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Il cuoco, l’hamburger e la Coca Cola.

Indagine su un cuciniere astigiano


alla corte dei Savoia
Nicola Gallino

DOI 10.26344/0392-7261/19-1.GAL

Cosa unisce la Coca Cola e il gianduja, l’hamburger e la 1


Teofilo Barla, Il confetturiere,
l’alchimista, il cuciniere piemontese di
Pizza Margherita, il Bounty e il Vov? Facile. Li ha inventati Real Casa Savoia, a cura di Giancar-
tutti un uomo solo. Un oscuro e geniale cuoco astigiano lo Roversi, Presentazione di Roberto
dell’Ottocento tra gli spiedi e i vapori di cucina del Palazzo Rabachino, Introduzione e trascri-
Reale di Torino. zione di Bruno Armanno Armanni,
Postfazione di Vittorio Ubertone,
Il suo nome è Teofilo Barla. Le sue ricette sono affida- Sala Bolognese, Forni, 2011. Volume
te a Il confetturiere, l’alchimista, il cuciniere piemontese di cartaceo presso Biblioteca Universi-
Real Casa Savoia, pubblicato a proprie spese a Torino nel taria, Bologna; Biblioteca comunale
dell’Archiginnasio, Bologna; Biblio-
1854. Il volume viene riscoperto da un gruppo di studiosi teca Nazionale Centrale, Firenze;
e riedito in digitale da Forni di Bologna nel 2011 per il Biblioteca gastronomica Academia
150° dell’Unità d’Italia1. Il testo è disponibile in cartaceo in Barilla, Parma; Biblioteca nazionale
centrale, Roma; Biblioteca Internazio-
numerose biblioteche italiane, scaricabile in pdf dalla rete nale La Vigna, Vicenza.
e sfogliabile su Academia Barilla, sito di riferimento per la 2
Bruno Armanno Armanni,
consultazione digitale della trattatistica gastronomica sto- Giancarlo Gonizzi, Il cuoco inven-
rica nazionale2. Molte rivelazioni contenute in quest’opera tore. Storia di Teofilo Barla, cuoco
appaiono effettivamente in grado di riscrivere la storia e piemontese dimenticato, e del suo in-
solito libro, in www.academiabarilla.
la geografia del cibo e della sua circolazione globale negli it/italian-food-academy/protagonisti/
ultimi due secoli. Per questo le hanno assicurato una certa cuoco-inventore.aspx.
notorietà fra gli addetti ai lavori e un’ampia viralizzazione 3
Tutte le informazioni biografi-
sul web. che su Barla sono desunte da Bruno
Armanno Armanni, Introduzione, in
Barla nasce ad Asti il 29 marzo 1796 dalla ventenne Barla, Il confetturiere cit., passim.
Margherita Occhiena e da un nizzardo di fede giacobina,
«il facinoroso Jean-Baptiste Barla, ben noto alle autorità
per le sue idee sovversive», che muore affogato il 29 agosto
1798 mentre pesca di frodo carpe nel Tanaro. Nel 1810
l’ingegnere del Genio militare Filiberto Bodritti viene in-
viato da Torino ad Asti per ristrutturare un complesso di
edifici religiosi dismessi e destinati a caserme. Incontra la
vedova, dalla quale è a pigione, e si acconcia volentieri a far
da padre adottivo al giovane Teofilo. Ben presto conduce
il ragazzo a Torino, dove lo introduce al servizio della Real
Casa come garzone di cucina3.
Nella capitale gli si spalanca una carriera lunga, lu-
minosa e piena di soddisfazioni. Ma anche di chiaroscu-
ri, imputabili agli sbalzi di un carattere tanto generoso e
sprovveduto quanto acuminato e pieno d’orgoglio. Sovra-
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ni e principi mostrano ripetutamente di apprezzare le sue 4
Giovanni Vialardi, Trattato di
Cucina e Pasticceria moderna, Creden-
invenzioni culinarie. Grazie al suo talento ascende i gradi za e relativa Confetteria, di Vialardi
fin quasi al vertice. Da guattero arriva nel 1848 a Maître Giovanni, Ajutante Capo-Cuoco e Pa-
Pâtissier et Confiseur Royal alle dipendenze dirette di quel sticciere delle L.L. M.M Carlo Alberto
Giovanni Vialardi che, nello stesso 1854, pubblica quel- di Gl. M. e Vittorio Emanuele II Re di
Sardegna [...], Torino, Tipografia G.
lo che è probabilmente il più celebre trattato di cucina di Favale e C., 1854.
corte italiana di metà Ottocento4. Finché uno sciagurato 5
Cfr. la riproduzione fotografica
incidente gli distrugge la carriera e la vita. realizzata dallo stesso Armanni in Ar-
Reale Casino di Caccia di Casotto, Garessio, Alpi Ma- manni, Gonizzi, Il cuoco inventore cit.

rittime, 28 febbraio 1851. Vittorio Emanuele II rientra da 6


Armanni, Introduzione in Barla,
Il confetturiere cit., p. 11.
una battuta venatoria con seguito di dame e cavalieri. Per il
servizio del pranzo Barla ha ideato un’enorme polenta con-
cia alla valdostana. Per rendere perfetta la messinscena fa
vestire con calzettoni, zoccoli e gilet quattro inservienti al
suo servizio. Questi, maldestri, inciampano rovinosamente
e rovesciano le teglie bollenti addosso ai convitati ancora
in tenuta di caccia. Vittorio Emanuele si adira e degrada
seduta stante Barla al precedente rango di guattero, retro-
cedendolo nelle mansioni e nello stipendio.
A questo punto prende forma l’idea del trattato di
cucina come opera riparatoria. Barla chiama a raccolta le
proprie esperienze e conoscenze maturate in decennî di
servizio nelle cucine di corte. Lo stampa a proprie spese in
centinaia di esemplari. Lo dedica a Vittorio Emanuele, dal
quale implora con ardore di essere reintegrato nel rango
perduto. Il re ignora la supplica e ordina di bruciare tutte
le copie inviategli: probabilmente per censurare alcuni pet-
tegolezzi sulla sua vita privata contenuti fra le pagine, come
la leggenda sulla sostituzione alla nascita e le imbarazzanti
performances pubbliche dell’amante ufficiale Rosa Vercel-
lana, la Bela Rosìn.
La parabola discendente si completa nel 1865 con un
ulteriore declassamento. Il cuoco, ormai anziano e depres-
so, per accidia e neghittosità viene confinato alle scude-
rie della Palazzina di Caccia di Stupinigi come stalliere di
lettiera con un’ulteriore riduzione di stipendio. Abbrutito
dal rancore e dalla miseria muore il 29 agosto 1872 in una
colluttazione con i Regi Carabinieri che lo sorprendono a
pescare di frodo nel vicino torrente Sangone, esattamente
com’era accaduto al padre 74 anni prima. Viene inuma-
to nel cimitero di Borgaretto, nei pressi della tenuta reale,
dove ancora oggi sopravvive la sua lapide5.
I carabinieri incaricati dell’indagine rinvengono nel
suo alloggiamento molti altri esemplari del volume, ma in
condizioni così precarie che decidono di dare anche que-
sti alle fiamme. Del libro e del suo autore si perdono le
tracce fino al 2004, quando un bibliofilo dilettante, Bruno
Armanno Armanni, ne rinviene a Milano da un bouquiniste
una copia superstite. Probabilmente l’ultima6.
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Era il dicembre 2004 e visitai presso la Fiera di Milano, pa- 7
Ibid, pp. 17-18.
diglione 3 se ben ricordo, il 1° Salone del libro usato. Fra i nu-
merosissimi libri esposti, uno attrasse in particolar modo la mia
attenzione anche se, o forse perché, era in deplorevole stato di
conservazione, sbrindellato, privo di numerose pagine, con veste
tipografica dimessa e di insolito formato. Titolo? Il Confetturiere,
l’Alchimista, il Cuciniere piemontese di Real Casa Savoia. Autore?
Teofilo Barla. Luogo e anno di pubblicazione? Torino, 1854.
Lo acquistai e, complici i miei molteplici interessi, mi ap-
passionai nel leggere le ricette riportate nel volume – alcune in
verità molto insolite – e quindi mi posi all’opera per ricercare
informazioni sull’autore, sconosciuto ai più.
L’esemplare appare gravemente mutilo e lacunoso7:
[…] Lo stato di conservazione del volume, probabilmen-
te uno dei pochi esemplari che sono scampati ai due roghi che
hanno perseguitato la pubblicazione, non è dei migliori: vi sono
pagine mancanti o parzialmente strappate, nicchie e gallerie di
anobidi, muffe, polvere ecc.
Purtroppo del I tomo sono intelligibili solamente 18 ricette
e analogamente accade per quanto riguarda il II; del III tomo, 20
ricette su 36. Quest’ultimo è a sua volta suddiviso in: carni di ter-
ra (sono salve 10 ricette su 12), carni di aria (mancano le pagine
di tutte e otto le ricette), carni di aqua (sono salve 6 ricette su 12)
e bianco mangiare (salve 4 su 4).
Ciononostante Armanni decide di pubblicare presso l’e-
ditore Forni quel che resta del libro: non in formato anasta-
tico, per l’evidente difficoltà di realizzarne la riproduzione,
ma a partire da una trascrizione digitalizzata del testo.
Molte fra le ricette tramandate trovano riscontro nel
nascente canone della tradizione piemontese, che unisce
in modo armonico matrice contadina e di corte. Fra queste
la celebre finanziera amata dal conte di Cavour, il bollito
misto di Langa, i piedini di maiale infarinati e fritti noti
come batsoà (bas-de-soie, calze di seta), il filetto alla Gabet-
ti aneddoticamente legato al musicista autore della Marcia
reale d’ordinanza. Altre offrono preparazioni multiformi e
interessanti di liquori, elisir e sciroppi. Altre ancora spa-
lancano un versante creativo assolutamente moderno e
«fusion» ante litteram. La posizione privilegiata al servizio
della Casa regnante mette Barla in precoce contatto con
prodotti esotici del tutto estranei anche alle tavole dell’ari-
stocrazia locale. Può così sperimentare ingredienti inediti
come la noce di cocco, che giunge a Corte quale omaggio
dei floridi commerci con l’Africa dell’armatore genovese
Raffaele Rubattino (1810-1881), futuro acquirente della
baia di Assab e iniziatore dei possedimenti coloniali italia-
ni. Dalla polpa del cocco Barla ricaverà un’infusione alco-
olica sostanzialmente identica alla brasiliana batida de coco.
Seppure giunto in forma incompleta, il manuale restitui-
sce una caratteristica che lo rende unico nella trattatistica
95
culinaria italiana. Di ogni ricetta offre due versioni. Quel-
la ordinaria, una preparazione standard con ingredienti di
reperimento e somministrazione relativamente semplici, e
quella sublime che fa ricorso a una miscela codificata di
nove spezie esotiche, fra cui sostanze dai princìpi che solo
più tardi sarebbero stati riconosciuti come psicotropi ma
che all’epoca vengono considerati niente più che un raffi-
nato piacere che strizza l’occhio alle mai tramontate pra-
tiche occultistiche della tradizione aristocratica torinese.
Più che narcotici, gli effetti ricercati appaiono essenzial-
mente afrodisiaci. Barla conclude ogni ricetta ordinaria con
un rimando alla successiva versione sublime impiegando
sempre la medesima formula che fa esplicita menzione del
relax post-orgasmico, la petite mort dei francesi:
[La ricetta] adduce un durevol eccitamento dei sensi i quali
avran ragione della ratio medesima fintanto che non si pervenga
di necessità a prolungata estasi di carnale consolo e confortorio,
cioè a quella che gli Antichi dicean esser la piccola morte.
Per soddisfare le esigenze e le richieste dei sovrani e
della famiglia reale, il genio talentuoso e sfortunato del
cuoco inventa una quantità di preparazioni che conosce-
ranno una fortuna inimmaginabile e prenderanno nei de-
cenni a seguire le vie del mondo. O forse, per eterogenesi
dei fini, vedono nascite simultanee e reciprocamente ignare
in luoghi lontanissimi fra loro.
Il cuoco astigiano illustra con dovizia di nomi, detta-
gli e circostanze la nascita di queste creazioni, i personaggi
che gliene hanno offerto l’opportunità o ne sono stati dedi-
catari, e come gli siano state in diversi casi imitate, carpite
o sottratte con la buona fede o la malizia da individui privi
di scrupoli incontrati sulla propria strada e che se le sareb-
bero intestate diventando ricchi e famosi. Il declino finale
che lo emargina da corte e lo spinge in una stalla suburba-
na farà il resto per usurpargli ogni residuo di memoria e
riconoscimento di paternità.
Ecco le più rimarchevoli:
– Il gianduja. Barla inventa nel 1815 la miscela morbida di
cioccolato e nocciole battezzandola Cioccolato Gerolamo.
Gerolamo (in piemontese Gironi) è il nome originario del
burattino-maschera Giandoja inventato pochi anni prima
dai burattinai astigiani Gioachino Bellone e Gianbattista
Sales, che Barla asserisce di conoscere fin dalla fanciullezza
e che in tale periodo operano proprio a Torino. La ricet-
ta viene registrata molto più tardi, nel 1852, da Michele
Prochet ed Ernesto Alberto Caffarel, che ne avvieranno
la produzione industriale. Diventerà il notissimo prodotto
dolciario tuttora fra i simboli di Torino.
– Il Vov. Barla lo denomina L’Ordinario Elixir d’Ovo di
Gallina. La ricetta gli viene sottratta dal garzone pado-
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vano Firmino Pezziol, al tempo inserviente presso le
cucine di Casa Reale e figlio di Gianbattista proprieta-
rio di una liquoreria nella città veneta. Ottenuta dal Re
la licenza di commercializzarlo, Barla già ha in mente
il futuro nome commerciale, «Ov». Senonché quella
stessa notte Pezziol fugge rocambolescamente con la
ricetta, fa ritorno nel Lombardo-Veneto austriaco e
brevetta a stretto giro la bevanda che, assieme al padre,
pone in commercio con successo con il nome di Vov.
– La Coca Cola. Quella che Barla denomina l’Elixir di cola
e coca è una bevanda ottenuta dalla macerazione di noci
di cola e foglie di coca, arricchita con poco alcool e cara-
mello bruciato. L’aggiunta di una non meglio identifica-
ta «polvere di sua invenzione» avrà lo scopo di renderla
frizzante. Non si tratta di un liquore denso, sciropposo e
ad alta gradazione come la Coca Buton che sarebbe sta-
ta immessa sul mercato di lì a poco, ma sostanzialmen-
te una bibita progenitrice assai fedele della Coca Cola.
L’autore racconta in dettaglio gli effetti psicotropi – im-
pressionanti e fuori controllo – cagionati su due garzoni
che si erano prestati come assaggiatori della versione su-
blime con aggiunta di spezie (pp. 193-195).
– L’hamburger. La ricetta nasce come cibo da campo
per una battuta di caccia della durata di cinque gior-
ni alla Reale Palazzina di Caccia di Stupinigi in una
data imprecisata attorno al 1850. Viene ideata con il
nome L’Ordinaria Cottura di Trito di Manzo all’Asbur-
go. L’occasione è una visita a Torino dell’imperatrice
Maria Anna Carolina Pia di Savoia e del consorte, l’ex
imperatore Ferdinando I d’Austria che nel dicembre
1848 aveva abdicato in favore del nipote Francesco
Giuseppe e si era ritirato in volontario esilio a Praga.
Barla istruisce i fornai di Corte a preparare panini ton-
di, soffici e bianchi, e li farcisce con una polpetta di
manzo grigliata e condita con aromi, sale e pepe. Viene
preconizzato il concetto e il termine stesso di fast food:
[Vialardi] «denomina tale cibo veloce Panetto d’Asbur-
go e questo fu poscia brevemente appellato a Corte e
fuor d’essa come Asburgo o Asburger o Asburgher o
Amburgher o Sburgher et cetera e divenne entro e fuo-
ri delle mura del Regio Palazzo il prêt-à-manger pre-
diletto sia da coloro i quali son massimamente affac-
cendati, sia da coloro i quali intendono interrompere
il digiuno pomeridiano in special fatta giovini, nobili o
plebei che sieno. [La ricetta] potrai eseguirla personal-
mente oppur farla eseguire o parimenti gustarla appo
alcuni cafè restaurants ch’ebbero dal Capo Cuoco e
Pasticciere di Real Casa la licenza di somministrazione
agl’avventori e egli trasse da tale faccenda gran guider-
97
done». L’abbinamento ideale proposto è con la bevan- 8
Ippolito Cavalcanti, Cucina
Teorico-Pratica col corrispondente ripo-
da di sua invenzione, la futura Coca Cola: «E disposi sto ed apparecchio di pranzi e cene con
altresì che il panetto e la carne fosser allietati vuoi da quattro analoghi disegni. Metodo prati-
corposo vino, vuoi da un dissetante Elixir di poco alco- co per scalcare, e fare servire in tavola.
le e di mia fattura, ovverosia dal Sublime Elixir di Cola Lista di quattro piatti al giorno per un
anno intero, e finalmente una cucina
e di Coca della Ricetta n. 8 della parte di questo Libro casareccia in dialetto napoletano con
che s’occupa d’Elixir». altra lista analoga, composta dal signor
– La pizza tricolore. Nel 1853 Barla crea una preparazio- D. Ippolito Cavalcanti Duca di Buon-
vicino, Napoli, Tipografia G. Palma,
ne di pasta lievitata ricoperta di pomodoro, mozzarella 1839, passim.
di bufala e basilico e cotta in forno (pp. 365-375). Lo 9
Ci si riferisce naturalmente a The
scopo è risvegliare l’appetito di Ludovica Teresa Ma- Invention of Tradition, a cura di Eric
ria Clotilde di Savoia (1843-1911), figlia primogenita Hobsbawm e Terence Ranger, Cam-
di Vittorio Emanuele II e Maria Adelaide d’Asburgo- bridge, Cambridge University Press,
1983; trad. it. di Enrico Basaglia,
Lorena. La giovanissima principessa è in preda a un L’invenzione della tradizione, Torino,
serio deperimento organico per un’esaltazione mistica Einaudi, 1987 e succ.
e religiosa che la spinge a rifiutare gli alimenti e a pre-
tendere di cibarsi unicamente di ostie. Il cuoco riesce
nel suo intento, e in suo onore battezza il manufatto
«Pizza Lodovica». Profetica l’assonanza con la Marghe-
rita, com’è noto nata ufficialmente nel 1889. Barla non
manca di rilevare con orgoglio come i tre ingredienti
compongano i colori del tricolore, adottato nel 1848
da Carlo Alberto come vessillo sardo, e dichiara di aver
tratto l’idea d’impiegare il pomodoro e la mozzarella di
bufala dal ricettario del duca napoletano Ippolito Ca-
valcanti, in circolazione dal 1839 8. Nel proprio trattato,
Cavalcanti non menziona tuttavia alcuna preparazione
analoga, e riserva il termine di pizza esclusivamente a
focacce dolci.
Tutto molto intrigante, vero? Il problema è che Teofilo
Barla non è mai esistito.
Il ricettario e l’intera biografia sono una beffa ordita da
un piccolo gruppo di buontemponi che si sono inventati tut-
to. È un caso da manuale di «invenzione della tradizione»9,
costruito ad arte nel 150° dell’Unità d’Italia molto proba-
bilmente per alimentare, nobilitare e aggiungere capitoli a
quella vulgata mista d’orgoglio e piagnisteo che vuole Torino
e il Piemonte culle inesauribili di idee e primazie mondiali,
poi regolarmente scippate e portate altrove da popoli prov-
visti di maggior spregiudicatezza e fiuto per gli affari. Un
«cuciniere inesistente», un personaggio calviniano cesellato
a tavolino come simbolo e allegoria metastorica dei destini
splendidi e lamentosi della sua terra d’origine.
Siamo ovviamente molto lontani dall’invenzione, stre-
pitosa e congegnata in modo magistrale, di falsi come il
Necronomicon di Howard Philips Lovecraft, con la sua
vicenda bibliografica complessa e affascinante ma intera-
mente artefatta. Anche la burla del Barla ha fatto però le
sue brave vittime.
98
Nessun Teofilo Barla ha mai prestato servizio a Corte. 10
ASTo, Sezioni Riunite, Ministe-
ro della Real Casa, Azienda Genera-
Non c’è la minima traccia di un individuo di tale nome le della Real Casa. Regni di Vittorio
nei registri del «Personale degli Uffizi di Bocca e Servizi Emanuele I e Carlo Felice, mazzo 709.
di Cucina» dei Re di Sardegna e poi d’Italia da Vittorio 1822. Stato di tutto il Personale addet-
Emanuele I fino a Vittorio Emanuele II. Non compare to alla R.l Casa (per B, fra il giubilato
Barella Domenico e il teologo Barrera
nell’elenco alfabetico degli stipendiati di Casa Reale, dove Ferdinando), pp. 8-13.
fra i ruoli analitici sono enumerati con pignoleria sabau- 11
ASTo, Sezioni Riunite, Ministe-
da pure incarichi d’infimo rango come Allievi, Garzoni, ro della Real Casa, Azienza Generale
Camalli e Lavatori10. Nessuna traccia di lui nemmeno nei della Real Casa. Regni di Vittorio
Emanuele I e Carlo Felice, mazzo 704,
fascicoli personali dei dipendenti, dove risulta completa- Stato alfabetico degli stipendiati della
mente sconosciuto11. E anche la qualifica di guattero, co- R. Casa; mazzo 705, 1819-20, Stato
stantemente utilizzata nel volume dello pseudo-Barla, non Nominativo del personale articolato in
viene mai contemplata negli elenchi, nei fascicoli personali base all’organigramma degli uffici e dei
servizi.
e nella nomenclatura gerarchica dei ruoli dei dipendenti di 12
Cfr. Bruno Gambarotta, Storie
Palazzo Reale. Basterebbe questo a far posare qui la penna di Città, in “La Stampa TorinoSette”, n.
e chiudere il discorso. 1457, 12 maggio 2017, testo in: www.la-
Senonché analizzare la morfologia della bufala aiuta a stampa.it/2017/05/12/torinosette/storie-
di-citt-nRBn9bzFISnRJcXcf3Ds1O/
comprendere come essa abbia potuto godere di circolazio- pagina.html. Curiosamente Gamba-
ne e impunità, al riparo da qualunque verifica storica, criti- rotta cita più volte Barla nel corso
ca e archivistica. Il fake ha ingannato il comitato scientifico dell’articolo come «Borla». La dichia-
dell’Academia Barilla. Ha viralizzato in rete. Complice la razione di Barla che retrodata al 1815,
attribuendosela, la nascita della crema
popolarità delle scienze gastronomiche – ascese da cultura gianduja è accettata pacificamente ad
materiale a nouvelle maîtrise – è arrivato lì lì per trasfor- esempio nei materiali espositivi pre-
mare il cuoco inesistente in un pericoloso meme. Ci sono disposti dagli scrittori e gastronomi
Clara e Gigi Padovani per la mostra
cascati in molti, compresi personaggi insospettabili12. Un sui 140 anni della Venchi Cioccola-
debunking si rende dunque necessario affinché la burla di to, allestita nel settembre 2018 alle
Barla venga smascherata e non faccia ulteriori danni. Ogr – Officine Grandi Riparazioni di
Chi sono gli autori? Tutta l’operazione riconduce a un Torino e successivamente ricollocata
nella sede dello stabilimento Venchi,
piccolo scriptorium di oscuri blogger di area astigiana che sempre a Torino.
gravitano attorno al sito di informazione agro-alimentare
e gastronomica www.saporidelpiemonte.net, e verosimil-
mente attorno al ristretto gruppo di prefatori, curatori e
introduttori che sullo stesso sito si prestano anche a com-
mentare in brevi video l’opera e la figura dell’autore. Nei
crediti del sito web si legge: «Da un’idea autoprodotta e
autofinanziata di Filippo Larganà e Vittorio Ubertone».
Quest’ultimo risulta poi il postfatore dell’opera di Barla.
Qualunque ricerca in rete relativa a «Bruno Armanno Ar-
manni» riporta esclusivamente a questo testo: non esistono
altri suoi contributi, citazioni, scritti o interviste che possa-
no confermare che non si tratti di uno pseudonimo o nom-
de-plume di uno degli autori della burla.
Del libro sussisterebbe un solo testimone cartaceo ori-
ginale. L’unica copia del Confetturiere edizione 1854 sa-
rebbe in possesso del suddetto Armanni. Una fotografia
digitale del volume, realizzata dall’astigiana Amalia Pesh
e di cui siamo venuti in possesso, mostra chiaramente un
manufatto ottocentesco in buone condizioni di conserva-
zione, ma con alcune peculiarità che confermano in modo
99
flagrante l’ipotesi del falso e che fanno pensare con ogni
evidenza a una stampa digitale sovrascritta e realizzata ad
hoc su un registro o quaderno d’epoca verosimilmente rin-
venuto sul mercato del piccolo antiquariato:
1) Contrariamente a quanto affermato da Armanni,
dall’esame della fotografia il volume non appare mini-
mamente mutilo o pesantemente mancante di pagine
o quartini, ma integro in tutta la sua foliazione, taglio,
fascicolatura e rilegatura. Anche il taglio laterale ap-
pare nitido e non minimamente eroso o intaccato da
minacciare la trascrivibilità del contenuto.
2) Titolo, autore e informazioni generali sono stampate
in modo completo sulla copertina cartonata. Una pras-
si del tutto inusuale in un’epoca in cui esse di rego-
la comparivano esclusivamente sul frontespizio e mai
sulla copertina cartacea, e semmai venivano riprese in
modo sintetico impresse sulla rilegatura in pelle, cor-
rentemente impiegata al tempo anche per volumi di
destinazione popolare e a vaste tirature.
3) La font tipografica utilizzata è del tutto estranea a quel-
le adoperate a metà Ottocento, e appare con ogni evi-
denza una delle tante famiglie di caratteri digitali vin-
tage create ex novo nel XXI secolo. Peraltro, a metà
Ottocento, era ancora regola estetica universale alter-
nare tra le diverse righe più caratteri e corpi differenti
per stabilire una precisa gerarchia visuale e conferire
maggiore o minore enfasi all’informazione fornita in
ciascuna di esse: autore, titolo, dedicatario ecc.
4) Del tutto incongrua e anomala è poi l’indicazione la-
tina della località di stampa («Augusta Taurinorum»),
quando per i testi in lingua italiana e non a carattere
scientifico o religioso era prassi universalmente seguita
indicare in italiano la città di edizione.
Arnaldo Forni – per molti decenni benemerito artefice
di migliaia di riproduzioni anastatiche del grande patri-
monio culturale italiano – questa volta accetta di stampare
partendo non da un testo d’epoca ma da una trascrizione
digitale contemporanea fornita dai curatori: incompleta,
piena di interventi editoriali e scelte arbitrarie non giustifi-
cabili se non con la finzione letteraria di un antigrafo fatto
credere troppo danneggiato ma in realtà, come s’è visto,
frutto di una contraffazione difficilmente sostenibile di-
nanzi all’esame di un qualunque bibliografo.
Ne risulta che tutte le copie del volume in possesso di
biblioteche italiane sono soltanto le moderne stampe for-
niane. E Forni ha cessato l’attività editoriale nel dicembre
2017.
L’unica testimonianza storica che riporta il nome di un
Teofilo Barla è una lapide che Armanni dichiara di aver fo-
100
tografato nel cimitero di Borgaretto, frazione di Nichelino 13
Umberto Eco, Il nome della rosa,
Milano, Bompiani, 1980, antiporta
nei cui paraggi sorge la Palazzina di Caccia di Stupinigi. È dell’introduzione, s.i.p.
davvero forte il sospetto che l’intera storia sia partita di lì. 14
Cfr. https://it.wikipedia.org/
Che la biografia sia stata costruita a ritroso muovendo da wiki/Manoscritto#Finzione_lettera-
quest’unica evidenza oggettiva, costruendo una vita imma- ria_del_manoscritto_ritrovato.
ginaria attorno alla suggestione di un nome. Edificandogli
attorno una storia credibile, articolata e ben congegnata e
creando ex post una narrazione elaborata e un inesistente
castello documentale.
L’invenzione letteraria si appoggia a un espediente nar-
rativo vecchio di secoli: il ritrovamento fortuito di un an-
tico testo che il proprietario custodisce con gelosia e non
permette ad alcuno di consultare, pur riconoscendone il
valore storico al punto di decidere di trascriverlo e ridarlo
alla luce. «Naturalmente, un manoscritto», direbbe Um-
berto Eco 13: il logoro topos del chirografo ritrovato attorno
cui – da Leon Battista Alberti a Paulo Coelho passando per
Manzoni – sono stati composti infiniti capolavori 14.
Oltre alla confezione materiale del manufatto biblio-
grafico, anche il falso testuale è congegnato con indubbia
applicazione. Ma non benissimo. Ecco una sintetica feno-
menologia delle ingenuità e delle maldestrìe che avrebbero
dovuto da tempo mettere sull’avviso almeno i lettori e stu-
diosi più accorti.
Gli autori disseminano la vita immaginaria del prota-
gonista di una serie interminabile di coincidenze che stan-
no a metà fra il divertissement colto, il gusto per la cripto-
citazione e la beffa silenziosa alle spalle del lettore meno
avveduto.
Il padre del cuoco sarebbe il giacobino nizzardo Jean-
Baptiste Barla che, per combinazione, condivide nome,
cognome e origine con l’illustre micologo e viaggiatore
(1817-1896) cui la città marittima ha dedicato un’impor-
tante via alle spalle di Place Garibaldi. A parte che Nizza
al tempo è piemontese, la lingua in uso nei nomi di batte-
simo è l’italiano – e quindi è evidente la forzatura nell’uso
dell’onomastica francese – Barla padre sarebbe morto nel
1798, catturato dai gendarmi mentre pesca di frodo carpe
nel Tanaro fuori Asti: esattamente le stesse circostanze che
sarebbero occorse al figlio molti anni dopo. La madre Mar-
gherita Occhiena porta invece lo stesso nome e cognome di
quella di un altro astigiano decisamente celebre: san Gio-
vanni Bosco. E, guarda caso!, come lei nasce il 1° aprile,
del 1776 anziché del 1788. Il destino avrebbe infine fatto
morire Barla figlio lo stesso giorno, mese e anno (29 agosto
1872) del suo amico ed ex superiore Giovanni Vialardi che
si spegne simultaneamente – ma con speculare fortuna –
nella sua ricca dimora di Brusasco, ricco, onorato e circon-
dato dalla numerosa famiglia. È una congerie di casualità
101
che potrebbe abitare un film di Krzysztof Kieślowski, ma
che nella realtà statistica appare insostenibile anche facen-
do appello alla legge dei grandi numeri.
Di nuovo, infatti, non vi è traccia in alcun documento
d’archivio né nei resoconti della stampa dell’epoca di un
episodio che – coinvolgendo peraltro la forza pubblica –
avrebbe dovuto ricevere comunque risonanza o registra-
zione nelle carte di Prefettura e sulle pagine di cronaca dei
due quotidiani torinesi, la Gazzetta Piemontese e la Gazzet-
ta del Popolo e dal cui spoglio, ovviamente, nulla risulta.
È più che evidente la volontà letteraria di istituire con
Vialardi due destini incrociati e paralleli inventandogli uno
speculare, geniale e sfortunato Doppelgänger.
Se poi analizziamo l’uso degli ingredienti e delle mate-
rie prime nello pseudo-Barla e lo compariamo con l’auten-
tico manuale di Vialardi ci imbattiamo in una quantità di
falsi intenzionali e di anacronismi grossolani che tradisco-
no il malizioso costrutto ex post, e spesso sfondano il muro
del ridicolo involontario.
È estremamente improbabile che una figura operante
nell’ambiente delle cucine della corte sabauda sia total-
mente impermeabile nelle proprie prescrizioni al prestigio
e influsso del gusto francese, dominante nella maggior par-
te delle corti europee per tutto il resto del XIX secolo e a
maggior ragione a Torino. Nel trattato di Vialardi il debito
culturale e mentale verso la cucina francese è, per contro,
talmente organico da apparire assolutamente pervasivo
sotto tutti gli aspetti: dalle materie prime alle preparazioni-
base, dalla nomenclatura tecnica alla denominazione dei
singoli piatti, al punto da risultare spesso un meccanico
adattamento fonetico dei termini originali d’Oltralpe.
Inoltre non è tecnicamente possibile che – in un si-
stema produttivo come una cucina di corte, negli stessi
ambienti e per preparazioni destinate ai medesimi com-
mittenti – un sottoposto faccia uso di ingredienti ignoti
e non impiegati dal diretto responsabile, e soprattutto da
lui non acquistati in quanto soprintendente dei «Servizi di
Cucina». Al tempo, per dimensione e organizzazione del
lavoro, l’organizzazione di una cucina di corte è gerarchiz-
zata e normata minuziosamente, e più complessa della già
evoluta macchina produttiva dei restaurants del periodo
fra Carême ed Escoffier. Nella sedicente «Pizza Lodovi-
ca» riesce arduo accettare che un subordinato potesse far
venire appositamente via nave dal Regno delle Due Sicilie
(con tanto di dogane) un prodotto estremamente deperi-
bile come la mozzarella di bufala senza che questa appaia
mai nelle ricette preparate sugli stessi fornelli dal suo su-
periore. E all’epoca, il pomodoro in Piemonte non è mai
chiamato pomodoro o pomidoro come in Barla, ma all’uso
102
franco-piemontese tomatica, com’è norma inderogabile nei 15
Francesco Chapusot, La vera
cucina casalinga sana, economica e di-
trattati di Chapusot e Vialardi15. Un barbarismo talmente licata, Torino, Tipografia Eredi Botta,
radicato che susciterà di lì a qualche anno l’irrisione di Lo- 1851, ad es. alle pp. 31-32 e passim (a
renzo Stecchetti e Pellegrino Artusi, i gastronomi puristi p. 35 Chapusot lo denomina anche
della prima generazione post-unitaria16. «pomo d’amore»).
Se la lingua di Vialardi è totalmente infranciosata, 16
Cfr. Pellegrino Artusi, La
scienza in cucina e l’arte di mangiar
quella dello pseudo-Barla è inventata male. Una costruzio- bene, Firenze, Tipografia di Salvadore
ne talmente raffazzonata e maldestra da costituire da sola Landi, 191115, pp. 24-26.
una prova lampante del falso. Gli autori dilettanti fanno 17
Cfr. Barla, Il confetturiere cit.,
esprimere il cuoco in una prosa anacronistica e iper-colta, pp. 81-83.
involuta e pretenziosa, lontanissima dall’italiano medio-
ottocentesco anche letterario e zeppa di costrutti sintattici
e forme lessicali usciti dall’uso già da secoli. Il meccanismo
è quello del ricorso a una lectio difficilior quale tentativo
di legittimazione d’autenticità e di storicità, che si rivela
però prova flagrante del falso. L’effetto finisce per sortire il
risultato contrario, suonando posticcio come il grammelot
finto-medievale di Brancaleone, dei personaggi da film del
filone boccaccesco anni Settanta o dei volonterosi bandi-
tori e figuranti nelle mille rievocazioni storiche delle Pro
Loco sparse per lo Stivale. Consideriamo ad esempio la Ri-
cetta n. 2, La Sublime Buntà di Sua Maestà17:
Al fine di realizzare al meglio la Ricetta terrai tali comporta-
menti e farai ciò in memoria di me. In primis per una quantità
che sia pari a 15 libbre di Confettura che vorrai confettare prin-
cipierai col procurarti personalmente le seguenti nove spezie che
son d’agevole rinvenimento a breve distanza dal Palazzo Rea-
le sotto i porticati della piazza detta del Castello nella bottega
impiantata oltre 13 lustri orsono dal signor Antonio Benedetto
Carpano: di semi di noce muscata 3 onze, di ramoscelli di cyn-
namomo 1 onza, d’infiorescenza d’indica cannabacea 7 onze, di
semi di cardamomo 2 onze, di chiodi detti del garofalo 1 onza,
di fungo mescal 4 onze, di rizoma di galanga 1 onza, di rizoma
d’iride fiorentina 4 onze, di foglie di tanaceto 3 onze. In secundis
curerai di verificare assai che tali spezie sieno ben essiccate e per
nulla muffite e poscia le pestellerai personalmente tutt’insieme
con somma attenzione in un acconcio mortajo fintanto ch’esse
divengan al pari di polvere finissima e del pari non sieno più
distinguibili l’une coll’altre.
Nessun cuoco della Corte sabauda – e meno che mai
un poveraccio in cerca di riabilitazione – avrebbe rischiato
il peccato di blasfemia attribuendosi per iscritto una pre-
suntuosa autocitazione delle Scritture come «farai ciò in
memoria di me» (Luca 22:19). Non siamo in un film di
Quentin Tarantino.
Così pure, per indicare piazza Castello, nessuno attor-
no al 1850 avrebbe impiegato l’antiquata circonlocuzione
«sotto i porticati della piazza detta del Castello» quasi che
l’odonimo fosse ancora recente e bisognoso di asseverazio-
ne. Grottesco e posticcio anche specificare che la botte-
103
ga sotto i portici al n. 21 era stata impiantata nel 1786 da 18
Cfr. ad esempio Ad fare salsa ca-
mellina in Anonimo meridionale del
Antonio Benedetto Carpano: un’annotazione da moderna primo Quattrocento, Due libri di cu-
guida turistica del tutto pleonastica per un esercizio com- cina, p. 115. Le semplici lezioni «can-
merciale arcinoto a qualunque torinese del tempo. nella» e «garofani» sono standard già
Il guazzabuglio costruito attorno alle spezie prescrit- in Maestro Martino da Como, Libro
de arte coquinaria [...] (ca. 1450), pp.
te per le cosiddette ricette sublimi presenta scelte lessicali 128-218. Entrambi riediti in L’arte
insostenibili per la lingua di un trattato di metà Ottocen- della cucina in Italia. Libri di ricette e
to. Da liquidare senza appello vezzi cinquecenteschi tipo trattati sulla civiltà della tavola dal XIV
al XIX secolo, a cura di Emilio Faccio-
«sieno ben essiccate e per nulla muffite e poscia le pestel- li, Torino, Einaudi, 1987, 19922. O
lerai personalmente tutt’insieme con somma attenzione in cfr. «Acquavita di cannella, garoffano
un acconcio mortajo fintanto ch’esse divengan al pari di e persico» in un testo piemontese di
polvere finissima», che si ritrovano in lezioni ben più pia- oltre mezzo secolo anteriore a Barla:
Anonimo, Il Confetturiere Piemontese
ne e scorrevoli già in ricettari di trecento anni prima come che insegna la maniera di confettare
quello di Domenico Romoli. Del tutto incongrue le grafie e frutti in diverse maniere, Torino, Bel-
perifrasi adottate per aromi di uso comunissimo da mezzo tramo Antonio Re, 1790, p. 32.
millennio nella cucina italiana, come la cannella denominata
cynnamomo o i «chiodi detti del garofalo» che già nel XV
secolo erano detti più concisamente «garofani»18. Allo stesso
modo la cocciniglia («Una polvere di colore rosso vividissi-
mo ottenuta pestellando insetti esotici rinsecchiti nomantisi
cocciniglie») viene presentata come novità esotica introdotta
di recente dall’archeologo Bernardino Drovetti reduce dalle
spedizioni in Egitto, quando invece è un colorante per li-
quori ben noto e impiegato per tingere il diffusissimo alcher-
mes almeno dai tempi di Lorenzo il Magnifico.
Il divertissement allusivo alle spalle del lettore diventa
esplicito quando gli autori inseriscono nella suddetta misce-
la di nove spezie, prescritta in tutte le ricette sublimi, due
moderne sostanze allucinogene. L’«infiorescenza di indica
cannabacea» è ovviamente la cannabis. E il mescal – non
fungo – è il ben noto cactus peyote (Lophophora williamsii)
contenente l’alcaloide mescalina. È abbastanza hard imma-
ginare la bottega di Carpano come smart shop o «spacciato-
re» ufficiale della Torino sabauda. E infine, tornando al già
citato preparato a base di polpa di cocco, la burla suona di
un’evidenza sfacciata nell’assonanza fra l’esclamazione dia-
lettale di Vittorio Emanuele II («O che buntà») e la barretta
a base di cocco universalmente nota come Bounty.
La cornice storica è del pari zeppa di invenzioni e sva-
rioni grossolani che non mette conto enumerare. Tre esempi
liquidano la questione. Il libro è dedicato nel 1854 a Vitto-
rio Emanuele II, indicato come «Sua Altezza Reale Vittorio
Emanuele Maria Alberto Eugenio Ferdinando Tommaso di
Savoia, Principe di Piemonte, Duca di Savoia, Re di Sarde-
gna»: senonché il trattamento per il regnante non è «Altezza
Reale», riservato ai principi eredi al trono, ma «Sua Maestà».
Seconda topica: è impossibile che Bodritti nel 1810 conduca
il giovane Barla a Torino per introdurlo come inserviente a
Corte. Chiunque sa che, al tempo, Torino è parte dell’Im-
104
pero francese e Vittorio Emanuele I si trova con la famiglia 19
Teofilo Barla, Lettere a mam-
ma Margherita dalla Corte Sabauda
a Cagliari, da dove sarebbe rientrato soltanto il 20 maggio dal 10 gennaio 1848 al 7 aprile 1851
1814 con la Restaurazione. Terza e definitiva cialtronata: è / Teofilo Barla; presentazione di Vin-
ovviamente falso che l’ex imperatrice d’Austria Maria Anna cenzo Buronzo; introduzione [e cura]
Carolina Pia sia venuta a Torino in visita alla famiglia d’ori- di Niccola Gabiani, Asti, Vinassa
1933. Riproduzione anastatica [recte:
gine accompagnata dal cesareo consorte Ferdinando I all’in- riedizione ricomposta digitalmente],
domani della Prima Guerra d’Indipendenza. Immaginate [Asti], Astigrafica, 2016. Volume car-
le complicazioni diplomatiche di una visita di tale rango in taceo presente presso Biblioteca co-
quegli anni di guerra fredda fra Regno di Sardegna e Impero munale dell’Archiginnasio, Bologna;
Biblioteca Nazionale Centrale, Firen-
austriaco. Di essa, infatti, non v’è minima traccia nelle fonti, ze; Biblioteca gastronomica Academia
nelle cronache e nella trattazione storiografica. Barilla, Parma.
20
Cfr. testo della presentazione su
Eppure, incredibilmente, la banda di buontemponi na- www.saporidelpiemonte.net/blog/
scosta dietro il nom de plume collettivo di Bruno Armanno editoria-la-ristampa-de-lettere-a-mam-
Armanni aggiunge nel 2016 un nuovo capitolo all’inven- ma-margherita-dalla-corte-sabauda-
di-niccola-gabiani/
zione del personaggio-Barla. E di nuovo lo accredita come
la riscoperta bibliografica di un raro volume dimenticato.
Questa volta si tratta delle lettere che Barla avrebbe
scritto fra il 1848 e il 1851 alla madre e inviato ad Asti per il
tramite del canonico Antonio Maria Tellini, che le avrebbe
a sua volta consegnate e lette alla donna. Le missive sareb-
bero state in origine raccolte e pubblicate in un volume
apparso nel 1933 presso la tipografia astigiana Vinassa, che
il sedicente Armanni pubblica in «ristampa anastatica»:
in realtà una semplice composizione digitale moderna, al
pari del ricettario19. Siamo di nuovo in presenza di un falso
astuto e totale, compiuto suppergiù con gli stessi metodi
già impiegati per il capitolo precedente, con l’obiettivo di
arricchire la vita e le avventure del Barla di ulteriori parti-
colari ed episodi che ne ribadiscano la verosimiglianza at-
traverso l’apporto incrociato di una seconda fonte.
Anche stavolta Armanni sostiene di aver potuto con-
sultare l’unica copia originale custodita gelosamente dal
«maieuta e bibliofilo» astigiano Giovanni Angelo Maria
Burini: altro nudum nomen delle cui opere e attività la rete
non restituisce traccia, e che purtuttavia si presta a dedi-
care un’alata presentazione della ristampa digitalizzata del
testo suddetto. Dove? Ma ancora una volta sul solito sito-
blog www.saporidelpiemonte.net 20.
Il sottoscritto ha avuto la buona ventura e il piacere di legge-
re entrambe le pubblicazioni e a seguito di tanto gentili quanto
reiterate richieste, ha accondisceso a concedere che l’introvabi-
le libricino (forse oramai quasi un unicum) potesse essere utiliz-
zato per una ristampa anastatica no profit di 100 esemplari, tanti
quanti ne furono stampati nel 1933.
Il testo è anche accessibile sotto forma di eBook, in conside-
razione del fatto che questo benemerito sito web che ha richie-
sto e benevolmente accolto le mie considerazioni, ha già offerto
ai suoi numerosissimi followers la consultazione gratuita onli-
ne de Il confetturiere, l’alchimista, il cuciniere di Real Casa Savoia.
105
L’invenzione della tradizione qui non si appoggia più 21
Cfr. cenni biografici e bibliogra-
fia in https://it.wikipedia.org/wiki/
al topos del manoscritto ritrovato ma a quello, ancora più Niccola_Gabiani.
antico e sfruttato, dell’auctoritas. È l’artificio di attribuire 22
Cfr. http://opac.sbn.it/opacsbn/
per i propri fini a un autore realmente esistito – e possi- opaclib. Testi conservati anche a Pari-
bilmente di un certo prestigio – un testo che questi non gi, Bibliothèque Nationale de France.
ha mai scritto, con l’unico obiettivo di renderlo credibile e 23
Niccola Gabiani, Introduzione
accrescere a posteriori autorevolezza e verità storica della a Barla, Lettere a mamma Margherita
dalla Corte Sabauda cit., p. XV.
propria tesi.
L’autore prescelto suo malgrado è l’astigiano Niccola
Gabiani, geometra dirigente dell’ufficio tecnico comunale
e storico dilettante vissuto fra il 1858 e il 1940. Fondatore
del Museo Archeologico della città, è autore attestato di
una quarantina di studi e volumi che spaziano dalla storia
medievale a quella dei monumenti cittadini, dalle origini
del Palio alle vicende delle istituzioni locali fino ad appro-
fondimenti monografici sugli illustri conterranei Vittorio
Alfieri e Giuseppe Maria Bonzanigo 21. Tutte le opere di Ga-
biani sono presenti nelle biblioteche italiane e non solo 22,
e in molti casi anche disponibili sul mercato antiquario
compreso quello in rete. L’unica di cui non è attestato un
solo esemplare cartaceo è ancora una volta proprio questa,
l’ultima che sarebbe stata composta dall’autore.
Anche stavolta il falso viene confezionato prestando
una certa attenzione ai dettagli. L’esercizio di stile si sforza
di aderire alla lingua e ai riferimenti culturali di un erudito
formato nel primo Novecento. Un compito meno arduo di
quello richiesto per inventare la prosa di Barla, perché se
non altro quella di Gabiani la si può facilmente plasmare
sul modello delle decine di sue opere disponibili.
Per rafforzare la credibilità viene addirittura premessa
al testo una prefazione attribuita al professor Vincenzo Bu-
ronzo (1884-1976), pedagogo e letterato allora podestà di
Asti, pullulante di ovvi riferimenti alla vita cittadina dell’e-
poca e ai suoi protagonisti. Un lavoro di contestualizzazio-
ne alquanto agevole poiché chiama in causa episodi e figu-
re rintracciabili in qualunque raccolta di stampa periodica
o cronache locali del periodo, e quindi facili da prendere a
prestito e calare nell’invenzione.
La vicenda del ritrovamento segue il collaudato plot a
indizi concatenati che in tanti romanzi porta allo svelamen-
to progressivo del mistero. In breve. Un tecnico comunale
alle dipendenze di Gabiani durante i lavori di ristruttura-
zione di un vecchio casamento nel ghetto di Asti rinviene
sotto le mattonelle di una cucina un plico di lettere risalen-
ti alla metà del secolo prima. Con entusiasmo si precipita
dallo studioso per consegnargli il materiale che presume
possa essere di suo interesse 23.
È il capomastro Montrucchio che ho avuto occasione di co-
noscere e apprezzare nel corso delle mie numerose sovrainten-
106
denze ai restauri di edifici astigiani di età romanica e grazie al
quale ho portato in salvo preziosi reperti che conservo accura-
tamente; ha con sé alcuni fogli che sventola, a gran voce chiede
di potermeli mostrare, io acconsento, mi reco al piano terreno
per riceverlo, mi comunica che da qualche tempo sta dirigendo
gli improcrastinabili lavori di ristrutturazione del casamento Foa
nel quartiere San Rocco, che sotto le piastrelle del pavimento di
una delle cucine è stato ritrovato un plico di lettere risalenti alla
metà del secolo scorso, che ha ritenuto fosse cosa che avrebbe
potuto interessarmi e con timore reverenziale si scusa del distur-
bo arrecatomi.
Gabiani decide di andare a fondo. Fa visita al pro-
prietario dello stabile, l’anziano israelita Moise Foa, per
risalire grazie ai registri delle locazioni all’identità di chi
avesse abitato quelle stanze e ricevuto quelle lettere alla
metà dell’Ottocento. Con acribia da detective e la passione
di chi s’innamora del proprio oggetto di ricerca, riesce a
ricostruire che si tratta di Margherita Occhiena, la madre
del Barla. Basta questo per scatenare il maturo studioso a
buttarsi con entusiasmo da novizio in un lavoro d’archivio
per rintracciare ogni possibile traccia di questo personag-
gio misterioso che pare appassionarlo tanto.
La vicenda può forse reggere come intreccio fictionale,
ma sotto il profilo storiografico fa acqua da tutte le parti.
Un pacco di lettere d’un cuoco risalenti a un’ottantina di
anni prima non avrebbe destato in Gabiani il minimo inte-
resse. E meno che mai sarebbe apparso un potenziale teso-
ro agli occhi di un capomastro. Non si tratta di pergamene
aleramiche o carteggi inediti di Alfieri, ma di missive di
una figura di cui all’epoca – se ci si attiene alla cronologia
imbastita dagli stessi autori – non si conosceva nulla.
Gabiani è uno studioso di provincia primi anni Trenta,
che condivide la propria mappa mentale con tanti eruditi
dilettanti dell’Italia del tempo. L’intero suo corpus di lavori
testimonia un’attenzione essenzialmente antiquaria, attrat-
ta dai fasti del Medioevo con i suoi stendardi e splendori
comunali, dalle rinascenti tradizioni di campanile come il
Palio, dalla ferace storia delle istituzioni cittadine, dai me-
daglioni biografici dedicati a esponenti dell’aristocrazia e
grandi personaggi. E naturalmente dall’immancabile mito
fondativo-patriottico di Dante. Al paradigma intellettuale
dello storico italiano di formazione nazionalista post-risor-
gimentale non manca nulla. Nella percezione sociale e an-
tropologica del tempo, un cuoco è invece niente più che un
salariato, un membro delle classi subalterne: non ancora
un intellettuale o soggetto che scrive la storia dal basso. Le
Annales di Marc Bloch e Lucien Febvre, la storia materiale
e sociale e il metodo prosopografico in quegli anni stanno
muovendo i primi passi. Ma certo non all’Ufficio Tecnico
del Comune di Asti. Anche questo particolare ai nostri go-
107
liardi è sfuggito. E quelle lettere, all’epoca, erano solo carta 24
Cfr. Gabiani, Introduzione a Let-
tere a mamma Margherita dalla Corte
vecchia buona per accendere il fuoco. Sabauda cit., p. XXI.
Tutte le prove appaiono di nuovo accuratamente co- 25
Cfr. Barla, Lettere a mamma
struite ex post. Lo pseudo-Gabiani dichiara di avere trovato Margherita cit., Lettera n. 17, 29 mar-
negli archivi astigiani riscontro dell’esistenza di numerosi zo 1851, p. 107.
personaggi menzionati nelle lettere, senza però mai citar-
ne fonti documentarie e ubicazione. Molte figure citate
nel volume sono in effetti realmente esistite e richiamate
nell’epistolario per conferirgli verosimiglianza: a chi ha
buon tempo e tanta voglia il piacere di verificare.
Fra costoro ci sarebbero il padre naturale di Teofilo, «il
facinoroso Jean Baptiste Barla», il destinatario e mediatore
delle lettere alla madre, «il sacerdote Antonio Maria Tellini
[...] parroco della chiesa di San Martino in Asti e beneme-
rito fondatore dell’opera pia che tuttora porta il suo nome»
e il padre adottivo Filiberto Bodritti. Senonché una grosso-
lana svista qualifica quest’ultimo come «ufficiale del Corpo
Reale degli Ingegneri di Casa Savoia», quando il Piemonte
in quel momento, come ricordato sopra, è dipartimento
dell’Impero Francese. Una sciatteria che qualunque stori-
co, allora come oggi, non avrebbe commesso24.
Dal carteggio si apprende anche come ad Asti non esi-
sta alcun certificato di battesimo che attesti la nascita del
Barla. Altra semplice astuzia per blindare l’inafferrabilità
documentale di un fantasma, espressa sempre in una prosa
leccatissima che neanche il Giacomo Leopardi più cere-
brale arriva a distillare25:
Oh Madre mia dilettissima! Quale terribile arcano mi svela-
sti! Oh Riverendissimo Parroco! Di quale ferale notizia vi faceste
latore!
Voi pertanto mi dite che il nome ch’io porto fu voluto dal
Padre mio non con riferimento al Santo Teofilo Penitente della
Chiesa di Adana ma bensì per rimembrare il nolano Giordano
Bruno che nel suo libro nomantesi “La cena de le ceneri” si asco-
se sotto il nome di Teofilo e che anzichè essere amante di Dio fu
frate scomunicato, ateo e bestemiatore a tal punto che la Sacra
Inquisizione fu da lui obbligata a metterlo al rogo affinchè la sua
anima non andasse perduta e pertanto egli fu condotto per sua
volontà al sacrifizio supremo del fuoco purificatore e salvifico.
E mi rendete puranco noto che il Padre mio fu accesissimo
volterriano, massone e ateo, che per tale cagione non volle ch’io
accedessi al lavacro del Santissimo Sacramento del Battesimo e
mi dite ch’io pertanto non compaio nel libro dei battezzati della
parrocchia di San Rocco e di qualsivoglia altra di Asti e che non
sono giammai stato mondato dal peccato originale.
Oh, perchè non fui battezzato, oh perchè non mi fu fatto que-
sto dono poscia che rimasi orfano: forse per rispettare il volere di
quell’uomo che morì entro i flutti e fuori dalla grazia d’Iddio?
Si potrebbe continuare all’infinito. Basta il seguente
esempio per abbracciare la grossolanità e la disinvoltura
108
degli autori di una beffa durata anche troppo a lungo. Qui 26
Cfr. Annie Sacerdoti, Piemonte.
Itinerari ebraici: i luoghi, la storia, l’ar-
Gabiani si reca a casa di Moise Foa per avere maggiori in- te, Venezia-Torino, Marsilio - Regione
formazioni e, trattenuto a pranzo, discorre con lui degli usi Piemonte, 1994.
religiosi e alimentari israelitici: 27
Cfr. Tesori della cucina ebraica
monferrina, in Casale ebraica, http://
Quanta fatica per giungere alla meta: ricordo che svenni per www.casalebraica.info/?cat=8.
molto tempo, che mi riebbi solamente nel tardo pomeriggio se-
duto in una comodissima poltrona stile chippendale, che a quel
punto il Foa volle rifocillarmi a ogni costo e mi obbligò a man-
giare – nel mentre annotava il loro nome sul mio blocchetto di
appunti – pane azzimo, falafel, hummus, shawarma, labna, maa-
moul, halva e nel contempo parlava della necessità di cibarsi di
ruminanti con zoccoli fessi, di rimozioni del prepuzio, di pesach,
di shabbat e di altri argomenti che fingevo di comprendere e a
quel punto pensai che le regole che riguardano il cibo, il riposo
sabbatico e l’igiene intima potessero essere state fra i tanti prete-
sti che avevano scatenato i pogrom.
La comunità ebraica ad Asti esiste dal XIV secolo. È in
ogni tempo parte attiva e centrale nella vita civile, econo-
mica, finanziaria e istituzionale della città26. La vita quoti-
diana degli abitanti è integrata al punto che chiunque – e
a fortiori uno studioso – ha dimestichezza quotidiana con i
costumi dei propri concittadini di religione ebraica. Non è
assolutamente credibile che un personaggio colto e inserito
in profondità nelle dinamiche cittadine come Gabiani si
stupisca di fronte a precetti biblici ampiamente divulgati
come la kasherut o la circoncisione rituale.
Lo scivolone più grottesco i falsari però lo commettono
allorché fanno elencare a Gabiani (con un copia-e-incolla
palesemente preso dalla rete) le preparazioni culinarie che
sarebbero state in uso presso la comunità ebraica astigia-
na: «Falafel, hummus, shawarma, labna, maamoul, halva».
Sono tutti piatti della moderna gastronomia israeliana, re-
liquati della koiné gastronomica comune a molti territori
dell’ex Impero Ottomano oppure introdotti dopo la for-
mazione dello Stato da Ebrei provenienti dall’Iraq e dal
Medio Oriente o sefarditi immigrati dal Maghreb. Gli usi
alimentari e i ricettari delle famiglie giudeo-piemontesi del
tempo sono ben altri. Nel ricettario di Rosina Leblis Do-
nati, cuoca e casalinga ebrea di Casale Monferrato nata nel
1849, si ritrovano preparazioni del tutto simili alla cucina
piemontese dei non-ebrei, fatto salvo il rispetto di mitzvot
sugli alimenti come l’uso abituale di carne e insaccati d’o-
ca27. Bastava fare il copia-e-incolla giusto.
L’epistolario di Barla è un’occasione imperdibile per
scodellare una nuova infornata di aneddoti ed episodi
che si intrecciano alla macrostoria reale con l’obiettivo
di andare ad accrescere quelli del ricettario e ingigantire
la leggenda dello chef visionario e sfortunato. Le lettere
pullulano di nomi e riferimenti di alti funzionari e atta-
109
chés della Corte sabauda fra i regni di Carlo Alberto e Vit- 28
Cfr. Barla, Lettere a mamma
Margherita cit., p. 96.
torio Emanuele II. Nella lettera n. 14 dell’8 dicembre 1850 29
Cfr. Ivi, p. 61. Le fonti storiogra-
Barla racconta come, poco tempo prima, sia stato fermato fiche attribuiscono concordemente
per caso in via Po da un giovane in cerca di ventura che, il testo al poeta trevigiano Francesco
conosciuto il suo impiego, lo supplica di ammetterlo come Dall’Ongaro e la musica a un non me-
garzone alle cucine di corte. È il pavese Gaspare Campari. glio identificato Cordigliani.
Il generoso cuoco gli rivela incautamente la ricetta di «una
bevanda da assumersi pria del convivio e avente la funzio-
ne di essere aperitiva per gli stomachi e prepararli all’as-
sunzione dei cibi e soggiunsi che a essa io avea donato un
nome fascinoso, ovverosia Bitter all’uso di Hollandia» 28.
Secondo copione, gli verrà tosto sottratta e diventerà il Bit-
ter Campari. Ovviamente non ha alcun peso il fatto che,
nel 1850, nessuno avrebbe chiamato «Hollandia» l’Olan-
da. Ormai la fantasia dei creatori non conosce più freni
inibitori, e in questo secondo capitolo la finzione esonda in
modo sempre più inverosimile.
È sempre Barla, per esempio, a inventare e lanciare la
celebre canzone risorgimentale «E la bandiera dei tre colo-
ri» modificando le parole di un canto devozionale appreso
nell’infanzia dalla madre 29.
“E la Mado-o-onna dei tre Re Ma-gi-ii è sempre stata la piu
bella (trullallà) noi preghiamo sempre quella perchè è piena di
bontà... et cetera”. Oh Madre mia adorata! Avvenne che il tuo
figliuolo, colto da irrefrenabile entusiasmo patriottico, ne ha can-
giato le parole a seguito di un evento che vado a narrarti e che tal
cosa ha avuto grande e per me inatteso successo e la canzone è
ora cantata e fischiettata a mo’ di zufolo per le strade da uomini
e donne di qualsivoglia censo….
Fra le pagine fa capolino addirittura un suo improbabile
ritratto fotografico realizzato – guarda caso – da Enrico Fe-
derico Jest, l’autore nel 1839 della prima veduta in dagher-
rotipo di Torino con la celebre immagine della Gran Madre
vista dal lungo Po. Ovviamente anche qui senza alcuna pro-
va dell’autenticità del soggetto effigiato né indicazioni sulla
collocazione del reperto (genericamente indicato presso una
collezione privata di Torino), peraltro riprodotto in formato
ridottissimo perché invece molto probabilmente prelevato
dalla rete. Per farsi rintracciare un’effigie di quello che ormai
appare diventato il suo cauchemar, Gabiani avrebbe chie-
sto aiuto a un amico fotografo dilettante. Naturalmente non
un quisque de populo, ma di nuovo una celebrità: l’avvocato
astigiano Secondo Pia, il ben noto autore nel 1898 delle pri-
me fotografie della Sindone che svelano in negativo l’imma-
gine umana riprodotta sul telo.
Rispetto al ricettario, nelle Lettere si esaspera ulterior-
mente il gioco ammiccante delle citazioni mascherate. A
ogni piè sospinto si mettono in bocca al Barla frasi e locu-
zioni celebri, il più delle volte anacronistiche perché co-
110
niate solo dopo anni o decennî. Se può ancora essere plau-
sibile quella da Marzo 1821 di Alessandro Manzoni dove
si evoca Carlo Alberto che varcato il Ticino «assorto nel
nuovo destino, si stava soffermando sull’arida sponda» (p.
69), è invece puro divertissement ucronico la premonizione
di un celebre passo di Cuore di Edmondo De Amicis citato
alla lettera: «Volsi la mia persona verso Giovanni Vialardi e
passai la mano intorno al suo viso dicendo: “qua Giuanin,
che ho ancora calda la mano! Questa è una carezza del
Re!”» (p. 59). Così pure la fatwa che Vittorio Emanuele II
pronuncia nel momento topico dell’incidente della polenta
che gli costerà la carriera (p. 104): «Sua Maestà espresse
grande disappunto per l’accaduto, sbraitò che si dovea pu-
nirne uno per educarne cento». È il noto motto coniato da
Lenin, ripreso nel 1949 da Mao Zedong e poi fatto proprio
dalle Brigate Rosse.
Anche i nomi dei maldestri garzoni responsabili
dell’incidente sono ostentatamente inventati, quasi a voler
stornare qualunque possibilità di riscontro storico. Guar-
da caso, sono tutti e quattro tipici cognomi attribuiti nelle
diverse regioni d’Italia ai trovatelli: Elio Sanpère, Eugenio
Diotallevi, Vittorio Materdei e persino un improbabile na-
poletano Fortunato Esposito.
E infine nel torrente Sangone, nel suo tratto di pianura
in secca quasi tutto l’anno, come ben sanno i torinesi non
ci vivono le carpe.
Il «caso Barla» e il suo debunking sono stati fra i temi
della conversazione Fra storia e invenzione. Cuochi – alcu-
ni veri e altri forse no – alla corte dei Savoia, organizzata dal
Centro Studi della Venaria Reale e tenuta il 29 novembre
2018 al Circolo dei lettori di Torino, relatori Andrea Mer-
lotti, Andrea Parodi e lo scrivente. Negli articoli dedicati
alla presentazione della serata, i quotidiani “La Stampa” e
“La Repubblica” hanno anticipato il giorno stesso lo sma-
scheramento del falso. A fronte dei riferimenti giornalisti-
ci e delle prove documentali, nel volgere di una settimana
amministratori e utenti di Wikipedia hanno provveduto
alla completa rimozione e cancellazione della voce «Teofilo
Barla» dall’enciclopedia online.
Contuttociò, la rete e molte pagine della stessa Wikipedia
restano tuttora largamente inquinate da riferimenti al cuoco
inesistente. Nell’arco di anni, gli autori del disegno hanno
infatti farcito numerose altre voci con le gesta del loro fake
attraverso inserti e citazioni ad esso riconducibili. Si tratta
di riferimenti ovviamente del tutto inventati e quindi mai ri-
scontrabili, eppure insidiosi proprio perché mimetizzati tra
informazioni vere e riconoscibili nella loro falsità solo a un
esame più approfondito. Il rischio evidente è che possano
venire assunti ipso facto per veri nella frettolosa e superficia-
111
le informazione web, e di essere quindi fideisticamente citati 30
«Il 27 settembre 1848 Carlo Al-
berto, per mitigare le contestazioni in
e riprodotti in altre opere senza essere sottoposti a verifica. città invita il vescovo nella sua resi-
L’hackeraggio si è esplicato secondo tre modalità: denza estiva a Racconigi ponendo al
1. L’introduzione di particolari biografici inventati e le- suo servizio l’astigiano Teofilo Barla,
gati a Barla nelle vite di personaggi reali che avrebbero maestro pasticcere e confetturiere di
Casa Savoia». Cfr. voce Wikipedia
variamente avuto a che fare con lui. «Filippo Artico», https://it.wikipedia.
2. L’alterazione delle voci relative a preparazioni culinarie org/wiki/Filippo_Artico.
delle quali si intende rafforzare l’attribuzione all’imma- 31
«[Campari] si trasferì nel 1842 a
ginario cuoco astigiano. Torino, per studiare i liquori e ap-
3. L’inserimento di riferimenti bibliografici a intere opere profondire la propria conoscenza sui
distillati; qui conobbe fortunosamen-
letterarie a lui dedicate da scrittori più o meno noti, ma te Teofilo Barla, maestro pasticcere
del pari naturalmente mai esistite: opere infatti com- di Casa Savoia, che lo raccomandò a
pletamente sconosciute a qualunque repertorio biblio- Giacomo Bass quale apprendista nel-
la sua famosa liquoreria e confetteria
grafico e al catalogo Opac-Sbn del Sistema biblioteca- di Piazza Castello». Cfr. voce Wiki-
rio nazionale. pedia «Gaspare Campari», https://
it.wikipedia.org/wiki/Gaspare_Cam-
Queste sono le interpolazioni identificate: pari. E cfr. per l’episodio, Barla, Let-
– Filippo Artico (1798-1859). Vescovo di Asti. Fatto og- tere a mamma Margherita cit., p. 96.
getto di dimostrazioni popolari per un’accusa di sodo- 32
Cfr. voce Wikipedia «Marina Ce-
mia verso un chierico, nel 1848 sarebbe stato ospitato a peda Fuentes», https://it.wikipedia.
Racconigi da Carlo Alberto, il quale gli avrebbe messo org/wiki/Marina_Cepeda_Fuentes.
alle dipendenze il proprio cuoco Teofilo Barla30. All’in-
33
«Il passo successivo Francesco
lo compì intorno al 1830, dotandosi
formazione inserita manca ovviamente il riferimento a di un carretto a mano su cui esponeva
qualsiasi fonte documentaria. e commercializzava ortaggi e legumi
– Gaspare Campari. L’interpolazione si riferisce al fitti- freschi. Nel contempo sempre più
spesso rifletteva con il fratello e con
zio incontro fra il giovane apprendista pavese e futuro un cuoco di Casa Savoia, tal Teofilo
imprenditore dei liquori (1828-1882), e Barla che lo Barla, su un problema a quell’epoca
avrebbe raccomandato e introdotto a Corte31. ancora irrisolto in Italia, un problema
– Marina Cepeda Fuentes. Fra le opere della scrittrice e che toglieva il sonno a molti nel gran-
de mercato di Porta Palazzo: come si
giornalista gastronomica italiana di origine spagnola sarebbe potuto soddisfare il crescente
(1946-2014) figurerebbe un inesistente Teofilo Barla: desiderio di pregiati prodotti freschi
un gran cocinero olvidado (2006)32. italiani, una pressante richiesta che
– Francesco Cirio. Il celebre industriale nicese, inventore proveniva dalle principali piazze eu-
ropee?». Cfr. voce Wikipedia «Fran-
dell’industria conserviera italiana, avrebbe ricevuto da cesco Cirio», https://it.wikipedia.org/
una conversazione con Barla l’illuminazione sulla tec- wiki/Francesco_Cirio.
nica di conservazione delle verdure in scatola che gli 34
Cfr. ad esempio quella del sito
avrebbe cambiato la vita33. ufficiale francese dedicato all’autore:
http://www.dumaspere.com/pages/
– Alexandre Dumas (père). All’autore dei Tre moschettieri oeuvre/bibliographie.html.
(nonché gastronomo), che com’è noto soggiornò a lun- 35
Cfr. voce Wikipedia «Car-
go a Torino, vengono attribuite le Conversations à Turin lo Bernardino Ferrero», https://
avec Teofilo Barla (1853) che, ovviamente, non trovano it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Bernar-
riscontro in alcun’altra bibliografia dello scrittore34. dino_Ferrero.
– Carlo Bernardino Ferrero. Autore del romanzo Ij mòrt 36
«Una ricetta successiva ha per
titolo  Finanziera alla Benso (Teofilo
‘d fam e definito lo Zola piemontese (1866-1924). Gli Barla, 1852) e una, denominata Salsa
viene attribuita la stesura e pubblicazione di un inesi- e ragout à la Financière, è attribuita a
stente Teofilo Barla: ‘l povr’om doi volte sguater e dop Giovanni Vialardi (datata 1854)». Per
stalè, Torino, Stab. Tip. Ferrero, 189135. Barla, cfr. Il confetturiere, cit., pp.
298-322. Cfr. voce Wikipedia «Finan-
– Finanziera. Fra le codificazioni del noto piatto della ziera», https://it.wikipedia.org/wiki/
tradizione a base di carni, rigaglie e funghi viene inseri- Finanziera.
ta quella dell’apocrifo Confetturiere del Barla36.
112
– Luigi Gramegna. Lo scrittore novarese (1846-1928), 37
Cfr. voce Wikipedia «Luigi
Gramegna», https://it.wikipedia.org/
autore di numerosi e popolari romanzi storici ambien- wiki/Luigi_Gramegna.
tati in Piemonte poi riediti da Viglongo, avrebbe scrit- 38
Cfr. voce Wikipedia «Pitigrilli»,
to Le vite parallele dei cuochi di corte Giovanni Vialardi https://it.wikipedia.org/wiki/Pitigril-
e Teofilo Barla, ambientato nel 1830/72 e apparso nel li.
190937. 39
«Nel 1848 divenne Capo Cuoco
– Pitigrilli. Persino il ben noto e controverso romanziere e Pasticciere, coadiuvato nel lavoro
da oltre un centinaio di persone fra
e agente dell’Ovra Dino Segre non viene risparmiato cui l’astigiano Teofilo Barla, Maître
dalla guerra batteriologica dei falsari. La sua bibliogra- Pâtissier et Confiseur, dimenticato au-
fia online viene arricchita di un Teofilo Barla e il can- tore de “Il Confetturiere, l’Alchimista,
il Cuciniere piemontese di Real Casa
to detto “La bandiera dei tre colori”, Torino, Gustavo Savoia». Cfr. voce Wikipedia «Gio-
Gori, 1917, totalmente inventato38. vanni Vialardi», https://it.wikipedia.
– Giovanni Vialardi. La contraffazione della voce dedi- org/wiki/Giovanni_Vialardi.
cata al capocuoco di Corte mira apertamente ad accre-
ditare Barla come il principale fra i suoi collaboratori,
l’unico ricordato nominativamente in una squadra di
«oltre un centinaio di persone»39.
Curiosamente, nel ricostruire la vita di Barla – affida-
ta in sostanza alla propria autonarrazione – gli autori non
citano e non danno conto di aver consultato nessuna del-
le opere suddette. Falso per falso, esibire la disponibilità
di queste presunte fonti secondarie (peraltro in molti casi
cronologicamente coeve o vicine all’autore) avrebbe po-
tuto aggiungere particolari preziosi e di prima mano sul
personaggio oggetto della loro narrazione, rendendola
ancora più verosimile e credibile. Perché allora non viene
mai citato lo pseudo-Dumas? La spiegazione è semplice. A
differenza dell’epistolario curato dal Gabiani, questi volu-
mi fake restano allo stato di titolo e sono tutti stati ideati
e immessi in rete in tempi successivi alla madre di tutte le
invenzioni, la trouvaille del Confetturiere nel 2011.
La rete offre strumenti di tracciabilità che consentono
agevolmente – se non di identificare i responsabili diretti
della beffa – almeno di svelarne il modus operandi e i tempi.
La cronologia delle modifiche apportate alle voci Wikipe-
dia permette infatti di ricostruire l’ordine degli interventi
e di geolocalizzare gli indirizzi Ip dei computer dai quali
questi sono stati effettuati, consentendo di aggregare quelli
riconducibili allo stesso utente. Così dall’Ip 82.48.155.208
localizzato a Borgomanero (No) parte la modifica con i
riferimenti a Teofilo Barla alle voci «Carlo Bernardino
Ferrero» (22 febbraio 2017), «Filippo Artico», «Gaspare
Campari» e «Finanziera». L’aggiunta a Luigi Gramegna
viene dall’Ip 109.232.50.123 localizzato a Castello di An-
none (At). La voce «Dumas» è modificata il 18 febbraio
2017 dall’Ip 79.24.34.128 geolocalizzato a Novara: lo stes-
so utente che aggiunge il finto volume su Barla fra le opere
di Marina Cepeda Fuentes.
113
Man mano che il disegno si fa più articolato e capillare 40
Cfr. Eco, Il nome della rosa cit.,
Quarto giorno – Dopo compieta, p.
diventa sempre più oscuro comprendere il movente che ha 319.
spinto gli autori ad architettare un simile falso senza poi
godere del riconoscimento della rivelazione – come gli au-
tori delle «teste di Modigliani» – e presumibilmente senza
grandi ritorni economici o d’immagine.
Più trasparente appare il modello letterario seguito
per inventare e far agire il personaggio Barla. La strategia
narratologica si rifà in modo scoperto a Umberto Eco, e
in particolare a Baudolino e Il cimitero di Praga. Il plot di
entrambi i romanzi vede un protagonista immaginario –
ovviamente ignoto alle fonti storiche – che si trova per caso
ad incrociare il proprio destino con quello dei grandi del
proprio tempo. Dalla microstoria individuale balza a piedi
uniti nella macrostoria, di cui però non è solo cronista o te-
stimone passivo. Grazie ai propri talenti, diventa strumen-
to dei disegni dei potenti che incrocia, frequenta, consiglia.
Viene chiamato a compiti delicati e di fiducia che, in virtù
della propria astuzia e spregiudicatezza, cambiano dal bas-
so il corso della storia imprimendole la direzione capric-
ciosa e spesso beffarda attraverso cui essa arriva fino a noi.
Così il giovane Baudolino fonda la città di Alessandria
al seguito dell’imperatore Federico Barbarossa, spaccia
la tazza di legno del padre contadino per il Sacro Graal
imbastendone ad arte la leggenda, studia alla Sorbona fra
i clerici vagantes, è a Costantinopoli durante l’assedio dei
Crociati, conosce i massimi dotti e sapienti del tempo, fab-
brica le reliquie dei Re Magi e le «sette teste» di Giovanni
il Battista, ha l’idea di dipingere il lenzuolo della Sindone,
viaggia fino ai confini del regno favoloso del Prete Gianni.
E nel Cimitero di Praga, più o meno negli anni di Barla il
falsario e gastronomo torinese Simonino Simonini affonda
per conto dei servizi segreti sabaudi la nave su cui viaggia il
garibaldino Ippolito Nievo, incontra in un bistrot di Parigi
il giovane Siegmund Freud cui dà consigli per il futuro,
falsifica il biglietto che inguaierà il capitano Dreyfus e, per
ordine dello Zar, stende i Protocolli dei Savi Anziani di
Sion che daranno la stura alle più esiziali teorie del com-
plotto mondiale giudaico del XX secolo.
Gli inventori di Barla hanno seguito da diligenti disce-
poli il modello tracciato dal maestro. Ma l’assassino lascia
sempre una firma per mettere i detective sulle sue tracce
e farsi scoprire. In esergo alla pagina di Academia Barilla
dedicata al cuoco inesistente, il solito Armanni appone una
citazione proprio di Eco che suona come l’indizio rivelato-
re per chi vuole capire: «I libri non sono fatti per crederci,
ma per essere sottoposti a indagine. Di fronte a un libro,
non dobbiamo chiederci cosa dica, ma cosa vuole dire...»40.
Più chiaro di così.
114
Senonché l’8 marzo 2018 arriva ai curatori del solito 41
www.saporidelpiemonte.net/
blog/una-precisazione-sul-libro-di-
www.saporidelpiemonte.net una mail a firma Pierfederico teofilo-barla-il-confetturiere-lalchimi-
Gariglio. Prontamente pubblicata online41. sta-il-cuciniere-piemontese-di-real-
Gariglio si dichiara «lontano parente» della dinastia di casa-savoia/
cioccolatieri torinesi Moriondo & Gariglio, trapiantata a
Roma in via Piè di Marmo dopo la presa di Porta Pia e
tuttora attiva, e si professa «in possesso di una trentina di
fogli in argomento che ho acquistato a Torino il giorno di
Pasqua di otto anni or sono [2010] in piazza Carlo Felice
nel corso della mensile mostra-mercato di varia e interes-
sante oggettistica d’epoca». Tali lettere rappresenterebbe-
ro «alcune pagine sparse che costituiscono il frammento di
un diario redatto dallo sfortunato cuoco di corte nel corso
del suo infausto esilio a Stupinigi e che precedono di poco
tempo la sua dipartita».
Preparatevi. È un’esplicita minaccia. È in arrivo la ter-
za stagione della serie Barla Mystery Cook. Vogliamo scom-
mettere che anche di queste nuove lettere non vedremo
mai gli originali, ma che verranno pubblicate in trascrizio-
ne digitale con millanta mirabilia in cui il cuoco dettaglierà
come abbia rivelato a Francesco Cirio il segreto dei pomo-
dori pelati, di aver inventato magari il mojito o l’involtino
primavera, e di aver suggerito ai bersaglieri di La Marmora
la via per entrare in Roma?
L’auspicio è che queste righe possano contribuire a
mettere fine a questa mistificazione, a disinnescarne ulte-
riori derive virali e a restituire al lavoro di ricerca storica
la dignità di una verità documentale oggettiva e pronta a
sostenere riscontri di fonti e di metodo.

115
Note

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