proprio cambiamento. In questo contesto nasce la POLEIS
“città-stato”, in alcune regioni il suo sviluppo è parziale, in altre invece, a partire dall’VII secolo, è un sistema già
affermato. La Pòlis comprende l’insieme della struttura sociale, associando il significato di comunità, di abitato e
territorio “chòra”, quest’ultimo è parte integrante del popolamento e dell’economia della società. La pòlis è
un’aggregazione sociale che si basa su un legame di partecipazione, almeno tra i membri del gruppo dominante i
“perieci”, e che tende ad articolarsi progressivamente, distinguendo il corpo civico in classi dotate di un ruolo
politico e di una capacità economica e culturale differenti. La pòlis nasce da un processo di formazione molto lungo,
influenzato da vari fattori:
L’architettura sacra
Le prime strutture sacre collettive risalgono alla seconda metà dell’VIII secolo, ma mancano elementi concreti
per le fasi precedenti. La discontinuità topografica con i luoghi di culto di età micenea sembra essere stata quasi
tottale e la distruzione degli edifici precedenti destinanti alle attività religiose non sembra conoscere immediate
riprese. La Dark Age quindi costituisce una fase di trasformazione e di ricostruzione della tradizione rituale e del
suo valore sociale, in cui si definiscono anche le nuove regole organizzative dello SPAZIO SACRO. Le COSTRUZIONI
SACRE in Età Geometrica manifestano una notevole omogeneità compositiva. Sono simbolo di espressione di
una società impegnata soprattutto nell’elaborazione della tipologia abitativa. All’interno trova spazio l’attività
religiosa della famiglia o del clan, o si possono svolgere le riunioni, occasioni per costruire e affermare i legami
sociali. Non si possono escludere l’esistenza di altre attività di culto, esterne alle case aristocratiche. Infatti, a
partire dal VII secolo, in aree libere da costruzioni, si sviluppano gradualmente i santuari, sia interni che esterni
agli abitati. Un caso esemplare è il SANTUARIO di KALAPODI, sede del culto di Apollo presso Abai, dove la
frequentazione è iniziata intorno al 1200 e prosegue fino all’età classica. Le tracce più antiche della struttura
riguarda lo spazio destinato alle attività sacrali, identificata grazie ai residui di cenere e offerte lasciate in situ,
mentre la costruzione di edifici di culto avviene in un secondo momento, graduale processo di strutturazione
dello spazio santuariale. Nella prima fase di Kalapodi viene costruito un altare e solo verso l’830-20 la prima
semplice struttura in pali di legno, evolutasi in forme più canoniche nella prima metà del VII secolo. A fronte di
una scarsità dei dati archeologici, vi è una tradizione mitostorica che attribuisce ai periodi più antichi la
costruzione di strutture semplici:
- “Tempio di alloro” nel santuario di Apollo a Delfi
- “Tempio di salice” nel santuario di Heràion di Samos
- “Tempio di cera” nell’Apollònion di Delo
Primi edifici costituiti da un’ossatura in legname e rami intrecciati rivestita di argilla cruda.
La diffusione dei santuari è accompagnata dall’apparizione del tempio (naos) che nel tèmenos affianca l’altare
con la specifica funzione d’ospitare l’immagine di culto, gli oggetti liturgici e di consentire lo svolgimento delle
rappresentazioni rituali, nonché di accogliere le più preziose tra le offerte dedicate al santuario. Il tempio può
aver avuto una destinazione d’uso più ampia di quella che avrà in età storica a seguito di un processo di
progressiva specializzazione architettonica, si elaboreranno tipologie diverse per ospitare attività
complementari, quali appunto gli hestiatòria, edifici destinati alla consumazione del banchetto rituale.
Ai fini della comprensione delle trasformazioni che segnano le fasi terminali del geometrico medio deve
riconoscersi nelle peculiarità architettoniche della nuova tipologia templare i “mègara” (le sale di
rappresentanza) o alle residenze dei basilèis del secolo precedente: la casa del dio rispecchia fedelmente i
modelli delle residenze della classe dominante. Il modello della dimora di LEFKANDI mostra in modo evidente
come la tipologia adottata per l’edificio sacro sia una specializzazione dei prototipi residenziali destinati ai
basilèis.
2.5 PRODUZIONI, CONSUMI E COMMERCI IN ETA’ PROTOGEOMETRICA E GEOMETRICA
Il passaggio dall’età micenea alla Dark Age può essere seguito dallo studio della produzione ceramica che è stata
oggetto di ricerche sistematiche.
Nonostante ancora una connessione decorativa con la manifattura micenea in Attica si verifica una nuova
tendenza espressiva che segna modifiche sostanziali.
All’inizio del PROTOGEOMETRICO (1100-900) i rinvenimenti mostrano un artigianato di alto livello grazie al
possesso di tecniche sofisticate di realizzazione, questa ricerca espressiva però non ha trovato una stabilità
formale. I vasi presentano sia ampie superfici con fondo chiaro, sul quale vengono dipinte linee, fasce e figure
geometriche, sia rivestimenti in nero con decorazione risparmiata.
In questa prima fase si denota un’attenzione alla geometria e all’uso di strumenti tecnici come il compasso
multiplo per disegnare cerchi e semicerchi concentrici, e decorazioni con linee ondulate a mano libera.
La manifattura attica predilige vasi di grandi dimensioni (anfore, crateri, hydrìai) ma anche forme di minore
impegno (skyphoi, coppe, oinochòai); inoltre sono state riconosciute altre fabbriche importanti oltre alla
manifattura attica.
Il protogeometrico euboico si distingue per la qualità e l’impegno formale di alcuni vasi, ma anche per la
quantità e la dispersione geografica (come nel caso delle coppe penduli che sgnano la portata dei traffici europei
nel Mediterraneo tra Oriente e Occidente).
I ritrovamenti più significativi sono quelli dell’Heròon di Lefkandi, un cratere con una forma molto curata e una
decorazione quasi calligrafica, e un rhytòn a forma di centauro.
Di questa fase abbiamo i primi indizi di una ripresa della navigazione in Egeo. Infatti alla fine del II millennio la
ceramica testimonia contatti con Cipro; nello stesso tempo a Lefkandi sono stati riconosciuti i primi oggetti
importati e in una fase successiva nella necropoli del Ceramico di Atene sono state deposte coppe in bronzo di
importazione fenicia. Oltre allo scambio di beni di lusso, i flussi commerciali dovevano comprendere lo scambio
di materiali quali legname, vino e olio.
La produzione ceramica nel periodo antico, medio e tardo geometrico
Nel Geometrico Antico (900-850; abbreviato AG) le botteghe attiche si incrementano e realizzano vasi
con la superficie prevalentemente a sfondo nero con decorazione risparmiata e organizzata in fasce
parallele e spesso con uno spazio metopale tra le anse. Si sviluppano vari motivi decorativi: denti di lupo,
chevrons e soprattutto il meandro.
Il Geometrico Medio, diviso in due fasi (I: 850-800; II 800-750; abbreviato MG), si distingue per una
maggiore ricchezza dovuta a un maggiore controllo della produzione agricola e all’intensificarsi di
contatti con il Vicino Oriente.
Una testimonianza di questo sviluppo sono le tombe con ricche deposizioni rinvenute ad Atene e a
Lefkandi.
Una delle più antiche, risalente alla fine del geometrico antico (AG) o nei primi anni del geometrico medio
(MG) è quella della “Rich Lady”, rinvenuta alle pendici dell’Areopago ad Atene.
Anfore analoghe a quella della “Rich Lady” sono state rinvenute nella necropoli del Ceramico di Atene e
a Eleusi, probabilmente sono testimonianza dell’attività di un’officina che impiega uno stile a
decorazione fitta che prenderà il sopravvento nel corso della fase più avanzata del geometrico medio
(MG). Infatti nel MGII la decorazione mostra nuovi elementi come animali, quali cavalli, cervidi ecc., e in
alcuni casi anche figure umane. Inoltre questo periodo è caratterizzato per la monumentalità di alcuni
vasi, come le pissidi o gli skyphoi, i quali sono completamenti ricoperti da elementi geometrici.
Alla fine del MGII si colloca la bottega del Maestro del Dìpylon. Il vaso eponimo, rinvenuto presso la
porta del Dìpylon delle mura urbiche, nella necropoli del Ceramico, è per dimensioni (h. 1,76) di gran
lunga il più importante di quelli attribuiti alla sua bottega. La decorazione si caratterizza per il disegno
geometrico che occupa su più registri l’intera superficie; il motivo del meandro verticale di tipo attico si
moltiplica e si ingigantisce in forme nuove, mentre la scena di commiato al defunto viene rigidamente
inquadrata in un pannello decorativo, perdendo la spontaneità di altre rappresentazioni.
Oltre all’anfora del Dipylon, conservata al Museo Nazionale di Archeologia in Atene, è stato rinvenuto
un cratere monumentale, oggi collocato a New York, e un esemplare frammentario a Parigi,
appartenente alla bottega del Dipylon, nel quale è raffigurata la scena di pròthesis (esposizione del
defunto); sempre in un altro frammento a Parigi mostra un combattimento tra guerrieri, uno dei quali
costituito da due corpi uniti. In alcune anfore di minor impegno decorativo dell’anfora del Dipylon,
possiamo osservare come la decorazione copre ugualmente tutta la superficie del corpo.
La bottega del Dipylon si distingue per uno stile decorativo nuovo e per l’innovazione nella morfologia
che sperimenta nuove forme, come i boccali ad ansa sopraelevata o le brocche a orlo circolare.
L’inizio del Geometrico Tardo (760-700; abbreviato TG) si manifesta con l’apertura di nuove rotte
commerciali vero le regioni occidentali e orientali, di cui l’Eubea trae i maggiori vantaggi, mentre l’Attica
sembra rallentare nella corsa commerciale a favore di una maggiore specializzazione regionale tra i
diversi stili ceramici. In questo periodo il disegno geometrico tende a frammentarsi in favore di
decorazioni in spazi metopali e di figure (cominciano ad apparire le figure femminili caratterizzanti per
l’orientalizzante), nonché delle prime rappresentazioni mitologiche.
- Ad ATENE abbiamo i primi elementi di novità con l’inserimento progressivo della figura umana e di
scene narrative tra il TGI (760-725) e il TGII (725-700), come nei vasi del Pittore di Hirschfeld che
predilige le scene funerarie (pròthesis ed ekphorà) su vasi di grandi dimensioni ricchi di riempitivi
(animali, svastiche, rosette a punte). Tra le raffigurazioni mitiche abbiamo una oinochoé dell’agorà
di Atene che raffigura un combattimento tra i due guerrieri gemelli, forse i Molioni sfidati da Nestore,
un cratere con dei centauri, un altro cratere che rappresenta Dioniso e Arianna. La purezza formale
precedente inizia ad esaurirsi, ma si arricchisce di elementi plastici serpentiformi che sottolineano il
labbro, le anse o la base del collo.
Altro tipo di produzioni risalgono alla metà dell’VIII secolo ad Atene, nella quale si intensifica la
produzione della piccola statuaria, come un guerriero bronzeo dell’Acropoli, un giovane proveniente
da Olimpia e il Minotauro dall’Acropoli di Atene, figure femminili in avorio nella tomba del dipylon.
Una produzione tipica del mondo attico tra il GMII finale e il TG è costituita dalle lamine decorate a
sbalzo con animali, a volte inquadrate in larghi spazi metopali, o con scene di guerra e caccia,
utilizzate per decorare i defunti e gli abiti femminili, con spilloni e gioielli lavorati in lamina e a
granulazione.
In Grecia in questa fase emergono anche altre tradizioni artigianali:
- Nel Peloponneso la ceramica di ARGO TG presenta caratteri distintivi propri nell’uso dei pannelli
decorativi, nella rappresentazione di cavalli isolati o nell’impiego del meandro obliquo (o “scaletta”).
Motivi analoghi si trovano nella produzione di bronzi, che spesso raffigurano cavalli, sia come oggetti
votivi sia come accessori decorativi. La capacità dei bronzisti argivi conosce la sua massima
espressione alla fine dell’VIII secolo nella realizzazione di un’armatura in bronzo proveniente da una
sepoltura di Argo, questa comprende un elmo, una corazza e frammenti di un paio di schinieri
(gambiera, elemento che proteggeva la parte anteriore della gamba).
- CORINTO è uno dei maggiori centri dell’artigianato ceramico già nelle prime fasi del geometrico
quando ancora era legato ai modelli attici e euboci, ma alla fine del MGII inizia una produzione con
decorazione più semplice: decorazioni lineari che percorrono per intero in orizzontale i vasi; dal TGII
invece evolve una nuova fase che prende il nome di “stile transizionale” che anticipa elementi
dell’orientalizzante, come le scene narrative, le teorie di animali e vegetali sul corpo del vaso.
- Anche in EUBEA la ceramica unisce motivi geometrici “tradizionali” (fregi e aree metopali) ad
elementi di transizione verso l’orientalizzante come l’albero della vita; ricorrenti sono i motivi corinzi
e insulari come i fiori a petali lanceolati, il motivo a onda e la rosetta a punti. I vasi più importanti
sono quelli appartenenti al Pittore di Cesnola di cui abbiamo un cratere da Cipro e un’anfora da
Atene, entrambi con corpo ovoidale, piede conico collo svasato; il cratere ha un fittissimo motivo
geometrico, inframezzato con due teorie di animali e tutti gli elementi sopradetti.
- La ceramica BEOTICA è ispirata da quella euboica, si caratterizza per rappresentazioni più libere e
raffigurative, come in un Kàntaros di Dresda dove è rappresentata una danza maschile; in
un’anfora beota, detta della Pothnia Theròn, sono raffigurati vivacemente degli animali (un pesce
ricamato sulla veste e, sul lato opposto, un uccello in volo) e più riempitivi. Tipiche di quest’area
sono anche le fibule in bronzo con rappresentazioni geometriche di navi, battaglie di cacce o in
alcuni casi mitologiche, soprattutto legate ai miti di Eracle.
- La ceramica INSULARE rimane legata a elementi geometrici attici, con elementi euboici, ciprioti e
anatolici. Importante è un’Anfora di Thera decorata solo nella parte superiore con elementi quali il
meandro attico, onde, aironi e petali lanceolati insulari ed euboici.
La caccia al leone è caccia “pericolosa” per eccellenza, da intendersi non tanto come pratica reale, bensì in chiave
simbolica e paradigmatica dell’espressione massima dell’aretè (virtù) del giovane aristocratico. E’ infatti del tutto
improbabile che il Peloponneso di VII secolo a.C. fosse popolato da leoni, ma delle cacce ai leoni i Greci devono aver
sentito parlare o dai mercenari greci che si erano recati nel Vicino Oriente per combattere al soldo dei potenti re assiri
e babilonesi. Si tratta dunque dell’appropriazione da parte dei Greci della caccia regale vicino orientale, exemplum
virtutis (paradigma di virtù) dei sovrani assiri, egiziani, hittiti, persiani ecc. Una tale fatica pericolosa non può che essere
affrontata vittoriosamente in gruppo; l’animale pericoloso viene vinto solo grazie al concorso delle forze di tutti; la
nozione di gruppo, che si riporporrà nel fregio superiore dello scontro oplitico, è centrale nell’ideologia aristocratico-
oligarchica.
In sintesi:
Il secondo fregio rapprenda un episodio unitario: ciò che succede a destra e sinistra della sfinge bicorporee è da leggere
come scena unica. Il secondo fregio rappresenta una caccia “pericolosa” (caccia al leone vista come simbolo:
exemplum virtuosi di tipo regale, modello vicino a quello orientale). La presenza della sfinge bicorporee allude al
pericolo mortale. Alla caccia partecipano 5 personaggi, gli hippobatai e il proprietario di quadriga (forse il personaggio
nudo con cintura), uno dei cinque però soccombe, il pericolo è superato grazie al concorso delle forze di tutti.
IL FREGIO MEDIANO: le “le nozze splendide” e il Giudizio di Alexandros/Paride:
Il fregio mediano si compone di un terzo episodio, l’unico di tuta l’olpe che rechi delle “didascalie” dipinte dal pittore
sopra i persoanggi, ad ulteriore riprova che, se le altre figure erano da intendersi come generiche, queste invece
dovevano essere correttamente identificate.
A sinistra vediamo Alexadros, ossia Paride, il cui nome più frequente nell’epica omerica e nella letteratura arcaica è
appunto Alexadros; seguono tre figure femminili (purtroppo solo parzialmente leggibili per l’ampia lacuna nel corpo
del vaso) che le didascalie dipinte consentono di identificare come Hera, Atene e Afrodite. Il soggetto rappresenta il
celebre episodio del “Giudizio di Paride”, antefatto della Guerra di Troia, narrato in un poema epico, i Kypria, di VII
sec. a.C., di cui si conservano solo frammenti.
Narrano i Kypria che in occasione delle nozze di Peleo e Teti (futuri genitori di Achille), Zeus suscita con l’aiuto di Eris
(dea della discordia) una contesa tra Hera, Afrodite e Atena su chi delle tre dee sia la più bella. La difficile decsione
ricade sul bellissimo pastore troiano Alexadrons/Paride che scegli Afrodite, nonché il premio da lei promesso, di avere
in cambio la donna più bella del mondo: Elena.
FREGIO SUPERIORE: lo scontro oplitico
Il processo di maturazione del giovane aristocratico si completa con il suo impegno, ormai adulto, come guerriero nello
scontro oplitico, armato della panoplia che lo rende cittadino a tutti gli effetti. Come oplita l’aristos difende la sua città
e i suoi abitanti dagli aggressori esterni.
Nello scontro oplitico del fregio superiore dell’Olpe Chigi è peraltro possibile leggere anche un’eco della Guerra di
Troia, scoppiata come conseguenza della scelta matrimoniale non ponderata, quindi “sbagliata”, di Alexandros/Paride.
CONCLUDENDO:
I fregi dell’Olpe Chigi sono una programmatica rappresentazione per immagini del processo di maturazione di un
giovane aristos corinzio, il quale è dapprima chiamato a dare prova della propria virtù (forza fisica, astuzia, coraggio),
quindi a compiere la giusta scelta matrimoniale per un’adeguata perpetuazione della famiglia.
L’olpe ì, vero amalgama per immagini, venne commissionata dalle elites corinzie forse come dono di nozze per il gamos
di un giovane aristos che, giunto a piena maturazione, con il matrimonio entrava nella condizione di cittadino a pieno
titolo.
CERAMICA PROTOATTICA
Se Corinto si porta alla testa del nuovo stile, Atene e l’Attica in genere restano ancorate al proprio, pur non rinunciando
alle interpolazioni orientali e alla sperimentazione di nuove tecniche. Una certa marginalità rispetto alla scia
internazionale può essere dovuta alla minore produzione vascolare: le pratiche funerarie, che avevano spinto la
manifattura locale verso la monumentalità dell’età tardo geometrica, sembrano più contenute e possono aver dettato
un cambiamento del sistema artigianale.
Distinguiamo la ceramica protoattica del periodo orientalizzante in tre fasi:
PROTOATTICO ANTICO (700-675) rimane ancora legato a stilemi tardo geometrici (riempitivi, fregi, elementi
plastici serpentiformi) e mostra una resistenza alle nuove mode iconografiche. La bottega del Pittore di
Analatos mantiene un impianto sia nell’organizzazione dei fregi decorativi sia nella tettonica. Ma si delineano
meglio le figure umane, anche se sul collo di una hydrìa da Analatos la scena di chròs (ballo in cerchio è un rito
protettivo) ripropone una versione elaborata delle sagome tardo geometriche, così come la processione di
carri su un’anfora al Louvre o su un cratere di Egina. In quest’ultimo il fregio di leoni nello spazio tra le anse
mostra un interessamento ai modelli orientali con la coppia di leoni rampanti, elementi vegetali e uccelli,
dunque ripropone modelli orientalizzanti in una forma più disordinata e narrativa.
PROTOATTICO MEDIO (675-630) vede il formarsi di diverse botteghe, di cui è possibile riconoscere gli stili e le
produzioni: il Pittore della Scacchiera, quello di Polifemo, quello della Brocca degli Arieti. Quest’ultimo
raffigura Odisseo e i compagni che sfuggono a Polifemo legati agli arieti, ed è un esempio importante della
nuova tecnica. In questa fase infatti si prediligono forme di grandi dimensioni come crateri e anfore con
rappresentazioni impegnative. Il Pittore di Polifemo sul ventre di un’anfora disegna le Gorgoni che inseguono
Perseo, protetto da Atena, e solo sullo spazio metopale, l’accecamento del ciclope con la tecnica del “racconto
compendiario” (più azioni in una sola scena), rinunciando ai riempitivi. Nella seconda metà del VI secolo il
Pittore del Nesso di New York sembra superare questo stile bianco e nero in una tecnica più compiutamente
a figure nere, in un’anfora che raffigura l’uccisione di Nesso da parte di Eracle e il mito di Perseo in maniera
allusiva e compendiaria, usando anche l’incisione.
PROTOATTICO TARDO segna il passaggio alla pittura vascolare a figure nere con il Pittore di Berlino A34 e
soprattutto con il Pittore del Nesso, attivo nell’ultimo quarto del VI secolo. Quest’ultimo predilige forme di
grandi dimensioni (crateri-skyphoi a volte con coperchio, anfore a collo distinto e profilo continuo) su cui
dipinge scene narrative con uno stile fortemente compendiario, utilizzando la nuova tecnica dell’incisione, a
fianco di riempitivi di tradizione locale e corinzia. Nel vaso di Atene attribuito al Pittore di Nesso la
rappresentazione del combattimento tra Eracle e il centauro Nesso riprende il mito di Perseo, raccontando
l’episodio in forma allusiva, rinunciando a raffigurare l’eroe.
Alcuni pittori raggiungono un calligrafismo e una capacità disegnativa notevole, la personalità più importante
è quella del Pittore della Gorgone (600-580) che padroneggia già tutte le tecniche che caratterizzano la
produzione successiva, visibili nel suo dèinos con la rappresentazione di Perseo e della Gorgone nella zona
superiore del vaso, tanto da essere valutato in un orizzonte arcaico.
CERAMICA LACONICA E CICLADICA
Anche la ceramica Argiva diviene più narrativa, come possiamo vedere in un cratere da Argo raffigurante
l’accecamento di Polifemo su “rocce a squame” (corinzio), mentre le tecniche spartane si sviluppano in senso orientale
solo a partire dal 620, come vediamo dai ritrovamenti presso il santuario di Artemide Orthìa, soprattutto kotylai, coppe
monoansatiche, chantaroi di derivazione corinzia. Più vivace è la produzione cicladica concentrata sulla raffigurazione
di animali e scene narrative (gruppo Melio) e quella cretese con uno stile molto disegnativo e tessitura continua. La
particolarità dell’isola sta in grandi pytoi monumentali (fino a due metri) a bassorilievo con incisi motivi geometrici ma
anche scene di battaglia. La ceramica Rodia si caratterizza per teorie di animali ossessive e poche scene narrative.
HYDRIA DA ANALATOS
Autore: Pittore di Analatos
Datazione: protoattico antico (700-675 a.C.) VII secolo
Materiale: ceramica
Tecnica: silhouette e contorno
Dimensioni: 80 cm
Collocazione attuale: Atene, Museo Archeologico Nazionale
Analisi in breve: motivi floreali curvilinei e leoni (in gran parte cancellati) sono
indicatori di un nuovo stile “orientalizzante” ad Atene, mentre le figure in gran
parte silhouette (collo) cambiano la vecchia silhouette geometrica con il
contorno.
Decorazione: maschi e femmine in lutto (collo), leoni di fronte a un (corpo)
floreale.
STILE
Erede della tradizione figurativa che proveniva dal Maestro del Dypilon e di cui mantiene alcuni schemi rappresentativi
come le sfilate dei carri o le decorazioni astratte, introduce nella produzione vascolare attica i motivi orientalizzanti
provenienti da Corinto come gli animali fantastici e le decorazioni floreali, oltre alla tecnica delle incisioni inventata
sempre a Corinto e chiamata tecnica a figure nere, la quale verrà impiegata stabilmente ad Atene solo qualche anno
più tardi. Malgrado una preferenza per le linee sinuose e per la consistenza corporea quale si può notare nelle figure
femminili vestite e nei volti maggiormente particolareggiati, resta ancora forte la tendenza alla paratassi e all’antitesi
geometrica.
BROCCA DEGLI ARIETI
Autore: Pittore Brocca degli Arieti (nome convenzionale assegnato al
vasaio e ceramografo di questo vaso)
Datazione: protoattico medio (675-630 a.C)
Materiale: ceramica
Tecnica: silhouette e contorno
Dimensioni: //
Collocazione attuale: Egina, Museo Archeologico
Pittore attico che ha dipinto nello stile “nero e bianco” un gruppo di vasi
fra i migliori del protoattico medio (675-650 a.C.). Il nome deriva da uni
dei suoi lavori migliori, una brocca frammentaria del Museo di Egina con
la fuga di Odisseo e dei suoi compagni, nascosti sotto un ariete. Il pittore
ha dipinto soprattutto sostegni di cratere, crateri, anfore, cioè grandi che
gli permettevano di dare al fregio principale, prevalentemente narrativo,
dimensioni notevoli e, quindi, maggior risalto. Ha usato tecniche svariate:
la silhouette, talvolta con particolari sopra dipinti in bianco, o incisi; la
linea di contorno con particolari interni in vernici nera, talvolta diluita e
brunastra. Ha usato abbondantemente il bianco anche per i corpi maschili,
ma non lo adopera in eguale misura su tutti i vasi: in alcuni è la tinta predominante in altri si trova solo per particolari.
Non sembra aver usato gli esuberanti motivi vegetali, volute e lacci, frequenti nei pittori della sua età. Il suo schema
decorativo è semplice: in alto fregio, spesso narrativo, quasi un quadro a pochi personaggi; uno o più fregi minori,
generalmente raggi triangolari, o una fila di animali che pascolano. Sono fregi semplici che non distolgono l’attenzione
della scena principali. Anche i motivi di riempimento sono rari.
La Brocca degli Arieti, a cui il pittore deve il nome, è a corpo scacchiato, una forma non usuale nella ceramica attica di
questa età, frequente in quella di altre fabbriche. Perciò è stato supposto che il vaso non fosse attico, ma protocorinzio,
argivo, cretese, cicladico. Il ritrovamento di altri vasi attici di uguale mano ha chiuso la questione.
Sulla brocca, la composizione della scena è semplicissima: tre arieti, di cui uno solo quasi completo, avanzano tranquilli
l’uno dietro l’altro, un greco è aggrappato a una delle corna. Gli uomini sono lunghi e magri; gli animali, invece, hanno
una corporeità rara in questo periodo, son disegnati con mano sicura e caratterizzati anche nella lana ricciuta; il grande
occhio umano dà loro uno sguardo mansueto e intelligente. Ciascun ariete è simile agli altri (quello centrale, più
grande, sarà quello di Odisseo); ciascun uomo è simile ai compagni. La triplice ripetizione di uno stesso schema è ricca
di effetto. Le teste di Odisseo e del compagno sono disegnate quasi di tre quarti: è una innovazione che il pittore non
usa altrove e che rimane isolata. La tecnica usata è quasi esclusivamente la linea di contorno; i corpi umani sono dipinti
in bianco.
ANFORA DI ELEUSI
AUTORE: Pittore di Polifemo
DATAZIONE: Protoattico medio (675-630) 660 a.C.
MATERIALE: Ceramica
TECNICA: silhouette e contorno
DIMENSIONI: 142 cm
COLLOCAZIONE ATTUALE: Eleusi, Museo Archeologico
L'Anfora di Eleusi, datata al 660 a.C., è un'anfora monumentale a scopo funerario e un'opera sperimentale sia dal
punto di vista tecnico sia per quanto riguarda la rappresentazione e la narrazione. Sul corpo del vaso il Pittore di
Polifemo ha rappresentato il mito di Perseo, dove la sua attenzione si è concentrata sull'iconografia e sulla resa formale
delle Gorgoni; l'iconografia è ancora liberamente interpretata non sussistendo a quest'epoca alcuna rappresentazione
convenzionale per questi personaggi mitici, ma la parte più interessante di
queste figure è la resa pittorica della volumetria dei corpi, con un chiaroscuro
ottenuto con veloci tratti scuri e lumeggiature bianche aggiunte. Come altre
sperimentazioni del periodo anche questa del Pittore di Polifemo non avrà
seguito e verrà ripresa solo dopo un secolo e mezzo circa, nel cratere con la
lotta tra Eracle e Anteo dipinto da Eufronio (Louvre G 103). Il collo dell'anfora
contiene a fatica la scena dell'accecamento di Polifemo. La sperimentazione
pittorica viene ripresa solo per il corpo di Ulisse a sottolineare l'importanza
del personaggio, ma anche la consapevolezza da parte dell'autore circa l'uso
dei propri strumenti; per le altre figure il ceramografo impiega la silhouette,
il contorno e qualche dettaglio inciso. La cornice della rappresentazione viene
inglobata nella rappresentazione stessa, i compagni di Ulisse afferrano
un'asta immaginaria formata dalle tre linee che fanno da cornice alla scena. Il movimento è dato dalla spinta in avanti
di Ulisse che punta il proprio ginocchio su quello di Polifemo; l'occhio e la bocca aperti del ciclope sembrano una delle
pochissime rappresentazioni del dolore in epoca arcaica. La libertà nei confronti della narrazione poetica è mostrata
nel numero dei personaggi e nell'iconografia della scena che privilegia gli aspetti stilistici e compositivi, ma soprattutto
è interessante l'elaborazione degli aspetti narrativi con il tentativo, uno dei primi nell'arte greca a quanto sappiamo,
di superare in modo ancora rudimentale lo svantaggio nello svolgimento temporale della narrazione, raffigurando
contemporaneamente momenti successivi di un'azione (Polifemo tiene nella mano sinistra la coppa di vino benché
appartenga ad un momento diverso del racconto), violando così l'unità di tempo.
VASO DEL PITTORE DI NESSO
AUTORE: Pittore di Nesso (nome convenzionale assegnato al vasaio e
ceramografo di questo vaso)
DATAZIONE: Protoattico tardo 625-600 a.C. (fine VII secolo)
MATERIALE E TECNICA: Ceramica a figure nere (primitivo)
DIMENSIONI: 122 CM
COLLOCAZIONE ATTUALE: Atene, Museo Nazionale Archeologico
SOGGETTI: Eracle combatte Nessos (collo); due grandi gorgoni fuggono da
Perseo (non mostrato). Un terzo, già decapitato, cade in avanti. La velocità
di fuga delle Gorgoni è indicata dalle loro membra ben flesse e dai delfini,
indicando il mare, che nuotano nella direzione opposta.
Nello stile del Pittore di Nesso la tendenza al movimento ereditata dalla ceramica protoattica risulta controllata e
risolta attraverso elementi compositivi come lo sconfinamento delle figure dai margini dei pannelli. La precisione nelle
linee è invece un elemento che deriva dall'osservazione di lavori protocorinzi; l'unione del controllo lineare e formale
con la predilezione attica per il monumentale, gli aspetti narrativi e per il movimento, determina la qualità dei lavori
di questo ceramografo e la nuova strada intrapresa dalla ceramica attica. Il Pittore di Nesso dipinse grandi vasi con
una particolare predilezione per figure di animali sia reali sia fantastici; rappresentò scene mitiche, alcune delle quali
piuttosto complesse, con un gusto particolare per la sintesi narrativa attraverso accenni e simboli. La sua fonte
d'ispirazione fu la ceramica corinzia; tra gli esempi di questa forte influenza è possibile indicare il Gorgoneion, che si
trova nella ceramica protocorinzia prima della metà del VII secolo a.C. e che viene introdotto in Attica dal Pittore di
Nesso nella decorazione interna di una lekanis. Nella sua bottega fu realizzato un nuovo tipo di anfora (anfora a profilo
continuo del tipo B), la cui forma divenne canonica.
È il capolavoro delle prime figure nere attiche; sul corpo sono raffigurate le Gorgoni alate in fuga, nell'atteggiamento
della "corsa in ginocchio" (detta anche Knielauf o piegarsi su un solo ginocchio) che diverrà tipico e convenzionale e
che si forma in questi anni (lo si trova nella figura di Perseo sulle metope di Thermo); sotto vi è un fregio di delfini che
simboleggiano il mare al di sopra del quale avviene l'inseguimento (come racconta Esiodo)
e che nuotano nella direzione opposta rispetto a quella delle Gorgoni aumentando il senso
del movimento. La figura di Perseo non viene rappresentata. La spalla dell'anfora è decorata
con un motivo floreale in stile orientalizzante che deriva dai vasi protocorinzi. Sul collo sono
rappresentati Eracle e Nesso, ed entrambi i personaggi sono identificati attraverso
iscrizioni: Eracle ha afferrato il centauro per i capelli e sta per affondare la spada nel suo
corpo; Nesso implora di essere risparmiato, allungando le braccia verso Eracle, fino a
sfiorargli la barba, ulteriore convenzione iconografica che continuerà ad avere grande
fortuna in seguito. Sulle maniglie non forate si trovano cigni e la civetta ateniese, sull'orlo
dell'imboccatura una fila di oche. La spirale a uncino protoattica e la rosetta punteggiata corinzia convivono
nell'ornamento di riempimento. Ci sono tracce di rosso e di bianco oltre ad un primo esempio di schizzo inciso,
utilizzato sporadicamente nelle figure nere e regolarmente nelle figure rosse, per tracciare le linee principali della
composizione.
PITTORE DELLA MESOGEIA
Il Pittore della Mesogeia era un ceramografo attico, attivo alla fine dell'VIII e inizio del VII sec. a. C. È uno dei pittori
che segnano il passaggio fra i vasi geometrici e quelli protoattici.
La tecnica usata è la silhouette unita alla linea di contorno; l'incisione è eccezionale e si trova solo per motivi secondari.
Ha dipinto crateri e idrie, per le quali segue la nuova corrente orientalizzante, e piccoli vasi - tazze e kotỳlai - più
trascurati, eseguiti rapidamente e ancora nella tradizione geometrica. Abbiamo di lui: un frammento di cratere, di cui
conosciamo solo un disegno; un'idria a Berlino (inv. 31312); tre idrie nella Collezione Vlasto ad Atene; due tazze a
piede e una kotỳle, anche esse nella Collezione Vlasto. Queste ultime apparentemente sembrano più arcaiche dei
grandi vasi, tuttavia sono contemporanee, perché trovate nelle stesse tombe in cui furono trovate due delle idrie.
Sui grandi vasi il pittore ha usato tanto i motivi del tardo-geometrico (danza di donne con rami in mano; cavalli; motivi
geometrici di riempimento, fra cui, di preferenza, linee parallele ondulate che formano tappeto) quanto quelli
orientalizzanti (leoni, sfingi, centauri, palmette e volute fitomorfe). Le sue sfingi sono caratteristiche e diverse da quelle
dei contemporanei: hanno l'ala doppia, cioè sopra e sotto il corpo. Questo tipo di doppia ala è rarissimo in Grecia; è
più frequente nell'Etruria del VII sec. a. C., ma è sempre molto diverso dalla stilizzazione del nostro pittore.
I motivi orientalizzanti sono riserbati unicamente alle zone principali del vaso (al fregio fra le due anse e, in un caso, a
quello intorno al collo). Il resto del vaso è geometrico, sia per i motivi che per il modo come sono disposti. A differenza
di altri pittori della sua età, il Pittore della M. non è riuscito a fondere il vecchio con il nuovo. Egli ha cercato di
uniformarsi al nuovo gusto, ma è sempre rimasto fedele allo spirito geometrico.
Gli animali, reali o mitici, dei fregi sono, se presi singolarmente, chiari ed equilibrati. L'insieme del fregio, però,
composto di identici animali che si muovono nella stessa direzione, è slegato e monotono. Solo il tappeto di linee
ondulate che si stende sul fondo lega gli animali fra loro. Nelle opere conservate il pittore non ha mai tentato la
composizione chiusa, che esisteva già in vasi tardo-geometrici anteriori di qualche decennio.
L'attività del pittore coincide con quella del Pittore di Analatos: il confronto fra i leoni dell'uno e dell'altro mostra
quanto sono vicini. Ma quelli del Pittore della M. sono più legnosi, duri e rigidi. Alcuni studiosi ne deducono che il
nostro pittore è anteriore di circa un decennio; per altri, invece, egli sarebbe un ritardatario, che imita le novità del
pittore rivale, più geniale e più innovatore. La datazione più alta proposta è quella del Kübler (730-20 a. C. per l'idria
di Berlino; 720 a. C. per la più recente delle idrie Vlasto, quella con tre sfingi intorno al collo e quattro leoni, due per
lato, sul corpo). La più bassa è quella dello Young: 690-70 a. C.
KORE DI NIKANDRE
640 a.C. ca, marmo di Nasso, 175 cm, Atene, Museo Archeologico Nazionale
La Kore di Nikandre è una statua votiva greca di stile dedalico (altezza 175 cm; profondità 17 cm) scolpita in marmo di
Nasso probabilmente da uno scultore del luogo ed eretta nel santuario di Artemide a Delo (Cicladi) intorno al 650/40
a.C. Ritrovata durante gli scavi del santuario nel 1878 è conservata nel Museo archeologico nazionale di Atene.
La datazione è stata assegnata in base allo stile e alla paleografia dell'epigrafe scolpita nella parte inferiore sinistra del
peplo. Nel momento del ritrovamento la statua era divisa in due pezzi all'altezza della vita, entrambe le braccia erano
spezzate vicino al gomito, lungo la stessa linea di rottura. L'avambraccio sinistro è mancante; porzioni di entrambe le
mani sono conservate nei punti in cui sono aderenti ai fianchi. La superficie presenta macchie e incrostazioni di colore
variabile dal rosso bruno al grigio chiaro, ed è fortemente erosa e graffiata. L'iscrizione dedicatoria invece è bene
conservata.
Di questa statua, la più antica in marmo a dimensioni naturali che ci sia pervenuta, fornisce alcune informazioni
l'epigrafe a caratteri arcaici scolpita sulla statua stessa: la dedicataria è Nikandre. Si pensa che Nikandre fosse stata
una sacerdotessa di Artemide presso il santuario di Delo e che la statua sia stata dedicata nel momento del suo
matrimonio, per prendere congedo dal servizio. La statua raffigura una donna in piedi, forse Artemide, forse la stessa
Nikandre o forse ancora una offerente senza alcun riferimento individuale; entrambe le mani presentano buchi da
trapano, per una profondità di 6 mm, i quali contenevano probabilmente aggiunte in metallo, forse doni per gli dei o
attributi che avrebbero aiutato, se conservati, nell'identificazione.
La statua ha i capelli in stile dedalico che si dividono in due grandi masse e che si diffondono sulle spalle; le trecce sono
articolate su tutti i lati con solchi verticali e orizzontali. Alta quanto un essere umano o poco più, ha uno spessore di
soli 17 cm; è una composizione sbozzata sui quattro lati, ma i lati stretti sono così sottili che rendono la figura
praticamente bidimensionale; la si potrebbe considerare un rilievo se la parte posteriore non avesse la stessa
definizione formale di quella anteriore. Le braccia ed i piedi sono attaccati al busto e i piedi sono visibili sotto la gonna
ma non ne fuoriescono. La sottigliezza e la grave erosione rendono i tratti del viso a malapena riconoscibili. E. Paribeni
ricorda come questa «plasticità attenuata ed esangue» sia carattere costante nella produzione artistica di Nasso e di
Thera. Altri, sulla base della planarità e della scultura grezza, sono arrivati a considerare Nikandre come un esempio di
xoanon, statua di culto scavata nei tronchi di legno. È probabile infatti che una lunga tradizione di grandi sculture in
legno si trovi dietro alla statua in marmo di Nikandre. Le proporzioni sono conformi al canone maschile egiziano ed è
probabile che sia stato l'intensificarsi dei contatti con la cultura egiziana, a partire dal 664 a.C. circa a provocare
l'impulso di trasporre gli xoana in legno nel marmo locale; già precedentemente del resto, durante il periodo
geometrico, i greci avevano modellato vasi funerari a misura d'uomo (Vaso del Dipylon) e non è difficile pensare che
l'immagine di Era che doveva trovarsi sulla base in fondo all'Heraion di Samo fosse a grandezza naturale o più. La
tradizione delle statue di culto in legno continuò per tutto il VII secolo a.C. I termini che venivano usati dai greci per
questo tipo di statue erano xoanon, bretas o kolossos, termini non connessi originariamente alle dimensioni, ma alla
forma, simile ad un pilastro, una colonna o un tronco di legno.
ARGOMENTI ESAME DI ARCHEOLOGICA GRECA
ETA’ PROTOGEOMETRICA E GEOMETRICA
ORIENTALIZZANTE