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Diritto in Movimento

Verso un Nuovo Diritto Comune

Michael Blecher

“Tutto è possibile, e niente posso cambiare” (N. Luhmann)


“Anche le impossibilità sono limitate” (R. Wiethölter)
“Non hai nessuna chance, allora usala (H. Achternbusch)

I. Giustizia ‘Negativa’?

Già Niccolò Machiavelli aveva sottolineato la capacità performativa delle teorie: 1 lottare per
la costruzione di teorie sociali idonee significa battersi per una pratica sociale idonea; costruire
teorie politiche, economiche o giuridiche idonee significa battersi per una pratica politica,
economica o giuridica idonea. Questa battaglia è “poietica non-sistemica”2, cioè non risponde alla
differenziazione funzionale, ma i suoi risultati strutturali devono essere capaci di ‘inserirsi’ nel
contesto in questione e di affrontare i rispettivi problemi.
Condivido la visione di Antonio Negri 3 che la transizione verso un mondo al di la del
modernismo si sia conclusa. Né il post-modernismo o iper-modernismo, né i concetti neo-kantiani
(inter-soggettivi) sono capaci di captare il contemporaneo: un ordine sociale radicalmente
frammentato alla continua ricerca del suo nuovo ‘comune’ oltre la distinzione classica tra sfera
privata e pubblica; governamentalià come la sua forma manageriale psico-sociale, e le (nuove)
forme di eccesso/ resistenza contro di essa.
La sfida maggiore del concetto emancipatore del diritto e della giustizia sociale viene oggi
dalla teoria avanzata dei sistemi. Gunther Teubner riformula la teoria dei sistemi funzionalmente
differenziati di Niklas Luhmann e l’interpreta come una rete di costellazioni tra regimi economici,
politici, legali, scientifici, religiosi ecc. Il conflitto tra queste razionalità non può essere regolata né
dalla politica né dal diritto sotto l’aspetto di un’unità integrativa. Il diritto appare come uno dei tanti
meccanismi di risolvere questi conflitti, cioè si trova accanto i meccanismi che l’economia, la
politica, la scienza, la religione ecc. installano autonomamente. Il diritto appare nel migliore dei casi
come “civilizzatore di sistemi sociali” in quanto le formazioni giuridiche cercano di limitare le

Il testo è stato pubblicato in: M. Blecher, G. Bronzini, R. Ciccarelli, G. Hendry, C. Joerges, a cura di, Governance,
Società Civile e Movimenti Sociali, (Roma, EDIESSE, 2009), p. 257 e ss. L’autore lavora come Senior Legal Counsel
e Team Leader nei progetti della cooperazione legale internazionale e partecipa a delle iniziative di ricerca su
governance, società civile e movimenti sociali. E-mail: <blechermichael@yahoo.com>
1
Vedi sull’importanza di Macchiavelli per questa ‘New Age’ al di la del moderno, F.d. Lucchese Tumulti e Indignatio,
Conflitto, Diritto e Moltitudine in Macchiavelli e Spinoza (Milan, Edizioni Ghibli, 2004), p. 141.
2
Vedi R. Wiethölter, Justifications of a Law of Society, in: O. Perez, G. Teubner, a cura di, On Paradoxes and
Inconsistencies in Law (Oxford, Hart, 2006), p. 65 e ss.
3
Cfr. A. Negri, Filosofia del diritto contro sovranità: nuovi eccessi, vecchie frammentazioni, in questo volume.

1
tendenze auto-distruttive delle varie razionalità sociali. 4 “I diritti umani in particolare non sono
solamente dei diritti che proteggono gli individui giuridicamente contro il potere dello stato come di
solito li vedono i giuristi. Hanno una funzione molto più ampia in quanto sono delle vere istituzioni
sociali antitetiche che sono emerse di seguito a lunghi conflitti per ristringere l’inesorabile
espansione dei sotto-sistemi funzionali dal loro interno”5 Per quanto riguarda la protezione degli
individui,

“la giustizia dei diritti umani può essere formulata, tutt’al più, per via negativa. Essa mira
all’eliminazione delle ingiustizie, non alla perfezione di un mondo giusto. Essa è un principio
semplicemente antitetico (Gegenprinzip) alla violazione comunicativa di corpo e anima, dunque
protesta contro le disumanità della comunicazione, senza che mai si possano positivamente elencare
le condizioni per una comunicazione che renda finalmente giustizia all’ uomo. Qui non possono
soccorrerci nemmeno i programmi emancipativi della modernità. Nessun ragguaglio ci viene offerto
dai criteri della partecipazione democratica ai processi sociali da parte degli individui, giacché sono
soltanto le persone quelle che partecipano, non i “corpi-coscienza”. In questa prospettiva, diventa
semplicemente stupefacente la ingenuità di ogni “romanticismo della partecipazione”. Le procedure
democratiche non rappresentano affatto un “indicatore” con cui misurare la giustizia di una società
nei confronti degli uomini. E altrettanto poco “informative” risultano essere quelle teorie
universalizzanti che procedono in maniera trascendentale a definire la generalizzabilità (cioè le
proprietà a priori) dell’espressione dei bisogni. Che cosa hanno a che vedere queste astrazioni
filosofiche con i singoli individui concreti? La stessa obiezione possiamo rivolgere, “mutatis
mutandis”, alle teorie economiche che studiano il formarsi delle preferenze a partire dalle
aggregazioni degli individui operate dal mercato. Solo le auto-osservazioni dei “corpi-coscienza” –
dunque introspezione, sofferenza mentale e dolore fisico – possono stabilire quando la
comunicazione ferisca i diritti dell’uomo. Solo se tali auto-osservazioni riescono a penetrare (benché
in forme sempre travisate) all’interno della comunicazione, può sussistere una chance di arginare tale
comunicazione a partire dai diritti dell’uomo. Decisivo allora diventa il “momento”, ossia la
coincidenza (la simultaneità) di coscienza e comunicazione: il grido che esprime dolore. Di qui si
spiega, per un verso, la vicinanza della giustizia alle forme spontanee di indignazione, disordine e
protesta, e, per l’altro verso, la sua lontananza dai discorsi filosofici, politici e giuridici.” 6

Teubner riconosce allora la ‘libertà’ degli umani e dei loro movimenti sociali di essere dei
comunicatori/ attori indipendenti importanti lanciati contro le esternalizzazioni distruttive della
“matrice comunicativa anonima”: essi ‘trasportano’ la sofferenza e il dolore individuali nel sistema
di comunicazione attraverso l’espressione di “indignazione, disordine e protesta.” Questa libertà
ricorda però il concetto marxiano dell’ ‘accumulazione originaria’: i lavoratori perdevano i loro
legami feudali, ma anche i loro mezzi di produzione. Similmente, la teoria dei sistemi attribuisce
oggi agli umani (o alle ‘menti incorporati’) un’esistenza al di fuori dalle costruzioni e costrizioni
sociali. Sembra però che questi umani siano anche stati ‘liberati’ dalla rivendicazione e dalla
promessa del soggetto borghese di creare e migliorare in continuazione il loro stesso divenire e
avvenire sociale. Istituzioni anonime hanno sviluppato una loro propria dinamica comunicativa e un

4
Cfr. G. Teubner, Costituzionalismo societario: alternative alla teoria costituzionale stato-centrica, in Id., La cultura
del diritto nell’epoca della globalizzazione. L'emergere delle costituzioni civili, Armando, Roma 2005; A. Fischer-
Lescano, G. Teubner, Regime Collisions: The Vain Search for Legal Unity in the Fragmentation of Global Law,
Michigan Journal of International Law 25, 2004, pp. 999 e ss.
5
Cfr. G. Teubner, Giustizia nell'era del capitalismo globale?, in questo volume, p.
6
Vedi id., La matrice anonima. Quando “privati” attori transnazionali violano i diritti dell’uomo, in: Rivista Critica
del Diritto Privato, Marzo 2006, pp. 36 e s.

2
proprio ciclo riproduttivo e includono gli umani come ‘persone’ o ‘artefatti semantici’ “assorbendo
le loro energie mentali e fisiche per la propria auto-preservazione.” 7 In cambio questi regimi o
istituzioni sono condizionati dalle capacità vitali umane ma sono sempre capaci di (trans)formare
quest’ultime rispetto ai bisogni istituzionali, con effetti gloriosi o disastrosi per gli umani.
Non voglio discutere qui se una tale liberazione/ espulsione degli umani dalla ‘loro’ società
sia accettabile o non. Ha comunque ragione Teubner quando svela dei “contatti secreti tra teorie
ufficialmente ostili tra loro”8 che si occupano delle relazioni asimmetriche nella ‘matrice’. Oltre la
teoria dei sistemi le teorie in questione sono: l’analisi di Michel Foucault su bio-potere,
soggettivazione, e governamentalità; la ricerca di Judith Butler sul condizionamento sociale delle
differenze gender; la critica dell’esclusione sociale da parte di Giorgio Agamben; il
condizionamento della ‘moltitudine’ da parte del ‘impero’ nell’opera di Michael Hardt e Antonio
Negri; la teoria dei discorsi chiusi di Jean-Francois Lyotard; la descrizione delle strutture ‘molari’
macchiniche di Gilles Deleuze e Felix Guattari; la teoria habermasiana dei sistemi che minacciano i
mondi-vita comunicativi.9 Questi concetti si occupano di un fenomeno psico-sociale che, nella
tradizione di Karl Marx e della Scuola di Francoforte 10, fu chiamato ‘sussunzione reale degli umani
alle strutture capitaliste anonime’, con i tratti particolari dell’ ‘alienazione’ (Entfremdung) e della
‘reificazione’ (Verdinglichung).11 Mentre però questa tradizione aveva grande difficoltà di definire
un individuo ‘autentico’ e una pratica sociale oltre la ‘dialettica negativa’ 12, le teorie più recenti
riconoscono la possibilità per il bios o la potentia degli esseri umani di provocare dei cambiamenti
istituzionali. Esistono senz’altro grandi differenze tra queste teorie rispetto alla dimensione
realizzabile di questa potenza e al ruolo che il diritto dovrebbe giocare in questo processo. Ma
concordano sul fatto che, diventando ‘movimenti sociali’, le interazioni tra esseri umani singolari
(‘moltitudini’) possono riemergere come forza costituente della loro storia sociale, a dispetto di tutte
le previsioni.
La prima domanda è allora come si può al giorno d’oggi indirizzare o addirittura costringere
quegli anonimi regimi sociali globali e le loro reti a riconoscere e riflettere il più possibile il loro
‘ambiente,’ cioè le condizioni degli altri sotto-sistemi sociali, degli umani e degli ambienti naturali,
in altre parole, di bios e zoe13. La seconda domanda lancia una sfida ancora maggiore: è ancora
7
Ibid. p. 19.
8
Ibid. p. 42.
9
Cfr. M. Foucault Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977-1978), Milano, Feltrinelli
2005. Id., Nascita della biopolitica, Corso al Collège de France (1978-1979),Milano, Feltrinelli 2005. J. Butler
Critica della violenza etica, Feltrinelli: Milano 2006; G. Agamben, Homo Sacer: Potere sovrano e nuda vita,
Eindaudi: Torino 1995; M. Hardt, A. Negri Moltitudine - Guerra e democrazia nel nuovo ordine imperiale, Milano:
Rizzoli, 2004; J-F. Lyotard, The Differend: Phrases in Dispute, Manchester University Press, 1988; G. Deleuze, F.
Guattari, Anti-Edipo, Capitalismo e Schizofrenia, Einaudi, Torino, 1978; J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo,
2 tomi, 1988.
10
Cfr. T.W. Adorno, M. Horkheimer, Dialettica dell’Illuminismo, Einaudi 19?
11
Cfr. A. Honneth, Verdinglichung, Frankfurt, Suhrkamp, 2005.
12
Anche se la possibilità di ‘fare la differenza’ ha sempre fatto parte della negazione di strutture esistenti; cfr. D.
Innerarity, La Società Invisible, Roma, Meltemi Editore, 2007, p. 194 e ss., e J. Holloway, Che fine a fatto la lotta di
classe, Roma, Manifestolibri, 2007, p. 11 e ss., ambedue con riferimenti al ”contro ed oltre” incorporato nella
dialettica negativa di Adorno.
13
Cfr. su questa concatenazione, R. Braidotti, Trasposizioni. Sull’etica nomade, Luca Sossella Editore, Roma 2008, pp.
e ss.

3
possibile sviluppare un concetto positivo della giustizia e del diritto capace di provocare dei
cambiamenti istituzionali radicali oltre le forme piuttosto reattive della ‘mediazione’ tra razionalità
incompatibili e della ”limitazione dei danni” che suggerisce Teubner?

II. Condizioni Paradossali

Ho cercato di mostrare con il concetto di ‘Diritto in Movimento,’ 14 che la realizzazione di un


concetto positivo della giustizia non è solo possibile ma anche continuamente messo in atto. Basta
prendere sul serio un filone di ricerca intorno alla teoria dei sistemi e arriviamo al riconoscimento di
‘condizioni di simmetria’ (paradossali) per ogni costruzione individuale e sociale e degli rispettivi
effetti logici e normativi. Mi riferisco in particolare alla ricerca sulla ‘logica dei tre o più valori’ di
Gotthard Günther e alla ricerca sulla creazione di (strati di) distinzioni o differenze che elaborano
dei paradossi ‘sottostanti’, ricerca legata ai nomi di George Spencer Brown, Paul Watzlawick,
Heinz von Förster, e altri. 15 Di conseguenza, possiamo trovarci catapultati fuori dalla teoria dei
sistemi e dentro la teoria dell’agire sociale che riconosce la differenziazione funzionale sistemica
come una forma contingente tra altri per realizzare il comune e scruta le varie teorie sociali rispetto
al ruolo che possono giocare per la produzione di standard temporanee e le rispettive procedure
della governance o governamentalità.
Per lungo tempo è stato rischioso di parlare o scrivere della ‘costituzione paradossale’ degli
individui e delle sfere sociali. Paradossi vengono di solito o tenuti invisibili o rifiutati, nonostante
siano inevitabilmente legati a qualsiasi uso di distinzioni, cioè a tutto quello che facciamo,
communichiamo, costruiamo, incluso gli ‘episteme’. Wittgenstein ci aveva avvisato di parlare
solamente delle cose delle quali possiamo parlare. Ma nel frattempo la sfera del comunicabile si è
espansa e i confini sono stati ridefiniti in continuazione. Qualche anno fa abbiamo deciso che il
nostro sistema solare ha 12 pianeti al posto di 9 e ci sono degli studi sulla forza produttiva o
distruttiva dei buchi neri. Ritengo allora che valga anche la pena di parlare della forza costruttiva e
de-costruttiva dei paradossi. Userò qualche esempio per descrivere il paradosso e i suoi effetti, ben
consapevole che ci muoviamo ai limiti del comunicabile e dobbiamo perciò stare attenti di non
cadere in una nuova forma di metafisica.16

14
Vedi M. Blecher, Recht in Bewegung – Paradoxontologie, Recht und Soziale Bewegungen, ARSP 2006, pp. 449 e ss.;
versione inglese: Law in Movement: Paradoxontology, Law and Social Movements, in J. Dine, A. Fagan, a cura di,
Human Rights and Capitalism: a Multidisciplinary Perspective on Globalisation, Elgar: Cheltenham 2006, p. 153-
197.
15
Cfr. G. Günther, Cybernetic Ontology and Transjunctional Operations, in G. Günther, a cura di, Beiträge zur
Grundlegung einer operationsfähigen Dialektik I, Hamburg, Meiner, 1976, pp. 249 e ss.; id., Life as Poly-
Contexturality, pp. 283 e ss.; G. S. Brown, The Laws of Form, Lübeck, Bohmeier, 199); P. Watzlawick, J. Beavin,
D.D. Jackson, Pragmatics of Human Communication: A Study of Interactional Patterns, Pathologies, and Paradoxes,
New York, Norton Books, 1967; H. v. Förster, Understanding Systems, Conversations on Epistemology and Ethics,
New York, Springer, 2007.
16
Verba docent, exempla trahunt esprime saggezza antica; ma quando si parla del paradosso e dei suoi effetti, si è
facilmente portato fuori rotta da metafore che sembravano tanto utili.

4
Immaginiamo la funzione paradossale delle linee di confine: includono quello che escludono
perché costringono l’incluso e l’escluso di essere connessi o ‘accoppiati’, come dicono i teorici
sistemici. Qui ‘localizzano’ i loro programmi di ‘accoppiamento strutturale’ che stabiliscono come
la ‘relazione’ tra sistemi e i loro ambienti deve essere trattata. Pensiamo per esempio al trattamento
degli immigrati illegali: i nostri sistemi li ‘ab-bando-nano’ e li ‘margina-lizzano’ legalmente e
politicamente per catturare le loro capacità vitali economicamente come lavoro a basso costo.17 Ma
la logica delle linee di confine significa molto di più: proprio sulla linea di confine spariscono anche
i due lati della divisione e si crea una specie di ‘terra di nessuno’ che tiene in serbo la possibilità di
altri valori, la potentia spinozista, che ci può portare anche alla dissoluzione della vecchia linea di
confine e a delle costruzioni nuove.
Precisamente questo significa innamorarsi: quando due o più individui ‘dimenticano’ le loro
divisioni e aprono il loro mondo a quello dell’altro prima di iniziare una ‘relazione’ strutturata che
nel migliore dei casi sarà sempre capace di ricostruire quella originale energia costitutiva di
abbandono. Chi vuole può ‘localizzare’ qui l’accesso al ‘divino’ prima che esso sia amministrato
dalle distinzioni religiose di immanenza e trascendenza; o forse l’accesso a una quarta, quinta, o più
dimensioni che la scienza prima o poi scoprirà. Conosciamo poi quei momenti di beatitudine
quando gli oggetti del nostro pensiero ricevano, dopo tanto tempo di ricerca, d’improvviso un
aggiustamento chiarificante cristallino.
Dunque, pare che la separazione tra sistemi e i loro ambienti, tra sfere organiche, mentali e
sociali, tra bios e zoe, non sia così compatta come la teoria dei sistemi vuole farci credere. A questo
‘concatenamento alternativo’ arriviamo anche con quello che ho chiamato ‘domande eretiche’: La
distinzione di legalità/ illegalità, è essa stessa legale o illegale? La distinzione tra bene e male, è
essa stessa un bene o un male (la famosa domanda dell’ Uomo senza Qualità di Robert Musil)?
Quale dei suoi valori vale quando una distinzione viene applicata a se stesso? Questo tipo di
domanda ci fa scoprire l’accesso paradossale a tutte le possibili variazioni e qualità di costruzione
che potrebbero essere usate per trasformare le distinzioni attuali sociali e personali. I paradossi non
sono allora degli errori logici da sradicare per poter procedere. Sono un momento centrale,
incondizionato e onnipresente della dinamica sociale: sostituiscono il soggetto trascendentale e ogni
altro racconto fondatore, e ci lasciano scoprire le strutture personali e sociali come fenomeni
contingenti, non necessarie, ma sempre possibile in un altro modo.18
Possiamo raggiungere quel ‘non-luogo’, quella ‘terra di nessuno’ anche in modo negativo:
distinzioni possono collassare (in modo violento) se trascuriamo le ‘origini simmetriche’
(paradossali) di tutti i sistemi e ambienti che determinano la loro interconnessione programmatica.
L’esempio classico è la distruzione dell’ambiente naturale che ha ripercussioni sul mondo
individuale e sociale che abbiamo creato. La comprensione delle ‘linee di confine’ e del potenziale
che tiene in serbo non porta allora solamente ad una comprensione dei meccanismi ‘logici’ delle
17
Vedi su questa logica dell’abbandono, G. Agamben, Homo Sacer, Il Potere Sovrano e la Nuda Vita, Einaudi: Torino
1995, p. 122.
18
Cfr. G. Teubner, Der Umgang mit Rechtsparadoxien: Derrida, Luhmann, Wiethölter, in: C. Joerges, G. Teubner, a
cura di, Rechtsverfassungsrecht, Baden Baden: Nomos, 2003, pp. 25 e ss.; versione inglese: O. Perez e G. Teubner, a
cura di, On Paradoxes and Self-reference in Law, London: Hart, 2004.

5
distinzioni interdipendenti e delle chance e minaccie legati alla loro dissipazione; porta anche alla
comprensione etica-normativa che tutti i requisiti per lo sviluppo delle sfere organiche, mentali e
sociali devono essere presi in considerazione continuamente per evitare il più possibile tali effetti
negativi.19
Vorrei riportare questa comprensione all’‘origine’ del diritto e al suo significato di
‘giustizia’. Se prendiamo questo ‘origine’ sul serio, l’organizzazione collettiva potrebbe essere
‘giusta’ solamente se provvedesse alla realizzazione di tutto (!) il potenziale di costruzione per tutti
(!) i partecipanti di una sfera sociale. E’ il particolare compito del diritto di provvedere che questa
giustizia incondizionata possa emergere il più possibile nelle distinzioni e costruzioni concrete che
definiscono i parametri dell’ordine sociale. Da un lato, questa giustizia (tutte le possibilità per tutti i
partecipanti) non può mai emergere completamente perché ogni ambito sociale concreto si realizza
solamente attraverso delle creazioni ‘asimmetriche’ selezionate da quell’illimitato ‘spazio’ di
possibilità. Dall’altra parte, ogni restrizione o esclusione prodotta da una entità sociale rimane
legittima soltanto finché cerca di realizzare il massimo delle possibilità per il massimo delle entità
singole e collettive coinvolte. Questa pretesa etica-normativa positiva(!) del diritto, di realizzarsi
rispetto alle possibilità sempre eccedenti e di provvedere perciò a una corrispondente ‘giustizia
globale’ sta (e continua stare) all’origine del diritto.
L’origine del diritto è allora la stessa potentia incondizionata e indeterminata che sta
all’origine di ogni costruzione sociale, ius sive potentia. ‘Giustizia’ è il nome per questa potenza
rispetto al ruolo sociale che il diritto dovrebbe svolgere. L’origine del diritto non è allora ‘la
violenza’ come credevano Benjamin e altri prima e dopo di lui. La violenza è un fenomeno che
viene, per così dire, ‘più tardi’ perché accompagna distinzioni ed esclusioni sociali che lo stesso
diritto ha il compito di definire (come legali o illegali).20
Gli effetti logici e normativi di questa ‘ontologia paradossale’ non sono confinati al diritto e
estendono la loro validità su tutte le sfere sociali specializzati e non-specializzati e sugli individui.

19
R. Ciccarelli, L’infinita domanda di giustizia nella governamentalità globale, in questo volume; p. 24 e s. (del
manoscritto) sostiene che la potentia spinozista non sia “un principio fisico in espansione illimitata, un organicismo di
ritorno in uno scenario in cui specie e generi eterogenei sono connessi”, in breve, che non avrebbe voluto creare una
nuova metafisica. In principio sono d‘accordo. Ma non possiamo comunque pretendere di ‘conoscere’ quante forme
virtuali ci siano rispetto alla nostra vita organizzata e quanti concatenamenti non (ancora) conosciuti ci siano. Non a
caso li esperimentiamo come effetti imprevisti dalla nostra organizzazione e del nostro incatenamento programmato.
La potentia ci da in ogni momento il seguente quadro: la forma attuale di un corpo singolare (individuale, sociale,
ecc.), le possibilità (virtuali) riconoscibili da e accessibili per questa forma realizzata, le possibilità (virtuali)
riconoscibili reciprocamente tra la moltitudine di corpi che vanno oltre la visione singolare permettendole di
aumentare la sua potenza. Quale altri possibilità/ virtualità ci siano rispetto a questo quadro, non possiamo sapere –
ma forse comprendere? Il massimo che possiamo dire è che l’accesso all’unità paradossale o al concatenamento
paradossale delle distinzioni e perciò anche l’accesso ad ‘altri mondi’ o al ‘mondo degli altri’, ad altri valori, si
dispiega come relazione tra possibilità virtuali e attualizzate e fa parte del ‘senso’. Non c’è nessuna chiusura a priori
né del mondo né del senso come invece vuol farci credere la dottrina luhmanniana. Qui si apre ovviamente tutta la
gamma speculativa e religiosa. Io mi fermo qui con la domanda qui bono? rispetto all’aumento della potenza o della
conoscenza sublime descritta da Spinoza. La potenza significa allora (almeno) ‘l’altro’ virtuale delle sue stesse
realizzazioni attuali che sono inevitabilmente selettive, ma non inevitabilmente ‘negative’. La contingenza, l’apertura
verso le altre possibilità che riusciamo comprendere con quel senso di beatitudine, diventa cosi la mole di un possibile
cambiamento verso delle scelte migliori: il ‘divenire altro’ deleuziano. Vedi anche R. Braidotti, supra nota 13, pp. 115
e ss.
20
Deve passare “la soglia dell’ordine“ direbbe probabilmente G. Agamben, supra nota 9, p. 93.

6
Per quanto riguarda il lato logico, le possibilità fondamentalmente illimitate e il bisogno di
selezione vengono tradotte nei termini di ‘incertezza’ e ‘contingenza’. Quest’ultime significano che
le decisioni programmatiche possono sempre prendere una direzione diversa mentre la fede in
programmi pre-determinati (path-dependency) può comportare delle consequenze inaspettate. Si
cerca di ridurre l’incertezza attraverso la gestione di ‘rischi’ (risk management). Si sviluppa dei
criteri per una gestione immunizzante dei rischi rispetto alle specifiche razionalità economiche,
politiche, scientifiche, legali, ecc. che rendono il problema della loro ‘compatibilizzazione’ ancora
più urgente. Tutto questo corrisponde ad un quadro della ‘giustizia’ chiamato da Luhmann
“complessità sociale adeguata”.
Però c’è di più. Il riconoscimento dell’obbligo normativo trasversale di realizzare il
massimo e potenzialmente tutte le possibilità richiede a tutte le sfere individuali e sociali di essere
in continuazione ‘critiche’ verso le loro proprie distinzioni e decisioni e di seguire una continua
auto-trasformazione e un continuo auto-miglioramento: nessuna decisione concreta può perdere mai
la sua inadeguatezza e ingiustizia rispetto alle possibilità sempre eccedenti. L’immunizzazione
attraverso la gestione del rischio può diventare ‘il rischio più alto di tutti’. Deve perciò essere
accompagnata da un’ ‘immunizzazione contro l’immunizzazione’. Ciò significa che anche la
‘matrice anonima’ con la sua amministrazione funzionale (legale, economica, politica, scientifica,
ecc.) è soggetto alla responsabilità politica-legale trasversale di aumentare e sostituire queste
funzioni con delle alternative (legali, economiche, politiche, scientifiche, ecc.). Da un lato, queste
funzioni chiave producono le matrici delle strutture sociali. Dall’altra parte però vengono
continuamente liquefatte e trattate in modo diverso per poter compiere le richieste legate alla loro
potenza che si presenta allora, rispetto all’organizzazione societaria generale, come il comune
indeterminato.
Il comune è allora, in modo logico, la virtualità trasformativa, l’evento trasformativo o la
sovversione di ogni organizzazione societaria attuale. In modo normativo, il comune è il plus-valore
critico produttivo rispetto a tutte le distinzioni impiegate per l’organizzazione societaria.
Rappresenta ‘l’altro generalizzato’ di ogni ordine sociale esistente e sta per il bisogno di realizzare
tutte o almeno il massimo delle possibilità accessibili in un preciso momento storico per tutti o
almeno il massimo dei corpi individuali e collettivi coinvolti. Ora possiamo ricostruire le visioni,
speranze e promesse connesse al potenziale emancipatore di politica, economia, diritto, scienza,
ecc. e alle loro combinazioni a rete come realizzazioni specifiche di questo senso comune, cioè
degli aspetti logici e normativi trasversali del comune:
 La realizzazione politica di una ‘vita in comune’ democratica, o di un ‘bene comune’, che
richiede la trasformazione permanente delle forme esistenti (‘ineguali’) della partecipazione
politica, della rappresentazione e dell’ auto-organizazzione sociale;21

21
Vedi, rispetto a questo, M. Hardt, A. Negri, Impero - Il nuovo ordine della globalizzazione, Milano: Rizzoli, 2002;
id., Moltitudine, supra nota 9.

7
 La realizzazione economica del ‘benessere comune’, che richiede la correzione permanente
dell’accesso ai beni ‘scarsi’ e la ri-definizione dell’accumulazione/ appropriazione/ proprietà
rispetto alle forme esistenti della produzione di valore22;
 La realizzazione della ‘giustizia’ attraverso il diritto, che richiede l’adattamento permanente
degli standard, organi decisionali (forum) e delle procedure per garantire lo sviluppo di sfere
sociali autonome ed individuali e la loro reciprocità;23
 La realizzazione scientifica della ‘verità’, che richiede la costruzione e l’adattamento
permanenti della conoscenza applicabile;24
 La realizzazione della ‘libertà’ umana, che richiede lo sviluppo e la trasformazione continui
di differenze individuali in relazione al comune e contro l’allineamento sociale.25
Il diritto ha allora il ruolo e la responsabilità di realizzare quella richiesta normativa
trasversale per un auto-sviluppo compatibilizzato. Per poterlo fare, il diritto accetta in principio le
sfere autonome personali e sociali come realizzazioni attuali logiche e normative dello spazio
illimitato di possibilità (ius sive potentia). Ma ricostruisce anche le loro ‘relazioni’ in un modo che
permette di realizzare il massimo possibile per tutte. Per raggiungere un livello di maggiore
giustizia, questa ricostruzione specifica dei ‘legami’ tra autonomie avviene sempre in modo
temporaneo. Le vecchie dicotomie tra soggetti e istituzioni, tra privato e pubblico, tra contratto e
organizzazione, e cosi via hanno ovviamente perso la loro capacità di definire tale governance da
parte del diritto.
La distinzione dominante per le costruzioni giuridiche diventa allora ‘parzialità e
imparzialità’. Ciò significa garantire delle sfere autonome e, simultaneamente, riservare
meccanismi di controllo rispetto alla loro continua trasformazione verso la realizzazione della
giustizia incondizionata. Per incoraggiare questa trasformazione continua, questo continuo ‘atto
costituente’, il diritto deve garantire una ‘cultura di conflitto’ che permette l’avvenire del conflitto
politico creativo e conserva l’apertura di questo processo contro tutti i tentativi di false
‘pacificazioni’ o ‘sintesi’ uni- o multilaterali.
Ma quando la ‘corruzione’ dell’intero assetto di autonomie create e strutturate impedisce la
ri-costituzione continua dei parametri di costruzione e perciò “cambia tutto per mantenerlo così
com’è”26 mantenendo i livelli di sfruttamento tra autonomie costanti o lasciandoli addirittura
peggiorare, il diritto reagisce con ‘indignatio’ (Spinoza) sovversiva dando ragione e legittimazione

22
Cfr. J. Dine, Companies, International Trade and Human Rights, Cambridge: University Press, 2005.
23
Cfr. R. Wiethölter, Recht-Fertigungen eines Gesellschafts-Rechts, in: C. Joerges, G. Teubner supra nota 18, pp. 13
ess.; versione inglese in O. Perez, G. Teubner supra nota 18. Attenzione però: La governance del diritto comune non
si basa sul concetto trascendentale di una ‘mutua reciprocità’ nella quale si riconoscerebbero gli individui a priori, ma
sul riconoscimento di una reciproca specificità e della mutua co-dipendenza che il diritto ‘sfrutta’. Vedi R. Braidotti,
supra nota 13, p. 183.
24
Cfr. G. Teubner supra nota 18, pp. 36 e ss.
25
Vedi rispetto a questo Hardt-Negri, Moltitudine, supra nota 12, e Blecher, supra nota 11, pp. 199 e ss.. Il paradosso
delle ’differenze individuali’ sottolinea l’inadeguatezza del termine ’individuo’. La liberta del singolo sta proprio nel
suo sviluppo come ’dividuo’ o come un ’sè non-unitario’ caratterizzato da specifiche differenze che possono anche
essere in conflitto tra di loro.
26
Vedi A. Negri, supra nota 3 ; J. Dine, La cattura della corruzione: complessità e cultura aziendale, in questo
volume.

8
a movimenti politici trasversali che si prendono cura del perduto cambiamento sostanziale verso
una migliore realizzazione della potenza rispetto a quella delle autonomie esistenti. Qui si rivela
l’affinità tra il diritto e i movimenti sociali in quanto anche loro esercitano pressione sui parametri
normativi che limitano la trasformazione e determinano quello che dovrebbe far parte del sistema o
non. Ma la relazione tra un tale ‘diritto in movimento’ e i movimenti sociali è ancora più profondo:
movimenti sociali esprimono le loro richieste per la realizzazione di nuove possibilità anche in
forma di ‘nuovi diritti’: il diritto all’auto-determinazione delle sfere autonome, il diritto di
partecipare alla gestione dei problemi e delle soluzioni di rilevanza globale, il diritto ad una
migrazione globale illimitata, il diritto a un salario sociale di base, l’accesso libero alla conoscenza
creata collettivamente, la garanzia di un lavoro decente, e il diritto generale di disobbedire ad una
qualsiasi limitazione ingiustificata di possibilità. In questo senso il diritto e i movimenti sociali
traggono beneficio l’uno dall’altro: il diritto mobilizza i movimenti sociali per raggiungere il suo
scopo di migliorare la auto-gestione concertata delle sfere autonome. Ma viene anche mobilizzato
quando i movimenti sociali riescono a costituire dei nuovi parametri di sviluppo e di gestione
sociale. I movimenti sociali sono, in altre parole, un laboratorio di sperimentazione per nuove e
migliori forme di costruzione sociale, politico, economico, legale, ecc.
Il risultato di questo processo di trasformazione è oggi legato al concetto di governance e
cioè alla creazione di costituzioni specifiche, temporanee, nazionali o trans-nazionali, inter-
sistemici, settoriali, ecc. Finché l’assetto attuale è capace di produrre dei miglioramenti rispetto alla
realizzazione attuale del potenziale di possibilità, il diritto sfrutterà le dinamiche auto-riproduttive e
normative delle sfere autonome che devono essere coordinate.

III. Governance del Nuovo Diritto Comune e Movimenti Sociali27

I movimenti sociali rivendicano la ricostruzione del ‘comune’ (‘reclaim the common’) oltre la
settorializzazione funzionale o discorsiva delle società postmoderne. Una loro descrizione adeguata
deve sottrarli al ruolo “embedded” in cui li confinano i maggiori concetti di organizzazione politica
sociale. Analizzando questo passaggio all’interno del diritto, ci muoviamo dal concetto di ‘giustizia
come complessità sociale adeguata’ di N. Luhmann28 a quello che chiamo, in termini deleuziani,
‘giustizia in continuo divenire’ o, appunto, ‘diritto in movimento’.
Il concetto chiave di questo passaggio è ancora la ‘contingenza’ dello sviluppo sociale e
legale che si riferisce al fatto che le decisioni prese non sono né necessarie né determinate dal
destino; sono sempre possibili in modo diverso e perciò non perdono mai la loro intrinseca
inadeguatezza. Pongono invece la domanda normativa(!) di come l’organizzazione sociale e le sue
funzioni politiche, economiche, legali, scientifiche, ecc. dovrebbero modificarsi per evitare effetti
27
Gran parte di questo terzo paragrafo è stata pubblicata sotto il titolo “Mind the Gap!” presso la Rivista Critica del
Diritto Privato, 2008. Ringrazio la redazione della Rivista e l’editore della casa editrice Jovene per l’autorizzazione di
poter riusare il testo per questo volume.
28
Cfr. N. Luhmann, Das Recht der Gesellschaft, Frankfurt, Suhrkamp, 1993, p. 225. Versione inglese, Law as a Social
System, Oxford Socio-Legal Studies, 2004.

9
negativi e per migliorare la vita in comune, il benessere, la giustizia, la verità ecc. Condivido la
visione di M. Foucault29 che ‘liberare il possibile’ attraverso la continua consapevolezza della
contingenza è il vero tratto dell’Illuminismo e la punta di lancia contro qualsiasi universalismo e
fondamentalismo. Questo tratto rivela ‘l’altro’ in Kant, un’ontologia critica contro qualsiasi
apologia idealista di una qualsiasi condizione della ragione; questa ‘critica della critica’ rivela,
insieme al suo aspetto ‘(onto)logico’, una pressione ‘normativa’ permanente sulle asimmetrie
inevitabili dell’ organizzazione sociale con i loro meccanismi di inclusione e esclusione, disciplina e
controllo, rappresentazione politica e maggioranze, proprietà e scarsità, ecc, che cozzano contro il
potenziale illimitato dello sviluppo dei attori individuali e sociali. ‘Liberare il possibile’ vuol dire
ricostruire la potentia spinoziana come ‘contingenza’, che significa, appunto, letteralmente che
‘tutto il possibile è veramente possibile’, e ricostruire la ‘giustizia’ come continua ricerca del
massimo possibile mutuo sviluppo in un contesto storico sociale specifico. Ius sive potentia si rivela
allora come origine del diritto e il suo mandato emancipatore.30
Abbiamo visto che il ruolo paradossale del diritto si è sempre svolto tra l’affermazione di
strutture sociali (‘governamentali’) e la battaglia continua contro qualsiasi restrizione della
democrazia, del benessere comune e della giustizia legata a queste strutture. Il diritto adopera sia
strategie di immunizzazione sia strategie contro l’immunizzazione. Questo paradosso è stato gestito
attraverso l’introduzione di attori diversi, di livelli, procedure e luoghi nei quali si produce il diritto
(istituzioni legislative, contratti, tribunali), ma anche attraverso la mobilitazione da parte dei
movimenti sociali e le loro richieste di libertà, di autonomia e di nuovi diritti sociali. In altre parole:
quando la popolazione assaliva la Bastiglia, quel simbolo delle forze distruttive dell’antico regime,
esercitava diritto in movimento. Quando i manifestanti assalgono le gabbie del G8, esercitano
diritto in movimento contro l’usurpazione dello spazio comune globale da parte di un gruppo di
manager globali auto-dichiarati che non possono valersi di una legittimazione sufficiente basata su
strutture adeguate di una governance globale.
E’ proprio il fenomeno della governance che riporta il diritto alla sua vera ‘origine’, la sua
potentia di produzione normativa (‘Recht-Fertigung’): rivela che il diritto non è ancorato ad una
‘polis’ specifica o ad uno stato hobbesiano, e che è capace di seguire forme diverse del comune fin
quando non sia compiuta la sua specifica condizione e rivendicazione normativa, cioè la creazione
di una sempre maggiore giustizia trasversale che tenga conto delle possibilità sempre eccedenti. Da
questo punto di vista, i nostri sistemi giuridici complessi (legislativi, giurisprudenziali, arbitrativi,
consultativi) sono nient’altro che una forma altamente specializzata di governance con differenti
livelli decisionali, gerarchici e orizzontali. Per esempio, in tribunale, le possibilità normative che
eccedono le posizioni delle parti sono idealmente rappresentate dal ruolo professionale di un
29
Cfr. M. Foucault, Cos’è l’illuminismo?’, in V. Sorrentino, a cura di, Michel Foucault, Antologia, Feltrinelli, Milano,
2006, pp. 219 e ss.
30
Preferisco il concetto di ‘contingenza’ a quello di ‘differenza’ per descrivere la ‘liberazione del possibile’. Questo
per sottolineare che anche la differenza fatta da una distinzione nuova o diversa rispetto alla precedente è ‘sempre
possibile in un altro modo’ o appunto contingente. Si evita cosi l’attribuzione di qualsiasi ‘senso egemonico’ alla
nuova differenza che mostra invece di essere stata creata in un processo di conflitto e cooperazione (‘governance’).
La creazione della differenza o di nuove distinzioni (‘più giuste’) significa allora contingenza in quanto resistenza a
quella precedente. La contingenza diventa auto-riflessiva in questo senso.

10
giudice (o arbitro) legittimato, proprio dall’accesso ‘imparziale’ a quei ‘valori terzi’ eccedenti, a
creare gli standard per l’attribuzione (‘parziale’) di ‘diritti’ (richieste legittime) a una o all’altra
parte. Vista in questo modo, governance non è allora l’estensione dello ‘stato di eccezione’ (G.
Agamben), ma piuttosto il contrario: una reazione al fallimento delle pretese universalistiche di
mercati, stati e diritti e una risposta alla frammentazione e all’ibridazione della produzione
normativa globale. Questi fenomeni hanno portato alla riapparizione e al management di altri valori
possibili per la (ri-)costruzione normativa che le forme legali ‘classiche’ del management
concertativo di collisioni del diritto nazionale, internazionale e sopranazionale non sono più in
grado di coprire in modo adeguato. E’ allora piuttosto questa mancanza o perdita dell’incisività del
diritto ‘classico’ che crea una ‘de-legalizzazione’ 31, e non il concetto di governance che cerca di
confrontare i fallimenti menzionati attraverso l’istallazione di altre/ nuove forme di ‘legalizzazione’
o produzione del diritto sotto condizioni di incertezza e di possibilità eccedenti.
Non c’è dubbio che la messa in crisi di strutture esistenti possa agevolare delle forze che
portano piuttosto ad un abbassamento dei livelli raggiunti di giustizia, benessere, protezione sociale
e partecipazione; basta pensare all’economicizzazione neo-liberale delle funzioni statali. “La
potenza […] si dà tanto nella forma ‘negativa’ della corruzione, quanto nella forma ‘positiva’
dell'imperium comune. In termini spinozisti, si tratta di due gradazioni diverse della stessa potenza.
Nel primo caso, si tratta di una potenza che si esprime ai minimi livelli, nel secondo caso esprime la
sua definizione originale. Il punto è che il conflitto tra queste due gradazioni della potenza avviene
sullo stesso piano, dipende cioè dalle modalità politiche con le quali il diritto declina costantemente
la propria potenza.”32 Perciò, per diventare ‘più critico’ piuttosto che ‘meno critico’ (Günter
Frankenberg), l’assetto di base delle procedure della governance non può dipendere né da singoli
concetti che nascondono modelli economici, politici, legali, selettivi, né da certi modelli formali -
‘modello legislativo’ (creazione di norme da parte del corpo politico o della sua temporanea
rappresentanza; incluso il nuovo ‘municipalismo’), ‘modello tribunale’ (applicazione di norme
legislativi/ creazione di casistica normativa), ‘modello comitologia,’ (creazione di standard
normativi tra esperti), ‘modello normazione tecnica’ (creazione di norme tecniche da parte di enti
privati di varie categorie), ‘modello arbitrato’ (creazione di norme da un forum scelto da privati),
ecc.33.
Le procedure della governance in quanto creazione del diritto comune devono sviluppare
per ogni specifico contesto (o ‘regime’) un livello adeguato di tutela delle ‘parti’ e di deliberazione
(im-)parziale che punta su più giustizia, benessere comune, e reciprocità. Perciò devono (auto-)
sviluppare:
 Regole per la creazione dei governance ‘forum’ e per l’accesso ad essi (il famigerato
‘accesso alla giustizia’);
31
Cfr. sulla preoccupazione che la produzione normativa (europea) possa perdere ogni forma di giustificazione, C.
Joerges, Integrazione attraverso la de-giuridificazione?Un evento interlocutorio, in questo volume.
32
Cfr. R. Ciccarelli, supra nota 19.
33
Confermano ora C. Joerges e F. Rödl, Funktionswandel des Kollisionstrechts II, in: Gralf-Peter Calliess, Andreas
Fischer-Lescano, Dan Wielsch, Peer Zumbansen, a cura di, Soziologische Jurisprudenz. Festschrift für Gunther
Teubner zum 65. Geburtstag, Berlin: De Gruyter Recht 2009, paragrafo III, pp. 8 e ss del manoscritto.

11
 Regole per il management procedurale dei ‘casi’;
 Regole per la raccolta di materiale (l’accessibile conoscenza teorica e pratica rispetto
al contesto sociale in questione; studi di fattibilità/ sostenibilità) da usare come base
per una decisione sostenibile sugli standard di collisione;
 Regole per l’attribuzione di responsabilità (‘prognostica’) rispetto alle (in-)aspettate
conseguenze della decisione e sui criteri per una sua revisione/ attualizzazione.
Le procedure di governance che puntano alla creazione di ‘reciprocità’ o di ‘mutuo rispetto e
cura’ tra discorsi, razionalità, istituzioni, sistemi, divergenti implicano l’obbligo legale di aprire le
stesse radicalmente a tutte le proposte per la costruzione sociale e la creazione di standard, incluse
quelle che propongono delle alternative agli standard esistenti; come, per esempio, una visione
diversa dei diritti di proprietà per ‘beni comuni inalienabili’34; o proposte che legano i privilegi della
personalità giuridica e della responsabilità limitata delle imprese alla loro responsabilità sociale 35 (J.
Dine); o un ruolo critico dei diritti fondamentali (della Carta di Nizza) contro delle ragioni
sistemiche36. ‘Aprirsi ad altre possibilità’ implica certamente anche l’obbligo di introdurre i
movimenti sociali attivi nel rispettivo contesto sociale nella procedura decisionale pena la perdita
della sua legittimità .37 Significa anche introdurre meccanismi adeguati di revisione della decisione
e l’attribuzione di responsabilità per la loro messa in atto.38
Comunque, il processo di deliberazione (normazione, argomentazione, decisione) nelle
procedure della governance non può mai perdere la sua ambivalenza e insufficienza, e qui si marca
la differenza con i concetti della ‘società civile’. I movimenti sociali si muovono in parallelo al
paradosso del diritto. Possono benissimo partecipare alle procedure che aspirano ad una complessità
adeguata e producono la giustificazione per i cambiamenti ritenuti necessari. Ma i movimenti si
rifiutano di essere solo degli altri attori (‘stakeholder’) con la ‘concessione’ (!?!) di partecipare al
gioco della governance. Non vogliono occuparsi solo di ‘razionalità’ e di ‘interessi’ in collisione tra
loro. I movimenti sociali e il diritto in movimento puntano e devono puntare ad un ‘atto
costituzionale’ permanente che è necessario per de- e ri-costruire i parametri della vita in comune,
della giustizia, del benessere, della verità, ecc. Ciò include la potenziale re-invenzione e il

34
Cfr. M. Surdi, in questo volume.
35
Cfr. J. Dine, supra nota 26.
36
Cfr. G. Bronzini, Governance e lo sviluppo della “flex-security” nel diritto del lavoro, in questo volume.
37
Cfr. G. Allegri, Società civile e partecipazione democratica nel dopo referendum irlandese, in questo volume. Viene
subito a pensare agli esiti infelici dei progetti di ri-costituzionalizzazione dell’UE dovuta non ultimo alla mancanza di
integrazione popolare. Cfr. il rispettivo commento di J.L. Nancy al sito
www.information-philosophie.de/philosophie/ Nancy.html
38
Vorrei sottolineare che questo concetto ‘critico’ della governance è stato ampiamente anticipato dal concetto della
”proceduralizzazione del diritto” (“diritto politico”) introdotto da Rudolf Wiethölter a partire dal 1982. Il concetto
auspica la costruzione sociale attraverso la creazione di adeguati “standard, fora e procedure” - creazione della quale
il diritto deve prendersi cura. Vedi R. Wiethölter, Materialization and Proceduralization in Modern Law, in: G.
Teubner (ed.), Dilemmas of Law in the Welfare State, de Gruyter: Berlin, New York 1986; e: Proceduralization of the
Category of Law, in: C. Joerges, S. Trubek, Critical Legal Thought: An American-German Debate, Nomos: Baden
Baden 1989.

12
reframing39 dell’intero assetto organizzativo e decisionale, di nuove istituzioni del comune e delle
rispettive procedure di governance che trasformeranno ovviamente anche i movimenti stessi.
Anche questo paradosso dei movimenti, l’oscillazione tra partecipazione e ‘esodo,’ può
essere elaborato diversificando tempi, attori, ruoli, ecc. Significa che una parte del movimento si
sottometterà alle procedure della governance, scendendo a compromessi, mentre altri reagiranno
alle restrizioni connesse inevitabilmente a queste procedure, rilanciando il movimento altrove e
proponendo procedure diverse.
Allora non c’è dubbio che, nelle condizioni della governance (post-)postmoderna e
metropolitana, i movimenti raggiungono il massimo del loro impatto pratico e della loro auto-
riproduzione in quanto diversificano i loro ruoli, mantengono un’apertura strutturale e agiscono in
forma di rete contro qualsiasi centralizzazione o usurpazione stile soviet. Questo significa anche che
l’attività dei movimenti non può essere ristretta né all’ “assedio” 40 né al ‘preferirei di no’ di
Bartleby41. Il nuovo spirito del capitalismo42 assorbirà inevitabilmente una parte dei loro programmi
e dei loro attivisti. Ma non importa, perché i movimenti si muovono secondo la massima:
“Vogliono solo il nostro bene, ma non glielo daremo.”43
La difficoltà in tutto ciò sta piuttosto in quello che Agamben ha chiamato, con riferimento a
Foucault, ‘il modello dominante della soggettivazione’. Sono, per così dire, i fili del burattino che
sviluppiamo a partire dall’ infanzia mentre interagiamo socialmente. La ‘governamentalità’
descritta da Foucault (e, con riferimento specifico all’aspetto gender, da Judith Butler) 44, porta con
sé un modello generalizzato (‘dispositivo’) di auto-governo personale e sociale che non si riesce ad
abbandonare facilmente, pur essendo ‘l’alternativa vivente che cresce nell’impero’ 45. Questo regime
di soggettivazione produce oggi il ‘sé imprenditoriale,’ ‘l’imprenditore del mondo-vita’ 46 che
corrisponde alla economizzazione delle società post-moderne. Indipendenza, competizione, capacità
comunicative, vitalità, rinnovamento personale e flessibilità sono le sue ben note caratteristiche. Il
fatto che la trasformazione permanente fa parte di questo modello psico-sociale rende

39
Il concetto è stato sviluppato per la trasformazione di sistemi familiari ‘inceppati’ da P. Watzlawick e altri. Vedi id.,
Guardarsi dentro rende ciechi, nell’omonimo libro curato da G. Nardone, W. A. Ray (Milano, Ponte delle Grazie,
2007).
40
Cosi la suggestione benevole di G. Frankenberg in Nazionale, sovranazionale e globale: ambivalenze nella pratica
della società civile, in questo volume.
41
Che può comunque essere inteso come un ‘no produttivo’ di resistenza, cfr. A.M. Brighenti, Resistance as
Transformation, in L. Cheliotis, a cura di, The Banality of Good: Roots, Rites and Sites of Resistance. Palgrave
Macmillan: Basingstoke, 2008. Questo vale anche per ‘l’inoperosità’ come prassi ‘altra’ proposta da G. Agamben.
Cfr. S. Catucci, Una rinnovata consistenza del nostro agire, Elogio dell’inoperosità, in Il Manifesto del 14.02.2009.
42
Cfr. L. Boltanski, E. Chiapello, Der neue Geist des Kapitalismus, UVK, Konstanz, 2003. Originale francese: Le
nouvel esprit du capitalisme, Editions Minuit, Paris, 1999.
43
La battuta si riferisce ad uno slogan dei movimenti spontaneisti tedeschi dell’inizio dei anni 80. L’originale in
tedesco si legge come segue: “Sie wollen nur unser Bestes, aber sie bekommen es nicht!” L’attualità ed incisività di
questa ‘condotta’(!) si presenta in questo inverno 2010-2011 nel dibattito intorno al ruolo dei movimenti per le lotte
sindacali. Risponde ai continui tentativi da parte dell’establishment istituzionale di turno di sussumersi (delle parti)
dei movimenti.
44
Cfr. supra nota 9. Sull’effetto attuale degli studi sulla governmentalità iniziati da Foucault, R. Ciccarelli, supra nota
19.
45
Cosi la famosa definizione della moltitudine dei movimenti sociali di M. Hardt, A. Negri, supra nota 21, p. 11.
46
Cfr. su questo modello in modo pregnante, U. Bröckling, Das unternehmerische Selbst – Soziologie einer
Subjektivierungsform, Suhrkamp: Frankfurt 2007.

13
particolarmente difficile ai movimenti essere ‘diversamente diversi’, anche perché abbiamo una
scienza della governance, ma non una scienza del ‘non voler essere governati’.
Comunque, il monito di Agamben vale in primo luogo per gli stessi ambienti della
governance. L’economizzazione del sistema mondo-vita e il regime del sé imprenditoriale creano
asimmetrie e pregiudizi di base sui quali si fonda la comunità globale degli esperti deliberanti e
delle ONG maggiori che orbitano intorno loro che hanno delle idee molto precise su ciò che “merita
di essere accettato” (Habermas). Appare allora in effetti un nuovo tipo di status o di struttura di
classe con una visione altamente selettiva dello sviluppo sociale che richiama la tradizionale
omogeneità culturale dei giudici che hanno garantito la coerenza del sistema delle sentenze
(‘precedents’) nella common law. Qui sta allora un’altra ragione per i movimenti sociali per
muoversi in ambedue direzioni: partecipare alle procedure della governance e sfidare i loro risultati.
Ciò conferma la nostra riformulazione del concetto di giustizia: da un lato, si tratta della
definizione procedurale temporanea di sostenibili standard comuni che risolvono in modo migliore
collisioni o conflitti tra gli ‘interessi’ coinvolti; dall’altra parte, l’immediata pressione verso la
ricerca di soluzioni migliori, potenzialmente verso la sostituzione dell’intero assetto dell’attuale
organizzazione della vita in comune, perché si dà per scontato che gli standard stabiliti siano
ingiusti. Una tale giustizia ‘sovversiva’47 si trova allora piuttosto nell’accelerazione della
trasformazione del processo normativo e non tanto nei risultati temporanei. Questi risultati
svilupperanno già una loro ‘forza di gravità sociale’ giuridica-politica (‘governamentale’) che li fa
durare per qualche tempo, soprattutto quando implicano una sorta di identificazione individuale e
collettiva che spesso viene rafforzata dai produttori mediali della ‘pubblica opinione’. Perciò i
risultati non hanno bisogno di essere ‘immunizzati’ contro una critica immediata. La richiesta di
‘verificarli’48 è essa stessa parte delle battaglie politico-legali in quanto non esiste qualcosa come
una ‘verifica oggettiva’ (neo-trascendentale?) fuori da queste stesse battaglie. 49 Cosi la giustizia si
trova alla fine piuttosto nel conflitto continuo per la realizzazione di soluzioni reciproche o comuni
sostenibili50: seditio sive jus. Tale giustizia o de- e ricostruzione permanente verso il meglio non
deve ancora ‘avvenire’, come intendeva Derrida, ma è in continuo divenire, in continua attuazione,
e i movimenti sociali sono una forza determinante in questo stesso processo.

IV. L’immanenza dell’ (auto-) sovvertimento costruttivo

47
Avvicinandosi sempre di più al riconoscimento di una manque comune dei sistemi funzionali, anche G. Teubner parla
ora di un loro intrinseco bisogno di “auto-sovversione”, cfr. id, Selbstsubversive Gerechtigkeit: Kontingenz- oder
Transzendenzformel des Rechts?, in G. Teubner, a cura di, Nach Jacques Derrida und Niklas Luhmann: Zur (Un-)
Möglichkeit einer Gesellschaftstheorie der Gerechtigkeit, supplemento speciale del primo numero 2008 della rivista
Zeitschrift für Rechtssoziologie, Lucius & Lucius, Stuttgart 2008, p. 9 e ss. Versione inglese, Self-subversive Justice:
Contingency or Transcendence Formula of Law?, Modern Law Review 2008.
48
Cfr. G. Teubner, supra nota 18.
49
Cfr. anche R. Ciccarelli, supra nota 19, pp. 19 e ss. (del manoscritto).
50
Il concetto descrittivo e normativo di ‘sostenibilità’, intesa nel senso spinoziano di ‘cosa può un corpo’ (individuale,
sociale, animale, vegetale, la biosfera, ecc.), sembra un valido strumento per definire ‘lo stato del comune’ e delle
singolarità coinvolte e per indicare necessari punti di svolta. Cfr. per una prima bozza di un tale approccio, oltre
l’applicazione funzionale del termine, R. Braidotti, supra nota 13, pp. 235 e ss.

14
A questo punto vorrei aggiungere una nota particolare ad un testo recente di G. Teubner nel
quale lui sostiene che le decostruzioni di Derrida richiedono l’introduzione di una distinzione
‘filosofica’ o ‘laica’ tra immanenza e trascendenza.51 L’effetto riflessivo di apertura o di eccedenza
provocato dalle decostruzioni di Derrida è trasversale e non si ferma néanche ai sottosistemi
funzionali alle quali G. Teubner si riferisce: 52 La (auto-) decostruzione o il (auto-) sovvertimento
non risparmiano alcuna delle distinzioni applicate esistenti – incluse quelle tra gli stessi sistemi
(funzionali) e il loro ambiente, tra sistemi coscienti e sistemi sociali, e, appunto, tra immanenza e
trascendenza – e porta generalmente a “formule indeterminate contro la pratica corrente” 53, che
possono essere chiamate ‘amicizia’ o ‘bene comune’ in campo politico, ‘dono’ o ‘benessere
comune’ in campo economico, ‘giustizia’ nel campo del diritto, ‘perdono’ nel campo del morale,
ecc. Queste eccedenti ‘promesse’ descrittive e normative, ‘simmetriche’, richiedono sempre di
essere realizzate e definite attraverso una nuova forma di costruzione o concatenazione individuale
e sociale (sistemica o di altro tipo) che, rispetto all’eccedenza di possibilità, sarà comunque di
nuovo asimmetrica, limitata e controversa e ricreerà la forza (auto-) critica, (auto-) de-costruttiva
nella luce di quelle stesse ‘promesse’.
L’esperienza di questa strana procedura della produzione del reale porta con sé un radicale
senso di contingenza verso ambedue ‘i lati’ coinvolti – verso le inevitabili promesse eccedenti reali
e le inevitabili costruzioni della rete concreta del reale. Il massimo che possiamo guadagnare da
questo senso di contingenza è allora un nuovo atteggiamento verso questa stessa produzione del
reale immanente, un atteggiamento paradossale del combattere senza attaccarsi troppo, soprattutto il
combattere senza voler uccidere l’avversario, consapevoli della propria ‘mostruosità’ o della propria
limitatezza e imperfezione. Solo cosi possiamo evitare che quelle indeterminate ‘promesse’ o
‘formule di simmetria’ diventino il fulcro di un nuovo giudizio trascendentale(!?!) che qualcuno
pretende di ‘rappresentare’(!) con mostruosa forza maggiore e una nuova guillotine. Questo vale
anche in campo religioso come ha ben mostrato B. Spinoza: 54 Non c’è nessun sacrificio finale da
compiere per raggiungere la meta promessa. Il fatto che lo stesso mondo reale sia sempre una
realizzazione di quella potenza eccedente, di quelle ‘promesse’, fa si che tutte le distinzioni del
reale, pur quelle ‘negative’ anche se ‘a livello minore’ 55, portino con sé ‘il divino’. Vuol dire in
primo luogo: non si può sbagliare! Questo è un messaggio scomodo e sovversivo che fa saltare tutte
le gerarchie e le dottrine, non solo quelle religiose. Poi però, quel senso di contingenza porta con sé
un ‘mandato’ radicalmente democratico di realizzare in continuazione la potenza e le sue promesse
contro le form(ul)e stabilite e i loro meccanismi (corrotti) di esclusione, sopraffazione e di privilegi
51
Cfr. G. Teubner, supra nota 47.
52
Cfr. sugli effetti dello smantellamento delle forme trascendentali nel diritto e altrove, R. Ciccarelli, supra nota 19.
53
Cfr. C. Menke, Der Abgrund des Subjekts: Soziale Bedingungen der Aporien der Gerechtigkeit, in G. Teubner, supra
nota 47, pp. 81 e ss. Mi piace chiamare questo auto-sfacimento intrinseco delle strutture con un termine usato in modo
critico contro la prima ondata del consumismo americano in campo automobilistica che solo oggi, nel momento della
sua crisi terminale, dispiega il suo vero senso ironico: ‘obsolescenza incorporata’ (‘built-in obsolescence’).
54
Cfr. R. Ciccarelli Potenza e beatitudine. Il diritto nel pensiero di Baruch Spinoza (Roma, Carocci, 2003), pp. 207 e
ss.
55
Vedi supra nota 19.

15
non legittimati dalla stessa costruzione democratica; cioè siamo responsabili di creare, decostruire e
migliorare il reale in tutti i campi attraverso conflitto e cooperazione per mantenere la massima
potenzialità di sviluppo (‘divino’) per tutti gli individui, il comune sociale e il mondo intero. Cosi
giustizia, amicizia, dono, bene comune, perdono, verità, libertà, ecc. sono in continuo ‘divenire’
(Deleuze).
Qui subentrano ovviamente i movimenti sociali. Le loro battaglie hanno un ruolo principale
nella de- e ri-costruzione produttiva del reale. Se vogliono sviluppare la diversità e potenziarsi
rispetto a quel mondo sempre mal costruito, devono tener presente e confrontarsi con il loro stesso
inevitabile coinvolgimento (corruttivo) nelle strutture dell’potere attuale56e con la loro potenziale
mostruosità; devono accettare una loro continua auto-trasformazione e mantenere aperte le loro
forme di aggregazione.57
Non c’è via di scampo da questo inarrestabile processo della negoziazione sugli standard e
sulla loro trasformazione, da questo eternamente insufficiente mix di conflitto e cooperazione, che si
tiene in vita perché deve cercare di realizzare le promesse eccedenti senza poter mai compiere
questo incarico fino in fondo a causa dell’inevitabile selettività e dell’asimmetria decisionale.
Dobbiamo allora opporci al rifiorire di nuove ‘trascendenze’ o di teologie politiche pronte di
giocarsi le libertà guadagnate con la metamorfosi verso ed oltre il post-moderno. 58 Ciò non vuol
certo dire di negare il bisogno di rappresentazioni o immaginazioni simboliche con le quali le nuove
reti psico-sociali “si rendono leggibili”59. Ma “il profondo legame erotico del soggetto con la legge”
non dipende affatto dalla mancanza di una figura autorevole (paternalista!) che la legge avrebbe
lasciato aperta e che invece sarebbe necessaria per l’orientamento dei soggetti. 60 Le strutture
realizzate ricevono la loro autorevolezza ed accettazione dalla rivendicazione di aver realizzato
l’aspetto etico-normativo della potentia, cioè dal fatto che queste strutture si dimostrano
‘giust(ificat)e’ in quanto massima realizzazione temporanea delle possibilità personali e sociali.
Dobbiamo allora insistere sulla liberazione politica di queste energìe personali e sociali della
potentia contro qualsiasi falsa pacificazione. Sono i confronti e le trattative politiche permanenti che
56
Cfr. G. Frankenberg, supra nota 40.
57
Si badi bene: “La moltitudine non ha mai, almeno in linea di principio, alcun obbligo a priori nei confronti del potere;
al contrario, la moltitudine ha fondamentalmente il diritto di disobbedire e il diritto alla differenza. La costituzione
della moltitudine è fondata sulla perenne e legittima possibilità di disobbedire. Per la moltitudine, l’obbligo emerge
solo con il processo decisionale, come risultato della sua attiva volontà politica: la necessità politica dura finché
perdura quella volontà politica.” (Hardt-Negri, supra nota 9, p. 392). E’ però la stessa auto-ricognizione e
rivendicazione di essere “l’alternativa vivente che cresce all’interno dell’Impero” (cfr. supra nota 26), cioè di essere i
fautori della potentia (non: del potere) che lega la moltitudine in modo etico-normativo a quella comune ‘liberazione
delle possibilità’ e la costringe di realizzare la sua ‘volontà’ attraverso delle scelte organizzative e programmatiche
che riconoscono la loro sostenibilità (‘necessità’) e contingenza. Altrimenti la ‘diversità’ dal potere assediato viene
facilmente mancare. Cfr. su questo difficile atteggiamento non-identitario’ ora M. Hardt, A. Negri, Comune, Oltre il
privato e il pubblico (Milano, Rizzoli, 2010) , pp. 323 e ss.
58
Libertà che non è certo solo “libertinage”; cfr. la battuta ambigua di A. Negri, supra nota 3, p. , contro
‘l’inoperosità’, cioè la sottrazione all’operare funzionalmente, proposta come forma di resistenza da G. Agamben (cfr.
id. Nudità, Nottetempo, Roma 2009, pp. 67 e ss.). Si deve evitare un qualsiasi odore di neo-trascendentalismo rispetto
ad una vita/ una società intese (pur alternativamente) come ‘operose’!
59
Cfr. C. Lefort, Fortdauer des Theologisch-Politischen?, Wien 1999, p. 93. Sul legame tra questa leggibilità e la
legittimità cfr. supra nota 17.
60
P. Legendre, citato da S. Häußler, Psychoanalytische Rechtstheorien, in S. Buckel, R. Christensen, A. Fischer-
Lescano, Neue Theorien des Rechts, Lucius & Lucius, Stuttgart 2009, pp. 307 e ss. (p. 317).

16
occupano il posto di quella presunta manque all’interno della legge. Non importa se questo
fenomeno prenda oggi la forma della ‘proceduralizzazione’ o della ‘governance’. La ‘redenzione
annunciata’ sta comunque in questa immanenza della costruzione del reale, in questa resistenza
produttiva della riflessione contro la forma che ri-produce la riflessione che riproduce forma e porta
con sé un’azione trasversale genuinamente e irriducibilmente politica 61, in ogni caso “poietica-non-
sistemica”62

V. La crisi dell’attuale: E’ morta la governance – viva la governance?

“Per stabilizzare i prezzi, […] lo Stato doveva applicare quelli che circolavano prima dell’eruzione
del panico commerciale; doveva scontare i cambiali che nel frattempo non rappresentavano altro
che insolvenze estere. Con altre parole, il bene economico dell’intera società, che il governo
rappresenta, doveva compensare le perdite dei capitalisti privati. Questa forma del comunismo, nel
quale la reciprocità resta completamente unilaterale, appare molto attraente ai capitalisti europei.”
Traduzione dell’editoriale ‘La crisi finanziaria in Europa’ di Karl Marx sul New York Daily
Tribune No. 5202 del 22 dicembre 1857.

“Nel sistema economico, (…) sono le banche a gestire i paradossi. Soltanto loro hanno la possibilità
di vendere i propri debiti facendo guadagni. Solo loro hanno il problema di dover simultaneamente
stimolare l’economia di risparmiare e di spendere denaro. La loro funzione si basa sul fatto
elementare che le transazioni economiche operano con pagamenti e che ogni pagamento riproduce,
rispetto al valore del denaro impegnato, la capacità di pagare e l’incapacità di pagare. I problemi
temporali legati a questo meccanismo vengono compensati dal commercio con promesse di
pagamenti, cioè dalla promessa delle banche di ripagare i depositi ricevuti e dalla promessa dei
debitori di ripagare i loro mutui. Le banche traggono profitto da questa differenza e qui sta il loro
auto-mantenimento. Questo meccanismo produce allora un aumento della quantità di denaro e cioè
un secondo paradosso che sta nel fatto che la quantità di denaro nel sistema economico viene
trattata sia come somma costante sia come somma variabile. (…) Le banche provvedono alla
chiusura del sistema economico, producono l’autopoiesi dell’economia, anche nel settore dei
mercati finanziari, che non è più controllabile dall’esterno (soltanto irritabile e, naturalmente,
distruttibile).“
Niklas Luhmann, Das Recht der Gesellschaft (Suhrkamp: Frankfurt 1993) pp. 334-563

La presente ‘crisi dell’attuale’ ha passato la soglia della predominante attention economy a


partire dall’autunno 2008. Sono invece anni che la critica del capitalismo neo-liberale ha attaccato
le asimmetrie dannose provocato dalla totalizzazione dei parametri economici che hanno, a partire
dagli anni 70, ‘ordinato’ il mondo-vita delle capacità cognitive e relazionali ‘a mo’ d’impresa’. 64
Riecheggia anche la voce di chi, di fronte al crollo del Muro di Berlino e alla successiva
mobilitazione neo-liberista nei paesi dell’est, aveva previsto che la caduta di ‘un lato’ della
distinzione determinante del secondo post-guerra (est./.ovest, capitalismo./.’comunismo’) avrebbe

61
Cfr. Menke, supra nota 53, p. 38.
62
Vedi R. Wiethölter, supra nota 23.
63
Ringrazio C. Joerges per avermi fornito queste 2 citazioni. La traduzione è mia.
64
Cfr. la presentazione di C. Marazzi durante l’incontro di UNINOMADE del febbraio 2009, ascoltabile sul sito
www.uniriot.net; vedi anche U. Bröckling, supra nota 52, e L. Boltanski, E. Chiapello, supra nota 49.

17
portato in tempi non lontani al crollo dell’’altro lato’. 65 Intanto aveva portato alla fine di un’altra
distinzione, quella tra capitale produttivo e capitale finanziario, e ha portato alla finanziarizzazione
del capitale come nuovo modo della sua accumulazione:

“un'accumulazione che coniuga il plusvalore derivato dalla produzione di denaro a mezzo denaro
con uno sfruttamento senza precedenti della vita delle persone: riduzione dei salari, aumento del
precariato, lavoro gratuito, riduzione verticale delle aspettative di vita, esclusione e povertà. La crisi
impone il reinvestimento di questo plusvalore biofinanziario a sostegno della ripresa. Siamo in altre
parole alla presenza di una nuova forma di capitalismo, che non esclude la presenza di altri modi di
produzione, ma di certo segna il passaggio ad un'epoca che sarebbe riduttivo definire
«postmoderna». Nulla di quell'allegro libertinaggio ci resta oggi. Volenti o nolenti, dovremo fare a
meno anche delle teorie economiche neoclassiche, come di quelle neo-sovraniste, entrambe
inadeguate per raccogliere questa sfida impervia. ”66

Cosa sarà della governance rispetto a questa sfida? Siccome ci troviamo ovviamente in una
‘crisi dell’attuale’, cioè in una crisi che attacca le categorie dominanti di politica, economia, diritto,
ecc., è plausibile che in questo momento almeno una variante della governance sia finita.67 Si tratta
generalmente di quella variante che aveva come principale funzione strategica proprio
l’immunizzazione del regime contro una crisi di questo genere, in quanto ‘risolveva’ le ‘collisioni’
tra i vari ordinamenti societari con l’inclusione della la ‘società civile’creandoci così una maggiore
legittimazione.68 Con la mossa neo-sovranista protettiva degli stati nazione di trasformare il debito
dei privati in debito comune e di tenere in piedi delle imprese chiave del sistema, questo scenario
della governance ha per ora lasciato lo spazio e lo show al big government che cerca di ‘cambiare
tutto perché nulla cambi’.
L’incognita nella quale ci troviamo deriva dal sospetto largamente condiviso 69 che, oltre il
suo ‘gettito ingiusto’ a favore delle stesse ‘moderne belve’ sociali 70, non sia affatto sicuro che
l’enorme mossa compensatoria riesca evitare l’approfondirsi della crisi. C’è da aspettarsi che
un’enorme massa di persone (non solo dell’Africa) verrà gettata in una situazione esistenziale
disastrosa. Questo potrebbe creare un’Onda’ (!) di proteste che metterebbe, come minimo, i governi
e l’assetto istituzionale in difficoltà sostanziali costringendoli di introdurre, oltre delle riforme del
sistema monetario, finanziario ed imprenditoriale globale, dei nuovi parametri per la vita in
comune. La larghezza della trasformazione dipenderà senz’altro dalla potenza della pressione

65
Vedi R. Kurz, La fine della politica e l’apoteosi del denaro, Manifestolibri: Roma 1997.
66
R. Ciccarelli, Il mondo infranto della vita messa al lavoro, in Il Manifesto del 23 febbraio 2009. Per quanto riguarda il
‘libertinaggio’ mi riferisco ancora a supra, nota 58.
67
Cfr. la presentazione di A. Negri durante l’incontro di UNINOMADE del febbraio 2009, ascoltabile sul sito
www.uniriot.net.
68
Ricordo la famosa frase di Luhmann: “Un procedimento non è fatto per terminare un problema attraverso la sua
soluzione, è la stessa terminazione del procedimento a risolvere il problema.” (“Verfahren sind nicht dazu da,
Probleme durch Lösung zu beenden, sondern durch Beendigung zu lösen”) Cfr. Id., Legitimation durch Verfahren, a
cura di A. Febbrajo, Procedimenti giuridici e legittimazione sociale, Giuffré, Milano 1995.
69
Vedi già S. Sassen, The new new deal, pubblicato sul sito Open Democracy News Analysis il 23 settembre del 2008
http://www.opendemocracy.net. Id., Übermäßige Verschuldung stoppen, in: Frankfurter Rundschau, sezione
economica, del 6 marzo 2009. Stranamente, le proposte di Sassen puntano ancora su un sistema di ‘crescita’, punto di
partenza e fulcro dello stesso capitalismo selvatico. Cfr. invece Marazzi supra nota 2.
70
Cfr. G. Rossi, nell’intervista di B. Perini su ‘Il Grande Crac. Le moderne belve? I banchieri!’, in: Il Manifesto del 13
marzo 2009.

18
moltitudinaria, che aveva, tra l’altro, anche fatto nascere il new deal. L’intera gamma è
immaginabile:
a) La semplice conferma - dolorosa, ma liscia – di quella nuova forma estrema del
capitalismo immateriale;
b) La conferma del capitalismo immateriale in cambio di nuove e portentose riforme
istituzionali,71 inclusa la creazione di garanzie di base per una esistenza civile (parola
chiave: il basic income 72) e per il lavoro (parola chiave: flex-security73, ed oltre);
c) Una ridefinizione ancora più fondamentale delle funzioni societarie (economiche,
politiche, legali, ecc.) con nuovi parametri comuni per l’accumulazione dei beni, i modi
di appropriazione e di proprietà, la personalità legale e la responsabilità limitata delle
forme associative imprenditoriali, ecc.
Non vorrei speculare su altri scenari, tipo un rifiorire/ estendersi dei scenari di guerra
(civile).74 Probabilmente nessuno di questi scenari sarà fattibile o sostenibile in forma ‘pura’.
Intanto una semplice conferma del tipo a) è impossibile, proprio per un problema strutturale del
capitalismo immateriale contemporaneo che ci riporta al suo ’origine paradossale’(non: dialettica!)
descritto sopra:75 Per poter continuare, la forma attuale del capitalismo ha bisogno di sovvertirsi/
superarsi (come ogni altra forma dell’attuale). 76 Però, rispetto a periodi precedenti, questa tensione
logica-normativa si fa oggi più stringente che mai. Siccome l’accumulazione deriva direttamente da
uno sfruttamento delle capacità vitali comunicativi dei corpi individuali e sociali, in somma: dalla
vita in comune in quanto tale, il capitalismo deve, da un lato, tenere questo mondo-vita sotto
controllo; ma dall’altra parte, deve tener sotto controllo se stesso e far si che i suoi modi sfrenati di
sfruttamento non portino ad un indebolimento o addirittura la distruzione di queste qualità vitali e
sociali dalle quali lui appunto dipende. In altre parole, il capitalismo contemporaneo si trova in una
specifica forma di ‘doppio legame’ (double bind) o situazione schizzata:77 Ha bisogno di regole per
poter mantenere la sua base vitale sociale e deve sempre sovvertire queste regole per raggiungere
livelli maggiori di accumulazione. Il modo per eccellenza per rendere un tale paradosso produttivo è
la creazione di (mille) piani di strutture e di ‘spazi spontanei’ che li sovvertono e creano nuove
strutture senza mettere in pericolo l’intero assetto strutturale. Sono guai allora se una crisi
dell’attuale infetta una vasta gamma di questi molti livelli. Il sistema può allora essere costretto di
cambiare la sua ‘filosofia di base’ per poter continuare. Qui sta la chance della crisi contemporanea.

71
Qui si aggrappa la maggior parte delle proposte in atto; vedi Sassen, supra nota 7, e Rossi, supra nota 8.
72
Vedi sull’attualità delle proposte sul basic income, le comunicazioni del BIN (Basic Income Network Italy),
73
Cfr. G. Bronzini, supra nota 36.
74
E’ saputo che la crisi del ’29 è stato superato in pieno solamente dalla ‘produttività’ e dagli ‘aggiustamenti’ della
seconda guerra mondiale. Cfr. G. Rossi, supra nota 8.
75
Vedi paragrafi I e II, pp. e ss.
76
Cfr. anche la presentazione di A. Fumagalli, durante l’incontro di UNINOMADE del febbraio 2009, ascoltabile sul
sito www.uniriot.net. Vedi ora anche G. Teubner, Ein konstitutioneller Moment? Die Logik des ‚hit the bottom’ in: K.
Günther, S. Kadelbach, a cura di, Recht ohne Staat ,2010; versione inglese: A Constitutional Moment ? The Logics of
‘Hit the Bottom’, in: P. Kjaer, G. Teubner (eds.) After the Catastrophe: Economy, Law and Politics in Times of Crisis,
2010.
77
Vedi P. Watzlawick, J. Beavin, D.D. Jackson, supra nota 15.

19
Detto questo, anche il ritorno allo stato regolatore rimarrà un’illusione che qualcuno
certamente rimpiangerà: Primo, dovuto al meccanismo appena descritto, c’è una potente frizione tra
la velocità d’accumulazione e la costruzione normativa del mondo-vita. La regolamentazione tende
di venire sempre ‘troppo tardi’; basta pensare all’invenzione delle tante forme di crediti/ debiti
cartolarizzati negli ultimi 20 anni che hanno attribuito all’attuale crisi. 78 Ci vogliono allora dei modi
di governance diversi che si inseriscono nella stessa dinamica dell’accumulazione economica.
Secondo, nonostante gli effetti domino che abbiamo visto negli ultimi tempi - dal credit crunch alla
minaccia dell’intero sistema economico e politico istituzionale - sembra improbabile che salti tutto
il complesso intreccio dei (mille) piani della governamentalità attuale per sfociare in una sorta di
semplice governabilità a mo’ di causa ed effetto: “Quando appare una nuova formazione, con nuove
regole e serie, non avviene mai tutta subito, con una singola frase o un singolo atto di creazione, ma
emerge come una serie di ‘blocchi costruttivi’, con lacune, tracce e riattivazioni di elementi
precedenti che sopravvivono sotto le regole nuove.” 79 Ritengo allora che sia probabile che cambi la
cultura comune ‘sottostante’, e questo cambiamento porterà ovviamente anche a degli
aggiustamenti della struttura a molti livelli. Terzo, l’esperienza con lo stato regolatore a cavallo tra
gli anni 70 e 80 ha ben mostrato che le politiche degli interventi diretti in un sistema (‘auto-
poietico’) complesso portano a quello che G. Teubner ha chiamato ‘il trilemma regolatore’ 80:
provocano proprio loro dei nuovi malfunzionamenti nei settori da curare.
La trasformazione consisterà allora probabilmente in un mix dei scenari sopra elencati.
Questo significherebbe, però, che, con le istituzioni attuali sotto pressione, si rinnovi la chance per
un uso della governance comune come sviluppato nel terzo paragrafo di questo volume 81. Si
tratterebbe allora di un disegno della governance che non funziona più come “agente principale del
consenso rispetto alle ingiustizie prodotte”82, ma come atto costituzionale democratico al di la delle
forme attuali (statali e non) che cerca di confrontare i fallimenti delle pretese universalistiche di
mercati e banche/ imprese, stati e diritti e delle loro ri-combinazioni con l’istallazione di altre/
nuove forme di normazione sociale e produzione di diritto (‘giuridificazione’). Basta pensare che si
stiano discutendo e attuando oggi dei modelli organizzativi che solo poco tempo fa sembravano un
assoluto tabù, come la nazionalizzazione di banche e imprese. Allora: non abbiamo nessuna chance:
usiamola! Passo ad una rassegna di qualche tendenza e contro-tendenza (soprattutto in campo
giuridico europeo):
- Solo in breve, il (ormai offuscato) ‘effetto Obama’ ed oltre: è possibile che le forze
economiche e politiche che hanno sofferto dell’ordine unilaterale (o selettivamente

78
Cfr. B. Obama nella trasmissione Tonight del 19 marzo 2009: “Il piccolo sporco segreto sta nel fatto che tutto quello
che ha portato alla crisi è stato completamente legale.”
79
Cfr. G. Deleuze, Foucault, Continuum Books, London/New York 2006, p. 19.
80
Cfr. G. Teubner, Il trilemma regolatore, in: Quaderni Fiorentini 1984.
81
Cfr. supra pp. e ss.
82
Cfr. R. Ciccarelli, L’infinita domanda di giustizia nella governamentalità globale, in questo volume; p. 24 e s. (del
manoscritto). C. Joerges, vede nel diritto europeo, nella comitologia e nella normazione tecnica europea già delle
forme che vanno nella direzione di una sostanziale governance comune sopranazionale nonostante la selettività dei
membri coinvolti che lui giudica inevitabile. Cfr. Id., Integrazione attraverso la de-giuridificazione?Un evento
interlocutorio, in questo volume.

20
multilaterale) imposto dal precedente governo della ex-unica superpotenza, si mettano
d’accordo su un nuovo tipo di ‘Magna Carta’83, almeno su un nuovo Bretton Woods (ma
anche su guerre da fare). A Davos 2009 erano d’accordo che il mercato non poteva essere
lasciato a se stesso, senza regole (l’avevano naturalmente sempre detto!?!); e la crescente
importanza data all’incontro del ‘G20’ di aprile 2009 segnava il ritorno alla multilateralità.
C’è poi già chi prevede che un entente cordiale(?) tra USA, UE e Cina costituirà il nuovo
tridente nell’olimpo dell’Impero.84 Non facciamoci comunque ingannare dal fatto che gli
stati nazione riappaiono in veste di cavalieri bianchi. Non si tornerà indietro dalla
‘costellazione post-nazionale’ (Habermas), e vale ancora il giudizio che, “per mantenere se
stesso, l’Impero deve creare una forma reticolare di potere che non isoli un unico centro di
comando e che non escluda da sé nessun territorio esterno e nessuna forza produttiva.” 85 La
fragilità dell’ordine interno degli stati nazionali che si mostra a livello giornaliero e la
registrabile inquietudine delle moltitudini che gli ‘alitano sul collo’ non sono delle spinte
trascurabili verso una comune ricerca al riparo;
- Per quanto riguarda la sostanza delle misure compensatrici dei governi, non siamo certo ad
un cambio di rotta rispetto al sistema post-neo-liberista, nonostante qualche
‘nazionalizzazione’ che non significa affatto già un tale cambiamento. E’ interessante vedere
come i governi europei si attengono ancora alla giurisprudenza rigidamente neo-liberista
della Corte Europea nel campo delle così dette golden shares, cioè delle partecipazioni
statali, che danno all’ente pubblico in questione dei diritti speciali di intervento nell’impresa,
soprattutto nel caso di una vendita a terzi indesiderati. Per non toccare la patata bollente si è
fatto fin’ora piuttosto ricorso a delle partecipazioni deboli, specie ad azioni senza diritto di
voto, rinunciando cosi ad una forma di co-gestione. Per seguire la sua politica (per vari
motivi anche apprezzabile) di togliere i confini materiali ed immateriali inter-europei, la
Corte permette un tale intervento soltanto se si tratta di imprese di interesse pubblico o
economico strategico, se il diritto d’intervento non è discriminatorio e se l’intervento è
idoneo per soddisfare i summenzionati interessi strategici. 86 L’economia semi-statale che
fino alla metà degli anni ‘80 rappresentava una notevole fetta delle economie nazionali, era
stata smantellata sotto la pressione della Comunità Europea in quanto quest’ultima la
definiva un ostacolo per il Mercato Interno rispetto alla libertà del movimento dei capitali e
del diritto allo stabilimento. Poi aveva mostrato, oltre un dilagante clientelismo e corruzione,
quella incapacità di realizzare degli interventi politici strategici idonei nel sistema

83
Cfr. la vecchia visione di M. Hardt, A. Negri, supra nota 9. E’ da ricordarsi però che la Magna Carta storica fu un
accordo tra re e baroni che non considerava affatto la sorte della ‘gente comune’!?!
84
Vedi R. Ciccarelli, Tre mondi per una regia multilivello. Risiko imperiale, Intervista a Parag Khanna, Il Manifesto del
14 Marzo 2009.
85
Cfr. supra nota 83, p. 374.
86
Cfr. i seguenti casi della Corte che possono essere scaricati dal sito http://www.curia.eu.int: C-112/05 (Commissione/
Repubblica Federale Tedesca); C-463/04 (Federconsumatori/ Comune di Milano); C-282/04 (Commissione/ Paesi
Bassi); C-98/01 (Commissione/ Regno Unito); C-463/00 (Commissione/ Regno di Spagna); C-503/99 (Commissione/
Regno del Belgio); C-483/99 (Commissione/ Repubblica Francese); C-367/98 (Commissione/ Repubblica di
Portogallo.

21
dell’economia che ormai girava, appunto, secondo le strutture diverse dell’accumulazione
immateriale finanziaria. Però, queste partecipazioni facevano anche parte del welfare
nazionale, cioè erano state usate per proteggere industrie chiave con questo intento, come
nel caso della Volkswagen in Germania: il progetto iniziale della rispettiva legge (!), che
risale al 1959, fu di spargere ‘proprietà comune in mano agli operai’ attraverso la
distribuzione di rispettivi azioni. La Legge riservava inizialmente allo stato federale e al
Land di Bassa Sassonia delle quote consistenti per poter proteggere questo progetto.
Naturalmente fu anche un progetto di ‘pacificazione’ del mondo di lavoro che culminava poi
negli anni ’70 nella legislazione (e giurisprudenza affermativa) sulla co-gestione operaia nel
consiglio di supervisione delle grandi imprese tedesche. Nella Volkswagen si tratta ormai di
una lotta tra giganti – con la Porsche che è diventato il maggior azionista e vuole vedere
cadere lo stato speciale dell’impresa – mentre la co-gestione operaia ha mostrato di essere
pienamente integrata nella logica manageriali delle rispettive imprese. Ma nonostante ciò, la
protezione di questi progetti gioca ancora un ruolo forte (nel ambito tedesco, ma non solo);
sarà puramente simbolico, ma proprio per questo nondimeno da trascurare. L’imprenditoria
e i suoi rappresentanti politici giuridici aspettano da anni che anche la co-gestione operaia
venga mietuta dalla falce della Corte Europea e cerca di lanciare rispettivi casi. Con la crisi
in atto, la giurisdizione della Corte sul ruolo delle enti comuni dovrebbe essere superato dal
bisogno di sviluppare un nuovo livello di sostenibilità incluse altre forme di co-gestione/
governance comune.87
- Nel frattempo, anche gran parte delle successive privatizzazioni è stata discreditata in quanto
le pretese comuni ereditate dall’economia pubblica si sono perse per strada. Promesse come
strepitosi vantaggi economici per i consumatori dovuto ad un aumento di concorrenza si
sono troppo spesso mostrati una chimera. Il controllo e la supervisione da parte dei famosi
authorities pubblici ha solo parzialmente potuto compensare la tendenziale sottrazione di
funzioni sociali chiave (sanità pubblica, trasporti, energia, acqua, case, formazione,
comunicazione, pensioni) alla gestione comune e ai rispettivi criteri non commerciali. Anzi,
la gestione manageriale degli enti pubblici ha cominciato di trattare anche i servizi rimasti a
loro secondo il modello di scarsità, cioè come ‘rendita’. Ora il salvataggio di banche e
imprese sembra piuttosto provocare una crisi di legittimazione nonostante la prevenzione di
ulteriori crolli sia stata legittimata con la protezione dei risparmi comuni: l’investimento
massiccio di denaro comune a sostegno delle ‘belve’ potrebbe portare alla richiesta di una
co-gestione (pubblica o in forme nuove) dei servizi di base a livello locale e alla creazione di
una forma di basic income popolare. Similmente, l’enorme spesa unilaterale potrebbe

87
Una nota al margine: mentre le golden shares erano diventato un tabù a livello inter-europeo, la Commissione
considerava già un anno fa la loro introduzione - cioè quote cospicue tenute da enti pubblici degli stati membri - per
proteggere importanti imprese europee contro l’influenza di imprese extra-europee. La ‘repubblica della proprietà’
(Hardt-Negri) della ‘fortezza Europa’ è subito pronto di usare anche i snobbati vecchi strumenti dello stato regolatore
se precisi interessi lo richiedono. Cfr. La relazione dell’ (ora ex-) Commissario EU per il commercio P. Mandelson
‘Europe’s openness and the politics of globalization’, Alcuin Lecture a Cambridge l’8 febbraio del 2008. Si trova sul
sito dell’ UE http://europa.eu.int/

22
provocare una tax payers revolt (oltre i progetti leghisti) in quanto proprio l’uso comune
degli introiti comuni è stata storicamente uno dei capisaldi della vita in comune: “no
taxation without representation”. Saranno in fine probabilmente in tanti a non sentirsi
rappresentata dalle mosse compensatorie dei governi – soprattutto se le compensazioni
vengono ancora usate per pagare dei cospicui bonus ai manager delle stesse dite in difficoltà.

- In questo contesto è da considerare un altro ‘attacco’ della Corte sferrato poco prima della
piena eruzione della crisi al progetto dell’integrazione sociale europea.88 La disgiunzione
classica, nell’UE, tra gestione economica (livello comunitario) e gestione sociale (stati
membri) si è potuto basare per anni sulla mancanza di una notevole concorrenza dei salari
nei vecchi paesi membri. Si ha cosi potuto lasciare la gestione dei salari all’autonomia
tariffaria delle organizzazioni sindacali di categoria, spesso sopportato da legislazioni a
livello regionale o nazionale per evitare anche la concorrenza salariale interna. Questo
‘equilibrio’ è andato in frantumi, primo, con l’aumento del lavoro ‘immateriale’ precario
non organizzato e sottopagato e il rispettivo indebolimento delle forze sindacali, e secondo,
con l’entrata dei nuovi paesi membri dell’Europa centrale che sono fatti nascere senza
un’adeguata rete nazionale di politiche sociali spingendo gran parte delle loro popolazioni
alla migrazione economica. Di conseguenza, la Corte Europea ha dichiarata illegale una
legge del Land della Bassa Sassonia a sostegno delle tariffe accordate a livello locale per i
contratti pubblici in quanto sarebbe anche applicabile a operai mandato da altri paesi
membri e violerebbe perciò la libertà dei servizi dell’Articolo 49 Trattato CE e la Direttiva
96/71/CE sull’impiego di operai in un altro stato membro. 89 La decisione ‘risolve’ la
collisione tra l’ordine europeo del mercato e l’ordine nazionale del sociale a favore di una
supremazia del primo senza alcun riguardo degli equilibri sociali nazionali che stanno da
sempre dietro quelle politiche di ‘co-gestione’ o dell’autonomia degli players sociali nei
vecchi paesi membri; e senza riguardo del fatto che fin’ora la Comunità non ha praticamente
delle competenze in campo90.
La Corte prosegue qui una linea che aveva già lanciato con altre due sentenze che
erano sempre legate alla nuova diversità socio-economica nell’UE dopo il suo allargamento
verso est. I membri della ‘vecchia’ Europa hanno cercato di difendere il loro livello di salari
e di protezione sociale contro un dumping sociale da parte della ‘nuova’ Europa. La beffa è
tripla: Primo, il dumping sociale sta avvenendo da tempo proprio negli vecchi stati membri
di seguito alla dilagante precarizzazione. Secondo, la famigerata ‘approssimazione’ dei paesi
dell’est da parte dell’UE è avvenuta praticamente solo per le politiche del mercato interno,
senza la creazione di garanzie sociali di base. Terzo, sono soprattutto le imprese della
vecchia Europa a sfruttare i livelli salariali bassi dei paesi nuovi. Basta registrare
un’affiliazione nel paese dell’est o cooptare un’impresa locale e poi mandare i suoi operai
88
Cfr. per questa sezione, C. Joerges, F. Rödl, supra nota 41.
89
Cfr. caso C-346/06, Rüffert ./. Regione Bassa Sassonia, sentenza del 3 aprile 2008.
90
Articolo 137V del Trattato CE riserva il regolamento dei seguenti campi agli stati membri: “paga, il diritto di
associazione, il diritto allo sciopero, e il diritto di imporre delle espulsioni temporanee.”

23
nel paese vecchio in questione. Le sentenze nei due casi chiave, Viking e Laval91,
riconfermano un’asimmetria a favore della commercializzazione sopranazionale contro le
costituzioni sociali dei (vecchi) paesi membri. L’ambiguità sta nel fatto che la Corte,
nonostante i suoi verdetti finali, riconosca ampiamente il diritto allo sciopero e altri
componenti di una rudimentale politica sociale europea. Si direbbe, “è già qualcosa” visto
gli attacchi al diritto di sciopero in patria. Ma questa ‘conquista’ rimane assai vacuo rispetto
allo ‘sottosviluppo’ dell’Unione in campo (che include l’apprezzabile insistenza della Corte
contro la discriminazione di ogni tipo e a sostegno del ruolo della Carta di Nizza 92); sembra
di non poter bilanciare il ‘danno’ che sta nel fatto che la Corte ha lanciato la libertà di
stabilimento del Articolo 43 Trattato CE contro l’auto-gestione normativa delle associazioni
sociali/ sindacali. La Corte applica qui un’importante equazione tra ‘barriere creato dallo
stato’ e qualsiasi produzione di norme nei settori autonomi. Da un lato, questa equazione
significa un ampio riconoscimento delle ‘costituzioni societarie’ e un tendenziale
superamento della distinzione tra pubblico e privato. Dall’altra parte, pare che la Corte
voglia riordinare gli stati sociali nazionali (nel caso Laval proprio quello svedese) non
accettandone certi tratti che ritiene (ormai?) insufficienti per essere una legittima barriera
contro la libertà di stabilimento.
Allora, quale design potrebbe la Corte aver in mente? Pare quasi che voglia dare ora,
di seguito alle sue famose spinte a favore di un’economia sopranazionale 93, una spinta verso
un’ ordine sopranazionale sociale europeo (minimale?) che alla fine riesca ‘dare una regola’
anche ai nuovi stati membri sulla questione sociale trascurata. Allora questa ‘perdita’ per gli
stati vecchi sarebbe dolorosa, ma solamente momentanea? Visto il tendenziale
smantellamento dello stato sociale nei paesi vecchi si potrebbe in effetti scommettere su una
sua riorganizzazione a livello europeo. Le spinte politiche di privatizzazione/
commercializzazione a livello nazionale hanno, fin’ora lasciato temere il peggio. Allora i
movimenti per la politica sociale europea potrebbero trovare un ambiguo sostegno da parte
della Corte? Per ora, un cittadino di uno stato membro vecchio preferirebbe probabilmente,
secondo un vecchio detto tedesco, “il passero (nazionale) nella mano alla colomba (europea)
sul tetto”, soprattutto se quest’ultima è ancora assai magra. Con la crisi dell’attuale che ha
toccato subito in modo pesante parecchi paesi dell’est, un rilancio della governance sociale
potrebbe invece partire dalla difesa di un’autonomia sindacale nazionale, comunque
solamente se rinnovata dall’inclusione e dalla acclamazione del precariato, verso una

91
Sentenza C-438/05, Viking Line Abp OU Viking Line Eesti v The International Transport Workers’ Federation, The
Finnish Seamen’s Union. Sentenza C-341/05, Laval un Partneri Ltd v. Svenska Byggnadsarbetareforbundet, Svenska
Byggnadsarbetareforbundet, Avdelning 1, Svenska Elektrikerforbundet. Vedi la discussione dei due casi in C.
Joerges,F. Rödl, Informal Politics, Formalized Law and the ‘Social Deficit’ of European Integration: Reflections after
the Judgements of the ECJ in Viking and Laval, in: European Law Journal, Vol. 15, No. 1, January 2009, pp. 155 e ss.
92
Vedi G. Allegri, supra nota 37; G. Bronzini, supra nota 36, e la rassegna giurisprudenziale dei tribunali europei,
internazionali e nazionali nel campo dei diritti umani sul sito: www.europeanrights.eu
93
Cfr. l’esempio della famosa sentenza ‘Cassis’, C. 120/78 del 20.0 2. 1979, Rewe/Bundesmonopolverwaltung für
Branntwein,

24
europeizzazione non solo minimale delle politiche sociali, incluso un reddito sociale
europeo di base.94
Alla fine di questa sezione torna ancora in mente quella tesi che lo smantellamento
dei paesi europei orientali avrebbe avuto come effetto lo smantellamento dei regimi
occidentali.95 In fatti, l’Anschluss-Vertrag96 per i nuovi stati membri era stato preparato da
gran parte della troupe degli esperti europei ed americani con un tale fervore neo-liberista da
potersi solo vergognare nei paesi vecchi. Di una ristrutturazione sostenibile di precedenti
garanzie sociali non se ne parlava. Di tutto questo ‘a casa’ ne prendevano atto in pochi
sognando, non la California, ma la Deutschmark-Zone (néanche l’ECU/ Euro-Zone) sui
Balcani. Invece l’impatto del ‘rientro’ (!) delle politiche economiche radicali (dalla flat tax
al social dumping) non ha potuto passare inosservato.
- Vengo finalmente a le parasite (Michel Serres)97: è quello che è sempre seduto a tavola con
noi senza che noi facessimo caso; ma lui sa sfruttare abilmente e velocemente tutte le nostre
mosse strutturali economiche, politiche e giuridiche a suo favore. 98 Questo terzo escluso che
è sempre stato in qualche modo presente nel dibattito precedente è: l’impresa. Anche
quando si parla di banche e istituti finanziari si parla di imprese, non ultimo perché sono a
gran parte organizzate come società per azioni, con la differenza che registrano un alto grado
di regolamentazione – che evidentemente non ha potuto evitare la sua crisi profonda. Al
momento della stesura di queste righe, anche le prime imprese si erano messe in fila per
ottenere il loro piatto di carità dalla cucina comune per i poveri. Si apre cosi un altro campo
di battaglia nella lotta per un’organizzazione sostenibile del comune.99
L’impresa - a tutti gli effetti uno dei protagonisti della crisi in quanto punta di lancio
o ‘macchina di guerra’ (Deleuze-Guattari) dell’ azione commerciale finanziaria globale -
segna allora il primo campo delle ‘costituzioni societarie’ (private) messo in difficoltà. Con
la corporate governance e i codici di condotta auto-regolatori (le banche hanno degli codici
specifici), le imprese (multinazionali) si erano create una rete di regolamenti interni. 100 Non
si poteva però dare per scontato che, con questa forma di auto-organizzazione normativa, le
imprese non avrebbero più prodotto ed esternalizzato degli effetti negativi legati al loro
94
Vedi supra nota 43. Sulla necessità e le chance di un rilancio del movimento europeista, vedi ora P. Krugman, The
Road to Economic Crisis is Paved With Euros. Can Europe Be Saved?, in NY Times, January 12, 2011.
95
Cfr. R. Kurz, supra nota 65.
96
Tra Anschluss (annessione – con riferimento all’annessione dell’Austria ed di altre regioni ‘tedesche’ da parte di
Hitler) o Vertrag (contratto/ trattato) si svolgeva il dibattito intorno l’unificazione tedesca.
97
Cfr. M. Serres, Der Parasit, Suhrkamp, Frankfurt 2008.
98
Nella teoria dei sistemi, si tratta di un atteggiamento parassitario reciproco tra sistemi; ma l’asimmetria a favore
dell’economia/ impresa è stato evidente negli ultimi 20 anni.
99
Vedi J. Dine, supra nota 22; Id., The Governance of Corporate Groups, Cambridge, University Press, 2000; Id.,
Using companies to oppress the poor, in J. Dine, A Fagan, a cura di, Human Rights and Capitalism, Cheltenam:
Elgar, 2006. Id., Rigged risks: why commercial law kills, Lectio Magistralis al Queen Mary College dell’Università di
Londra il 7 maggio del 2008 (in fase di pubblicazione)
100
Cfr. G. Teubner, Corporate Codes multinationaler Unternehmen: Unternehmensverfassung jenseits von Corporate
Governance und gesetzlicher Mitbestimmung, in A. Höland, C. Hohmann-Dennhardt, M. Schmidt, A. Seifert, a cura
di, Arbeitnehmermitwirkung in einer sich globalisierenden Arbeitswelt: Liber Amicorum Manfred Weiss, Berliner
Wissenschafts-Verlag, Berlin 2005, pp. 109 e ss.; versione inglese: The corporate codes of multinationals: company
constitutions beyond corporate governance and co-determination, in:

25
sistema dei profitti (e/ o della rendita!). Si supponeva che soprattutto la pressione
dall’esterno – da ONGs, sindacati, media, organizzazioni internazionali, e enti regolatori
statali – avrebbe potuto portare queste istituzioni private ad una regolamentazione e
applicazione di forme di auto-controllo, magari supportato dall’istallazione di
organizzazioni (globali) di monitoraggio. In Europa si erano creati degli authorities per la
supervisione dei settori finanziari – ”toothless tigers” agli occhi degli insider della City di
Londra.101 La crisi ha mostrato che il famigerato public-private policy mix non è funzionato
o non è bastato, almeno per interi settori, perché accetta l’asimmetria di fondo che privilegia
la gestione (‘corrotta’) a mo’ di mercato, diritti proprietari e rispettivi profitti/ rendite. Anche
la co-gestione operaia, lì dove esiste, non ha fatto nessuna differenza in quanto assorbita
dalla stessa logica. Comunque non a caso la prima reazione dopo l’eruzione della crisi è
stato il ri-lancio di ‘nuovi’ regolamenti,102 tanti dei quali si discutono da anni:
l’organizzazione di un controllo all’interno dell’azienda da parte di supervisori indipendenti,
la riduzione dei salari manageriali e il loro legame con l’andamento dell’impresa su
decisione dell’assemblea generale; l’irrigidimento della responsabilità dei manager, forme
più trasparenti della contabilità, ecc. Qualcuno103 chiede ora una de-corporation (che
decostruirebbe l’in-corporation) e scommette sulla ‘società per accomandita’ come nuovo
modello base per le attività imprenditoriali. (Consiste da un illimitato numero di soci con
responsabilità limitata e senza diritto di gestione e dei soci manageriali con piena
responsabilità privata).
Credo sia difficile di ridurre le possibilità imprenditoriali ad una sola forma di
organizzazione. Ricordiamoci: è assai improbabile che la complessità delle forme sparisca
da un giorno all’altro: Certo, si cercherà di scommettere su forme ‘più piccoli’ di
cooperazione/ cooperative e sul livello locale, anche nel settore bancario. Ma, la forma
organizzativa non è da solo una garanzia per la salute della banca/ impresa come hanno
mostrato i fallimenti/ salvataggi di parecchie banche cooperative (popolari) e casse di
risparmio negli ultimi anni. Dipende dalla veracità degli strumenti usati e dalla ‘filosofia di
base’ che si traduce in responsabilità di gestione. Si deve allora per forza intervenire a
livello di contro-regolamento, per sovvertire le regole intrinseche sfrenate del profitto (e
della rendita) esercitate sulla pelle di individui e di altri ambienti. Potrebbe portare ad una
limitazione della ‘cartolarizzazione’ e dei debiti girati e ad altri strumenti.104
Ma non basterà, come ho accennato all’inizio di questo capitolo. Oltre a pensarci a
nuovi regolamenti (che richiedono, sostengono e controllano degli auto-regolamenti) e
rendono l’abuso della forma impresa e della sua contabilità più difficile 105, si dovrà cambiare
101
Vedi l’intervista ad un broker della City in The Guardian 2008, riportato dall’Internazionale 2008, No.
102
Vedi supra nota 78.
103
Cfr. G. Rossi, Il Mercato d’Azzardo, Milano: Adelphi 2008;
104
Cfr. S. Sassen, supra nota 7; M. Allais, La Crise mondiale d'aujourd'hui. Pour de profondes réformes des institutions
financières et monétaires, Éd. Clément Jugla 1999. La crisi mondiale dei nostri giorni. Per profonde riforme delle
istituzioni finanziarie e monetarie, in:
105
Nonostante la bravura del parasite stia proprio nella sua capacità di anticipare le mosse regolative e di prepararsi
rispettivamente, per esempio facendo dell’impegno comune puramente una campagna pubblicitaria continua.

26
l’intera ‘cultura’ sulla quale si basa, e questa crisi, che si presenta come epocale, sembra una
buona occasione per farlo. Possiamo dire che, con la richiesta di trovare i loro debiti
compensati da un’azione finanziaria comune, le stesse imprese (bancarie) mostrano di
condividere la visione di operare su concessione comune, riconoscono, in altre parole, la
loro dipendenza dal mondo-vita. Quasi ci implorano di sviluppare una nuova forma del
comune che possono poi sfruttare per la loro riproduzione. Allora basta prendere questa
voglia di ‘comunismo del capitale’106 sul serio: Il nuovo principio sarebbe di intendere
l’attività aziendale organizzata, simile a quella di altre autonomie societarie 107, come una
concessione comune che fornisce la base per la sua costituzione. Non penso affatto alla
reintroduzione ottocentesca di un’amministrazione economica che da letteralmente una
‘licenza’; non sarebbe né fattibile, né auspicabile visti i summenzionati problemi strutturali
diversi e la nota corruzione corporativa di questo modello.108 Si tratta invece del distacco
dell’impresa dai suoi ‘soci proprietari’ e il suo riconoscimento come ‘istituzione comune’.
Cerco di descrivere le linee generali di un tale progetto che vedo, per ora, dispiegarsi su due
livelli, la costituzione dell’impresa e l’impresa comune:
- Con la costituzione di un’impresa si crea una separata entità legale che ha dei
diritti e obblighi diversi rispetto alle persone coinvolte (di solito: fondatori, soci, impiegati,
creditori, debitori). Dopo la sua fondazione, la società non trae la sua legittimità solo dai
fondatori e gli altri stakeholders, ma dall’intera comunità interessata nel suo andamento
commerciale. I suoi poteri sono allora una concessione sia da parte delle persone coinvolte,
sia da parte della comunità che coinvolge per ottenere i suoi obbiettivi. 109 Già su questo
livello, l’organizzazione e la condotta aziendali rompono con la distinzione classica tra
diritto pubblico e privato. L’azienda viene giudicato, in primo luogo, rispetto alle sue
funzioni e la sua responsabilità sociali in riferimento all’impatto economico, politico e
sociale delle sue attività a livello locale, regionale, nazionale, ed internazionale.110
La costituzione dell’impresa prescrive che i privilegi della personalità legale e, per le
corporations, della responsibilità limitata saranno comunemente accettate e sostenute
soltanto fin’ché queste entità economiche si impegnano a rispettare e promuovere tutti gli
interessi vitali dei loro ambienti umani, sociali, e naturali. Un tale impegno coinvolge degli
obblighi legali verso soci, impiegati, creditori, debitori, comunità e ambienti locali, e verso i
principi stabiliti e regolati per la vita in comune, dal livello locale a quello globale. Include
perciò anche la creazione di norme interne che inseriscono questo impegno a livello di
regole organizzative che lo rispecchiano nelle procedure decisionali dell’azienda e nelle
strutture della sua gestione del rischio. L’impegno si traduce, in altre parole,
106
Cfr. supra note 63 e 76.
107
Cfr. G. Teubner, supra nota 4.
108
Vedi C. Joerges, supra nota 88.
109
Cosi la teoria della ‘concessione duale’ che si oppone alla classica teoria contrattualistica che privilegia il ruolo dei
fondatori e dei soci in ogni fase e ambito dell’impresa. Cfr. J. Dine, The Governance of Corporate Groups, supra nota
103, p. 27.
110
Cfr. J. Dine, M. Koutsias, M. Blecher, Company Law in the New Europe, Elgar: Cheltenham 2006, Chapter IV, pp.
120 e ss.

27
nell’assegnazione di responsabilità legali procedurali per l’inclusione trasparente di tali
interessi vitali, non ultimo rappresentati dalla società civile/ i movimenti sociali, in ogni
momento del suo ciclo operativo. Queste responsabilità sono dell’impresa in quanto tale
(come corpo finanziario indipendente) e definiscono la sostanza della responsabilità di
governance da parte del management. La costituzione aziendale deve poi essere affiancata
da organi comuni di monitoraggio e controllo con ampie facoltà di accesso.
- L’idea dell’ impresa comune alza, per cosi dire, il tiro combinando i
parametri della costituzione dell’impresa con un intervento sulle fondamenta della società
capitalista, e cioè sul suo sistema di proprietà a livello aziendale. Misure contro questo
sistema sarebbero certamente da prendere su molti livelli con i quali il sistema ha creato
delle (nuove) scarsità; penso, per esempio, alla battaglia contro l’estensione del mondo
brevettabile. Continuo limitarmi all’impresa in quanto deus ex macchina della crisi
contemporanea. L’idea dell’ impresa comune è già apparsa in qualche modello regolativo
nella storia recente. Mi riferisco, per esempio, al modello ex-jugoslavo dell’ ‘impresa a
proprietà sociale’ che è stata smantellata senza riguardo delle sue capacità economiche e
(soprattutto) integrative sociali nel corso dello smantellamento politico e della
privatizzazione neoliberista del paese.111 Il modello si basava su un concetto di proprietà
comune - né statale, né privata - che non era appropriabile da nessun’altro. Non mancava la
proprietà, ma un proprietario identificabile; praticamente si trattava della proprietà invisibile
(‘ideale’) di ogni cittadino. Il gettito di questa proprietà comune era stato definito
politicamente.112 La proprietà comune veniva poi dato quasi esclusivamente ‘in prestito’ alla
gestione da parte degli operai.
Per un adattamento odierno di un tale modello, si potrebbe pensare di attribuire lo
status di proprietà comune almeno ai servizi comuni di base (sanità, trasporti, energia,
acqua, case, formazione, comunicazione, pensioni) senza escludere del tutto delle attività a
proprietà privata in questi campi. Per certe attività invece, come nel caso di fondi pensione
che raccolgono denaro comune per investirlo in altre forme aziendali, si potrebbe anche
considerare un’ obbligo di tale forma di proprietà. La nuova proprietà comune verrebbe
gestito dai corpi (individuali e sociali) coinvolti (operai, sindacati, ONG, pensionati e i loro
fondi, ecc.). Questi ‘membri’ potrebbero essere definiti a livello municipale, regionale, ecc.
Costituirebbero un’assemblea che vota l’amministrazione mantenendo delle funzioni chiave
come la definizione del salario del management e la distribuzione di dividendi/ redditi tra gli
i membri. Subentrano poi tutti i parametri summenzionati della costituzione dell’impresa.

111
Cfr. K. Medjad, Workers’ Control as a source of Customary Ownership Rights: Evidence from the Privatization in
the Former Yugoslav Republics. Relazione all’undicesima conferenza dell’Associazione Internazionale per
l’Economia della Partecipazione, Università Cattolica di Bruxelles, 4-6 luglio 2002. Lo smantellamento si doveva
comunque alquanto al passaggio dal fordismo al post-fordismo e alla finanziarizzazione dell’impresa.
112
La Costituzione Jugoslava del 1974 includeva, per esempio, i mezzi di produzione e altri mezzi del lavoro comune;
la produzione dei redditi risultanti dal lavoro comune; i mezzi per compiere bisogni comuni e sociali generali; le
risorse naturali e i beni per l’uso pubblico.

28
A questo punto, e per toglierne qualsiasi muffa otto- e novecentesca, si può
intravedere una combinazione tra le due componenti: in quanto il nuovo modello della
costituzione dell’impresa non considererebbe più semplicemente i soci (azionisti) come i
proprietari dell’impresa, la società per accomandita, ma anche la società a responsabilità
limitata (la srl nel senso stretto e la società per azioni) costituite in tal modo si presterebbero
ad una combinazione con il concetto dell’impresa comune. Cosi quest’ultima potrebbe
trarre beneficio dalle forme più avanzate e flessibili della corporate governance per seguire
le mosse d’accumulazione. Sarebbe allora una tale società comune a gestire la proprietà
comune nei settori cosi definiti senza ottenerne la proprietà. La potenziale moltitudine dei
gestori diventerebbero allora membri o soci (azionisti) di questa impresa comune in chiave
all’atto fondatore. Non è possibile discutere qui l’idoneità dei vari modelli della corporate
governance moderna e eventuali limiti alla sua flessibilità (auto-gestione, trasferibilità di
quote, ecc.). La scelta del modello idoneo seguirà facilmente la decisione politica che
porterà alla svolta culturale.

- Vorrei concludere con qualche commento sugli “avvocati farabutti”113 o, meglio, sulle
‘pecche’ della loro formazione. In questi tempi di alta flessibilità e costrizione all’ efficienza
economica degli studi universitari ci vorrebbe un’ Onda Anomala speciale per gli studi di
giurisprudenza. Non a caso la formazione giuridica è stata paragonata, già ai tempi della
Repubblica di Weimar, con un’ addestramento di pulci che alla fine non saltano più fuori
dalla loro scatola diventando affidabili componenti di un vero e proprio circo. 114 Gli studi di
giurisprudenza sono tradizionalmente orientati verso il lato ‘immunizzante’ del diritto e non
verso il suo lato ‘sovversivo’.115 Ma la nuova realtà della liquefazione degli standard
scientifici e legali che costringe all’apprendimento permanente (‘a vita’), e la
consapevolezza che anche questo addestramento continuo non è più una garanzia di
sostenere la concorrenza con gli altri – tale scenario del precariato potrebbe facilmente
sfociare nella rivendicazione di ‘più giustizia’, nella riscoperta del Diritto in Movimento e
della rispettiva potenza individuale e collettiva, anche da parte dei giovani giuristi. Allora si
può comprendere perché la formazione giuridica è stata da sempre uno dei più importanti
campi di battaglia per il diritto. Non a caso le rispettive riforme sono soggetto di un dibattito
continuo in tanti paesi europei. La crisi diventa cosi il giusto momento di lotta per la re-
installazione di uno studio che si occupa (del futuro) delle condizioni psico-sociali,
economiche e politiche della produzione delle norme. Solo cosi si può evitare che
l’apprendimento continuo e gli standard liquefatti riempiono i cervelli degli giovani giuristi

113
Cfr. A. Negri, supra nota 67.
114
La metafora del circo delle pulci denunciava una formazione giuridica disegnata per trasformare lo sguardo dei
giovani giuristi sul loro ambiente sociale per adeguarlo sempre di più alla visione dell’amministrazione statale che era
ancora impregnata dalla tradizione anti-democratica. Cosi facendo si garantiva che questa tradizione fosse lanciato da
ministeri e tribunali contro la ricostruzione democratica della società e, in particolare, contro la legislazione
parlamentare ‘proletarizzata’.
115
Vedi sopra paragrafo III, p.

29
con una marea di casistica che gli oscura la vista sull’origine del diritto nella ‘continua
domanda della giustizia’116. Si deve prevenire/ combattere la falsa alternativa attuale tra
università minimale e ‘cluster d’eccellenza’ che porterà nolente volente ad una riproduzione
neo-feudale di elite giuridiche, che sono state tanto combattute per 40 anni a partire dall’
‘apertura’ del 1968 ricostruendo la loro responsabilità democratica e l’abdicazione dal ruolo
della ‘casta’. Per quanto possano darsi un’apparenza ‘critica’, tale istituzioni rappresentano
in primo luogo la concessione(!) di trasformazioni limitate e pilotate da parte dei sistemi
attuali di governamentalià con lo scopo di ‘governare la crisi continua’.
Per quanto riguarda la formazione dei giovani giuristi, si tratta sempre di una specie
di quadratura del cerchio che riflette l’origine paradossale del diritto e trova una situazione
corrispondente negli altri campi di studio e ricerca: gli studenti devono, da un lato, imparare
dei concetti e metodi dottrinali astratti che si sono affermati per la soluzione di collisioni tra
corpi autonomi (individuali e sociali). Dall’altra parte, devono imparare di applicare in
continuazione un ‘osservazione del secondo, ecc. ordine’117, che sospende i standard forniti
per il trattamento di norme e fatti e porta ad un’analisi approfondita del rispettivo ambito
regolatore. Per sviluppare una definizione idonea del comune in questo campo, o per
sviluppare ‘il giudicabile’ (Foucault)118, i giovani giuristi devono allora essere capaci di
leggere le varie teorie sociali e usarle per produrre degli studi di fattibilità e sostenibilità
giuridici che sosterranno la loro decisione. In somma, devono comprendere queste ragioni
altrui per farsene una loro.119
Questo tipo di formazione che getta le basi per una comprensione della rete sociale
‘sottostante’ e per un giudizio sulle conseguenze sociali della decisione giuridica è da
sempre stato l’incubo dei (farabutti) giuristi autoritari tradizionali. 120 Nel frattempo è
diventato l’incubo dei (farabutti) giuristi che si vedono esecutori della commercializzazione
neo-liberista sfrenata. Che ci sia da sempre stata una connessione tra le garanzie istituzionali

116
Cfr. ancora R. Ciccarelli, supra nota 19.
117
Cfr. H. v. Förster, supra nota 15.
118
Cfr. R. Ciccarelli, sulle orme di Foucault, supra nota 116.
119
Dovrebbero tener conto del fatto che tutte le teorie sociali hanno un loro ‘punto cieco’, la loro selettività costruttiva,
che non può captare i fenomeni personali e sociali nel loro complesso perché non c’è un punto privilegiato dal quale si
possa osservare tutto ‘oggettivamente’. Lo stesso paradosso sostituisce questo punto di vista. Nonostante ciò, la
decisione tra queste teorie non comporta la caduta in un relativismo bieco. Né c’è rivendicazione di una super-teoria.
Da un lato, c’è il riconoscimento di uno ‘spazio vuoto’ lasciato dalla costruzione teorica che il diritto usa in
continuazione per creare un ‘plusvalore normativo’ derivante da una continua reciproca irritazione e da un confronto
continuo delle teorie sociali rispetto al contesto sociale rilevante e ai problemi connessi. Così facendo, il diritto crea
un’altra (la sua propria) teoria sociale che riflette la sua funzione sociale normativa di ‘produrre giustizia’. Dall’altra
parte, la stessa teoria del diritto contiene un ‘pre-giudizio’ intrinseco rispetto alla sua affinità normativa con quelle
teorie che implicano la trasformazione permanente dei poteri stabiliti precedentemente. Ricordiamo che il bisogno di
una concreta ‘ricombinazione’ contestuale delle teorie deriva dal compito normativo del diritto di produrre in
continuazione degli standard che compensino la restrizione di possibilità delle autonomie coinvolte. Il diritto non
obbedisce allora al disegno di quelle teorie sociali, ma sviluppa il suo proprio disegno.
120
Ricordo la famosa battutta di E. Forsthoff, cresciuto professionalmente nel nazismo tedesco e diventato poi uno dei
protagonisti del diritto amministrativo tedesco del secondo dopo guerra: “giuristi devono avere i loro metodi ma non
averli a disposizione.“

30
autoritarie e le politiche (neo-) liberiste sapeva anche Carl Schmitt quando elogiava
‘l’economia sana nello Stato forte”.121 Accogliamo la chance per buttarli fuori rotta.

121
Cfr. C. Schmitt, Gesunde Wirtschaft im starken Staat, Schriften des Langnam-Vereins 1932.

31

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