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PARODO

CORO
Dalla terra d’Asia
lasciato il sacro Tmolo qui corro
per cantare col grido dell’euoè
a Strepito il dolce travaglio
fatica che non affatica,
canto Bacco.
Chi è, chi è sulla strada?
Chi in casa? Si faccia da parte!
Ognuno purifichi la sua bocca, che rimanga in silenzio2 .
Io canterò i rituali3
inni a Dionìso.

O beato quello che, felice, conosce


i riti degli dèi e casta vita segue,
fonde nel tìaso l’anima sua4
folleggiando ebbro sui monti, puri riti lustrali5.
Egli segue le orge della grande Madre Cibele.
Alto scuote il tirso

2 Traduce il greco εὔφηµον στόµα: l’aggettivo, che diede poi origine al verbo
εὐφηµέω indica l’atto rituale di tacere o di pronunciare ‘buone parole’ (questo il
senso letterale), ovvero ‘di buon auspicio’; ho optato per questa traduzione sotto la
reminiscenza dell’oraziano favete linguis (Odi III 1, 2)
3 Rituali nel senso sia di ‘religiosi’ che ‘tradizionali’ (cfr. gr. νενοµισµένα).
4 gr. θιασεύεται ψυχάν, cfr. Introduzione ix; la religione dionisiaca presenta come
effetto la fusione della coscienza individuale in quella collettiva, producendo una
sorta di spersonalizzazione del singolo. Per la concezione della ψυχή nell’Atene del
V a.C. e per il suo significato di “io emotivo” si veda Dodds The Greeks and the
Irrational p. 186-7
5 Nota Varrone che Liberi patris sacra ad purgationem animae pertinebant [i riti di
Libero padre avevano come scopo la purificazione dell’anima], Serv. ad Verg. Georg.
1.166

21
le tempie cinte d’edera6,
servo di Dionìso.

Avanti, avanti Baccanti


portate giù7 Dionìso, lui ch’è Strepito
dio, figlio di un dio,
dalle creste di Frigia verso
gli ampi sentieri di Grecia
portate giù Dionìso, lui ch’è Strepito.

La madre un tempo lo generò


tra gli stringenti dolori del parto,
saettante8 la folgore di Zeus:
la madre lo partorì dal ventre, lo espose,
il colpo del fulmine le strappò la vita.
Subito Zeus, figlio di Crono, lo accolse
prendendolo dal letto natale

6 Irrinunciabile attributo di Dioniso, di cui egli stesso è cinto assieme alle sue adepte.
Ovunque fosse, l’edera testimoniava la presenza del dio, cui era legata
simbolicamente per la sua vitalità, che manteneva anche nei rigori dell’inverno. Se si
considera l’edera come sorta di ipòstasi del dio, l’abitudine testimoniata da Plutarco
(Q. Rom. 291a) di afferrare l’edera per poi dilaniarla e masticarla costituisce un
interessante parallelo con la pratica dell’eucarestia.
7 Traduzione letterale del κατάγουσαι greco: tale verbo, tuttavia, è connesso con il
rituale dei καταγώγια (celebrate prima in Ionia e poi in Atene), durante le quali si
faceva ‘rientrare’ Dioniso: un rito che con ogni probabilità serba il ricordo della
resistenza opposta dalle comunità cittadine alla religione bacchica.
8 Si perdoni la tautologia, che tende però ad accomunare le due aree semantiche del
‘volo’ e del ‘fulmine’ (cfr. il greco πταµένας, participio aoristo III da πέτοµαι) che
s’incontrano nella rapidità dell’aggettivo ‘saettante’.

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lo nascose ad Era nella coscia9
che puntellò con fibbie dorate.
Lo partorì poi, dio dalle corna di toro,
quando il Destino volse a compimento.
Con serti di serpi10 lo cinse:
per questo le Mènadi si avvolgono le ricce chiome
di questa caccia primordiale.

Tebe, tu che hai allevato Sèmele


corònati con l’edera!
Sii pregna11 del verde smilace dai bei frutti
folleggia coi rami di quercia, coi rami d’abete.
Vèstiti della maculata pelle dei cerbiatti
adornala con bianchi fiocchi.
A te il sacro accento degli altèri12 bastoni.
Presto la terra tutta avrà moto di danza.
9 Viene qui raccontato il celebre mito che vede Dioniso, nato troppo prematuro,
compiere il rimanente tempo della gestazione nella divina coscia di Zeus. Come
acutamente nota Dodds (Euripides Bacchae, p. 78) il mitema ha antiche radici
indoeuropee: una delle più antiche upanishad, la Taittirîya, racconta di come Soma,
un dio vedico, sia stato preso dalle altre divinità e posto nella coscia destra del dio
supremo celeste Indra. Sembra dunque che la storia risieda nell’antico serbatoio
mitico indoeuropeo (nessuna novità: si pensi ai gemelli Ashvin nella mitologia
vedica, comunemente assimilati ai Dioscuri greci).
10L’allitterazione qui è giustificata per la volontà di rendere la figura etimologica ai
vv. 101-2 στεφάνωσεν...στεφάνοις, non senza ammiccare all’iterazione della sibilante
presente nell’originale greco.
11 cfr. gr. βρύετε βρύετε (scil. Θῆβαι), letteralmente ‘riempiti, riempiti’, come pure
Dodds (op. cit., 80); egli sembra tuttavia omettere il possibile significato di puerperio
che tale verbo veicola. E’ sembrato dunque opportuno realizzare un ponte semantico
tra il summenzionato concepimento da parte di Sèmele e il l’invito rivolto a Tebe di
ornarsi di edera (cfr. il lemma greco ἔµβρυον ‘feto’, glossato da Eustazio come τὸ
ἐντὸς τῆς γαστρὸς βρύον [ciò che abbonda nel ventre] ad Od.l.c).
12I tirsi sono definiti ὑβριστάς, aggettivo estremamente ambiguo, trattandosi di una
vox media. Nella traduzione di questa parola non possiamo non scorgere una nota di
spavalda fierezza, indissolubilmente unita alla violenza di cui sono capaci le adepte
del culto dionisiaco (cfr. l’esclamazione di Pènteo al v. 779 ὑφάπτεται/ ὕβρισµα
βακχῶν [divampa la violenza delle Baccanti]).

23
Quando13 Strepito condurrà i corteggi
al monte, al monte14, dove la folla femminea
attende, cacciata dal telaio, dalle spole
eccitata da Dionìso.

O recesso15 dei Cureti, o lande


di Creta, che portaste alla luce Zeus,
grotte dove i Coribanti per me
inventarono il cerchio di pelle tesa16.
Nel folle delirio bacchico
lo unirono al soffio dei soavi flauti di Frigia
e nelle mani della madre Rea lo posero,
per folleggiare al grido denso di strepito17.
I Satiri, ebbri, pazzi
lo ottennero dalla Dea Madre
lo introdussero nelle danze dei tre anni,
gioia di Dionìso.

13Diversamente da Dodds (p.7), che legge ὅστις ἄγῃ θιάσους sulla scorta di L2 (sed
sensus videtur esse Bacchus fit quicumque ducit thiasos’, in realtà poco convincente),
mentre Di Benedetto si attiene alla congettura di Elmsley (che pure Dodds loda, vd.
p. 83) εὖτ’ ἄν, lezione che rende l’andamento della frase meno spezzato e più
armonioso, eliminando la scomoda parentetica che in caso si verrebbe a creare
(Dodds p. 83 the parentetic statement is very abrupt); in definitiva, per acclarare la
bontà della nostra accoglienza della congettura di Elmsley, riportiamo le parole di
Murray citate da Dodds he no longer thought ὅστις right.
14 Anadiplosi con significato rituale; si fa menzione della pratica storicamente
attestata dell’ὀρειβασία vd. Introduzione x;
15 θαλάµευµα, variante poetica per θαλάµη ‘camera segreta’, propriamente un
anfratto appartato dove avveniva la celebrazione di riti in onore della Grande Madre
Frigia.
16 Il τύµπανον [timpano]: percussione che accompagnava gli ossessivi riti bacchici
17 Letteralmente ‘frastuono per i gridi delle Baccanti’; abbiamo deciso di conferire a
κτύπον un connotato sonoro umano, quasi a voler omologare il rimbombare dei
timpani con la voce estatica delle baccanti.

24
Vibrante piacere18 è sui monti
quando si cade a terra19 , finite le folli
corse, vestiti della sacra pelle di cerbiatto
cacciando il sangue del capro ucciso, primitiva20 gioia;
l’anima21 spinge verso i monti di Frigia di Lidia
Strepito apre il corteo.

EUOÈ22

Fiumi di latte inondano il suolo


fiumi di vino
fiumi di miele
Bacco tiene alto il bastone
di pino con scintilla fiammeggiante, come
fumo di incenso siriaco,
balza con impeto di corsa
eccita alla danza chi vaga,
fa tremare col grido
scaglia la deliziosa chioma al vento.
In mezzo alle grida gioiose delle Baccanti questo dice fremendo:
«Avanti, Baccanti
Avanti, Baccanti

18 Seguo, con Di Benedetto, la congettura di Dobree ἡδύ γ’ (al posto del tràdito ἡδύς
ἐν che Dodds interpreta come dulcis est ille); alla base delle divergenze (di natura
metrica) che hanno portato a differenti lezioni di questo verso si veda Introduzione
viii
19 Per Dodds (Bacchae p. 87) si tratta del momento in cui il dio entra nel corpo
dell’iniziato.
20 Letteralmente ὠµοφάγον, ‘crudo’, riferito alla χάριν provata nel mangiare carne
cruda, in chiara ipallage. La scelta di ‘primitiva’ come traduzione inerisce
essenzialmente a ribadire il carattere ancestrale e remoto dei riti bacchici, che
affondano le proprie origini in una dimensione preurbana.
21 Il testo greco presenta il solo participio ‘ἱέµενος’, stante a indicare il partecipante al
rito (il soggetto di πέσῃ al v. 137). E’ stato usato ‘l’anima’ per replicare la forma
impersonale già sopra utilizzata.
22 Grido tradizionale delle Baccanti.

25
orgoglio23 dello Tmolo dalla corrente d’oro
cantate Dionìso:
cupo il rimbombare dei timpani
osannate con euoè il dio dell’euoè
gridate con urla e accenti frigi
quando il flauto dal dolce soffio
sacro sacri inni freme
tutt’uno col delirante correre
al monte, al monte»24 .
Come una puledra, che gode colla madre,
spinge lo zoccolo alla pastura, rapida s’impenna la zampa,
così la Baccante.

23 Dodds legge χλιδᾷ ‘col bagliore d’oro’, in riferimento alla particolare ricchezza
aurea di cui proverbialmente lo Tmolo era fornito (cfr. Hdt V, 101). Un dativo
strumentale del genere comporta tuttavia problemi esegetici di non poco conto
(alcuni studiosi sono arrivati a postulare l’utilizzo, da parte delle Baccanti, di
strumenti rituali dorati); il Wilamowitz propone χλιδά al vocativo, soluzione che
sembra poziore, che si tradurrebbe come ‘orgoglio’ senza nondimeno ammiccare alle
riserve auree dello Tmolo.
24Segniamo qui la fine del discorso sulla base dell’osservazione di Dodds (op. cit.
89) che si stupisce della proposta del Wilamowitz di attribuire a Dioniso il discorso
dei soli versi 152-3.

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