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Scomparsa dei cori angelici e accresciuta bellezza di Beatrice. Ascesa al X Cielo (Empireo): il fiume di luce e
la candida rosa dei beati. Il seggio di Arrigo VII di Lussemburgo.
È la notte di giovedì 14 aprile (o 31 marzo) del 1300.
Quando sulla Terra è l'alba e a circa seimila miglia di distanza arde il sole di mezzogiorno, le stelle in cielo
cominciano a farsi meno lucenti, man mano che procede l'aurora, fino a che scompare anche la stella più
luminosa per il sopraggiungere del giorno. In maniera simile i cerchi luminosi (i cori angelici) iniziano a
diventare meno visibili agli occhi di Dante, finché il poeta non vede più nulla e torna a fissare gli occhi
di Beatrice: la bellezza della donna è tal punto aumentata che tutte le parole di lode rivolte a lei finora
sarebbero insufficienti a rappresentarla e il suo aspetto è così sovrumano che solo Dio può goderlo
pienamente. Dante confessa la sua incapacità poetica a raffigurare una tale bellezza, giacché il solo
ricordarla indebolisce la sua mente come la luce del sole offusca una vista debole. Egli ha descritto le
bellezze di Beatrice dal giorno del loro primo incontro fino a questa visione, senza interruzioni, ma ora è
costretto a rinunciare per la sua inadeguatezza di scrittore, come un artista che che è giunto al limite
estremo delle sue possibilità.
Così splendida e bella quale Dante non è in grado di descriverla, Beatrice informa il poeta che hanno
lasciato il Primo Mobile e sono saliti all'Empireo, il Cielo che è pura luce piena di intelletto, di amore, di
bene e di gioia, dove Dante vedrà il trionfo degli angeli e dei beati, questi ultimi col loro corpo mortale di
cui si riapproprieranno il Giorno del Giudizio. Dante è subito avvolto da una luce vivissima, che sulle prime
gli impedisce di vedere alcunché, proprio come gli occhi quando sono colpiti da un lampo improvviso:
Beatrice gli spiega che l'Empireo accoglie sempre in tal modo l'anima che vi ascende, per disporla alla
visione di Dio.
Dante si affretta a fissare lo sguardo nel fiume di luce, proprio come un neonato che si sveglia più tardi del
solito e si getta verso il latte: gli occhi di Dante assaporano quella visione e d'improvviso il fiume gli sembra
essere diventato di forma circolare, simile a un lago, mentre in seguito i fiori e le faville si trasformano,
come persone che gettano la maschera indossata fino a quel momento, cosicché Dante può vedere
entrambe le corti celesti, quella degli angeli e quella dei beati. Dante invoca la luce divina affinché gli dia
modo di rappresentare al meglio l'alto trionfo del Paradiso che si offrì alla sua visione: egli ha visto la luce di
Dio, che rende il Creatore visibile alle creature ammesse nell'Empireo, e che ha forma circolare e
dimensioni tanto estese che l'ampiezza del Cielo del Sole sarebbe di gran lunga inferiore. La luce di questa
rosa celeste si riflette sulla superficie concava del Primo Mobile, che da essa trae il proprio movimento e la
virtù che riverbera sugli altri Cieli, e così come un colle fiorito si specchia nell'acqua di un lago sottostante,
allo stesso modo Dante vede le anime dei beati che si specchiano nella luce della rosa, disposte in più di
mille gradini. Il più basso di questi emana una luce grandissima, quindi il lettore può capire quanto sia
estesa la rosa nei gradini superiori: tuttavia lo sguardo di Dante non vi si smarrisce, in quanto nella rosa dei
beati la maggiore o minore distanza non toglie e non dona nulla alla visione, dal momento che le leggi
naturali lì non hanno alcun valore.
Beatrice conduce Dante al centro di quella rosa celeste, che si estende per gradi ed emana un profumo di
lode al sole (Dio) che non conosce mai inverno, mentre il poeta tace pur volendo porre domande: la donna
spiega che quello è il concilio dei beati, la Gerusalemme celeste che si estende in tutta la sua ampiezza e
nella quale i seggi sono già quasi tutti occupati, in quanto ben pochi mortali sono ormai destinati al Cielo.
Beatrice indica a Dante un seggio su cui è posta una corona e gli spiega che su di esso siederà, prima della
morte del poeta stesso, l'anima di Arrigo VII di Lussemburgo, che sarà imperatore e verrà a raddrizzare
l'Italia quando questa non sarà ancora pronta a riceverlo. La folle cupidigia ha reso gli uomini simili al
lattante che muore di fame, e tuttavia caccia via la nutrice: al tempo di Arrigo sarà a capo della Chiesa un
papa (Clemente V) che si comporterà con l'imperatore in modo ambiguo, causandone indirettamente la
sconfitta. Tuttavia Dio non sopporterà che tale pontefice resti a lungo in carica, poiché egli sarà presto
sprofondato nella stessa buca delle Malebolge dove già si trova Simon mago e dove spingerà verso il fondo
papa Bonifacio VIII.