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R IP ASS O

1848: Prima guerra d’indipendenza (con Austria, che governava direttamente o indirettamente l’Italia) → sconfitta, ma la
popolazione viene sensibilizzata (con Mazzini), prima società segrete
1859: Seconda guerra d'indipendenza → si ottiene la Lombardia, la Toscana e l’Emilia Romagna vengono annesse al Regno di
Sardegna (Piemonte)
1860: Spedizione dei mille (volontari). Garibaldi arriva in Sicilia e inizia a salire, fino a Teano dove incontra il re. Riesce ad
ottenere la Sicilia e Napoli, mentre l’Umbria e le Marche vengono annesse al regno di Sardegna con un plebiscito (votazione del
popolo)
1861: Regno d’Italia
1866: Terza guerra d’indipendenza. L’Italia si allea con la Prussia e ottiene il Veneto
1870: Breccia di Porta Pia, Roma diventa capitale (dopo Torino e Firenze). Il papa, con le leggi delle Guarentigie (garanzie), viene
riconosciuto come capo della Chiesa, ma lui si sente un “prigioniero” ed emana il “No Expedit” (“non conviene”): non vuole che i
cattolici vadano a votare.

Al potere salgono prima la Destra storica, poi la Sinistra.


La Destra (politica economica liberista: libero mercato, libera concorrenza → prezzi più bassi) si trova a dover affrontare molti
problemi:
- L’Italia era divisa in due: il sud era povero, coltivato a latifondo dove i proprietari terrieri non investivano nulla (baroni),
il nord era più moderno
- Analfabetismo → scuola obbligatoria
- Servizio militare obbligatorio → toglie manodopera ai campi del meridione
- Manca una lingua comune
- Deficit → tassa sul macinato (cereali)
- Malattie, pellagra (carenza di vitamina B)
- Brigantaggio al sud

La Sinistra (dal 1876 con Depretis, politica del trasformismo → leggi per soddisfare tutti)
- economia protezionista, si mettono dei dazi ai prodotti esteri
- legge coppino: scuola elementare fino a 9 anni obbligatoria e gratuita
- legge elettorale: minimo 21 anni, maschi e con licenza elementare, prima era in base al reddito, ora possono avere anche
reddito basso, basta che sappiano leggere e scrivere

Politica interna: cercano soluzioni ai problemi dell’Italia


Politica estera: Triplice Alleanza (1882) con Germania e Austria

1892: nasce PSI (Partito Socialista Italiano), fondatori Turati - Kuliscioff


1889: Sovranità su Eritrea e Somalia e protettorato Etiopia

Ragioni colonialismo:
- cercare risorse (materie prime a basso costo)
- vendere (nuovi mercati)
- prestigio

Dal colonialismo diventa Imperialismo, si formano veri e propri imperi (tensioni tra i vari Stati Europei).
1884: Conferenza di Berlino
1870: Seconda rivoluzione industriale
1873-76: Grande depressione, stagnazione dei prodotti, politica protezionista, crisi agraria (il grano che proviene dagli Stati Uniti
costa meno)

IL MONDO E L’ITALIA NEL S EC ONDO OTTOC ENTO

- In Francia con la rivoluzione del 1848 si era instaurata la Seconda repubblica, ma Carlo Luigi Bonaparte assumendo il
nome di Napoleone III restaurò l’impero, che si distinse per una politica estera aggressiva e un forte impulso
all’industrializzazione.
- La Prussia divenne una potenza sempre più autoritaria, industriale e militare, sotto il cancelliere Bismarck e il re
Guglielmo I.
- L’Inghilterra della regina Vittoria consolidò la propria organizzazione statale, economica e
finanziaria, oltre a potenziare la flotta mercantile ed espandere i propri confini coloniali.
- La Russia viveva ancora una condizione di arretratezza: non aveva avuto uno sviluppo industriale e le campagne erano
ancora organizzate sul grande latifondo nobiliare basato sulla servitù della gleba.
- L’Austria perse il Veneto nella guerra con la Prussia, e dovette contrastare l’espansionismo della Russia verso i Balcani.
Per mantenere il controllo della situazione, l’imperatore Francesco Giuseppe creò l’impero austro-ungarico (1867),
costituito dagli stati di Austria e Ungheria, con capitali e costituzioni autonome.

Bismark sfruttò un contrasto tra Napoleone III e il re Guglielmo I a proposito della successione al trono spagnolo e nel 1870
dichiarò guerra alla Francia, che crollò nella battaglia decisiva a Sedan. Napoleone III si arrese e venne proclamata la Terza
repubblica. I tedeschi assediarono Parigi e il governo francese si arrese, ma il popolo parigino, pur stremato dal lungo assedio,
insorse costituendo un governo rivoluzionario, democratico e sociale (la Comune) che fu considerato la prima esperienza di
regime proletario nella storia.

Nella seconda metà dell’Ottocento, il processo di industrializzazione visse un’importante trasformazione che gli storici hanno
definito “seconda rivoluzione industriale”. In una prima fase (1850-1870) questo sviluppo interessò la tecnologia,
l’organizzazione della finanza e delle banche, oltre al potenziamento delle infrastrutture e delle vie di comunicazione, che
favorirono la circolazione e lo scambio delle merci. In una seconda fase (1870-1905) si assistette a una crescita senza precedenti
dell’industria, grazie anche alla nuova scoperta e all’utilizzo di nuove fonti energetiche, nuovi metalli e leghe e nuovi strumenti
operativi.

L’innovazione tecnologica e organizzativa comportò una progressiva concentrazione di imprese: solo le più ricche e avanzate
riuscirono a sopravvivere, nacquero così i monopoli. Sorsero grandi banche che divennero finanziatrici dell’industria (capitalismo
finanziario). Dato che alle industrie servivano sempre più materie prime e aree più vaste in cui vendere le proprie merci,
l’economia divenne sempre più mondializzata. Malgrado la forte crescita del settore industriale, l’economia si basava ancora
sull’agricoltura. Tra il 1873 e il 1896 si ebbe infatti una delle più lunghe crisi dell’Età moderna, definita “grande depressione”. La
classe operaia crebbe, rivendicando migliori condizioni di salario e orario, diritto di sciopero e sicurezza, organizzandosi in
sindacati e partiti di matrice socialista. Sul finire dell’Ottocento anche la Chiesa cattolica si mostrò interessata alla questione
sociale. Nacque anche una piccola e media borghesia, costituita in particolare da impiegati del nuovo settore terziario (commercio,
servizi, amministrazione) e dalla burocrazia statale.

Il rapido sviluppo economico e industriale determinò forti contrasti tra le diverse nazioni europee, in concorrenza per lo sviluppo
di mercati sempre più ampi e per l’accaparramento di materie prime a vantaggio dell’industria nazionale. A ciò si aggiunsero
fattori legati al prestigio politico e militare. Questa situazione alimentò quindi un ulteriore e più aggressivo espansionismo verso i
paesi extraeuropei, da qui il diffondersi dell’imperialismo. Per evitare il rischio di continui conflitti armati tra paesi coloniali, nel
1884 venne convocata, a Berlino, una conferenza internazionale per gli affari africani, nel corso della quale le grandi potenze
giunsero a una spartizione delle rispettive aree di influenza. L’Inghilterra → Egitto, Sudan e Sud Africa. Francia → Sud-Est
asiatico, dove dette origine all’Indocina francese. Germania → Togo, Camerun e ampie zone dell’Africa orientale e sud-
occidentale. Anche l’Italia partecipò alla corsa delle colonie con l’idea di trovare uno sbocco per la sua popolazione in aumento.
Potenze coloniali di antica data come Olanda, Portogallo e Spagna furono invece private di gran parte dei territori. Gli Stati Uniti
si impadronirono di Cuba, Portorico e Filippine, e il Giappone riuscì ad aprirsi la via della Cina settentrionale e della Corea.

Situazione italiana: portata quasi a compimento l’unificazione nazionale, l’Italia doveva amalgamare realtà e territori molto
diversi tra loro. C’era un problema di disomogeneità linguistica, aggravato dal diffuso analfabetismo, c’era da risolvere la
questione meridionale, cioè il divario tra il Nord industrializzato, il Centro con l’agricoltura all’avanguardia e il Sud povero. La
mancanza di miglioramenti nella vita dei contadini del sud portò al fenomeno del brigantaggio, che fu affrontato con una
repressione, rendendo ancora più acuti i sentimenti di estraneità e di rivolta. Alla vita pubblica partecipava un numero molto
ristretto di persone: aristocratici, notabili e proprietari. Nell’ultimo decennio dell’Ottocento sorse il Partito socialista italiano, e si
organizzò il movimento sindacale, finalizzato alla tutela dei diritti dei lavoratori.

I due gruppo in cui si suddivisero gli eletti alla Camera erano la Destra, composta da monarchici, cavouriani e liberali moderati, e
la Sinistra, sempre liberale ma formata anche da uomini che erano stati repubblicani, mazziniani e garibaldini. La cosiddetta
Destra storica ottenne il pareggio di bilancio, il completamento dell’unificazione e una demarcazione dei rapporti tra Stato e
Chiesa cattolica. Promosse inoltre la laicizzazione della cultura. Dal punto di vista economico, le scelte liberiste non riuscirono a
mutare la situazione. Nel 1876 la guida del paese passò alla Sinistra storica. Essa riformò il sistema elettorale e quello fiscale,
cercò di combattere l’analfabetismo riproponendo la gratuità e l’obbligatorietà dell’istruzione elementare. Agostino Depretis
contrattò di volta in volta l’appoggio di ogni gruppo o schieramento: politica che fu detta “trasformismo”. In ambito economico
adottò delle misure protezionistiche di cui beneficiarono però solo le industrie del Nord, che nel settore agricolo rafforzarono la
tendenza a non investire per migliorare la produttività e le tecniche di coltivazione. Generarono una guerra doganale con la
Francia che causò un forte calo delle esportazioni. Le difficoltà economiche innescarono un massiccio fenomeno di emigrazione,
in particolare verso l’America, oltre che numerose rivolte e manifestazioni contro il governo.

Nel 1882 si giunse alla firma della Triplice Alleanza, patto che garantiva all’Italia l’aiuto austri-tedesco nel caso di un’aggressione
francese, la liberava dalla minaccia austriaca e favoriva le relazioni commerciali con la Germania. Intanto Depretis avviò una
timida politica di espansione coloniale verso l’Etiopia. Con il successore Francesco Crispi vennero definiti i limiti della zona che
gli italiani avrebbero occupato sulla costa del mar Rosso e nell’entroterra e venne anche riconosciuto il protettorato dell’Italia
sull’Etiopia. Attraverso altri accordi nacque anche in Somalia un protettorato italiano. In seguito a pesanti conflitti sociali, i vari
governi reagirono con una politica autoritaria e repressiva, che culminò con la strage di un centinaio di manifestanti a Milano nel
1898.

C api t ol o 1: IL MONDO ALL’INIZI O DEL NOVEC ENTO


1.1 La belle époque.
Alla fine dell’Ottocento, l’Europa viene interessata da uno sviluppo tecnologico e industriale che porta incredibili miglioramenti
materiali: tali miglioramenti, a loro volta, favoriscono la diffusione di stili di vita impensabili qualche decennio prima. Si genera
così un clima di fiducia nel progresso, che porta a definire quel periodo la Belle époque, l'epoca bella (definizione coniata in
Francia dopo la Prima guerra mondiale quando, dopo i massacri e gli orrori del conflitto, si ripensa con nostalgia a una stagione
felice ed esaltante, ma ormai definitivamente perduta). Si assiste a una crescita demografica, favorita dai grandi progressi della
chimica (pastorizzazione), che permisero di fare importanti scoperte nel campo della medicina (vaccini e antibiotici) →
miglioramento delle condizioni igieniche. Le abitazioni in città furono fornite di servizi igienici e di illuminazione con lampadine
a corrente elettrica. Per mostrare le ultime meraviglie della scienza e della tecnica → esposizioni universali (per la quale nel 1889
venne costruita la Torre Eiffel). Nel campo delle comunicazioni venne messo a punto il telefono (Antonio Meucci) e il
radiotelegrafo (Guglielmo Marconi). Venne inventato il motore a scoppio, che diede vita alla prima automobile. I fratelli Lumière
proiettarono su uno schermo una serie di immagini che, scorrendo, riproducevano un movimento → prima forma di cinema. Il
turismo comincia a coinvolgere un pubblico sempre più vasto, lo sport acquista interesse (calcio e ciclismo). Tuttavia, in questo
clima di fiducia e ottimismo emerge la crisi della famiglia tradizionale, il rifiuto delle convenzioni sociali e la diffusione di
comportamenti “trasgressivi”: è come se l’individuo, posto di fronte a tanti cambiamenti, avesse perso la propria identità e le
certezze del passato. Freud elabora il metodo della psicoanalisi, con cui cercava di far emergere l’inconscio, la parte della psiche
umana che non raggiunge il livello della coscienza. 

1.2 Primato della nazione e mito della razza.


In questi anni emerge anche una nuova visione della politica, sempre più aggressiva in quanto basata sulla volontà di affermare il
primato della propria nazione. Il patriottismo ottocentesco si trasforma in nazionalismo (superiorità nazione), razzismo
(superiorità etnica), xenofobia (odio verso gli stranieri) e antisemitismo. 

1.3 Il quadro politico europeo.


L’Europa sembra attraversare un periodo di pace, in realtà stavano crescendo i motivi di scontro tra le potenze europee, sia in
campo economico che politico.

In Francia le forze repubblicane, radicali e socialiste, salite al potere nel 1899, rafforzano in senso democratico e laico le
istituzioni (anticlericalismo), ma non seppero placare le spinte nazionaliste alimentate dal desiderio di rivincita verso la Germania,
dopo la pesante sconfitta subita nella guerra franco-prussiana nel 1871.

In Inghilterra, dopo la morte della regina Vittoria, sale al trono il figlio Edoardo VII, con il quale finisce l’epoca durante la quale
la Gran Bretagna era diventata la più grande potenza dello scenario mondiale. Nel 1906 con la vittoria alle elezioni dei liberali e
del partito Laburista, si apre una fase di riforme a favore della giustizia sociale. Tuttavia non mancano le tensioni perché le donne
rivendicano un ruolo più attivo (movimento delle suffragette) e la questione irlandese era ancora attuale.

In Germania l’imperatore Guglielmo II aveva attuato una politica estera aggressiva ed espansionistica, e una politica interna
anch’essa autoritaria e assolutistica. Le aspirazioni di conquista coloniale erano diventate più aggressive che mai in seguito al
crescente nazionalismo, così come la ricerca di mercati più ampi per lo sviluppo industriale. Per soddisfare queste esigenze viene
costruita un’importante flotta militare e avviato il riarmo dell’esercito. Il risultato di tutto ciò fu il riavvicinamento della Francia
con la Russia (che stipularono un accordo di reciproca assistenza in campo militare), e con l’Inghilterra (con l’Intesa cordiale del
1904). Di conseguenza anche la Russia e l’Inghilterra si avvicinarono e insieme stipularono la Triplice Intesa (1907) per
contrastare la Triplice Alleanza (1882). 

C api t ol o 2: L’ETÀ GIOLITTI ANA IN ITALIA

2.1 Le riforme sociali e lo sviluppo economico.


Salito al trono nel 1900, Vittorio Emanuele II affida il governo all’esponente della Sinistra liberale Giuseppe Zanardelli, il quale
aveva portato all’approvazione del primo Codice penale: il Codice Zanardelli aveva abolito la pena di morte e riconosciuto il
diritto di sciopero. Al suo ritiro nel 1903 divenne primo ministro Giovanni Giolitti (liberale, Sinistra), il quale, salvo brevi
interruzioni, mantenne la carica fino al 1914, periodo che passò alla storia come “età giolittiana”. Convinto che il miglioramento
delle condizioni di vita dei lavoratori avrebbe avvantaggiato il progresso in tutto il Paese, rese effettivo il diritto di sciopero e attuò
una legislazione sociale a tutela delle categorie più deboli (lavoratori anziani, infortunati..): in campo sociale vennero emanate
riforme per tutelare il lavoro di donne e bambini, l’età lavorativa venne alzata a 12 anni, per il diritto di un giorno di riposo alla
settimana, migliori retribuzioni, assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, obbligo scolastico fino a 12 anni
obbligatorio per combattere l’analfabetismo. → queste riforme insieme a quelle igienico-sanitarie determinarono un aumento
demografico e un miglioramento delle condizioni di vita. Estese la rete ferroviaria e avviò un protezionismo doganale per favorire
la produzione interna, la produzione agricola come le industrie meccaniche, chimiche, tessili e alimentari raddoppiarono il
fatturato tra il 1900 e il 1913. Lo sviluppo industriale e agricolo, e il progresso sociale non si distribuirono in modo uniforme su
tutto il territorio nazionale in quanto nel meridione continuavano a persistere condizioni di arretratezza economica e sociale.

2.2 La “grande migrazione”: 1900-1915.


Nel corso dell’Ottocento milioni di persone lasciarono le proprie case e le proprie famiglie per emigrare oltreoceano: verso Brasile
e Argentina (in cerca di braccianti per le piantagioni) o Stati Uniti (per le industrie). Nonostante lo sviluppo che l’Italia conobbe
durante l’età giolittiana, dal 1900 al 1914 (anni della “grande migrazione”) partirono circa 9 milioni di italiani. A partire erano
soprattutto uomini nel pieno della loro capacità lavorativa, sul piano sociale portò alla disgregazione di tante famiglie (loro
partivano ma non si sapeva se/quando sarebbero tornati) e rese difficili la formazione di nuovi nuclei familiari (c’erano più donne
che uomini). Tuttavia, dal punto di vista economico, era diminuita la disoccupazione e aumentati i salari, e le rimesse erano una
fonte preziosa per lo Stato (soldi “stranieri” inviati dagli emigranti ai propri familiari). Fino al 1900 l’emigrazione era libera e
organizzata con il sistema del viaggio prepagato: il biglietto d’imbarco veniva acquistato dal datore di lavoro che vincolava a sé
l’emigrante, il quale, giunto a destinazione, si trovava a lavorare in condizioni di semi schiavitù finché non risarciva il debito. Solo
con la legge Crispi (1888) e la legge del 1901 lo Stato italiano intervenne con delle norme per tutelare gli emigranti.

2.3 La politica interna tra socialisti e cattolici.


Nella politica interna Giolitti ampliò il diritto di voto (1912) a tutti gli uomini di oltre 21 anni che sapevano leggere e scrivere: il
numero di elettori passa da 3 a 8.5 milioni. Cerca l’appoggio di socialisti e cattolici: propone a Filippo Turati di entrare nel suo
primo governo, ma senza successo a causa dell’opposizione dell’ala massimalista del Partito socialista. Con i cattolici venne
stipulato un accordo segreto (patto Gentiloni, 1913) in base al quale i cattolici avrebbero sostenuto i liberali alle elezioni, in
cambio dell’abbandono della politica anticlericale. Per un decennio Giolitti aveva dominato la scena politica perché era riuscito ad
ottenere l’appoggio anche dai partiti di tendenze opposte → politica del trasformismo: fa accordi con l’opposizione per avere
sempre la maggioranza. Non aveva esitato a ricorrere alla corruzione e all’intimidazione, avvalendosi di prefetti e della polizia per
eliminare avversari scomodi. Intanto, il cattolicesimo italiano era favorevole a una più attiva partecipazione in politica. Il
sacerdote Romolo Murri fondò un movimento chiamato Democrazia cristiana italiana.

2.4 L’occupazione della Libia e la caduta di Giolitti.


In politica estera, Giolitti cerca di rendere la Triplice Alleanza a un patto puramente difensivo e di avvicinarsi a Francia e
Inghilterra, il cui appoggio avrebbe favorito un ampliamento coloniale italiano e un rafforzamento nel contesto internazionale. In
questo modo riesce a preparare diplomaticamente la conquista della Libia (allora parte dell’Impero turco). Giolitti, inizialmente
poco favorevole all’invasione, decise di approvarla per varie ragioni: ottenere prestigio, dare soddisfazione al movimento
nazionalista italiano e favorire gli interessi economici del paese allargando i mercati e trovare fonti di materie prime. Il 29
settembre 1911, prendendo come pretesto alcuni incidenti verificatisi a Tripoli ai danni di cittadini italiani, l’Italia dichiarò guerra
all’impero ottomano. Contrariamente alle aspettative, i libici non accolsero gli italiani come “liberatori” (dai turchi), ma come
invasori. Al fine di costringere l’impero ottomano alla pace, nel maggio 1912 il governo italiano decise di attaccarlo direttamente:
occupare il Dodecaneso (12 isole, Rodi e isole dell’Egeo) ed entrare nello stretto di Dardanelli, dimostrando che neanche
Costantinopoli poteva ritenersi sicura. Il sultano chiese l’armistizio e il 18 ottobre 1912 firmò la pace di Losanna: l’impero
ottomano riconosceva all’Italia il possesso di Tripolitania e Cirenaica e si impegnava a far cessare la guerriglia in Libia. A
garanzia di tale impegno l’Italia conservava il Dodecaneso. L’occupazione della nuova colonia, a cui fu dato il nome romano di
Libia, non portò all’economia nazionale i vantaggi che molti si aspettavano: era un territorio desertico e povero di materie prime,
ad eccezione dei giacimenti petroliferi che furono scoperti dopo la Seconda guerra mondiale, quando il paese si era reso
indipendente. Tuttavia aveva rafforzato la posizione dell’Italia nel Mediterraneo. In politica essa incoraggiò in Nazionalisti ad
attaccare il governo, considerato troppo debole e indeciso, e provocò una spaccatura nel Partito socialista tra i riformisti e i
pacifisti (che si erano opposti). Con il congresso di Reggio Emilia (1912) alcuni riformisti dettero vita a un Partito socialista
riformista italiano, dove fece parte Benito Mussolini. Il governo di Giolitti comincia a indebolirsi, e nel marzo 1914 cede il posto
ad Antonio Salandra, liberale moderato con idee simili a quelle di Giolitti ma metodi diversi. Durante una manifestazione
antimilitarista organizzata dai socialisti, la polizia uccise tre dimostranti. Venne proclamato uno sciopero generale di protesta
(“settimana rossa” 7-13 giugno 1914), il governo riprende in mano la situazione, ma pochi mesi dopo, lo scoppio della Prima
guerra mondiale avrebbe modificato ogni rapporto politico.

C apit ol o 3: LA P R IMA GUER R A MONDIALE

3.1 La rottura degli equilibri.


L’Europa era divisa da rivalità economiche e da spinte nazionalistiche. La Germania di Guglielmo II era molto aggressiva, la
Francia era animata da un forte spirito di rivincita nei confronti della Germania (guerra franco-prussiana del 1870) e l’Inghilterra
sentiva minacciato il proprio secolare predominio navale. La Russia, si aspettava aiuti dalla Germania ma Guglielmo II aveva
rifiutato, così si era avvicinata alla Francia e all’Inghilterra (Triplice Intesa, 1907). A quel punto l’Europa era divisa in due
blocchi: la Triplice Intesa e la Triplice Alleanza (Germania, Austria, Italia).

La rivalità tra le potenze venne aggravata dalla corsa alle colonie. Nel caso del Marocco, il quale subiva da tempo pressioni dalla
Francia a cui si era unita anche la Germania, in occasione delle cosiddette “crisi marocchine” si giunse a un compromesso che
assegnava alla Francia il protettorato sul Marocco e alla Germania una parte del Congo francese. L’Italia rivendicava il Trentino-
Alto Adige, il Friuli, Fiume e Dalmazia. L’impero ottomano voleva espandersi ma era scosso da gravi problemi interni. L’Austria
aveva annesso la Bosnia-Erzegovina non rispettando il Congresso di Vienna. La Serbia non lo accetta in quanto aspira a riunire in
un unico Stato gli slavi (serbi, bosniaci, sloveni e croati). Si coalizza quindi con Grecia, Montenegro e Bulgaria nella Prima
Guerra Balcanica e sottrae dall’impero ottomano la Macedonia. Quando i vincitori devono spartire i territori iniziano i problemi e
la Bulgaria attacca la Serbia e la Grecia nella seconda guerra balcanica. La Serbia ottiene il Kosovo e parte della Macedonia, e
nasce l’Albania.

3.2 L’inizio del conflitto e il fallimento della guerra lampo.


Il 28 giugno 1914 un giovane studente serbo uccise in un attentato l’erede al trono d'Austria-Ungheria, Francesco Ferdinando
d’Asburgo, a Sarajevo, capitale della Bosnia. L’Austria coglie l’occasione e invia a Belgrado un ultimatum (con richieste
inaccettabili, voleva proprio iniziare una guerra), la Serbia non accetta e il 28 luglio l’Austria dichiara guerra. In pochi giorni il
conflitto diventa generale: la Russia scende in campo in difesa della Serbia e la Germania dichiara guerra sia alla Francia che alla
Russia. La Germania attacca su due fronti perché è convinta di poter eliminare rapidamente la Francia, e passare poi alla Russia, i
cui soldati sarebbero arrivati al fronte molto più tardi a causa delle enormi distanze e della scarsa rete di comunicazioni. Per
ottenere una rapida vittoria sul fronte occidentale bisognava prendere alle spalle l’esercito francese, per questo la Germania decide
di invadere il Belgio, uno Stato neutrale, violando così i trattati nazionali. Il Belgio oppose resistenza per due settimane, facendo
esplodere strade, ponti e ferrovie, questo permise all’esercito britannico di sbarcare in Francia e organizzare insieme la difesa,
fermare i tedeschi a meno di 40 km da Parigi e respingerli. A partire da questo momento, quella che era stata una guerra di
movimento si trasformò in una guerra di posizione.

Sul fronte orientale la Russia, benché militarmente impreparata, aveva invaso la Prussia, la Germania si era quindi opposta e
aveva vinto due battaglie (di Tannenberg e dei laghi Masuri) fermando così l’avanzata da Nord. La Russia si spostò così verso Sud
invadendo l’Austria e ottenendo la Galizia. Anche sul fronte orientale divenne una guerra di trincea.

Dall’autunno del 1914 il conflitto si spostò anche sul mare: Germania e Inghilterra diedero inizio a una guerra navale, con lo
scopo di bloccare i rifornimenti nemici, che venne combattuta da navi corsare camuffate da navi mercantili, attaccavano
all’improvviso e affondavano tutte le imbarcazioni che incontravano. Anche il Giappone dichiarò guerra alla Germania, per
riprendere dei territori tedeschi in Estremo Oriente. In breve anche l’Africa fu coinvolta, e l’Intesa dichiarò guerra anche
all’Impero ottomano che, inizialmente neutrale, si era alleato con la Germania. Nel giro di pochi mesi la guerra assunse
dimensioni davvero mondiali.

3.3 L’Italia dalla neutralità alla guerra.


L’Italia si era inizialmente dichiarata neutrale, ma nei mesi che seguirono ci furono accese discussioni tra neutralisti e
interventisti. Giolitti non voleva intervenire perché vedeva la neutralità come un vantaggio economico, per fornire armi e materie
prime agli altri Stati. Le posizioni neutraliste erano sostenute dai cattolici e dai socialisti. Lo schieramento interventista era
costituito da interventisti, irredentisti (che volevano le terre dell’impero austriaco) e i nazionalisti, tra cui spiccava Gabriele
d’Annunzio. A favore dell’intervento si schierò anche Benito Mussolini, che era passato da socialista a interventista. L’Intesa
voleva che l’Italia si schierasse insieme a loro, così con il patto di Londra (26 aprile 1915) l’Italia garantiva il proprio intervento
entro trenta giorni in cambio di Trentino-Alto Adige, Trieste, Gorizia, Istria (eccetto Fiume), Dalmazia e Dodecaneso. Il patto era
segreto e rimase tale fino al 1917. Giolitti nel 1914 lasciò il posto a Salandra, che insieme al re Vittorio Emanuele III era
favorevole all’intervento, e il 24 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria.

3.4 1915-1916: la guerra di posizione.


L’esercito italiano, sotto il comando di Luigi Cadorna, avanzò oltre il confine austriaco ma dovettero arrestarsi presso Gorizia. Tra
il giugno e il dicembre 1915 furono combattute le prime quattro battaglie dell’Isonzo. Il 1916 fu un anno molto duro, sui fronti
non si ebbero mutamenti importanti, ma le perdite furono ingenti e sorsero crescenti difficoltà di approvvigionamento. Grande
importanza ebbe anche la guerra sul mare. Vista la potenza della flotta inglese, la Germania evitò lo scontro in superficie e fece
largo ai sommergibili, capaci di colpire a sorpresa, con i siluri, anche le più potenti navi da guerra.

Nel maggio 1916 gli austriaci attuarono una spedizione punitiva in Trentino, con l’intenzione di vendicare il tradimento dell’Italia
che aveva abbandonato la Triplice Alleanza per l’Intesa. La spedizione ebbe inizialmente successo, ma l’Austria dovette poi
arretrare grazie anche all’intervento dei russi. Di fronte al grave pericolo corso nel Trentino il governo Salandra si dimise, e il
nuovo governo Boselli di “concentrazione nazionale” dichiarò guerra anche alla Germania, dopo che le truppe italiane avevano
conquistato Gorizia (9 agosto).
3.5 Il fronte interno e l’economia di guerra.
Il conflitto impose profonde trasformazioni anche nell’organizzazione economica e sociale dei Paesi. Tutta l’attività economica
era rivolta alle necessità militari: le industrie erano state convertite alla produzione bellica, i consumi alimentari erano stati
razionati e i prezzi sottoposti a rigidi controlli. Per risolvere il problema della scarsa manodopera vennero impegnate moltissime
donne nella produzione, e i sindacati combatterono per la parità dei salari (gli uomini hanno i salari più alti, una volta finita la
guerra gli imprenditori avrebbero tenuto le donne, i sindacati cercano di farli diventare uguali per farli lavorare entrambi). Le
donne si trovarono a svolgere mansioni fino ad allora impensabili, come autiste e operaie, questa situazione dal punto di vista
sociale rappresentò un grande sconvolgimento, in quanto avevano da sempre occupato ruoli marginali.

La guerra era stata accolta ovunque con entusiasmo, ma si rivelò presto un’esperienza terribile e disumana. Per mantenere sempre
alto il morale e la partecipazione dei civili c’era bisogno di un controllo sull’informazione e una propaganda sempre più
martellante.

Nel corso del 1917 le truppe si abbandonavano sempre di più a manifestazioni di insofferenza, si moltiplicavano i casi di
diserzione e quelli di autolesionismo. Il senso di stanchezza, ormai ampiamente diffuso, assunse in alcuni casi forme di aperta
protesta. A Torino ci fu una grande rivolta per reclamare la distribuzione del pane e anche per chiedere la pace.

3.6 1917-1918: verso la fine del conflitto.


In Russia la Rivoluzione d’ottobre ebbe come conseguenza il ritiro dal conflitto, e nel dicembre 1917 si arrivò all’armistizio di
Brest-Litovsk. Il crollo del fronte russo costituì un duro colpo per l’Intesa. Il peso maggiore lo subì l’Italia: tra il 23 e il 24 ottobre
1917 gli austriaci scatenarono un’improvvisa controffensiva sfondando le linee italiane a Caporetto. L’Italia reagì con fermezza
alla disfatta: dopo le dimissioni di Boselli si costituì un governo di unità nazionale presieduto da Vittorio Emanuele Orlando, e si
procedette alla mobilitazione di tutta la forza lavoro disponibile. Le truppe erano ora guidate da Armando Diaz, che affidò la
difesa del nuovo fronte ai veterani e ai “ragazzi del ‘99”, i quali riuscirono a fermare l’invasione.

Nel frattempo, nell’aprile 1917, gli Stati Uniti erano entrati in guerra, in nome anche degli ideali di libertà del presidente Wilson.
Prima mandavano aiuti alimentari all’Intesa, ma decisero di entrare perché con l’uscita della Russia mancava una potenza, e
perché nella guerra navale la Germania affondava le loro navi mercantili. L’intervento americano fornì all’intesa un notevole
apporto di uomini e mezzi e mise in crisi Germania e Austria, che scatenarono due offensive: una contro gli anglo-francesi,
annullata nella seconda battaglia della Marna (luglio 1918) e l’altra contro gli italiani, annullata a sua volta sul Piave e seguita da
una controffensiva terminata con la disfatta austriaca di Vittorio Veneto (24 ottobre 1918) e l’armistizio di Villa Giusti. Nel
novembre 1918 anche la Germania firmò l’armistizio a Compiègne. Gli imperi crollati furono quattro: l’impero ottomano, la
Russia, e sia l’impero tedesco che quello austro-ungarico si trasformarono in Repubbliche.

C api t ol o 4: L’EUR OP A E IL MONDO DOP O LA PR IMA GUER R A MONDIALE

4.1 I trattati di pace e la Società delle Nazioni.


Il 18 gennaio 1919 i rappresentanti delle potenze vincitrici si riunirono nella conferenza di Parigi allo scopo di dare una nuova
sistemazione all’Europa. Il primo errore fu che alla conferenza di pace parteciparono solo i vincitori (nel congresso di Vienna, la
Francia era stata invitata) quindi Inghilterra, Stati Uniti, Francia e Italia, anche se poco considerata. Wilson aveva fissato in
Quattordici punti i princìpi fondamentali a cui avrebbe dovuto ispirarsi la pace, tra cui il divieto degli accordi segreti, una società
delle nazioni per garantire la pace e rispettare le varie nazionalità per stabilire i nuovi confini. Come previsto venne creata la
Società delle Nazioni, che però non riuscì a funzionare efficacemente perché gli Stati Uniti non avevano aderito e si trasformò
quindi in uno strumento nelle mani di Francia e Inghilterra. La Germania non fece parte della conferenza, e con il trattato di
Versailles fu costretta ad ammettere le proprie responsabilità, a restituire l’Alsazia e la Lorena alla Francia, a ridurre l’esercito e a
pagare i danni di guerra (compresi quelli del Belgio) alle nazioni vincitrici. Si trattava di una pace “punitiva” imposta dalle due
potenze che non fece altro che accrescere il revanscismo della Germania.

I quattro fondamentali errori commessi dai vincitori furono:


- non invitare le nazioni perdenti e imporre loro i trattati di pace
- le sanzioni erano talmente elevate da rendere quasi impossibile la ripresa economica di questi paesi
- nella formazione dei territori non si tenne conto delle varie nazionalità
- l'aggravarsi delle differenze tra le nazioni ricche e le nazioni povere

Con il trattato di Saint-Germain l’Italia ottenne dall’Austria il Trentino, l’Alto Adige, l’Istria e l’alto bacino dell’Isonzo, ma non la
Dalmazia e Fiume. Questo provocò una forte delusione nel paese, venne chiamata “vittoria mutilata” e contribuì ad alimentare un
sentimento nazionalista. Sempre con questo trattato dal territorio dell’impero austriaco sorsero quattro stati indipendenti: Austria,
Ungheria, Cecoslovacchia e Iugoslavia. Fu inoltre riconosciuta l’indipendenza all’Albania. Sui territori appartenenti alla Russia
nascevano i nuovi stati indipendenti di Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania, mentre il trattato di Neuilly riconosceva
l’indipendenza della Bulgaria. La guerra sancì anche la fine dell’immenso e secolare impero ottomano. Con il trattato di Sèvres la
Turchia si trovò ridotta a uno Stato di modeste dimensioni, privata di tutti i territori arabi e della sovranità sugli stretti (Bosforo e
Dardanelli), e costretta a pagare pesanti ripartizioni.

4.2 Lo scenario extraeuropeo tra nazionalismo e colonialismo.


Francia e Inghilterra procedettero alla spartizione del Medio Oriente: la Francia ottenne Siria e Libano, l’Inghilterra Mesopotamia
e Palestina. Con la fine della guerra ebbe inizio una nuova fase anche per i Paesi coloniali, l’Inghilterra aveva concesso
l’indipendenza agli stati del Commonwealth (Canada, Australia, Sud Africa, Nuova Zelanda e anche all’Egitto, dove mantenne
però il controllo sul canale di Suez). Ebbe inizio anche la lotta per l’indipendenza dell’India guidata da Gandhi. Sulla base dei
trattati di pace la Francia poté invece estendere ulteriormente il proprio impero coloniale, annettendo le ex colonie tedesche del
Camerun e del Togo e rafforzando il suo protettorato sul Marocco.

C api t ol o 5: LE R IVOLUZIONI DEL 1917 IN R US S IA

5.1 La rivoluzione di febbraio.


La partecipazione al conflitto aveva aggravato le condizioni del popolo russo e diffuso un profondo malcontento. Infatti, sebbene
il paese fosse avviato verso la modernizzazione, il popolo continuava a vivere in condizioni di estrema povertà. Già nel 1905 si
erano verificate delle sommosse, e lo zar Nicola II aveva concesso l’istituzione di un Parlamento, la Duma, anche se solo con
potere consultivo. Nel 1914 lo zar aveva scelto di entrare in guerra, ma dopo tre anni la Russia aveva registrato enormi perdite di
uomini e di mezzi. L’8 marzo (23 febbraio del calendario russo) del 1917 scoppiò a Pietrogrado una protesta popolare, causata
dalla mancanza di beni di prima necessità e dall’aumento dei prezzi. L’esercito si unì agli insorti e in pochi giorni la “rivoluzione
di febbraio” si trasformò in una sommossa generale contro lo zar. Il 12 marzo si formò un governo provvisorio di unità nazionale
(che rappresentava comunque gli interessi dei proprietari terrieri e degli industriali) e lo zar fu costretto ad abdicare. Al governo
liberale si contrapposero i soviet, delle assemblee dei rappresentanti di operai, soldati e contadini. I socialdemocratici si
dividevano in bolscevichi, la maggioranza, che volevano una rivoluzione immediata e una dittatura del proletariato, e i
menscevichi, che volevano una rivoluzione borghese e liberale “a tappe” e più moderata. Quando il capo dei bolscevichi Lenin
rientrò in patria dall’esilio enunciò le “Tesi di aprile”, sostenendo la necessità di un’immediata rivoluzione proletaria e comunista,
ma per fare questo bisognava interrompere ogni intesa tra i rivoluzionari e il governo e tutto il potere doveva passare ai soviet. Le
Tesi di Lenin prevedevano anche la consegna della terra ai contadini e delle fabbriche agli operai, oltre alla necessità di stipulare
una pace per uscire dal conflitto, per questo riscossero largo successo tra la popolazione.

5.2 Dalla Rivoluzione d’ottobre al comunismo di guerra.


A maggio si formò un nuovo governo, formato da menscevichi e socialisti rivoluzionari. La guerra continuò, ma gli insuccessi al
fronte resero ancora più forte il malcontento popolare. La presidenza del governo passò a Kerenskij, che prima era ministro della
guerra, il quale confermò comunque l’impegno a proseguire la guerra. Tra le agitazioni popolari le forze conservatrici cercarono
di riprendere forza: il generale Kornilov a settembre tentò di ricondurre la Russia “alla normalità” marciando su Pietrogrado per
rimettere in riga soviet e soldati, anche se i bolscevichi sventarono il colpo di Stato. A quel punto Lenin ritenne che la situazione
fosse matura per conquistare il potere, così nella notte tra il 6 e il 7 novembre 1917 (24-25 ottobre del calendario russo) la Guardia
rossa, un corpo armato organizzato dai bolscevichi, occupò i centri di Pietrogrado e il giorno seguente dette l’assalto al Palazzo
d’Inverno, che fu facilmente occupato. Passata poi alla storia come “rivoluzione d’ottobre”, mirava a formare un governo
rivoluzionario di operai e soldati e a concludere la guerra con una pace “democratica”. Alla guida del nuovo governo
rivoluzionario sovietico, basato cioè sui soviet e detto “Consiglio dei commissari del popolo”, fu posto Lenin, il quale fu
affiancato da un Consiglio dei commissari del popolo di cui facevano parte Lev Trotsky e Stalin. Il primo problema del Consiglio
fu quello delle elezioni, dove i bolscevichi ottennero solo il 25% dei voti, mentre i socialisti il 58%. Di fronte a tali risultati Lenin
proclamò che il potere dei soviet era superiore a quello dell’Assemblea, che venne poi sciolta. Lenin poi stipulò con Austria e
Germania, a durissime condizioni, la pace di Brest-Litovsk (marzo 1918), e la Russia perse Polonia, Lituania, le province baltiche,
una parte della Bielorussia e concesse l’indipendenza di Finlandia e Ucraina, perdendo più della metà della produzione agricola,
metallurgica e carbonifera. Da qualche mese era però scoppiata una sanguinosa guerra civile fra i "rossi", sostenitori del regime
dei soviet, e i "bianchi", antibolscevichi e ostili alla Rivoluzione d’ottobre, a fianco dei quali intervennero anche le potenze
dell’Intesa (Francia, Inghilterra e Stati Uniti) che temevano la diffusione delle idee rivoluzionarie nei loro territori. La famiglia
imperiale venne assassinata dai bolscevichi e alcuni giorni dopo venne proclamata la Repubblica Socialista Federativa Sovietica
Russa, mentre il Partito comunista venne imposto come unico partito. Per contrastare l’armata bianca, l’Armata rossa (affidata a
Lev Trotskij) tra il 1919 e il 1920 riuscì a sconfiggere gli avversari. Lenin istituì poi la Terza Internazionale, con il compito di
diffondere su scala mondiale la rivoluzione proletaria e coordinare i partiti comunisti. Negli anni della guerra civile Lenin aveva
intrapreso un programma definito come “comunismo di guerra”. Egli mise sotto il controllo diretto dello Stato la produzione
agricola e industriale: tutti gli alimenti venivano requisiti per essere poi ridistribuiti. Venne soppressa la libertà d’opinione, furono
introdotti il divieto di sciopero e il lavoro forzato, e fu istituita una polizia politica, la Cĕka. Il controllo sulla produzione garantì
all’Armata rossa rifornimenti costanti per tutta la durata del conflitto, ma fece crollare la produzione agricola e suscitò una forte
resistenza da parte dei contadini. Si scatenarono ribellioni in tutto il Paese alle quali Lenin rispose con una repressione. L’apice
del conflitto si raggiunse nei primi mesi del 1921 con la grande rivolta contadina di Tambov, che contribuì a convincere Lenin ad
abbandonare il comunismo di guerra.

5.3 La nuova politica economica e la nascita dell’Urss.


Visto l’insuccesso del “comunismo di guerra”, Lenin nel 1921 attuò una Nuova politica economica (Nep) con il parziale ripristino
del libero commercio, la fine delle requisizioni forzate delle derrate alimentari, l’aumento dei prodotti disponibili per il consumo e
una maggiore libertà per i contadini, che rivitalizzò la produzione agricola e i commerci locali. La Nep ebbe importanti risvolti
anche in politica estera poiché contribuì a smorzare i contrasti tra lo Stato sovietico e le potenze occidentali. Nel corso della Nep
venne intrapresa la lotta all'analfabetismo, ma anche la repressione di ogni forma di credenza religiosa e un rigido insegnamento
marxista nelle scuole. Nel 1922 venne creata l'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (Urss) con capitale a Mosca, e il
Partito comunista venne imposto come unico partito politico.

C apit ol o 6: DOP O LA GUERR A: S VILUP P O E C R IS I

6.1 Crisi e ricostruzione economica.


Tra la fine del 1918 e il 1920 l'Europa fu investita da una forte instabilità, causata dalle difficoltà del dopoguerra. Si diffuse
un'epidemia influenzale ("la spagnola") che provocò milioni di morti, e il disegno dei nuovi confini sollevò il problema dei
profughi e creò nuove minoranze etniche. Sul fronte economico durante la guerra erano state spese somme gigantesche e ciò
aveva prodotto un pesante indebitamento, ma il problema più grave era la necessità di riconvertire le industrie belliche. Con la fine
del conflitto la spesa pubblica era crollata e le industrie erano passate da un’economia di guerra a un’economia di pace. Si verificò
anche un crollo della produzione agricola causato dall’abbandono delle campagne, quindi i paesi europei, non riuscendo a
produrre quanto serviva, dovettero importare materie prime e lavorate, che però determinò un rialzo dei prezzi e un'inflazione,
seguiti a loro volta dall’aumento del costo della vita e della disoccupazione. Tutti i paesi europei nel dopoguerra furono dunque
colpiti da una forte crisi economica e finanziaria. I paesi che più risentirono di questa situazione furono l’Italia, la cui situazione
era già aggravata dalle difficoltà finanziarie in quanto durante il conflitto erano stati effettuati prestiti a lungo termine che ora si
faticava a recuperare, e in particolare la Germania, obbligata dai trattati di pace a pagare enormi risarcimenti di guerra. Le
conseguenze della crisi furono l’indebitamento verso gli Stati Uniti, l’aumento dell’intervento dello Stato in politica economica,
l’aumento del tasso di disoccupazione e del costo della vita, una ripresa dell'emigrazione e in generale un diffuso malessere
sociale. Gli Stati Uniti erano usciti dalla Prima guerra mondiale in una posizione dominante, l’industria e la finanza americane
erano divenute le prime al mondo: grazie ai prestiti concessi ai paesi europei, si erano affermati come i principali esportatori di
prodotti. Il presidente democratico Wilson tentò di consolidare questo ruolo ma nelle elezioni del 1920 prevalse la linea
isolazionista del repubblicano Warren G. Harding, il quale si rifiutò di prendere parte alla Società delle Nazioni. All'isolazionismo
politico si accompagnò quello economico, vennero infatti adottate misure protezionistiche per difendere i prodotti nazionali. Ma
tra il 1920 e il 1921 una crisi di sovrapproduzione costrinse gli Usa a cercare nuovi mercati in grado di assorbire le merci
invendute. A tale scopo gli Stati Uniti misero in atto il “piano Dawes”, un piano di aiuti finanziari concessi ai paesi vinti, in
particolare alla Germania, affinché rilanciassero la loro economia e pagassero i debiti di guerra, così che le potenze vincitrici
potessero a loro volta restituire i prestiti bellici agli Usa. Il piano riuscì, l’Europa in parte si risollevò e gli Stati Uniti godettero di
un vero e proprio boom economico (1925-1926).

6.2 Trasformazioni sociali e ideologie.


La crisi economica del dopoguerra colpì principalmente i ceti popolari: nelle fabbriche crebbero gli scontri tra operai e datori di
lavoro, e nelle campagne i contadini si astennero dal lavoro e occuparono le terre padronali. Anche i ceti medi erano in sofferenza,
senza contare il malcontento dei soldati che avevano combattuto con la speranza di ottenere come ricompensa terre o un posto di
lavoro. La situazione di forte instabilità derivante dalla crisi ridiede vigore alle tendenze nazionalistiche, che si caratterizzarono da
un acceso antisemitismo. Sull'onda degli avvenimenti russi si rafforzarono anche i movimenti operai, distinti in socialisti
riformisti e comunisti rivoluzionari. Intanto negli Stati Uniti l'indirizzo isolazionista portò a provvedimenti contro l’immigrazione,
a causa della crescente paura di infiltrazioni comuniste e da un nazionalismo che portò a un clima di ostilità e violenza xenofoba e
razzista. Questi anni furono segnati anche da un provvedimento che fece scalpore, ovvero il divieto della produzione e della
vendita di alcolici (proibizionismo). La prima ragione era di natura morale: erano per la maggioranza i neri e gli immigrati a
essere accusati di bere eccessivamente e favorire quindi la diffusione di forme di degradazione fisica, mentre la seconda era di
natura economica: si riteneva che l’abuso di alcol riducesse la produttività dei lavoratori. Il provvedimento, tuttavia, non ottenne
gli effetti voluti, anzi, alimentò un traffico illegale di alcolici che arricchì la criminalità organizzata, e venne abolito nel 1933.

6.3 Gli anni Venti: benessere e nuovi stili di vita.


Il conflitto modificò profondamente il modo di pensare delle persone, la nuova società era più egualitaria, dinamica e aperta ai
cambiamenti. I sentimenti di paura della crisi economica postbellica lasciarono il posto a un nuovo ottimismo, derivato dalla
generale ripresa economica degli anni Venti. Un evidente segnale di tali mutamenti fu il nuovo ruolo sociale delle donne. Durante
il conflitto esse erano uscite dall’isolamento domestico e avevano raggiunto una certa autonomia, il loro cambiamento divenne
evidente anche nel modo di vestire: capelli corti, gonne sopra il ginocchio e in generale un abbigliamento più disinvolto e comodo.
Si assistette a un enorme incremento dei consumi, grazie allo sviluppo della produzione industriale e all’aumento dei salari. Un
simbolo di questa trasformazione fu la diffusione dell’automobile, sostenuta dalla politica industriale di Henry Ford. Il boom
economico aveva inoltre determinato la nascita di nuove attività di servizi (settore terziario). Questo clima di prosperità e
ottimismo fece sì che gli anni Venti fossero definiti gli “anni ruggenti”, nei quali si delineò l'American way of life ("lo stile di vita
americano"), contraddistinto dall'alto tenore di vita, dal consumismo, dalla ricerca di svaghi e divertimenti per il tempo libero, che
era comunque prerogativa della popolazione economicamente agiata.

6.4 La crisi del ‘29 e il New Deal di Roosevelt.


Il benessere crescente, la speculazione, i facili guadagni e l'incontrollata produzione industriale crearono negli Stati Uniti una crisi
di sovrapproduzione. Inoltre, la ripresa dell’economia europea fece incrementare la concorrenza e ridusse lo spazio per le merci
americane. Molti paesi adottarono a loro volta misure protezionistiche, riducendo ulteriormente la possibilità di accedere ai
mercati esteri da parte degli Usa. La diminuzione delle esportazioni non fece che aumentare la crisi di sovrapproduzione. Dato che
i cittadini americani non erano in grado di consumare le merci prodotte, nei mercati si vennero a trovare enormi quantità di
prodotti invenduti e i prezzi diminuirono drasticamente. Nel 1929, ai primi segni di crisi industriale, i titoli avevano raggiunto le
massime quotazioni e gli speculatori ritennero fosse giunto il momento di vendere le azioni per realizzare i guadagni sperati. La
corsa alla vendita fece scendere il valore dei titoli e il 24 ottobre 1929, il cosiddetto “giovedì nero”, si ebbe il crollo della borsa di
New York. Le fabbriche chiusero e le banche fallirono, la produzione industriale calò vertiginosamente e crebbero
disoccupazione e povertà: in pochi anni circa 15 milioni di persone persero il lavoro e i contadini dovettero abbandonare le proprie
terre, alla ricerca di una qualsiasi occupazione. A differenza degli anni Venti, gli anni Trenta sarebbero stati ricordati come quelli
della “grande depressione”. La catastrofe economica degli Stati Uniti si propagò, dando inizio a una crisi di livello mondiale. In
Europa l’arrivo sui mercati di prodotti venduti a prezzi bassissimi provocarono la brusca frenata della produzione e il conseguente
aumento della disoccupazione. In Italia alcuni industriali riuscirono a sfuggire dalle drammatiche conseguenze della crisi grazie
alla politica protezionistica del governo fascista. Ad avviare una risoluzione della crisi americana fu il presidente democratico
Franklin Delano Roosevelt (eletto nel 1932), che elaborò un piano chiamato New Deal, con il quale si passò da un’economia
libera a un’economia guidata, in cui lo Stato interveniva per porre dei limiti alla crescita produttiva. Roosevelt adottò un sistema
di inflazione controllata, era infatti convinto che una maggiore quantità di moneta in circolazione avrebbe favorito l’incremento
degli investimenti e dei consumi, quindi fece rialzare i prezzi, immise cartamoneta e introdusse il controllo dello Stato sulle
banche e Borse. Sul piano sociale difese i salari minimi e i contratti di lavoro, e impose la presenza dei sindacati nelle aziende.
Realizzò lavori pubblici per combattere la disoccupazione, concesse aiuti alle aziende in crisi e varò un piano di aiuti
all’agricoltura. Per finanziare le misure necessarie ad attuare le riforme, Roosevelt applicò una politica fiscale più pesante nei
confronti delle classi privilegiate e ciò suscitò la loro opposizione alla sua linea di governo. Nel 1936 Roosevelt venne eletto per la
seconda volta e poté procedere al consolidamento della propria azione di governo, sostenuto dall’economista John Maynard
Keynes. Malgrado le azioni della presidenza di Roosevelt, alla fine degli anni Trenta gli Stati Uniti non erano comunque ancora
tornati ai livelli precedenti il crollo di Wall Street.

C api t ol o 7: IL R EGIME F ASC IS TA IN ITALIA

7.1 Le trasformazioni politiche nel dopoguerra.


Nel difficile contesto del primo dopoguerra lo schieramento liberale, che fino a quel momento aveva dominato la scena politica,
andò perdendo influenza, mentre nel 1919 don Luigi Sturzo fondava il Partito popolare. All’interno del Partito socialista si
manifestarono invece gravi divisioni interne, nonostante il trovassero ancora consensi della popolazione. Di questa difficile
situazione seppe abilmente approfittarne Benito Mussolini, il quale (dopo essere stato espulso dal Partito socialista e dalla
direzione dell’”Avanti!” per le sue posizioni interventiste, aveva fondato il quotidiano “Il Popolo d’Italia”, attraverso cui condusse
la sua personale campagna a favore della partecipazione dell’Italia alla guerra) il 23 marzo 1919 fondò il movimento dei Fasci di
combattimento, che riuniva ex combattenti, nazionalisti e interventisti della prima guerra mondiale, il cui programma, il
programma di San Sepolcro, prevedeva il suffragio universale, l’instaurazione di una repubblica, l’abolizione del senato, riforme
fiscali, la riduzione della giornata lavorativa e il sequestro dei beni della Chiesa. Ma proprio in questo programma si comprendeva
l'ispirazione antiparlamentare, antisocialista e violenta, che poi si attuò nell'azione politica (saccheggio e incendio della sede
dell’“Avanti!” a Milano, 15 aprile 1919). In poche parole, richieste di stampo progressista si affiancavano a rivendicazioni
reazionarie e anarchiche, espresse con un attivismo spesso sconfinante in atti di violenza.

7.2 La crisi dello Stato liberale.


Oltre alle difficoltà economiche, l’Italia dovette far fronte anche a un diffuso senso di delusione per l’esito della guerra e per il
mancato rispetto del patto di Londra. La questione della “vittoria mutilata” finì per riguardare la Dalmazia, che l’Italia intendeva
annettere contro il volere di Francia, Inghilterra e Usa. Fu D’Annunzio marciare su Fiume con alcune centinaia di volontari
armati, e, senza incontrare resistenza dalle forze anglo-francesi, la occupò e ne proclamò l’annessione all’Italia. Nitti assunse una
posizione ambigua, né favorevole né contraria, perciò l’occupazione della città poté continuare indisturbata. Nel frattempo le
elezioni politiche del 1919 (le prime con il sistema proporzionale e con il suffragio universale maschile) premiarono socialisti
(156 seggi) e cattolici (100), mentre evidenziarono la crisi dello schieramento liberale (256) per la prima volta quindi i liberali
avevano perso la maggioranza assoluta, anche se continuavano a rappresentare la maggioranza relativa. Anche il movimento
fascista si era presentato alle elezioni, ma non aveva ottenuto nemmeno un seggio. I governi liberali, privi di una solida
maggioranza in parlamento, si trovarono a dover fronteggiare la difficile situazione sociale nel paese. Tra il 1919 e il 1920, anni
che vennero poi chiamati “biennio rosso”, scoppiarono scioperi e sommosse nelle città e nelle campagne. Gli operai occuparono le
fabbriche, anche sull’esempio dei soviet russi, chiedendo la riduzione della giornata lavorativa e l’aumento dei salari,
successivamente le manifestazioni si estesero anche alle campagne, dove i contadini attendevano ancora le promesse fatte loro
durante la guerra. Il governo Giolitti (richiamato alla guida del paese nel 1920 al posto del dimissionario Nitti) per evitare una
guerra civile, spinse operai e industriali verso un accordo. L’esito delle proteste indebolì soprattutto il Partito socialista, tanto che,
in occasione del congresso di Livorno, la corrente minoritaria di estrema sinistra dette vita al Partito comunista (21 gennaio 1921),
che aderì alla Terza internazionale. Giolitti ottenne invece un successo nella risoluzione della questione fiumana: nel novembre
1920 Italia e regno dei Serbi, Croati e Sloveni firmarono il trattato di Rapallo, nel quale Fiume veniva dichiarata “città libera”,
mentre D'Annunzio e il suo esercito dovettero ritirarsi in seguito agli scontri del “Natale di sangue”. Per la stessa ragione di non
accendere tensioni internazionali, Giolitti rinunciò al mandato sull’Albania, di cui riconobbe l'indipendenza.

7.3 L’ascesa del fascismo.


I Fasci di Mussolini iniziarono a raccogliere l’appoggio delle forze conservatrici, rassicurate dall’ostilità del movimento verso i
socialisti, ostilità che sempre più spesso si tramutava in spedizioni punitive di squadre d’azione (squadrismo), delle formazioni
paramilitari rese riconoscibili dall’uniforme in camicia nera, che con l’uso della violenza assalivano le cooperative e le sedi dei
partiti e dei giornali socialisti. Le istituzioni non reagirono per bloccare tali violenze, anzi in più di un’occasione si mostrarono
indifferenti, e il governo di Giolitti in vista delle elezioni del maggio 1921, per fronteggiare socialisti e cattolici, strinse
un’alleanza, detta “blocco nazionale” con nazionalisti e fascisti. I risultati elettorali non premiarono i liberali, anzi, segnarono
l’avanzata dei fascisti, che entrarono in Parlamento con 35 deputati, tra cui Mussolini, e causarono la caduta del ministro Giolitti.
Nel novembre 1921 Mussolini trasformò il movimento in Partito nazionale fascista (Pnf), con un’organizzazione fortemente
centralizzata, e poté così avviare una strategia dal duplice volto: da un lato continuare a sostenere il ricorso alla violenza
squadrista e dall’altro poter usufruire dei mezzi legali offerti dal parlamento. L’ascesa del fascismo fu favorita anche
dall’incapacità del Partito socialista di opporsi, a causa delle sue divisioni interne. Oltre che della grande borghesia agraria e
industriale e dei liberali, il nuovo partito raccolse i consensi del ceto medio e della piccola borghesia, che si sentivano trascurati
dalle forze politiche. Mussolini decise che era arrivato il momento di prendere il potere e ordinò di fare una marcia su Roma (28
ottobre 1922), un colpo di stato che avrebbe permesso ai fascisti di ottenere il governo, mentre lui restava a Milano. Il presidente
del Consiglio presentò al re il decreto che proclamava lo stato d’assedio, per impedire l'ingresso dei fascisti in città, ma Vittorio
Emanuele III rifiutò di firmarlo e invitò Mussolini a recarsi nella capitale per formare il governo (29-30 ottobre). Mussolini diede
vita a un governo di coalizione (fascisti, liberali, popolari, socialdemocratici, alti gradi delle forze armate).Per limitare il potere
parlamentare istituì il Gran consiglio del fascismo (dicembre 1922) e un esercito di partito posto sotto la sua diretta autorità,
trasformando le squadre d’azione in Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (Mvsn). Il fascismo assunse i caratteri di un
regime accentrato, conservatore e marcatamente a favore della grande borghesia. Mussolini, pur essendo stato un acceso
anticlericale, intraprese una politica di riavvicinamento alla Chiesa per guadagnare il consenso delle masse cattoliche e popolari.
Per assicurarsi la maggioranza alla Camera fece votare una nuova legge elettorale, la legge Acerbo (novembre 1923) che
reintrodusse il sistema parlamentare, e indisse nuove elezioni per il 6 aprile 1924, durante le quali la lista nazionale capeggiata da
Mussolini ottenne la maggioranza, soprattutto grazie a brogli e intimidazioni. L’opposizione protestò e chiese l’annullamento
delle elezioni, la denuncia più vigorosa fu pronunciata da Giacomo Matteotti, il quale il 10 giugno 1924 venne assassinato.
L’avvenimento ebbe un forte impatto sull’opinione pubblica, mentre l’opposizione in segno di protesta abbandonò la Camera
(secessione dell’Aventino). Mussolini, in un discorso alla Camera il 3 gennaio 1923 si dichiarò responsabile del delitto Matteotti,
questo atto rappresentò quindi l’inizio della dittatura e la soppressione del diritto di parola.

7.4 La costruzione dello Stato fascista.


Il passaggio definitivo dal sistema democratico al regime autoritario si ebbe con le “leggi fascistissime” del 1926, finalizzate a
rafforzare il governo: il primo ministro divenne segretario di Stato, nominato dal re, e quindi responsabile del proprio indirizzo
solo di fronte al re e non al Parlamento; a livello locale vennero ampliate le prerogative dei prefetti e i podestà (nominati dal
governo) sostituirono i sindaci; vennero sciolti i partiti di opposizione, fu stabilito l’obbligo di iscriversi al Partito fascista, venne
istituito un Tribunale speciale e venne soppressa ogni libertà di opinione e di stampa. Mussolini instaurò una dittatura personale
basata su un partito unico, e le elezioni divennero pura formalità. Per consolidare il regime, Mussolini (che iniziò a farsi chiamare
duce) ricorse a una martellante propaganda, attuata attraverso il controllo della stampa, della radio, delle organizzazioni di partito.
Per controllare la società e pianificare in modo capillare il tempo libero vennero istituiti organismi di inquadramento di massa
come l’Opera Nazionale Balilla, i Gruppi universitari fascisti, l’Opera nazionale dopolavoro. Mussolini inasprì la repressione delle
attività antifasciste, attraverso il controllo e la censura della polizia politica (Ovra). Nonostante questo, l’opposizione al fascismo
continuava comunque a farsi sentire per mezzo di opere scritte e diffuse clandestinamente.

7.5 La politica sociale ed economica.


Il regime soppresse le libere associazioni sindacali, che vennero sostituite dalle corporazioni: organi statali fascisti che riunivano
lavoratori e datori di lavoro; pubblicò la Carta del lavoro, per ribadire la collaborazione tra le classi sociali per raggiungere
superiori “interessi nazionali”. In politica economica si passò dal liberismo al protezionismo, per risanare l’economia del regime e
limitare le merci estere. Per fronteggiare la crisi del 1929, il regime trasformò lo Stato in uno Stato imprenditore acquistando
industrie e banche e concedendo prestiti alle imprese in difficoltà. Infine promosse l’autarchia: la capacità di produrre in modo
autonomo tutto quello che occorreva al fine di raggiungere l’autosufficienza economica, da realizzare anche con iniziative come la
battaglia del grano, della palude e la battaglia demografica.

7.6 La politica estera e le leggi razziali.


In politica estera Mussolini cercò dapprima delle alleanze esterne, soprattutto con l’Inghilterra, al contempo, però, le mire
espansionistiche lo spinsero a richiedere la revisione dei trattati di pace considerati ingiusti. Successivamente inasprì i rapporti
internazionali soprattutto con la Francia, e la via della diplomazia fu definitivamente abbandonata quando Mussolini nel 1935
dette inizio a una politica di espansione in Africa ai danni dell’Etiopia per completare la conquista del Corno d’Africa, dove già
esistevano le colonie italiane di Eritrea e Somalia. Nonostante il colonialismo fosse già finito con la Prima Guerra Mondiale,
Mussolini voleva emergere in Europa, “civilizzare” l’Africa e avere un “posto al sole” come le altre potenze. La conquista non
poteva lasciare indifferente la Società delle Nazioni, che dichiarò l’Italia colpevole di aggressione e applicò sanzioni economiche
nei suoi confronti, attuate però senza particolare rigore. La guerra d'Etiopia si concluse vittoriosamente nel 1936, ma costò l'uscita
del paese dalla Società delle Nazioni e il suo isolamento in ambito europeo. In tale situazione Mussolini si risolse a cercare
un'alleanza con la Germania di Hitler (nemici in comune, bolscevichi e comunisti), che si concretizzò nello stesso anno con l'Asse
Roma-Berlino. Nell'ambito di questa nuova alleanza, nel 1937 vennero emanate le prime leggi razziali, indirizzate alle
popolazioni africane delle colonie italiane, e nel 1938 fu pubblicato un Manifesto di difesa della razza, che aveva come obiettivo
la discriminazione degli ebrei, imponendo la loro esclusione dalle scuole pubbliche, il divieto di matrimonio con italiani e il
divieto di possedere aziende.

C api t ol o 8: LA GER MANIA DEL TER ZO R EIC H

8.1 La repubblica di Weimar.


In Germania, dopo la guerra, venne proclamata la repubblica (1918) con un governo provvisorio guidato da Friedrich Ebert,
esponente del partito socialdemocratico, il quale firmò l’armistizio. I nazionalisti però lo videro come un tradimento, in quanto
volevano che la guerra continuasse, e il governo non era appoggiato nemmeno dall’estrema sinistra del Partito comunista tedesco,
che organizzò poi un’insurrezione che prese il nome di “settimana di sangue” (gennaio 1919) che venne repressa dall’esercito
(alleato della repubblica). Alle elezioni per un’assemblea costituente il partito socialdemocratico ottenne la maggioranza, e venne
proclamata la repubblica di Weimar con una nuova Costituzione, secondo la quale la Germania diveniva una repubblica federale,
con un Parlamento (Reichstag) dagli ampi poteri e un presidente che era eletto ogni sette anni e a cui spettava la nomina di
cancelliere. La situazione era però aggravata dalla situazione economica e il governo dovette sospendere il pagamento dei
risarcimenti di guerra. La Francia, quindi, reagì e occupò militarmente il bacino della Ruhr (1923) a garanzia dei pagamenti.

8.2 Hitler e la nascita del nazionalsocialismo.


Nel febbraio 1920 Adolf Hitler fondò un movimento politico di estrema destra, il Partito nazionalsocialista dei lavoratori (Partito
nazista), che si proponeva di instaurare in Germania un regime autoritario e adottò la svastica come simbolo del partito. Nel 1923
Hitler organizzò un colpo di Stato contro il governo della Baviera, il cosiddetto Putsch di Monaco, che però fallì ed egli venne
condannato a cinque anni di carcere. Nel 1925 Francia e Germania firmarono il patto di Locarno, nel 1926 la Germania venne
riammessa alla Società delle Nazioni e nel 1929 vennero ridotti e rateizzati i risarcimenti di guerra. Sul fronte economico la
situazione stava migliorando grazie al piano Dawes degli Stati Uniti, ma dal 1929 peggiorò nuovamente in seguito alla “grande
depressione” americana. Questa crisi rafforzò le tendenze di estrema destra, tanto che alle elezioni del 1930 i nazisti diventarono il
secondo partito del Paese. Due anni dopo Hitler fu battuto dal maresciallo Von Hindenburg alle elezioni presidenziali, ma di
fronte all’ennesima crisi ministeriale, il presidente lo chiamò a formare il nuovo governo, nominandolo cancelliere il 30 gennaio
1933.

8.3 La costruzione dello Stato totalitario.


Dopo l’ottimo risultato alle elezioni del marzo 1933 Hitler si assicurò pieni poteri per quattro anni, il che gli permise di instaurare
un regime totalitario, e il partito nazista venne riconosciuto come partito unico. Venne abolita ogni libertà di associazione ed
espressione e venne istituita la Gestapo e le SS, una polizia segreta e un tribunale, la Suprema corte popolare, per reprimere gli
oppositori. Alla morte di Von Hindenburg ( 1934), Hitler unificò nella sua persona il ruolo di cancelliere e presidente, divenendo
dittatore e creando il Terzo Reich. Lo stato totalitario venne costruito attraverso l’organizzazione del consenso, eliminando ogni
forma di opposizione, controllando i mezzi di comunicazione e sottoponendo la popolazione a un rigido inquadramento nelle
organizzazioni naziste. In campo economico Hitler risollevò le sorti economiche del Paese adottando una politica fortemente
autarchica. Promosse inoltre una politica estera espansionistica e aggressiva, con un richiamo al pangermanesimo (unire in un
unico Stato tutti i tedeschi).

8.4 L’ideologia nazista e l’antisemitismo.


I fondamenti dell’ideologia nazista vennero delineati dallo stesso Hitler nella sua opera Mein Kampf (“la mia battaglia”) i quali si
basavano sui concetti di razza e di ineguaglianza tra razze. Da questi discendevano la teoria della superiorità della razza ariana
(identificata con la razza germanica), la necessità di “purificarla” e di difenderla da ogni contaminazione e l'antisemitismo.
Proprio contro il popolo ebraico, ritenuto una razza impura, fu avviata una spietata persecuzione, legalizzata con le leggi di
Norimberga (1935) con le quali gli ebrei furono privati della cittadinanza, fu loro vietato di sposarsi con tedeschi e furono
obbligati a esibire la stella gialla di David in modo da essere riconoscibili. A partire dal 1938 si passò dalla persecuzione civile
allo sterminio fisico, con migliaia di ebrei tedeschi arrestati e condotti nei campi di concentramento, azione definita “notte dei
cristalli”.

8.5 La politica estera aggressiva di Hitler.


L’ascesa del nazismo modificò in modo radicale le relazioni internazionali, il primo cambiamento fu l’uscita dalla Società delle
Nazioni (1933), poi Hitler introdusse il servizio militare obbligatorio e potenziò l’esercito tedesco, la Wehrmacht. Nel 1935 venne
riannessa la Saar e nel 1936 venne ordinato alle truppe di insediarsi in Renania. Nonostante ciò, Francia e Inghilterra si limitarono
a esprimere una generica condanna. Nel frattempo Hitler si avvicinò a Mussolini, il quale, dopo la morte del cancelliere austriaco
e soprattutto dopo la guerra d’Etiopia, si trovò isolato e scelse perciò di allearsi con la Germania attraverso l'Asse Roma-Berlino
(1936). Germania e Italia trovarono anche il sostegno del Giappone che era uscito dalla Società delle Nazioni (1933) e pochi anni
dopo aderì all’Asse Roma-Berlino-Tokyo (1940). L’atteggiamento aggressivo di Italia e Germania aveva finito per prevalere sulla
cauta politica di Francia e Inghilterra e aveva quindi rassicurato Hitler e Mussolini. Nel marzo 1938 la Germania occupò l’Austria,
che venne annessa con un plebiscito, nel marzo del 1939 invase la Cecoslovacchia, e dopo aver ottenuto la regione dei Sudeti
(1938) i tedeschi rivendicarono dalla Polonia il “corridoio di Danzica”. Allora le democrazie occidentali stipularono una serie di
alleanze con gli stati confinanti con la Germania, ma il 22 maggio Mussolini e Hitler siglarono il Patto d’acciaio, che li impegnava
a prestarsi aiuto in caso di guerra. Hitler sottoscrisse anche un patto di non aggressione con l’Unione Sovietica di Stalin, in vista di
una spartizione della Polonia.

C apit ol o 9: L’UR SS DI S TALIN

9.1 L’ascesa di Stalin e l’industrializzazione sovietica.


Nel 1924, alla morte di Lenin, si aprì un periodo di crisi nello schieramento bolscevico, che si divise in due linee opposte: quella
della “rivoluzione permanente” da diffondere su scala mondiale di Trotskij, e quella del “socialismo in un paese solo” di Stalin,
per cui era prima necessario consolidare lo Stato sovietico in Russia. In pochi anni Stalin si impose alla guida del partito e quindi
dell’Urss e fece espellere Trotskij (1927). In campo economico intraprese la via dell’industrializzazione e impose la
collettivizzazione forzata della terra. Lo stato assunse il controllo totale delle campagne attraverso lo sterminio dei kulaki
(contadini agiati), che vennero eliminati per mezzo di arresti, deportazioni e uccisioni. Il numero delle vittime si calcola in
milioni. In seguito predispose dei piani quinquennali, con lo scopo di incrementare la produzione industriale, i quali cancellarono
ogni libertà economica introdotta dalla Nep. Ma, mentre i paesi capitalistici subivano le conseguenze della crisi del ’29, l’Unione
sovietica realizzò straordinari progressi economici, soprattutto grazie a un intenso sfruttamento della forza-lavoro.

9.2 Il terrore staliniano e i gulag.


Stalin utilizzò l’arma del terrore e della repressione, annullando ogni fermento di democrazia e creando un sistema dittatoriale
fondato su un potere personale e tirannico. Il terrore fu inizialmente usato contro operai e contadini, ma fu poi esteso anche ai
membri dello stesso partito che potevano rappresentare una minaccia. Ebbe inizio così il periodo delle “ grandi purghe” (1936-
1938), caratterizzato da numerosissimi processi e condanne a morte contro i membri della vecchia guardia bolscevica, dirigenti
del partito e altri esponenti dell’esercito. Milioni di persone accusate di essere “nemici del popolo” vennero rinchiuse nei gulag,
campi di lavoro forzato nelle zone più inospitali del paese (Siberia), già utilizzati da Lenin ma che raggiunsero il massimo
impiego da Stalin. Le condizioni di vita erano disumane e i turni di lavoro massacranti, fu la durezza di tali condizioni la causa
dell’alto tasso di mortalità. Tra il 1928 e il 1940 si possono contare oltre 160 gulag, tra i 10 e i 20 milioni di prigionieri e più di 2
milioni di morti.

9.3 Il consolidamento dello Stato totalitario.


Il regime poté consolidarsi anche attraverso una massiccia opera di propaganda e di esaltazione della figura di Stalin, intorno a cui
si costruì un vero e proprio culto della personalità. D’altra parte i governi occidentali abbandonarono la diffidenza nei confronti
dell’Urss a causa dell’avvento del nazionalsocialismo in Germania e nel timore di una possibile ripresa dell’espansionismo
tedesco, i quali cominciarono a mostrarsi sempre più disponibili a collaborare tra loro. Nel 1933 l’Urss venne ammessa nella
Società delle Nazioni.

C api t ol o 11: LA SEC ONDA GUER R A MONDIALE

11.1 La guerra-lampo (1939-1940).


1939: Al riparo da sorprese militari sul versante orientale, grazie al patto di non aggressione con l’Urss, Hitler invase la Polonia,
suscitando la reazione di Francia e Inghilterra. Il 1° settembre ebbe così inizio la Seconda Guerra Mondiale. Il 3 settembre Francia
e Inghilterra dichiararono aperte le ostilità. Il 5 settembre Stati Uniti e Giappone proclamarono la neutralità, mentre l’Italia si
dichiarò non belligerante perché militarmente impreparata. Allo stesso tempo l’Unione Sovietica invase la Polonia da est (secondo
il protocollo segreto del patto Ribbentrop-Molotov), con l’Armata Rossa che fucilò migliaia di ufficiali e cittadini polacchi,
seppelliti poi in fosse comuni presso la foresta di Katin (solo nel 1989 i sovietici rivelarono che Stalin aveva dato l’ordine del
massacro). L’esercito polacco fu costretto ad arrendersi, e solo 27 giorni dopo la Polonia venne spartita tra Germania e Unione
Sovietica. Due mesi dopo l’Urss pose sotto il proprio controllo le repubbliche baltiche di Estonia-Lettonia-Lituania e attaccò la
Finlandia. La guerra passò quindi nella penisola scandinava.

1940: Nella primavera del 1940 Hitler, con lo scopo di assicurarsi l’approvvigionamento di materie prime e basi d’attacco contro
l’Inghilterra, si impadronì di Danimarca e Norvegia. In Norvegia venne poi creato nel 1942 un governo-fantoccio
collaborazionista presieduto do fascista Quisling. Da quel momento il termine “Quisling” fu sinonimo di “collaborazionista”.

Nel frattempo sul fronte occidentale gli eserciti tedesco e francese si fronteggiavano dietro le linee Sigfrido e Maginot. La linea
Maginot era lunga 400Km e andava dalla Svizzera al Lussemburgo, ed era stata costruita alla fine della Prima guerra mondiale.
Nei primi mesi la Francia definì il conflitto “drole de guerre”, cioè una guerra buffa, strana, in cui non succedeva nulla. Questo
fino al 10 maggio, quando le armate tedesche violarono la neutralità di Olanda, Belgio e Lussemburgo per aggirare la linea
Maginot e penetrare in territorio francese. Il 10 giugno la Germania attaccò la Francia, l’invasione fu rapida e nel giro di pochi
giorni la costa della Manica cadde in mano tedesca. Il corpo di spedizione britannico in Francia fu costretto a imbarcarsi a
Dunkerque. Ma le navi della Marina britannica non riuscivano a raggiungere le acque basse della riva, perciò Churchill chiese
aiuto a proprietari di barche perché soccorressero le truppe, che riuscirono a mettersi in salvo su pescherecci e scialuppe di
salvataggio. Il 10 giugno anche l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania, ma i risultati ottenuti dall’esercito italiano furono
deludenti. Il 14 giugno l’esercito tedesco entrò a Parigi, e la Francia chiese l’armistizio, che fu firmato il 22 giugno nello stesso
vagone ferroviario dove era stato siglato l’armistizio del 1918. La Francia del Nord passò così sotto il diretto controllo tedesco,
mentre la Francia centro-meridionale venne presieduta da Pétain, con capitale a Vichy.

La cosiddetta Francia di Vichy diede vita a un regime autoritario, filonazista e collaborazionista. A quel punto Hitler decise di
avanzare una proposta di pace al Regno Unito, ma il primo ministro britannico Churchill rifiutò, allora diede avvio all’operazione
“leone marino”, una guerra navale e sottomarina. L’8 agosto iniziò quindi la “battaglia d’Inghilterra”, una serie di bombardamenti
a tappeto sull’Inghilterra e su Londra, che venne colpita per 57 notti, ma che si risolse in un fallimento grazie alla reazione
dell’aviazione britannica e ai continui rifornimenti da colonie e Stati Uniti. Il 27 settembre venne stipulato l’asse Roma-Berlino-
Tokyo.

ITALIA: l’Italia aveva dichiarato la non belligeranza per tre motivi: l’impreparazione dell’esercito, le insufficienti risorse
industriali e le tensioni con la Germania, che aveva iniziato la guerra senza consultare l’Italia. Ma la sua posizione cambiò di
fronte alle vittorie di Hitler, quindi per poter sedere al tavolo dei vincitori il 10 giugno 1940 dichiarò guerra a Francia e Inghilterra.
L’Italia prevedeva una guerra parallela con i tedeschi (azioni autonome), così il 28 ottobre attaccò la Grecia, questo doveva essere
l’inizio dell’espansione nei Balcani ma l’offensiva mal preparata venne bloccata dall’esercito greco, che, rifornito dagli inglesi,
contrattaccò fino a ripiegare gli italiani in Albania. Hitler fu allora costretto a portare soccorso all’Italia per evitare l’umiliazione
di una sconfitta e per impedire agli inglesi una controffensiva.

11.2 La svolta del 1941: il conflitto diventa mondiale.


1941: Hitler avviò trattative con Ungheria, Romania, Bulgaria, Iugoslavia e Slovacchia, creando così un’ampia regione satellite
della Germania. L’entrata in guerra dell’Italia aprì due nuovi fronti: il primo sul Mediterraneo, dove la flotta italiana si scontrò con
quella inglese e subì molte perdite, la seconda in Africa. L’Italia attaccò la Somalia britannica e l’Egitto, ma venne bloccata dagli
inglesi, perdendo la Cirenaica (parte orientale della Libia). Hitler inviò allora gli Afrika Korps, delle truppe corazzate sotto il
comando di Rommel “la volpe del deserto” che costrinse gli inglesi a ritirarsi oltre il confine egiziano. Tuttavia l’esercito
britannico occupò Addis Abeba, capitale dell’Etiopia, e occupò poi Somalia ed Eritrea.

Il 22 giugno Hitler decise di attaccare la Russia con l’operazione Barbarossa, perché considerava la Russia il nemico ideologico
del Nazismo, temeva un avvicinamento di Stalin a Churchill e per rifornimenti di grano e petrolio, fondamentali per l’economia
tedesca. Per questo motivo la Germania occupò l’Ucraina e la Bielorussia. La guerra fu inizialmente a favore di Hitler, ma con
l’arrivo dell’inverno l’Unione Sovietica utilizzò la tattiva della terra bruciata, sottraendo al nemico la possibilità di rifornirsi di beni
di prima necessità. Questo bloccò l’avanzata tedesca e impedì l’occupazione di Mosca.

Gli Stati Uniti avevano confermato la linea isolazionista di non intervento, tuttavia nel marzo 1941 avevano adottato la “legge
affitti e prestiti” che autorizzava il governo a vendere, prestare o affittare materiale bellico e prodotti agricoli ai paesi la cui difesa
era stata giudicata vitale per i loro interessi. Il 14 agosto il presidente Roosevelt e il primo ministro Churchill si incontrarono al
largo dell’isola di Terranova e firmarono la Carta Atlantica: una dichiarazione che fissava dei principi per la libertà e la
democrazia da realizzare dopo la sconfitta nazista. Nel gennaio 1942 a Washington venne firmata da USA, Gran Bretagna, Unione
Sovietica e altre 23 nazioni la Dichiarazione delle Nazioni Unite con cui ribadivano l’impegno a lottare contro l’Asse.
Il Giappone aspirava ad una grande Asia, perciò conquistò la Cina e occupò l’Indocina francese. A questo espansionismo gli Stati
Uniti risposero con il blocco di forniture di acciaio e petrolio, e dando il loro sostegno alla Cina. Il 7 dicembre 1941 l’aviazione
giapponese attaccò la base navale statunitense di Pearl Harbor, nelle Hawaii, che determinò l’immediato ingresso in guerra degli
Stati Uniti contro Giappone, Germania e Italia.

11.3 La controffensiva alleata (1942-1943).


1942: Come risposta all’intervento americano, la Germania diede inizio a una guerra sottomarina che mirava a bloccare le navi
cariche di rifornimenti, ma che fallì. Nel gennaio 1942 ci fu anche la Conferenza di Wannasee, dove i gerarchi nazisti
pianificarono lo sterminio degli ebrei (soluzione finale).

In Unione Sovietica l’esercito nazifascista avanzò fino a Stalingrado, dove la popolazione, resistendo per 180 giorni all’assedio,
permise all’esercito sovietico di contrattaccare a novembre e costringere l’armata alla resa. Nella ritirata che seguì, le truppe italo-
tedesche vennero annientate dal freddo e dalla fame, ma l’assedio continuò fino al 2 febbraio 1943 quando il comandante
Friedrich von Paulus fu costretto alla resa.

Nello stesso periodo gli americani iniziarono la loro controffensiva nei territori occupati dai giapponesi in Estremo Oriente:
significative furono le vittorie nelle battaglie aeronavali delle Midway e Guadalcanal (agosto 1942 e febbraio 1943). Gli inglesi
sfondarono il fronte nemico a El Alamein, vicino ad Alessandria d’Egitto, e gli americani sbarcarono in Marocco e Algeria. Da
allora tutta l’Africa del nord si trovò in mano agli alleati.

11.4 La caduta del fascismo e la guerra civile in Italia.


1943: Nel gennaio 1943 Roosevelt e Churchill si incontrarono in Marocco, nella conferenza della Casablanca, dove decisero di
aprire un secondo fronte in Europa, scegliendo come obiettivo l’Italia, ormai giunta al limite delle proprie possibilità e con
Mussolini che aveva perso il consenso dell’opinione pubblica. Il 10 luglio gli anglo-americani sbarcarono in Sicilia, dando inizio
alla crisi del regime fascista, e le forze aeree alleate bombardarono Roma e Frascati, sedi del comando tedesco. Il 24 luglio il Gran
consiglio del fascismo approvò il ripristino dello Statuto albertino, votando la sfiducia a Mussolini. Vittorio Emanuele II convocò
lo stesso Mussolini obbligandolo alle dimissioni e ordinandone l’arresto. Il nuovo capo del governo, Pietro Badoglio, ordinò di
proseguire la guerra ma trattò in segreto la pace e l’uscita dal conflitto con gli anglo-americani. Il 3 settembre venne firmato a
Cassibile, nei pressi di Siracusa, un armistizio che fu reso noto solo l’8 settembre. Il 9 settembre il re e Badoglio, per garantire la
sopravvivenza dello Stato italiano, si rifugiarono a Brindisi liberata dagli alleati, mentre l’Italia precipitò nel caos. Lo
sbandamento dell’esercito italiano facilitò i tedeschi nel mantenere il controllo militare sula parte del paese non occupata dagli
Alleati. Rimasti senza ordini, moltissimi soldati italiani cercarono di scappare e non essere fatti prigionieri dai tedeschi.
L’episodio più tragico fu a Cefalonia, dove soldati e ufficiali italiani, furono fucilati.

Il 12 settembre un gruppo di paracadutisti tedeschi liberò Mussolini, prigioniero a Campo Imperatore sul Gran Sasso, e lo
condussero in Germania. Il duce proclamò la Repubblica sociale di Salò, uno stato fascista sotto il controllo tedesco. A questo
punto l’Italia si trovò divisa tra:
- repubblichini: fedeli al governo di Salò e schierati con i tedeschi in difesa del fascismo;
- partigiani: gruppi di combattenti armati (ufficiali e soldati dell’esercito insieme a civili, operai e intellettuali).

Iniziava quindi la Resistenza, che ebbe il duplice carattere di guerra di liberazione dall’invasione nazista e guerra civile tra italiani,
divisi tra sostenitori e oppositori del nazifascismo. Il 9 settembre venne fondato il Comitato di liberazione nazionale (Cln),
formato da partiti antifascisti (partito liberale repubblicano, comunista, socialista, democrazia cristiana e partito d’azione), che
aveva il compito di organizzare la resistenza contro i nazifascisti. Oltre a quello nazionale si formarono Cln locali in tutta Italia.
Le brigate portarono avanti la resistenza armata del popolo italiano contro le truppe tedesche e la guerra civile contro i fascisti, tra
cui le brigate Garibaldi (partito comunista), giustizia e libertà (partito d’azione), Matteotti (partito socialista) e del popolo
(democrazia cristiana). Spesso si verificarono però divergenze tra loro, l’episodio più grave accadde a Porzus quando un gruppo di
partigiani comunisti uccise 21 combattenti di una brigata liberale-cattolica. Badoglio il 13 ottobre dichiarò guerra alla Germania,
mentre il Cln chiedeva l’abdicazione di Vittorio Emanuele per le sue responsabilità nell’ascesa al potere del fascismo.

Il 27 settembre la popolazione di Napoli insorse e liberò la città dopo 4 giorni di insurrezione. Il 1° ottobre gli alleati entrarono a
Napoli, ma le truppe alleate furono costrette a fermarsi per alcuni mesi lungo la linea Gustav, a Cassino vicino a Frosinone.

Per la Germania, l’Italia di Salò aveva grande importanza strategica per tre motivi: era un fronte di guerra, una risorsa di
manodopera e prodotti agricoli e industriali, e permetteva di controllare il paese tramite il governo fascista di Salò.

1944: Il 22 gennaio gli alleati tentarono uno sbarco alle spalle della linea Gustav, ad Anzio nei pressi di Roma, ma furono fermati
dai reparti tedeschi, per cui le operazioni militari si bloccarono. Il 23 marzo la resistenza romana organizzò un attentato che causò
la morte di 33 tedeschi, il giorno successivo i tedeschi risposero con l’eccidio delle Fosse Ardeatine. I soldati del Cef (truppe
coloniali francesi, formate da marocchini, algerini e senegalesi) durante l’avanzata verso Roma, nella zona della Ciociaria, si
resero responsabili di stupri. Ad aprile, con la svolta di Salerno, Togliatti, il segretario del Partito Comunista, convinse il suo
partito e le forze politiche del Cln ad entrare nel governo Badoglio. Vittorio Emanuele II a questo punto trasferì i poteri al figlio
Umberto. In primavera riprese l’avanzata degli alleati, che entrarono a Roma il 4 giugno. Il 4 agosto le truppe anglo-americane
raggiunsero anche Firenze. Il 12 agosto ci fu l’eccidio nazifascista di Sant’Anna di Stazzema, mentre il 29 settembre la strage di
Marzabotto: secondo i fascisti gli abitanti offrivano aiuto alla brigata partigiana “Stella Rossa”: furono uccide 1836 persone tra
donne, vecchi e bambini. L’avanzata alleata fu nuovamente bloccata in settembre quando venne raggiunta la linea gotica, da quel
momento l’Italia restò per un altro inverno divisa in due tronconi. Quello del 1944-1945 fu senza dubbio l’inverno più lungo e
tragico, in particolare per le regioni settentrionali dove, oltre alla fame, al freddo e ai continui bombardamenti, la popolazione
dovette subire prepotenze e violenze di ogni genere. Il 7 dicembre vennero stipulati degli accordi tra il Clnai (Cln dell’alta Italia) e
gli alleati, i quali garantirono un finanziamento alla lotta partigiana ma il Clnai avrebbe riconsegnato le armi al momento della
liberazione.

1945: Gli anglo americani superarono la linea gotica e il 25 aprile le forze della Resistenza insorsero in tutte le maggiori città del
nord, liberandosi dall’oppressione nazista. Il 28 aprile, Mussolini venne catturato dai partigiani nei pressi del lago di Como, venne
fucilato e il suo corpo esposto a Piazzale Loreto a Milano.

11.5 La vittoria degli alleati.


Durante la conferenza di Teheran, Roosevelt, Churchill e Stalin decisero di aprire un fronte a ovest, mentre l’Urss sosteneva gli
alleati con una controffensiva a est. Questo fronte fu aperto il 6 giugno 1944 con lo sbarco in Normandia, che condusse poi alla
liberazione del Belgio e di quasi tutta la Francia. Nello stesso periodo sul fronte orientale l’Armata rossa giunse al confine con la
Polonia e iniziò la liberazione degli stati baltici. Gli stati satellite del Reich, Ungheria, Romania e Bulgaria firmarono l’armistizio
con i sovietici e la Iugoslavia riacquistò la libertà.
Il conflitto non era finito, ma la sua sorte era già ampiamente segnata. Roosevelt, Churchill e Stalin, con la Conferenza di Yalta
(4-11 febbraio 1945), presero importanti decisioni relative agli assetti internazionali da attuare dopo la disfatta della Germania, e
fu inoltre stabilita l’entrata in guerra dell’Unione Sovietica contro il Giappone. Dal 1945 gli Alleati ripresero i bombardamenti
sulle città tedesche, terribile fu quella di Dresda.
Il 2 maggio si concluse la battaglia di Berlino, Hitler tuttavia già il 30 aprile si era suicidato nei sotterranei della Cancelleria dei
Reich. Il 7 maggio la Germania sottoscrisse la resa incondizionata.
Dopo la resa della Germania, delle potenze del Patto tripartito resisteva ancora soltanto il Giappone, colpito però da una lunga
serie di dure sconfitte a opera degli Stati Uniti. Anche se si stava avviando verso la sconfitta, il Giappone non avrebbe mai chiesto
la resa e la guerra rischiava di prolungarsi, fu allora che il presidente Truman, succeduto a Roosevelt, decise di ricorrere
all’impiego di un’arma terrificante attraverso la quale gli Alleati avrebbero definitivamente messo in ginocchio il nemico. Il 6
agosto un aereo statunitense sganciò la bomba atomica sulla città di Hiroshima, mentre il 9 agosto su Nagasaki. Anche il
Giappone fu così costretto a firmare la resa.

C apit ol o 12: GUER R A AI C IVILI, GUER R A DEI C IVILI

12.3 La guerra dei civili.


Fra il 1941 e il 1942, quando la situazione era a favore dell’Asse, Hitler poté mettere in pratica il suo progetto di un “nuovo ordine
europeo” che rispecchiava l’ideologia nazista e la sua concezione razziale. Il “nuovo ordine” si traduceva a livello economico con
lo sfruttamento delle materie prime, dei rifornimenti alimentari e della manodopera dei paesi occupati. Infatti, man mano che gli
uomini tedeschi venivano inviati al fronte, aumentò la deportazione di forza-lavoro in Germania. La popolazione civile fu
sottoposta al razionamento dei beni di prima necessità, con la consegna di una tessera “annonaria” per ricevere le razioni di cibo,
che andò a peggiorare con il proseguire della guerra. Contemporaneamente si sviluppò il “mercato nero”, cioè
l’approvvigionamento di cibo, pagato a carissimo prezzo. Per i civili fu poi di grande sostegno l’arrivo degli aiuti americani.
Durante la Seconda guerra mondiale la popolazione stessa divenne un bersaglio (dei 55 milioni di morti oltre la metà erano civili)
dei bombardamenti aerei, che avevano lo scopo di distruggere vie di comunicazione e impianti industriali. Le città più colpite
furono le città inglesi, seguite da quelle italiane. Nei primi anni di guerra, si costituirono poi dei regimi collaborazionisti filonazisti
(o stati satellite), tra cui la Francia di Vichy, la Norvegia e per alcuni storici anche la Repubblica sociale italiana.

Molti civili entrarono poi nei movimenti della Resistenza, che assunsero connotazioni diverse nei vari paesi europei, dedicati
inizialmente a spionaggio e sabotaggio, ma che finirono presto per lottare in veri e propri scontri armati per liberare il territorio
nazionale, fornendo un significativo sostegno alle truppe alleate. La risposta nazista alle azioni dei partigiani fu estremamente
dura: venivano prelevati ostaggi, distrutte intere comunità e ordinate esecuzioni di massa. Anche in Italia i nazifascisti furono
autori di sanguinose stragi, come quelle compiute alle Fosse Ardeatine a Roma e a Marzabotto sull’Appennino bolognese. Molti
italiani residenti sul confine con a Iugoslavia dovettero anche subire la violenza dell’esercito comunista di Tito, che aveva
occupato l’Istria e la Venezia Giulia, il quale voleva liberare il territorio dagli italiani che considerava essere tutti fascisti. In
queste zone si verificarono azioni di “pulizia etnica” da parte iugoslava, con uccisioni in massa di civili, i cui corpi venivano poi
gettati nelle foibe (cavità naturali diffuse nella zona). I morti furono più di 5000, mentre migliaia finirono internati nei campi di
prigionia.

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