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UGO FOSCOLO

Niccolò Ugo Foscolo, figlio di madre greca e padre veneziano, nasce a Zante nel 1778, una delle isole Ionie
possedimento della repubblica Veneta. Essendo la madre greca ed essendo nato in terra greca si sentì
profondamente legato alla civiltà classica e la Grecia rivestì un ruolo importante nella sua vita culturale e
intellettuale diventando simbolo di bellezza, gioia, fecondità e fu cantata più volte nella sua poesia. Morto il
padre, la famiglia si trasferisce a Venezia, dove Foscolo riceve una buona formazione classico-umanistica
imparando anche la lingua italiana, ma la famiglia incontra però serie difficoltà economiche. Nonostante la
povertà , di cui Foscolo ad ogni modo andava fiero, ottenne comunque fama. Qui incontra l'aristocratica Isabella
Teotochi Albrizzi che lo introduce nei salotti letterari più prestigiosi della città. Foscolo, oltre ad ottenere ama
come scrittore si distinse anche per il suo impegno politico. Egli era su posizioni libertarie ed egualitarie
appoggiando i principi della Rivoluzione francese e scontrandosi con il governo oligarchico e conservatore della
Repubblica di Venezia. Infatti, nel 1796 l'arrivo dell'esercito repubblicano viene colto da parte di Foscolo con
grande entusiasmo, che dimostrerà con la stesura di “Tieste”, una tragedia di impronta Alfieriana che riscosse
grande successo, ma che fece nascere anche una serie di sospetti. Per questo decise di trasferirsi a Bologna
dove si arruola nell'esercito della repubblica Cispadana, è qui che scrive l’ode Bonaparte Liberatore in cui
esaltava il generale francese come portatore di libertà . Nel periodo che va dalla nascita delle repubbliche
filofrancesi alla fondazione dei regni napoleonici vive anni frenetici e ritorna anche a Venezia dopo essersi
rifugiato sui Coli Euganei, diviso tra impegni politici, peripezie militari, vicende amorose e creazione letteraria.
Fu dopo il trattato di Campoformio, il 17 ottobre 1797 che Foscolo abbandona definitivamente Venezia e
considera quel trattato un “tradimento di Napoleone”, questo trauma segnò profondamente la sua esperienza.
Tuttavia, non abbandona la vita politica pur mantenendo un atteggiamento critico verso Napoleone. Foscolo si
traferisce però a Milano dove ricopre una serie di cariche importanti come quella di aiutante cancelliere al
Tribunale Militare e l’arruolamento come capitano aggiunto nell’esercito partecipando a vari scontri e battaglie.
Inoltre, il periodo milanese fu un periodo fiorente dal punto di vista affettivo e amoroso, vive intense passioni
amorose e stringe anche amicizia con Parini che diventa per lui un modello di figura intellettuale che compare
anche nell’Ortis. Si distinse nell’ambito culturale ottenendo però anche inimicizie.

Nel 1803 esce una breve raccolta di poesie costituita da 12 sonetti che volevano avvicinarsi agli ideali
neoclassici di perfezione formale e sono caratterizzati da un groviglio di passione che si stempera nella liricità
della poesia. Le odi, “A Luigia caduta da cavallo” e “All'amica risanata” che riprendono il modello di Parini,
parlano la prima di una caduta da cavallo di una delle sue amanti, e ne descrive la bellezza anche se deturpata,
di impronta decisamente neoclassica, anche nella seconda proietta la bellezza delle dee greche sulla donna. Nei
sonetti le figure del mito e degli echi dei poeti si fondono con l'io e con alcuni tratti biografici ed esistenziali
propri dell'autore, e con alcuni temi a lui cari, caratteristici della sua poetica, come l'origine greca in “A
Zacinto”, l'esilio da Venezia, il suicidio del fratello in “In morte del fratello Giovanni”, la malinconia e
l'attrazione verso la morte ne “La sera”. Nello stesso anno in cui compose questi sonetti mise a fuoco la propria
poetica, sostenendo che i grandi poeti come Dante e Shakespeare hanno educato la propria nazione grazie
all'immaginazione. Allo stesso modo la poesia deve colpire il cuore con le passioni, la mente e il meraviglioso.

Nel 1807 esce il carme di “Sepolcri”, che fungerà da modello per Gray per scrivere “The Elegy in the Country
Churchyard”. Per la sua scrittura Foscolo prende spunto dai colloqui con Pindemonte sull'editto napoleonico
che prescrive la sepoltura dei defunti al di fuori delle mura della città , con quest'opera crea una nuova poesia
filosofica in cui emozioni e procedimenti stilistici coinvolgono i lettori nel discorso teorico sulla funzione etica,
culturale e politica del culto dei morti. Il carme scritto in endecasillabi forza il gusto dei lettori, e ne rende
difficile la lettura. A chi accusa Foscolo di essere incomprensibile, egli lo confuta pubblicando una serie di note
alla fine dell'opera e realizza una parafrasi schematica che divide l'intera composizione in 4 grandi blocchi.

o Il primo illustra l'importanza delle tombe che conservano la memoria delle persone.

o Il secondo espone il vincolo tra il culto dei morti e la nascita del legame sociale e della civiltà tra le
umane belve.
o Il terzo mostra la funzione civile e politica delle urne dei grandi che spingono le persone a emulare
pe imprese di questi ultimi.

o Il quarto associa il ruolo di trasmissione della memoria dei sepolcri e quello eternatore della poesia.

Foscolo voleva rientrare a far parte di quella schiera di classicisti che definivano il loro tipo di poesia filosofica
sublime poiché aveva la capacità di elevare i sentimenti e i valori morali del lettore evocando situazioni
estreme e fortissimi contrasti. Foscolo inserisce il repertorio poetico e mitologico classico nell'attualità del suo
tempo attribuendogli una funzione e un significato moderni. Ad esempio, di fronte alla forza distruttrice della
natura, egli affida alla poesia il ruolo di tramandatrice di illusioni etiche e civili, rendendolo il contro di una
società senza speranze. I poeti acquistano il ruolo di legislatori morali come i profeti o i sacerdoti laici; i
sepolcri in questo modo tracciano una fondazione mitica del ruolo civile dello scrittore e della sua
indipendenza dal potere. In più gettano le basi per la creazione di una nuova religione laica per l'amor di patria,
ripresa da protagonisti del processo di unificazione nazionale. Per questo il carme rappresenta l’unione tra
eventi moderni e antichità remote fatte di paesaggi idilliaci ed enormi distese selvagge, sentimenti delicati e
feroci battaglie. Cambi di scena improvvisi, salti di atmosfera e di registro dall’elegia all’epica, dal lugubre
sepolcrale all’armonia neoclassica.

Grazie al crescente prestigio letterario e all'aiuto di Monti, Foscolo ottiene la cattedra di eloquenza
all'università di Pavia che fu però presto soppressa dal governo. Nelle lezioni del 1809 espone la sua
concezione del ruolo dello scrittore e i suoi rapporti con il potere e con la società. Egli ritiene che gli scrittori si
trovino in una posizione intermedia e indipendente tra i signori e i loro servi, e che debbano criticare gli eccessi
dei primi e impartire i valori patriottici e civili ai secondi. Nel 1811 il governo proibisce la pubblicazione di una
sua tragedia, l'”Ajace”, in quanto viene ritenuta antinapoleonica perché nella figura del tiranno Agamennone
vengono ravvisate allusioni a Napoleone e Foscolo viene espulso dal regno d'Italia. Nel 1812 si sposta a Firenze,
dove, vivendo un periodo sereno, inizia la stesura della traduzione di un romanzo inglese "il viaggio di Yorick
lungo la Francia e l'Italia”, la pubblica l'anno seguente attribuendola però a un suo nuovo alter ego di nome
Didimo Chierico. Questa volta si parla di un enigmatico scrittore , che manifesta le proprie passioni in modo più
pacato rispetto il burrascoso e sentimentale Jacopo Ortis, infatti a differenza di quest’ ultimo, Didimo raggiunge
un malinconico equilibrio con il mondo e gli uomini. Il romanzo sul nuovo alter ego non va a buon fine e si
ferma a poche pagine, poiché il nuovo registro ironico-realistico non riesce a concretizzarsi in una nuova opera,
e questo nuovo alter ego resta solo uno pseudonimo.

Sempre nel 1812 Foscolo inizia la stesura de “Le Grazie”. In questo periodo l'Europa è tornata in guerra,
Bonaparte invade la Russia in un'offensiva che però non va a buon fine e muoiono molti italiani. Dinanzi a
questa moltitudine di battaglie Foscolo espone la capacità civilizzatrice dell'arte che ingentilisce
l'aggressività umana e placa il dolore. Foscolo vuole disegnare una storia della civilizzazione umana attraverso
la diffusione dell'arte greca nell'Italia moderna e si ispira infatti per realizzare l’opera al gruppo scultoreo “Le
grazie” di Antonio Canova. Vuole disegnare una storia ideale della civilizzazione umana, attraverso la diffusione
dell’arti dalla Grecia all’Italia moderna. Vuole quindi creare un mito con lo stesso fascino e la stessa
immediatezza di quelli greci. Questo mito verrà diviso in tre inni:

o Il primo canta la nascita delle Grazie, voluta da Venere per fermare gli istinti animali degli uomini

o Il secondo canta un rito propiziatore celebrato alle tre dee a Firenze da tre “vaghissime donne”
amiche del poeta.

o Il terzo invece tratta della fuga delle dee ad Atlantide dove si rifugiano per sottrarsi ai desideri impuri
e alla tessitura del “velo miracoloso” decorato con le immagini dei sentimenti più sacri.

In quest'opera il poeta ricorre spesso all'allegoria, quale personificazione di un'idea astratta. Non riesce a
portare a termine la stesura prima che la sconfitta di Bonaparte lo spinga a tornare in politica, accantonando la
scrittura, questa poetica non regge neanche al crollo del Regno d'Italia e del canone letterario neoclassico,
quindi ne pubblicherà solo pochi frammenti.
Dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia, Foscolo torna a Milano riprendendo il suo posto nell’esercito ma dopo
la sconfitta di Waterloo, al crollo dell'impero, Foscolo si schiera con chi cerca di tenere in vita il Regno D'Italia ,
sottraendolo al controllo francese, anche per questo motivo le autorità austriache una volta riconquistata la
Lombardia gli offrono di dirigere la futura “biblioteca italiana”, rivista culturale milanese. Ma quando il governo
impone agli ufficiali di giurare fedeltà si ritira in esilio prima in Svizzera e poi in Inghilterra. La sua scarsa
capacità di adattarsi ai codici sociali inglesi lo relegano ai margini della società diventando sempre più povero,
inoltre anche il rapporto con gli altri esiliati italiani in Inghilterra non sarà facile, vista la sua ostilità verso il
romanticismo delle nuove generazioni. Dopo qualche tempo, riesce a ritagliarsi uno spazio nell'editoria inglese
come critico di opere italiane; la sua critica ruota intorno a un nucleo filosofico nel quale si combinano teorie
sensiste e vichiane. Dalle prime ricava che la scrittura poetica offre all'autore il piacere di moltiplicare
sensazioni e idee, mentre le teorie di Vico lo portano a situare gli autori nell'universo culturale della loro epoca,
collegando le caratteristiche dei testi alla personalità dell'autore. Ridotto in povertà è costretto a vivere nei
bassifondi londinesi dove però non si perde d’animo e continua la traduzione dell’Iliade. Solo dopo la sua morte
la figura di questo grande poeta ottiene il riconoscimento dovuto, e le sue spoglie vengono trasferite da un
cimitero inglese alla chiesa di Santa Croce a Firenze accanto alle tombe dei grandi uomini da lui cantati nel
carme.

I tratti essenziali della poetica foscoliana sono strettamente legati alla sua formazione in cui convergono sia la
tradizione classica, in quanto originario greco, ma anche le più moderne sollecitazioni preromantiche, i tratti
iniziali dello Sturm und Drang e l’illuminismo settecentesco.

 TRADIZIONE CLASSICA: la formazione letteraria del giovane poeta avviene nel solco del gusto
arcadico, caratterizzato dall’attenzione verso la perfezione formale e retorica con una letteratura
frivola ed evasiva. A ciò si aggiunge il modello dei grandi classici latini e greci e anche degli italiani
Dante e Petrarca. La Grecia fu per lui un riferimento importante e simboleggiava gioia vitale, luminosità ,
bellezza e cultura e sarà protagonista della sua poesia.
 PREROMANTICISMO: Il culto della natura gli proviene da Rousseau del quale conosce e studia le
opere. La natura, tratto tipicamente sturmeriano era per Foscolo, come per Rousseau, fonte di
sentimenti positivi e autentici e simbolo della passionalità intensa. Foscolo abbracciava la visione
roussoniana della società che si fondava sul presupposto dell’originaria e naturale bontà dell’uomo che
poi è andata svanendo in quanto corrotta dallo sviluppo della società . Più tardi però l’autore si stacca da
questi principi e abbraccia le teorie meccanicistiche e piuttosto pessimiste di Machiavelli e Thomas
Hobbes
 ILLUMINISMO: dopo una prima visione eroica e fiduciosa nella vita subentra il pessimismo a cui
contribuisce la visione materialistica e meccanicistica della realtà che gli proviene dalla cultura
illuminista del 700 con l’apporto anche dei pensatori classici come i greci Democrito ed Epicuro. Il
materialismo è la concezione di chi ritiene che la realtà sia tutta ridotta a materia, ad aggregati di
elementi materiali che poi si disgregano per andare a formare altri corpi. Il mondo non è retto che da
una forza meccanica in cui la morte segna il totale annullamento dell’individuo. Ne deriva quindi la
negazione del trascendentale e della sopravvivenza dell’anima dopo la morte. Dopo la morte non resta
l’anima ma un ricordo che non rimane che nella memoria dei vivi eternizzandolo. In parte egli supererà
tali visioni meccanicistiche recuperando una dimensione ideale dell’esistenza
 FUNZIONA CIVILIZZATRICE ED ETERNATRICE: Tra i moderni Foscolo guarda con molta ammirazione
al rigore morale di poeta civile di Parini e all’ansia di libertà di Alfieri da cui ispira l’idea che l’arte, che è
espressione del bello, debba avere una funzione civile. L’arte e la letteratura hanno il compito di
purificare l’animo umano dalle passioni che nascono dai conflitti della vita associata, allontana l’uomo
dalla ferocia che continua a permanere in lui sin dai tempi primitivi che lo spinge alla guerra e alla
violenza; insegna il rispetto per gli altri uomini e la compassione per i deboli e i sofferenti. A questa
funzione civilizzatrice si aggiunge anche quella eternatrice, ossia la funzione dell’arte di tramandare le
memorie in cui consiste l’anima di un popolo. La poesia serve da modello per i posteri. A ciò si aggiunge
infine la funzione patriottica necessaria per trasformare un popolo diviso e arretrato a causa di secoli di
decadenza e servitù in una nazione civile e moderna. Foscolo viene inserito tra i santi laici fondatori di
una religione patriottica su cui si cercherà di fondare la nuova identità collettiva.

LE ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS


STORIA EDITORIALE

La cessione di Venezia all'Austria lo porta alla stesura delle “Ultime lettere di Jacopo Ortis”, ma nonostante
questo decide di non abbandonare gli ideali della rivoluzione che riprenderà nei “Sepolcri”, e che lo porterà
anche a quel processo di laicizzazione della cultura iniziato nel 600 che con Foscolo si porterà a compimento,
perché con Foscolo possiamo parlare di una religione della politica più che di una fede vera e propria, che
animerà la stesura dei sepolcri. Nel 1796 egli stila un Piano di Studi, una raccolta di titoli e annotazioni nelle
quali aveva programmato la sua produzione letteraria successiva. Ed è già qui che figura un primo titolo “Laura
lettere” che fa presagire che il progetto del romanzo epistolare fosse già stato concepito. Intanto sempre in
quell’anno si era suicidato uno studente padovano Girolamo Ortis che aveva colpito molto l’opinione pubblica e
nel 1796 il poeta soggiornò proprio sui Colli Euganei vicino Padova in cui è ambientato poi il romanzo. L’opera
ottenne sin da subito successo e nell’epoca risorgimentale diventa un libro di educazione patriottica e
sentimentale romantica. È rimasto dunque come un’opera esemplare della storia narrativa italiana e
ottocentesca in generale. Quando nel 1797 Foscolo scrive le ultime lettere di Jacopo Ortis si era già completata
una delle sue prime storie d'amore, quella con Isabella Teotochi Albrizzi, che gli aveva permesso di accedere ai
più importanti salotti letterari, che in quel periodo di passaggio erano diventati i centri per la diffusione della
cultura sostituendo le accademie. Il romanzo, ideato a Bologna nel 1798 sulla scorta di un precedente tentativo
del precedente romanzo autobiografico “Laura, lettere”, verrà pubblicato solo nel 1802 una seconda edizione
seguita a una prima del 1798 , la quale era stata profondamente rimaneggiata. Nel 1798 la prima edizione era
circolata abusivamente, perché se ne temeva la censura. Ma poi la stampa del romanzo viene interrotta e anche
l’autore si ferma con la stesura della storia e l’editore affida il compito di completare il testo ad un altro
letterato Angelo Sassoli che ne scrive una continuazione. Poi Foscolo riprese il suo romanzo nel 1801 dopo aver
saputo della continuazione del suo romanzo scritta da Angelo Sassoli, utilizzando appunti lasciati da lui stesso.
Nel 1802 Foscolo porta a termine l’Editio Princeps ossia l’edizione completa ma quella del 1802 non è l'ultima
stesura ma la più vicina all’esperienza di Foscolo e viene pubblicata presso un editore di Milano. Ne seguono
altre due nel 1816/1817 pubblicate a Zurigo cambiata soprattutto sotto il profilo linguistico. La gestazione di
questo romanzo è varia in quanto Foscolo si sentiva in diritto di immettere sempre nuove riflessioni e nuovi
aspetti nel suo romanzo autobiografico e nel suo personaggio-ritratto Ortis. L’opera è un romanzo epistolare,
forma narrativa che aveva goduto di larga fortuna nel 700 europeo molto diffuso in Germania con Goethe e in
Francia con Rousseau e la sua fonte di ispirazione era stato un altro romanzo epistolare tedesco, “I dolori del
giovane Werter”, nel quale si parlava di dolori d'amore, mentre Foscolo abbina ai dolori d'amore quelli
politici, questo secondo elemento fa venir meno la patina eccessivamente sentimentale, che poteva avere un
romanzo fondato solo sulla delusione d'amore. Foscolo per comporre il romanzo ha rielaborato le lettere
d’amore che scriveva ad Antonietta Fagnani Arese, in un continuo scambio tra letteratura e vita. Concilia quindi
il tema amoroso con il tema politico. La forma epistolare fa sì che il protagonista coincida col narratore e fa
sì che l’atto del narrare coincida cronologicamente con la vicenda dunque la vicenda è carica di emozioni e
sentimenti che hanno dominato l’evento narrato. L’opera di Foscolo e quella di Goethe sono molto simili per
quanto riguarda il nodo dell’intreccio: un giovane si suicida per amore di una donna destinata a sposare un
altro, ma è un giovane intellettuale che in conflitto con sé stesso e con la società non riesce a inserirsi nel
contesto sociale. La trama in sé è abbastanza esile e semplice ma ciò che rende grande il testo è la riflessione
politico-sociale e sugli stati d’animo del personaggio.

L’opera si struttura in una serie di lettere che sono inviate a un amico, Lorenzo Alderani, con alcuni interventi
narrativi dell’amico stesso, al quale Foscolo racconta le proprie delusioni.

TRAMA
Jacopo (primo alter ego foscoliano) si è dovuto rifugiare sui colli Euganei, perché la sua patria è stata data agli
austriaci, una delle lettere infatti inizia con l'espressione “il sacrificio della patria nostra è consumato, tutto è
ormai perduto”. Perseguitato dalla polizia austriaca in quanto messo nelle liste di proscrizione, si rifugia sui
colli su consiglio della madre dove la famiglia aveva una proprietà . Sui colli incontra una fanciulla di nome
Teresa della quale si innamora, la quale è promessa già in sposa a un giovane aristocratico, freddo e prosaico
uomo d’affari, (lotta di classe), Odoardo, da un padre aristocratico. Al dolore per la patria si intreccia il dolore
per un amore che gli viene sottratto ,e dai colli Euganei Jacopo inizia una peregrinazione per tutta Italia
scoprendo così le contraddizioni e le ingiustizie dei governi repubblicani. Cresce così il suo disperato
disinganno ella possibilità di assicurare la libertà e la giustizia alla patria. Una volta tornato al luogo d'origine
scopre che Teresa si è sposata con Odoardo. Sopraffatto dal dolore per la perdita di questo amore, si uccide.

TEMI

 IDEALE POLITICO: Jacopo è animato da forti valori e ideali politici, patriottici e democratici che però
vedete traditi dopo il Trattato di Campoformio con la cessazione di Venezia all’Austria, vicenda storica
dell’età napoleonica che si muove sullo sfondo del romanzo. Traditi gli ideali politici, egli si sente ormai
senza alcuna speranza e vive una dimensione spirituale negativa, insostenibile e immodificabile la cui
unica via di uscita è il suicidio. La disillusione politica e successivamente quella amorosa divorano il
protagonista e ne fanno scomparire il valore vitale iniziale.

 AMORE: oltre all’ideale politico vi è anche il tema amoroso, quello dell’amore di Jacopo per una donna
Teresa, che però è promessa sposa ad un altro uomo. Ciò è per Jacopo una grande delusione e se
all’inizio l’amore per Teresa e il suo bacio lo aiutano ad andare avanti e lo trattiene dal suicidio perché
animato da valori postivi, successivamente diventano per lui motivo di forte disperazione e svanito
anche l’ideale amoroso sceglie di uccidersi. L’amore è l’ideale più alto di vita, è l’attrazione per la vita
ma ben presto Foscolo-Ortis ne avverte il carattere vano e illusorio. Le due “anime”, quella amorosa e
quella politica, non dividono il romanzo il “romanzo politico” e “romanzo amoroso” ma danno unitarietà
drammatica alla narrazione.

 ESILIO E SOLITUDINE: Foscolo si sente esiliato dalla nascita, nacque a Zante , ed è costretto a spostarsi
a Venezia, si sente quindi esiliato dalla terra materna, il suo esilio è una condizione esistenziale, se fosse
andato a Zante si sarebbe sentito in esilio da Zante, quindi non era solamente una questione politica ma
anche genetica. Jacopo avverte un senso angoscioso di mancanza, quello della patria. Si evince un senso
di solitudine e sradicamento tipico del Foscolo.

 SUICIDIO: suicidio ha diverse interpretazioni, Ortis è l'Alter ego di Foscolo , quindi ne dovrebbe
ripercorrere le tappe biografiche, ma nella realtà Foscolo non si uccide. In genere il suicidio è un atto
che indica l'incapacità di affrontare la vita, ma non è possibile riscontrare queste caratteristiche in
Foscolo. Un esempio di questa tipologia di suicidio la si può incontrare nella Divina Commedia, quando
Dante incontra Catone, il quale si era ucciso quando i suoi ideali repubblicani erano svaniti, come atto
di protesta, è quindi affermazione non negazione. Nella stessa chiave bisogna leggere il suicidio di Ortis.,
visto che quelle idee di libertà politica e di patria devono essere sottolineate. Il suicidio viene
fortemente esaltato nella lettera da Ventimiglia il 19-20 febbraio del 1799, una delle ultime spedite a
Lorenzo prima della morte. Qui si mette in luce un profondo individualismo e una critica alle
ottimistiche visioni illuministe fino a scomparire definitivamente. Jacopo è un eroe titanico dall’io
lacerato paragonabile agli eroi tragici Alfieriani che come loro anche Ortis sceglie la morte suicida che
però è un atto di estrema grandezza e di affermazione della propria identità in quel preciso momento
storico. La morte viene quindi vista come la intendeva Foscolo, ossia portatrice di pace e quiete.

 CONTRASTO TRA INTELLETTUALE E SOCIETÀ: il contrasto tra la figura dell’intellettuale e quella


della società è centrale nella cultura moderna. Esso è dato dal fatto che il protagonista Jacopo, tipico
intellettuale di stampo romantico, ribelle e pieno di ideali non trova posto nella società , perché non si
sente accolto e si sente con essa in conflitto. Il romanzo è un libro disperato e oracolare della sorte
italiana e il nazionalismo predomina e subordina a sé le altre esigenze politiche e sociali più generali,
non senza un persistente dibattito angoscioso sia sulla posizione degli italiani più consapevoli e
appassionati per la sorte della loro patria, sia sulla politica in generale e sulla problematica politico-
sociale. Così Jacopo avverte quel contrasto tra la volontà di rinnovamento rivoluzionario-nazionale, la
necessità della violenza e la fatale ricaduta nelle forme di dispotismo esplodendo contro i patrizi e i
ricchi cercando di ridurre al massimo il potere della classe aristocratica. Legato agli ideali della grande
rivoluzione, Jacopo intellettuale, è sostenitore di motivi patriottici e di unità.

 CONTRAPPOSIZIONE ILLUMINISMO-ROMANTICISMO: pubblicando un romanzo ambientato nel suo


presente Foscolo introduce uno scarto significativo con il canone letterario neoclassico ma questo gli
permette però di giungere a un pubblico più ampio di quello della letteratura alta. Il suo obbiettivo è
quello di comunicare le sue passioni umane e politiche alla nascente classe borghese. All’interno del
romanzo troviamo un forte contrasto tra gli ideali illuministici della raison geometrica e sterile e gli
ideali romantici dell’impeto delle passioni, del sentimento, della fantasia e del sogno. Infatti, il romanzo
viene concepito in netto contrasto tra passione e ragione, virtù e calcolo, alti ideali e meschini ideali.
Inoltre, tratto tipico romantico è la presenza dell’aspirazione della morte intesa come liberatoria. E se
da un lato tutto viene presentato con un certo materialismo tipicamente illuminista, dall’altro lato se ne
mette in discussione la stessa consistenza reale e l’inconsistenza e la vanità, l’illusorietà di tutto di
fronte alla morte. Questi problemi sollevati dal Foscolo ne fanno dell’autore un precursore del
romanticismo le cui tematiche esploderanno nella poetica leopardiana. Così si presenta dunque la
Natura che collabora ai sentimenti del protagonista e nella sua bellezza è datrice di sogni e illusioni
vitali che non possono che giovare al protagonista. Un altro elemento romantico lo troviamo nelle
ultime lettere, come quella da Ventimiglia in cui Ortis descrive il suo passaggio sulle Alpi in un
paesaggio maestoso, quanto orrido e romanticamente costellato di croci funebri. È in questa lettera che
il romanzo trova il suo climax. Ed è qui che la natura diventa specchio della soggettività del poeta e
partecipa attivamente ai suoi stati d’animo di sofferenza e di gioia, come in Alfieri. Questa
contrapposizione ragione-cuore è tipica della personalità e della poetica dell’autore e la troviamo anche
nel sonetto “Autoritratto”. Il romanzo è costellato di motivi tipici dell’estetica sentimentale, del
tenebroso e dell’orrido-sublime di fine Settecento.

 POESIA ETERNATRICE: altro tema è quello della poesia che può tramandare e trasmettere alle
generazioni successive un messaggio importante, la funzione della poesia è quelle di eternare gli
insegnamenti. Nell’incontro con Parini, Ortis-Foscolo presenta proprio ques’idea della poesia
eternatrice che troviamo in tutte le opere del Foscolo.

TECNICHE NARRATIVE

Il romanzo presenta quindi un meccanismo narrativo non privo di incongruenze e difetti, un romanzo “aperto”
per essere ben suscettibile di riprese e modificazioni alla luce delle nuove esperienze dell’autore in campo
politico, sentimentale, artistico o ideologico. Ciò portò Foscolo a no giungere mai ad una redazione definita e
conclusiva, né organica infatti il lettore avverte contraddizioni date dai diversi momenti della vita in cui l’autore
scrive. Il romanzo si presenta infatti senza l’appoggio di una vera tradizione narrativa italiana ma più vicino alla
narrativa europea. Ha una natura dirompente e scomposta ma ciò fa della storia una storia autentica ardente di
motivi colto nella loro potenzialità nascente. Più che una vera e propria narrazione Foscolo predilige dunque la
spinta lirica e saggistica e oratoria. Infatti, più che un romanzo epistolare è una sorta di lungo monologo in cui
l’eroe confessa le sue emozioni e sensazioni, la sua disperazione facendo meditazioni politiche e filosofiche.
L’opera infatti è una prosa aulica e retorica pervasa da una continua tensione al sublime. Ha una sintassi
complessa, tipicamente classica ma il ritmo narrativo è drammatico e molto dinamico ma conciso in quanto
segue l’impeto dell’animo di Ortis. Il ritmo si intensifica infatti verso la fine in cui le lettere indicano non più i
giorni ma le ore che precedono il suicidio. Nella parte iniziale prevale un ritmo lento, il personaggio ferito e
tradito dagli ideali politici si sente però confortato nell’amore esplicitata nell’estasi durante il bacio a Teresa e
dall’attrazione della bellezza della natura. In questa prima fase egli vive in una luce radiosa e fosca allo stesso
tempo. Ma l’illusorietà dell’amore gli si rivelano man mano nel romanzo incrinando la sua felicità iniziale e
anche il ritmo del romanzo che diventa sempre più incalzante, irrequieto , convulso e drammatico. Inizia col
viaggio di Ortis che diventa un “peregrinaggio angoscioso” il cui significato politico-esistenziale diventa sempre
più predominante. Il ritmo concitato si placa infine dopo la meditazione sul suicidio cime se lo vedesse da occhi
esterni in modo ormai distaccato. All’impetuosità del ritmo contribuisce anche la descrizione della natura:
all’inizio viene presentato il paesaggio idilliaco e domestico dei Colli Euganei poi il paesaggio tempestoso
Alpino

PERSONAGGI.

L’opera è un misto di personaggi meschini, mediocri e calcolatori, contro personaggi infelici come Jacopo e
Teresa che vivono la stessa infelicità contro Odoardo, personaggio calcolatore. I personaggi si dividono in
personaggi “positivi” e personaggi “negativi”. La struttura è quella delle lettere e quindi oltre agli attanti ci sono
il narratore e il narratario, Ortis è il narratore e Lorenzo Alderani è il narratario, amico di Ortis al quale egli
indirizza le sue lettere

 JACOPO-FOSCOLO: il personaggio di Jacopo Ortis è una sorta di alter ego di Foscolo, che nasce e cresce
sulle esperienze di vita di Foscolo. È un’unione tra il soggetto narrante e l’oggetto narrato ed è definito
un eroe sentimentale votato a valori assoluti e alla libertà che non gli viene concessa nel suo tempo.
Jacopo è un giovane patriota che crede fermamente nei suoi ideali ed è perseguitato dalla polizia
austrica e su consiglio di sua madre si allontana da Venezia e si rifugia momentaneamente sui colli
Euganei dove la sua famiglia aveva una proprietà . Successivamente si sposta anche da lì per motivi di
sicurezza essendo perseguitato. In questo luogo conosce Teresa, promessa sposa ad un altro uomo
Odoardo definito l’anti-Ortis in quanto è il suo esatto opposto. Compie un viaggio e poi ritorna sui colli
per compiere il suo gesto estremo, quello del suicidio. Le esperienze vissute dal Foscolo vengono
proiettate nel personaggio evidenti nelle sue riflessioni originali, nella sua cultura filosofica e storica
Tuttavia, vi è uno sdoppiamento Jacopo-Foscolo in quanto mentre Foscolo fino alla fine della sua vita
combatte e crede negli ideali politici anche dopo il trattato di Campoformio, Jacopo invece si arrende, si
allontana e si rifugia sui colli Euganei, non partecipano più attivamente alla vita politica del suo tempo.
Perciò non è bene tirar fuori dall’Ortis l’idea di un Foscolo “Disperato e passivo”. È descritto come un
personaggio alto, virile ed eroico da un lato, disposto a lottare e non cedere a compromessi, ma
dall’altro fragile, perseguitato , ferito e traumatizzato in quanto le sue passioni e il conflitto col suo
tempo non possono garantirgli la felicità . Egli è consapevole e in un certo qual modo rassegnato alla sua
natura dalla quale potrà liberarsi solo col suicidio che sarà un’affermazione suprema dell’io. Ortis-
Foscolo si sentono in conflitto con il proprio tempo, in quanto il modo di vivere e di pensare erano
incompatibili con la situazione politica che non poteva essere cambiata. Per creare la personalità
melodrammatica di Ortis egli crea un concerto di dissonanze: periodi spezzati e disamoramici, ellissi,
esclamazioni, accostamenti paratattici.

 TERESA: appassionata e infelice come Jacopo, vittima di norme e consuetudini utilitarie da parte del
padre e del suo promesso sposo Odoardo. Tuttavia, è l’oggetto d’amore incondizionato da parte di
Foscolo che la descrive in tutta la sua bellezza affasciante e in tutta la sua delicatezza. È un personaggio
fragile e anch’egli passivo.

 ODOARDO: personaggio meschino e calcolatore, esatto opposto di Ortis, anti-Ortis. Promesso sposo di
Teresa, nobile conformista. Mentre Ortis è un personaggio dalla forte individualità , Odoardo non è
passionale ma poteva garantire a Teresa una certa stabilità economica e Teresa non può rifiutarsi alle
ispezioni del padre.

 SIGNOR T****: padre di Teresa, anche lui è meschino e autoritario. Cerca di sottomettere la figlia alle
rigide norme matrimoniali e vuole darla in sposa al ricco nobile Odoardo.
ANALISI DI ALCUNI PASSI
INTRODUZIONE

Al lettore

Pubblicando queste lettere, io tento di erigere un monumento alla virtù sconosciuta; e di consecrare alla memoria del solo
amico mio quelle lagrime, che ora mi si vieta di spargere su la sua sepoltura. E tu, o Lettore, se uno non sei di coloro che
esigono dagli altri quell’eroismo di cui non sono eglino stessi capaci, darai, spero, la tua compassione al giovine infelice dal
quale potrai forse trarre esempio e conforto.

Lorenzo Alderani

Libertà va cercando, ch’è sì cara,come sa chi per lei vita rifiuta.

Il romanzo si apre con una piccola parentesi ad opera di Lorenzo Alderani amico di Jacopo Ortis, il quale si
rivolge direttamente ai lettori. Egli afferma di aver raccolto e pubblicato le lettere di Jacopo per rendere onore
alle virtù dell'amico e per impedire che il suo sacrificio rimanesse ignoto. In un periodo di decadenza morale e
politica ogni possibilità di azione eroica è negata perché il potere ed il conformismo della società respingono
duramente chi ha un animo sensibile e generoso.

LETTERA 11 OTTOBRE 1797

"Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per
piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch’io per salvarmi
da chi m’opprime mi commetta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho obbedito, e ho lasciato
Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica, dove,
senza perdere dagli occhi il mio sciagurato paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fai raccapricciare,
Lorenzo; quanti sono dunque gli sventurati? E noi, purtroppo, noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue degl’italiani. Per
me segua che può. Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio
cadavere almeno non cadrà fra le braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto dà pochi uomini, compagni
delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra de’ miei padri".

Il romanzo si apre con questa lettera in cui l’autore ci dà delle coordinate spazio-temporali: Colli Euganei dove
c’è il podere di famiglia in cui Jacopo aveva trascorso dei lunghi periodi che danno in Ortis un senso di nostalgia
e si “solitudine antica”, 11 ottobre 1797, luogo e giorno di ambientazione della prima lettera. Il tema politico si
evidenzia sin dalle prime pagine insieme a quello della morte. Sin dalla prima pagina la morte e l’esilio e quindi
lo sradicamento appare come l'unica alternativa che si offre all'eroe di fronte ad una situazione politica senza
alternative in cui l’eroe lotta per i suoi ideali. È il periodo della cessione di Venezia all’Austria che si concretizza
nel Trattato di Campoformio il 17 ottobre 1797 che Foscolo nella lettera dà già per accaduto e stipulato. Da qui
il crollo dell’illusione politica e il dramma esistenziale della lontananza e dello sradicamento: l’esilio è
necessario in quanto egli è nelle liste di proscrizione e su consiglio della madre accetta di allontanarsi da
Venezia per sfuggire alle persecuzioni della polizia ai giacobini. “Le nostre sciagure e le infamie” si riferisce
proprio al fatto che non si era stati capace di difendere le repubbliche dalla politica napoleonica il quale aveva
sfruttato il territorio italiano a propri scopi, tradendo e deludendo le aspettative degli italiani che credevano in
lui e nella sua politica, diventando un despota. Ritorna di nuovo la figura della madre, già presente nei sonetti,
in questo caso madre di Jacopo ma in realtà è un tratto comunque autobiografico. Infatti questo momento è per
Jacopo e dunque per lo stesso Foscolo, un momento di grande sconforto e l’esilio è per lui il crollo dell’illusione
politica. L’unico modo per uscirne è consegnarsi ai nemici, ma Ortis non può farlo in quanto crede nei suoi
ideali fino alla fine, accetta quindi l’esilio e dunque si lascia presagire poi la morte in terra straniera in quanto i
persecutori scopriranno che lui si è rifugiato sui Colli Euganei e sarà costretto a fuggire anche da lì. La morte,
per Jacopo, è l'unico modo per ottenere un po' di pace e di tranquillità ; per placare l'ansia tormentata di chi è
senza patria. Ma la morte è anche una forma sublime di sopravvivenza: l'eroe sarà infatti compianto dai pochi
amici, dai pochi uomini buoni che conserveranno nella memoria il suo sacrificio; il tema della memoria è
fondamentale della poetica di Foscolo, cioè quello di prolungare la propria vita nel ricordo e nella memoria
degli altri. Qui la ripetizione dell’aggettivo “mio” che serve a dare enfasi e a sottolineare l’io narrativo. Anche
qui troviamo un tratto autobiografico in quanto la paura della sepoltura compianta da pochi, o peggio
illacrimata, era un tormento per Foscolo. Nella prima lettera sentiamo già l’idea incombente della morte in
terra straniera, idea che tormenta Foscolo a causa del suo esilio, ma nella lettera traspare ancora la speranza di
riposare nella terra dei padri, ossia nella sua terra a differenza dell’ultimo sonetto di Foscolo in cui già sa di
morire in terra straniere e chiede e spera che i popoli stranieri restituiscano le proprie spoglie alla madre. La
morte per Ortis-Foscolo onora la vita dell’eroe tragico di stampo alfieriano e accetta quindi una morte che lo
onori anziché una vita che lo disonori in quanto egli non vuole rinunciare ai propri valori in cui crede.

La tragicità del momento, i suoi stati d’animo e la grandezza dell’eroe viene resa attraverso una sintassi
semplice ma un tono solenne, sentenzioso e retorico e un ritmo drammatico, reso attraverso frasi lapidarie e
concise, sentenze che rendono la lettera più un testamento o una sorta di confessione appassionata dei propri
pensieri scritto da Jacopo che riflettendo sulla sconfitta e sul tradimento arriva a questa conclusione e riflette la
nobiltà d’animo e l’eroismo di Jacopo che è pronto a mettere a repentaglio la propria vita per far valere i propri
ideali e per non sottomettersi ad essi. Il contenuto è strettamente collegato alla forma: siccome il contenuto
della prima lettera p un dramma politico ed esistenziale per il quale l’autore-protagonista prova tormento e
inquietudine, la lingua e lo stile scelti sono sentenziose e solenni e tendono alla sublimità tragica e alla forte
enfasi oratoria, le espressioni sono spesso tratte anche dalla tradizione latina o biblico-cristiana. Le ultime
parole di Cristo sulla croce come marra il vangelo di Giovanni è “consumatum est”, che si richiama nel primo
rigo della lettera “Il sacrificio della patria nostra è consumato”. Foscolo ricorre a espressioni proprie della
liturgia cristiana per esprimere la solennità del testo.

In attesa che si compia il suo destino, Jacopo girovaga fra gli incantevoli colli. Qui conosce un amico di Lorenzo
e padre di una giovine di nome Teresa di cui si innamorerà follemente. La bellezza di Teresa allevia i suoi dolori
e l'amore gli fornisce una nuova ragione di vita. Anche se intuisce che questa sorgente di vita sarà fatale a, chi,
come lui è predestinato all'infelicità , Jacopo si abbandona al sentimento Teresa però è promessa a un altro
giovane. Questo sentimento di infelicità che pervade la lettera è segnato da uno stile conciso con frasi brevi e
incisive, un ritmo drammatico con molto esclamazioni e puntini sospensivi.

LETTERA DEL 15 MAGGIO 1798

Dopo quel bacio io son fatto divino. Le mie idee sono più alte e ridenti, il mio aspetto più gajo, il mio cuore più
compassionevole. Mi pare che tutto s'abbellisca a' miei sguardi; il lamentar degli augelli, e il bisbiglio de' zefiri fra le frondi
son oggi più soavi che mai; le piante si fecondano, e i fiori si colorano sotto a' miei piedi; non fuggo più gli uomini, e tutta la
Natura mi sembra mia. Il mio ingegno è tutto bellezza e armonia. Se dovessi scolpire o dipingere la Beltà, io sdegnando ogni
modello terreno la troverei nella mia immaginazione. O Amore! le arti belle sono tue figlie; tu primo hai guidato su la terra
la sacra poesia, solo alimento degli animali generosi che tramandano dalla solitudine i loro canti sovrumani sino alle
più tarde generazioni, spronandole con le voci e co' pensieri spirati dal cielo ad altissime imprese: tu raccendi ne'
nostri petti la sola virtù utile a' mortali, la Pietà, per cui sorride talvolta il labbro dell'infelice condannato ai sospiri: e per
te rivive sempre il piacere fecondatore degli esseri, senza del quale tutto sarebbe caos e morte. Se tu fuggissi, la Terra
diverrebbe ingrata; gli animali, nemici fra loro; il Sole, foco malefico; e il Mondo, pianto, terrore e distruzione
universale. Adesso che l'anima mia risplende di un tuo raggio, io dimentico le mie sventure; io rido delle minacce della
fortuna, e rinunzio alle lusinghe dell'avvenire. - O Lorenzo! sto spesso sdrajato su la riva del lago de' cinque fonti: mi sento
vezzeggiare la faccia e le chiome dai venticelli che alitando sommovono l'erba, e allegrano i fiori, e increspano le limpide
acque del lago. Lo credi tu? io delirando deliziosamente mi veggo dinanzi le Ninfe ignude, saltanti, inghirlandate di rose, e
invoco in lor compagnia le Muse e l'Amore; e fuor dei rivi che cascano sonanti e spumosi, vedo uscir sino al petto con le chiome
stillanti sparse su le spalle rugiadose, e con gli occhi ridenti le Najadi, amabili custodi delle fontane. Illusioni! grida il filosofo.
- Or non è tutto illusione? tutto! Beati gli antichi che si credeano degni de' baci delle immortali dive del cielo; che sacrificavano
alla Bellezza e alle Grazie; che diffondeano lo splendore della divinità su le imperfezioni dell'uomo, e che trovavano il BELLO
ed il VERO accarezzando gli idoli della lor fantasia! Illusioni! ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore, o
(che mi spaventa ancor più) nella rigida e nojosa indolenza: e se questo cuore non vorrà più sentire, io me lo strapperò dal
petto con le mie mani, e lo caccerò come un servo infedele.

È il momento del bacio con Teresa che cambia la vita a Jacopo definendosi quindi un uomo dalle idee sublimi e
ridenti, dall’aspetto gaio e dal cuore compassionevole. Viene resto attraverso delle iterazioni del possessivo che
è delle dittologie “sublimi e gaie” che servono a dare enfasi a ciò che sta dicendo per sottolineare l’elevazione
dell’animo grazie al sentimento dell’amore che lo spinge fino alla compassione, una delle virtù più alte
dell’animo umano. Questa felicità è riversata nella natura con cui si istaura un rapporto inteso e viscerale
segnato dai continui possessivi “mio”. Della natura l’autore fa una descrizione dettagliata cercando di creare nel
lettore anche delle esperienze sensoriali attraverso suoni e colori della primavera. Nella natura riesce a
percepire tutta la bellezza. Poi segue l’invocazione all’Amore personificato, attraverso un’apostrofe, le cui figlie
sono le arti e la poesia che nascono proprio da sentimenti d’amore lasciando messaggi alle generazioni
successive spronandole con voci e pensieri ad altissime imprese. I poeti sono ispirati dall’amore e dai messaggi
delle generazioni passate (poesia eternatrice) fino ad arrivare alla pietà che è uno degli istinti più alti dell’uomo
e che nasce solo da chi vive un sentimento molto forte dell’amore. Dall’amore scaturiscono elementi positivi e
dice che se non ci fosse l’amore il mondo sarebbe finito e giungerebbe alla distruzione. Oltre al tema politico,
dunque troviamo il tema dell’amore e della passione: l’innamoramento di Teresa che racconta nella lettera è un
momento di felicità che lo spinge ad andare avanti e si allontana almeno per un po’ dall’idea del suicidio.
L’amore è un sentimento che eleva l’uomo e lo induce a realizzare imprese eroiche ed è dall’amore che nascono
sentimenti positivi come l’ottimismo, il vitalismo e la forza di andare avanti, bellezza, rispetto reciproco e tutti
sentimenti che nel caso di Jacopo lo spingono a rinunciare alla distruzione alla morte allontanando l’idea del
futuro tragico e al momento il futuro non lo spaventa. A questa felicità contribuisce tutta la natura, che
personificata secondo i canoni romantici, esprime la sua gioia in una stagione favorevole, nell’incanto della
primavera, nella quale tutto rinasce e che partecipa alla felicità momentanea di Jacopo e alla sua rinascita verso
la vita. La natura è personificata romanticamente ma viene vista dal punto di vista classicistico, in maniera
armonica e idillica, un paradiso di serenità e ciò evidenzia una sorta di contrasto tra romanticismo e classicismo
da cui deriva l’idea dell’illusione. Data la sua felicità egli proietta sé stesso nella natura e tende a personificare i
sentimenti astratti della natura, come la Pietà , l’Amore, la Bellezza ma anche elementi della natura stessa, Sole,
Terra, i venti stessi che accarezzano e alitano. Alla base di questa felicità di Jacopo-Foscolo vi è però l’illusione,
l’illusione è un elemento essenziale secondo i romantici che sostiene e spinge ad andare avanti ma oltre
all’illusione che spinge ad andare avanti, che auspica alla vita, vi è anche la morte con il suicidio che viene inteso
come forza liberatrice. L’illusione non è un’evasione dalla realtà ma un rapporto attivo con essa e si
contrappone al razionalismo che ha per Foscolo due conseguenze estremamente negative: dà l’immagine esatta
della realtà e fa percepire con estrema crudezza il dolore che domina la vita umana. Foscolo intraprende questo
percorso nelle illusioni per aggirare l’ostacolo della paralizzante delusione storica e del suo sbocco nichilistico.

Questa lettera è stata scritta sulla scia della passione suscitata dal bacio di Foscolo con Teresa, l'unico bacio tra i
due, questo bacio diventa per Foscolo il simbolo di quell'amore. Nell'incipit della lettera possiamo leggere che
dopo il bacio si sente in paradiso. Il sentimento d'amore si traduce in una compartecipazione piena e attiva con
il mondo, l'amore lo rende solo per un attimo più ottimista nei confronti del futuro. "Beltà " è una
personificazione, cioè la bellezza diventa una persona. Questo amore per Teresa è un amore che ha vissuto, ma
in questo amore Teresa viene subito idealizzata e diventa quasi prodotto della sua immaginazione. C'è una
rielaborazione, attraverso l'immaginazione, ossia la capacità dell'uomo di produrci nella mente immagini,
quello che la fantasia produce. Quindi la fantasia ci induce le immagini e l'immaginazione ce le concretizza nei
ritratti della nostra mente. Teresa è ora un'idea, e la sua bellezza è un'idea dell'immaginazione di Foscolo. La
poesia è intimamente per Foscolo legata all'amore, in questi versi c'è un'anticipazione della concezione di
poesia eternatrice, "la poesia vince di mille secoli il silenzio". La poesia ha anche una funzione civile (sulla scia
di Parini che Foscolo ammira molto), serve a rendere eterne le grandi azioni e sprona le generazioni seguenti a
fare lo stesso. La terza funzione della poesia è conforto e sollievo ai cuori e alle menti umane. Inoltre,
sembrerebbe avere una funzione vivificatrice. Senza la poesia tutto è morte l'unica vera fede e religione è solo e
unicamente la poesia. Ritorna la classicità , il mito, la Grecia, un paesaggio bucolico rappresentato nell’incanto
della primavera. Naiadi sono le ninfe poste a custodia delle sorgenti, riferimento esplicito a un'atmosfera
neoclassica. Quello che ci mantiene in vita malgrado il dolore siano le illusioni che ci rimandano però a un
concetto di poesia primitiva e di felicità illusoria, l'unico modo per poter superare i dolori della vita. Attraverso
le illusioni gli uomini riuscivano a raggiungere il bello, ma il vero preannuncia il futuro sviluppo della romanza
in chiave storica. La ricerca della verità è il fine ultimo del poeta, ricerca del verosimile. Si evidenzia una sorta
di insoddisfazione verso l’eccessivo razionalismo settecentesco e per la cultura del 700 e i philosophes tute le
creazioni fantastiche e quindi le illusioni sono a ignorare ma Foscolo-Ortis sostiene l’importanza delle illusioni
di cui si nutrivano gli antichi ed evidenziati un tratto essenziale della poetica romantica che è quello del ritorno
alla primitività.

Il linguaggio drammatico delle lettere precedenti sembra quasi scomparire per dar spazio alla felicità di Jacopo,
tale tono ritorna solo verso la fine della lettera che

LETTERA DEL 4 DICEMBRE 1798 MILANO

La lettera è incentrata sull’incontro di Ortis con Parini che è un episodio chiave del romanzo in cui si può
cogliere con chiarezza il nucleo centrale della sua problematica politica e di tutto il dramma del protagonista.
Ortis definisce Parini "Vecchio Venerando", immagine di Parini entrata nell'immaginario collettivo della
letteratura italiana, e guida morale per Jacopo. Parini è modello di intellettuale libero non asservito al potere a
differenza di altri intellettuali a lui contemporanei. Egli dall’alto del suo magistero civile può essere interpellato
per dare consigli e analizzare la situazione politica. Parini comincia a confrontarsi con Jacopo e apre il suo
colloquio con un dettagliata esamina delle condizioni dell’età napoleonica. Parini è fortemente amareggiato
perché analizza anche la situazione del passato parlando anche della tirannide, aspetti molto importanti e che
toccano a fondo anche Jacopo in quanto patriota e già nell’incontro con Parini emerge l’aspetto del suicidio.

Punto di partenza del dialogo è la situazione negativa dell’Italia napoleonica. I due interlocutori, il giovane
Jacopo e il vecchio poeta, rappresentano i due atteggiamenti possibili dinanzi a essa: Ortis la rivolta generosa
ma astratta pronto a tentare il tutto per tutto pur di contrastare quella situazione intollerabile e Parini, l’analisi
lucida e puntale, ma realisticamente consapevole dell’impossibilità di ogni alternativa. Parini è uno dei suoi
autori preferiti, come è autore preferito di Foscolo, uno dei primi a usare toni sarcastici ma non polemici verso
la classe aristocratica, essendo precettore presso illustri famiglie aristocratiche (Come si può leggere ne “Il
Giorno”). Descrive il suo stato d'animo tormentato, ma il dolore è così grande che molte volte scrive queste
lettere ma non le invia e alcune le butte. Solo alcune volte cerca di trattenere questo dolore per non
trasmetterlo all'amico Lorenzo, al quale dice di conservarle. A seguire vi è un pensiero presente anche nei
“Sepolcri”, queste lettere serviranno a Lorenzo per il ricordo del suo amico. Dalla descrizione del suo
comportamento si può capire che si rivolgeva a lui come un discepolo in attesa di insegnamento. Parini
condivide gli stessi sentimenti di ribellione, ma a differenza di Foscolo egli resta a guardare soffrendo,
arrendendosi al fallimento della sua patria caduta nelle mani dello straniero. All’inizio della lettera Parini
presenta un esame delle condizioni dell’Italia e determina

1. La degenerazione della libertà rivoluzionaria in arbitrio

2. Il fatto che gli uomini di cultura vendano la loro opera pur di ottenere favori dal potere (mecenatismo)

3. Lo spegnersi dello spirito eroico e il diffondersi della passività e della corruzione

4. La scomparsa dei valori basilari come la benevolenza, l’ospitalità , l’amore filiale.

Dinanzi a questo quadro, che delude lo stesso Foscolo per la delusione storica dalle adolescenziali aspirazioni
“giacobine”, Jacopo reagisce con un’eroica smania di azione rivoluzionaria contro il dominio francese ma gli
scrittori non avevano molta scelta, o si ribellavano ad un prezzo molto alto ossia la violenza e l’esilio, o
rimanevano in silenzio schiavi del sistema. Porta gli esempi di Silla e Catilina, esempio del mondo romano con
la congiura di Catilina contro gli “omiciattoli” che non vale neanche la pena di nominare, uomini che sono
arrivati al potere circondandosi di adulatori che hanno sottomesso. E oltre a nominare Silla e Catilina cita i
masnadieri che anche se malvagi hanno coraggio e forza d’animo.

La letteratura si è venduta ai potenti e il letterato di corte era condizionato al potere come diceva lo stesso
Alfieri nel trattato della Tirannide ed è colui che reprime le sue idee e sottomettersi al potere, ma Ortis non può
farlo perché crede in dei valori e nella libertà e vuole sostenere le sue idee. Nella lettera riprende anche alcuni
elementi legati alla tirannia come già enunciati da Alfieri nel suo trattato come i sostenitori di cui si servono i
tiranni per l’esercizio del potere e come questi diventano ostaggio dei potenti. Per conquistare il popolo e
diventare capi e restare tali bisogna farsi sottomettere e farsi depredare e diventare adulatori per arrivare al
potere. Ortis non riuscirebbe a fare questa scelta, facendolo potrebbe riuscire a procacciarsi una carica ma non
sarebbe la sua volontà quella di sottomettersi piuttosto preferisce il suicidio e la morte, preferisce essere
calpestato piuttosto che chiedere aiuto ai potenti insieme ai suoi conservi, altri nella stessa situazione. Non c’è
quello spirito eroico e tutti quei valori come l’amor filiale, la pietas e così via, ma raccontava delitti di uomini di
potere che sono arrivati ad esso senza alcuna forza d’animo e valori a differenza di tanti altri uomini che pur
non avendo compiuto imprese eroiche erano animati dal coraggio. Jacopo sostiene che se dovesse scegliere di
vivere dovrebbe essere animato da tali valori e dalla ricerca di gloria. Ortis risponde con “sovrumano furore”,
elemento che designa la sua personalità eroica di patriota e che in certo qual modo si contrappone a quegli
uomini criticati da Parini ed è pronto a morire per la sua patria e sa che un giorno sarà ricompensato.
Considerando il suo conflitto col suo tempo, egli sente di non poter abbracciare nulla e questa immagine
dell’abbraccio nel nulla è tipicamente classico e la troviamo nel sonetto “in morte del fratello Giovanni”:
abbraccio metaforico a causa dell’esilio e della sua lontananza e quindi deve accontentarsi di tendere la braccia
semplicemente, immagine che troviamo anche nell’Eneide nella scena di Enea nell’Ade. Nella lettera del 4
maggio Ortis evoca anche Teresa lo fa ritraendola come una figura angelica, la donna angelo dello stilnovo ,
riprendendo la tipica descrizione femminile della poesia dantesca e petrarchesca e la figura maestosa della
madre che non è consapevole dell’enorme sofferenza di Jacopo.

A tali parole Parini reagisce pensando che un’azione rivoluzionaria sia difficile da realizzare e possa portare a
ulteriore spargimento di sangue e possa essere difficilmente portata a termine. Parini resta impassibile dinanzi
le sue affermazioni da bravo precettore, che non deve mostrare gli occhi della resa ai suoi discepoli e
soprattutto non lo incita. Parini infatti non è d’accordo sull’iniziativa che Jacopo vorrebbe prendere, è contro
l’azione politica rivoluzionaria e gli consiglia di esprimere le sue idee in altro modo e di inserire in un testo
tutte le sue riflessioni e i suoi pensieri in quanto se non è una persona al di sopra delle parti rischia di diventare
un tiranno o uno strumento nelle mani dei più forti. Parini dice che i tempi non sono favorevoli a quest’azione -
Dunque se alla situazione presente Ortis non può dare alternative, non gli resta che l’unica via d’uscita ossia la
morte come gesto sacrificale. Non vede altro che il sepolcro. Emerge il tema del suicidio nuovamente e dice che
le lettere saranno l’unico modo per Lorenzo per istaurare ancora un legame con lui.

Siamo già all'interno dei sepolcri, che scriverà nel 1807. La madre molte volte lo aveva seguito nei suoi atti
sconsiderati, come quando si stava per buttare giù da un dirupo e la mamma afferrò la sua mano, mentre lui
non sentiva altro che il pianto della madre che lo impediva di suicidarlo. L'unica speranza che lo tiene ancora
in vita è la possibilità di liberare la propria patria. Parini sorrise disapprovando, e abbassando gli occhi in
segno di sconforto, gli dice che la fama degli eroi spetta 1/4 al coraggio, 2/4 alla fortuna e 1/4 alla loro violenza,
per avere fama quindi occorre coraggio, fortuna e crudeltà. Riferimento a Machiavelli nel capitolo 25 del
Principe: la fortuna è arbitra della metà delle nostre azioni, cioè significa che molte cose non sono elle nostre
mani e non possiamo gestirle dunque il pensiero e simile a quello di Parini riferendosi implicitamente al
trattato di Machiavelli. Parini gli dice di non illudersi che la rivoluzione, anche se avesse fortuna, lo porti a una
situazione migliore ma potrebbe portarlo al disonore ma sarà accusato di essere un tiranno o un demagogo e
nessuno sarà comunque contento e la sua azione sarebbe vista comunque negativamente. Quando diritti e
doveri si recidono con la forza perché non c’è libertà e tutto si decide con la forza il forte sacrifica gli altri per
affermare le proprie leggi e pretende anche il sacrificio dei virtuosi. La virtù e le leggi non possono essere frutto
di un sopruso o una violenza, ma devono venire dal basso. Uno spirito come quello di Foscolo sempre ribelle e
in lotta con tutti può essere strumentalizzato in due modi: dai faziosi come lui che ne fanno strumento nelle
loro mani o cade vittima dei potenti. Ci sono continui riferimenti alla storia antica, come ad esempio qui
Annibale. Facendo cosi, sacrificandosi, il suo sepolcro farà da sfondo a un unico sospiro che è quello materno.

Parini descrive cosa accade a chi ha successo, anche chi ottiene il potere con le migliori intenzioni, diventa
tiranno. Gli uomini sono trascinati indipendentemente dalla volontà a essere schiavi, tiranni e ciechi e quindi
sottolinea a Ortis che egli possa trasformarsi da filosofo in tiranno, in quanto tanti si presentano come salvatori
della repubblica ma poi si trasformano in tiranni. Spesso l’umanità non vede l’ora che nasca un conquistatore
ma poi a un certo punto spera nella sua morte perché non vede l’ora di liberarsene. Ortis cita un altro simbolo-
exemplum classico: Marco Cocceo Nerva era un console che si suicidò per non sottomettersi alla tirannide
imperiali sotto Tiberio e qui viene eletto ad esempio, come figura emblematica. Parini cerca un conforto per
Ortis ma da un parte Parini è animato da una religiosità cristiana, a Parini resta la fede e la possibilità di
sperare, ma dall’altra Ortis non ha una speranza di vita ultraterrena. Parini e quindi Foscolo descrivono i moti
dell'animo umano, l'uomo che pur partendo dalle migliori intenzioni poi si finisce ad essere deleteri per il bene
pubblico. Ma Parini pensa che nella società non ci sia spazio per chi sia nobile d’animo o sensibile. Il potere
corrompe l’uomo e non c’è spazio d’azione per chi si ispira a nobili e alti ideali.

Seneca insegna che la libertà non è solo un carattere politico ma anche dell'animo, se questa non c'è nell'animo
non può essere applicata all'esterno. Vita di decrepitezza, non ha più senso, esce fuori la nuova figura del giovin
signore. Pensiero vichiano dei corsi e ricorsi storici, quando si tocca il fondo improvvisamente si rinasce. Per
Foscolo gli uomini non sono immortali, essendo ateo, Parini dice che la cosa migliore da fare è scrivere per
rendere indelebile le terribili gesta di questi uomini (poesia eternatrice), quindi offre diverse strade oltre
il suicidio, ma Jacopo era convinto della sua scelta e il suicidio diventa l’unica via di uscita da quella vita che per
lui era intollerabile e incompatibile. Mentre Parini era religioso, Jacopo è ateo e non crede nel mondo dopo la
morte. L’unico modo quindi per rendere indelebili le gesta degli uomini è la poesia che ha funzione eternatrice
e consolatrice capace di trattenere e tramandare le esigenze dei posteri in modo da illuminarne le vite e le
scelte, e strumento di lotta per affermazione dei principi. Si introduce il tema della vanità della passione e della
natura violenta di chi conquista il potere in quanto Parini sostiene che chi ha il potere si macchia di sangue e
corrompe l’uomo.
LE ODI E I SONETTI
Foscolo cominciò a scrivere sonetti e odi sin da ragazzo che si sono convertite in un esercizio letterario e in una
testimonianza di apprendistato poetico che rivelano tendenze di gusto e delle tematiche correnti del tempo che
tracciano un ritratto della poesia foscoliana come le tendenze classiche, l’amore per la poesia sepolcrale inglese
sulla scia di Gray, le tendenze politiche e l’impegno civile. I 12 sonetti di Foscolo sono raccolti insieme a due odi
nella raccolta. La raccolta fu pubblicata nel 1803 e fu intitolata “Poesie” e comprendeva 12 sonetti e 2 odi,
tuttavia la storia editoriale fu molto complessa. Nel 1802 Foscolo pubblica su un periodico un’ode “A Luigia
Pallavicini caduta da cavallo” e 8 sonetti, poi nella primavera del 1803 aggiunge 3 sonetti “Alla Musa”, “A
Zacinto” e “Alla sera” e un’altra ode “All’amica risanata” e infine alla fine del 1803 aggiunge il sonetto “In morte
del fratello Giovanni”.

Le due odi risalgono al periodo della scrittura dell’Ortis ma rappresentano tendenze opposte: se nell’Ortis
rimanda principalmente a tematiche preromantiche, con le odi invece mostra le sue tendenze classicistiche. Al
centro di entrambe le odi vi è il tema del vagheggiamento della bellezza femminile trasfigurata attraverso la
sovrapposizione di divinità greche e rimandi mitologici: si esalta principalmente la forma armoniosa in sintonia
con la scultura neoclassica del corpo femminile. Nella prima ode l’autore conserva un carattere di omaggio
galante e settecentesco alla bella donna, nella seconda invece ha ambizioni più alte e propone un discorso
filosofico sulla bellezza ideale, sul suo effetto di purificare le passioni e di rasserenare l’animo inquieto degli
uomini e sulla funzione eternatrice della poesia per tramandare anche la bellezza. Si esalta quindi il culto
neoclassico della bellezza in forma poetiche dal gusto arcadico.

Per la stesura delle odi si ispira soprattutto a Parini, mentre nella scelta del sonetto troviamo l’ispirazione
alfieriana. Mentre Alfieri ha come modello Petrarca, Foscolo ha come modello il più contemporaneo Alfieri e da
lui viene influenzato dalla concezione eroica di sé. Questa sua ispirazione viene alimentata anche dalla lettura e
dalla pubblicazione delle “Rime” di Alfieri nel 1801 che impressionò Foscolo.

I sonetti, a differenza delle odi, sono più vicini alla materia autobiografica e ai temi preromantici dell’Ortis. La
maggior parte dei sonetti è caratterizzata da un forte impulso soggettivo che rivela la matrice della lirica
alfieriana. Tuttavia, fitte sono anche le reminiscenze classiche soprattutto di Petrarca e dei poeti latini. Foscolo
rinnova il sonetto in modo originale nelle scelte sintattiche e nella tessitura delle immagini, nel gioco timbrico,
ritmico e melodico del verso. I più importanti sonetti della raccolta sono “In morte del Fratello Giovanni”, “Alla
Sera” e “A Zacinto”. I temi ricorrenti i sonetti sono quelli già presenti nell’Ortis e nel carme “dei Sepolcri” e sono
di carattere preromantico; essi sono quello del conflitto fra titano e proprio tempo con la figura eroica dell’io
sventurata tormentata, poi quello dell’esilio e della mancanza degli affetti e quindi ricorre una reminiscenza
della poesia sepolcrale inglese con il tema della sepoltura illacrimata, quindi in una terra straniera e non
compianta dai suoi cari e poi c’è il tema amoroso e infine la proiezione autobiografica e il valore eternatore
della poesia.

SONETTO “AUTORITRATTO”

Il sonetto è il 7° della raccolta e ha un diretto confronto con quello alfieriano. Il sonetto è composto da 14 versi
endecasillabi piani, ossia con una parola piana in clausola e si dividono in due quartine e due terzine anche dal
punto di vista tematico. Per quanto riguarda lo schema rimico, le due quartine hanno rima alternata ABAB,
mentre le due terzine hanno rima CDE CED invertita.

Solcata ho fronte, occhi incavati intenti, Ho la fronte segnata dalle rughe, gli occhi
scavati e intensi,
crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto, capelli di colore rosso, guance pallide, aspetto
indomito,
labbro tumido  acceso, e tersi denti, labbra rosse e pronunciate, denti bianchi,
capo chino, un bel collo e un ampio torace
capo chino, bel collo, e largo petto;
giuste membra; vestir semplice eletto; membra ben proporzionate, modo di vestire
semplice, ma decoroso; passi rapidi, e così i
ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti; pensieri, i gesti, il modo di parlare; sono sobrio,
umano, leale, prodigo e schietto; io contro il
sobrio, umano, leal, prodigo, schietto; mondo, il mondo contro di me;

avverso al mondo, avversi a me gli eventi:


Nella prima parte, le due quartine, abbiamo la descrizione fisica dell’autore che si presenta come un uomo dalla
fronte solcata dalle rughe e dagli occhi incavati che segnano la stanchezza dell’età e la sofferenza dell’animo. Al
verso 6, che segna un punto di svolta tematico, l’autore passa dalla dimensione fisica alla dimensione morale si
descrive un uomo dal temperamento impulsivo e avverso al mondo, eternamente in conflitto con la realtà , con
gli altri e col proprio tempo che è tipico della personalità preromantica di Foscolo come dello stesso Alfieri al
quale si ispira. I suoi caratteri morali e spirituali sono presentati attraverso un’elencazione per asindeto al
verso 7, mentre al verso 6 abbiamo un’anastrofe che vede l’inversione Agg-Sost

talor di lingua, e spesso di man prode; Talvolta sono ardimentoso a parole, spesso nelle
azioni;
mesto i più giorni e solo, ognor pensoso la maggior parte dei miei giorni me ne sto triste e
solo,
pronto, iracondo, inquieto, tenace: sempre pensieroso, irascibile, inquieto, testardo:

di vizi ricco e di virtù , do lode Ricco tanto di vizi quanto di virtù , elogio
la ragione, ma poi, di fatto, inseguo il sentimento:
alla ragion, ma corro ove al cor piace  soltanto la morte mi darà fama e riposo.

morte sol mi darà fama e riposo

Nelle due terzine definisce invece il suo animo come un animo tormentato, sempre pensieroso e inquieto la cui
descrizione è molto simile a quella di Alfieri. Il poeta loda la ragione ma sceglie e cede al cuore e alla passione,
l’opposizione ragione e passione è tipica dell’uomo romantico di cui Foscolo si fa precursore. Ma a differenza di
Alfieri che combattuto tra ragione e passione e tra titanismo, ed eroica grandezza e conflitto col proprio tempo
e conclude il suo sonetto con un dubbio, Foscolo adopera un superamento dei dubbi e le incertezze alfieriane: i
dubbi sono risolti in Foscolo con l’immagine della morte di cui l’autore ne fa una certezza. È una chiara
premonizione di ciò che accadrà : morte dispensatrice di fama e di gloria e anche di riposo. La morte è un tema
essenziale nella poetica di Foscolo ed essa viene considerata come cessazione degli affanni e delle
preoccupazioni (“Cure” in latino di cui troviamo traccia nel sonetto “In morte del fratello Giovanni”). Foscolo si
identifica con Achille e non c’è dubbio, è un eroe positivo a differenza di Alfieri che non sa se identificarsi in
Achille o Tersite. Emerge quindi un ritratto di un eroe ribelle tipicamente preromantico di cui si esalta il suo
narcisismo per poi terminare nella morte che cancella tutto ma allo stesso tempo da fama e gloria. Come Alfieri
anche Foscolo vive l’ansia preromantica della definizione della propria identità.
SONETTO “IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI”

Il sonetto “In morte del fratello Giovanni” venne scritto dopo la morte del fratello di Foscolo e questo sonetto
l’autore era molto legato tanto che fu incluso da Foscolo in un’operetta pubblicata nel 1816 “Vestigi della storia
del sonetto italiano” che comprendeva 24 sonetti. Erano sonetti fondamentali ed esemplari per la lingua
italiana, e questo sonetto fu incluso come componimento conclusivo per un legame particolare e perché è stato
l’ultimo sonetto composto da lui.

Il sonetto è composto da 14 endecasillabi piani con parola piana in clausola. Due quartine e due terzine, in cui lo
schema rimico è ABAB, rima alternata nelle quartine e CDCDCD rima incatenata nelle terzine. Le due quartine e
le due terzine si chiudono tutte e due con un punto fermo e dunque c’è una corrispondenza tra la struttura
strofica a quella sintattica. Le frasi sono piuttosto ampie e non mancano gli enjambements molto diffusi nei
sonetti foscoliani. Il motivo occasionale da cui nasce è la morte del fratello Giovanni nel 1801 ma il
componimento risale a circa un anno e mezzo più tardi ma al motivo della morte del fratello che diventa il
nucleo tematico del sonetto se ne aggiungono tanti altri che sono i motivi ricorrenti nella poetica dell’autore,
nell’Ortis e nel carme, come l’esilio e la lontananza dalla patria e dagli affetti, la figura della madre maestosa e
tragica al tempo stesso rappresentante la madre stessa e la patria, poi c’è il motivo della tomba e della morte
che riporta alla luce la sua passione per la poesia sepolcrale inglese. Del tema della morte egli ne aveva già
parlato nella lettera a Monti. Tutto il sonetto è incentrato sull’opposizione di due motivi fondamentali: l’esilio
da un lato, e la tomba dall’altro intesa come centro intorno a cui si raccoglie il nucleo familiare. Il tema
dell’esilio si carica invece di una serie di valori simbolici che vanno anche al di là della condizione biografica:
l’autore porta tra le righe una sensazione di sradicamento storica ed esistenziale richiamando la figura
preromantica dell’eroe infelice e sventurato che non riesce a dare pace al proprio animo e che vive in conflitto
con il proprio momento storico.

L’incipit del sonetto è solenne e si ispira al carme 101 di Catullo, autore latino che aveva dedicato un
componimento alla morte del fratello in Troade in Asia Minore e nel sonetto racconta il suo viaggio verso la
tomba del fratello portando con sé doni. Il motivo e la solennità del componimento li ritroviamo nel sonetto di
Foscolo. Egli trasforma questi versi di Catullo e l’idea del viaggio che Catullo fa per andare sulla tomba del
fratello, nel suo peregrinare senza pace, costretto a tale condizione dall’esilio e da una sorte avversa, resa con
l’immagine mitologica degli “Avversi Numi”, un potere arcano contro cui è vano lottare e da cui l’autore si sente
perseguitato e che non gli consentirà di tornare in patria per far visita alla tomba del fratello. Questa
reminiscenza catulliana la troviamo anche nei latinismi presenti nel testo.

Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo un giorno se non sarò più costretto a fuggire di
Di gente in gente; mi vedrai seduto gente in gente, mi vedrai seduto sulla tua tomba, o
Su la tua pietra, o fratel mio, gemendo fratello mio, piangendo, la tua gentile giovinezza
Il fior de’ tuoi gentili anni caduto:
stroncata

L’io lirico è molto evidente sin dall’inizio e sin da subito presenta il tema del viaggio inteso come peregrinare
senza sosta a causa dell’esilio. La condizione del “fuggendo” enuncia sin da subito la sensazione di sradicamento
e di precarietà che caratterizza il suo animo ma che diventa anche una condizione storica ed esistenziale del
proprio tempo. La fine del viaggio lo porterà poi alla tomba del fratello non appena rientrerà in patria e sarà lì a
rimpiangere la sua giovinezza stroncata.

Nella prima quartina abbiamo una metonimia al verso 3 “pietra” con la quale l’autore vuol intendere la tomba.
Utilizza il materiale per definire l’intero oggetto come troviamo anche in Parini e Alfieri con la parola “Legno”
per indicare la nave. Inoltre al verso 4 vi è la metafora tipicamente classica della giovinezza paragonata al fiore
e definita quindi “fiore degli anni”.

La madre or sol, suo dì tardo traendo


Parla di me col tuo cenere muto: Ora solo la madre, trascinando la sua vecchiaia
Ma io deluse a voi le palme tendo; stancamente parla di me con la tua cenere muta, ma
E se da lunge i miei tetti saluto, io tendo a voi le mie mani deluse.
Nella seconda quartina, in opposizione alla condizione di sradicamento enunciata in precedenza troviamo il
motivo della tomba che si identifica con l’immagine del nucleo familiare e soprattutto con l’immagine della
madre sofferente, le cui sofferenze non sono la vecchiaia in sé ma la perdita del figlio. La madre sulla tomba
rappresenta la “corrispondenza d’amorosi sensi” di cui Foscolo aveva già parlato nel carme, ossia la
corrispondenza di sentimenti che attraverso il sepolcro e la pietra tombale unisce i vivi e morti. La tomba è il
luogo in cui si riunisce idealmente il nucleo familiare e il poeta spera di poter ricongiungere il legame affettivo
col fratello e l’immagine viene resa attraverso la madre che parla di lui al fratello morto. Il sentimento che ne
traspare è quello della delusione di Foscolo che esule non può tornare a casa reso attraverso l’ipallage al verso
7, figura retorica di attribuzione di un sentimento o di una caratteristica a un elemento della frase piuttosto che
a un altro, in cui deluse non sono le mani ma lo stato d’animo, il cuore. La speranza del poeta di
ricongiungimento è invece nell’immagine del gesto del supplice ossia di chi desidererebbe fare qualcosa che sa
di non potrà realizzare, lui è supplice perché vorrebbe tornare a casa ma sa che il fato è avverso e morirà i una
terra straniera. Anche l’immagine del supplice è tipica dell’iconografia classica ed è colui che usava tendere le
braccia in segno di supplica. Inoltre il gesto di tendere le braccia è un topos della poesia classica che introduce
un altro tema che è l’incontro tra i vivi e i morti molto frequente nella poesia classica. Lo troviamo
rappresentato da Enea che sceso nell’ade cerca di abbracciare il corpo del padre Anchise il quale essendo
un’ombra non può abbracciarlo, in quanto la fisicità che consenta il contatto non c’è; con Ulisse che tenta di
abbracciare l’ombra della madre ed essendo un’ombra il contatto è impossibile. Il parallelismo tra la poesia
classica e Foscolo è dato dalla condizione autobiografica dell’autore a cui l’esilio non permette di realizzare
questo contatto e quindi le braccia di Foscolo come di Enea restano aperte temendo una sepoltura illacrimata.
Al verso 5 c’è una chiara reminiscenza Petrarchesca in cui nel componimento 16 del Canzoniere “movesi il
vecchiarel canuto et bianco” in cui c’è un parallelismo tra il vecchiarel di Petrarca e la stanca madre di Foscolo.
Al verso 7 vi è una sineddoche “tetti” che indica la parte per il tutto.

Sento gli avversi Numi, e le secrete Sento l’avversità del fato e le segrete
Cure che al viver tuo furon tempesta; preoccupazioni che sconvolsero la tua vita e invoco
E prego anch’io nel tuo porto quiete: anche io la pace della morte

Nella prima terzina ritorna di nuovo il tema dell’esilio e dello sradicamento. Si crea infatti una struttura
circolare tra le prime tre strofe: ESILIO-TOMBA/FIGURA MATERNA-ESILIO che serve all’autore per annunciare
poi il ricongiungimento con gli affetti dopo una situazione di disperazione e quasi sconfitta. Egli infatti descrive
un destino avverso e pensa alle motivazioni che hanno portato alla morte il fratello, ossia le preoccupazioni e i
tormenti segreti che tormentavano l’animo del fratello e spera dunque che la morte, simbolo della pace, gli
porti davvero la pace e si augura che anche lui stesso possa ottenere quiete e pace con la morte. C’è quindi una
fusione sentimentale con il fratello che culmina nel v11 tra la morte che ha dato pace al fratello e la sua
speranza di ottenere pace.

Questo di tanta speme oggi mi resta! Di tanta speranza mi resta questo! O popoli
Straniere genti, l’ossa mie rendete stranieri, alla mia morte restituite le mie spoglie al
Allora al petto della madre mesta. petto della madre addolorata

Nell’ultima strofa viene annunciato il quarto tema, quello del rifugio nella morte che sembra l’unica soluzione
possibile per ottenere pace e per placare le proprie tempeste interiori, ed è infatti l’unica speranza che resta a
Foscolo e si ha quindi quel ricongiungimento con il nucleo familiare inizialmente impossibile o negato con la
restituzione delle spoglie alla anziana madre. La morte quindi non è annullamento totale, nulla eterno, ma nel
momento in cui il defunto è compianto dai vivi, egli vivrà interno e consente un legame con i vivi. Il
ricongiungimento impossibile nella vita si ha nella morte con l’illusione della restituzione delle ossa. A tal punto
si rivolge con un’invocazione agli stranieri di accogliere le proprie spoglie e di restituirle alla sua povera madre
distrutta da questo secondo dolore. La speranza è quella quindi di riposare nella tomba accanto al fratello e
quindi non in una sepoltura illacrimata ma una tomba sulla quale la madre può andare a piangere per poter
quindi ricostruire un triangolo di affetti familiari che si ricostruisce sulla tomba. L’idea dello sradicamento e
della sua infelicità è molto forte in quanto egli lotta contro un destino ineluttabile. Il verso 12 è un’esclamativa
forte, calco petrarchesco tratto dal Canzoniere “questo un avanza di cotanta speme”

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