Ci siamo lasciati sottolineando come la scelta del colore, per la pellicola Sacco e Vanzetti del 1971 di
Giuliano Montaldo, insieme alla scelta di far rientrare questo film nel genere, nel dramma giudiziario sia
frutto di un compromesso con il quale Montalto scende a patti con la produzione. Lui avrebbe voluto girare
la pellicola tutta in bianco e quindi più orientarsi verso un film inchiesta, più a un film documentaristico che
di finzione rispetto, appunto, alla linea di questo film che appartiene a un tipico genere hollywoodiano.
Non potendo far questo, raggira la questione togliendosi uno sfizio, ovvero, aprire e chiudere il film in
bianco e nero allo scopo di dare allo spettatore la sensazione di entrare ed uscire dalla sala, di iniziare e di
concludere la proiezione davanti a un grande schermo, davanti a un piccolo schermo televisivo, davanti a
uno schermo di computer avendo assistito a questo tipo di film. È un escamotage che, a distanza di tempo e
verificato attraverso alcune indagine, osservazioni e analisi varie, effettivamente funziona. A distanza di
tanto tempo stesso gli spettatori ricordano di questo film come un film in bianco e nero, quasi ne
dimenticano, quindi, l'elemento di genere processuale a colori. Gli inserti in bianco e nero, però sono tre e
sono posizionati esattamente nel prologo e nell’epilogo del film ma , anche nel mezzo:
Il primo è quello di apertura del film. Una ricostruzione plausibile e verosimile di una tipica razzia,
retata che in questo caso si svolge al Circolo dei lavoratori italiani e che è uno dei tanti raid che
rientrano nella politica di repressione dell’allora ministro della giustizia, Alexander Mitchell Palmer.
Una repressione perché è in corso, in maniera abbastanza accesa e violenta, tra il 1919 e il1920.
Questo lo testimoniano anche le prime pagine di giornali della stampa quotidiana di allora che, in
apertura del film vengono inquadrati in successione con titoli forti riportati in prima pagina che, nel
film verranno sottotitolati in italiano.
Tra questi titoli leggiamo scritto anche quello di Intollerance 1920: intolleranza legata agli anni 20 in
America. Intollerance 1920 avrebbe dovuto, peraltro, essere il titolo che inizialmente e
provvisoriamente Montaldo aveva pensato per questo film, rendendo esplicito omaggio a un
capolavoro del cinema muto hollywoodiano che è il film muto di David Griffin ‘’Intollerance’’. Un
grande affresco sul tema dell’intolleranza attraverso i secoli e nell'intera Storia dell’umanità.
Il secondo inserto in bianco e nero è, appunto, quello nell’intermezzo e lo abbiamo durante la
proiezione al Comitato di difesa per Sacco e Vanzetti, alla presenza di Virginia Vanzetti (Armenia
Balducci) e di Rosa Sacco, moglie di Nicola (Rossana Fratello) che assistono alla proiezione degli
autentici filmati muti relativi alla mobilitazione di massa che , in tutto il mondo, avviene a favore di
Nick e Bart e dunque a favore dei due condannati. Una mobilitazione planetaria che si estende da
Chicago, San Francisco e New York fino a Londra, Parigi ribalzando in tutta Europa.
Il terzo e ultimo inserto in bianco e nero è quello che abbiamo alla fine del film quando i due
condannati passano dal braccio della morte alla sedia elettrica dove a turno avviene l’esecuzione.
Questi tre inserti sono significativi anche dal punto di vista cine-musicale. Sono anche un esempio di
perfetto connubio tra colonna visiva ( le immagini e le inquadrature che vediamo) e la colonna acustica. Dal
momento che sono gli unici tre momenti in cui si inserisce la ballata del film: ‘The ballad of Sacco and
Vanzetti’, scritta e composta dalla cantante, attivista statunitense Joan Baez e dal maestro Ennio Morricone,
recentemente scomparso. Quest’ultimo è stato una grande di colonne sonore cinematografiche di cui,
solitamente, si ricordano quelle per gli Spaghetti western di Sergio Leone.
Occorre dire, con esattezza, che in verità Morricone scrivere dapprima la partitura, già però pensando che
ad eseguirla doveva essere proprio Joan Baez. La scrive proprio pensando alle sue doti vocali ed esecutive,
in perfetto accordo con Montaldo. Dopodiché riescono a far arrivare all'artista americana la partitura e lei
aggiungi i versi della ballata ispirandosi alle lettere scritte dal carcere dei due condannati. Di questa ballata
noi ricordiamo, solitamente, solo quello che arriva alla fine del film, ovvero solo i refrain:
Here's to you Nicholas and Bart The last and final moment is yours
Rest forever here in our hearts That agony is your triumph!
È un ritornello di tre minuti che ripete sempre gli stessi versi e che sottolinea, alla fine, il senso di questo
film rendendo questo sacrifico di Nicola e Bart, perché emigranti ed anarchici, immortale nella memoria
tempo. È ritornello molto importante, anche perché è diventato nel tempo un inno dei diritti civili e viene
spesso usato come inno contro la pena di morte che, ancora oggi è in vigore in molte parti del pianeta. Nel
film questo refrain lo usiamo soltanto in chiusura, quando cominciano a scorrere i titoli di coda. È la quarta
e ultima parte di una ballata molto lunga che è divisa in tre parti, le tre parti che Montaldo combina
perfettamente con i tre inserti in bianco e nero. In questo senso, rafforzando ancora di più la trama e il
senso stesso della pellicola.
La prima parte corrisponde al prologo, quindi all’apertura della ricostruzione verosimile del raid al Circolo
dei Lavoratori italiani che si conclude con l'arresto e l'omicidio di Sansego. Questa prima parte è, a tutti gli
effetti, una vera e propria liturgia, preghiera che Baez dedica ai perseguitati nel mondo, agli emigranti
italiani d’America d’allora. Infatti recita:
“Portatemi i vostri stanchi e i vostri poveri
le vostre masse riunite per respirare libere
i rifiuti scartati delle vostre rive affollate
mandateli, i senzacasa, quelli colpiti da tempesta, da me”
Benedetti siano i perseguitati
e benedetti siano i puri di cuore
benedetti siano i misericordiosi
e benedetti siano i portatori di lutto
Il passo è difficile che strappa le radici
e dice addio ad amici e famiglia
i padri e le madri piangono
i bambini non possono capire
ma quando c’è una terra promessa
i coraggiosi andranno e gli altri seguiranno
la bellezza dello spirito umano
è la volontà di provare i nostri sogni
e così le masse si affollano attraverso l’oceano
in una terra di pace e speranza
ma nessuno udì una voce o vide una luce
e furono sbattuti contro la riva
e nessuno fu accolto dall’eco della frase
“alzo la mia lampada dietro la porta d’oro”
I versi richiamano, chiaramente, la Golden Door e la Statua della Libertà con la fiamme che illumina
l’ingresso in America e quindi rievoca i versi della poetessa Lazarus, posti sul basamento della Statua.
Questi elementi contribuiscono alla traumaticità e alla forza di questo momento tra cui, sicuramente la
colonna sonora. I versi di questa ballata che sono in una perfetta simbiosi, danno una forza in più alla
narrazione insieme ad altri elementi in più come, per esempio, questo montaggio molto rapido con cui
rappresentato questo assalto, questa violenza con gente bastonata, pestata a sangue insieme a questo
bianco e nero un po’ sgranato della fotografia che da questa sensazione di documentazione di un evento
dell’epoca insieme ad una successione del dettaglio (ripresa particolare di un oggetto o di una parte del
corpo umano) delle prime pagine dei quotidiani. E quindi, proprio il commento musicale in versi di Baez
accompagnano questo momento di abuso della polizia americana nei confronti degli emigranti italiani,
contraddicendo quello che dovrebbe essere il mito della terra promessa che accoglie tutti e illumina con la
lampada il cammino degli emigranti.
La seconda parte di questa ballata si ispira, in particolare, ad alcuni stralci di una lettera che Vanzetti scrisse
dalla sua cella al padre ed è abbinato a quell’intermezzo in bianco e nero in cui assistiamo alla proiezione
dei filmati muti di repertorio nei pressi del comitato difesa di Nick e Bart. In particolare, abbinata a Vanzetti
perché il comitato fu messo su per volontà di un amico intimo di Vanzetti. Mentre vediamo scorrere le
immagini quello che udiamo è:
Sì Padre, son carcerato
Non aver paura di parlare del mio reato
Crimine di amare i dimenticati
Solo il silenzio è vergogna.
Ed ora ti dirò cosa abbiamo contro di noi
Un’arte che è stata viva per secoli
Percorri gli anni e troverai
cosa ha imbrattato tutta la storia. […]
La terza parte della ballata è abbinata all'ultimo inserto in bianco e nero che si apre ancora con
manifestazioni e assembramenti di folle oceaniche che manifestano a favore di Nick e Bart, spesso represse
dalla carica della polizia. Qui la ballata ripete le stesse parole che Sacco, nel braccio della morte, scrive a suo
figlio Dante di appena 6 anni:
Figlio mio, invece di piangere sii forte
sii coraggioso e conforta tua madre
non piangere perché le lacrime sono sprecate
non lasciare che anche gli anni siano sprecati
Perdonami figlio, per questa morte ingiusta
che ti porta via tuo padre
perdona tutti coloro che sono miei amici
io sono con te, quindi non piangere
Fermo restante che ognuna di queste parti della ballata è più lunga, rispetto al momento in cui lo stesso
Montaldo la interrompe, qui le parole contate da Baez sono le stesse che si sentono recitate in voce fuori
campo da Sacco che, nel chiedere al figlio di perdonarlo per una morta tanto ingiusta, gli lascia in eredità il
testimone. Quel verbo anarchico di cui dovrà essere portatore; questo lo fa dicendo ‘’ricorda figlio, non
tenere la felicità dei giochi tutta per te. Devi essere amico del perseguitato, dell’oppresso’’. Non a caso
conclude la missiva dicendo: ‘’Possono bruciare i nostri corpi oggi ma non possono distruggere le nostre
idee. Esse rimangono per i giovani del futuro e ai giovani come te.’’
Questo è un po’ quello che dice, in fondo, Vanzetti nella sua ultima arringa di autodifesa, in particolare
quando al termine rivolgendosi al giudice Tyler, Vanzetti dice:
Quando le sue ossa, signor Thayer, non saranno che polvere, e i vostri nomi, le
vostre istituzioni, non saranno che il ricordo di un passato maledetto, il suo nome –
il nome di Nicola sacco – sarà ancora vivo nel cuore della gente. Noi dobbiamo
ringraziarvi. Senza di voi saremmo morti come due poveri sfruttati: un buon
calzolaio, un bravo pescivendolo... e mai, in tutta la nostra vita, avremmo potuto
sperare di fare tanto in favore della tolleranza, della giustizia, della comprensione
fra gli uomini. Voi avete dato senso alla vita di due poveri sfruttati.
Ovviamente, dopo la morte, Sacco e Vanzetti diventano un simbolo di quella che è stata la loro lotta a
favore della tolleranza e della giustizia. È una requisitoria e l’ennesima prova del talento e della bravura di
Gian Maria Volontè. Restituisce il senso di una recitazione per la quale Volontè lavora, in maniera
maniacale, per cui riscrive le battute, studia le pause, le flessioni di quella sua arte e disciplina della
recitazione per cui arriva a quel terso quadernetto che Montaldo definisce una sorta di spartito, dove lui
lavora molto sugli sguardi, movimenti, la gestualità. Montaldo decide di assecondare questo saggio di
recitazione, in un momento così importante per la vita e la condanna che sarà di Bartolomeo Vanzetti.
Decide di farlo in continuità, senza tagli né stacchi; con la macchina da presa fissa sulla mezza figura, quindi
dalla vita al volto di Gian Maria Volontè effettuando solo un movimento di carrello all’indietro che apre
l’inquadratura su Volontè ma anche su Sacco e sull’altro rappresentate dell’ordine.
All’inizio pare che Montaldo avesse studiato di riprendere questa autodifesa attraverso un’altra soluzione
più convenzionale e classica. Invece che del montaggio di continuità, si pensava di effettuare un primo
piano su Gian Maria Volontè e poi staccare inquadrando anche chi lo ascolta, quindi alternativamente il
giudice, Sacco, la moglie di Sacco etc. Questo avrebbe permesso di spezzare la difesa e di avvalersi, magari,
delle inquadrature, dei mezzi piani migliori estrapolati però da diversi ciac battuti.
A suggerire di realizzare questa ripresa in totale continuità è lo stesso Volontè, attore e autore di se stesso;
talmente innamorato del suo lavoro da collaborare alla pari dei registi.
Volontè prima di convincere Montaldo ad adottare questa risoluzione, da una prova di come lui intende
girare la sequenza in camerino prima del ciac. Al momento delle riprese il primo ciac avrebbe funzionato
alla perfezione, talmente Volontè lo ha studiato nei minimi particolari se non fosse di una delle due guardie
inquadrate che sentendo la requisitoria di Vanzetti a stento trattiene le lacrime.
Oltre alla ballata di Joan Baez su musica di Ennio Morricone, ci sono state ballate e canti scritti per Sacco e
Vanzetti da esuli italiani, poco prima della condanna per cercare di far breccia sull’istituzione affinché li
graziassero. Ci son stati delle ballate americane di Woody Guthrie; di Sacco e Vanzetti ci sono molte
pubblicazioni, libri ma anche la storia che viene riportata tramite fumetti dipinti etc.
Per concludere, l’iter distributivo di Sacco e Vanzetti del 1971 diretto da Giuliano Montaldo non fu affatto
facile come ricorda lo stesso regista in un’intervista. All’inizio quando il film esce alla prima uscita e
distribuzione nelle sale americane, la stampa nazionale cerca di mal-predisporre gli spettatori americani nei
confronti di questa pellicola diretta da un regista che definiscono bugiardo, italiano, innocentista e
presumibilmente anarchico come i protagonisti stessi. Salvo poi doversi smentire e ricreder, 6-7 anni dopo,
quando nel 1977 finalmente a 50 anni da quella tragica esecuzione i due vengono riabilitati. Viene
riconosciuta la loro innocenza.
Montaldo dice che, in questa intervista, a fare da propulsore a questa riabilitazione è stata anche la sua
pellicola che sollecita, subito dopo, gli studenti di giurisprudenza a Boston a rivedere il caso, a ristudiare
tutti gli atti processuali per sottoporre a una nuova ricca documentazione al neogovernatore del
Massachussetts che procede a questa riabilitazione attraverso una cerimonia istituzionale a cui è presente
lo stesso Montaldo. Momento molto importante in quanto nell’aula si alzò un signore che andò ad
abbracciare il regista: si trattava di un nipote di Sacco che vide quella riabilitazione come giustizia fatta.
Lezione 10
A proposito di Sacco e Vanzetti faremo, evitabilmente, un excursus alla bio-filmografia relativa a Giuliano
Montaldo. La volta scorsa abbiamo fatto riferimento a quello che è avvenuto dopo la tragedia di Sacco e
Vanzetti, per la quale abbiamo ricordato, in particolare, che il film di Montaldo del 1971 ha permesso, di lì
ad altri 6 7anni (1977) quindi a 50 anni dalla tragica esecuzione sulla sedia elettrica, di riconoscerli
finalmente innocenti e di procedere a una vera e propria cerimonia relativa alla loro riabilitazione. Per
rimanere, però, a quello che accade immediatamente dopo la tragedia, quindi, per tornare all'America della
fine degli anni Venti è molto importante visionare il momento della marcia del dolore che ha luogo una
settimana dopo l'esecuzione di Sacco e Vanzetti, alla presenza di circa 25000 persone. Una folla, quindi
ancora una volta davvero oceanica come abbiamo già avuto modo di vedere attraverso i filmati di
repertorio; sono quegli assembramenti e quelle piene di piazza che caratterizzano e che ruotano intorno
alla vicenda dei due italiani.
È importante sottolineare la quantità di gente che si mobilita a favore di Nick e Bart perché ritenuti
innocenti e proprio per questo si cerca in tutti i modi di salvargli la vita. Quella stessa folla oceanica si
riunisce in occasione dei funerali che avvengono il 28 agosto 1927. La folla si riunisce fin dalle prime luci
dell'alba ed inizia ad affluire numerosa nel quartiere italiano di Boston, sotto lo sguardo vigile della polizia.
Ovviamente il filmato è muto e viene riproposto dalla piattaforma YouTube. (cercare)
La partecipazione fu allora davvero imponente. Il filmato sembra lungo ma, in realtà, sono poche immagini
di quello che si è riuscito a salvare e a far sì che rimanessero a testimonianza integra, nonostante i tentativi
di un’ordinanza governativa statunitense che allora tentò di eliminare qualsiasi reperto di questo genere,
includendo qualsiasi documento cinematografico.
Due settimane dopo l’esecuzione - il 3 settembre 1927 – fu annunciato che il caso di Sacco e Vanzetti, in
effetti, è da considerarsi ormai chiuso e terminatosi con l'esecuzione dei due:
Il caso è chiuso agli schermi volontariamente. L'industria cinematografica farà la sua
parte per mettere fine al caso ignorandolo sullo schermo. Le pellicole conservate negli
archivi verranno bruciate.
Il caso è chiuso, finalmente, per coloro che hanno portato Sacco e Vanzetti sulla sedia elettrica. Ma questo
avviene, appunto, solo in parte; esattamente sentiamo dire a Sacco – Riccardo Cucciolla - alla fine del film e
in una voce fuori campo: ‘’Bruceranno i nostri corpi ma non bruceranno le nostre idee’’. In qualche modo
non riusciranno a fermare, per fortuna, il propagarsi della memoria intorno al caso di Sacco e Vanzetti. Sulla
vicenda di Sacco e Vanzetti, ci sono anche altri canti e ballate oltre la ballata scritta da Joan Baez su musica
e partitura musicale di Ennio Morricone che è la colonna sonora del film di Montaldo.
Dunque, esistono canti e ballate scritti per e sui due emigranti anarchici italiani giustiziati in America. Si
intende per i due quando erano ancora vivi e anche in molti hanno cercato di creare dei canti per far sì che
venissero ancora graziati. Si intende sui due, invece, quando ormai la tragedia si è consumata, l’esecuzione
è avvenuta per mantenerne viva la memoria. Ad esempio a scrivere una ballata per i due è stato un
musicista napoletano – Alfredo Bascetta - una ballata che si chiama ‘’Lacrime e’ cundannate’’.
È un brano che, come nel caso del brano di Gioiosa Trubia, fa parte di quei repertori discografici etnici,
realizzati negli Stati Uniti a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento, da artisti italiani esuli in America per
connazionali immigrati. Questo canto Alfredo Bascetta lo incide a New York il 5 maggio 1927 (100 giorni
prima della esecuzione del 23 agosto) sperando di far breccia sul governatore Fuller e indurlo, quindi, a
fermare questa condanna a morte:
Sta tutt’o munno sane arrevutate su’ rassegnate già
pe’ Sacco e pe’ Vanzette cundannate e dint’a cella aspettano
e chi vigliaccamente l’ha ‘nfamate ca Dio l’ha da salva'
mai ‘n’or’e pace nun ha da truva’
‘A tutt’e part’arrivano
proteste ‘n quantità
facenn’appello cercano
de farl’aggrazia’
Dopo sett’ann’e pena carcerate
fra vita e morte chiste sventurate
mo’ ca ‘a cundanna l’hanno cunfermate
non c’è sta mezzo pe’ e pote’ salva’
Sul’o governatore
giustizia le po’ ffa
si Dio ce ‘o mmette ‘n core
a grazia le farrà
So’ state senza core tutte quante
pure e’ giurate ma che ‘nfam’e gente
Nun senten’e ragione e’ chi è innucente
ma nun è giustizia no è ‘na viltà
Sti sfurtunate chiagnene
Accanto a questa, Bascetta ne scrive altre tre sempre dedicate ai 2 emigranti anarchici e si intitolano:
‘’Lettera a Sacco: P'o figlio suoio’’, ‘’ E figlie 'e nisciune’’e l'ultima ‘’Core nun chiagnere’’.
La prima è Lettera a sacco, quindi è sempre sull'ultima missiva che Sacco scrive a Dante dal braccio della
morte che è, esattamente, come nel finale della film di Montaldo e come riporta anche la terza e ultima
parte della ballata abbinato al terzo e ultimo inserto in bianco e nero nell'epilogo del film. La seconda,
invece, è ‘’E figlie ‘e nesciune’’ è scritta da Bascetta contro il governo fascista che allora non mostra alcun
interessamento alla vicenda dei due perché il regime stigmatizzava gli italiani come dei traditori della
patria. Insomma non sono stati abbastanza tutelati dalla dalle forze governative italiane di quel momento.
La terza è ‘’Core nun chiagnere’’ ed è stata scritta, quando ormai in verità tutto è già avvenuto e quindi i
due sono stati uccisi. Pertanto il cuore del titolo non può che piangere per questa triste sorte.
Sacco e Vanzetti è anche un omonima ballata popolare anonima, scritta in contemporanea al
pronunciamento della condanna, proprio prima che i due da braccio della morte fossero condotti sulla
sedia elettrica. È una ballata che Francesco De Gregori, insieme a Giovanna Marini, ha inciso nel 2002
all'interno dell’album che si chiama: ‘’Il fischio del Vapore’’.
Tutto il mondo intero reclamava la loro innocenza. Ma appunto invece le forze governative americane non
ebbero clemenza. È anche coerente negli ultimi versi di questo brano che è, quindi, un po' una cronaca di
quella che sono state le ultime ore di Sacco e Vanzetti all'interno del braccio della morte. L’idea che arrivi
un confessore affinché loro confessino i loro peccati. Invece Sacco e Vanzetti rifiutano di essere confessati,
quindi non si riconoscono nella religione e rinnegano, di fatto, il re ma non la patria. Anche qui si tratta di
una presa di posizione abbastanza forte.
Siamo italiani, ma a non ci riconosciamo in questo re e quindi poi nello stato monarchico dell'Italia; la
nostra fede è l'unica fede in cui ci riconosciamo che è quella dell' anarchismo. Tanto è vero che nel finale
del film Bartolomeo Vanzetti (Gian Maria Volonté) di fronte ai presenti che assistono all’esecuzione dice:
‘’Viva l'anarchia’’.
Dalle ultime ricostruzioni, fatte dagli storici, degli ultimi istanti di vita di Sacco e Vanzetti, sembra che
quest’ultima frase l'abbia pronunciata Nicola Sacco. Comunque, queste sono ricostruzioni di quello che si
pensa siano state le ultime ore dei due che segnano il passaggio dal braccio della morte al momento
appunto della sedia elettrice.
Anche Woody Guthrie cantore dei deboli e degli esclusi. È un cantautore folk statunitense che tran il 1946
1947, quindi vent'anni dopo l'esecuzione, dedica a Sacco e Vanzetti una decina di ballate. Quindi dà voce a
questi due poveri emigranti italiani anarchici condannati innocenti, così ha dato voce agli emarginati, ai
dimenticati cancellati dalla terra. Sono ballate molto lunghe con le quali Guthrie cerca di tenere desto in
senso il senso di indignazione umana che la vicenda porta con sé.
A commissionargli questi 10 ballate fu il discografico Moses Ash che aveva, tra i suoi principali obiettivi
quello di far raccontare e cantare i più importanti avvenimenti storici americani dai migliori artisti
statunitensi. Per l'occasione Guthrie si trasferì appositamente a Boston, cercando di trarre ispirazione
direttamente dalla città dove si è consumata la tragedia. Poi incise le Ballate negli studi di Ash che vennero
pubblicate dalla Folk Ways in una raccolta chiamata ‘’Ballads of Sacco e Vanzetti’’. Sono considerate da
molti cultori di questo cantautore come tra le sue più intensi e toccanti realizzazione musicali, all'interno
delle quali Guthrie esprime chiaramente un’abile capacità investigativa; nell' investigare il più possibile
intorno a questa vicenda, una sensibile attenzione ai dettagli e una capacità di calarsi proprio nei luoghi e
nell'atmosfera dell'epoca. Sono ballate che cerca di scrutare dentro l’animo sia delle vittime che,
ovviamente, sono i soggetti principali della sua attenzione, ma di soffermarsi anche un po' su quello che
può essere passato per la mente e l'animo di carnefici e quindi soffermarci anche sull'amaro senso di una
giustizia che colpevolmente tradita.
Le Ballate sono come nello stile di Guthrie, sono delle vere e lunghe narrazioni e dei lunghi racconti, quindi
essendo molto lunghe entrambe prese da questa pubblicazione che si chiama le canzoni di Woody Guthrie,
curata da Maurizio Bettelli per la Feltrinelli nel 2008.
Nonostante quello che, al termine di questa ballata, Guthrie si augura ovvero che i cittadini bostoniani
reagiscano, essi non tirarono giù dallo scranno il giudice Thayer e non lo inseguirono per le vie cittadine. Ma
questa idea di Guthrie rimase in testa perché poi, in realtà, buttò giù una lettera autografa che pensò
inviare a Thayer. In realtà fu un pensiero più ideale che reale ma questa lettera è stata poi ritrovata negli
archivi della Folk Ways nel 1992 e lui, tra le tante parti che si leggono, scrive rivolgendosi a Thayer:
Avrei voluto dipingere un quadro con le scariche elettriche per farti vedere, giudice
Thayer, l'errore che hai commesso.
È un dipinto che poi pensa e si augura che possa essere visto dalla gente comune in meno tempo di quello
che Thayer hai impiegato per dare la scarica di corrente e ridurre al silenzio le voci di Sacco e Vanzetti.
Silenziare la voce di Sacco e Vanzetti per Guthrie vuole dire liberare le loro anime. Infatti, in un'altra ballata
che si intitola ‘’Souls of Boston’’, il cantautore chiede gli abitanti della Vecchia Boston, in quanto diventò
una buia città vecchia proprio quando abbassarono l'interruttore quella notte di agosto, di onorarli e di
chinare il capo di fronte a Sacco e Vanzetti che in un’altra ballata considera due uomini per bene.
La ballata, infatti, si intitola ‘’Two Good Men’’ e anche qui recita e canta:
Due bravi uomini scomparsi da tanto tempo
due bravi uomini scomparsi da tanto tenpo
(due bravi uomini, oh da tanto tempo scomparsi, scomparsi)
sacco e Vanzetti, scomparsi da tanto tempo
mi hanno lasciato qui a cantare questa canzone. (pdf)
il nome di Sacco Vanzetti risuona nelle ballate di Guthrie, di Gabriele Morricone, di Bascetta etc. è una
storia che poi è stata narrata benissimo dal film di Montaldo e anche ovviamente riportata in libri
attraverso le lettere dal carcere dei due o attraverso rappresentazioni teatrali, ma anche molto altro. Per
esempio nel 1931-32 un pittore lituano esule americano Ben Shahn realizza questi dipinti ‘’Detention of
Sacco and Vanzetti’’.
È molto interessante anche una recente graphic novel di un artista di Rick Gary dedicata, appunto, sempre
alla vicenda di Sacco e Vanzetti.
Inevitabilmente, per concludere è importante fare un breve excursus a quella che è la bio-filmografia di
Giuliano Montaldo. Quest’ultimo nasce a Genova, il 22 febbraio del 1930 e avendo compiuto 90 anni è
chiaramente una filmografia molto lunga.
Essendo nato nel 1930 l'infanzia e l’adolescenza di Montaldo è segnata dalle vicende legate alla dittatura
fascista, al regime mussoliniano, alla guerra e quindi, poi, alla resistenza e alla lotta partigiana. Questo fin
da giovanissimo ha sviluppato in Montaldo uno spirito chiaramente antifascista e pacifista e una certa
militanza politica e impegno civile che, poi, si ritrovano perfettamente rispecchiati all'interno del suo
cinema e della sua lunga filmografia. All'inizio Montaldo a Genova frequenta l'istituto per geometri e
pratica un po' di teatro amatoriale nella parrocchia di quartiere dove è nato e dove vive, appunto, i primi
suoi anni.
Più che una vocazione di regista ha una vocazione attorica ed è, in effetti, durante una recita in una di
queste messinscene dilettantistiche che, Carlo Lizzani - altro noto regista del cinema italiano – lo nota e lo
scrittura per attribuirgli la parte di partigiano in azione alle porte di Genova. Quest’occasione sarà per
entrambi il debutto cinematografico che avviene per Montaldo, nel 1951 a soli 21 anni, come attore di una
film che è l'opera prima di Carlo Lizzani, intitolato ‘’Acthung! Banditi’’. Dopodiché come molti registi, per
poter intraprendere la carriera anche soltanto artistica e poi si definisce meglio come carriera
cinematografica, anche Montaldo deve trasferirsi a Roma. Qui tramite le conoscenze, molti frequentano il
centro sperimentale che è la scuola di Roma di via Tuscolana davanti a Cinecittà, è una scuola di formazione
per chi vuole svolgere questo mestiere. Erano, inoltre, anni quelli (anni 50/anni 60) in cui essere a Roma ed
entrare un po' nell'ambiente e frequentare le persone giuste poteva voler dire anche svolgere
semplicemente una Gavetta, magari come aiuto regista come assistente alla regia, buttando giù le prime
forme di soggetti per poi riuscire a passare dietro la macchina da presa.
Questo è un po' quello che accade anche a Montaldo che, per esempio, diventa amico di Gillo Pontecorvo
che lo affianca un po' come tuttofare, come aiuto assistente alla regia fin dal suo primo medio-metraggio
che si chiama ‘’Giovanna’’ del 1956. Si tratta di un film sull'occupazione femminile all'interno di una
fabbrica tessile. Pontecorvo, che non ha realizzato moltissimi film, è noto soprattutto per due grandi
capolavori che sono ‘’Kapò’’ del 1960 su un lager nazista e ‘’La battaglia di Algeri’’ del 1966, film che vinse il
Leone d'Oro a Venezia, sulla lotta di liberazione dall'imperialismo francese della capitale algerina del 1962.
Grazie a questa esperienza sul set, matura in Giuliano Montaldo la consapevolezza di avere un certo
talento, soprattutto nella scelta e nella selezione degli attori. A quel punto decide di passare alla regia,
quindi, di passare dietro la macchina da presa in questo senso riuscendo, a combinare la prima ispirazione
che è quella di attore con quella di regista. Il debutto avviene A 31 anni, nel 1961 con questo film che si
chiama ‘’Tiro al piccione’’.
Avviene in un momento molto particolare della cinematografia italiana, nella cosiddetta Età dell'oro
(Golden Age) degli anni 60. È un'età che si apre con tre grandi capolavori della storia cinematografica
italiana che sono: ‘’La dolce vita’’ di Federico Fellini, ‘’L’avventura’’ di Michelangelo Antonioni e ‘’Rocco e i
suoi fratelli’’ di Luchino Visconti. I cosiddetti Super Colosso d'autore, che hanno la capacità di essere film
con elementi di grande autorialità - tre grandissimi maestri – ma anche con una grande capacità attrattiva;
non sono film di nicchia ma sono film che hanno una grande risonanza e partecipazione direttamente in
sala da parte degli spettatori. Sono film che raggiungono anche degli incassi veramente degni dei grandi
colossal hollywoodiani.
Gli anni sessanta sono anche gli anni dei grandi macro-generi cinematografici italiani: la commedia
all'italiana. Pensiamo a film come ‘’Divorzio all'italiana’’ di Pietro Germi, ‘’Il sorpasso’’ di Dino Risi, ma sono
anche gli anni dello spaghetti western e gli anni in cui si afferma soprattutto Sergio Leone. Ma sono anche
gli anni di quella che si chiama e viene definita la Nouvelle Vague all'italiana.
Un po' in tutto il mondo, negli anni 60, si affermano forme di nuove avanguardie, di nuove ondate
cinematografiche. In Europa la più importante è sicuramente la Nouvelle Vague francese che ha origine
sulla spinta di alcuni critici cinefili, che scrivono e imparano a conoscere il cinema visionando
maniacalmente film in sala; fra i tanti nomi, ad esempio, a Francois Truffaut, Jean-Luc Godard che danno
vita, quindi a questa nuova ondata per il Nuovo Cinema giovane che si contrapponga al ‘’cinema de papa’’
(cinema del passato), al cinema che dia la possibilità a giovani autori, giovani registi di poter realizzare film
a basso costo, sulla spinta di una nuova poetica e politica ovvero la cosiddetta ‘’Politique des auteurs’’.
In Italia, non ci può essere una Nouvelle Vague simile a quella francese perché in Italia non si può andare
contro i grandi maestri, i padri del cinema italiano, se sono Fellini, Visconti e Antonioni.
Però su quella spinta di un rinnovamento cinematografico europeo e poi in tutto il mondo, ci sono dei
produttori illuminati - uno fra tutti Goffredo Lombardo della Titanus - che intraprendono una nuova politica
imprenditoriale e industriale cinematografica che è quella di favorire il debutto di giovani registi esordienti,
magari dare la possibilità di realizzare un'opera prima con film a basso costo.
Sulla scia di questa nuova nouvelle vague all'italiana dove, quindi la politica più che degli autori è dei
produttori, debuttano moltissimi registi, come Ermanno Olmi, Paolo e Vittorio Taviani, Pierpaolo Pasolini e
Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio fino allo stesso Montaldo che realizza questo film ‘’Tiro al piccione’’
del 61, ambientato sul Lago di Garda tra il 43 e il 45. Narra, quindi, la lotta partigiana e la resistenza ai tempi
della Repubblica Sociale Italiana ai tempi di Salò.
Nel 1965 realizza questo film che si chiama ‘’Una bella grinta’’ su un arrampicatore sociale ai tempi del
miracolo economico. Questo film è interpretato da Renato Salvatori che vedremo nel film ‘’I magliari’’ del
1959 di Francesco Rosi e in ‘’Rocco e i suoi fratelli’’ del 1960 di Luchino Visconti. Trattano entrambi della
emigrazione del secondo dopoguerra in Europa e in Germania, dal sud al nord Italia, in particolare il film di
Luchino Visconti negli anni proprio del burro in Germania e del boom in Italia del periodo
dell'Industrializzazione del Nuovo benessere per il paese.
Dopodiché ancora negli anni 60, in particolare nel 67, Montaldo realizza questo film che si chiama ‘’Ad ogni
costo’’; in questo film c’è Riccardo Cucciolla che così tanto Montaldo ha voluto per il ruolo di Nicola Sacco in
Sacco e Vanzetti. Però come si vede da questa locandina sono tanti nomi e ha un cast internazionale, così
come anche in Sacco e Vanzetti. Anche ne ‘’Gli Intoccabili’’ del 1969 troviamo, per esempio, John
Cassavetes, importantissimo regista hollywoodiano ma poi regista della New America Cinema, quindi
ancora del periodo dell'avanguardia con film come Shadow, Faces etc. nel cast troviamo anche Peter Falk
che è stato uno degli attori di Cassavetes come il celebre tenente Colombo televisivo.
Citerei sicuramente, come parte della cosiddetta trilogia sul potere e sulla tolleranza di cui fa parte Sacco e
Vanzetti, un primo film che si intitola ‘’Dio è con noi’’ del 69 e un terzo film che è ‘’Giordano Bruno’’ che
come si vede da questa locandina è ancora una volta interpretato da Gian Maria Volonté. Gli anni ’70, sono
gli anni in cui sicuramente Montaldo si affianca ad altri noti registi italiani come Francesco Rosi, Francesco
Maselli, i Fratelli Italiani, Marco Bellocchio che danno vita a quella corrente cinematografica che passa
anche sotto un po' la definizione cinema politico, di impegno sociale e politico. La Trilogia sul potere e
sull'intolleranza forma da questi tre film ha che vedere con l'abuso di potere che nel caso di ‘’Dio è con noi’’
della 69 è un abuso di potere; nel caso di Sacco e Vanzetti è un abuso di potere politico e nel caso di
‘’Giordano Bruno’’ è un abuso di potere temporale e religioso quello che porta alla condanna al rogo
dell’eretico nel febbraio del 1600 e a Campo dei Fiori c'è la statua che lo ricorda.
Nella seconda metà degli anni ’70, un film altrettanto importante è ‘’L’Agnese va a morire’’ nel 1976 che è
tratto dal romanzo omonimo di Renata Viganò. È una storia autobiografica di una staffetta partigiana nella
zona delle Valli del Comacchio, in Emilia Romagna. Anche qui un cast internazionale e di attori molto
cospicuo: Flavio Bucci, Michele Placido, Rosalino Cellamare, ma soprattutto la protagonista Ingrid Thulin
Nel ’79 c’è, per esempio, ‘’Il Giocattolo’’ con Nino Manfredi e Vittorio Mezzogiorno. Il giocattolo a cui fa
riferimento il titolo è una pistola. Siamo di fronte all'ennesimo a borghese piccolo piccolo che si fa giustizia
da solo, in questo caso Manfredi usa la pistola per vendicare la morte dell'amico poliziotto interpretato da
Vittorio Mezzogiorno. Negli anni 80, Giuliano Montaldo realizza questo sceneggiato televisivo del 1982 che
si chiama ‘’Marco Polo’’. Alla fine degli anni Ottanta, in particolare nel 1987, realizza ‘’Gli occhiali d'oro’’ che
è una trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo di Giorgio Bassani. Nel 1989 realizza ‘’È tempo
di uccidere’’ da Enio Flaiano. Poi Montaldo, oltre ad aver fatto parte dell'Associazione Nazionale autori del
cinema e Presidente di Rai cinema, nel 2011 ha girato questo film che fu presentato al festival di Roma con
Pierfrancesco Favino, ‘’L’industriale’’ sulla storia di un industriale piemontese e, di recente, nel 2017 è stato
interprete di un personaggio nel film ‘’Tutto quello che vuoi’’ di Francesco Bruni 1 del 2017 , tornando quindi
alla sua vecchia passione. Nella locandina e l’anziano sulla panchina affiancato da questo giovane con cui,
poi, stringeranno un rapporto di amicizia e di affetto; nonostante all'inizio il giovane non veda di buon
grado dover assistere il novantenne. di Francesco Bruni del 2017 regista è stato soprattutto sceneggiatore.
Lezione 11
Ora Entriamo nel vivo di quella che è la quarta e ultima fase della, cosiddetta, grande emigrazione italiana
che va dal secondo dopoguerra al decennio 1970-80. Quindi per intenderci, dalla Liberazione d'Italia del 25
Aprile 1945 al decennio 70-80 durante il quale, l'Italia subisce la metamorfosi da paese di emigrazione a
territorio di immigrazione. I dati, quindi, subiscono un’inversione: sono, in questo decennio, più gli arrivi
degli immigrati che le partenze degli italiani esuli.
In questa quarta e ultima fase della grande emigrazione italiana, gli emigranti italiani scelgono, dapprima
l'Europa dando vita a un’emigrazione esterna, subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale, e poi
successivamente, in quello che è il periodo del miracolo economico scelgono, invece, una emigrazione
interna dal Sud al Nord Italia. Questa grande immigrazione del secondo dopoguerra, va avanti fino almeno
alla crisi petrolifera del 1973. È un’emigrazione che coinvolge all'incirca 7 milioni e mezzo di connazionali,
un flusso massiccio di persone che vengono attirate sia dal nord Europa che dal settentrione d'Italia e che
tendono a un forte sviluppo industriale. Anche per questa emigrazione, c'è una sorta di identica graduatoria
regionalistica simile a quella della prima e della seconda fase post-unitaria. Sulle prime a prevalere, infatti è
un'alta percentuale di settentrionali in movimento dal Triveneto e dalla Lombardia, poi aumenta lo slancio
meridionalista dalla Campania, dalla Calabria e dalla Sicilia, così come abbiamo visto all'inizio nella prima
fase, sono soprattutto i meridionali ad emigrare verso l'America del Sud, così come nella seconda fase sono
1
Regista ma soprattutto sceneggiatore della fiction ‘’Il commissario Montalbano’’, ispirata ai testi di Andrea Camilleri e
poi regista debuttante con ‘’Scialla. Stai sereno’’ nel 2011.
soprattutto i meridionali che emigrano verso gli States. Quegli Stati Uniti che, però, man mano si fanno
sempre meno accessibili: dagli Stati Uniti si comincia a rimpatriare quando scoppia la Prima Guerra
Mondiale - per l'Italia è la Grande guerra del 15-18 -. Inoltre negli Stati Uniti è più difficile entrare negli anni
Venti, in particolare quando vengono adottate misure restrittive come il Licteracy test Act, e anche perché
sono gli anni 20 dove matura la tragedia per esempio di Sacco e Vanzetti, la red scare, le retate e le razzie
che vengono perpetrate a danno anche degli emigranti italiani.
Sono gli anni 20 gli anni in cui sale al governo Benito Mussolini, quindi in Italia si instaura la dittatura
fascista e sono anche gli anni in cui poi ci si avvia allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale che coinvolge
l’Italia a partire dalla dichiarazione del Duce a Piazza Venezia del 10 giugno del 1940.
Tutto questo quindi, in qualche modo, laddove segna una contrazione dell'emigrazione verso gli Stati Uniti
fa sì che gli italiani spostino il centro di attenzione e la meta della loro immigrazione, appunto verso
l'Europa che diventa la nuova Mecca migratoria, con particolare riferimento ad alcune nazioni come
Francia, Belgio, Germania, Svizzera. In particolare di Francia e Germania ci occuperemo in merito a ‘’Il
Cammino della speranza’’ del 1950 di Pietro Germi, mentre per la Germania in riferimento in particolare a
‘’I Magliari’’ del 1959 di Francesco Rosi. Della Svizzera, invece ne parleremo in merito a ‘’Pane e cioccolata’’
del 1974 di Franco Brusati.
Ad alimentare una prima forma di emigrazione esterna verso l'Europa e i singoli stati, sono innanzitutto
accordi - detti accordi bilaterali - che già a partire dal 1946 e dal 1947 l’Italia instaura con la Francia. Accordi
che stipula con la Francia, e per i quali il paese transalpino, comincia a chiedere della manodopera italiana.
Scrive a questo proposito Andreina de Clementi, in un libro edito Laterza del 2010 che si intitola ‘’Il prezzo
della Ricostruzione. L'emigrazione italiana nel secondo dopoguerra’’, che un primo accordo viene stipulato
nel 1946 tra l'Italia e la Francia e tramite questa accordo la Francia chiese l'invio di 20000 minatori. Un
secondo accordo, firmato nel 1947, chiese 200.000 operai industriali. Nel 1951, poi continua la de Clementi,
che si accinse al reclutamento dei lavoratori stagionali. E tuttavia non se ne fece nulla perché i patti saltano
rispetto alle previsioni di ricostruzione post bellica in Francia e le previsioni per il quale questa ricostruzione
richiede manodopera straniera, sono delle previsioni stimate al rialzo. Quindi la manodopera richiesta e che
arriva risulta eccedente rispetto al fabbisogno.
Nel 1947, che è peraltro uno degli anni peggiori per l'economia francese che tarda anche industrialmente a
decollare, avviene una condizione paradossale per cui nel paese arrivano meno emigranti italiani di quanto
si era previsto. Di fatto la politica migratoria francese mostra, allora, più di un incertezza nell’effettivo
fabbisogno e, in generale, a farsi trovare non sufficientemente pronta all'accoglienza dei migranti e, in
particolare degli emigranti italiani. Ad esempio, carente nell'accoglienza con conseguenze relative ai
problemi degli alloggi, relativi ai problemi del non favorire i congiungimenti familiari, che avvengono dopo
che il capofamiglia è emigrato nel paese straniero e attende l'arrivo dei familiari, della moglie, dei figli o di
eventuali altri parenti. Il paese si rende, invece, più propenso ai rimpatri, ai deflussi il che vuol dire che
ovviamente l'immigrazione si fa precaria, si fa incerta, non c'è certezza nella stabilizzazione nel paese dove
si espatria.
Apparentemente l’emigrazione è assistita e controllata ed è una migrazione, soprattutto, rurale si vuole
destinare all'industria alla miniera, almeno fino al 1950 - anno di uscita del cammino della speranza di
Pietro Germi che narra proprio dell’espatrio di solfatari e minatori siciliani verso il paese transalpino. Un
reclutamento minerario e anche poi agricolo.
Ma la Francia, di fatto, dà vita a una migrazione assistita e controllata apparentemente. Nonostante
proclami e sottolinea che è una emigrazione che si svolge nel pieno rispetto della legalità, in verità, si
renderà la Francia complice di un’emigrazione clandestina. Il tema dell’emigrazione clandestina è un tema
centrale nel film di Pietro Germi. C’è da dire che, parallelamente, all’emigrazione verso la Francia, l'Italia
però nel 47, stipuli anche accordi bilaterali con il Belgio. È spinta a questo accordo da una penuria di
combustibili fossili per cui concorda in quella circostanza con il Belgio uno scambio di uomini. Stabilisce un
accordo per il quale cede i propri minatori per avere in cambio forniture di carbone, provenienti dal Belgio.
Si tratta di un baratto (persone, uomini, minatori materie prime) subordinato, poi alla effettiva produttività
sul campo dei lavoratori: tanto lavorano, tanto estraggono Carbone, tanto questo carbone in quantitativo
stabilito, dovrebbe arrivare in Italia.
Tra febbraio e marzo, quindi del 1946, partono a scaglioni centinaia e centinaia di minatori destinati alle
miniere belghe; per i quali, solo sulla carta, viene stabilito una trattamento salariale paritario a quello dei
minatori locali, degli autoctoni. In verità, questo accordo bilaterale prende soltanto più a favore del Belgio
che a favore dell'Italia; è sbilanciato sicuramente a favore del Belgio e a sfavore dell'Italia.
L'afflusso dei minatori è, per esempio, superiore al rifornimento di carbone che il Belgio destina all'Italia e
che spesso si rivela anche essere di qualità scadente. Poi, anche in questo caso, sono assolutamente
disagiate le condizioni di permanenza che vengono garantite agli emigranti e ai minatori italiani, soprattutto
c'è un problema di scarsa sicurezza di lavoro degli operai. I minatori vengono alloggiati in baracche costruite
con pavimento di cemento e pareti in legno, per esempio essere più infuocate d’estate, e la cui cubatura è
spesso insufficiente a ogni singola famiglia. I minatori sono costretti a svolgere le loro prestazioni lavorative
spesso in siti privi di un'adeguata manutenzione e modernizzazione. Sono condizioni, in realtà i minatori
espatriati in Belgio denunciano, delle quali si lamentano ma sono lamentele e proteste che rimangono a
lungo inascoltate, che non ricevono adeguata risposta, adeguata tutela, cura e attenzione da parte dello
Stato Italiano. Questo, almeno, fino a quando non avviene la tragedia. La tragedia è quella di Marcinelle
dell’ 8 agosto 1956, altrimenti anche definita la Catastrofa.
È un neologismo metà dialettale, metà francese pronunciato dai minatori italiani testimoni e sopravvissuti a
questa tragedia di cui riporta il giornalista e scrittore, Paolo Di Stefano, in questo libro inchiesta, edito dalla
Sellerio nel 2011 che è intitolato proprio ‘’La Catastrofa. Marcinelle 8 agosto 1956’’.
È una tragedia che è causata dall'esplosione della miniera carbonifera belga del distretto di Charleroi. Un
incendio scoppiato a 975 metri sotto terra che, allora, provoca la morte di 262 minatori, di cui 136 sono
immigrati italiani:
Piove su Marcinelle, anche in agosto. Quel giorno no, non pioveva. La ricordano
come una delle più limpide giornate di sole che Dio avesse mai mandato sul
distretto minerario di Charleroi. Ma il cielo azzurro durò pochissimo, un paio d’ore,
forse. Perché verso le otto del mattino l’azzurro cominciò a oscurarsi, nuvole di
fumo denso salivano dai pozzi del Bois du Cazier e le donne lasciarono le baracche,
presero per mano i bambini ancora assonnati per precipitarsi al cancello della
miniera con l’angoscia negli occhi, nel cuore, nelle gambe, nelle mani con cui
tenevano le mani dei figli. Sotto i loro piedi le fiamme avevano già attaccato le
porte e le armature di legno delle gallerie, ma questo per il momento potevano
solo intuirlo. Non potevano sapere che a 975 metri due vagonetti (uno pieno di
carbone e l’altro vuoto) male inseriti nell’ascensore in movimento avevano divelto
due-tre metri più in alto le condutture dell’olio, i tubi dell’aria compressa e i cavi
dell’alta tensione, scatenando il fuoco.
Non potevano sapere che le condizioni di insicurezza e di abbandono là sotto
avrebbero trasformato un semplice errore o un equivoco (già in sé evitabile con
un’organizzazione migliore) in una delle stragi più gravi della storia mineraria. Non
potevano sapere che dei 274 lavoratori saliti sulle gabbie per cominciare il turno del
mattino nei vari livelli sotterranei, 262 (di cui 136 italiani) non ne sarebbero usciti
vivi. Non potevano sapere che le operazioni di soccorso erano già nettamente in
ritardo, da subito, e che dopo due settimane un soccorritore italiano sarebbe
tornato in superficie comunicando la verità che la radio e i giornali non volevano
ancora dire: «Tutti morti». Non potevano sapere che alla fine, dopo quasi cinque
anni, un giudice a Bruxelles avrebbe decretato una pena minima per il direttore dei
lavori e nient’altro. Tutto questo, l’avrebbero vissuto e saputo a poco a poco.
In questo libro, di Stefano da voce, soprattutto ai vecchi minatori, alle vedove e orfani di questa tragedia o
sopravvissuti o appunto con famiglie che risentono e che vengono mutilate da questa catastrofe. Fa
parlare, quindi, tutti loro in un misto e una verità di dialetti: veneto, siciliano, friulano, pugliese, emiliano,
abruzzese e di tutti gli italiani espatriati in Belgio allora spinti da un'unica motivazione: l’estrema miseria in
cui vivevano in Italia.
Sono Uniti, questi testimoni da una generale assente pentimento e rimpianto perché, nonostante il
profondo dolore che coinvolge tutti loro a livello sia individuale, familiare che collettivo, nessuno di questi
testimoni mostra pentimento nell’aver abbandonato l'Italia - dal momento che le condizioni di povertà
erano veramente terribile. Sono molte le testimonianze raccolte dallo scrittore-giornalista in questo libro-
inchiesta la Catastrofa. Una fra le tante è quella di una siciliano 82enne – Giuseppe - che prima rievoca
come quando, allora decide di partire e poi descrive qual è la sistemazione precaria sua e degli altri
emigranti, quali sono gli altri minatori italiani e quali sono anche i fenomeni discriminatori che coinvolgono
gli italiani minatori espatriati. È come un po' tutto cambi prima della tragedia e un dopo la tragedia, ma
cambia anche, poi, nei termini in cui il Belgio non sarà più una delle mete dell’emigrazione italiana:
A Camastra dal lunedì di Pasqua, alla fine di ottobre lavoravo la terra per 6-7 mesi
zappavo all'alba fino al tramonto del sole e dormivo alla campagna. Nell'inverno
andavo a seminare il grano con mio padre; un paesano, nel settembre del 1949, è
venuto al paese con la moglie e il bambino e mi dice: <<se vuoi puoi venire pure tu
alla belgica a lavorare nelle miniere di Charleroi. Ho partito, il 14 febbraio ore 4:30
del mattino per andare ad Agrigento con 200 grammi di pane e 10 verdi. Avevo 22
anni e 8 mesi. Arrivato ad Agrigento, c'era un responsabile che chiamava: <<
Belgica! Beligica!>>. Verso le 9:30 partiamo, nel pomeriggio siamo a Catania per
prendere il convoglio verso a Milano. A Milano scesi dal treno c'era un controllo
all'ufficio, con dottoresse e dottori belgi per passare la visita. Mi ha visitato una
giovane medica e mi ha trovato tutto buono fino a che cambia colore della faccia e
mi dice voi avete una vena dal cuore che se ne va di là, però se volete Non c'è
pericolo potete andare alla belgica a lavorare.
Io non mi ho certo spaventato per la vena. Ho firmato il contratto a Milano per 5
anni perché si doveva restare a fondo nella miniera di sciabbordaggio, almeno
cinque anni e solo dopo si poteva sortire per andare a lavorare alla fabbrica. Ma io
come un asino, non per avvantarmi, ho restato fino alla 74 nelle miniere e ora sono
60 anni e 6 mesi che mi trovo nella belgica.
È importante vedere la risonanza che allora ebbe sulla Stampa italiana questa immane tragedia per la
quale, appunto come titola L'Eco di Bergamo due giorni dopo, si comincia a chiedere: ‘’Ormai perduta ogni
speranza di ritrovare vivi i 261 minatori sepolti nel pozzo incendiato?’’.
IL CAMMINO DELLA SPERANZA
Molto interessante, su questo tema, è analizzare e vedere nel dettagli ‘’Il Cammino della speranza’’ di
Pietro Germi. Parleremo di come si arriva alla genesi, alla gestazione di questo film. Germi che vedete la è
genovese anche lui, come Giuliano Montaldo. Nasce a Genova - 16 anni prima di Montaldo - nel 1914.
Come il regista di Sacco e Vanzetti, ha inizialmente velleità di attore tant’è che prima di arrivare a ‘’Il camino
della speranza’’ interpreta su un altro set di un altro regista, il ruolo di un emigrante piemontese ovvero il
ruolo di Tembien nel film diretto da Mario Soldati - noto scrittore regista – ‘’Fuga in Francia’’ del 1948.
La fuga in Francia del titolo, più che una fuga di emigranti è la fuga di un ex gerarca fascista che è un
criminale di guerra - Riccardo Torre (Folco Lulli) - protagonista principale di questa pellicola. Ma,
ovviamente, questa storia della fuga del criminale insieme al suo ignaro figlioletto (che fugge anche lui da
un collegio dove si trova per stare accanto al padre) corre parallela il tentativo di alcuni emigranti italiani -
tra cui appunto l'emigrante Piemontese Tembien (Pietro Germi) – di varcare clandestinamente la frontiera.
È importante soffermarci, soprattutto, sui dialoghi che udiamo e che avvengono tra passeggeri e migranti,
tra cui Germi (quello con il cappello d'alpino, il panciotto con l'orologio a catenella, il naso aquilino e
soprattutto quell’inconfondibile sigaro che perennemente Germi, dentro e fuori dal set, porta tra le labbra.
Tembien chiede a un passeggero:
‘‘ma ce n'è ancora che passano il confine?’’
‘’Si si, tutti i giorni’’ risponde il passeggero
‘’Non è difficile allora’’
‘’No, non è difficile basta non dare nell'occhio alle guardie. Se non gli pestate i piedi vi lasciano passare’’
‘’Ma non c'è un paese senza guardie?’’ domanda quindi un po' indispettito l'emigrante.
Tembien lo guarda e un po' sconsolato dice: ‘’Va bene, ci andiamo un'altra volta, eh? E non fare quella faccia, in
fondo noi vogliamo soltanto lavorare. È colpa nostra, se in questo paese non se ne trova più?’’.
Dopodiché, mentre Torre corre in bagno a tagliarsi la barba, per mimetizzarsi sempre di più, udiamo ancora
dire il passeggero allo stesso gruppo di emigranti:
‘’Avete letto l'altro giorno il fatto di Rocchemolles?’’
‘’Come ha detto?’’ chiedo un migrante
‘’L'altro giorno a Rocchemolles, sono morte 4 persone e ne hanno portate due indietro con i piedi congelati.’’
‘’Accidenti, Roba da matti’’
Il racconto orale a cui allude Germi, e che apprendere direttamente da un funzionario di frontiera, è un
racconto che si ritrova riportato come cronaca nera sulla stampa di allora. Ce n'era stata una simile già sulla
domenica del Corriere il 29 dicembre 1946 e un'altra notizia simile è stata riportata su L'Unità il 6 aprile
1948. Riportati sulla stampa sono, appunto, testimonianze di cronaca, di notizie, di odissei di emigranti
meridionali prima accompagnati e poi abbandonato da mediatori senza scrupoli, al confine con la Francia.
Migranti che senza essere dotati del benché minimo equipaggiamento invernale, vengono rintracciati in
preda al gelo e alla bufera, in deplorevoli condizioni fisiche, tra le montagne innevate e dove riescono
quindi poi ad essere miracolosamente salvati. Questo racconto non abbandona la mente del regista-attore
anche se occorre attendere ancora qualche altro mese, in particolare il 1949, prima che tutto questo
prenda a forma nella sua mente e concretamente nella finale, soprattutto, del film. Quel finale
assolutamente pericoloso cui i migranti, i minatori siciliani che all'inizio del film tentano di occupare la
solfara e di evitarne la chiusura - che per loro vuol dire motivo di disoccupazione e quindi di estrema
povertà per loro e le loro famiglie che poi decidono di emigrare dietro a sollecitazione e tentazione del
mediatore del Ciccio ingaggiatore che prospetta loro un nuovo avvenire in Francia-.
Mediatore che non li abbandona sulla neve, ma gli abbandona addirittura molto prima; dopo un tentativo
di fuga alla stazione di Napoli, poi di lui si prenderanno le tracce nel parapiglia che lui stesso creerà alla
stazione Termini di Roma. Ciononostante, loro vanno avanti e arrivano a fino al varcare il confine tra la
neve, travolti da una tempesta e da una bufera a causa della quale uno di loro morirà (il ragioniere con il
suo cagnolino). Tutto questo tornerà proprio nel finale del film.
Gli episodi di Cronaca nera e il racconto orale che gli viene fatto dai funzionari di polizia e che passa
attraverso il dialogo all'interno del film di Soldati, è una delle tante ispirazioni a questo film che ha anche
delle ispirazioni letterarie e cinematografiche. Una di queste inspirazione letteraria, Germi l’avrà su un altro
set; questa volta di un suo film di regia precedente al Cammino della speranza che è ‘’In nome della legge’’
del 1949.
Durante la lavorazione di ‘’In nome della legge’’ Germi si ritrova tra le mani l’opera prima di uno scrittore
siciliano - Nino di Maria classe 1984 – ‘’Cuore negli abissi’’ del 1949 che costituisce un ulteriore inspirazione
a quella che sarà la realizzazione del Cammino della Speranza. È un libro che è imperniato sulla vita, come
dice e suggerisce il titolo, infernale e abissale di alcuni minatori siciliani, costretti per fame e
disoccupazione, ad emigrare in clandestinità verso la Francia e il Belgio.
Una volta che conclude la lettura, Germi contatta di Maria il quale, dopo una informale primo loro incontro
e accordo, viene poi convocato a Roma dalla Lux Film 2 per firmare il contratto di cessione dei diritti del
soggetto e del romanzo. Lo scrittore, non è chiaro se abbia preso parte anche alla realizzazione successiva
della sceneggiatura, quindi del copione per il quale ad essere accreditati sono Federico Fellini e Tullio
Pinelli.
Di Maria sembra, quasi sicuramente, ha accompagnato successivamente Germi nella fase dei sopralluoghi
che abitualmente si effettuano prima dell'inizio delle riprese per ricercare gli spazi, le location dove il film
viene ripreso e diretto. Quindi, Nino di Maria ha, probabilmente, fatto da Cicerone di Germi conducendolo
dapprima in una miniera, ovvero la miniera Trabia Tallarita di Sommatino - città natia di Nino di Maria in
provincia di Caltanissetta. È la miniera e la città dove è ambientato il libro. Sembra che qui siano stati
effettuati anche alcuni provini per la scelta di minatori veri che fanno da contorno ai protagonisti, poi però
al momento delle riprese la troupe si è trasferita in un'altra miniera - la miniera Ciavolotto in provincia di
Agrigento, a Favara dove poi è ambientato realmente la prima sequenza di apertura del film.
La presenza di Nino di Maria sul set recentemente è stata ricostruita da un articolo pubblicato sul
quotidiano la Repubblica del 7 gennaio 2009. Secondo questo quotidiano lo scrittore assiste, in particolare
al Ciak della partenza della corriera dei migranti del paese. Infatti nel corso nel corso delle riprese del
Cammino della speranza, di Maria decide di andare a trovare Germi da lui descritto, in una pagina di diario,
con occhi vivi e intelligenti e mezzo sigaro perennemente spento in bocca.
Lì assiste a uno dei tanti ciak, alla periferia del paese in una zona fatta sgombrare dalle guardie municipali. La
scena come scrive di Maria è occupata da alcune popolane, tutte vestite alla stessa maniera; con la gonna lunga
fino alle calcagna e uno scialletto a coprire la testa e le spalle. Ad un certo momento, il regista rivolto alle
2
casa che finanzia la realizzazione del Cammino della speranza che anche una delle più importanti case di produzione
cinematografica della secondo dopoguerra. È nata, in realtà, a Torino nel 1934 e poi è stata trasferita la sede a Roma
ed è una casa di produzione diretta da due imprenditori industriali, produttori illuminati come Riccardo Gualino e
Guido Gatti.
donne spiega la scena che si sarebbe dovuta girare: <<Adesso passerà davanti a voi l'auto corriera con gli
emigranti che devono partire per la Francia, appena sarà dinanzi a voi gli emigranti dovranno sporgere la testa
dagli sportelli e voi dovete salutarli così: ‘’Buon viaggio, salutiamo statemi bene. Ciao ciao’’ e farete anche
segnali di saluto con le mani>>. Si gira la scena, le donne quando passa la corriera, invece di salutare i parenti si
rivolgono al regista che, dalla pedana dirige la scena, e gridano: <<Cosa dobbiamo fare?>>. Il regista esplode assieme
agli operatori e gli attori professionisti.
Scrive a questo punto di Maria riportando gli improperi di Germi: <<Assassine, cretine, cosa avete fatto? Avete
rovinato la pellicola. Non avete capito niente>>. La scena si ripete identica a complicare le cose irrompe una
torma vociante di ragazzi. Si mettono a saltellare tra la pedana del regista e le donne che sono atterrite. A
questo punto interviene il direttore di produzione che per porre fine all'incidente dice: <<Fate attenzione a non
sbagliare una terza volta, se non mi ubbidirete non vedrete nemmeno un soldo delle Cinquecento lire di
compenso promesse.>>
Le buone donne, finalmente salutarono gli emigranti, ma mentre la corriera si allontanava rispunta il codazzo
chiassoso di giovani che festante l'accompagnava.
Ovviamente questa ricostruzione ci dice anche molto su quello che da un lato è il metodo di lavoro del
regista che è anche noto per alcune sue asperità caratteriali, però ci dice anche cosa può accadere, di fatto,
su un tipico set di un film neorealista. Questo film è un film neorealista con, però, anche contaminazioni dei
generi cinematografici hollywoodiani.
Il Cinema neo-realista è, genericamente il cinema del secondo dopoguerra italiano. Il fenomeno più
importante dell’aurea stagione cinematografica italiana che si caratterizza per essere il cinema della realtà;
il cinema che ricorre ad ambientazioni autentiche, riprese in luoghi autentici (en plein aire). Si caratterizza
anche per ricorrere anche ai cosiddetti attori presi dalla strada; gli attori non professionisti con,
evidentemente, il rischio durante il ciak battuto sul set avvengano incidenti come questo.
Quello che questa ricostruzione ci dice è che la capacità, poi, del regista e dunque di Germi è quello di
cogliere quello che arriva di inatteso e di decidere di lasciarlo all’interno del film. Ma in questo caso l'evento
inatteso, dopo l'incidente delle comparse, è l'arrivo del codazzo dei bambini vocianti che corrono dietro la
corriera in partenza e che, però, poi non previsto nella sceneggiatura, alla fine Germi decisi di lasciare nel
film.
Lezione 12
A proposito di quella scena inattesa, ma alla fine preservata ovvero di quella in cui un codazzo di bambini
urlanti corre dietro la corriera., possiamo dire che quest’ultima, appunto, è uno dei tanti mezzi di trasporto
in uso nel Cammino della speranza; il primo che i minatori di Germi, così come i contadini di Crialese,
utilizzano durante lo spostamento. In Crialese si trattava di un carretto trainato da un asino, in Germi si
tratta, appunto, di una corriera con la quale i protagonisti raggiungono Messina, per poi attraversare lo
stretto a bordo di un traghetto, poi successivamente salgono su un treno che da Reggio Calabria arriva alla
stazione di Roma Termini, dopo una breve sosta notturna in quella di Napoli Centrale. Mentre, è tramite poi
un passaggio in un camioncino e circa 20 km a piedi che, dalla capitale si sposteranno e raggiungeranno
l'Emilia Romagna per poi attraversare a piedi i monti innevati al confine italo-francese nel finale del film. Del
resto per loro natura o status - scrive Bruno Maida in ‘’Quando partivamo noi. Storie e immagini
dell'emigrazione italiana del 1880’’ del 1970 edito da Edizioni del Capricorno :
‘’Gli immigranti viaggiano moltissimo; viaggiano lasciando i loro paesi per raggiungere le
città dove possono salire su un treno o su una nave, a piedi, con i carri, con altri treni poi,
nella seconda metà del Novecento, anche con le automobili e pullman. Continuano a
viaggiare anche quando arrivano perché nella maggior parte dei casi il lavoro non è
vicino al porto o alla stazione. Viaggiano per andare e per ritornare; la maggior parte lo
fa anche più volte.’’
Di fatto, nel film Il Cammino della speranza è, sicuramente, centrale il tema del viaggio che invece è
presente in minima parte - l'ultima peraltro - nel libro di Nino di Maria ‘’Cuore negli abissi’’ una delle tre
fonti di ispirazione del film: la prima è l’episodio di cronaca vera appresa da Pietro Germi sul set di ‘’Fuga in
Francia’’, dove è impegnato nel ruolo di attore dell' emigrante piemontese Tembien. L'altra è, appunto,
‘’Cuore e negli abissi’’ di Nino di Maria -libro che come suggerisce il titolo, invece, penetra negli abissi
infernali della miniera e metaforicamente, quindi nel cuore di solfatari costretti a vivere nelle viscere della
terra- scrive: ‘’In quelle viscere scure e tenebrose, invase dal fumo dove è sfidando la morte che inseguono
però la speranza’’ di vita, Speranza che è il titolo, invece, del film di Germi.
questo aspetto Pietro Germi lo focalizza, più che altro, nella seconda sequenza del film che è quella in cui il
ragioniere Carmelo (Saro Arcidiacono) si cala con il montacarichi dentro la miniera per convincere i
minatori, che in quel momento la stanno occupando, ad uscire da quell'abisso per ascoltare i loro cuori e,
quindi gli affetti familiari.
In realtà la sequenza invece in cui ci soffermiamo è la prima sequenza del film - quella di apertura -
mediante la quale già intravediamo un esplicito omaggio da parte di Pietro Germi a un altro capolavoro del
Neorealismo3, ovvero ‘’Paisà’’ del 1940 di Roberto Rossellini.
Al termine dei titoli di testa, l'ingresso nella prima sequenza del film avviene con una successione di
inquadrature fisse. La tensione che si avverte, in queste brevissime e iniziali inquadrature del film, è data
dal fatto che i minatori stanno occupando la miniera e sono chiusi sotto terra per tentare di scongiurarne la
chiusura che per loro vuol dire disoccupazione. La tensione, dunque è data sicuramente dal primo
elemento che emerge, ovvero la musica ma ovviamente anche dal modo in cui queste sequenze sono
realizzate. Infatti, sono realizzate con un’estesa ed evidente fissità che è data da una perfetta combinazione
del filmico e profilmico4. È fissa anche questa successione di inquadrature, dove la macchina da presa è fissa
non la vediamo muovere e si tratta di inquadrature che sono staccate e sequenziate una dietro l’altra.
Quello che viene ripreso davanti alla macchina da presa è la scena che sia rappresenta e che passa sotto il
termine di profilmico: anche quello che è di fronte alla macchina da presa e che viene rappresentato è
caratterizzato da una totale e immobilità. Una fissità e una immobilità filmica e profilmica che ci trasmette
proprio quell’atmosfera carica di ansia, di tensione e di angoscia del momento - data da questa attesa della
sorte dei minatori-.
Questa ripresa viene fatta all'esterno scandita da tante inquadrature, all'esterno della miniera. È un esterno
dominato, peraltro, da un bianco accecante, assolato, polveroso dove le figure umane (più donne bambini e
bambine) sono riprese in figura intera (dai piedi alla testa), ora in mezza figura (fino alla vita), ora in primo
piano e appaiono tutte, soprattutto le donne, particolarmente assorte e preoccupata per i loro uomini, per i
mariti, i fratelli, i fidanzati, i padri che sono asserragliati sottoterra. Questo momento che è così anche grave
e solenne, a cui contribuisce anche il commento musicale, è anche accentuato dal fatto che l'unico
movimento che avvertiamo nel profilmico, è il movimento delle forze ordine che marciano avanti e indietro
in presidio del sito e poi il movimento del sopraggiungere della Jeep con sopra altri funzionari delle forze
dell'ordine che si recano sul sito per cercare di avviare una trattativa. Da qui si assiste alla seconda
sequenza che è quella in cui a cercare di smuovere la situazione è, insieme alle forze dell'ordine, il
ragioniere che si propone di scendere in maniera per convincerli in quanto li conosce tutti, salvo poi non
resiste a quella condizione così soffocante che è data dallo stare troppo a lungo in miniera senza ossigeno.
Nel riproporre tutto questo, secondo queste soluzioni registiche, Germi si ispira a una sequenza in
particolare - quella delle donne Valastro alla Sciara della ‘’Terra Trema’’ di Luchino Visconti del 1948.
Qui, acusticamente, è molto forte il rumore del mare e delle onde che s'infrangono sugli scogli. Quello che
accade in questa sequenza è che una madre e le sue figlie stanno scrutando, in un'alba livida, il mare ancora
agitato dalla tempesta notturna, sperando che non abbia inghiottito gli uomini di casa: figli e fratelli
3
Quell’aurea stagione della cinematografia italiana che per alcuni ha luogo tra il 45-48, ma più estesamente va tra
1940 1952-53, anche se effettivamente è vero che quei tre anni sono il periodo dei grandi capolavori del Neorealismo:
sono gli anni di ‘’Roma città aperta’’ del 45 di Roberto Rossellini che è considerato il primo vero manifesto del
Neorealismo, così come ‘’Ladri di biciclette’’ di Vittorio De Sica e poi, ovviamente, anche ‘’La terra trema’’ del 1948 di
Luchino Visconti.
4
Per filmico si fa riferimento al dispositivo ottico, quindi alla macchina da presa che è assolutamente ferma e fissa
anche se posta, a seconda dei casi, con diverse angolazioni ( a volte più frontale, a volte più angolate).
pescatori usciti di notte a pescare. È una sequenza formata da poche inquadrature che, come sottolinea
molto bene Guglielmo Moneti - professore dell'Università degli Studi di Siena in un suo saggio -esprimono
la trepidazione, l'ansia, la tensione e la pressione di queste donne in una sintesi perfetta, di rarefazione
narrativa e di massima però attenzione compositiva. Quest’ultima è data dal modo in cui le inquadrature
sono configurate e vengono composte.
Le donne con i loro scialli neri rappresentano una sorta di metafora, una simbiosi cromatica che si può
vedere tra le loro figure e, ad esempio, i faraglioni scossi dalla dall'agitazione delle onde. Quello che si nota,
sono le figure femminili della famiglia Valastro di ‘’La terra trema’’ che si ispira ai Malavoglia di Giovanni,
Infatti si vedono le figure femminili, irrigidite sulle gambe che sono tese come piantate sugli scogli, avvolte
da ampi scialli neri; vestiti nero come le donne nella pellicola di Germi ‘’Il cammino della speranza’’.
Scialli che scoprono soltanto il l’ovale dei loro volti, chiaramente molto tesi e in apprensione che sono
anche qua gli unici che per contrasto sono mossi dal vento, quindi da qui c'è l’ispirazione di quell’inizio
sequenza del film di Germi.
È un film che si trova esattamente a metà strada tra il neorealismo e l’americanismo. Questo perché fa
riferimento a capolavori neorealisti come ‘’La terra trema’’ e come ‘’Paisà’’ del 46 di Roberto Rossellini. Ma
è, anche, un film in cui alcune tematiche sociali hanno un rilievo particolare: nel film di Germi il tema è
quello, ovviamente, della questione meridionale, della disoccupazione dopo la chiusura della miniera e
quindi dell’emigrazione. Ma un elemento in più, o comunque di differenziazione da parte di Germi che ha
analogamente solo a un altro regista neorealista, ovvero, Giuseppe De Santis - autore di ‘’Riso amaro’’ del
49 con Silvana Mangano - è che loro tendono anche un po' a mescolare queste tematiche politiche, sociali
con i generi cinematografici hollywoodiani.
Un altro maggio però neorealista è , appunto, ‘’Paisà’’ del 1946 di Roberto Rossellini dove si arra anche lì di
un viaggio dal sud al nord Italia, ma in quel caso è un viaggio della Resistenza e non un viaggio
dell’emigrazione. ‘’Paisà’’ è un film suddiviso in 6 episodi in cui si narra della lotta di liberazione partigiana
dell'Italia, a partire dallo sbarco in Sicilia degli alleati del 10 10 luglio 43 fino alla Liberazione d'Italia del 25
Aprile 1945. Ogni episodio è ambientato in una regione o anche città differente: si inizia con lo sbarco in
Sicilia nel primo episodio; il secondo è ambientato a Napoli; il terzo a Roma; il quarto a Firenze; il quinto in
Emilia-Romagna e il sesto nella zona del delta del Po.
Quattro di questi sei tappe, sono le stesse che ritroviamo in Cammino della speranza: Sicilia, Napoli, Roma e
l'Emilia Romagna. In quel caso è il viaggio che va lo sbarco degli alleati anglo-americani che poi si uniranno
ai partigiani nella lotta di liberazione del paese. Viaggio, che nel caso nel Cammino della speranza richiama
al genere cinematografico hollywoodiano del <<Road Movie>> (film sulla strada) del film sul viaggio che è
tipicamente hollywoodiano5.
A proposito di compresenza di generi all'interno della Cammino della speranza che fortemente si
mescolano, come l’ossatura tematica – sociale, storica, politica del tema della migrazione vediamo ora di
seguito questi tre spezzoni per vedere questi tre momenti che possiamo assolutamente definire
appartenenti a 3 generi hollywoodiani ben precisi. (sparatoria-Lorenza-duello)
Il primo è quello relativo alla sparatoria che si verifica da stazione Termini e che coinvolge i due criminali
del gruppo Ciccio Ingaggiatore (Saro Urzì) che è il Mediatore ovvero colui che ingaggia, recluta e arruola i
minatori disoccupati siciliani promettendo loro un meraviglioso lavoro in Francia in cambio di denaro che
però ruba loro ingannandoli totalmente. Ha già fatto un tentativo di fuga durante la sosta notturna alla
stazione di Napoli centrale. In quel caso Vanni (Franco Navarra), il picciotto siciliano lo aveva fermato. Alla
stazione Termini, dove la sosta degli emigranti deve essere più lunga, Ciccio Ingaggiatore crea il parapiglia:
5
Per genere intendo quell’insieme di codici che regolano la narrazione e la orientano entro determinati parametri
produttivi-distributivi e soprattutto dentro determinate aspettative da parte del pubblico. Per intenderci il Western è
un genere che implica un'avventura, implica la conquista della Terra dell’ovest, la conquista del West. Quando
assistiamo a una commedia sappiamo che il tema dominante è il tema dell'amore e quindi degli equivoci, dei litigi tra
un uomo e una donna che poi giungono nel finale, dopo una serie di ragioni che ne determina la separazione, al
classico happy-ending e alla riconciliazione finale. Il musical si caratterizza per quello che sono i canti e balli etc.
urla - al momento in cui arrivano alle forze dell'ordine che stanno semplicemente controllando la stazione
Termini -<<Prendetelo, prendetelo>>. In questo modo lui fa perdere le sue tracce e in questo caso c'è un
vero e proprio inseguimento, una sparatoria verso Vanni che ci fa entrare dentro una tipica Crime Story.
il secondo spezzone, invece, è quello relativo allo smarrimento di Lorenza (Mirella Ciotti) a Roma. Dopo il
parapiglia lei ha perduto le tracce del marito Antonio e del resto del gruppo. È una donna che prima d'ora
non è mai uscita dalla Sicilia e che, quindi, si ritrova da sola nella grande città aiutata soltanto da un ragazzo
- un adolescente che vediamo mediare tra lei, i commissariati e il luoghi dove si recano per cercare di avere
il più possibile notizie. Quindi un momento, da un lato drammatico per Lorenza, ma dall'altra è reso con
elementi comici tipici della commedia: la separazione di due innamorati che è corredata da questi inserti un
po' macchiettistici in cui gli impiegati di questi commissariati si rimpallano le responsabilità; restano sempre
dietro le loro scrivanie, si mostrano indifferenti e distaccati. L’unico che sembra veramente preoccuparsi
per le sorti di Lorenza è il bambino, mentre loro non fanno altro che rimandarla a da un ufficio all'altro,
lasciando quindi Lorenza sola e smarrita nella grande città.
L'ultimo chiaramente è un richiamo al duello dal sapore tutto westerniano, tipico dei film di genere
Western. Il duello avviene tra le nevi montane -al confine con la Francia - e non nella tipica piazza di una
villaggio dell'ovest americano. Non si svolge, quindi a colpi di pistole, di fucile come siamo solitamente
abituati a vedere ma a suon di coltelli e di fendenti. Qui, è un duello che avviene tra i due rivali in amore:
tra Saro (Raf Vallone) protagonista principale. Padre vedevo dei suoi tre figli, con Vanni il picciotto e si
contendono l'amore di Barbara (Elena Baldi) che dopo questo film è diventata la moglie di Raf Vallone e
madre dei loro due figli. L’asse narrativo di questo film è in viaggio perché appartiene, appunto, al road
movie: viaggio per il quale Germi, più che ispirarsi al romanzo di Nino di Maria che il viaggio non tratta,
prende spunto dalla terza fonte cine-letteraria ovvero il celebre romanzo ‘’Furore’’ del 1939 di John
Steinbeck.
È una fonte cine-letteraria perché nel 1940, l'anno successivo, John Ford - regista westerniano molto noto
(‘’Ombre rosse’’ 1939, ‘’ Sentieri selvaggi’’ del 1956) - in maniera un po' insolita nella sua filmografia,
realizza una trasposizione cinematografica - interpretato da un altro grande divo dei film western Henry
Fonda – di ‘’Furore’’ (trasposizione dal testo di Steinbeck).
Quindi, è ancora una volta un’ispirazione legata alla cultura americana e sicuramente lo è perché Germi
all'epoca, quando si trattava di parlare del Cammino della speranza diceva frasi come: <<Potrebbe
benissimo essere una storia americana e forse esiste già qualcosa di scrivere. Anche la critica
cinematografica del tempo, quando il film viene concluso e viene distribuito in sala, trova che ci sia una
stretta correlazione tra il film di Pietro Germi e il film di John Ford ispirato al libro di Steinbeck.
Del resto i protagonisti sono un po' gli stessi: i poveri, i contadini, i minatori e la stessa povera gente
costretta a lasciare per sempre la terra dove è nata e dove non potrà morire. Sono gli stessi uomini, le loro
stesse donne, gli stessi bambini che vagano paese - l'America e l’Italia - che è il loro ma che ormai li
considera degli estranei e tende, dunque, ad espellerli dal proprio territorio.
‘’Furore’’ libro e Furore film sono un romanzo e una pellicola realiste, ambientate all'epoca della grande
depressione del 1929.
La Miniera del Cammino della speranza e del Cuore degli abissi è, appunto, la miniera dalla quale vengono
espulsi i minatori siciliani dell'Italia post-bellica del secondo dopoguerra, a cavallo tra la fine degli anni 40 e
gli inizi degli anni 50. Sono comunque sempre dei lavoratori rimossi dal proprio territorio, costretti a
viaggiare, nel caso di Furore dall’Oklahoma alla California, nel caso di Cammino della speranza dalla Sicilia
alla Francia. Gli okiss, così erano definiti in modo dispregiativo i contadini dell’Oklahoma (del romanzo di
Steinbeck e del film di Ford) sono un po' come i terroni (dispregiativo)termine che voleva essere il titolo
iniziale, il titolo provvisorio che Germi aveva pensato per il suo film Il cammino della speranza. I contadini
dell’Oklahoma, così come i minatori della Sicilia, si ritrovano a dover fronteggiare un’analoga situazione, un
analogo contesto seppur geograficamente e cronologicamente distante. Questo si deve a un processo di
industrializzazione e di modernizzazione che li costringe all'espatrio. In Germi c’è il tentativo di resistere alla
chiusura della solfara, così come in John Ford c'è il tentativo dei contadini di resistere all’arrivo delle
trattrice e quindi della meccanizzazione agricola che porta, in entrambi i casi, a vendere ogni bene e a
racimolare la cifra necessaria per intraprendere il viaggio migratorio: abbandonare la propria terra, la
propria casa e la propria miniera per ritrovarsi, poi, tutti intorno a un mezzo di trasporto la corriera, come lo
sgangherato Hudson che è il carro della famiglia Tom Joe.
Basta leggere soltanto alcuni passi in cui Steinbeck ricorda come appunto la famiglia di Tom Joe (Henry
Fonda nello schermo) vende tutto:
Quanto tutto il vendibile risultò venduto: letti e cuscini, sedie e tavole, mensolette,
cantoniere, secchi, vasche e mastelli avanzava ancora ogni sorta di roba minuta e sui
loro superstiti sgabelli, le donne si rivoltavano gli oggetti tra le mani guardando nel
passato con occhi sognanti, leggendo le scritte sotto e dietro le fotografie sbiadite,
soppesando un ninnolo da comò - un vaso, un libro-. <<Ora sai perfettamente quel che
si può e quel che non si può portare via. Mezza dozzina di padelle e paioli, i materassi, i
cuscini, la Lanterna, due secchi.>>
<< Ah sì>>.
<<Il telone ti servirà da tenda e la latta di petrolio. Vuota servirà la fornello>>
Questo è esattamente quello che abbiamo visto già accadere in Nuovo mondo e nel momento in cui anche i
minatori di Germi decidono di partire. Per racimolare i soldi necessari vendono tutto quello che hanno
all'interno delle loro poveri, misere abitazioni. Partono con pochissimo e devono selezionare oggetti
strettamente necessari.
Nel caso degli emigrati, sia di Crialese che di Germi, non potranno portare nemmeno le padelle e quello che
viene qui citato da Steinbeck. La differenza sta nel fatto che la famiglia di Tom Joad parte con la propria
automobile, invece i minatori di Germi così come quelli di Crialese dovranno salire gli uni sulla corriera; gli
altri sul carretto trascinato dall’asino.
In Steinbeck si legge che la famiglia, da quel momento, perde la casa e trova un'unica altra loro casa che è
appunto l’autocarro:
la famiglia sera adunata nel luogo più importante, attorno alla autocarro. La casa e i
campi erano cose morte, cose del passato. L'unica cosa viva era la macchina, emblema
del presente del prossimo futuro; la Veneranda Hudson con il suo radiatore
ammaccato, imbrattata di grasso e di polvere, mezzo carro e mezza Berlino. Era questa
ormai il nuovo focolare, il fulcro della famiglia.
Lo sgangherato Hudson che, appunto, allontana la famiglia di Tom Joad dalla passato così come abbiamo
visto accadere punto per Saro Cammarata, i figli e gli altri compaesani intorno alla corriera. Partono per una
destinazione ignota che è la Francia nel caso di Germi e la California nel caso di Furore e nel caso del film di
Ford.
Stanno tutti ammassati in questi mezzi, come su un carro bestiame, e anche i Joad affrontano un lungo
viaggio a tappe che tocca gli stati del Texas, del New Messico, dell’Arkansas, dell’Arzona lungo la
celeberrima strada 66 da questa sera.
In qualche modo c’è una sorta di analogia nello sguardo dei protagonisti: Saro Cammarata, Barbara e i figli
di Saro che stanno viaggiando e che hanno uno sguardo che rivolgono oltre la macchina da presa, uno
sguardo che è rivolto all'orizzonte a quelle che sono le loro aspettative in quanto emigranti. È un po' lo
stesso sguardo che ritroviamo anche nei protagonisti della film di Furore.
Ci sono anche altri richiami, da parte di Germi, che fanno pensare che esiste questo parallelismo con
Steinbeck e soprattutto anche con Ford. Anche i germi dispone lungo il tragitto dei suoi minatori siciliani un
accampamento provvisorio, che è quello dell'azienda agricola emiliano-romagnolo dove arrivano i minatori
siciliani. Questa corrisponde un po' alle 2 tendopoli lì dove si ferma la famiglia Joad e che diventa uno dei
luoghi di aggregazione, ma anche di nuovi scontri. Luoghi dove si consumano pasti, balli, accoppiamenti,
canti scioperi, scontri, risse.
I minatori di Germi arrivano, appunto, nell'azienda agricola a piedi da clandestini, dopo che sono stati
rilasciati dal commissariato di Roma (dove sono stati tutti Fermati dopo il parapiglia che si crea alla stazione
per via di Ciccia Ingaggiatore e di Vanni) con un foglio di via che loro stracciano, quindi proseguiranno in
viaggio come clandestini.
Da Roma, tengono un passaggio con un camioncino che pagano, vengono lasciati in un luogo dove devono
ancora compiere 20 km a piedi per raggiungere l’azienda agricola dove saranno invitati a lavorare dal
proprietario terriero, che non chiede loro i documenti, gli offre un lavoro settimanale per i campi alla cifra
pattuita di 1000 lire al giorno per gli uomini e di 500 per le donne e i bambini. In più offre vitto e alloggio.
Loro ovviamente, non sanno che stanno togliendo il lavoro ai contadini che scioperano, quindi, poi
verranno dal giorno dopo cacciati.
Da questa sequenza il gruppo arriva, appunto, all’azienda agricola - La Fattoria di questo proprietario -
entrano nel baraccone dove c'è un incontro/scontro con altri migranti che il proprietario intercetta. In
questo caso sono dei settentrionali, infatti, tra loro si gioca una momentanea rivalità regionalistica a suon di
detti e di proverbi. Alcuni diranno agli altri che arrivano i terroni, i mangia-limoni e gli altri risponderanno:
<<Noi terroni, voi polentoni>>. Questa rivalità viene, poi, stemperata dalla musica, dal canto che spesso
accompagna anche il viaggio migratorio. Tirano fuori la chitarra e l'armonica e quindi cominciano a suonare
insieme. La musica è l’elemento che quindi, li unisce nonostante la diversità. Successivamente, tramite un
raccordo acustico e una dissolvenza incrociata 6, procediamo al momento della festa di sera che è l'unico
momento, sotto al pergolato, in cui tutti si rilassano, hanno finalmente un pasto caldo e possono cantare,
suonare e ballare come accade in alcuni momenti di sollievo del film di John Ford.
6
Cos'è il raccordo acustico e una dissolvenza? il raccordo acustico è il sonoro, in questo caso la musica che passa dalla
sequenza di giorno, in cui viene imbracciata la chitarra e invita l'altro con l'armonica a suonare, e la stessa chitarra è la
stessa armonica, e la stessa musica la ritroviamo nella sequenza successiva, in cui è passato un breve lasso di tempo
che è scandito e sottolineato da una dissolvenza incrociata. La dissolvenza in linguaggio cinematografico, sono dei
segni di punteggiatura che segnano il passaggio da una sequenza a un'altra. È incrociata quando, come in questo caso,
un’inquadratura si dissolve a incrocio nell'altra, si sovrappone a incrocio nell'altra. È una dissolvenza che scandisce un
passaggio di tempo, un cambio di luogo, di azione e di tempo, però breve. Qui si è passati da giorno dentro il
capannone, alla sera. È un modo per sintetizzare e procedere nella narrazione cinematografica, per cui dal capannone
si è passati alla sera della stessa giornata. È una soluzione appunto di grammatica e di scrittura cinematografica da
sottolineare e da evidenziare.