16 I TROPI
Il termine significa “direzione”, donde la svolta di un’espressione che dal suo contenuto originario viene diretta
a rivestire un altro contenuto. Tropo o traslato sono denominazioni diverse per lo stesso fatto retorico: la
trasposizione di significato da una cosa all’altra espressione. Secondo una distinzione classica già ricordata, il
tropo, rispetto al termine proprio, rappresenta la licenza: errore è l’importanza ingiustificata. Vi sono varie
classificazioni di tropi, quella di Fountanier comprende sette classi delle sue “figure del discorso”, che vogliono
comprendere tutte le manifestazioni dell’ornatus, sono riunite in due gruppi; i tropi e “non-tropi”. Il primo
raggruppamento comprende due sottogruppi: i tropi veri e propri, che si manifestano “in parole singole” e
costituiscono la classe delle figure di significazione; i tropi impropriamente detti, che si manifestano “in più
parole” e costituiscono la classe delle figure di significazione; i tropi impropriamente detti, che si manifestano
“in più parole” e sono le figure di espressione. Queste ultime sono dette catacresi, cioè di estensione abusiva del
senso. Le procedure ipotizzate da Fountanier per classificare e descrivere i tropi aderiscono alle nozioni che
tradizionalmente sono servite per definire la metonimia, la sineddoche e la metafora. Lausemberg distingue
preliminarmente i “gradi di abitualizzazione” dei tropi a partire dal giudizio di priorità inventiva. Contribuisce
all’abituale. Di un tropo la sua fortuna: la sua diffusione in più generi e tipi di discorso o presso determinati
gruppi sociali. Vi contribuisce in modo ancora più massiccio la “necessità ”, dovuta sia a censura verbale sia a
quella che alcuni hanno teorizzato come “mancanza” o insufficienza nel lessico di una lingua. Il collo della
bottiglia, la gambe del tavolo, il letto del fiume, la cresta e la catena delle montagne sono estensioni dell’uso di
parole che designano parti di individui, oppure oggetti, diversi da bottiglie, tavoli, fiumi, montagne. Il discorso
quotidiano, in generi catacresi risponde ad un’esigenza di economia: si usufruisce del già esistente anziché
introdurre neoformazioni. Una catacresi o una metafora spenta possono sempre essere rivitalizzante: in poesia,
nei giochi di parole, nel racconto fantastico, nella creazione simbolica, nella creazione simbolica, nell’invenzione
estemporanea del discorso quotidiano, in generi e forme svariate, insomma, della comunicazione letteraria e
non letteraria e perfino in convinzioni culturali, mode, atteggiamenti.
1.La metonìmia tradizionalmente è stata fatta consistere nella designazione di un’entità mediante il nome di
un’altra entità che stia alla prima come la causa sta all’effetto e viceversa, oppure che le corrisponda per legami
di reciproca dipendenza come ad esempio CONTENENTE/CONTENUTO, OCCUPANTE/ LUOGO OCCUPATO,
PROPRIETARIO/PROPRIETà MATERIALE O MORALE. La relazione è data dalla presenza di campi concettuali
contigui e interdipendenti. Spesso la metonimia può dipendere anche da convenzioni culturali.
ES: “Ascoltare Mozart” (Autore per opera); “Bere un Bicchiere” (Contenete per Contenuto)
2.La sineddoche consiste nell’esprimere una nozione con una parola che ne denota di per sé un’altra, la quale
sta con la prima in relazione “di quantità . Fountanier la denomina “tropo per connessione” caratterizzandola
come “designazione di un oggetto col nome di un altro oggetto che formi col primo un complesso, un tutto”
trovandosi l’esistenza o l’idea dell’uno compresa nell’esistenza o nell’idea dell’altro.
Nel primo tipo vi possono essere esemplificazione del genere per la specie, uso del plurale per il singolare.
Il secondo tipo di sineddoche è l’inverso del primo, si nomina la parte per indicare il tutto
ES: (tetto-casa, Russia - Unione sovietica), la specie per il genere (pane-cibo), il singolare per il plurale
(lo straniero-gli stranieri).
Della metonimia e della sineddoche la retorica antica non ha dato definizioni delle diverse specie dei due tropi
senza mai riuscire a dare criteri di riconoscimento attendibili. E’ stato notato da molti che la metonimia e la
sineddoche (più la prima che la seconda) modificano il lessico delle lingue, in quanto ogni atto linguistico
implica la selezione di certe entità e la loro combinazione in unità maggiormente complesse. Le scelte vengono
compiute all’interno del patrimonio linguistico al parlante e al destinatario dei messaggi, la concorrenza di
entità simultanee e la concatenazione di entità successive, sono i due modi secondo i quali noi, soggetti parlanti,
combiniamo gli elementi costitutivi del linguaggio. La selezione tra materiali alternativi, coesistenti nel sistema
implica che questi materiali possano essere sostituiti l’uno all’altro nel costruire un messaggio. I componenti di
quest’ultimo si trovano fra loro in rapporto di contiguità , mentre i segni tra i quali è stata compiuta l’operazione
di scelta e sostituzione sono in rapporto di similarità .
3.La metafora è la sostituzione di una parola con un’altra il cui senso letterale ha una qualche somiglianza col
senso letterale della parola sostituita. I rapporti fra metafora e paragone non sono affatto semplici e meno che
mai si lasciano ricondurre alle dimensioni degli enunciati o alla presenza/assenza del segno esplicito del
confronto (come). La metafora è comunque un paragone abbreviato in quanto è implicito nella metafora il
paragone. “La differenza fra similitudine e metafora si regge su presupposti pragmatico-cognitivi in senso
stretto. La prima figura è fondata sulla percezione statica delle affinità che legano due entità , la seconda si basa
su un meccanismo di natura eminentemente dinamica, che produce una qualche forma di fusione, o per meglio
dire compresenza, tra i due entri raffrontati”. Per Aristotele la natura della metafora consiste nel “trasferire a
un oggetto il nome che è proprio di un altro”, nella Retorica aveva rilevato il carattere conoscitivo della
metafora e nella Poetica aveva notato che la capacità di costruire metafore è segno della dote naturale di “ben
vedere le somiglianze”. Un tipo di metafora è la sinestesia “percezione simultanea”: trasferimento di significato
dall’uno all’altro dominio sensoriale (tinte calde/fredde, voce chiara/cupa). La metafora è il fatto retorico più
intuitivo in quanto ciascun parlante è disposto ad accettare significati traslati. La metafora è inoltre a metà
strada tra l’atto di togliere e l’atto di attingere in quanto i due significanti hanno proprietà in comune che da
uno vengono ridotte e vengono attinte dall’altro.
4.L’ironia è stata compresa fra i tropi della trattatistica tradizionale, Fountanier la considera uno dei tropi
“impropriamente detti” in quanto costituiti di più parole; Lausberg la descrive sia come “tropo di parabola” sia
come “tropo di pensiero”; a livello pragmatico l’ironia si concretizza in diverse figure e il Gruppo U le colloca fra
i metalogismi “per soppressione-aggiunzione”. L’ironia è uno sgonfiamento dell’enfasi, del prendersi sul serio,
vuole indurci a ridimensionare il mondo e noi stessi, ma non è né superficialità né futilità , è piuttosto pudore,
mescolanza di riso e pianto; Socrate ne demolisce le vuote ostentazioni, ma aiuta mentre mette in difficoltà , è
sfuggente, imprevedibile e saggio, sceglie la strada della riservatezza e non quella della tracotanza beffarda, che
porta al sarcasmo. La forma più aggressiva e più esplicita dell’ironia è l’antifrasi, che si ha quando
un’espressione viene usata per dire l’opposto di ciò che essa significa (bella giornata oggi/ bravo, bene)o
l’asteismo, ossia un arguzia delicata e ingegnosa. L’enatiosemìa si verifica quando una stessa parola ha due
significati fra loro contrari, o contraddittori o conversi (il giorno avanti, d’ora in avanti). La litote si verifica
quando si nega il contrario di ciò che si vuole dire per attenuare la forza illocutiva e sfumare un giudizio o una
critica negativa.
5.La perifrasi è un giro di parole che sostituisce un unico termine o definendolo o parafrasandolo, la perifrasi
può essere considerata come un sinonimo a più termini (Tropo composto), poiché il principio che la governa è
l’equivalenza di senso. La perifrasi eufemistica ha una salda tradizione, radicata nella decenza, nella buona
creanza e nel rispetto dell’altrui sensibilità. P e T riconoscono come funzione precipua alle perifrasi la “scelta”
che consiste nel dare rilievo a una caratteristica, a un aspetto particolare degli individui, oggetti, fatti nominati;
una perifrasi è tanto più riuscita più serve a metter in luce le cose che contano in un dato discorso. Perifrasi
lessicalizzate sono le locuzioni fisse, avverbiali, preposizionali, verbali, nominali.
6.L’antonomasia consiste nell’usare al posto di un nome proprio, un epiteto o una perifrasi che esprimano una
qualità caratterizzante l’individuo nominato; viene considerata una variante sia della perifrasi, sia della
sineddoche. L’ant. Attinge a campi tropici svariati e comprende anche i fenomeni dell’evoluzione linguistica in
francese. Consiste nel considerare un nome proprio al posto di un nome comune o viceversa perché quel nome
identifica in maniera univoca l’individuo. L’uso antonomastico dipende molto dagli usi culturali
7.L’enfasi affine alla sineddoche “di spazio maggiore” e all’antonomasia, rappresenta un dare a intendere più
di quanto sia esplicitamente detto, andare oltre la superficie dell’enunciato. (il sangue non è acqua, non fare il
bambino, se questo è un uomo). Nell’uso comune l’enfasi è sinonimo di insistenza e di toni e coloriture del
discorso.
8.La litote è la negazione del contrario, il procedimento è quello della perifrasi. (non è mica stupido, non è che
non veda, non un genio, non mi lamento). E l’effetto che si ottiene è l’ironia. Ed è l’attenuazione della forza
illocutiva per sfumare un giudizio o una critica, secondo il letterato settecentesco La Harpe la litote è “l’arte di
mostrar di attenuare, mediante l’espressione, un pensiero di cui si vuole conservare tutta la froza.
9.L’iperbole è l’eccesso l’esagerazione nell’amplificare o nel ridurre la rappresentazione della realtà mediante
espressioni che mantengono con i veri connotati una qualche lontana somiglianza purchè non oltrepassi i limiti
della verosimiglianza. (mi piace da morire, scrivimi due righe, un briciolo di cervello). Fontanier nel definirla
insiste nella buona fede che essa presuppone in chi la usa: si presentano le cose “molto al di sopra o al di sotto
di ciò che sono , con l’intenzione non d’ingannare, ma di condurre proprio alla verità e di imprimere ciò che si
deve realmente credere, attraverso ciò che l’iperbole dice di incredibile”. In ogni caso è il contesto a decidere
l’interpretazione: nell’ultimo enunciato non ci sarà iperbole se dall’alto sono cadute due, e due soltanto, gocce
d’acqua e se quella non era pioggia. Di fatto l’iperbole è “una categoria manualistica, più che una figura retorica
d’uso”, giacché le procedure dell’esagerazione coinvolgono, separate o congiunte, metafora, paragone, ironia,
allusione, avvalendosi di litoti e di perifrasi. P e T considerano l’iperbole, al pari della litote, come figura
destinata ad attuare un “superamento”, l’iperbole si distingue dalle altre procedure argomentative del
superamento, in quanto è modo di esprimersi ad oltranza e senza preparazione o giustificazioni preventive.
Adynaton, esprime idee di assolutezza (campassi mille anni, neanche morto) o enigmi o allegorie.
L’allegorismo che Fountanier distingue dall’allegoria da cui definirebbe pur essendone “un imitazione”,
corrisponde a ciò che oggi si chiama metafora continua.
In linea di principio le figure dovrebbero essere considerate come elementi della dispositio applicati
all’elocutio e all’inventio. Esse hanno come base la struttura grammaticale e sintattica.
A) Figure di parola per aggiunzione in cui si può giocare sul rallentamento del ritmo
1.la ripetizione, che produce successioni di membri o uguali o variati sia da manipolazioni della forma, sia da
mutamenti nella funzione sintattica oppure nel senso delle parole replicate. La ripetizione è considerata una
delle relazioni sintattiche e semantiche a cui è affidata la coesione del discorso, gli effetti che si possono
ottenere ripetendo parole, consapevolmente e con precise intenzioni, oppure inconsciamente, sono temi di
ricerche linguistiche e psicologiche. Come meccanismo discorsivo fondamentale la ripetizione si oppone alla
variazione, entrambe possono agire l’una sull’altra: la variatio può modificare le procedure della ripetizione e
questa a sua volta interviene nelle collocazioni in parallelo di elementi tra loro diversi. Dal punto di vista
stilistico, la variatio è stata proposta come rimedio per evitare ripetizioni non retoricamente motivate, di ciò
non si curano affatto l’inglese e il tedesco, che non esitano a ripetere le stesse espressioni anche a breve
distanza in un testo, a scanso di ambiguità . Per segmento testuale si intenderà una successione ordinata di
parole, delimitata sintatticamente o metricamente come periodo, come frase semplice o complessa, come parte
di frase, ecc. esistono diversi tipi di ripetizione: ad esempio la compositio con la ripetizione di parole contigue,
altre forme in cui invece la ripetizione è a “distanza” e dislocate in diverse parti del testo.
2.L’accumulazione di membri fra loro differenti, coordinati oppure subordinati. La coordinazione è procedura
di collegamento non solo per i membri accomunati, ma anche per quelli ‘ripetuti’, si presenta in due varianti:
l’asindeto (assenza di congiunzioni coordinanti, figura della soppressione) e la sindesi (collegamento mediante
congiunzioni coordinanti) che si attua nel polisindeto dove i connettivi sono più di uno, sia nel collegamento di
due membri con una sola congiunzioni. (armi e bagagli, come e perché).
4. L’anadiplosi è la ripetizione dell’ultima parte di un segmento nella prima parte del segmento successivo (…
quei malati, malati che…). Lausberg allinea e commenta con finezza una minuziosa casistica, distinguendo fra
ripetizione appositiva e ripetizione “integrata sintatticamente” al secondo segmento. La ripetizione appositiva,
frequente nella forma di una relativa è modulo diffuso nel discorso comune, parlato e scritto, ed è ritenuto
fattore, non sempre gradito e opportuno, di enfasi. La reduplicatio può ottenere l’effetto argomentativo che P
assegna alle “figure dell’ordine”, imprimere, con l’insistenza, un’idea già formulata. La seconda replica può
essere un sinonimo, questa pare la soluzione preferita quando si intenda, non solo alleggerire il dettato, ma
arricchirlo di un supplemento di informazione. Il secondo di anadiplosi (la ripetizione integrata al secondo
segmento) produce talora una struttura a chiasmo.
4. L’epanadiplosi è la ricorrenza di una o più parole all’inizio e alla fine di un segmento testuale (abbastanza
triste tutto questo. Triste? Cosa c’è di triste? A me sembra stupido, non triste).
5. L’anafora o iterazione è la ripresa in forma di ripetizione di una o più parole all’inizio di enunciati, o di loro
segmenti successivi (una voce senza tregua, senza ritmo, senza mutamento, senza inizio, ecc). Procedimento
anaforico è pure il polisindeto, coordinazione mediante congiunzioni ricorrenti.
6. L’epifora o epistrofe, il “portare aggiunta” è figura speculare all’anafora, poiché consiste nella ripetizione di
una o più parole alla fine di enunciati, instaurano parallelismi tipici della prosa oratoriamente sostenuta. Figure
caratteristiche dell’inesistenza deprecatoria, esse si raccolgono a piene mani nelle imprecazioni, nelle
invocazioni e nelle preghiere. (assenza di senso: distruzione del senso, perdita)
7. La combinazione fra anafora ed epifora si chiama simploche, queste sono tutte figure del parallelismo, che è
la collocazione “in parallelo” di suoni, di parole, ecc. La seconda sottoclasse delle figure della ripetizione è
caratterizzata dalle differenze fra i membri, differenze provocate o variando la forma e la funzione sintattica
delle parole, o usando le medesime con sensi diversi nello stesso contesto. Nella prima condizione sono
implicite due possibilità : che a variare sia o solo una parte dell’involucro verbale, oppure la parola tutta intera.
In questo secondo caso abbiamo a che far con la sinonimia, nel primo caso come varianti della traductio o gioco
di parole. La seconda condizione consente di sperimentare monologicamente o dia logicamente le differenze di
significato che una ripetizione può indurre.
8. La paronomasia è l’accostamento in presenza o per richiamo implicito di parole che abbiano una qualche
somiglianza fonica, dovuta o no a parentela etimologica, ma siano differenti nel significato
(traduttore/traditore, moglie/maglio, stalle/stelle). Si suole distinguere la paronomasia apofonica da quella
isofonica, la prima è basta sull’apofonia, alternanza vocalica nella radice delle parole; la seconda sull’isofonia,
uguaglianza dei suoni su cui cade l’accento di parola. Accanto ai casi di attrazione istituzionalizzata, ciò non più
sentita dai parlanti nella sua originale devianza, stanno gli innumerevoli episodi di invenzione estemporanea
individuale (l’inverno è lastricato di buone intenzioni). La deformazione paronimica applicata a nomi propri di
persona gioca spesso sull’allusione, coi meccanismi della parodia (straordinari stradivari, il piacere è tutto
mostro, versi perversi).
9. Il polittoto è la ricorrenza di un vocabolo con funzioni sintattiche diverse o nello stesso enunciato o in
enunciati contigui e fra loro collegati, come la paronomasia, a cui viene ascritto da taluni, il poliptoto induce
mutamenti morfologici nelle parole ripetute, il cui significato (lessicale) però , a differenza di quanto avviene
con la paronomasia, rimane immutato col mutare della funzione sintattica. Potere/potere.
10.La figura etimologica è la ripetizione della radice di un vocabolo (e li ‘nfiammati infiammar sì Augusto, O
Spirito spirante, che spiri…, la distanza si distanzia, sogno non sognato bene).
11. La sinonimia come figura della ripetizione consiste nella ricorrenza dello stesso senso in espressioni
diverse, siano esse sinonimi veri e propri o tropi (si tratta per lo più di equivalenza, non di identità perfetta di
senso (In Italia si ha l’idea di nascosti incontri furtivi, di fragili trame; e in certi ambienti addirittura di artifici di
cospirazione). La dittologia è la congiunzione di due vocaboli simili nel significato e complementari (congiune
ed unisce, mondissimo e purissimo). La interpretatio serve a chiarire un’espressione giudicata oscura, difficile o
equivoca.
12. La diafora ha luogo quando si ripete, in un contesto fonologico, una stessa parola (un padre è sempre un
padre, io non sono più io). Sta alla base di neoformazioni consistenti nell’accoppiare due termini identici.
13. L’antanaclasi o “ripetizione in senso opposto” è una diafora dialogica, ha luogo quando in uno scambio di
battute, l’interlocutore “rivolta” un’espressione usata dall’altro partecipante al dialogo, in modo da darle un
senso diverso.
14. L’accumulazione si ha quando si aggiungono gli uni agli altri con procedure coordinative o subordinative,
membri della frase che non siano ripetuti.
15. Quando almeno uno dei membri accumulati è formato da due o più sinonimi si ha una diàllage,
convergenza di molti argomenti in una stessa conclusione (sei stato lontano, assente, irraggiungibile, con le tue
angosce, le tue inquietudini, il tuo malessere, una voglia disperata di libertà , incapace di fermarti ed andare
avanti…)
16. L’enumerazione è l’accostamento di parole o gruppi di parole messi in successione e collegati sia
sindeticamente (Con le congiunzioni ) sia asidenticamente (senza le congiunzioni) sia nell’uno e nell’altro modo
congiunti di coordinazione. L’enumerazione è retoricamente marcata quando le intenzioni comunicative, il
contesto verbale, la situazione d’uso le attribuiscono efficacia argomentativa, descrittiva, narrativa o espositiva.
17. La Distribuzione è un’enunciazione a membri distanziati da espressioni (piccole teste a zampa d’uccello,
animali con mani umane sulle terga, teste chiomate…). La cosiddetta accumulazione caotica (tipica delle litanie)
può trovarsi nella comunicazione pratica informale, nel discorso colloquiale, familiare, ecc, sarebbe fuori luogo
come procedura espositiva in un testo scientifico o in testi normativi. Flusso di coscienza.
18. L’endiadi consiste nell’usare due espressioni coordinate al posto di un’espressione composta da due
membri di cui l’uno sia subordinato all’altro (nella strada e nelle polvere = nella strada polverosa). Sotto il titolo
di accumulazione subordinante o subordinativa Lausberg comprende la serie di rapporti di dipendenza
sintattica possibile tra i membri di una frase. Con l’endiadi si evita l’accumulazione subordinante che
comprende una serie di rapporti di dipendenza sintattica possibili tra i membri di una frase.
19. L’epiteto è illustrato nelle trattazioni retoriche come caso emblematico dell’accumulazione subordinante.
Sono epiteti sia gli aggettivi usati come attributi, sia i sostantivi usati come apposizioni di un altro sostantivo.
Per Lauseberg i più necessari sono quelli che non possono essere tolti da un enunciato senza modificarne
radicalmente il senso (camminavamo con gli occhi fissi). I meno necessari sono gli aggettivi detti pleonastici,
che non danno informazioni nuove, o ne danno di irrilevanti, rispetto a quelle già contenute nel gruppo
nominale o nell’enunciato a cui appartengono.
20. Nell’ipallage o enallage dell’aggettivo, in cui l’aggettivo viene riferito a un elemento della frase diverso
rispetto a quello a cui dovrebbe riferirsi: questo viene agganciato al determinante o complemento di
speciazione, anziché al determinato, a cui invece spetterebbe (o viceversa) ( e gli alberi discorrono col trito
mormorio della rena). B) Figure di parola per soppressione: consiste nell’omettere in un enunciato qualche
elemento che si presuma far parte della struttura di frase. Essa sfrutta la retorica dell’aspettativa della
relazione conforme ai clichè logico semantici e la relazione che viene invece propriamente effettuata.
21. Ellissi o sottinteso, viene studiata come espediente per snellire il discorso eliminando ripetizioni, come
mezzo efficace per suscitare attese e per protrarne il soddisfacimento proiettando in avanti l’attenzione di chi
ascolta o legge. È l’ellissi come elemento preparatorio, come preannuncio del tema di un discorso, frequente
nella trasmissione ‘brillante’ di notizie, nella narrativa e nella poesia, nella quale si trovano anche ellissi totali, è
tratto caratterizzante di generi testuali e di stili, vedi telegrafico. (guidando autostrada, motore, ecc).
22. Lo zeguma o sillepsi comprende una serie di varianti dell’ellissi, sono el. Che provocano incongruenze e
semantiche o sintattiche (parlar e lagrimar vedrai insieme).
23. L’asindeto viene generalmente definito come l’emissione di congiunzioni coordinative nelle enumerazioni,
ma con esso si possono esprimere anche rapporti di subordinazione (non vengo, non ho tempo/ mi piace, lo
prendo). Nella tipologia di Lauseberg si distinguono le seguenti specie di asindeto: additivo, sommativo,
disgiuntivo, avversativo, causale, esplicativo, conclusivo.
C) Figure di parola per permutazione e corrispondenza: nell’ordine delle espressioni la retorica classica
distingue permutazioni, cioè spostamenti di unità rispetto alla posizione considerata regolare, e
corrispondenze foniche e morfologiche. I fatti classificati come permutazione sono oggetto di analisi sintattiche
in quanto riguardano la collocazione delle parole nella frase.
24. L’anastrofe viene generalmente definita come un’inversione nell’ordine, secondo alcuni abituale, secondo
altri normale, di due o più parole o sintagmi successivi. (e pianto, ed inni, e delle Parche il canto / ti che il non
mutato amor mutata serbi ). Nella storia del linguaggio poetico, l’anastrofe fa parte delle persistenze di una
tradizione codificata che risale a moduli latini, in tutte le lingue romanze.
25. L’iperbato si produce quando un segmento di enunciato viene interposto a due costituenti di un sintagma,
oppure a sintagmi uno dei quali sia subordinato all’altro, si colloca tra quelle modificazioni nell’ordine dei
costituenti di una frase che sono dovute a variazioni nel distribuire l’informazione (risponderò alle, senza
dubbio numerose, obiezioni Il di lei fratello).
26. L’epifrasi come figura riguardante la disposizione delle parole è una variante dell’iperbato. Essa consiste
nell’aggiungere un membro ad un enunciato, in posizione tale da produrre un iperbato fra il membro aggiunto e
quelli ai quali quest’ultimo si coordina (dolce e chiara è la notte e senza vento). L’epifrasi è dunque un iperbato
tra membri coordinati, anziché tra elementi in rapporto di subordinazione, tra i quali si verifica l’iperbato nella
sua forma canonica.
27. La sinchisi è la mescolanza come turbamento dell’ordine abituale delle parole, ed è prodotta dalle ripetute
combinazioni di anastrofi e iperbati in uno o più enunciati connessi. “il divino del pian silenzio verde”.
28. L’isocolo o parisosi è l’equivalenza, nell’ampiezza e nella struttura sintattica, di periodi, frasi e loro membri;
e di strofe, versi e cola nella forma metrica (come latte tu mi hai cagliato, come formaggio mi hai raggrumato, di
pelle e carne tu mi hai vestito, di ossa e tendini mi hai armato). Nei modelli classici, da Quintiliano in poi, la
parisosi è stata analizzata secondo l’autonomia sintattica dei membri coordinati, ala loro composizione
semantica e la loro consistenza fonica e morfologica (subinuctio se frasi intere, adiunuctio se gruppi non
autonomi sintatticamente, disinuctio se sinonimi). È molto frequente in tutte le epoche poetiche e soprattutto è
tipico dello stile biblico.
29. L’omeoteleuto è la terminazione eguale o simile di parole, fenomeno dell’omofonia in cui rientrano anche
la rima e l’allitterazione. Se non letterariamente giustificata la ripetizione di finali di parole genera, nel discorso
comune, fastidiose cacofonie.
30. L’omeototto, fenomeno delle lingue flessive con marche morfologiche per i casi e per la coniugazione dei
verbi. Quintiliano spiega che può comprendere o meno l’omeoteleuto.
31. La paromeosi è lo stadio più complesso della parisosi, in quanto comprende fenomeni dell’omeoteleuto e
insieme della paronomasia e del politotto (straziami, ma di baci saziami).
32. la dittologia è la congiunzione di due vocaboli simili nel significato o complementari che servono per
enfatizzare il concetto espresso.
Lausberg sa benissimo che “elaborazione intellettuale e formazione linguistica sono un processo inscindibile” e
perciò si preoccupa di avvertire, all’occasione, che uno stesso procedimento può essere una figura
grammaticale, per quanto riguarda le modificazioni morfologiche, figura di parola, sul piano della funzione
sintattica e degli elementi stilistici, e figura di pensiero riguardo alle relazioni logico-semantiche,
all’inquadramento tematico, agli scopi del comunicare. Le figure di pensiero si fondono più su concetti vaghi,
mal definiti o fatti coincidre intiuitivamente cin procedure discorsive. Riguardo alle figure di pensiero le teorie
classiche si imbattevano nei problemi dell’organizzazione del contenuto. La sua ricerca di simmetria lo spinge a
proporre “sperimentalmente” una sistemazione delle figure di pensiero secondo le quattro categorie del
mutamento.
1. La commoratio è un indugio ripetitivo sulle idee comunicate. Tale indugio può attuarsi nella interpretatio o
parafrasi interpretativa, che consiste nell’accostare a un enunciato un altro equivalente, col risultato di chiarire
e arricchire il pensiero già espresso. Oppure la commemoratio può presentarsi come expolitio, traducibile con
termine ritocco: un ritornare sullo stesso tema, o sul nucleo di questo, aggiungendo informazioni
complementari e variando l’espressione.
2. L’ipotiposi è il portare davanti agli occhi l’oggetto della comunicazione, mettendone in luce particolari
caratterizzanti, per concentrare su di esso l’immaginazione dell’ascoltatore, la sia capacità di raffigurarsi nella
mente ciò di cui si parla, di tradurre le parole in immagini. Rientrano sotto questa rubrica le varie specie e
tecniche della descrizione che Fountanier raggruppa nella sottoclasse delle figure di pensiero per sviluppo: la
topografia (descrizione dei luoghi), la prosopografia (di circostanze di tempo), l’etopea (di qualità morali,
comportamenti, vizi e virtù ), il ritratto (comprende la prosopografia e l’etopea), il parallelo (in due direzioni, o
consecutive o mescolate, mette in evidenza somiglianze e differenze di oggetti e individui descritti), il tableau
(messa in scena).
4. L’epifrasi, già considerata come figura di parola, trova posto nel dominio delle figure di pensiero come
sviluppo di idee accessorie, come accumulazione di senso intorno a un nucleo concettuale già manifestato.
5. La definizione è la delimitazione di un concetto, la dichiarazione precisa di “ciò che si intende per…”. Una
definizione, se usata al posto del termine definito, è una perifrasi sostitutiva, se si presenta come spiegazione
del significato originario di una parola è una etimologia. Essa si trova in ogni tipo di discorso.
6. La dubitatio è l’incertezza tra due o più possibili interpretazioni di un fatto, evento, stato di cose, si vagliano
circostanze e opinioni contrastanti, si valuta il pro e il contro di una situazione o di un’idea, in vista di una
decisione da prendere. Fountaier sdoppia la classica dubitatio in “esitazione” e “deliberazione” e annovera la
prima fra le “presunte figure di pensiero”, vedendovi soltanto la manifestazione di sentimenti contrastanti, fra i
quali non trova posto una riflessione razionale. La “deliberazione”, invece, compresa nella sottoclasse delle
“figure per ragionamento e per combinazione”, si identificherebbe con le valutazioni razionali del pro e del
contro di una possibile decisione, con esitazioni simulate avendo già ben presente la soluzione ottimale.
7. La correctio come chiarimento semantico si offre in forme svariate e in due tipi principali: come
contrapposizione e come miglioramento.
10. La reversio o regressio consiste nel ripercorrere a ritroso la successione concettuale di cui consta il primo
membro, o specificando punto per punto ciò che si è formulato complessivamente, o invertendo i ruoli
semantici e sintattici dei termini che danno le informazioni principali (devi mangiare per vivere, non vivere per
mangiare).
11. Il chiasmo (pace …. Guerra, vita … morire, le donne … gli amori) è l’incorocio di memnri corrispondenti e
contigui, dove uno o più termini collocati in successione seguono in uno dei membri l’ordine inverso dell’altro.
Il chiasmo può essere piccolo o grande a seconda del fatto che la corrispondenza riguardi singole parole o
intere frasi. Il chiasmo semplice ha elementi con identiche funzioni sintattiche posizionate specularmente
(l’arte e la scienza, sono libere e libero ne è l’insegnamento). Il chiasmo complicato o antimetabole è definito
come permutazione nell’ordine delle parole, tale da produrre un capovolgimento di senso; l’incrocio può essere
semantico (chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane) oppure sintattico (la loro vita è morte
d’immortal e d’immortali vita il morire).
12. Lausberg definisce la sentenza un luogo comune formulato in una frase che si presenta con la pretesa di
valere come norma riconosciuta della conoscenza del mondo e rilevante per la condotta di vita o come norma
per la vita stessa. La massima ci si aspetta che abbia una validità generale, mentre il motto può essere
proverbiale e venire usato in alcune circostanze. L’uso retorico della sentenza come condensazione ‘a effetto’ di
un topos spazia dalla forma assertiva (temo i Greci, anche quando offrono doni) all’interrogazione retorica
(quale amore più grande che dare la vita per i propri amici?), all’interrogazione (Oh, austerità , quanti peccato si
commisero in tuo nome!), all’esortazione (a nemico che fugge, ponti d’oro). Una sentenza dotata di capacità
definitoria è l’aforisma, che concentra in una sola proposizione o in una composizione di giudizi e riflessioni
morali, resoconti di esperienze, asserzioni riguardanti un sapere specifico. L’uso dialettico di una sentenza ne fa
la premessa maggiore di un sillogismo, specie se questo riguarda comportamenti o atteggiamenti.
13. L’epifonema è una sentenza posta a conclusione di un discorso (ciascuno dei due ha attinto dalla
profondità del suo spirito quella nota che accompagna e consola nell’ora disperata). Fountanier riteneva troppo
restrittiva la collocazione nel finale e proponeva di vedere la medesima figura anche all’inizio e nel cuore di un
ragionamento, purché si distacchi nettamente per la sua generalità o per l’oggetto su cui verte.
14. La similitudine è modernamente considerata una delle due specie del paragone, consiste nel confrontare
l’uno con l’altro esseri animati e inanimati, atteggiamenti, azioni, processi, accanimenti e via discorrendo, in
uno dei quali si colgono caratteri, aspetti, ecc somiglianti e ‘paragonabili’ a quelli dell’altro. Genette ha distinto
come “figure di analogia”, due tipi di paragone comprendenti ciascuno due varianti, l’altra specie del paragone è
la comparazione, la cui proprietà consiste nell’essere un paragone reversibile: i due termini della comparazione
possono scambiarsi il ruolo. La grammatica tradizionale distingue tre gradi di comparazione: uguaglianza
(intercambiabile), maggioranza e minoranza (non scambiabili).
15. L’esempio è il racconto di un episodio citato a conferma di ciò di cui si sta trattando, come elemento
dell’ornatus, l’esempio appare in forme e dimensioni svariate, dall’antonomasia all’allusione, all’allegoria.
B) Figure di pensiero per soppressione o brachiologia, è il parlare in breve usando solamente le parole
necessarie, come afferma la Rhetorica ad Herennium, si tratta di figure “in togliere”.
16. Laconismo o laconicità è il modo di parlare proprio degli spartani, caratterizzato dalla riduzione del
discorso all’essenziale, la concisione si identificava perciò con la imperatoria brevitas tipica del linguaggio
militare, trasferita per estensione anche agli altri tipi di discorso, in particolare a motti, aforismi, sentenze.
17. La percursio è un racconto che ‘corre’ veloce, una scorsa su argomenti di cui si dichiara che meriterebbero
una trattazione più riposata, ma che per varie ragioni vengono solo trattati per sommi capi.
18. La preterizione consiste nel dichiarare che si tralascerà di parlare di un dato argomento, che intanto viene
nominato o brevemente indicato nei tratti essenziali. 1
19. La reticenza o aposiopesi consiste nell’interrompere improvvisamente un discorso quando già un tema è
stato annunciato o avviato. E’ la retorica del silenzio, di un implicito che ha la forza tale da far intendere assai
più di quanto non si dica.
20. L’Hysterion proteron consiste nel dire per prima la cosa che è accaduta per ultima , si sovverte l’ordine
crono per dare la priorità all’informazione più importante, questa logica è spesso seguita dalle tecniche
giornalistiche nel costruire titoli, dove l’ultimo evento in ordine di tempo è anche il più importante. La stessa
tecnica si utilizza anche nei racconti o nei film che “cominciano dalla fine” e tutto il racconto è poi un flashback.
21. La parentesi è l’inserzione di un segmento di discorso entro un enunciato. Il segmento inserito può avere
ampiezza e costituzione sintattica variabili. I retori antichi consideravano la parentesi come il corrispettivo, sul
piano del contenuto, di ciò che è l’iperbato sul piano dell’espressione.
22. La subnexio e prosapodosi è l’annessione di una o più idee a un tema già sviluppato, può consistere nello
svolgimento di un’antitesi, attuato nella forma della comparatio, può pure presentarsi come eziologia, che
consiste nell’esplicitare le cause di ciò che si sta asserendo.
23. L’allusione, che traduce uno dei valori di “significato simbolico”, viene generalmente definita come “velato
accenno a ciò che non si vuole nominare apertamente”. Esistono vari tipi di allusione: quella indovinello, quella
come parlar coperto. L’allusione comprende la densità semantica, la vaghezza, la polisemia, l’apertura a
interpretazioni svariate.
24. L’allegoria fu detta dai latini “scambio”, per Quintiliano indicava una cosa con le parole e un’altra con le
idee sottintese, a volte significava far intendere addirittura il contrario di ciò che vien detto (ironia). Ma
un’allegoria può anche non contenere alcuna metafora, essere composta di parole usate tutte il senso proprio, e
tuttavia raffigurare (simboleggiare) qualcos’altro. L’interpretazione allegorica dei poeti è pratica antichissima, i
greci leggevano allegoricamente Omero, gli stoici vi sia affidarono per interpretare la religione in termini
naturalistici, l’allegoria in verbis fu distinta nel Medioevo, l’allegoria in factis: fatti, entità , persone interpretati
come figura di altri fatti entità persone. Auerbach (1963) ha saputo riconoscere la diffusione di questo modello
ermeneutico figurale in tutta la tradizione biblico-cristiana e di averne dimostrato l’importanza per la
comprensione del pensiero e delle opere medievali. Le sacre scritture sono interpretabili nei quatto sensi
stabiliti già da Rabano Mauro, nella prima metà del IX secolo: letterale, allegorico, morale, analogico. La
distinzione fra allegoria e simbolo è moderna, a partire dall’età dell’Illuminsmo, all’allegoria il contrapposto il
simbolo, immagine naturale che rivela una realtà nella sia vivezza e ne rende immediatamente percepibile un
senso altro da quello che si era supposto, mentre l’allegoria è una concettualizzazione convenzionale e
arbitraria. Una specie dell’allegoria è l’enigma, dove l’idea fondamentale è imbozzolata nell’oscurità di nessi che
ostacolano il più possibile il ritrovamento della chiave risolutiva. L’enigma ha antichissime tradizioni sacrali e
mitologiche.
25. La prosopopea o personificazione consiste nel raffigurare come persone esseri inanimati o entità astratte,
nei modelli classici è stata collegata all’allegoria ed estesa a comprendere anche le “umanizzazioni”, popolari e
colte, di animali nelle fiabe, nella favolistica, nella satira, nell’aneddotica e nella narrativa in genere.
26. La dissimulazione e la simulazione considerate come atteggiamenti tra loro contrari e complementari,
sono state contrapposte in definizioni famose (la dissimulazione è una industria di non fare vedere le cose
come sono. Si simula quello che non è, si dissimula quello che è. Gli antichi distinsero in questa figura almeno
tre modi di attuazione, in cui il dissimulare e il simulare si implicano a vicenda: 1) l’ironia socratica “arte
dell’interrogare che nasconde la propria opinione”; 2) l’enfasi, la litote e la perifrasi dissimulanti, adoperate
come schermo o paravento alle proprie idee; 3) la tendenza a sminuire la propria importanza, dipende da tale
atteggiamento l’uso delle formule di cortesia, il convenzionale presentarsi in second’ordine da parte del
soggetto e l’uso del plurale di modestia o dell’impersonale come occultamento della persona di cui parla o
scrive. La simulatio si presentava come finta condivisione delle tesi avverse, sotto forma di affermazioni o di
esortazioni.
27. La sermocinatio è stata interpretata come “distacco” del discorso dal locutore, il quale “introduce a parlar”
un altro, cioè ne riporta le parole in forma diretta. E’ la mimesi o imitatio, che quando arriva a riprodurre anche
l’atteggiamento, il tono di voce, i tic linguistici della persona di cui si riportano le parole, viene classificata come
etopea (sfruttamento retorico di un atto linguistico altrui perfettamente simulato). Il dialogismo è la finzione di
un dialogo, in un discorso a domanda e risposta, ma può anche presentarsi come monologo in cui siano
intercalate interrogazioni “deliberative” che il parlante rivolge a se stesso.
30. L’ammissione delle buone ragioni dell’avversario, contrapposta da obiezioni riguardo l’importanza delle
medesime, da rilievi riguardo al maggior peso di circostanze, opinioni, fati è la concessio.
31. L’esitazione di fronte a questioni difficili, che induce a interrogare il pubblico, nell’atto di chiedergli aiuto
per fronteggiare le difficoltà argomentative è la dubitatio, se gli interrogativi vengono rivolti all’avversario (in
modo fittizio) si ha la communicatio o anacenosi.
32. Il distacco degli ascoltatori nelle forma dell’apostrofe è la “svolta improvvisa” del discorso, nell’atto in cui
chi parla si rivolge direttamente e vivacemente a una persona diversa dal destinatario naturale o convenzionale
del discorso stesso (variazioni ne sono l’invocazione, l’esecrazione, la maledizione).
33. La domanda retorica può far parte della percontatio e ha questo di particolare, che non è una richiesta di
informazioni, non attendendo alcuna risposta ovvia.
34. L’esclamazione attua la funzione emotiva e si intende come trasformazione della forma sintattica e
dell’intonazione di un corrispondente enunciato assertivo.
Figure della scelta: l’interpretazione partigiana di un fatto, il punto di vista personale riguardo a questo; la
definizione retorica, la perifrasi, la sineddoche, la metonimia e l’antonomasia. Figure della presenza: (rendono
attuale alla coscienza l’oggetto del discorso) e dell’accumulazione, in particolare la congerie come cumulo di
sinonimi e le varie forme della sinonimia. Figure di comunione: (per mezzo di procedimenti letterari ci si sforza
di creare o confermare la comunione con l’uditorio) allusione e citazione, apostrofe, interrogazione retorica e
altri schemi grammaticali.
2.20 LA “COMPOSITIO”
Nella sintassi furono distinti tre gradi di elaborazione: l’oratio soluta, la più libera da vincoli formali, (sia il
parlato colloquiale, sia lo scritto che ne riproduce le movenze) l’oratio perpetua, dall’andamento lineare
(consiste nel porre gli enunciati, non importa se lunghi o brevi, in successione lineare); la periodus, svolgentesi
come un circuito regolato (un giro o uno sviluppo circolare o una concatenazione d un ciclo compiuto di
parole). La periodos fu suddivisa in cola e commi: per colon si intese una sequenza di più di tre parole, capace
di costituire una protasi o un’apodosi. Il comma fu definito una sequenza più breve del colon e un costituente di
questo. Oltre che parte di un colon il comma poteva essere un’unità sintatticamente autosufficiente. Secondo il
numero dei cola un periodo poteva essere bimembre, trimembre, quadrimembre o plurimembre.
Per quanto riguarda la fonetica la compositio cura l’armonia dei suoni e del ritmo. Nel primo ambito si
collocano i fenomeni dell’allitterazione: ripetizioni della stessa consonante o della stessa sillaba all’inizio di
parole contigue furono denominate cacofoniche ma in poesia fu definito “licenza” ed era giustificato mediante
la ricerca di effetti musicali e imitativi. L’allitterazione ocme la rima produce omofonia e dunque l’uso
dell’allitterazione è sistematico nelle lingue che non conoscono la rima, veniva usata come ingrediente per
diversificare la versificazione. Altro elemento della compositio era il ritmo poetico e prosastico, nelle lingue
classiche consisteva nella successione regolata delle sillabe lunghe e delle brevi.
Secondo le dottrine classiche la virtù dell’aptum comporta che l’espressione sia appropriata agli scopi del
parlare e all’argomento, perciò furono distinti lo “stile umile” (insegnare e dimostrare): è caratterizzato da una
forte semplicità priva di ornamenti frutto della purezza e della chiarezza nell’esprimersi; lo “stile medio”
procura piacere, svago all’ascoltatore/lettore), “stile sublime” (colpire, suscitare forti passioni), “stile ornato
vigoroso” sintetizza gli attributi del discorso e del relativo stile.
Si distinguono comunemente due tipi di memoria, quella artificiale e quella naturale. La memoria artificiale
produce punti di riferimento e immgini che devono avere somiglianze con l’oggetto e colpire lìimmaginazione.
Agostino dedicò splendide pagine al “ricordo della dimenticanza”, nel Medioevo Alberto Magno e Tommaso
d’Aquino formularono regole di mnemonica cercando di conciliare la psicologia aristotelica con la
mnemotecnica ci Cicerone e della Rhetorica ad Herennium. Si distinguono comunemente memoria naturale e
artificiale: funzionano in maniera simile e si organizzano come una sorta di scrittura mentale. Giorndano Bruno
riprende motivi dell’arte mnemonica degli antichi per fondare una logica memorativa, ove gli strumenti della
mnemotecnica si identificano con l’apparato delle relazioni che compongono in sistema logico. Secondo Ramo
la memoria doveva essere scissa dalla dialettica, cioè dalla nuova logica in cui doveva annullarsi la distinzione
aristotelica fra dimostrazioni scientifiche e argomentazioni basate sull’opinabile. Le regole della mnemotecnica
‘classica’ confluirono nei progetti seicenteschi di unificazione delle scienza.