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lezione 2 – 08.03.2022
Aristotele sposta il focus della sua indagine su un terreno più concreto, pratico,
rispetto all'impostazione metafisica di Platone (che fa coincidere il bello con il
bello ideale). Aristotele è maggiormente attratto dalle dimensioni conoscitive
che l'esperienza estetica offre all'uomo.
queste dimensioni conoscitive le individua in primo luogo nella techne, che per
Aristotele è una dimensione fortemente teorica, che ovviamente si esplica in
un'attività pratica, ma il pensiero è tecnico. il progetto è essenzialmente questo,
un fare diretto da un'idea teorica in mente.
piacere intellettuale di Aristotele: due cose hanno dato vita all'arte poetica:
1. l'imitare (la mimesis) è connaturato agli uomini fin dall'infanzia (come la
bambina di prima). la mimesis è dentro di noi, il mondo delle immagini è un
mondo che da sempre specchia l'uomo, e in ciò l'uomo si differenzia dagli
animali.
2. tutti traggono piacere dalle imitazioni.
piacere mimetico, qua Aristotele introduce un altro tema, il fatto che noi nelle
rappresentazioni (scultura, dipinto, fotografia, film, teatro, musica, poesia) noi
reputiamo piacevoli cose che nella vita reale ci farebbero orrore.
famoso "bue macellato" di Rembrandt, 1640 circa, è un quadro, oggetto di contemplazione estetica,
abbiamo un piacere estetico nel guardarlo: ci può essere un disgusto iniziale ma lo superiamo subito
perché è una rappresentazione. noi siamo capaci di distinguere la realtà, quindi un vero bue macellato,
da questo quadro, un bue mimetico. Aristotele comprende questo meccanismo e ci introduce una
nozione di verosimiglianza (che per esempio Platone non aveva). noi abbiamo un piacere mimetico
nella rappresentazione anche quando vediamo cose che nella realtà ci disgusterebbero.
Aristotele cerca anche di definire le proprietà OGGETTIVE della bellezza, sono tre, e sono le
proprietà con le quali noi definiamo il bello classico: ordine, grandezza e proporzione. sono quelle
dimensioni mimetiche, della rappresentazione, con le quali i greci cercano di trovare un ordine nel
caos. il mondo è un grande caos, e la bellezza è la dimensione che si riorganizza formalmente, e noi
riconosciamo quest'ordine. il caos, il disordine è il brutto, e al contrario l'ordine, la simmetria, è il
bello.
ciò che è bello non può essere solo ordinato, ma deve essere anche di una
grandezza non casuale. ad esempio un animale non può essere estremamente
piccolo (non lo vedo) né grande (non riesco ad avere una visione completa).
quindi ci dev'essere ordine e una grandezza non casuale. Aristotele introduce la
"medietà", ciò che sta in mezzo, una bella persona non sarà né troppo alta né
troppo magra.
l'idea è che un'opera d'arte, una scultura, una poesia, è come un organismo: l'opera
d'arte classica è bella perché noi vi riconosciamo facilmente quelle proprietà di
dimensione, grandezza, e perché la comprendiamo: materia e forma sono in perfetto
equilibrio. l'arte contemporanea invece spezza questi equilibri. il bello artistico è questo
punto di equilibrio tra forma e contenuto che i miei sensi riescono a percepire.
criterio della medietà con cui Aristotele interpreta la bellezza, da qui la consuetudine di
dire che le cose belle non hanno nulla da togliere e nulla da aggiungere, in quanto
l'eccesso e il difetto distruggono la perfezione, la medietà la preserva.
noi abbiamo fatto la parte sinistra, cioè il criterio oggettivo della bellezza. la modernità
invece mette in crisi questo legame ed entra nel mondo della soggettività. ovviamente
nel Settecento l'oggettività non è stata scartata di punto in bianco, ma c'è stata una
conflittualità. quindi il 700 in realtà ingloba entrambe le prospettive.
questo è il tema, Hume parte dal Paradosso del gusto, che per lui è questa
constatazione semplicissima: i gusti sono diversi e variabili, ognuno di noi ha
gusti diversi e varia i propri gusti nel tempo. nelle foto, gusto che accomuna la
maggioranza, e gusto che si riconosce in una sola persona. però in realtà i gusti
non sono così differenti, nell'estetica le cose che ci accomunano sono di più
rispetto a quelle che ci dividono, i motivi sono tanti: stessa epoca, stessa civiltà,
ecc, poi all'interno di questa condivisione è ovvio che ci sono delle variazioni.
Hume allora dice che il bello soggettivo è il punto di partenza, ognuno di noi
esprime il suo gusto estetico, ha la libertà di farlo, questo però non significa che il
suo gusto sia "corretto". Hume introduce questo tema, cioè che il gusto di alcune
persone è più corretto di altre. tutti i gusti sono giusti (la bellezza soggettiva è la
testimonianza di questa libertà), ma non tutti sono corretti.
uno può dire che preferisce il disegno del bambino ai tagli di Lucio Fontana, ma un
senso comune si oppone, gli altri diranno "sì lo puoi dire, ma qualche problema
fattelo, perché Lucio Fontana è nei musei"
non bisogna indagare la natura del bello, come facevano i greci (indagando il
bello scoprivano le proprietà oggettive), ma indagare l'uomo, la soggettività. lui
la chiama "la fabbrica interiore", cioè come l'uomo percepisce la bellezza, ciò
che reputa bello. ciò che interessa a Hume non è giungere ad una
incondizionata universalità del bello, perché è impossibile. il punto decisivo è
affinare il gusto: la delicacy, la squisitezza del gusto. qui c'è un elemento
pratico: gli oggetti di design hanno sempre una dimensione estetica; quindi,
ognuno di noi deve essere un soggetto dotato di gusto. affinare il gusto, ci
stiamo avvicinando al punto in cui il gusto di alcuni è più corretto del gusto di
altri. per introdurre questa "gerarchia", all'interno di una libertà, Hume racconta
una storia che riprende dal Don Chisciotte.
Cervantes fa parlare Sancio Panza, che racconta un episodio accaduto a due suoi parenti, conosciuti per essere due grandi
degustatori di vino, dei grandi esperti del gusto di vino. viene detto loro di esprimere un giudizio sul vino contenuto in una botte,
loro bevono (uno assaggia, l'altro odora) e uno riscontra un sapore metallico, l'altro un sapore di corda. entrambi riscontrano un
retrogusto, esprimono questo giudizio e la maggioranza delle persone si mettono a ridere (la risata è un giudizio estetico che
condanna). viene svuotata la botte e sul fondo viene trovata una chiave di metallo con una corda; quindi, le uniche due persone
che avevano percepito questo sapore strano erano loro due, le persone dotate di delicatezza, questa componente percettiva che
non tutti hanno.
Hume elenca i requisiti per avere un requisito di gusto competente:
i primi due riguardano la nostra condizione naturale, cioè sono condizioni con
le quali noi nasciamo:
1. natura sana: corretto funzionamento degli organi di senso, se sono daltonico
difficilmente potrò fare un critico d'arte
2. natura dotata: possedere delicacy, delicatezza, ognuno di noi ha un dono
(grande memoria, chi sa disegnare, ecc).
tuttavia questa dimensione di dono naturale può essere potenziata se ce
l'abbiamo, oppure può essere ottenuta se non ce l'abbiamo, attraverso la pratica.
lo studio, l'applicazione, il confronto, l'esperienza.
3. natura educata: affinare i sensi con la pratica,
4. assenza di pregiudizio nella valutazione estetica, non posso giudicare
qualcosa che non è della mia cultura, con i valori della mia cultura.
5. buon senso: intervento della ragione.
l'assenza di queste condizioni è sinonimo di cattivo gusto, il non rispettare i requisiti è il cattivo gusto, quindi l'incompetenza di
giudicare il bello. il gusto alla fine è la capacità che noi abbiamo di afferrare, percepire e quindi apprezzare, le dimensioni di
qualità che sono dentro la realtà. per farlo dobbiamo quindi avere una competenza. oltre a elencarli, ci dice che c'è una figura che
detiene questi requisiti: il critico. colui che è legittimato ad avere un giudizio più corretto rispetto a quello degli altri, è l'uomo di
buon gusto.
la regola del gusto è l'accordo, ciò che nasce da un dibattito, confronto, è il
risultato di una discussione fatta da coloro che se ne intendono. questa è la
frase di Hume: la regola del gusto non è una proprietà oggettiva ma è il
risultato di un confronto, i critici essendo più esperti di noi ci indicano i giusti
percorsi del nostro giudizio, sono delle guide. alla fine, tu puoi avere un tuo
giudizio però devi anche affidarti al giudizio di chi ne sa più di te.
Dorfles, nel 1970 "Le oscillazioni del gusto", riprende l'idea di Hume e scrive: la novelty è la novità, la dimensione di appeal che
richiama la mia curiosità, che non mi annoia, è ciò che mi cattura nella mia esperienza estetica. però questa novità deve essere
integrata da una dimensione di leggibilità, altrimenti vado nell'incomprensibile, e la facility è esattamente questa dimensione.
senza novità non c'è interesse, d'altro canto, senza facility, di conoscenza pregressa, di facilità nel comprendere, non c'è ...?
questa mediazione, equilibrio tra novità e comprensibilità.
quindi abbiamo da una parte Hume e dall'altra Winckelmann, in entrambe le posizioni
c'è un'insufficienza: Winckelmann scrive delle regole, il bello ideale, ma è ovvio che
questo bello ideale non avrà mai l'adesione di tutti; Hume non ci dà delle regole ma ci
dà la soggettività, ma c'è la difficoltà nell'accordare i gusti di tutti. Kant, grande
filosofo che chiude il Settecento, cerca di definire meglio queste due dimensioni: non
l'oggettività e la soggettività, ma la dimensione della intersoggettività.
Critica della facoltà di giudizio, 1790, grande opera di Kant, il modo in cui Kant
descrive il gusto: il gusto è la facoltà di giudicare il bello.
Kant capisce una cosa che gli altri non avevano capito. comprende che ci sono due
modalità di giudizio, attraverso cui noi ci orientiamo nella nostra vita, e giudichiamo
la realtà: un giudizio DETERMINANTE e un giudizio RIFLETTENTE.
qual è la scarpa gialla? la prima a sinistra, non c'è nessuna difficoltà nell'individuarla.
qual è la scarpa bella? ognuno di noi risponde come vuole. lo stesso oggetto, la scarpa,
viene attraversata da due domande diverse.
la prima domanda è il giudizio determinante, è dato l'universale (il concetto) che io
applico al particolare. prendo il giallo e lo applico al particolare, alla scarpa, ma lo
posso applicare a qualsiasi cosa (parola gialla, macchina gialla). questo giudizio, in cui
io ho l'universale, è il modello del giudizio conoscitivo o scientifico, tant'è vero che se
dicessi che la prima scarpa è verde, voi mi smentite. il giudizio determinante serve alla
scienza per conoscere la realtà.
poiché nel giudicare il bello non conta l'oggetto, ma conta il mio sentimento (giudizio riflettente), il mio sentimento di piacere e
dispiacere devono essere analizzate le modalità con cui un giudizio è esteticamente corretto.
Kant definisce 4 momenti in cui il giudizio estetico va analizzato.
1. il primo requisito, la prima modalità è il DISINTERESSE: il giudizio di gusto
deve essere disinteressato. esempio della vetrina della pasticceria, se non mangio da
due giorni, quando vedo questa vetrina i miei sensi (la fame) sono interessati, se dico
"che bella quella pasticceria" quel bello non è estetico, è interessato all'esistenza di
quei dolci perché io li voglio mangiare. se invece passo davanti a quella vetrina
quando sono sazio, non ho alcun interesse al consumo di quell'oggetto allora
esprimo un giudizio estetico, cioè il mio giudizio non è determinato dai sensi.
l'interesse crea il piacere, ciò che piace nella sensazione, e questo per Kant non
è un giudizio estetico puro. come non lo è un giudizio diretto dalla ragione o
dall'utilità. il piacevole è ciò che piace nei sensi.
il buono è ciò che piace attraverso un concetto morale o la sua utilità, se io dico
"questo martello è bello perché funziona bene", non è un criterio estetico ma un
criterio di utilità. Kant cerca di sganciare l'estetica sia dalla dimensione del
piacere dei sensi, sia dalla dimensione morale o utilitaristica (pratica).
Bello è ciò che piace, disinteressatamente attraverso la semplice
contemplazione. il mio giudizio estetico non è determinato da un interesse, un
eterosessuale può giudicare bello o no anche una persona del suo stesso sesso,
perché non implica un interesse. il bello non è ciò che desidero, ma ciò che
contemplo in maniera disinteressata.
facciamo un esempio: bottiglietta della coca cola e Andy Wharol che
rappresenta la coca cola. quando è stato chiesto a Wharol perché abbia fatto
proprio quella bottiglietta, lui non ha risposto "perché avevo sete" (sensi), ma
ha detto "perché mi piaceva la forma di questa bottiglietta", un disinteresse
estetico.
2. è bello ciò che piace, universalmente senza concetto. tre persone che giudicano altre tre persone: Andrea dice che Roberta è
bella, Alessio dice che Robertina è bella, .. la parte universale di queste frasi è
quella sottolineata, cioè "dice" e "bella". Kant dice che tutti esprimiamo giudizi
estetici, quello che cambia è la parte soggettiva, la nostra individualità e l'altro
oggetto. in questa universalità non conta il soggetto e l'oggetto, l'universalità si
dà al processo. è una dimensione soggettiva che aspira a una universalità. è una
soggettività che si apre al giudizio degli altri.
3 esempi: io posto una foto e c'è un like, il consenso degli altri. nel mio
giudizio estetico io mi aspetto la condivisione degli altri. c'è una dimensione di
universalità anche nella soggettività. "che senso ha questa bellezza se non è
condivisa con gli altri?" un mio giudizio puro aspira alla condivisione con gli
altri.
3. finalità senza scopo: la bellezza è la forma della finalità di un oggetto, in
quanto questa vi è percepita senza la rappresentazione di uno scopo. esempio
più tipico di una finalità senza scopo, nel momento in cui un oggetto, un'opera
d'arte, non ha una finalità pratica, lì si dà questa finalità senza scopo. per
spiegarlo meglio Kant introduce due concetti di bellezza:
- bellezza libera: bellezza che non ha scopo al di fuori di sè stessa.
- bellezza aderente: bellezza che implica uno scopo. ammette che c'è un
giudizio estetico impuro, che riconosce una bellezza con degli scopi. Aderisce
a un concetto universale.
dimensioni in cui il bello è libero, non c'è nessun’altra implicazione, c'è una
spontaneità.
bambina dei contest americani, il problema è che il nostro concetto di bellezza infantile non
implica che una bambina sia truccata o vestita così. chiesa, nell'idea che noi abbiamo di
queste architetture non viene inclusa. la bellezza aderente entra in gioco nel design, perché
l'oggetto ha sempre la dimensione pratica, della funzione, e non solo della contemplazione. la
bellezza aderente è la dimensione nella quale il nostro giudizio estetico viene gravato da
implicazioni extra-estetiche (quando cerco casa guardo la zona, i vicini, ecc).
ci sono tre metodi con cui noi interroghiamo la bella arte, il bello artistico.
1. empirico: si osservano le singole opere d'arte, si parte dal particolare per
capire l'universale (non è questa, la esclude).
2. ideale: platonico, io ho l'universale e lo calo nel particolare. (non è neanche
questo)
3. dialettico: Hegel dice che bisogna tenere conto di questi aspetti facendoli
dialogare, mettendoli in una dimensione dialettica, unificare queste due
prospettive.
"il metodo empirico vede l'albero, il metodo ideale vede la foresta, noi
dobbiamo essere capaci di vedere tutti e due", questa capacità è quello che si
prefigge una vera filosofia dell'arte.