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Pierpaolo Donati (2013). Sociologia della relazione. Bologna: il Mulino, pp. 184

Book · September 2019

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Pierpaolo Donati
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PIERPAOLO DONATI

Sociologia
della relazione

il Mulino
I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull’insieme
delle attività della Società editrice il Mulino possono con-
sultare il sito Internet:
www.mulino.it

ISBN 978-88-15-24444-4 Copyright © 2013 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti
sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere foto-
copiata, riprodotta, archiviata, me­morizzata o trasmessa in qualsiasi
forma o mezzo – elettronico, meccanico, reprografico, digitale – se
non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto ­d’Autore. Per
altre informazioni si veda il sito www.mulino.it/edizioni/fotocopie
Indice

Introduzione. Il posto della relazione sociale nella nostra vita 9

I. Saper leggere la società 25


1. Che cos’è la società? 25
2. Dalla polis alla relazione sociale 32
3. Il concetto di «relazione sociale» 38
4. Oltre l’individualismo e le spiegazioni in base al «tutto» 41

II. La relazione sociale come oggetto di conoscenza 49


1. «Fare scienza» vuol dire conoscere relazioni e attraverso
relazioni 49
2. La relazione sociale nel pensiero classico e moderno 50
3. Identità e relazione 53

III. L’emergere della relazione sociale come tema e problema nel mondo
moderno 59
1. Le scoperte moderne sulla relazione sociale 59
2. Il carattere autopoietico ed eteropoietico delle relazioni
sociali 63

IV. I diversi approcci nello studio della relazione sociale 65


1. La tematica 65
2. L’approccio marxista 65
6 Indice

3. L’approccio positivista 67
4. L’approccio storico-comprendente (o del «Verstehen») 70
5. L’approccio formalista 71
6. L’approccio fenomenologico 73
7. L’approccio dell’interazionismo simbolico 75
8. L’approccio struttural-funzionalista 76
9. L’approccio neofunzionalista comunicazionale 78
10. L’approccio ermeneutico (o dialogico) 79

V. Tre modi di intendere la relazione sociale 83


1. La relazione come «refero», «religo» ed effetto emergente 83
2. La realtà di «genere proprio» della relazione sociale 86

VI. Tipi di relazioni sociali: processi associativi e dissociativi 89


1. I principali criteri di classificazione delle relazioni sociali 89
2. Altri criteri 90

VII. La società come rete 93


1. L’analisi di rete 93
2. L’osservazione relazionale 94
3. L’intervento di rete 98

VIII. La relazione sociale come «molecola del sociale» 99


1. Confronti fra sociologie relazionali 99
2. L’aria e le relazioni sociali 101
3. La struttura della relazione sociale: entriamo
«dentro» la relazione sociale 103
4. La relazione come meccanismo generativo 108
5. La relazione sociale come «molecola del sociale»:
il caso della modernità 109
6. Dalla relazione moderna alla relazione dopo-moderna 117
7. Effetti strutturali ed effetti relazionali 118
8. Il valore sociale aggiunto delle relazioni sociali 121
9. Come i cambiamenti della molecola sociale stanno
trasformando la società capitalistica moderna 126
Indice 7

10. Un esempio istruttivo: la cooperazione sociale 128


11. Capitale sociale e beni relazionali 130
12. Tre tipi di morfogenesi sociale: «vincolata», «caotica»
e «guidata relazionalmente» 134

Conclusioni. Il futuro della società è quello della relazione sociale 139

Riferimenti bibliografici 145

Indice analitico 000

Indice dei nomi 000


Introduzione 9

Introduzione. Il posto della


relazione sociale nella nostra vita

Questo volume è un invito alla scoperta di quella realtà invisibile, ma de-


cisiva per la vita umana, che è la relazione sociale, ossia l’entità che sta «fra»
le persone anche quando esse non ne sono consapevoli o non se ne curano.
Passando per strada vedo due persone che parlano, si salutano e si la-
sciano. Penso: che cosa c’è «fra» le due persone che si sono incontrate?
Questo è un atto riflessivo, perché in prima istanza io vedo solo le due
persone e quello che fanno. Chiedersi che relazione c’è fra le due persone
richiede che io mi ponga da un punto di vista che non è per nulla immediato:
è riflessivo nel senso che devo ritornare sulla mia prima osservazione dell’in-
contro ponendomi da un «altro» punto di vista che chiamerò il punto di vista
relazionale. L’osservazione è riflettente in quanto ritorna su ciò che ho osser-
vato, e lo fa focalizzandosi non sui due individui, ma sulla loro relazione (ri-
flessività relazionale). L’operazione la fa l’osservatore, ma non rimane per così
dire «chiusa nel suo Io», deve apprendere da una realtà che sta fuori di lui,
così come sta fuori dai soggetti osservati: questa realtà è la relazione sociale.
Se mi colloco da questo punto di vista, mi chiedo: forse è stato un in-
contro casuale, una persona ha chiesto un’informazione a un’altra persona,
e niente di più, perché non si conoscono? O forse invece si conoscono un
poco e si sono scambiate dei saluti? Oppure invece sono due amici, due col-
leghi di lavoro e si sono scambiati delle confidenze, delle idee più personali,
hanno definito di fare qualcosa assieme?
In tutti i casi, mi chiedo: in quell’incontro, c’erano solo le due persone,
con le loro caratteristiche e dotazioni personali, o c’è stato qualcosa fra loro?
10 Introduzione

Com’è stato possibile scambiare delle parole fra loro? Bastavano le due per-
sone per fare l’incontro? La risposta è decisamente negativa.
I modi in cui si sono parlati, le cose che si sono dette, i riflessi del loro
incontro dipendono certamente dai caratteri individuali dell’una e dell’altra
persona. Come persone, possono essere più estroverse o introverse, più gen-
tili o più ruvide, più fiduciose o più diffidenti, più calme o più ansiose, più
calde o più fredde, e così via. Ma queste caratteristiche non bastano a capire
che cosa è successo e che cosa quell’incontro potrà produrre. Perché quello
che è accaduto, il fatto dell’incontro, e ciò che quell’incontro potrà produrre
non dipendono solo da loro.
Che cosa c’è di più? Ossia: perché ciò che succede nella società non è
spiegabile solo in base a ciò che gli individui (come tali) pensano e fanno?
C’è innanzitutto il contesto e, dentro il contesto, il problema di definire qua-
le relazione intercorra fra loro.
Se ci si incontra per strada, cioè si è in un contesto in cui gli altri – i pas-
santi – ti vedono, tu non puoi fare tutto quello che magari faresti a casa tua, nel
tuo salotto o nella tua camera. Alcuni lo fanno, ma allora devono attendersi la
reazione degli altri, che sarà quella di dire a questa persona: «guarda che non
sei a casa tua, la strada non è il tuo salotto». Bene o male, il luogo pubblico
porta con sé delle regole da rispettare. Se non le rispetti, dovrai aspettarti
delle reazioni da altri che sono estranei all’incontro personale. Ma anche l’in-
contro privato ha delle regole, perché anche nelle sfere più intime cerchiamo
di preservare una certa identità, desideriamo stima o affetto o quantomeno il
rispetto dell’altro. Così pure esistono regole sul confine fra l’ambito privato e
pubblico. Ad esempio, in un incontro privato una donna può sentirsi trattata
in maniera troppo intima, e reagire, se l’uomo fa delle avance, dicendogli: «ma
chi credi che io sia?» (il che significa, ci tengo alla mia identità di donna di non
facili costumi, anche per via delle ripercussioni che potrebbero esserci se la
cosa venisse conosciuta da altri, nella sfera pubblica).
Il contesto c’è sempre, che sia pubblico o privato. Esiste anche nella zona
intermedia, laddove non è chiaro se valgono le regole pubbliche o quelle
private. Il contesto c’è comunque, anche se le due persone non lo pensano,
non lo avvertono, non lo conoscono, o semplicemente non se ne curano.
In effetti, le regole del contesto sono molto spesso opache o labili, perché
sono soggette alle percezioni che ne hanno le persone, dipendono dalle loro
Introduzione 11

opinioni e dai loro modi di accettarle o respingerle, comunque di negoziarle


con gli altri.
Come si arriva, allora, a poter comunicare o scambiare cose negli incon-
tri di vita quotidiana? La struttura del contesto ha delle regole, ma affinché
le persone possano agire quelle regole con un sufficiente grado di consenso,
occorre che le strutture del contesto siano mediate da un livello di realtà in
cui le persone possano «definire la situazione» in modi che siano accettabili
per i partecipanti. Questo livello di realtà è quello della relazione sociale,
che non coincide con quanto viene scambiato nelle interazioni.
In pubblico o in privato i modi di comunicare e scambiarsi qualcosa
(una parola, un’informazione, un saluto, una cosa data e una cosa ricevuta)
sono correlati al fatto che esista, oppure non esista ancora, una relazione
(detta «di conoscenza») fra le due persone.
L’incontro sarà molto diverso se si tratta di due persone che non si sono
mai incontrate, oppure se si conoscono già. Se non si conoscono, devono de-
finire ex novo la relazione a partire da quella situazione. Se si conoscono già,
la conoscenza può essere più superficiale o più intima. Si va dal caso di due
vicini che abitano nello stesso palazzo e si conoscono appena, ai casi di due
soci di una stessa associazione culturale, di una stessa parrocchia, sindacato,
partito politico o altro ancora, di due colleghi di lavoro, di due amici d’in-
fanzia, di due fratelli o sorelle, oppure di marito e moglie (ben uniti fra loro
oppure separati). In tutti questi casi, la conoscenza reciproca, a vari titoli,
che esiste fra le persone precede il loro incontro, ed è qualcosa che possiamo
già chiamare «relazione sociale» salvo poi approfondire l’argomento. Quella
relazione esiste in un contesto, ma non è il contesto. È una realtà distinta.
Tant’è che, dato anche un medesimo contesto, la relazione interpersona-
le può cambiare: io posso avere come colleghi di lavoro due persone, Ma-
rio e Carlo, ma la mia relazione con loro è differente, pur essendo definita
dall’appartenere a uno stesso contesto (il luogo di lavoro).
Il fatto è che la relazione sociale fra le persone è un’entità in cui si me-
scolano molti elementi. C’è l’elemento di un’appartenenza (alla stessa asso-
ciazione, famiglia, luogo di lavoro, nazione, ecc.) che esiste indipendente-
mente da loro, ma che dipende da loro riconoscere e fare agire. Può perfino
essere sospesa. Ad esempio, lo fa un figlio adolescente quando la madre lo
incontra per strada mentre sta con degli amici, e fa finta di non vederla per-
12 Introduzione

ché con loro si vergogna di essere trattato come un bambino dalla madre. In
quel momento sospende la relazione (che pure esiste) con la madre.
Tutto ciò dimostra quanto il contesto dell’incontro e la natura/forma
propria della relazione fra le persone che si incontrano siano importanti
per capire come avviene l’incontro. Come vedremo, è ancora più impor-
tante per capire che cosa esso possa generare. Marito e moglie, ad esem-
pio, vivono la stessa relazione matrimoniale diversamente quando si tro-
vano in pubblico e quando si trovano in privato. Non c’è solo il fatto che
in pubblico ci sono gli altri che osservano, mentre nella loro stanza non ci
sono. A parte le costrizioni imposte dall’esterno, c’è il fatto che essi pos-
sono aprire o chiudere la relazione a loro discrezione per motivi interiori
ed esteriori che ritengono significativi a seconda di come percepiscono il
contesto situazionale.
La sociologia classica ha dato molta importanza al contesto, fino al pun-
to di renderlo determinante nella spiegazione delle azioni individuali e delle
stesse relazioni. Le relazioni interpersonali sono state, per così dire, «assorbi-
te» dal contesto e dal suo condizionamento strutturale. Quanti sociologi han-
no spiegato il comportamento degli individui e le loro relazioni in base alle
sole pressioni dei meccanismi impersonali delle strutture sociali! I sociologi
positivisti e quelli marxisti sono stati esempi emblematici e lo sono tuttora.
Ad esempio, per i positivisti la relazione di coppia cambia perché deve per
forza adattarsi a strutture sociali (divisione funzionale del lavoro) che ri-
chiedono una maggiore mobilità sociale e una maggiore individualizzazione
degli individui; per i marxisti sono i meccanismi (strutture) del mercato che
fanno agire in un certo modo, così e non altrimenti, le coppie; la loro tesi è:
come il capitalismo impone che i padroni sfruttino gli operai, così nella cop-
pia l’uomo si comporta da padrone verso la donna. Da questi punti di vista,
le relazioni interpersonali non sono che una manifestazione delle costrizioni
delle strutture, un’espressione determinata essenzialmente da queste ultime.
C’è poco spazio per l’autonomia delle relazioni.
Da Karl Marx a Émile Durkheim questa è stata la visione delle cose. Ma,
per venire ai nostri giorni, prendiamo l’esempio di uno studioso americano
che molti ritengono sia stato uno dei massimi sociologi della seconda metà
del Novecento: Erving Goffman. Questo autore ha avuto il grande merito
di aver evidenziato l’esistenza di una realtà autonoma che egli ha chiamato
Introduzione 13

l’ordine dell’interazione1. Di che cosa si tratta? Si tratta della realtà degli


incontri faccia-a-faccia che hanno delle proprietà, dei modi di essere e delle
qualità, autonome rispetto sia all’ambiente delle strutture sociali che sovra-
stano le persone (ad es., quelle del mercato), sia rispetto alle caratteristiche
psicologiche degli individui che interagiscono (ad es., se sono più o meno
fiduciose o disponibili nei confronti degli altri). Nelle interazioni sociali,
sostiene Goffman, ci sono dei rituali che le persone devono seguire, seppure
a loro modo. La maniera di trattare gli altri con un rituale o con un altro
segnala l’esistenza di un ordine di realtà in cui gli individui si comportano
in vari modi, più o meno bizzarri, strategici, volti a trarre un profitto, un
vantaggio o semplicemente a salvare la faccia laddove sia evidente che se la
sono giocata.
In questa sociologia io vedo qualcosa di vero e qualcosa che non con-
vince. Ciò che non mi convince è il fatto che l’ordine delle interazioni sia
dichiarato autonomo dalle strutture socioculturali, quando in realtà dipen-
de da qualcosa che ha tutta la sostanza di una struttura (il rituale). Goffman
identifica la realtà delle interazioni con una specie di danza sulle regole so-
ciali, impersonali, collettive che dominano ciascun contesto sociale. Il loro
ordine, l’ordine di una danza, non è privo di struttura. Prendiamo ad esem-
pio il contesto sociale in cui un certo numero di persone giocano a carte: se
osserviamo i giocatori seduti a un tavolo, certamente fanno e dicono tante
cose, ma le loro interazioni sono strutturate dalle regole del gioco. L’auto-
nomia dell’ordine dell’interazione è indicata da Goffman nel fatto che, nelle
interazioni faccia-a-faccia, non esiste un isomorfismo tra il posto degli indi-
vidui nell’interazione e il posto che essi occupano fuori di essa. Ad esempio,
se quattro persone si mettono a giocare a carte, le loro caratteristiche socia-
li (età, sesso, posizione sociale, etnia, religione, ecc.) diventano irrilevanti
(mentre rimarrebbero rilevanti in altri contesti), perché – seduti al tavolo
– sono semplicemente dei giocatori che devono seguire le regole del gioco.
Per Goffman l’impatto delle variabili strutturali (cioè gli attributi sociali
degli individui quali età, sesso, status sociale, professione, razza) non è mai

1
  Cfr. Goffman [1983], con introduzione di Pier Paolo Giglioli che commenterò in
alcuni punti. Cito qui altri importanti lavori di questo autore che richiamerò nelle righe
successive [Goffman 1967; 1971; 1988].
14 Introduzione

diretto, ma viene mediato da un insieme di regole di trasformazione che sta-


biliscono quali aspetti del mondo esterno vadano messi tra parentesi e quali
(e con quali modifiche) siano rilevanti all’interno dell’interazione. Come
osserva Giglioli [1998, 11],

il caso più evidente di questa sospensione della rilevanza degli attributi


strutturali [dei soggetti interagenti] è fornito dalle regole formali dei
giochi che si applicano a tutti i partecipanti, indipendentemente dalle
loro caratteristiche sociali. Ma tutti i tipi di interazione, anche quelli non
definiti da rigide regole costitutive come i giochi, sono circondati da una
membrana che filtra la realtà sociale circostante, stabilendo se e quale
parte di essa è rilevante.

Questa membrana è l’ordine dell’interazione che consiste di regole che


trasformano l’identità delle persone.
Inoltre,

le unità, le strutture e i processi propri dell’interazione faccia-a-faccia


non possono essere direttamente dedotti dalle caratteristiche strutturali
dei soggetti che vi sono coinvolti. Ad esempio, le unità veicolari del traf-
fico pedonale, «singoli» e «insiemi», sono unità specifiche all’interazio-
ne, prive di automatiche corrispondenze strutturali nel mondo esterno
[ibidem, 11-12].

Su questa base, è giusto sostenere, come fa Giglioli, che Goffman rifiuti


l’analisi sociostrutturale dell’interazione, perché dalle semplici strutture socia-
li non si possono dedurre le pratiche interazionali. Ma ciò non toglie che Goff-
man cerchi poi di spiegare le interazioni dei soggetti sulla base delle regole che
valgono in ogni contesto interattivo. Le interazioni sono le mosse di una raf-
finata teoria dei giochi. Cosa sono queste regole se non una struttura sociale?
L’analisi di Goffman, infatti, come lui stesso dice, non dà priorità alle persone
sui contesti e le loro situazioni, ma fa esattamente il contrario, cioè dà la priori-
tà al contesto situazionale che fa giocare le persone. Nelle parole di Goffman:
«non studio gli uomini e i loro momenti, quindi, ma piuttosto i momenti e i
loro uomini» [1967; trad. it. 1988, 5]. Di conseguenza, gli uomini (i soggetti)
sono visti come degli attori che recitano una parte su una scena dove è in atto
Introduzione 15

una commedia, sono personaggi in cerca d’autore (come direbbe Pirandello),


diventano oggetti di rituali, degli «oggetti cerimoniali», fino a rivelarsi dei gio-
colieri, marionette, saltimbanchi, affaristi da quattro soldi, psicotici, alla fine
gente comica (per lo sguardo disincantato di Goffman).
L’argomento di Goffman ricalca la sociologia di Durkheim, per il quale
gli individui hanno una certa libertà di movimento, ma sono, in ultima istan-
za, determinati dalla coscienza collettiva, che, per lui, è «la società» nella ve-
ste delle rappresentazioni collettive a cui nessuno si può sottrarre, pena l’es-
sere considerato un «deviante». L’ordine dell’interazione è osservato come
un modo di giocare con la struttura sociale per essere rassicurati e sfuggire
allo stigma della devianza. Ma in fondo questo modo ha anch’esso delle
regole, ossia è una struttura che consiste nel recitare un ruolo su una scena.
Goffman non sostiene semplicemente che l’identità è influenzata e pla-
smata nei suoi modi di essere dai rapporti sociali. Questa è un’affermazione
che ogni sociologo farebbe. Adotta una prospettiva ben più radicale: dice
che il «Self» (l’Io di ogni persona) è creato virtualmente dal nulla mediante
il rituale dell’incontro. Senza i rituali, il Self viene menomato fino a essere
annullato. Ciò accade precisamente nei luoghi dove il rituale è negato, cioè,
secondo Goffman [1961], nelle istituzioni totali, come sono le prigioni, i
lager, i manicomi, ma anche l’esercito e in casi limite certe scuole o ospedali,
e così via. Il Self allora, diviene unicamente il simbolo della realtà dell’incon-
tro (encounter), nel senso che perde la sua essenza/natura trans-situazionale.
Dunque la situazione assorbe l’identità (ma con ciò non prende forse, allora,
il posto della struttura che determina l’individuo?). Ma, secondo Goffman,
anche nelle situazioni più normali della vita quotidiana, l’identità personale
cambia continuamente nei, con e attraverso i balletti cerimoniali della vita
sociale: «il Sé […] non è qualcosa di organico che abbia una sua colloca-
zione specifica, il cui principale destino sia quello di nascere, maturare e
morire; è piuttosto un effetto drammaturgico che emerge da una scena che
viene rappresentata» [1959; trad. it. 1969, 225]. La vita sociale è solo una
rappresentazione scenica.
In questo modo, Goffman ha certamente cambiato il modo in cui la
sociologia vede i soggetti umani, ma solo per sostituire i determinismi delle
strutture sociali con una commediografia giustificata in base a una «con-
cezione naturalistica della scienza». Che gli uomini agiscano anche così è
16 Introduzione

evidente. Che lo facciano molto spesso è altrettanto evidente. Ma perché


ridurli solo a questo? La sociologia non è in grado di vedere altro?
Il fatto è che rifiutare la prospettiva che parte dagli «uomini per vedere i
loro momenti» assumendo il punto di vista opposto che parte «dai momenti
per vedere i loro uomini (attori)», ci riporta a una sociologia positivistica che
vede solo i rituali esteriori. Se al posto della parola «momenti» mettiamo la
parola «situazione», dovremmo dire che le situazioni determinano i soggetti
e le loro azioni, e non solo li condizionano, perché la loro identità, il loro Io,
è interamente risolto dal contesto dell’interazione.
Prendo Goffman come un esempio emblematico di vastissime corren-
ti di pensiero sociologico, che riducono gli agenti (soggetti umani) a puri
attori di scene drammaturgiche. Certo, queste correnti considerano gli
uomini come «esseri morali», ma la moralità di cui si parla non è nient’al-
tro che il tentativo di salvare la propria faccia di fronte agli altri, spinti dal
bisogno di sicurezza e di non venire messi per terra. Luhmann direbbe che
la moralità non è nient’altro che la ricerca della stima degli altri con ogni
mezzo, inclusa l’insincerità e la menzogna. In breve, potremmo dire che
la moralità di Goffman coincide con i rituali di una sfera pubblica hob-
besiana. In questa prospettiva, che ha certamente qualcosa di vero, non
perdiamo o non dimentichiamo forse qualcosa?
Perdiamo innanzitutto la soggettività delle persone. Non mi riferisco
alla loro «psicologia», ma proprio alla loro soggettività sociale2. Perdiamo
la natura riflessiva delle persone che decodificano e rielaborano le struttu-
re sociali e culturali in cui vivono. Certo, si adattano alle situazioni, ma le
situazioni (i «momenti») non possono spiegarne le azioni fino in fondo. In-
somma, le interazioni situazionali non vengono ontologicamente prima delle
azioni, perché sono le azioni che creano le interazioni.
Quando dico all’inizio c’è la relazione [Donati 1991, cap. 1], nel senso
che è nella relazione che troviamo la nostra identità, non voglio dire che
la relazione venga temporalmente e ontologicamente prima dell’Io, della
nostra identità personale. L’essere umano è presociale [Archer 2000]. Dico
semplicemente che nasciamo nelle relazioni e cresciamo nelle relazioni, le

2
  Non si può arrivare al punto di scindere completamente la soggettività degli agenti
dalle relazioni sociali [Beechey e Donald 1985].
Introduzione 17

quali ci portano continuamente a vivere in situazioni di cui non siamo pa-


droni. Ma di qui a dire che queste situazioni (l’ordine delle interazioni) è la
realtà che ci fa esistere e senza le quali non esisteremmo, mi sembra che il
passo sia lungo. Troppo lungo.
Dobbiamo distinguere fra attore e agente, che sono due modi di vedere
i soggetti nei loro comportamenti.
•  Parliamo di attore sociale quando spieghiamo i comportamenti di un
soggetto (individuale o collettivo) dal punto di vista del ruolo che occupa o
che sceglie di recitare in una struttura sociale (lo facciamo tutte le volte che
diciamo «fa il suo mestiere»); ad es., l’insegnante quando esegue semplice-
mente – funzionalmente – i suoi compiti di ruolo; il manager che esegue i
compiti assegnati dal proprietario di gestire in modo profittevole l’azienda; il
sindacato che sciopera per un aumento dei salari.
•  Parliamo di agente sociale quando consideriamo il soggetto dal punto
di vista della sua libertà di azione, nel senso che, pur trovandosi in un conte-
sto di interdipendenza, si stacca dal ruolo e si rende sensibile alle interazioni
con gli altri (lo facciamo quando diciamo «non si è limitato al compito da
svolgere»; ad es., il professore che scende dalla cattedra e instaura un rap-
porto personale con lo studente, il manager che trascende dal suo ruolo e
considera i problemi umani del dipendente).
Il contesto di interdipendenza può essere interattivo o strutturale. La
differenza sta nel grado di costrizione delle norme contestuali e nel tipo di
tempo sociale che implica.
1.  Il contesto di interdipendenza è interattivo se ha un basso grado di
costrizione normativa e dura solo il tempo della comunicazione; ad esempio,
se incontro per strada uno sconosciuto che mi chiede un’informazione non
sono costretto a fermarmi e rispondere, se lo faccio è solo per cortesia, e non
c’è un prima e un dopo temporale, l’incontro finisce lì.
2.  Il contesto di interdipendenza è invece strutturale se l’incontro avviene
in una struttura sociale che ha un elevato contenuto normativo e ha una durata
(durée) nel tempo: ad esempio, se entro in un bar per chiedere un caffè, devo
osservare un preciso contesto normativo (il barista ha un ruolo e il cliente un
altro ruolo) e quel contesto ha una permanenza nel tempo. Se mi capita di
incontrare per strada il barista da cui vado abitualmente, lì avviene un incontro
in un contesto interattivo.
18 Introduzione

L’ordine dell’interazione di cui parla Goffman, a me pare, opera una


sorta di «con-fusione» fra l’attore e l’agente, perché vede l’agente come un
attore che gioca continuamente in un ruolo, rituale o irrituale che sia. Non
a caso Giglioli afferma che Goffman richiede niente di meno del rischio di
rendere strani e problematici proprio quegli assunti e quelle routine che
rendono la vita sociale ordinaria possibile e degna di essere vissuta. Giglioli
apprezza Goffman perché

richiede il corteggiamento dell’anomia; uno sguardo sul Vuoto; un flirt


faustiano nel quale il demonio rinascimentale è sostituito dai diagnostici
postmoderni della follia. Goffman sta facendo proprio questo e merita la
nostra gratitudine perché, prendendo questi rischi, aiuta ad aggiornare
l’immagine dell’uomo sociologico (finora parecchio sciatta) rendendola
un parente riconoscibile dell’immagine dell’uomo che è stata a lungo
prevalente nell’arte moderna [1998, 30].

Insomma, dovremmo prendere atto che Goffman, come i postmoderni,


ci descrive un mondo sociale che è (sarebbe) interessante perché ha abban-
donato ogni centratura (va avanti con il caso, senza un centro) e vive senza
una bussola, ci lascia giocare e fare gli attori a piacimento. La presa d’atto è
doverosa, se pensiamo all’uomo dipinto da tanti artisti del Novecento, come
ad esempio nei ritratti cubisti di Picasso. O se pensiamo a come si vive nelle
famiglie dove ciascuno gioca a suo modo con le regole della vita in comune:
ci sarà molta creatività, ma anche una bella confusione.
Si rivela così il senso dell’ordine dell’interazione di cui parla Goff-
man, che è il senso della postmodernità. È una descrizione della vita socia-
le in cui ciascuno gioca con la vita sentendo che sotto di sé, come direbbe
Niklas Luhmann, c’è solo il vuoto, e che dobbiamo accettare di finire nelle
sabbie mobili. È un’osservazione del normale attraverso l’anormale, fino
al punto che non è più possibile distinguerli. Conosciamo l’umano attra-
verso il suo tormento interiore, sempre alla ricerca di poter galleggiare nel
mare insidioso del confronto con gli altri. Questa sociologia ci aiuta ad
aprire gli occhi su un mondo diverso da quello che potremmo considerare
(erroneamente) «normale», ma lo fa dopo averci messo degli occhiali un
po’ particolari.
Introduzione 19

Per chi pensa che la vita sociale non sia solo questo, l’ordine dell’inte-
razione di Goffman risulta perlomeno parziale. Non ci aiuta molto a capire
le relazioni sociali nei vari modi e ambiti in cui le viviamo, anche se apre
una finestra importante da cui vedere l’autonomia delle interazioni sociali.
Ciò che io vorrei mostrare è che le interazioni di cui parla Goffman sono
una realtà superficiale, certo assai rilevante, ma dietro (o sotto) la quale c’è
un’altra realtà che i soggetti umani vivono, pensano e agiscono in modi di-
versamente significativi per la loro vita. Questa realtà è quella delle relazioni
sociali quando vengono prese sul serio, ossia allorché – in quanto relazioni
– chiedono un’attribuzione di senso profondo, non strumentale, perché in
quei momenti le strategie, i riti, i giochi, le cerimonie drammaturgiche delle
interazioni descritte da Goffman risultano prive di senso.
Noi tutti, quando ci incontriamo con gli altri, e anche quando stringia-
mo legami duraturi, siamo un po’ agenti e un po’ attori allo stesso tempo,
perché agiamo con una certa libertà e spontaneità, ma allo stesso tempo
teniamo conto del ruolo, ossia delle aspettative, che gli altri ci attribuisco-
no. Questo fatto, però, lo vediamo molto meglio se, anziché vedere solo le
interazioni, chiariamo la differenza fra le relazioni sociali e le interazioni. Lo
studio della relazione ci offre la strada per ritrovare l’agente che sta dietro
l’attore e, viceversa, l’attore che si confronta con l’agente. Si tratta di aprire
una nuova prospettiva che riesca a farci vedere come, in un incontro, in un
dialogo, in un’interazione fra persone, ci sia molto di più di individui strate-
gici che giocano con le regole sociali che ritengono siano dovute o attese in
una certa situazione. Questo qualcosa di più è quell’oggetto della sociologia
che chiamiamo «relazione sociale».
La figura I.1 sintetizza quanto ho detto finora. L’incontro (interazione)
è certamente frutto dei soggetti che si incontrano (Ego e Alter), ma l’in-
contro avviene dentro una relazione e la relazione è a sua volta immersa in
un contesto sociale. La relazione può non essere già esistente, se i soggetti
neanche si conoscono, ma è precisamente il fatto che l’osservatore e i sog-
getti interessati lo notino che conduce a vedere che l’interazione parte da
un vuoto relazionale; diciamo meglio: l’interazione parte dal fatto che esiste
una relazione strutturale (definita dal contesto), ma non una relazione inter-
personale pregressa. Ciò che le interazioni – nel corso della relazione inter-
personale – fanno è riprodurre o modificare la relazione strutturale iniziale,
20 Introduzione

dando vita a una forma sociale che riproduce o innova la forma precedente.
Lo schema descritto nella figura 1 ha ovviamente un andamento temporale
(lo stesso che vedremo nel processo – detto «morfogenetico» – di genera-
zione di nuove forme sociali): il contesto è la struttura sociale che esiste al
tempo iniziale T1, le interazioni si svolgono nell’intervallo di tempo T2-T3, la
forma sociale emergente appare al tempo T4.
Come dicevo all’inizio, il più delle volte noi osserviamo il fatto sociale
dell’incontro fra Ego e Alter fermandoci a ciò che essi fanno. Ad esempio,
osserviamo che una persona entra in un bar, chiede un caffè, lo beve, paga
e se ne va; oppure vediamo una persona che viene visitata dal medico in un
ambulatorio. La riflessione sociologica ci aiuta a capire che ciò che avvie-
ne lì, nell’interazione cliente-barista o medico-paziente, può essere meglio
compreso se lo vediamo come una relazione che sta all’interno di un conte-
sto strutturale ed evolve con le interazioni fra gli agenti/attori producendo
una certa forma di vita sociale. La relazione in cui avviene l’incontro può

Contesto sociale (T1)

T2
Ego Alter
Relazione

Interazione (incontro)

T3

Nuova forma relazionale


della vita sociale (T4)

fig. I.1.  Il posto della relazione sociale nel farsi della società.
Introduzione 21

essere più o meno definita dal contesto (struttura) sociale, ma in ogni caso
è attivata dagli agenti/attori, che la definiscono a loro modo, e da tale de-
finizione dipendono i modi delle interazioni (come evolve l’incontro) da
cui scaturisce un tipo oppure un altro di forma relazionale. Collocare la
relazione all’inizio e alla fine delle interazioni – distinguendo analiticamente
la relazione dalle interazioni – ci serve per capire che cosa c’è prima delle
interazioni e dopo di esse, dando un senso a ciò che ne emerge. Possiamo,
in altri termini, addentrarci in quel territorio in cui dobbiamo pur sapere
qualcosa delle relazioni fra le persone, se esiste o meno una conoscenza reci-
proca, una relazione debole o forte, un distanziamento oppure un avvicina-
mento, un’indifferenza oppure una presa in carico di quella relazione. Una
realtà invisibile a occhio nudo, e però così decisiva nella vita delle persone.
Per stare agli esempi, l’incontro fra il barista e la persona che ha preso il
caffè è andata in un certo modo perché si conoscevano, e presumibilmente
ripartirà da quella conoscenza, forse potrebbero diventare amici. In certi
bar gli avventori sono quasi tutti amici, in altri sono solo clienti che vanno e
vengono. Dal punto di vista sociale i bar sono molto diversi fra loro, perché
in essi avvengono incontri molto diversi. Dietro questi incontri c’è una rete
di relazioni, che può produrre più o meno capitale sociale, beni o mali rela-
zionali, o niente di tutto questo. Il tessuto sociale (forma della vita sociale)
che si realizza nei bar (ma potremmo parlare di scuole, ospedali, associa-
zioni, qualsiasi luogo) è sempre una chiave di lettura della qualità sociale di
un luogo, che sia una strada, un quartiere o altro ancora. I cosiddetti «non-
luoghi» sono, appunto, luoghi con interazioni senza relazioni. Nell’esempio
del paziente che incontra il medico si può ragionare allo stesso modo.
L’interazione diventa più comprensibile se noi la vediamo inserita in una
relazione sociale, la quale non coincide né con la struttura del contesto, né
con l’interazione stessa. La relazione sociale è solo in parte definita dal con-
testo (la struttura del bar, la struttura dell’ambulatorio medico), mentre in
buona misura dipende da come la agiscono liberamente gli agenti/attori. A
volte si parla di «relazioni formali» e «relazioni informali», ma il fatto è che
queste entità sono mescolate fra loro, precisamente come lo sono l’attore e
l’agente sociale.
È importante ribadire che il contesto sociale è una struttura (molto
complessa) che condiziona la relazione entro cui avvengono gli incontri (le
22 Introduzione

interazioni) fra le persone, ma non la risolve mai interamente, perché gran


parte della sociologia identifica le relazioni con la struttura sociale [Porpora
1987]. Per questo motivo è necessario identificare un ordine di realtà che
sta fra la struttura sociale e le concrete interazioni che osserviamo empiri-
camente. L’handicap della relazione è che non si vede a occhio nudo. La
dobbiamo «vedere» con uno speciale sistema di osservazione, che implica
una peculiare riflessività. L’intento è, appunto, di elaborare un sistema di
osservazione che risponda a tale scopo.
Gli incontri fra le persone decidono molto del loro futuro, come indi-
vidui e come società. In fondo, la società va laddove la portano gli individui
che comunicano e si scambiano cose nel tessuto della vita quotidiana. Le
relazioni sociali non sono solo un canale, un mezzo, un tramite di comuni-
cazioni e scambi. Sono anch’esse, come l’ordine delle interazioni, una realtà
autonoma, che può decidere del senso che viene attribuito a comunicazioni
e scambi. Se una persona vuole far presente a un’altra che le vuole bene,
deve far sì che la comunicazione avvenga dentro una certa relazione, deve
curare quella relazione, non basta che le offra delle cose buone. Le cose
prendono significato dalla relazione. Un regalo, ad esempio un mazzo di
fiori, portato alla moglie può significare tante cose. Può significare affetto,
ma anche una richiesta di perdono o un mezzo per allentare un senso di
colpa. In ogni caso, il mazzo di fiori non dice nulla di per sé, è la relazione
che parla, e comunque non sostituisce una carezza data con amore. L’amore
si dimostra solo con la cura della relazione.
Capire perché le persone, nei loro incontri, si comprendono o meno,
collaborano o litigano, empatizzano oppure sono individualisti, si sentono
sempre debitori oppure invece creditori degli altri, e così via, questo è il
nostro problema. Un problema che non può essere risolto solo guardando
al carattere degli individui, alle loro opinioni, atteggiamenti, disposizioni
personali. Altrimenti non potremo mai capire perché individui che hanno
buone qualità e buone intenzioni arrivano a produrre tanti mali, individuali
e sociali. Il fatto è che, di mezzo, ci sono le relazioni sociali.
Cercheremo dunque di capire perché e come la vita di noi individui
dipenda non solo da ciò che siamo dentro noi stessi, inclusa la nostra con-
versazione interiore in cui decidiamo le nostre azioni, ma anche dal contesto
sociale e dalle relazioni che intratteniamo con gli altri. Fra il nostro mondo
Introduzione 23

interiore e quello esterno esistono profonde interdipendenze, che si vedono


solo se riusciamo a vedere le relazioni sociali. Perché la vita, presa global-
mente, dentro e fuori di noi, è relazionalità. Ciò che capita dentro di noi è
strettamente connesso a ciò che capita fuori di noi. Per questo è essenziale
saper vedere, capire e trattare le relazioni sociali.
L’ordine relazionale della realtà sociale consiste in questo: sono i sog-
getti (persone) che creano le relazioni sociali (interpersonali), ma le relazioni
(strutturali) li precedono e li seguono, sono una realtà che li eccede. La so-
cietà cambia perché è fatta di relazioni interpersonali e strutturali agite dagli
individui. La sua stoffa è la relazionalità. Senza gli individui le relazioni non
esisterebbero, ma le relazioni fanno esistere un ordine di realtà che non ap-
partiene agli individui. Ciò che avviene dentro le persone, ossia i sentimenti,
gli affetti, le intenzioni, i progetti, le deliberazioni, ciò di cui ci prendiamo
cura – le nostre premure fondamentali –, ciò di cui ci sentiamo in qualche
modo responsabili, tutte queste «cose» non sono comprensibili se non nel
contesto delle relazioni in cui si formano e in cui possono vivere o morire,
svilupparsi o deperire, arricchirsi o impoverirsi. È la relazione che mi dice chi
io sono, non solamente chi sono per l’Altro con cui sto in relazione, ma an-
che per me stesso. La relazione nella quale io sto è il contesto necessario per
comprendere qualcosa di più sui miei «veri» sentimenti, sulla mia «vera»
identità, sul mio passato, sul mio futuro e così via.
Il problema che ciascuno di noi deve affrontare sta nel fatto che le re-
lazioni sono invisibili, sono immateriali, sono intangible goods, sono beni
intangibili. Per capire che cosa ciò significa, possiamo fare un paragone con
l’aria. Anche l’aria è invisibile, è intangibile. Tuttavia, noi senza aria non
vivremmo; le relazioni sono la stessa cosa. Noi non possiamo vivere senza le
relazioni. Ma le relazioni sono un po’ come l’aria, non le vediamo e in genere
le percepiamo solo in negativo, quando diventano un disturbo, una fonte di
disagi, conflitti o irritazioni del nostro Io.
Per rimanere sul paragone: se l’aria diventa inquinata, se c’è molto in-
quinamento, allora sentiamo che l’aria è una cosa importante, viene spon-
taneo desiderare un’aria più pulita. Se l’aria diventa molto fredda oppure
invece molto calda, ci sentiamo a disagio e a volte stiamo male. Il nostro si-
stema biofisico, direbbero i sistemici, è insidiato dal «rumore» dell’ambien-
te. Così capita anche per le relazioni sociali, che sono «ambiente» del nostro
24 Introduzione

essere e, se non sono adeguate, creano problemi non solo di tipo fisico, ma
anche e soprattutto psicologico, culturale e spirituale. Quando sentiamo che
le relazioni sociali sono un fatto irritante, sono sollecitazioni che ci creano
delle difficoltà, allora siamo portati a chiederci che cosa possiamo fare per
trovare un ordine relazionale con gli altri e con il mondo che allevi le nostre
sofferenze, problemi, disagi. Siamo portati a cercare un altro modo di vita,
un altro contesto relazionale in cui possiamo essere in grado di gestire le
nostre relazioni in modo più soddisfacente. Cerchiamo un ordine relaziona-
le nonostante i fattori che ci turbano o creano disagi (i «rumori»). I teorici
sistemici direbbero che cerchiamo di perseguire un «ordine da rumore»
(order from noise), un assetto di relazioni meno problematico nel mare delle
fluttuazioni. È qui dove la riflessività sulla relazione sociale, e per mezzo di
essa, deve poterci aiutare.
Riflettiamo sulla differenza tra l’aria e le relazioni sociali, che è molto
istruttiva. L’aria è un misto di vari gas, un mix che non ha una molecola
propria. Le relazioni sociali – così sostiene questo libro – hanno una propria
molecola, a seconda del tipo di relazioni. Mentre nell’aria gli elementi si me-
scolano aggregandosi e disaggregandosi, nella relazione sociale gli elementi
che la compongono (di cui si dirà) si combinano relazionalmente (attraverso
interazioni) in modo tale da generare un effetto emergente. In sostanza, la
relazione sociale – che è necessaria per la vita sociale, ma è contingente nella
forma – presenta una struttura propria, dotata di qualità e poteri sui generis,
che io chiamo «molecola sociale», la quale può essere più stabile o più vola-
tile, ma nondimeno esiste come tale.
Più in generale, io assumo che essere in relazione sia un’espressione che
ha tre significati analitici:
1.  il fatto che fra due (o più) entità esiste una certa distanza la quale, allo
stesso tempo, distingue e connette tali entità;
2.  che tale relazione esiste nel senso che ha una propria realtà (dal latino
ex-sistere, che vuol dire «star fuori con una propria consistenza» rispetto a
chi/che cosa l’ha generata) con i propri poteri causali;
3.  che tale realtà ha un suo modo di essere (la modalità di essere che è
nella/dentro la relazione).
I tre significati sono analitici perché, dal punto di vista empirico, ogni
relazione contiene in sé tutti questi aspetti, che sono più o meno strettamente
Introduzione 25

legati fra loro a seconda della specifica relazione che si osserva in un dato
momento.
Tutto ciò ci dice quanto sia importante capire il mondo delle relazioni,
che è un mondo nel quale noi viviamo come nell’aria, ma di cui quasi sempre
non ci rendiamo conto nella vita ordinaria, perché lo diamo per scontato,
come l’aria appunto. Per rendercene conto dobbiamo attivare una certa
riflessività. Io la chiamo riflessività relazionale, perché è la riflessività eser-
citata dai soggetti agenti non già sui loro pensieri interiori, ma sulle relazioni
sociali e sui loro poteri ed effetti. La riflessività relazionale è un riflettere sul-
le/con/dentro le relazioni che i soggetti agenti hanno con gli altri significati-
vi, tenendo conto che tali relazioni hanno un’esistenza autonoma e generano
dinamiche che vanno al di là delle loro intenzioni.
Lungo tutto il testo, il lettore tenga presente l’ambivalenza semantica del
concetto di «relazione», nel suo duplice significato di realtà processuale e di
risultato di tale processo. Lo si può comprendere bene per analogia con il
concetto di «associazione», che indica sia il processo di «farsi soci» (socia-
zione, unione), sia l’outcome di tale processo che consiste in una certa forma
organizzativa (l’associazione in quanto entità costituita, con uno statuto o
regolazione più o meno formalizzati). Parimenti, quando diciamo che due
termini hanno/stanno in una «relazione» possiamo intendere due cose:
•  il processo di azione reciproca (rel/azione) fra i termini della rela-
zione (il processo è il loro riferimento reciproco – il weberiano refero – che
genera un legame – il durkheimiano religo);
•  il prodotto di tale processo, cioè l’effetto emergente (emergent), ossia
la relazione in quanto realtà che è venuta a costituirsi fra i termini e che defi-
niamo «struttura sociale» in quanto opera come connessione relativamente
stabile fra (le posizioni de)i termini che stanno in relazione (il sistema sociale
è basato su queste strutture). In breve, dal punto di vista ontologico, la re-
lazione sociale può essere vista sia come un elemento necessario per il pro-
cesso di emergenza di nuove forme sociali, sia come la realtà che è emersa,
l’entità strutturale (emergent) in se stessa.
1
Saper leggere la società 27

CAPITOLO

Saper leggere la società

Per la sociologia, la società è un’entità né puramente materiale né pu-


ramente ideale, ma un modo di organizzare e vivere le concrete rela-
zioni sociali. La società non è uno spazio o un contenitore di relazio-
ni: non «ha», ma «è» relazioni. Essa è fatta di una «stoffa» che consiste
delle specifiche relazioni che caratterizzano un determinato contesto
sociale per differenza da altri contesti, in cui prevalgono altri modi di
configurare la relazionalità fra gli agenti/attori. Questa realtà non è
visibile ai punti di vista individualistici e olistici. Il capitolo spiega per-
ché sia necessario assumere un approccio relazionale.

1.  CHE COS’È LA SOCIETÀ?

Tutti parlano di «società». Ma che cos’è la società? E che cosa vuol dire
«conoscere» la società? Il concetto di «società» è alquanto nebuloso, diffi-
cile da definire. Abbondano le visioni più diverse e anche contraddittorie.
In queste pagine sostengo che la società è relazione, e cerco di spiegare
che cosa ciò significhi e comporti per il vivere sociale. La società non è un
contenitore di relazioni, ma è essa stessa relazione, è «relazionalità sociale».
Il termine «società» ha una sua storia. Esso è nato dalla cultura latina.
La parola «societas» deriva da «socius», e sta precisamente a significare che la
società è un fatto associativo nel senso più generale del concetto, cioè dello
stare/vivere insieme. Tuttavia, proprio per il carattere generico che ha, il suo
28 Capitolo 1

significato è cambiato nel corso dei secoli, secondo i periodi e i contesti sto-
rici. La chiave per comprendere questi cambiamenti è data, precisamente,
da ciò che sostanzia ogni tipo di società, cioè la configurazione delle relazio-
ni sociali che caratterizzano una società per differenza dalle altre.
A tutti capita di osservare che le relazioni nelle strade di New York sono
molto diverse da quelle, supponiamo, di Palermo. Sono due società diverse.
Ma come definire questa diversità?
C’è chi ha pensato la società come una «cosa», come un grande conteni-
tore (una grande organizzazione, una struttura come una costruzione a mo’
di fabbricato, un insieme più o meno coerente di leggi e istituzioni, una sorta
di «macchina» o di «mega-sistema») dentro il quale gli individui umani si
agitano, interagiscono e producono certi effetti, più o meno stabili o mute-
voli. C’è chi l’ha descritta come una realtà rappresentata, immaginata, oggi
diremmo «virtuale», cioè come una grande rappresentazione fatta di idee,
simboli, segni, e spesso miti, che muovono gli attori sociali e li indirizzano in
una direzione o nell’altra.
La società è stata il più delle volte descritta come un’entità materiale o,
viceversa, ideazionale, fatta di idee, simboli, modelli culturali. Le «grandi
narrazioni» di un tempo hanno spesso ceduto a queste tentazioni. Hanno
raffigurato la società come un soggetto di grandi imprese e di fantastici so-
gni, oppure come una scena su cui recitare grandi drammi, commedie o tra-
gedie. Ma oggi non è più quel tempo. Oggi, le scienze sociali sono chiamate
a un altro compito. La loro narrazione di ciò che accade non può più essere
fatta di quella grandeur che, non di rado, ha fatto perdere il contatto con la
vita quotidiana e le realtà umane più significative. La «grandezza della nar-
razione», se ancora si può usare questa espressione, sta nel raccontare quello
che si vede allorché si è in grado di penetrare l’intimo «essere» della società,
il suo «farsi», più che nel suggerire delle letture improntate a grandi visioni
immaginarie. In questo testo, quando parliamo di «essenza (o natura) della
società» intendiamo riferirci alla sua costituzione relazionale, cioè al fatto
che essa è costituita da relazioni sociali («è» relazione, non «ha» relazioni).
La società, infatti, non è un ordine di realtà che possa essere descritto in-
dicando delle cose concrete e tangibili, come i corpi o le case, o le fabbriche,
le automobili o le strade. Ad esempio, se diciamo che la società italiana è fatta
di circa 60 milioni di persone, con ciò indichiamo un numero statistico, non
Saper leggere la società 29

diciamo certo come è fatta quella società. La società non è fatta di individui o
di cose, anche se gli individui e le cose influenzano la società. Certo, la società
con le automobili è diversa da quella di un tempo in cui si andava a cavallo,
ma non a causa del mezzo che si usa in sé e per sé, bensì in quanto l’auto e il
cavallo significano modi diversi di relazionarsi fra le persone. La società non è
fatta neppure di individui, per quanto gli individui odierni – più istruiti e de-
diti ai consumi – siano assai diversi da quelli di una società primitiva o antica,
dove prevalgono gli analfabeti e i poveri, e quindi diano alle relazioni sociali
delle qualità molto diverse. La società non è fatta né di individui umani né
delle cose che essi producono e scambiano. Non è neppure una combinazio-
ne o mescolanza di tanti fattori, ad esempio economici, psicologici, culturali,
giuridici, politici, ecc. Essa consiste, invece, di una propria «stoffa», e segue
dinamismi propri. Il «materiale» di cui è fatta è la relazione sociale, e i suoi
dinamismi corrispondono a peculiari processi di morfostasi e morfogenesi1.
Essendo invisibile e non materiale, la società può essere vista solo con
strumenti appropriati. Insisto: per vedere la società come tale, occorre un
sistema specifico di osservazione. Si assume, quindi, che la società sia relazio-
ne sociale, e ci si propone di offrire gli strumenti concettuali per osservare le
relazioni sociali.
Il fatto che la società non sia una realtà come quella studiata dalle scienze
naturali (fisica, chimica, biologia, ecc.), né una realtà oggettivabile (materia-
lizzabile) come i manufatti, né una rappresentazione puramente mentale o
ideazionale dice che essa è una realtà peculiarmente umana. La società non è
né un fatto naturalistico (che si riferisca a entità indipendenti dalla volontà e
dalla soggettività), né una pura convenzione o invenzione ideativa. È, invece,
una realtà culturale, che deve fare i conti con gli altri ordini di realtà, da quel-
la biologica a quella psichica a quella trascendente ovvero religiosa. Proprio
negli interscambi e sui confini con queste altre realtà, essa incontra alcuni
dei suoi problemi più significativi, mentre altri li genera al proprio interno.
Pur essendo una realtà culturale, la società non si riduce a ciò che costitui­
sce una «cultura» intesa come semplice rappresentazione simbolica. Ridurre

1
  Il termine «morfostasi» indica la riproduzione delle forme sociali (la loro «stasi»),
mentre con il termine «morfogenesi» si intende la generazione di nuove forme sociali.
30 Capitolo 1

la società alla sola cultura è una distorsione abbastanza frequente nei cosid-
detti cultural studies. La società è fatta di un materiale ben più complesso, in
cui si intrecciano componenti soggettive e oggettive, naturali e sovranaturali,
umane e non specifiche dell’umano.
Come si può fare scienza di una tale realtà?
Ci sono due modi distinti di produrre conoscenza (fare scienza): spiega-
re (attraverso cause) e comprendere (attribuire un senso). Questi due modi
devono essere relazionati fra loro. Infatti, non si può fare scienza della società
senza prima chiarire i significati di ciò di cui si parla, per poi cercare le con-
nessioni esplicative di ordine causale fra variabili e fenomeni. A loro volta, le
spiegazioni causali modificano il senso che viene attribuito ai fenomeni.
In questo testo adotterò un approccio che consiste nel vedere la società
sotto l’ottica della relazionalità, ossia nel focalizzarsi sulla relazione sociale
e non sugli individui o sui sistemi; il paradigma scelto è quello che osserva
la società come rete; la metodologia è formulata come analisi relazionale; la
teoria che viene prodotta consiste nel comprendere e spiegare i fenomeni
sociali in quanto generati da relazioni sociali e consistenti in relazioni sociali.
Non se ne deve, per questo, dedurre che il sistema conoscitivo così propo-
sto sia – per così dire – «monolitico». Ciò che qui si propone non è un sistema
monistico, ma, al contrario, una lettura multidimensionale aperta ai vari ap-
procci, paradigmi, metodologie e tecniche di indagine, dato che, normalmente,
ciascuno di essi contiene elementi utili per produrre una teoria sociale preditti-
va. In ultima analisi, ciò che proponiamo è una lettura selettiva (selezionata in
base a un criterio pienamente relazionale) della conoscenza sociologica.
Per fare scienza della società bisogna essere consapevoli che la conoscenza
è sia attribuzione di un senso a ciò che si vuole indagare (= il problema socio-
logico da cui si parte per l’indagine) e a ciò che viene espresso come risultato
del processo conoscitivo (= la singola teoria sul problema che ha mosso l’in-
dagine), sia un processo di accertamento e validazione di regolarità empiriche
mediante procedure appropriate. Dal momento che i fenomeni sociali sono
per loro natura contingenti e riflettono la libertà dell’agire umano, seppure
vincolato a strutture sociali, occorre che l’approccio, il paradigma e le meto-
dologie che portano alla conoscenza sociologica (teoria) tengano conto di ciò.
In linea generale, le ricerche sociologiche fanno ricorso a tre tipi di logiche
esplicative: causali, funzionali e intenzionali. Le spiegazioni causali hanno il
Saper leggere la società 31

loro paradigma nella fisica, quelle funzionali nella biologia e quelle intenzio-
nali nelle scienze ermeneutiche. Il lavoro sociologico non può mai appiattirsi
su una sola di queste logiche, ma deve connetterle fra loro. Cruciale è il modo
di relazionarle fra loro, e in particolare l’esigenza di non annullare la logica
dell’intenzionalità, che caratterizza l’umano. Ecco perché la sociologia deve
fare ricorso a una propria logica esplicativa, quella relazionale.
Facciamo un esempio. Se si deve cercare di capire perché e come la
famiglia cambi, si osserva che nella dinamica familiare c’è ben poco di deter-
ministico, nello stesso senso in cui se ne parla per i fenomeni studiati dalla
fisica; c’è ben poco di funzionale, nello stesso senso in cui questo termine è
usato in biologia. Le spiegazioni più appropriate devono orientarsi in senso
interpretativo. Ma le interpretazioni non possono esimersi dal fare i conti
con gli aspetti funzionali e causalistici. Una famiglia umana c’è nella misu-
ra in cui si attualizzano intenzioni significative, quali che ne siano gli esiti
(anche non intenzionali). Di questo tiene conto proprio l’approccio relazio-
nale, che mette in rilievo l’importanza di dare un senso a ciò che si osserva
e a come lo si osserva (cioè di attribuire significati, di vedere la conoscenza
come costruzione di significati), nello studio della famiglia. Ma gli esiti og-
gettivi non sono irrilevanti per il significato che i soggetti attribuiscono alla
vita familiare. In altri termini: necessitiamo di un approccio massimamente
comprensivo, che connetta gli orientamenti degli attori e le funzioni delle
loro azioni e relazioni, ossia la famiglia in quanto intersoggettività (mondo
vitale) e in quanto dinamica oggettiva (sistema sociale, istituzione).
Molti si chiedono: perché bisogna «apprendere» a leggere la società, cioè le
relazioni sociali? Non basta forse un po’ di senso comune e un po’ di cultura
generale? In fondo, tutti vivono immersi nelle relazioni sociali.
La mia risposta è decisamente negativa. Il senso comune è un requisito
importante del pensiero umano e la cultura generale è ugualmente un insie-
me di risorse cui si deve ricorrere. Ma questi requisiti, se sono necessari, non
sono però in nessun modo sufficienti a «vedere» le relazioni sociali, quindi a
conoscere il perché dei fatti sociali che fanno una società.
Per vedere la società bisogna vedere le relazioni sociali, mentre la gran
parte delle scienze sociali (anche quelle affini alla sociologia) vedono solo
individui e «cose» (oggetti e strutture materializzate).
La scienza sociale è lo studio di una realtà invisibile e irritante: quella dei
32 Capitolo 1

nessi fra strutture e azioni sociali. La realtà sociale è differente da ogni altra
in ragione della sua peculiare costituzione umana. La società esiste perché
l’essere umano non è né puramente natura fisica (corpo biopsichico), né un
puro spirito (realtà trascendente). Essa ha tre caratteristiche peculiari:
1.  è inseparabile dai soggetti-agenti umani, perché la sua stessa esistenza
dipende in qualche modo dalle loro attività;
2.  è intrinsecamente modificabile, non ha una forma immutabile e
nemmeno uno stato ottimale che possa essere definito a priori o a posteriori;
3.  è condizione per le azioni e nello stesso tempo è condizionata dai
risultati delle azioni, ossia la società è nello stesso tempo vincolo e risorsa per
gli agenti, individuali e collettivi, che la fanno.
Bisogna saper leggere la società perché, per vederla, non basta conoscere
la struttura sociale esistente (che condiziona l’azione con regole, istituzioni,
vincoli) e/o l’agire umano (i comportamenti in atto dei soggetti-agenti): oc-
corre conoscere ciò che intreccia struttura e azione sociale, ciò che li media
e li tiene connessi, ciò che si attua come loro interazione e il prodotto di tale
interazione. La sociologia è una scienza complessa, forse la più complessa,
perché ha il compito di comprendere il nesso che esiste fra struttura e agire,
laddove tale nesso è sempre «irritante» perché, se da un lato è necessario,
dall’altro è aperto al massimo delle contingenze. È in tale nesso che consiste,
intrinsecamente, la società.
La società è quella condizione, tipicamente umana, che ci rende allo stes-
so tempo liberi e vincolati nell’agire sociale. Né totalmente liberi, né total-
mente vincolati: perché se fossimo nell’una o nell’altra situazione, allora non
saremmo in società.
«Apprendere a leggere» vuol dire mettersi in relazione alla società attra-
verso un sistema di osservazione sensibile alle relazioni, cioè che osserva con
e attraverso le relazioni sociali che la condizione umana di chi agisce e di chi
osserva implica, contestualmente.
Se la società fosse fatta di individui, ci basterebbe conoscere questi ul-
timi per sapere com’è fatta la struttura sociale. Se, parimenti, fosse fatta di
strutture, ci basterebbe conoscere queste ultime per sapere come sono fatti
i soggetti e come agiscono. Sfortunatamente, o piuttosto per nostra fortuna,
non è vera né l’una cosa né l’altra. Perché la società è un altro ordine di realtà:
è l’ordine di realtà della relazione.
Saper leggere la società 33

Questo ordine di realtà è fortemente dipendente dal tempo, non solo


dallo spazio. Infatti, le relazioni si svolgono nel tempo, il tempo che chiamia-
mo «storico», che le modifica necessariamente. All’inizio del XXI secolo,
pensare la società rappresenta una grande sfida non soltanto per il motivo
generale appena detto (e cioè che il tempo storico modifica sia la società,
cioè la realtà sociale, sia la sua osservazione, cioè la scienza sociale), ma anche
perché il tempo (sociale) subisce oggi un’accelerazione senza precedenti2.
Sotto questo profilo, la convinzione o presupposizione più generale che
sta alla base di questo volume è che dobbiamo fare i conti con la transizio-
ne dalla società moderna, caratterizzata dall’industrialesimo e dallo stato-
nazione, alla società dopo-moderna, caratterizzata da tendenze di tutt’altro
segno, che vanno ben oltre l’assetto postindustriale e anche postmoderno,
perché operano all’insegna di nette discontinuità con il passato – anche con
la modernità – essendo aperte a inediti processi di globalizzazione e di diffe-
renziazione sociale.
«Pensare la società» oggi significa elaborare una conoscenza che tenga
conto di questo nuovo modo di «essere e fare relazioni sociali». Non cre-
do che il dopo-moderno significhi, come qualcuno ha sostenuto, fine della
storia e fine del progresso. Credo, invece, che significhi la fine dei miti della
modernità, anche se questi ultimi sono duri a morire. Significa l’aprirsi di
nuovi scenari, con le loro verità e le loro menzogne, in breve con tutte le loro
ambivalenze.
Gli scenari del futuro sono segnati dai seguenti processi.
Alla priorità della costruzione dello stato-nazione è subentrata la priorità
della costruzione della società civile all’interno di sistemi politici non più
strettamente centralizzati a livello nazionale, ma aperti ai livelli sovranazio-
nali e più articolati a livello locale. Ciò significa che, al primato della politica,

2
  Anticipo qui una spiegazione che sarà ripresa più oltre (cap. 5, par. 2). Il tempo
storico-sociale è il tempo proprio delle relazioni, che nascono, hanno un corso di vita e poi
muoiono. Questo tempo si colloca fra il tempo delle interazioni (tempo evenemenziale),
che è quello che dura solo per il tempo della comunicazione (come al telefono o alla tele-
visione) e il tempo simbolico, che è quello dei simboli che stanno fuori del tempo, perché
sono in qualche modo pensati come esistenti da sempre e per sempre (come il simbolo
dell’universo, o del padre o della madre, che non hanno un tempo delimitato, anche se
cambiano di contenuti) [Donati 1994].
34 Capitolo 1

degli apparati di controllo e di socializzazione nazionali (fra cui il welfare


state), subentra il primato dell’econo­mia, della welfare society e del sistema
delle comunicazioni.
Alla priorità dell’industria (come modello organizzativo e produttivo
tayloriano e poi fordista), subentra il primato dei servizi e dei sistemi di scam-
bio (con una pluralità di mercati) configurati a rete.
Alla progressiva riduzione di importanza della comunità (Gemeinschaft),
che ha caratterizzato la modernità, la quale ha privilegiato l’asse individuo-
stato e la cittadinanza statalistica, subentra la ricerca di nuove forme di co-
munità e di valorizzazione di nuove formazioni sociali di carattere associativo
intermedie fra l’individuo e le istituzioni politiche.
Alla progressiva frammentazione della famiglia, con la riduzione al mo-
dello nucleare ristretto, subentra la ricerca di nuove forme reticolari di fami-
glia, dentro una ripresa di importanza delle relazioni informali.
Per questi nuovi scenari, che hanno tutti un carattere accentuatamente
reticolare (cioè configurano la società come «rete di reti di relazioni»), serve
un modo nuovo di fare sociologia. Crediamo che la sociologia relazionale sia
la risposta più appropriata.

2.  DALLA POLIS ALLA RELAZIONE SOCIALE

La nozione di «società» è complessa e polivalente. Che cosa vuol dire?


Per il cosiddetto «senso comune», è complessa in quanto sembra inglo-
bare un po’ tutto: che cos’è che sfugge, che sta fuori della società? In appa-
renza nulla o ben poco. Siamo, di solito, abituati a pensare che tutto accade
«nella» società. Certo, i fenomeni della natura fisica, nella misura in cui non
sono padroneggiati dall’uomo, le sfuggono; e anche i fenomeni trascendenti,
che hanno a che fare con la religione, non trovano completa spiegazione nella
società; inoltre, abbiamo l’impressione che i fatti psichici (come i sentimenti,
le passioni, l’Io) pure sfuggano, almeno in parte, alla società. Ma, eccettuati
questi fenomeni (naturali, religiosi e psichici), tutto accade dentro la società,
e anche molti dei fenomeni anzidetti, o almeno il loro modo di manifestarsi,
cambiano a seconda del tipo di società storica in cui li osserviamo, e dun-
que non sono immuni dalla società in cui si manifestano. In altri termini, si
Saper leggere la società 35

può dire che l’idea tradizionale di «società» è una nozione complessa perché
comprende tutto ciò che riguarda l’esistenza degli esseri umani nelle loro
azioni di vita quotidiana.
Se si segue questo modo di pensare, la società viene allora intesa come

popolazione, collettività insediata (ma in qualche caso nomade) su un ter-


ritorio delimitato da cui è escluso, di forza o di diritto, l’insediamento e
il transito in massa di altre popolazioni, i cui componenti – reclutati in
maggioranza al suo interno tramite la riproduzione sessuale – condividono
da tempo una medesima cultura, sono coscienti della loro identità e con-
tinuità collettiva, ed hanno tra loro distinti rapporti economici e politici,
nonché particolari relazioni affettive, strumentali, espressive, complessi-
vamente più intensi e organici che non i rapporti e le relazioni che (even-
tualmente) hanno con altre collettività; e dotata, come espressione specia-
lizzata di codesti rapporti e relazioni, di strutture – non necessariamente
evolute fino ad assumere forma di organizzazione o di stato – parentali,
economiche, politiche, militari per mezzo delle quali la popolazione stessa
è capace di provvedere ai principali bisogni di sussistenza, produzione e
riproduzione biologica, materiale e culturale – senza che ciò implichi in
tutti i casi una completa autosufficienza o autarchia – di difesa interna
ed esterna, di controllo del comportamento individuale e associativo, di
comunicazione e distribuzione delle risorse [Gallino 1993, 596].

Questa definizione riflette il senso tradizionale di complessità appena


detto. La versione sociologica più raffinata di questa visione della comples-
sità è il concetto di «società» espresso da Talcott Parsons, secondo il quale
la società è un sistema sociale autosufficiente (cioè una popolazione su un
territorio che è capace di autosostentarsi, dandosi un ordine politico e fa-
cendo fronte alle funzioni necessarie per la sopravvivenza). Questa visione
scompare con la fine della modernità. Oggi, la società non coincide più con
lo stato-nazione, ma viene riferita ai rapporti fra gli esseri umani nelle loro
esigenze di vita, e la «complessità» deve essere intesa come un processo di
complessificazione di questi rapporti. Dire che la società è una popolazione
residente su un territorio (dai livelli locali a quelli più ampi) può risultare
fuorviante se non si riesce a distinguere in essa ciò che vi è di propriamente
sociologico da ciò che non lo è.
36 Capitolo 1

La nozione di «società» è, poi, polivalente perché ogni epoca storica l’ha


intesa a suo modo, e questi significati si sono sovrapposti e stratificati nel cor-
so dei secoli e delle tradizioni culturali. Vediamo questi significati in modo
più dettagliato.
1.  Nel pensiero premoderno, l’idea di «società», così come noi siamo
abituati a pensarla, è inizialmente assente e si afferma poco a poco. Quella
che oggi chiamiamo «società», per gli antichi è una visione del mondo
(cosmos) in cui si vive, come un tutto che comprende e sovrasta ogni
cosa. L’antica Grecia non ha il termine «società», che è – per così dire –
«implicitamente contenuto» in quello di polis (la città-stato). La polis è un
insieme di gruppi parentali (tribù, clan) i quali si danno un ordinamento
politico (una «costituzione»), cioè un regime di governo e delle regole
comuni di vita. Solo successivamente, a poco a poco, questa totalità verrà
vista come una costruzione in se stessa, distinta dalla natura. Il passaggio
più radicale, in tal senso, sarà fatto dalla modernità, che sorge precisamente
quando la società si pensa come una realtà prodotta da se stessa e non da
altro.
Il termine societas è latino, nasce con la cultura romana, e, benché alle
volte venga inteso come traduzione del concetto di «polis», presenta un’as-
soluta originalità rispetto a quest’ultimo. Infatti, societas non indica più un
tutto organico a base naturalistica, ma indica l’essere e il farsi socio (socius) di
altri, dunque il costituirsi su base in qualche modo volontaria di un raggrup-
pamento di membri (individui o meno) che desiderano perseguire, associan-
dosi, finalità irrealizzabili dai singoli.
Benché il concetto romano di «società» accentui l’elemento contrattuale
e associativo della società (sempre in senso relativo, cioè comparato con quel-
lo greco-aristotelico), a partire dalla sua cellula (la famiglia, definita come
«la più antica di tutte le società, e la sola naturale», come dirà, ancora nel
Settecento Jean-Jacques Rousseau), fino alle società intermedie a carattere
associativo (di tipo professionale, scientifico, per scopi di lucro o meno, ecc.),
è nondimeno vero che fino al Rinascimento prevale una concezione organica
e naturalistica della società.
2.  Nel Medioevo, con Tommaso d’Aquino e la Scolastica, riemerge la
visione aristotelica. Il termine «società» viene di nuovo a indicare una totalità
organica di genere proprio costituita da elementi (parti), e relazioni naturali
Saper leggere la società 37

fra di esse, aventi funzioni precise e ordinate al bene comune, in cui si realizza
il fine ultimo dell’uomo.
3.  Nel corso del Sei-Settecento, all’inizio dell’età moderna, si diffonde
una nuova visione di tipo contrattualistico della società (in nuce già presente
nella cultura romana). A partire grossomodo da Thomas Hobbes, si afferma
una visione della società come costruzione artificiale. Si suppone che gli
individui preesistano alla società e vivano in una condizione (o stato di
natura) in cui l’uomo è lupo per l’altro uomo (homo homini lupus); e si
afferma che la società nasce nel momento in cui essi si mettono d’accordo
per cedere a un terzo (lo stato) il potere di usare la forza onde stabilire
l’ordine e la sicurezza sociale.
Contemporaneamente, a partire dal Settecento, in modo indipendente e
tuttavia relazionato al nuovo clima culturale «contrattualistico», si sviluppa
la semantica della «società civile» intesa come l’insieme di coloro che sono
impegnati nelle attività economiche, come artigiani, mercanti, fabbricanti e
agricoltori, ossia come popolazione dei produttori (i borghesi, abitanti dei
«borghi», fuoriusciti dall’ordine medievale del castello-feudo), che non sono
né aristocrazia né clero (e per questo denominati, con la Rivoluzione francese
del 1789, «terzo stato», ovvero borghesia). Qui la società è intesa come mer-
cato, ossia come ambito delle relazioni di produzione, commercio e consu-
mo, che tanta importanza ha avuto nel caratterizzare l’epoca moderna come
capitalistica. A partire dal saggio sulla società civile di Adam Ferguson (del
1767) e passando attraverso autori come Henri de Saint-Simon e Auguste
Comte, il termine «società» diventa sinonimo di «industria»: nasce il concet-
to di «società industriale», perché la società è vista come (dal punto di vista
dell’)industria (per Comte, la società è fatta solo di coloro che producono;
essa esclude coloro che non producono in modo utile alla società).
Con la modernità, dunque, la società perde decisamente quel carattere
di organismo naturale che le era stato garantito dalla tradizione classica. Essa
non coincide più con il «tutto sociale», ma diventa quella specifica sfera di re-
lazioni fra individui e gruppi che operano e contrattano, che vivono di propri
rapporti sociali. Un modo particolare di autodescriversi di questa società è
quello di pensare le relazioni civili come oppositive nei confronti dell’autori-
tà e del dominio politico, sia della religione (la chiesa) sia dello stato.
Friedrich Hegel crea un’ulteriore semantica, con la quale cerca di
38 Capitolo 1

sintetizzare la concezione organica e quella contrattualistica della socie-


tà. ­Hegel, infatti, pensa la società come dialettica tra la famiglia (società
naturale = tesi) e il mercato (società artificiale = antitesi), che dà vita a
una sintesi (= lo stato etico) in cui la società ritrova, a ogni nuovo tornante
della storia, la sua unità organica. Non si tratta più di un’unità meramente
naturalistica, e neppure puramente contrattuale, bensì insieme comunita-
ria e contrattuale, avente un carattere «religioso» in quanto incarna in sé i
fini ultimi dell’uomo. Dopo Hegel, ci sarà chi tenterà di definire ancora la
società usando le metafore organiche e contrattuali in senso «puro», ma
in generale diventerà inevitabile collegarle e mescolarle in qualche modo
fra loro. Ciò non toglie che la radicalizzazione del moderno porti a vedere
sempre più il lato artificiale e contrattuale della società. Ad esempio, alcuni
sostengono che la famiglia sia un prodotto artificiale voluto dallo stato per
ragioni di controllo sociale.
Karl Marx, ad esempio, pensa la società come realtà puramente materia-
le (materialismo storico), cioè economica, ma ne vede l’evoluzione in senso
dialettico (materialismo dialettico). Secondo lui, la storia è un avvicendarsi
di lotte di classe, fra gruppi sociali definiti dal possesso o meno dei mezzi di
produzione (oltre che da altri fattori, come i livelli tecnologici, e da fattori
soggettivi, come la «coscienza di classe»): la lotta fra capitalisti e proletari
è quella per lui tipica della società moderna. Il mix sta in questo: usando
la logica dialettica hegeliana (che egli rivolge da cima a fondo in senso ma-
terialistico e non più idealistico, perché la sintesi diviene materiale anziché
ideale), Marx prevede la necessità storica di un processo rivoluzionario che
conduca la società da una condizione naturalistica primitiva a quella del
comunismo finale (detto «reale»), in cui fra gli elementi naturali e quelli
culturali verrebbe realizzata una perfetta sintesi (egli parla di una «società
finale» caratterizzata dalla piena naturalizzazione dell’uomo e dalla piena
umanizzazione della natura).
La prima modernità, quella che va grossomodo da Hobbes a Marx, è un
succedersi di «grandi narrazioni» della/sulla società: la società moderna na-
sce proprio come un modo di descriversi e di proiettarsi al di là della natura
come dato immodificabile.
Nel contempo, mentre la sociologia si adatta in qualche maniera alla
moda di pensare la società per grandi narrazioni (l’evoluzionismo di Darwin
Saper leggere la società 39

ne è spesso lo sfondo), al contempo, come disciplina scientifica, inizia anche


a de-costruire queste «grandi narrazioni». Con l’opera di Émile Durkheim,
Max Weber, Georg Simmel e Vilfredo Pareto, si inizia a usare il termine «so-
cietà» per indicare non già tutta la realtà storico-sociale, e tantomeno un’idea
di «società utopica», ma solamente un piano o livello specifico di realtà, quel-
lo che Durkheim chiama «fatto sociale», Weber e Simmel chiamano «relazio-
ne sociale» e Pareto indica come «sistema sociale».
Da allora in poi, la semantica della società si sviluppa lungo due grandi
linee direttrici.
1.  La nozione di «società» diventa sempre più complessa non già perché
inglobi tutta l’esistenza quotidiana delle persone, ma perché:
•  viene a indicare contingenza (la società è una costruzione artificiale
non più vincolata a esigenze naturalistiche o deterministiche);
•  si articola in dimensioni differenziate (la società si sviluppa attraver-
so continui processi di differenziazione al suo interno e fra il suo interno e
l’esterno);
•  si creano, a motivo di tutto ciò, sempre nuovi e ulteriori problemi di
relazionamento reciproco fra le relazioni e le parti differenziate, con crescenti
sfide di integrazione fra le varie dimensioni e componenti.
Per dirla in breve, agli occhi della sociologia odierna, la società non è
complessa per il semplice fatto di essere sinonimo di «totalità» o «globalità»
che include un’estrema complicatezza di elementi, ma: a) per il fatto di essere
realtà contingente, e perfino virtuale (fatta di relazioni virtuali), e b) per il
fatto di essere un processo che genera sempre nuove distinzioni, cosicché
la società viene specificandosi continuamente come una realtà «altra». In
breve, è complessa perché è un eccesso di possibilità che non possono essere
«ridotte» ricorrendo ai suoi «ambienti», cioè agli ambienti della relazione so-
ciale (la natura biofisica, la cultura locale, la religione). La nuova logica della
relazione sociale, aperta dalla modernità, sta proprio in questo: che, adesso,
la relazione sociale deve trovare al proprio interno le forze, le risorse, i mezzi,
le operazioni per darsi una sua stabilità o capacità evolutiva, mentre in prece-
denza la stabilizzazione avveniva in buona misura ricorrendo a fattori esterni
(prima di tutto affidandosi alla religione, poi alle tradizioni culturali, ecc.).
2.  In parallelo, si differenziano le semantiche della società, cioè i modi
di intendere ciò che «fa» («costituisce») società. Si distingue fra la società
40 Capitolo 1

«politica» e quella «economica», fra la società «locale» e quella «globale», fra


la società «della cultura» e quella «dell’informazione», fra la società «tecnica»
e la società «dell’umano», e così via.
In questo lungo processo culturale, la qualità del sociale è emersa come
realtà di genere proprio sempre più differenziato rispetto ad altri tipi di
­realtà, finché si è visto che «sociale», in senso specifico, è la relazione che
intercorre fra i soggetti in quanto agiscono riferendosi gli uni agli altri «in un
certo modo».
Il punto di arrivo odierno di questo processo individua la società non in
una «grande narrazione», sia essa quella di una grande visione ideazionale o
quella di una grande macchina (o sistema) materiale, ma più semplicemente
nel farsi delle relazioni sociali in contesti determinati, cioè nelle concrete
configurazioni (forme sociali) che le relazioni fra i soggetti-agenti vengono ad
assumere in un determinato spazio-tempo.
Nel campo delle scienze sociali, la relazione sociale assume, in un certo
senso, la stessa importanza che ha la cellula in biologia o la molecola nella
chimica. Come la cellula biologica (con il suo DNA) caratterizza gli esseri
viventi, e precisamente ogni genere, tipo e individuo vivente, così la relazione
sociale, con le sue proprietà quanto-qualitative, la sua struttura, contenuto,
articolazione, funzionamento e cambiamento, caratterizza la realtà sociale, e
precisamente ciascun genere e tipo di realtà sociale. Ad esempio, la relazione
di coppia fra un uomo e una donna è una realtà sociale perché è costituita da
una relazione diversa da ogni altro tipo di relazione. Fare coppia è un modo
di fare società.
La relazione sociale, non l’individuo o la singola azione qua talis, e nem-
meno un presupposto sistema, costituisce la cellula del tessuto sociale. Ciò
non deve però significare alcuna reificazione del concetto di «relazione socia-
le» e della realtà da esso significata. Parliamo della «relazione sociale» come
«cellu­la» del tessuto sociale in senso meramente analogico, per far compren-
dere come la relazionalità sia ciò che caratterizza (in senso forte) il genere di
realtà specifico del sociale rispetto ad altri ordini di realtà.
Saper leggere la società 41

3.  IL CONCETTO DI «RELAZIONE SOCIALE»

In via generale, per «relazione sociale» si deve intendere la «realtà im-


materiale (che sta nello spazio-tempo) dell’interuma­no», ossia ciò che sta fra
i soggetti agenti, e che – come tale – «costituisce» il loro orientarsi e agire
reciproco per distinzione da ciò che sta nei singoli attori – individuali o col-
lettivi – considerati come poli o termini della relazione. Questa «realtà fra»,
fatta insieme di elementi «oggettivi» e «sog­gettivi», è la sfera in cui vengono
definite sia la distanza sia l’integrazione degli individui che stanno in società:
dipende da questa realtà (la relazione sociale in cui il soggetto si trova) se, in
che forma, misura e qualità l’individuo può distaccarsi o coinvolgersi rispetto
agli altri soggetti più o meno prossimi, alle istituzioni e in generale rispetto
alle dinamiche della vita sociale.
Il dilemma della sociologia sta in questo: che la relazione sociale è sia
il prodotto delle concrete persone umane, sia ciò che le forgia, nel senso di
dare loro una forma interiore e di comportamento esterno. Dal punto di vista
della relazione, la persona umana è sia il generante sia il generato della società
in cui vive. Questo è il paradosso della sociologia. Si tratta del paradosso –
assai complesso – su cui si costruisce tutta la scienza sociale, la quale deve
conoscere come le relazioni sociali siano il prodotto dell’agire umano e allo
stesso tempo una realtà che, in quanto fenomeno emergente avente proprietà
e poteri propri, lo condiziona.
Ma dire che la società è relazione sociale vuol dire collocarsi da un punto
di vista che non è affatto immediato come si potrebbe pensare. Per arrivare
a «osservare» questa «realtà fra», con i suoi elementi componenti e le loro
vicissitudini, occorrono molte distinzioni e sviluppi di pensiero che si sono
prodotti solo gradualmente nella storia. Inoltre, rimane sempre aperta la
questione dei caratteri (liberi, razionali, deliberati, significanti) propriamen-
te e solamente umani della relazione sociale, per differenza con i caratteri
(istintivi, meccanici, automatici) dei rapporti sociali («naturali») esistenti fra
gli esseri viventi non umani (secondo quanto mettono in luce l’etologia e la
sociobiologia [Benton 1993]).
«Fare scienza della società» significa comprendere e spiegare perché i
soggetti sociali hanno fra loro certe relazioni e non altre, e quindi perché
42 Capitolo 1

agiscono in un certo modo anziché in altri, se, quando e per il fatto che si
rapportano gli uni agli altri secondo certe modalità.
Comprendere la società non è la stessa cosa che comprendere gli indivi-
dui (nella loro psicologia interiore) o individuare delle «leggi meccaniche»
che sovrastano gli individui. La società è una configurazione di relazioni le
quali emergono attraverso processi in cui possiamo analiticamente ed empi-
ricamente distinguere tre fasi temporali [Archer 1995]:
1.  le forme socioculturali e strutturali preesistenti all’ingresso degli indi-
vidui;
2.  le azioni dei soggetti-agenti, che si muovono in relazione fra loro con-
dizionati da queste forme;
3.  i risultati di tali interazioni, che possono riattualizzare oppure mo­
dificare le strutture socioculturali di partenza. Nel caso della riproduzione si
parla di morfostasi, nel caso di genesi di nuove forme si parla di morfogenesi.
Le categorie conoscitive attraverso cui noi comprendiamo le relazioni
sociali non possono essere meramente psicologiche (ad es., sentimentali, per
senso affettivo) o, viceversa, meccaniche (sul modello delle scienze fisiche,
ad es., i moti di attrazione e repulsione). Se la sociologia osserva, ad esempio,
la relazione di coppia uomo-donna, non può ridurla a un puro sentimento
o a una pura attrazione di istinto sessuale, ma deve vederla come un’azione
reciproca fra soggetti che è (nella forma e nei contenuti) qualcosa di più e
di diverso. Essa implica un agire reciproco dotato di senso che va oltre le
intenzioni e gli apporti dei due individui coinvolti. Nello stesso tempo, le
categorie conoscitive sociologiche attraverso cui comprendiamo la relazione
non possono essere intese come applicazioni di norme etiche a priori, come
se la società esistente di fatto (leggi in questo caso: la coppia) fosse compren-
sibile per semplice deduzione di imperativi morali posti ex ante. Neppure
possono essere solo razionali, rispetto a un valore incondizionato o rispetto a
uno scopo strumentale, perché la razionalità può essere solo una dimensione
della relazione sociale.
Il fatto è che la relazione sociale, ad esempio quella di coppia, include
tutte queste dimensioni (affettiva, istintiva, normativa), ma è più di tutto que-
sto: contiene questi elementi, ma non è la loro somma. La relazione è il «fatto
sociale emergente» di azioni reciproche che combinano elementi soggettivi e
oggettivi, interni ed esterni, nel tempo.
Saper leggere la società 43

La comprensione sociologica deve tener conto di tutte queste dimensioni.


Ma deve anche saperle combinare in modo da vedere che la realtà che emerge
è sui generis, non è spiegabile semplicemente aggregando le proprietà dei
singoli elementi. In buona sostanza, la comprensione sociologica è un atto di
conferimento di senso, come significato e come intenzionalità, che deve tro-
vare riscontro nell’oggettiva realtà dei comportamenti sociali e dei loro esiti.
Il positivismo dell’Ottocento (e fino ai nostri giorni) ha cercato di spiega-
re la società come si spiegano i fenomeni del mondo fisico naturale, quelli che
sono oggetto delle scienze «esatte», dette tali perché i fenomeni indagati sono
estremamente stabili nel tempo e rispondono a certi determinismi. Ma que-
sto è stato (ed è) un errore. La spiegazione della società deve tener conto del
fatto che, al contrario di quelli naturali, i fenomeni sociali sono contingenti.
Contingenza significa due cose:
•  che «dipendono da» certi fattori o da certe condizioni (le opportunità
strutturali);
•  e che, essendo agiti dai soggetti (con la loro libera azione o agency),
sono variabili, ossia possono anche non venire all’esistenza ovvero posso-
no esistere in un altro modo, sono sempre possibili «altrimenti». Posso-
no attualizzare delle possibilità che corrispondono alle «potenzialità» dei
soggetti agenti (secondo la relazione potenza/atto, ad es., sviluppando le
capacità di cooperazione), oppure ad altre modalità (nel qual caso, non
essendo nelle potenzialità degli agenti, vengono create delle forme ibri-
de, proprie del costruzionismo radicale; ad es., il cyborg). Nelle relazioni
sociali, infatti, si gioca la libertà dei soggetti umani, seppure condizionata
dai vincoli che le forme strutturali socioculturali preesistenti impongono.
Ecco perché «studiare la società» significa comprenderla come relazione
sociale fra soggetti che ­creano strutture e le modificano nel tempo, in pre-
senza di certi requisiti e sotto certe condizioni.

4.  OLTRE L’INDIVIDUALISMO E LE SPIEGAZIONI


IN BASE AL «TUTTO»

Chiediamoci: che cos’è un fatto (o fenomeno) sociale? Ovvero: quand’è


che un fatto è sociale? Tanti fenomeni sociali, dopo tutto, sembrano una que-
44 Capitolo 1

stione di rapporti fra individui (perfino il matrimonio sembra un affare fra i


due interessati).
Per rispondere a questa domanda bisogna andare al di là degli approcci
individualistici (che spiegano il tutto come aggregazione dei singoli elementi)
e olistici (che spiegano un elemento in base al tutto), per comprendere come
il fatto sociale sia un fenomeno intrinsecamente relazionale.
L’individualismo metodologico è quella forma di spiegazione che ricon-
duce il fatto sociale a un prodotto degli individui. L’olismo metodologico,
invece, spiega il fatto sociale come un determinismo inerente al tutto di una
struttura che condiziona le parti, e quindi anche gli individui. L’approccio
relazionale respinge entrambi questi modi di pensare. Così come respinge
anche l’idea di combinarli assieme in una forma di mix, cioè dicendo che le
relazioni non sono nient’altro che i modi in cui gli individui rispondono alle
opportunità offerte dalle strutture esistenti (esempi di questo tipo sono le
teo­rie dell’individualismo istituzionalizzato e i modelli lib/lab). Cerca, inve-
ce, un altro (differente) punto di vista, che vede il fatto sociale come «feno-
meno emergente».
Facciamo un esempio. Perché diciamo che il passaggio dalla famiglia
estesa a quella nucleare è un «fatto sociale»? Alcuni rispondono: perché un
numero crescente di individui preferisce la famiglia nucleare a quella estesa.
Altri dicono: perché ci sono dei condizionamenti (determinismi strutturali)
che vanno contro la famiglia estesa e rendono necessaria quella nucleare, a
prescindere dalle preferenze soggettive degli individui. Chi opta per il mix
dice: le relazioni familiari cambiano perché gli individui devono adattarsi
alle nuove opportunità offerte da strutture sociali che chiedono e offrono più
mobilità e più individualizzazione di un tempo. Si dice: le condizioni della
vita moderna e urbana spingono masse crescenti di individui a preferire la
forma nucleare, cosicché gli individui, scegliendo questa forma, rafforzano i
determinismi che la inducono. D’accordo, ma il fatto sociale non sta né negli
individui, né nelle strutture, né nella loro fusione. Sta, invece, nella loro rela-
zione. Infatti, molti individui sfuggono a quei determinismi. I cambiamenti
della famiglia avvengono perché gli individui, interagendo fra loro, modi-
ficano le condizioni di partenza nelle quali esistono certe forme strutturali
(ad es., le famiglie estese) e in tal modo alterano le loro stesse possibilità e
vincoli di azione nel fare famiglia, cosicché, attraverso certi processi storici, si
Saper leggere la società 45

passa dalla famiglia estesa a quella nucleare. Il passaggio dalla famiglia estesa
a quella nucleare (e poi eventualmente la frammentazione di quest’ultima)
è un fenomeno emergente dalle interazioni fra soggetti che, agendo dentro
certe opportunità e certi vincoli, modificano i pattern relazionali (le strutture
familiari e i relativi stili di vita) e così creano le condizioni attraverso cui, in
momenti successivi, altri soggetti agiranno entro le strutture generate, accet-
tandole o rifiutandole, riproducendole o modificandole ancora.
L’oggetto del contendere può essere in buona sostanza espresso con la
seguente domanda: la società è fatta di individui oppure è qualcosa che ha
una sua autonomia indipendente dagli individui? Nel primo caso, le relazioni
sociali sono concepite come emanazioni o proiezioni delle caratteristiche in-
dividuali (in particolare, delle loro preferenze, opzioni, scelte di valore, ecc.).
Nel secondo caso, alle relazioni viene attribuita una realtà in sé: per gli olisti,
tale realtà è fatta di strutture che si impongono agli individui, invece per la
sociologia relazionale si tratta di una realtà che ha le sue proprietà e i suoi
poteri, ma solo in quanto è agita ed emerge dalle interazioni fra gli individui.
•  Gli individualisti ritengono che la società (e tutte le entità collettive)
non abbia alcuna «realtà». A loro avviso, tutte le entità dette «sociali» (fami-
glia, stato, popolo, capitalismo, struttura sociale, fisco, classe sociale, sistema
economico) sono solo etichette, nomi, rappresentazioni mentali. «Solo gli
individui esistono». Con ciò, essi trasformano il confronto da strettamente
storico-sociologico e metodologico in confronto anche filosofico (ontolo-
gico) e poi dichiaratamente politico. Sul piano filosofico, sostengono che i
concetti universali sono pure astrazioni, e che solo i concreti individui singoli
sono dotati di realtà propria. Sul piano politico sostengono il liberalismo. A
loro avviso, l’indivi­dualismo metodologico implica una posizione filosofica
nominalista su tutta la conoscenza sociale. Di qui la facile critica per cui l’in-
dividuo dell’individualismo metodologico è ipo o sottosocializzato.
•  Gli olisti, al contrario, ritengono che esista un ordine di realtà che, se
non è preso in considerazione, rende incomprensibile e inagibile il compor-
tamento individuale. La sociologia classica sostiene che la società è una realtà
sui generis che pone vincoli esterni e coercitivi sugli individui. Sono gli indi-
vidui che agiscono, certamente, ma essi non possono mai farlo in maniera «li-
bera» così come gli individualisti metodologici sostengono. I fenomeni socia-
li non sono spiegabili con le sole azioni di individui, ma implicano realtà pre e
46 Capitolo 1

metaindividuali, in particolare credenze, valori e norme di condotta che, nel


corso della storia, hanno acquisito forza propria. La sociologia moderna ha,
per l’appunto, indagato in lungo e in largo questa realtà, dimostrando che i
presupposti dell’indi­vidualismo metodologico non reggono. L’esistenza di
entità sociali non-individuali è qualcosa che, in sociologia, è stato dimostrato
su basi empiriche da una quantità tale di studiosi, e con risultati talmente
evidenti, che non è certo possibile qui neppure tentare di citarli. Basterebbe
solo ricordare la messa in evidenza degli «effetti strutturali» [Blau 1960],
per capire che gli individui agiscono spesso in un contesto sociale verso cui
sono critici, ma che è per essi reale e li spinge ad agire in un certo modo al di
là delle loro stesse motivazioni interiori, sentimenti e ragioni: ad esempio, in
una sala operatoria alcuni medici usano dire parolacce e gli altri si adeguano
anche se non lo ritengono un comportamento corretto a causa del contesto
particolarmente stressante.
Gli olisti sbagliano nell’enfatizzare il ruolo delle strutture sociali e della
cultura nel condizionare i comportamenti individuali e nello spiegare/com-
prendere i fenomeni sociali. Alla fine, l’individuo dell’olismo è iper o sovra-
socializzato. L’idea che l’individuo sia governato da forze riconducibili a una
«coscienza collettiva» alla quale non si può sottrarre (ad es., nei comporta-
menti di moda), concede troppo al carattere macrostrutturale e impersonale
di ciò che vincola gli individui.
Dal punto di vista delle implicazioni etico-politiche, la posizione e il
messaggio della sociologia classica sono chiari: la libertà sociale è una co-
struzione culturale che deve rispondere a «vincoli» materiali e/o normativi,
non può essere intesa come pura creatività o esplosione degli individualismi.
In conclusione: il dibattito fra individualisti e olisti non è ancora riuscito a
dire come le libertà individuali e le costrizioni esterne (culturali e struttu-
rali) si concilino fra loro. Una via di uscita da questa contrapposizione sta
nel vedere come l’agire degli individui sia comunque un prodotto della loro
«conversazione interiore», che ha sempre un carattere riflessivo, anche se,
empiricamente, l’azione può aderire ai condizionamenti esterni.
La posizione della sociologia relazionale non sta né dalla parte degli indi-
vidualisti né dalla parte degli olisti. La ragione sta nel fatto che essa si oppone
sia alle visioni iposocializzate sia alle visioni ipersocializzate della persona
umana. Essa afferma che esiste un ordine di realtà, quella sociologica, che la
Saper leggere la società 47

conoscenza, classica o moderna che sia, non ha ancora compreso. La società


non è né un corpo organico, né una somma di individui. Essa è invece una
configurazione relazionale che va al di là della semplice somma di individui
e non arriva mai a essere un corpo organico. Il che significa che non esauri-
sce mai le sue possibilità.
In altri termini: il sociale è qualcosa che esiste già quando gli individui
nascono ed entrano in esso, ma gli individui hanno una loro autonomia
nell’esplorarlo, nel farlo proprio, nello scegliere passo per passo chi essere e
chi diventare, nell’appartenere a un Noi (il senso del We), e nell’occupare ed
espletare dei ruoli. Attraverso questi processi, gli individui cambiano la so-
cietà che essi stessi contribuiscono a fare. Ma lo fanno, appunto, in interazio-
ne costante con una realtà diversa da quella interiore, soggettiva, puramente
individuale.
In ogni caso, i termini del confronto odierno fra individualismo e collet-
tivismo metodologico non possono più essere quelli del passato. Le afferma-
zioni «tolto l’indivi­duale, il sociale non è nulla» (Tarde) oppure il contrario,
«tolti gli individui resta la società» (Durkheim), non ci fanno fare grandi
passi in avanti. Quel confronto appartiene ormai a una stagione «romantica».
La sociologia contemporanea non può più utilizzare la distinzione «indi-
viduo/collettivo» come un’antitesi dialettica o come un’opposizione binaria,
cioè schematismi in base ai quali ogni cosa deve per forza cadere da una parte
o dall’altra. Ciò è vero per due ordini di ragioni.
•  In primo luogo, individuo e collettivo sono realtà che non necessa-
riamente si oppongono in modo reciprocamente escludente. Gli individui
appartengono sempre a delle entità collettive, da quelle ascritte (come la
famiglia di origine o la nazione in cui si è nati) a quelle scelte (come la comu-
nità locale in cui si decide di abitare, le associazioni, i movimenti e i network
sociali a cui si aderisce).
•  In secondo luogo, perché la distinzione «individuo/collettivo» è una
relazione, e il più delle volte va declinata come relazione (non è un aut…
aut, ma un et… et), mentre diventa un’antitesi dialettica o un’opposizione
binaria solo in circostanze molto particolari.
In sostanza, i fatti sociali non sono necessariamente dovuti solo a degli
individui o solo a delle entità collettive. Normalmente, i fatti sociali sono
modi di relazionarsi fra gli individui in una realtà collettiva che presenta cer-
48 Capitolo 1

ti vincoli e certe opportunità che essi contribuiscono a modificare. Questa


prassi è il modo corrente di procedere nei mondi vitali della vita quotidiana,
nei processi decisionali con i colleghi nei luoghi di lavoro, nelle associazioni
civili e politiche. Prendiamo il caso della famiglia. L’agire (agency) di un
membro di una famiglia è di solito una relazione agli altri membri, non è
l’espressione di gusti e preferenze puramente individuali, né di costrizioni di
un’entità sovraordinata – il gruppo famiglia – che lo priva di qualsiasi libertà
nel relazionarsi agli altri. Pensiamo a fatti sociali come decidere la località di
vacanza assieme, come trascorrere le serate o le feste, la scelta di un lavoro
compatibile con le esigenze del partner e dei figli, e così via. Questi fatti
sociali sono frutto di un agire relazionale in un contesto, non sono l’esito di
antitesi o logiche binarie (sì/no), e per questo io dico che questi fatti sociali
sono (da osservare come) relazioni.
In generale, si deve osservare che, fino all’epoca moderna, e ancora a
lungo dentro la modernità, non c’è una definizione appropriata di «fatto
sociale» perché la relazione sociale viene concepita come entità implicita
(piuttosto che esplicita) e derivata (piuttosto che autonoma), e spesso solo
come mediazione, rispetto ad altre entità o variabili soggettive-individuali
o collettive-strutturali, cosicché raramente si dà una riflessione che tratti la
relazione sociale come oggetto di conoscenza a sé stante.
Due sono state e sono ancor oggi sono le principali modalità di trattare
la relazione sociale:
1.  la relazione come proiezione, riflesso o prodotto dei singoli attori,
generalmente gli individui, e delle loro azioni [Duck 1993];
2.  la relazione come espressione ed effetto di strutture sociali, di status-
ruoli, di una totalità ovvero di un sistema sociale globale [Ruddock 1969]. Nel
dibattito epistemologico, noto nella storia del pensiero come Methodenstreit, che
ancor oggi mette capo alle due grandi correnti dell’individualismo metodologico
e dell’olismo metodologico, la relazione continua ad avere un ruolo derivato
(anziché di presupposizione prima; un esempio di questa dicotomia è stato il
dibattito fra Antiseri e Pellicani [1992]). Una scienza relazionale, al contrario,
si sviluppa nella misura in cui si assume che «all’inizio c’è la relazione» e sulla
base di tale presupposto si elabora una metodologia investigativa conseguente
[Donati 2006]. In breve, l’analisi delle relazioni sociali in senso proprio implica
un terzo punto di vista, né individualista (o azionista) né sistemico (o olistico),
Saper leggere la società 49

che definisca il proprio oggetto come relazione e si focalizzi sulla relazione


come realtà e modalità propria di indagine.
Per fare un esempio, chiediamoci: che cos’è l’amicizia come fatto socia-
le? L’amicizia sgorga dalla persona umana, e solo da essa, ma non può essere
un fatto individuale. Non si può essere amici in quanto individui. L’amicizia
è il riconoscimento di qualcosa che non appartiene a nessuno dei due sog-
getti pur essendo di entrambi. Essa è, come la società, di tutti quelli che le
appartengono e di nessuno in particolare. Per essere amici bisogna essere
almeno in due e condividere e scambiare qualcosa. A prescindere da quel
«qualcosa» (che implica un’intersoggettività ma anche modi non-individuali
di riconoscimento), è la condivisione (la relazione, o azione reciproca) che dà
senso e forma e contenuto all’amicizia. E la condivisione non può essere certo
un fatto spiegabile in termini di individui, anche se, d’altra parte, non è certo
una realtà collettiva a sé, non è imposta da nessuna autorità impersonale.
Nessuno dei due soggetti può viverla come qualcosa di imposto e di esterno.
Entrambi hanno creato una relazione che, pur dipendendo da loro, ha delle
premesse che non dipendono da loro e implica cose che vanno al di là delle
loro individualità. Essa implica un «dividere assieme» che chiama in gioco
molto di più delle due individualità.
Seguendo questa idea, possiamo dire che né le teorie sistemiche (oli-
stiche), né le teorie azionistiche (individualistiche), né i loro mix, possono
fornire una «comprensione adeguata» del cambiamento sociale. Esse offrono
visioni parziali della storia che restano insufficienti in quanto poggiano su
una comune carenza: l’idea che la relazione sociale sia un residuo (un effetto)
di «altre» variabili in gioco.
Ma bisogna evitare anche un altro errore: il relazionismo. Esso consiste
nel fondere assieme su un piano orizzontale (senza che si possa distinguere
chi viene prima e chi dopo nel tempo) l’azione (agency) e la struttura sociale,
cioè nel definire l’una come prodotto contemporaneo dell’altra. Un buon
esempio è la teoria di Anthony Giddens [1992], e in particolare la sua defi-
nizione di «relazione pura», che sta a indicare l’essere, lo stare, nella relazio-
ne per un puro atto di volontà reciproca, che è anche un condizionamento
reciproco di segno ugualitario e simmetrico, finché dura come tale. Che le
relazioni sessuali e di coppia non siano così «leggere», ma implichino dei
precisi legami, è stato mostrato da tempo [Scanzoni et al. 1988].
50 Capitolo 1

I relazionisti vedono la relazione come un fondersi dei termini che col-


lega o come una transazione che «va e viene» fra gli attori. In questo modo,
incorrono in una visione relativista e pragmatica che vede la relazione come
un determinismo fine a se stesso. Per comprendere il cambiamento sociale
occorre una teoria che sia adeguata al carattere relazionale della realtà so-
ciale, come realtà sui generis «fatta di» (non «fatta da») relazioni sociali che
hanno una loro dinamica e un loro tempo («storico-sociale»). La realtà della
relazione è di ordine diverso (è uno «strato» diverso) rispetto alla realtà de-
gli individui e a quella delle strutture sociali e culturali.
2
La relazione sociale come oggetto di conoscenza 51

CAPITOLO

La relazione sociale
come oggetto di conoscenza

Se è vero che tutti i sociologi parlano di relazioni, pochi hanno ela-


borato una teoria propriamente relazionale della società. Nel mondo
premoderno prevale una visione naturalistica delle relazioni, che sono
in qualche modo date per scontate (ascritte). La modernità esalta le re-
lazioni come costruzioni sociali (acquisitive) e nello stesso tempo im-
munizza gli individui dalle stesse relazioni. Nel mondo dopo-moderno
emerge una semantica relazionale, in cui le identità sociali si generano
e si rigenerano attraverso la relazione ad altro da sé.

1.  «FARE SCIENZA» VUOL DIRE CONOSCERE RELAZIONI E


ATTRAVERSO RELAZIONI

Per quanto la nozione di «relazione sociale» sia in qualche modo pre-


sente nel pensiero filosofico e sociale fin dall’antichità, è senz’altro corretto
affermare che essa diventa oggetto di indagine scientifica solo con l’epoca
moderna.
La conoscenza inizia nel momento in cui la relazione sociale non è più
vista come qualcosa di «dato», per natura o per costrizione necessitante di
qualche tipo, ma come qualcosa di storicamente costruito e variabile.
Anche quando questo punto di vista viene adottato, il concetto di «re-
lazione sociale», a dispetto della sua apparente semplicità, rimane uno dei
concetti più complessi e insondabili. Sfugge soprattutto il senso e il modo in
52 Capitolo 2

cui la relazione connette gli elementi di carattere organico (vitale) con quelli
artificialmente costruiti, non potendo mai eliminare completamente né gli
uni né gli altri. Si può affermare che la dottrina delle relazioni sociali elabo-
rata fino a oggi rappresenta solo il «vestibolo del sacrario», nel senso che,
ancor oggi, restano da fare passi decisivi per entrare nel nocciolo costitutivo
delle relazioni sociali e quindi per risalire ai nessi sociali, sia quelli più intimi
e ristretti sia quelli più anonimi e globali.
Il fatto è che la relazione sociale è stata spesso studiata come conseguen-
za, come «applicazione» e come mediazione di altre categorie conoscitive
piuttosto che come realtà in sé. Di solito, essa diventa un tema specifico di
conoscenza e investigazione solo in momenti particolarmente critici, cioè
allorquando i processi di differenziazione sociale e la percezione delle di-
stanze fra individuo e società vengono sentiti come altamente problematici.
Solo allora l’osservatore si dispone a considerare la relazione sociale come
prodotto concreto e determinato di una società che tematizza se stessa come
problema (di relazionamento).

2.  LA RELAZIONE SOCIALE NEL PENSIERO CLASSICO


E MODERNO

Nel pensiero greco classico, non essendovi il concetto specifico di «so-


ciale» (assorbito in quello di «politico»), è improprio parlare di «relazione
sociale». In Aristotele la categoria filosofica di «relazione» (pros ti, Cat.,
7, 6a) è una locuzione avverbiale che sta a significare «in rapporto a» ciò
che ha realtà sostanziale. Ha un sapore basicamente spaziale: ad esempio,
individuo una relazione fra il mio computer e il tavolo se dico che il primo
è appoggiato sul secondo. È il quarto predicamento (dopo la sostanza, la
quantità e la qualità) ed è una nozione prima (categoria logica a priori) che
non ammette definizione. Tuttavia, contrariamente agli scettici, egli ritie-
ne che la relazione non indichi solo un’entità di ragione, ma abbia una sua
realtà, anche se derivata (dipendente dalle realtà che hanno «sostanza»).
Nella filosofia aristotelica, quando la relazione sociale è fatta oggetto di os-
servazione empirica, come nelle relazioni familiari o della polis, assume un
carattere di realtà naturalistica che esprime un «essere ad altro». Si assume
La relazione sociale come oggetto di conoscenza 53

che l’uomo sia «animale politico» per natura, cioè che non possa realizzarsi
se non nelle relazioni con gli altri (e invero nel bene comune della città), ma
le modalità relazionali sono viste come derivate dalla sua natura sostanziale
(l’uomo è portato «naturalmente» a fare famiglia, a vivere nella polis, ecc.).
In generale, si suppone che le relazioni sociali derivino dalla natura stessa
degli esseri viventi (anche se, come alcuni hanno notato, Aristotele avverte
su questo punto delle difficoltà, in quanto si rende conto che la categoria
della «relazione», pur non essendo equiparabile a quella di sostanza, non è
tuttavia di secondaria importanza, in quanto non c’è scienza senza relazione
[Actis Perinetti 1959, 65-69; Mathieu 1967]).
Il fatto è che Aristotele non possiede la nozione di «effetto emergente»
e quindi non può chiarire la natura della relazione. Facciamo un esempio.
È noto che l’acqua (H2O) è un effetto emergente da una combinazione di
idrogeno (H) e ossigeno (O) sotto particolari condizioni fisiche (di tempe-
ratura, pressione, ecc.). La relazione fra idrogeno e ossigeno nella molecola
dell’acqua non è un mero rapporto spaziale (di maggior vicinanza), ma è
un legame sostanziale per l’acqua. Senza quella relazione l’acqua non esiste-
rebbe. Diverso è il caso per la persona umana, che preesiste alla relazione
sociale. E, tuttavia, nel caso del soggetto umano la relazione non è solo una
questione di posizionamento spaziale: non dice semplicemente che Tizio è
più o meno vicino o lontano rispetto a Caio, bensì che la relazione tra Tizio
e Caio li «conforma», dà loro una certa identità e forma, che non esistereb-
bero senza quella relazione.
Neppure la cultura romana possiede un concetto specifico di «relazione
sociale», per quanto essa offra la radice etimologica di relatio (da referre),
la quale indica il riferimento di un ente o di un oggetto in genere a un altro
secondo un determinato modo, che può essere proprio delle cose stesse tra
loro oppure posto dalla mente fra le cose. Del resto, il diritto romano non
conosce neppure il concetto di «relazione giuridica» la quale, intesa come
«relazione da persona a persona, determinata da una regola giuridica», com-
pare con la pandettistica, una corrente giuridica affermatasi in Germania nel
XIX secolo che perseguiva la costruzione di un sistema concettuale capace
di dare una sistemazione generale agli istituti di diritto privato; essa era mo-
dellata sugli istituti del diritto romano, dei quali ricercò le fonti originarie
nel Digesto o Pandette che è la parte più cospicua del Corpus Iuris Civilis di
54 Capitolo 2

Giustiniano (533), purgandole dagli adattamenti compiuti dai suoi compi-


latori.
È a cavallo fra il XII e il XIII secolo, nel quadro di quel complesso
mutamento sociale che segna gli albori dell’epoca moderna, che inizia a svi-
lupparsi una «dottrina delle relazioni», specialmente per opera di Tommaso
d’Aquino [Krempel 1952] e Duns Scoto [Miralbell 1994]. L’interesse per
il concetto di «relazione» è ancora prevalentemente metafisico (la «rela-
zione» viene pensata come categoria astratta), a partire dalla teologia (se-
gnatamente cristiana, per la quale Dio è uno e trinitario, consistente in tre
persone uguali e distinte, che sono relazioni ipostatiche, cioè sostanziali o
sussistenti in sé). Ma si nota un forte spostamento nell’uso della relazione
come strumento di conoscenza e come oggetto di conoscenza in sé, che pre-
lude agli sviluppi in senso gnoseologico che saranno propri della modernità
[Horstmann 1984], la quale la studierà sia come categoria logico-formale sia
come categoria empirica.
A seguito del dibattito interno alla filosofia scolastica, il concetto di «re-
lazione» diventa quello di un ens sui generis [Krempel 1959, 89]: se il mon-
do (cosmos) esiste indipendentemente dal nostro pensiero, tale ordine è una
relazione, o meglio un complesso di relazioni che sono esse stesse rea­li se
rea­le è l’ordine. Alcuni sostengono che la relazione (predicamentale) com-
porta bensì una realtà, ma solo accidentale, distinta dalla realtà dei soggetti
che, in quanto sono termini della relazione, ne sono il fondamento sostan-
ziale (Tommaso d’Aqui­no, Duns Scoto). Altri ritengono invece di identifica-
re la relazione con il fondamento, o addirittura con il fondamento e i termini
della relazione stessa (sono questi i seguaci della scuola di Francisco Suárez,
Disp. Met., d. 47, s. 2). L’assioma fondamentale che deriva da questo dibat-
tito è che la distinzione reale dei termini sta nel riferimento dell’uno all’altro,
laddove il riferimento crea un legame, e non sta nella negazione di un termine
da parte dell’altro (come dirà poi Luhmann). Nelle parole di Gregory Ba-
teson [1972; trad. it. 1984, 21], «infrangete la struttura che connette gli ele-
menti di ciò che si apprende e distruggerete necessariamente ogni qualità».
Da allora in poi, il concetto di «relazione» viene sempre più applicato
alla sfera del pensiero sociale e politico, dando origine a quell’indagine sul-
la relazione come costitutivo del sociale che avrà le sue prime espressioni
nell’empirismo inglese e nel­l’idealismo tedesco del XVIII e XIX secolo, cioè
La relazione sociale come oggetto di conoscenza 55

nelle due tradizioni (anglosassone ed europeo-continentale) che caratteriz-


zano la moderna idea di «società civile».
Nella filosofia moderna, comunque, troviamo di nuovo diversi modi
di intendere la relazione. C’è chi nega la realtà della relazione (come David
Hume, che la riconduce a forme del sentire, come la simpatia). C’è chi la
considera come una forma soggettiva a priori secondo la quale l’intelletto
necessariamente giudica (Immanuel Kant la considera una delle quattro ca-
tegorie fondamentali, che comprende sotto di sé quelle della sostanzialità,
della causalità e della reciprocità; Critica della ragion pura, II, 1). C’è chi la
sostanzializza, da un lato con l’idealismo assoluto (hegeliano), per il quale la
relazione è la realtà in quanto sintesi del processo dialettico (è sintesi a priori
fuori della quale i termini della relazione sono pure astrazioni), e dall’altro
con le varie forme di materialismo (soprattutto marxiano, per il quale la
relazione è un rapporto-sostanza materiale).
Nel campo delle scienze sociali in senso stretto, una specifica «dottrina
delle relazioni sociali» fiorisce a cavallo tra la fine dell’Ottocento e i primi
decenni del Novecento. Contributi fondamentali provengono dalle scuo-
le inglesi (seguaci di John Locke e David Hume fino a Herbert Spencer),
francesi (Gabriel Tarde, Durkheim e loro seguaci) e nordamericane (in par-
ticolare Edward A. Ross e la Scuola di Chicago, nonché le varie correnti del
pragmatismo, da Charle S. Peirce a George H. Mead). Ma è soprattutto in
Germania (con Simmel, Weber, Leopold von Wiese, Martin Buber e la fe-
nomenologia di Edmund Husserl) che viene compiuta quella che può essere
chiamata la «svolta relazionale» nelle scienze sociali [Donati 1991, cap. 1].
«Svolta relazionale» significa passaggio da un «pensiero entitativo» (ir-
relato), che ragiona e osserva «per entità», volendo conoscere ciò che esiste
in sé e per sé, a un «pensiero relazionale» che conosce i diversi aspetti e strati
della realtà distinguendoli riflessivamente «per relazioni»: ciò che esiste, per
la sociologia, esiste in relazione a qualcos’altro ed è in questa relazione che
si specifica ed evolve. La conoscenza della realtà sociale implica l’uso di uno
strumento ad hoc, che chiamiamo un «sistema relazionale di osservazione».
La prospettiva secondo cui «la relazione è la categoria fondamentale del
pensiero sociale» [Vierkandt 1915], accompagnata dall’idea secondo cui
«la nostra realtà va lontana tanto quanto le nostre relazioni» [Plenge 1930],
indica l’apertura di nuovi orizzonti che non potranno più essere richiusi per
56 Capitolo 2

il futuro delle scienze sociali intese a largo spettro, specialmente ove si con-
sideri l’esplosione della realtà (società) virtuale rispetto alla realtà (società)
esistente (o potenziale rispetto a quella data).

3.  IDENTITÀ E RELAZIONE

L’importanza che il concetto di «relazione» viene ad assumere oggi la


si può cogliere in tutta la sua portata qualora si consideri la sua importanza
agli effetti di definire l’identità dei soggetti e oggetti sociali all’interno dei tre
grandi codici simbolici che hanno guidato il processo storico in Occidente
(le tre semantiche classiche, moderne e postmoderne sintetizzate nella tab.
2.1).
1. Nel pensiero classico, l’identità è intesa come sostanza, e dunque
come una realtà che non ha bisogno di relazionarsi ad altro da sé. Vale qui
il principio di non contraddizione [A = A], il quale stabilisce una sorta di
«equazione immediata» (l’identità di ogni cosa è in-mediata, cioè esiste
senza mediazioni). Per quanto l’identità possa essere differenziata, ed
essere anche intesa come unitas multiplex, tuttavia essa rimane gerarchica,
orientata «all’uno», e perciò tendenzialmente monistica. Non viene
articolata relazionalmente. La relazione, per contro, è una manifestazione
dell’identità sostanziale del subjectum che sottostà alla relazione. La relazione
è una conseguenza. Il pensiero sociale è, dunque, strettamente finalistico e
tendenzialmente monistico. Per fare degli esempi di come si ragiona in questo
codice: l’identità di una persona esiste in sé (nell’Io della persona) ed è sempre
la stessa qualunque siano le relazioni che attua o nelle quali vive (le relazioni
non possono mutare l’identità); la definizione di «società civile» coincide con
quella della «polis» (ovvero coincide con lo «stato»), perché non c’è civile
fuori dallo stato; il concetto di «benessere» è univocamente determinato da

TAB. 2.1.  Il posto della relazione nelle semantiche dell’identità


Semantica classica Semantica moderna Semantica dopo-moderna
monistica dualistica relazionale
A=A A = non (non-A) A = r (A, non-A)
La relazione sociale come oggetto di conoscenza 57

certi indicatori che identificano la «vita buona» in senso ontologico (assoluto),


a prescindere dalle concrete relazioni sociali.
2.  Nel pensiero moderno, l’identità è definita processualmente e il
processo di acquisizione dell’identità si caratterizza attraverso la negazione:
A è definito come la negazione di tutto ciò che non è A [A = non (non-A)].
Ego è il non-Alter. In questo codice l’identità si stabilisce come negazione del
proprio opposto o del diverso, o comunque di ciò che è esterno a se stesso
(cioè il non-A). L’unità è dialettica o comunque binaria: si stabilisce come
l’unità di un’antitesi o di una differenza (ad es., della differenza sistema/
ambiente), e in qualche modo viene ad avere fondamento in una negazione.
Per questo, mentre il codice classico è monistico, qui il pensiero è dualistico.
La relazione è bensì esplicitata, ma solo per essere ridotta a una negazione (di
qui un certo «nichilismo» implicito nel moderno). L’iden­tità di ogni entità si
stabilisce per relazione, ma concependo tale relazione come negazione di ciò
che l’entità di riferimento non è. Per fare esempi paralleli a quelli del punto
precedente: l’identità di una persona consiste nella (si evince dalla) negazione
dell’identità degli altri; l’identità della società civile sta in tutto ciò che non
si identifica con lo stato, ovvero nel fatto stesso di fondarsi su una negazione
dello stato; il benessere è l’opposto (negativo) del malessere (il benessere si
ottiene negando o cancellando la sua antitesi, cioè il malessere).
3.  Nel pensiero dopo-moderno, l’identità è definita attraverso e con
la relazione, ma non per negazione dialettica, bensì per relazionamento a
un’alterità. L’identità di A è la relazione che intercorre fra A e ciò che A
non è (l’altro da A) [A = r (A, non-A)]. Siamo, dunque, in una semantica
di articolazione relazionale, ovvero di integrazione-differenziazione, o, se si
preferisce, di appartenenza-distinzione. In questo codice, A è in relazione a
se stesso attraverso le mediazioni che ha nel relazionarsi con il non-A: niente
è in-mediatamente identico a se stesso (si riscopre il fatto che, perfino Dio,
nella semantica religiosa, si conosce e si ama relazionalmente, cioè ama se
stesso attraverso la propria differenziazione interna). L’identità come relazione
implica che A si definisca attraverso una distanza con se stesso (spazio e
presenza dell’altro), il che significa che esiste contingenza nell’unità stessa
dell’identità, la quale viene pertanto a essere costruita in modo complesso,
attraverso la sua propria complessità interna sollecitata e favorita da ciò che
è altro da sé (unitas complex). Siamo alla semantica relazionale. Per stare agli
58 Capitolo 2

esempi di cui si è già detto: l’identità di una persona sta nel distinguersi nel
riferimento agli altri (diversi da sé), cioè nel vedere la differenza, ma anche
il fatto che la differenza si stabilisce attraverso un riferimento reciproco
che, al di là della negazione logica, richiede riconoscimento e scambio (ad
es., mi sento – mi definisco come – italiano quando mi riferisco ad altri che
non sono italiani; è un’esperienza che si prova in modo naturale quando si
va all’estero; ciò non significa, però, che l’essere italiano non abbia nulla
in comune con le altre nazionalità, ossia la relazione italiano/non-italiano
stabilisce una differenza aperta a possibili scambi, anche di cose comuni, e
quindi non è necessariamente stabilita sulla negazione di tutto ciò che non è
italiano; nello stesso modo, l’umano trova la sua identità solo quando viene
confrontato con il non-umano, ma ciò non significa che non ci possano
essere scambi, attraversamenti, e anche relazioni tra realtà comuni fra un
dominio e l’altro); l’identità della società civile si definisce come alterità
rispetto allo stato – società civile è ciò che è altro dallo stato o dal sistema
politico-amministrativo –, ma tale relazione, se dice distanza, non indica
necessariamente una contrapposizione antagonistica o altra forma di
negazione; il benessere è definito in relazione al malessere, è una relazione
fra due condizioni che si distinguono per riferimento l’una all’altra, l’una
esiste in relazione all’altra, non necessariamente come antitesi, ma al limite
anche come sinergia reciproca, e secondo una molteplicità di dimensioni.
Notiamo che, attraverso il dispiegarsi di queste tre semantiche, si fa
strada una sorta di «emancipazione» del concetto di «relazione» e del suo
ruolo nell’indagine conoscitiva. Sotto un certo aspetto, è nella sociologia che
si compie a poco a poco quella rivoluzione epistemologica («relazionale»)
che porta a rivedere i quadri conoscitivi in modo tale che le identità (dei
concetti, dei soggetti, delle azioni, e così via) siano sempre più definite «re-
lazionalmente».
L’emanciparsi del concetto di «relazione», e la valorizzazione del suo
ruolo sia nella dinamica sociale sia nella scienza, si può osservare nel fatto
che la relazione, anziché essere vista solo come conseguenza dell’identità, sia
invece considerata come costitutiva di quest’ultima. Laddove l’identità si
costituisce non già per negazione di tutto ciò che essa non è (come nei codici
della dialettica hegeliana, o nel codice cibernetico binario), ma attraverso il
relazionamento a un’alterità.
La relazione sociale come oggetto di conoscenza 59

La differenza tra il pensiero sociale tradizionale e quello moderno, e


poi quello contemporaneo (o dopo-moderno), sta principalmente nel fatto
che il primo vede la relazione sociale in una cornice filosofica (di tipo on-
tologico) nella quale la relazione viene trattata come categoria secondaria e
subordinata (rispetto al concetto di «sostanza», che designa ciò che è in se
stesso), mentre il secondo considera la relazione sociale come una categoria
fondamentale (e perfino fondante) della realtà sociale, entro una cornice
epistemologica volta a comprendere e spiegare come la società venga di fat-
to prodotta, in contesti e situazioni determinate, «attraverso relazioni». In
tal modo, la relazione sociale assume il carattere di un’entità storica che,
mentre si dispiega nella contingenza, mostra una consistenza e una dinamica
proprie, non meramente derivate da altre entità (facenti capo a individui,
gruppi o strutture sociali).
Se si radicalizza questa prospettiva in maniera tale che la relazione, da
«chiave» espressiva dei termini che collega, e da «via» attraverso cui esplo-
rarli, diventi la categoria che li assorbe e li annulla, allora si incorre nel
relazionismo. Quest’ultimo può essere definito come una riduzione della
relazione a mero vissuto e processo, secondo approcci più moderati o più
radicali. Un esempio di relazionismo psicologico è offerto da quegli autori
per i quali il sociale è sinonimo di «vissuto esperienziale» interno al soggetto
(ad es., in buona misura, l’approccio fenomenologico di Enzo Pace [1954;
1957; 1965-1966]). Esempi di relazionismo che riducono la realtà sociale a
meri processi, senza distinguere gli apporti dei singoli e quelli delle relazioni
come fenomeni emergenti, sono – ad esempio – le posizioni epistemologiche
relativistiche e nominalistiche per le quali la realtà sociale è una pura con-
venzione nominale [Winch 1967], la cosiddetta «estetica del cambiamento»
[Keeney 1983] e la «pragmatica relazionale» [Emirbayer 1997], che vedono
la relazione sociale all’interno di una «filosofia della prassi» assai lontana
dalla sociologia relazionale che è invece basata sul realismo critico1. Le so-
ciologie relazioniste sono caratterizzate dal fatto di vedere la realtà sociale

1
  La sociologia relazionale basata sul realismo critico si avvale di argomenti teorici
ed empirici documentati da numerose ricerche sul campo: cfr. Donati e Terenzi [2005]
e Terenzi [2012].
60 Capitolo 2

come uno svolgimento circolare e indefinito nel tempo della relazione so-
ciale come fine a se stessa (la relazione sociale diventa il fine ultimo o escha-
ton dei processi, essendo essa stessa mera processualità), mentre secondo la
nostra sociologia relazionale – che segue il realismo critico –, quando si dice
che la realtà sociale è «relativa» si intende dire che essa esiste «in relazione
a»; ossia, si sottolinea che il carattere «relativo» di un fenomeno sociale in-
dica una «relazione fra» entità, laddove la relazione ha una sua struttura,
funzioni, articolazioni, ossia è unità delle distinzioni e non già arbitrarietà o
mera processualità situazionale.
3
L’emergere della relazione sociale come tema e problema nel mondo moderno 61

CAPITOLO

L’emergere della relazione sociale


come tema e problema
nel mondo moderno

Nel capitolo si spiega perché e in che modo il tema della relazione


emerga come problema della società moderna. Questa società si ca-
ratterizza per un processo di differenziazione sociale che in continua-
zione genera, distrugge, riorganizza le relazioni sociali. Secondo al-
cuni, le relazioni diventano sempre più funzionali e autoreferenziali,
ma è anche vero che proprio la crisi di quelle relazioni fa emergere il
bisogno di relazioni sovrafunzionali ed eteroreferenziali.

1.  LE SCOPERTE MODERNE SULLA RELAZIONE SOCIALE

Il concetto di «relazione sociale» emerge e si sviluppa di pari passo con


il differenziarsi della società e delle sue varie sfere, con i rispettivi codici sim-
bolici. Senza una teoria della relazione sociale non è possibile comprendere
il passaggio dalla società tradizionale a quella moderna, e ancor meno è pos-
sibile comprendere il passaggio dal moderno al postmoderno (esasperazione
della modernità nel relazionismo) e al dopo-moderno (che cerca un’uscita
dal relazionismo).
La prima «scoperta» che la modernità ha fatto in merito alla relazione
sociale può essere apprezzata a partire dalla seguente considerazione. Ogni
operazione di distinzione (ad es., quella fra «soggetto» e «oggetto», fra res
cogitans e res extensa) comporta (crea) il problema del relazionamento (ossia
di nuove relazioni) fra i termini distinti (distanziati). E siccome la conoscenza
62 Capitolo 3

è – per definizione – un’incessante attività di distinzioni, si può dire che la


conoscenza (della realtà sociale) è un’incessante creazione di relazioni (in-
cluse le relazioni di relazioni, che nascono dall’introdurre distinzioni nelle
distinzioni).
Quando le scienze sociali, rimaste a lungo astratte perché avulse dalle
pratiche sociali, assumono il punto di vista secondo cui le operazioni di di-
stinzione sono sempre socialmente prodotte e quindi socialmente mediate (dai
soggetti che sono portatori di una cultura e di un modo di vita) possiamo dire
che nasce il concetto «moderno» di «relazione sociale» in senso «stretto». Il
quale si sviluppa seguendo la propria distinzione direttrice: è moderno tutto
ciò che abbandona il tradizionale (identificato nel premoderno) o si oppone
all’antimoderno.
Distinguere fra «moderno» e «non-moderno» significa, di fatto, instau-
rare una relazione sociale fra l’uno e l’altro, in una maniera tale che il mo-
derno espunge dai propri riferimenti simbolici e dalle proprie connessioni
tutto ciò che non è moderno, con cui però rimane in relazione, e genera un
altro ordine (supposto «più moderno» del precedente). Generalizzando:
ogni distinzione è una relazione sociale e ogni relazione sociale esiste e tende
a evolvere sulla base della propria costitutiva distinzione specifica. In caso
contrario, diventa un’altra cosa (diventa un altro genere di relazione).
Per la modernità, nelle relazioni intersoggettive e generalizzate la relazio-
ne sociale è, in primis, la referenza di un soggetto a un altro soggetto mediata
dalla società (ovvero dalla cultura, stili di vita, interessi e identità) a cui i sog-
getti in relazione appartengono. Poiché è la società che offre ciò che è neces-
sario per operare la mediazione (valori, simboli, regole, risorse strumentali),
la relazione può assumere modalità assai variabili.
Ma la relazione sociale è più di una referenza, simbolica e intenziona-
le: essa implica anche uno «scambiare qualcosa», un’azione reciproca in cui
qualcosa passa da Ego ad Alter e viceversa, il che genera un qualche legame
reciproco.
Si colloca qui l’idea che lo scambio (al limite anche solo comunicati-
vo) sia il nucleo generatore e il motore propulsivo delle relazioni sociali. La
prospettiva è accettabile a patto di non ridurre lo scambio a mera categoria
economica, tantomeno di puro mercato, dato che lo scambio ha invece una
struttura interna complessa e articolata in varie dimensioni, irriducibili fra
L’emergere della relazione sociale come tema e problema nel mondo moderno 63

loro, quali i valori, le norme, le finalità e i mezzi che utilizza. Le relazioni viste
come scambi possono configurarsi in tutti i modi in cui è possibile realizzare
il passaggio di qualcosa fra i poli o soggetti della relazione. Questo passaggio
(o scambio) crea una nuova entità o situazione che ha i caratteri della relazio-
ne (è la relazione che emerge dallo scambio). La società moderna può essere
interpretata come scoperta e costruzione di questa prospettiva, dapprima
entro orizzonti limitati e poi via via in senso sempre più generalizzato.
Si è soliti raffigurare la nascita della società moderna come emergere
delle relazioni di Gesellschaft (relazioni contrattuali e associative di mercato,
intese come espressione di volontà arbitraria e di interessi finalizzati a scopi
strumentali) di contro alle relazioni di Gemeinschaft (relazioni tradizionali di
comunità, intese come espressione di volontà essenziale e di legami ascrittivi)
[Tönnies 1887]. Ciò è indubbiamente esatto. Ma bisogna insistere sul carat-
tere non puramente, né prevalentemente, economico di tale trasformazione.
La trasformazione di ciò che è «comunitario» in «societario», avendo appun-
to un carattere relazionale, se da un lato distingue, dall’altro connette e fa
interagire tra di loro le diverse componenti interne delle relazioni sociali, in
particolare quelle motivazionali, adattivo-funzionali e di creazione culturale.
In breve: il passaggio da una società «comunitaria» a una società «socie-
taria» («associativa») non significa che vengano cancellati i caratteri della
prima, ma significa invece che vengono prodotti dei fenomeni di mix, degli
scambi fra le componenti di ciò che fa il comunitario e di ciò che fa il societa-
rio [Donati 1991, cap. 2]. Nessuna società è puramente comunitaria o pura-
mente societaria. Nuovi sistemi economici sono resi possibili solo se cambia-
no le relazioni sociali fra i soggetti1. Anche un nuovo ordine politico diventa
possibile solo se cambiano le relazioni fra i soggetti che fanno la politica2. A

1
  Diversi autori hanno mostrato come i moderni sistemi di computazione siano nati
dalle esigenze pratiche insite nelle relazioni sociali di scambio messe in atto dai mercanti
(i borghesi) che hanno dato vita al capitalismo occidentale moderno [Hadden 1988].
Ma non si deve dimenticare che non si potevano instaurare le nuove ragioni di scambio
economico senza che fossero disponibili dei nuovi modi culturali di pensare e agire le
relazioni sociali in senso più ampio (sotto questo aspetto è ancora largamente sottovalutato
il contributo decisivo offerto dal dibattito filosofico sulla categoria della relazione nelle
scuole cosiddette «scolastiche» fra il 1200 e il 1500 in tutta Europa).
2
  Adottando quest’ottica, alcuni autori hanno mostrato come le grandi riforme
religiose e le trasformazioni del sistema sociale, economico e politico all’inizio dell’epoca
64 Capitolo 3

sua volta, il nuovo ordine (economico o politico) condizionerà i soggetti, che


dovranno relazionarsi fra loro in modo da riprodurlo o da cambiarlo.
Generalizzando, si può dire che la relazione sociale emerge come realtà
e come tema specifico di indagine con la società moderna se e nella misura in
cui si verificano due grandi ordini di fenomeni.
1.  Le relazioni fra i soggetti (individuali e collettivi) che si muovono
nella società non sono più viste e vissute «come date per natura», ma sono
considerate come storiche, quindi come mutevoli, producibili e riproducibili
secondo modalità culturali di tipo «artificiale». La distinzione fra ciò che
caratterizza i rapporti sociali di scambio dell’«uomo moderno» e ciò che
connota i rapporti naturalistici e ascrittivi dell’«uomo premoderno» va di
pari passo con l’emergere di quella sfera sociale, primariamente il mercato,
distinta dal privato (famiglia-parentela) e dallo stato (apparati burocratico-
amministrativi), in cui è all’inizio più evidente il carattere mutevole e artificioso
delle possibili relazioni. È qui opportuno osservare che la categoria moderna
della relazione sociale è emersa in stretta connessione con quella del mercato,
da cui stenta ancor oggi a differenziarsi in vista di una nuova articolazione della
società in varie sfere di scambio, corrispondenti a differenti «settori» della
società (stato, mercato, sfere di privato sociale o terzo settore, reti informali).
2.  Dal punto di vista del pensiero riflesso, la relazione non è più
rappresentata come una categoria semplice e assiomatica (un a priori e
categoria prima della mente umana), ma – in quanto applicata al vivere
sociale – viene rappresentata come una nozione complessa e articolabile
secondo diverse modalità culturali. Ad esempio, una relazione d’amore non
riflette un concetto unico e semplice di «amore», ma viene articolata secondo
varie possibili semantiche dell’amore e quindi diverse possibili modalità di
amare. Dire che la relazione applicata al sociale può essere «interpretata»
(semantizzata), comporta che se ne possa fare una codificazione simbolica
secondo codici passibili di forme evolutive. Ad esempio, l’amore viene tradotto

moderna siano state il prodotto di una «retorica delle relazioni sociali» (per «retorica»
si intende qui un certo stile di pensiero e di dialogo, positivo e non basato su finzioni)
che ha prodotto un contesto di relazioni sociali capace di trascendere l’ordine sociale
precedente basato sulla parentela e i legami localistici (ad es., sui processi che hanno
portato alla formazione dello stato e della chiesa nazionale in Inghilterra fra il 1540 e il
1640 [Bearman 1993]).
L’emergere della relazione sociale come tema e problema nel mondo moderno 65

in diversi codici simbolici (l’amore come agàpe, come eros, come amicizia,
come amore romantico, come passione, ecc.) che possono modificarsi nel
tempo. La nozione di «relazione sociale» assume una tensione interna, diventa
ambivalente (a doppia valenza), differenziabile al proprio interno, secondo
componenti che possono essere esplicitate di volta in volta.
Questi due grandi spostamenti nel modo di intendere la relazione sociale
indicano che esiste una stretta connessione fra la tematica della relazione
sociale e quella della società civile in senso moderno, e più in generale della
civiltà e del processo di civilizzazione. «Per me – dice von Wiese [1955; trad.
it. 1968, 265-266] – l’usuale parola “sociale” s’identifica con la parola inte-
rumano. La realtà interumana è il terreno sul quale crescono tutte le culture,
le civiltà, le istituzioni e le rappresentazioni ideali». È certamente vero, come
afferma von Wiese, che «non ci può essere una somatologia della società, per-
ché non esiste un soma». Detto con altre parole, la società civile è una realtà
in divenire e la sua natura relazionale rende difficilmente percepibili in modo
empirico le sue istituzioni (von Wiese si esprime così: «il sociale consiste di
una catena relativamente infinita di eventi che accadono nel tempo»). Tutta-
via, se è vero che non bisogna materializzare (reificare) la relazione sociale,
bisogna riconoscere, al di là della prospettiva formalistica di von Wiese, che
la relazione sociale ha dei contenuti che si concretizzano e persistono nel
tempo, al di là di una pura esistenza evenemenziale. I sistemi e le istituzioni
sociali sono concretizzazioni di insiemi di relazioni che hanno un loro ordine
di realtà, anche se non sono percepibili dai nostri sensi.
In ogni caso, resta vero che la «modernità» – intesa come forma culturale
– è caratterizzata dall’idea che il tipo e grado di civilizzazione di una società
(la sua connotazione di «civile») sia strettamente legata alla quantità e qua-
lità delle relazioni sociali in essa dominanti, siano esse praticate in maniera
formale o informale, legittima o illegittima, consensuale o conflittuale. L’idea
che la qualità moderna corrisponda ai caratteri della triade «libertà, ugua-
glianza, fraternità» costituisce, appunto, il codice simbolico specifico delle
relazioni in senso «moderno».
66 Capitolo 3

2.  IL CARATTERE AUTOPOIETICO ED ETEROPOIETICO


DELLE RELAZIONI SOCIALI

Più in generale, il mondo moderno si caratterizza per un processo di dif-


ferenziazione sociale che in continuazione genera, distrugge, riorganizza re-
lazioni sociali, secondo diverse distinzioni-guida che operano nelle varie sfe-
re o sottosistemi o contesti della società (ad es., le relazioni di scambio in base
a un prezzo hanno una distinzione-guida diversa dalle relazioni di amicizia,
o sessuali o intime, e queste ultime dalle distinzioni-guida che caratterizzano
le relazioni professionista-cliente, medico-paziente, maestro-allievo, ecc.).
Il processo di differenziazione si attua attraverso un uso auto ed eterore-
ferenziale della relazione. Proprio l’approccio relazionale evidenzia l’unilate-
ralità sia degli approcci autoreferenziali sia di quelli eteroreferenziali. La rela-
zione, infatti, è autopoietica in quanto, sotto un certo aspetto, si genera da sé,
nel senso che segue la propria distinzione direttrice interna (ad es., la relazio-
ne medico-paziente si deve svolgere secondo la propria intenzionalità curati-
va). L’autopoiesi richiede relazionamento, ma si tratta di un relazionamento
operato da parte di un sistema che si autodifferenzia autoreferenzialmente
(nel caso del rapporto medico-paziente, si devono escludere altre relazioni
che non siano finalizzate alla cura). Tuttavia, la relazione è anche generazio-
ne di novità attraverso il riferimento ad altre relazioni e la connessione con
esse (sempre nell’esempio del rapporto medico-paziente, si devono cercare
riferimenti ad altre relazioni che possono essere significative per la relazione
finalizzata alla cura). La finalizzazione interna (verso la cura) porta a cercare
altre relazioni esterne (eteropoiesi). È errato, dunque, pensare la relazione
solo come riferimento autopoietico o solo come riferimento eteropoietico.
La relazione contiene delle finalità, ma queste non sono sempre esplici-
te, dirette, evidenti, e inoltre sono dinamiche, possono evolvere in direzioni
diverse. Con questo non si intende affatto negare la prospettiva finalistica,
anche quella che si collega al significato religioso e ontologico-metafisico
della vita. Si vuole solo affermare che la prospettiva secondo cui «non c’è as-
solutamente alcuna cosa che si generi solo per esistere» (come dice Sant’Ago-
stino: nulla enim omnino res est qui se gignat ut sit, De Trinitate, I; ossia tutto
ha un fine) significa precisamente che tutto esiste «in relazione a». Sul piano
L’emergere della relazione sociale come tema e problema nel mondo moderno 67

sociologico, noi osserviamo che nella realtà sociale ci sono dei finalismi, ma
questi non sono deterministici (sono, invece, «aperti»). Anche per chi adotta
una prospettiva religiosa o metafisica, è più istruttivo tradurre la finalità in
relazione fra natura e sovranatura; noi non sappiamo a cosa servono certe
cose, atti, azioni (o anche esperienze, come il dolore e la morte), ma possiamo
vederle come un modo di dispiegare (nel sociale) le relazioni fra l’umano e
il divino. La finalità della relazione sociale è, essa stessa, una relazione fra il
suo interno e il suo esterno, fra ciò che essa indica come propria direzione
(distinzione-guida interna) e ciò da cui dipende nel suo ambiente.
4
I diversi approcci nello studio della relazione sociale 69

CAPITOLO

I diversi approcci nello studio


della relazione sociale

Nel capitolo si presenta un «excursus» dei modi in cui i principali ap-


procci sociologici trattano la relazione sociale. L’obiettivo è quello di
mostrare che ciascun approccio ha messo in luce un aspetto o dimen-
sione importante, ma particolare, senza pervenire a una teoria com-
piuta, ovvero generalizzata, della relazione sociale, che sarà esposta
nel capitolo successivo.

1.  LA TEMATICA

Praticamente tutti gli autori moderni e contemporanei parlano di «rela-


zioni sociali», ma essi le intendono generalmente secondo significati e moda-
lità assai diverse. Ciascun autore le vede, per così dire, da un’«angolatura par-
ticolare» e ne sottolinea alcune dimensioni o aspetti, che vanno a costituire un
ben distinto approccio (marxista, positivista, storico comprendente, formali-
sta, fenomenologico, dell’interazionismo simbolico, struttural-funzionalista,
neofunzionalista comunicazionale ed ermeneutico).
Si tratta quindi di esplicitare questi diversi approcci per poi vedere se è
possibile, e se sì come, articolarli in una visione integrata, ovvero più com-
prensiva possibile, della relazione sociale.
70 Capitolo 4

2.  L’APPROCCIO MARXISTA

Karl Marx (1818-1883) adotta una prospettiva relazionale sulla società,


i suoi attori, le sue strutture, i suoi processi. Ma sfortunatamente si tratta di
una visione riduttiva. A suo avviso, l’uomo è un essere puramente sociale
in quanto determinato dalle relazioni sociali materiali (e perciò chiamate
«rap­porti» sociali) in cui viene a trovarsi storicamente («l’essere umano non
è un’astrazione immanente all’individuo singolo. Nella sua realtà, esso è
l’insieme dei rapporti sociali», cfr. tesi VI delle Tesi su Feuerbach del 1845)
[Marx 1888]. Questa prospettiva è sviluppata in maniera quanto mai chiara
e concreta nei Grundrisse [1857-1858], nei quali l’autore si propone preci-
samente di mostrare come la società non sia fatta di individui, ma esprima
l’insieme dei legami e relazioni entro cui si trovano inseriti gli individui (as-
sioma che sta alla base dello strutturalismo sociologico).
Le relazioni sociali sono intese in senso sostanziale secondo un realismo
assoluto di tipo materialistico – a sfondo economico – che le concepisce: a
livello micro, come condizionamenti concreti intersecantisi in un corpo biolo-
gico dotato di un apparato psichico capace di assorbirli e rielaborarli; a livello
macro, come rapporti fra le classi sociali determinate dalla proprietà dei mezzi
di produzione e dal livello delle forze tecnologiche.
Un esempio di definizione relazionale è data da Marx in riferimento al
capitale, che è per lui non già un’entità materiale (mobiliare o immobiliare)
in sé, tantomeno un’entità soggettiva, ma una relazione sociale: precisamente
la relazione di espropriazione dei mezzi di produzione operata da parte dal
capitalista nei confronti dei produttori.
Benché Marx offra una potente teoria delle relazioni astratte mediate
attraverso la forma della merce, egli non perviene a una teoria vera e propria
delle relazioni sociali concrete, né di quelle generalizzate. Il mancato svilup-
po di una siffatta teoria deve essere principalmente imputato al fatto che
l’adozione di un’epistemologia di materialismo storico impedisce l’elabora­
zione di un apparato analitico che tenga nel dovuto conto gli aspetti culturali
e soggettivi delle relazioni sociali. Molti autori marxisti, in particolare Anto-
nio Gramsci, e in seguito i neomarxisti, hanno conferito maggior valore (au-
tonomia) alle componenti simboliche (sempre, comunque, viste come ideo-
logia) delle relazioni sociali, in tal modo limitando, e perfino rovesciando, il
I diversi approcci nello studio della relazione sociale 71

determinismo causale dei fenomeni sociali, ora spiegati come prodotti delle
interazione fra le dimensioni culturali e quelle materiali delle relazioni sociali.
In ogni caso, anche laddove si siano avuti questi ulteriori svolgimenti,
l’approccio marxista rimane legato alla sua intrinseca connotazione materia-
listica e strutturalistica, come si può verificare in autori recenti quali Louis
Althusser e Pierre Bourdieu. Quest’ultimo [Bourdieu 1992] esprime un par-
ticolare relazionismo ontologico e metodologico di origine marxiana. Lo si
constata nelle nozioni e nelle strategie di ricerca centrali che egli elabora. Le
nozioni di habitus e di campo sono definite come «nodi di relazioni»:
•  il primo è definito come un insieme di relazioni storiche «depositate»
nei corpi individuali sotto forma di schemi mentali e corporei di percezione,
di valutazione e azione;
•  il secondo è concepito come un insieme di relazioni oggettive, storiche
fra posizioni radicate in certe forme di potere o di capitale.
A suo avviso, quella di «società» è una nozione vuota, a cui bisogna so-
stituire quella di uno spazio socialmente strutturato in cui gli agenti (non ri-
conducibili a un’unica logica societaria) lottano in funzione della posizione
che occupano, costretti a ciò dalla configurazione di un sistema strutturato
di forze oggettive che impone determinate relazioni, in genere di conflitto
e concorrenza, al fine di stabilire un monopolio sulla particolare specie di
capitale che vi risulta efficiente (l’autorità culturale in campo artistico, l’au-
torità scientifica in campo scientifico, l’autorità sacerdotale in campo reli-
gioso, ecc.) e sul potere di decretare la gerarchia e i «tassi di conversione» tra
forme diverse di autorità nel campo del potere. Per quanto Bourdieu cerchi
di sfuggire al rigido determinismo classico (anche marxiano), la creatività
degli agenti ha per lui limiti invalicabili nei loro abiti (che sono meccanismi
strutturanti) e le relazioni incontrano limiti insuperabili nelle strutture del
campo e dello spazio sociale, cosicché la volontà e l’intenzionalità soggettive
ne risultano fondamentalmente menomate.

3.  L’APPROCCIO POSITIVISTA

Émile Durkheim (1858-1917) formula la teoria sociologica positivistica


di maggior rilievo sulle relazioni sociali. Abbiamo qui una formulazione della
72 Capitolo 4

società (come relazione sociale) che la concepisce come se si trattasse di una


realtà materialmente emergente dalle relazioni tra individui singoli («priva-
ti») che danno vita a una forza collettiva:

Senza dubbio ognuno contribuisce all’elaborazione del risultato co-


mune; ma i sentimenti privati diventano sociali soltanto incontrandosi
con l’azione delle forze sui generis prodotte dall’associazione: per effetto
di queste combinazioni e delle alterazioni reciproche che ne risultano
essi diventano qualcos’altro. Si verifica una sintesi chimica che concen-
tra e unifica gli elementi sintetizzati, e perciò li trasforma [Durkheim
1924; trad. it. 1969, 157].

In realtà, nel caso della chimica, la reazione non trasforma gli elementi
(ad es., nell’H2O gli atomi di idrogeno e ossigeno restano gli stessi), ciò che
cambia è il loro legame. Ma, nel caso dei soggetti umani, Durkheim ha ragio-
ne: che cosa succede? Certamente qualcosa cambia nei soggetti che costitui­
scono un legame forte, vedremo più oltre quali sono e come avviene il cam-
biamento (che non riguarda però l’essere ontologico della persona umana,
bensì la sua identità personale e sociale).
In un primo tempo, Durkheim [1975] vede la relazione sociale come
scaturente dalla divisione sociale del lavoro: di qui la celebre distinzione fra
la «solidarietà meccanica», che si costituisce tramite relazioni sociali fra sog-
getti uniformi, tipica delle società semplici, arcaiche e tradizionali, a bassa
divisione del lavoro, e la «solidarietà organica», che si costituisce tramite
relazioni fra soggetti sempre più individualizzati e differenziati, tipica delle
moderne società industriali a elevata e crescente divisione del lavoro. Suc-
cessivamente Durkheim approfondisce il contenuto e i caratteri simbolici
della relazione sociale come espressione della conscience collective. Sua è
la famosa argomentazione che «sociale» è tutto ciò che, avendo capacità di
integrazione, si configura come «legame» ed essendo la religione (da religo,
«legare assieme») l’elemento massimamente integrativo, vi sarebbe una piena
corrispondenza fra società e religione: al punto che la relazione sociale avreb-
be, dunque, di per sé i caratteri del «religioso».
Indubbiamente, il positivismo durkheimiano pone in luce il carattere
autonomo (normativo) dello spazio sociale, ma la relazione individuo-società
I diversi approcci nello studio della relazione sociale 73

resta scarsamente tematizzata come rel/azione (azione reciproca), in quan-


to Durkheim concepisce la relazione essenzialmente come un vincolo e un
condizionamento, ossia come una realtà esterna e coercitiva nei confronti
degli individui. Famosa è rimasta la polemica con Gabriel Tarde (1843-1904)
(opera fondamentale Les lois de l’imitation. Étude sociologique [1890]), il
quale sosteneva che, mentre la psicologia studia le relazioni esistenti entro la
mente tra credenze, desideri, bisogni e principi morali, la sociologia studia le
relazioni tra le menti che consentono di trasmettere gli stessi fenomeni da un
individuo o gruppo sociale a un altro (da lui detta «interpsicologia»). Tarde
suddivide le relazioni sociali in tre tipi: relazioni di imitazione (o ripetizione),
di opposizione e di adattamento. A suo avviso, i fenomeni sociali si diffon-
dono attraverso l’imitazione e vengono innovati con l’adattamento, mentre
la discrasia fra adattamento e imitazione produce le forme di opposizione.
A questo proposito, Durkheim osserva che le relazioni sociali non diventano
elementi costitutivi della società per il semplice fatto di ripetersi, tantomeno
attraverso l’imita­zione, ma perché sono «prescritte» dalla collettività, dun-
que per il carattere costrittivo che contengono (contrainte sociale).
Tuttavia Durkheim [1895] sbaglia quando, con la sua prima regola del
metodo sociologico [Durkheim 1895], dice che bisogna trattare i «fatti socia-
li» (le relazioni sono per lui tali) come se fossero delle «cose». Questa regola
positivistica ha bensì il vantaggio di suggerire che occorre trattare la relazione
sociale come una entità sui generis, ma induce all’errore se questo significa
trattare la relazione come se fosse un oggetto «cosificabile», laddove la rela-
zione è una realtà interumana, dinamica e non materializzabile.
Durkheim ha in proposito elaborato una teoria fortemente integrativa
(radicalmente olistica) delle relazioni sociali, che ne evidenzia il carattere allo
stesso tempo simbolico (come riferimento alla «coscienza collettiva») e strut-
turale (come legame) autoprodotto dalla società. Da lui nasce la scuola france-
se (comprendente autori come Marcel Mauss e Claude Lévi-Strauss), che con-
cepisce le relazioni sociali come strutture essenziali connotative della società
intesa come ordine collettivo di scambi attraverso cui si genera e si rigenera il
passaggio dalla natura alla cultura, diversamente dagli approcci individualisti
prevalenti oltre Atlantico (in autori come Georg Homans, ­Peter Blau e altri)1.

1
  Sul confronto fra le due scuole, cfr. Ekeh [1974].
74 Capitolo 4

Per quanto la sociologia durkheimiana sia all’origine della visione funzionali-


stica delle relazioni sociali (secondo Durkheim, infatti, le relazioni non hanno
finalità, ma solo funzioni), tuttavia va notato che la prospettiva funzionalistica
di questo autore vede nelle relazioni sociali qualcosa di più di un puro funzio-
nalismo. A suo avviso, se è vero che le relazioni sociali assolvono determinate
funzioni (che possono essere comprese solo in connessione con determinate
strutture), è d’altra parte vero che esse sono sempre di per sé sovrafunzionali,
per utilizzare un termine usato in seguito da Georges Gurvitch [1950], nel
senso che non assolvono un numero discreto e limitato di funzioni, ma invece
compiono una serie non numerabile di funzioni (manifeste e latenti) che ce-
mentano in ogni caso la società, anche attraverso il conflitto.

4.  L’APPROCCIO STORICO-COMPRENDENTE


(O DEL «VERSTEHEN»)

Max Weber (1864-1920) tematizza la relazione sociale in tutt’altro


modo. In primis, perché ne esplicita il carattere intenzionale e intersogget-
tivo (anziché strutturale, impersonale ovvero sovrapersonale), e poi perché
sceglie esplicitamente la categoria della «relazione sociale» come nozione
centrale del proprio programma di ricerca, ritenendo che la relazione socia-
le sia il costitutivo «fondante» del tessuto sociale, ovvero delle formazioni
sociali. Lo aveva fatto anche Tarde, quando aveva proposto di considera-
re come oggetto più elementare della sociologia non già l’individuo ma la
coppia o diade, da cui vedeva scaturire tutte le formazioni sociali di ordine
superiore, cioè la famiglia, la comunità, la nazione. Ma Tarde aveva inteso la
relazione come entità intermentale e questo non è assolutamente sufficiente
per Weber, il quale osserva la relazione come concretizzazione storica a par-
tire dai grandi sistemi simbolici. Anche Simmel, come poi si dirà, scrivendo
negli stessi anni, sceglie di fondare la sua sociologia sulla relazione sociale.
Ma laddove il programma simmeliano è basato sull’idea di scindere la forma
dal contenuto della relazione, Weber ritiene invece che si debba mantenere
la connessione concreta, storica, tra forma e contenuto delle/nelle relazioni
sociali, ben sapendo che le astrazioni formali – inclusi i tipi ideali – sono
pure convenzioni.
I diversi approcci nello studio della relazione sociale 75

Weber elabora una definizione rimasta classica: «per relazione sociale si


deve intendere un comportamento di più individui instaurato reciprocamente
secondo il suo contenuto di senso, e orientato in conformità. La relazione socia-
le consiste pertanto esclusivamente nella possibilità che si agisca socialmente
in un dato modo (dotato di senso), quale che sia la base su cui riposa tale
possibilità» [Weber 1922; trad. it. 1968, I, 23-24]. L’approccio weberiano è
all’origine di tutte le sociologie dell’azione o «azioni­stiche», ed è detto com-
prendente precisamente in quanto affida allo scienziato sociale il compito
non già di «spiegare» i comportamenti attraverso relazioni causali (essendo le
azioni una mera possibilità, esse non seguono linee causali predefinibili), ma
di «comprenderli» in quanto espressioni di attori che si orientano reciproca-
mente in base a un senso simbolico che, seppure richieda conformità, viene
interpretato soggettivamente (operazione che in tedesco è chiamata Verste-
hen, cioè «comprendere». La relazione è concepita come refero.
L’idea fondamentale di Weber è che praticamente tutti gli oggetti della
sociologia possano e debbano essere definiti come «complessi di relazioni so-
ciali», dal gruppo informale al ceto e alla classe sociale, dal partito politico allo
stato e alla chiesa, e così via [Freund 1990]. Tuttavia, anche Weber non forni-
sce una teoria analitica sufficientemente generalizzata della relazione sociale,
a causa sia dell’impostazione storicistica (analizzare solo le concrete relazioni
esistenti) sia delle insufficienze epistemologiche (il suo cosiddetto «individua-
lismo metodologico» non consente, alla fine, di analizzare le relazioni come
tali). La comprensione che i soggetti hanno delle loro relazioni (cioè del loro
agire gli uni tenendo conto degli altri) resta sempre problematica, e ancora di
più rimane problematica la comprensione che può raggiungere lo studioso il
quale osserva i fenomeni sociali soltanto come prodotti dei soggetti agenti.
Ciò ha portato alla creazione di varie correnti postweberiane, alcune ac-
centuanti l’interpretazione «soggettiva» del­la relazione sociale, altre invece
orientate a cercare di fondare la comprensione della relazione sulla categoria
di «mondo della vita» interpretato come mondo simbolico della vita quoti-
diana dato-per-scontato (preriflessivo), nel tentativo di evitare i possibili svol-
gimenti in chiave soggettivistica e contingentista insiti in questo approccio.
In ogni caso, l’approccio weberiano diventerà una componente importante
della teoria delle relazioni nella sociologia di Talcott Parsons (dove occupa
il posto delle motivazioni psicoculturali, ovvero dell’asse L-G nello schema
76 Capitolo 4

AGIL), e anche della sociologia di Luhmann [1984] (che tratta la relazione in


termini di senso comunicativo e di mere possibilità).

5.  L’APPROCCIO FORMALISTA

Georg Simmel (1858-1918) concentra tutto il suo sforzo sull’elabora-


zione di una specifica «sociologia» intesa come teoria delle relazioni sociali,
ma la svolge in senso radicalmente diverso dagli autori classici precedenti
(più astorico che storicizzante), cioè in chiave formalista. Il programma
teo­rico di Simmel [1908] è quello di elaborare una sociologia che si rappor-
ti al sociale così come la geometria si rapporta alla realtà fisica: si tratta di
indagare la società come insieme di relazioni estraendone le forme pure e
quindi studiandone le caratteristiche a prescindere dai loro contenuti.
L’assunto fondamentale di Simmel [1900] è che la società è reciprocità
fra individui e il sociale è l’effetto emergente della reciprocità o «scam-
bietà» delle azioni (Wechselwirkung). Le relazioni sono analizzate come
forme elementari ricorrenti del puro «essere insieme» (sociabilità), laddove
la sociabilità viene intesa come aspetto estetico del relazionarsi reciproco
(la sociabilità ha la caratteristica e la funzione di «rappre­sentare» la real-
tà sociale così come l’arte «rappresenta» – ossia raffigura – la natura). In
questo approccio, si prescinde dal contenuto vitale che è tanto nei sog-
getti (uti singuli) che nelle concrete motivazioni e qualità delle relazioni
in quanto entità storiche situate qui e ora, e si fa un’astrazione geometrica
(altri dicono «grammaticale») del puro sociale inteso come il puro «essere
fra», l’«essere con», l’«essere senza». Come dirà più tardi Leopold von
Wiese riprendendo l’idea formalistica di questo programma, «la sociologia
generale ha lo scopo di scoprire l’umano in sé e per sé, in ciò per cui esso
è inter-personale» [1955; trad. it 1968, 273]. La relazione sociale diventa
l’oggetto della sociologia in quanto forma fondamentale della connessione
uomo-uomo, il puro interumano sciolto dai vincoli con le sfere oggettive
della vita economica, politica, giuridica e così via.

È senz’altro chiaro che una sfera della vita puramente interrelata, in


cui non ci sono esistenze autonome, non può rappresentare nient’altro
I diversi approcci nello studio della relazione sociale 77

che un ambito di innumerevoli collegamenti, intrecci e annodamenti.


Questa sfera si rappresenterebbe graficamente come una rete apparen-
temente impenetrabile di linee, che partono da punti (gli uomini), che
si trovano alle estremità del campo. Si tratta di ordinare questo reticolo
e di spiegare come soltanto questi innumerevoli collegamenti rendano
possibile una vita civile (nel senso più ampio della parola) [ibidem, 275].

Il campo relazionale non è però visto come puramente costituito da li-


nee di collegamento rigide, invariabili. Si tratta piuttosto di un campo di for-
ze carico di energie. Attraverso i reticoli dei rapporti sociali gli uomini sono
ininterrottamente avvicinati gli uni agli altri o allontanati gli uni dagli altri:

alla domanda «che cos’è una relazione sociale?» si può rispondere:


essa è uno stato labile, cagionato da un processo sociale o (più spesso)
da più processi sociali, in cui gli uomini sono reciprocamente colle-
gati o separati. Per dirla molto in breve (e perciò in modo facilmente
equivocabile), una relazione sociale è una determinata distanza fra di
essi […]. Chiamo relazioni sociali quegli stati labili a cui conducono
i corrispondenti processi sociali (di isolamento). Esse sono i risultati
di tali processi. A ogni processo singolo corrisponde, in situazione di
stasi, una relazione. Grossomodo, i tipi generali della relazione si pos-
sono paragonare ai processi principali: cioè ai processi A (associativi)
si possono paragonare gli stati della socialità e del collegamento, da una
parte, della dipendenza dall’altra; i processi B (dissociativi) portano
alla solitudine, all’isolamento, al ritiro da una parte, all’indipendenza
dall’altra [ibidem, 276 e 379].

Negli svolgimenti sempre più formalizzati, questo approccio studia le


relazioni come intrecci di linee fra i vari punti (gli individui) che li avvicina-
no o li allontanano, li integrano o li mettono in conflitto, che li sovraordi-
nano o li subordinano, che comunque li differenziano secondo cerchi con-
centrici e/o intersecantesi. La relazione sociale non è una chiave per com-
prendere i fini, i valori e i compiti in funzione dei quali ha luogo il processo
sociale (e in base ai quali operano le istituzioni sociali), ma è piuttosto un
grafico che permette di capire in che posizione stanno i vari punti fra loro
nelle forme più generali dei «giochi di società» [Simmel 1917]. Su queste
78 Capitolo 4

basi sono state elaborate varie tipologie di manifestazione della sociabilità,


ad esempio i tre tipi di rapport avec autrui di Gurvitch [1950], che derivano
dalla teoria wiesiana dei processi di avvicinamento e distanziamento.

6.  L’APPROCCIO FENOMENOLOGICO

La fenomenologia di Edmund Husserl (1859-1938) è alla base di un


approccio, sviluppato da autori come Alfred Schütz [1932], Peter Berger
e Thomas Luckmann [1966], e molti altri, che definisce la «relazione so-
ciale» come connessione intersoggettiva di motivi [Schütz 1979, 341]. Sul
versante filosofico e psicologico, la relazione sociale osservata (data) viene
messa inizialmente «fra parentesi» (epoché) per essere poi ricostruita come
operazione intersoggettiva dell’Io trascendentale [Husserl 1936]. Ciò pone,
evidentemente, degli enormi problemi, perché, come è stato dimostrato
[Toulemont 1962], è impossibile ricostruire le relazioni a partire dai soli
soggetti individualmente considerati, anche quando li si consideri nel loro
orientarsi reciproco (intersoggettività). Un approccio fenomenologico puro
non può offrire una spiegazione della società come tale.
Questo approccio studia il carattere reciprocamente soggettivo della re-
lazione sociale, limitando i condizionamenti strutturali a ciò che vincola gli
agenti in quanto «mondo-già-dato» (mondo dei predecessori, realtà esterna
circostante, ecc.). La dimensione strutturale (di legame) della relazione so-
ciale non è considerata un fatto costitutivo di quest’ultima. L’analisi viene
focalizzata sulla costruzione del mondo sociale come mondo dotato di senso
per i soggetti che ne fanno esperienza attraverso un’intersoggettività basata
sulla relazione-del-Noi (We-relation) [Muzzetto 1997].
La struttura stessa del mondo sociale viene interpretata come costruzio-
ne di un mondo intersoggettivamente significante (dove i significati stessi
sono realtà relazionali). Per dirla con Ludovico Actis Perinetti [1959, 48]:

se il designatum del discorso non è puramente, come per Wittgenstein,


un fatto atomisticamente inteso che può essere semplicemente affermato
o negato, ma è il farsi stesso di una relazione d’esperienza, che mentre
diviene altresì si chiarisce espressivamente a se stessa, cade la non giusti-
I diversi approcci nello studio della relazione sociale 79

ficata antinomia fra semanticità e libera espressività, cioè tra il significare


oggetti e l’abbandonarsi all’inventività della fantasia.

Tesi centrale è che non si possono comprendere le relazioni sociali gene-


ralizzate (di secondo livello, astratte, formalizzate, come quelle istituzionali)
se non si comprendono le relazioni di primo livello (le azioni intersoggettive
nel mondo della vita), essendo queste ultime la base (il costitutivo) delle isti-
tuzioni e del sistema sociale comunque inteso. L’approccio ha un’intrinseca
tendenza alla soggettivizzazione (seppure collettiva, non del singolo indi-
viduo) delle relazioni sociali, e in questo senso è consapevole di incontrare
alcuni limiti nello svolgere un’analisi di tipo macrostrutturale. Particolar-
mente nella visione relazionale di Schütz sono evidenti le influenze dello psi-
cologismo del filosofo pragmatista William James e una certa propensione al
nominalismo formalistico.

7.  L’APPROCCIO DELL’INTERAZIONISMO SIMBOLICO

Come il precedente, questo approccio non offre una teoria sistematica


delle relazioni sociali, e però pone al suo centro un principio che sta alla
base dell’analisi relazionale. Secondo tale principio, «il tutto sociale non è
una riunione di elementi anteriori, né una nuova entità, bensì un insieme di
relazioni, ciascuna delle quali ingenera – proprio in quanto relazione – una
trasformazione dei termini che collega» [Piaget 1964; trad. it. 1989, 26 e 55].
La relazione sociale è qui considerata come «interazione», cioè come azione
fra due agenti nella quale è centrale la mediazione simbolica che l’uno eser-
cita per l’altro, in quanto si suppone che la rappresentazione del Sé («Self»)
avvenga necessariamente attraverso l’altro («Alter») [Mead 1934]. In questo
modo, il Self è visto come prodotto della relazione, e perde di sostanza pro-
pria.
Se noi diventiamo dei Sé (Selves) attraverso gli altri (come afferma Mead
[1977, cap. 2]), l’identità personale (ciò che ci permette di rispondere alla
domanda «chi sono io per me?») rischia di essere ridotta all’identità sociale (la
risposta alla domanda «chi sono io per gli altri?»). Ossia: «Io esisto e ho questa
identità solo in quanto sono in relazione all’Altro (singolo e generalizzato)».
80 Capitolo 4

La posizione assume talvolta un tono ipersocializzante, nel senso che, invece


di affermare che ogni Self si trasforma attraverso la relazione con l’altro, si
sostiene che il Self assume l’identità dell’altro (in Mead l’Altro generalizzato).
In ogni caso, per questo approccio, ogni relazione è una realtà in sé
(Piaget la chiama totalità) che trasforma gli individui (termini) coinvolti, a
partire dalla loro struttura mentale. Dall’intera­zione fra due individui fino al
sistema (totalità) costituito dal­l’insieme dei rapporti fra gli individui di una
stessa società, vi è una continuità per complessità crescente che non muta
l’essenza del fenomeno sociale, né richiede in linea di principio strumenti
diversi di analisi.
Da notare che esistono rapporti di parentela della fenomenologia e
dell’interazionismo simbolico con l’approccio etnometodologico [Gar-
finkel 1967; Goffman 1971]. Quest’ultimo, pur nella varietà dei metodi,
studia le relazioni della vita quotidiana come espressioni di giochi che le
persone fanno sulla distanza sociale, ovvero come un’assunzione di ruolo
(role-tak­ing) che non è mera conformità, ma modificazione del ruolo socia-
le nell’atto stesso in cui lo si assume (role-making). Pur analizzando i com-
portamenti, i gesti espressivi e le strategie degli attori individuali, il fuoco
del­l’analisi non viene riposto nei soggetti (il sociale non è una manifestazio-
ne della personalità individuale), ma nel peso normativo della società, ossia
nei modi in cui la società mette il proprio «dito regolativo» nelle relazioni.
L’individuo è visto come un giocatore, un funambolo, un sintetizzatore
fra le molteplici relazioni («affiliazioni») che lo legano alle varie cerchie
sociali. Le relazioni sono dunque considerate come manifestazione di una
vita culturale, concepita come costituita da regole di comportamento e ac-
cordi normativi in situazioni con diversi contenuti di rischio, la quale «si
incarna» in strutture sociali2. Particolare attenzione viene posta al «rituale
dell’interazione» (giochi di faccia, deferenza e contegno, imbarazzo, gioco
d’azzardo, ecc.) ovvero alla relazione intesa come «interazione strategica»,
in cui gli attori si comportano come agenti di spionaggio impegnati a carpi-
re i segreti degli altri, visti come avversari, in un ciclo potenzialmente infi-

2
  Cfr. la frame analysis di Goffman [1974] e un brillante studio del caso a proposito
della società cinese [Shuo 1993].
I diversi approcci nello studio della relazione sociale 81

nito di dissimulazioni, scoperte, false rivelazioni e riscoperte. La relazione


sociale diventa un campo di gioco.

8.  L’APPROCCIO STRUTTURAL-FUNZIONALISTA

È quello che più di ogni altro si propone di fornire una teoria generale
sistemica della relazione sociale. È denominato in questo modo perché sup-
pone che la realtà sociale sia fatta di strutture che svolgono delle funzioni
(sempre più specializzate nel corso della storia sociale). Esso parte da un
postulato che condiziona tutti gli svolgimenti successivi in termini di osser-
vazioni e riflessioni ammissibili per questo approccio: la relazione sociale è
considerata come funzione degli status-ruoli ricoperti dagli individui in un
sistema sociale. Il medico, l’insegnante, l’operaio, la casalinga hanno certe
relazioni sociali perché occupano una certa posizione (status) e hanno un
certo ruolo (compiti) in un determinato sistema sociale (il sistema sanitario,
la scuola, la fabbrica, la famiglia, ecc.). In altri termini, la relazione sociale
non è che il modo in cui il sistema sociale, o sistema di azione, funziona; in
particolare, la relazione è l’espressione di un agire in uno status-ruolo, entro un
sistema di status-ruoli.
Talcott Parsons (1902-1979), caposcuola di questo approccio, assume,
fin dall’inizio (La struttura dell’azione sociale [1937]), e poi nel corso di tutta
la sua vita fino all’ultima opera (Action Theory and the Human Condition
[1978]), che la proprietà più generale e fondamentale di ogni fenomeno
sociale (considerato come sistema di azioni) sia la relazionalità costitutiva
delle sue parti, dimensioni o variabili. L’interdipendenza che sostanzia tale
relazionalità consiste nell’esistenza di determinate relazioni fra le parti o va-
riabili, in contrasto con la variabilità casuale. In altre parole, la relazione è
interdipendenza (con interpenetrazione), e l’interdipendenza è sia l’ordine
nelle relazioni tra le componenti che entrano in un sistema, sia il loro effetto
emergente.

I sistemi di azione hanno proprietà che emergono solo a un certo


livello di complessità nelle relazioni delle singole unità (unit acts, atti
elementari) le une verso le altre. Queste proprietà non possono essere
82 Capitolo 4

identificate in ogni singola azione elementare considerata separatamente


dalle sue relazioni con le altre nello stesso sistema. Esse non possono
essere derivate da un processo di generalizzazione diretta delle proprietà
dell’atto elementare [Parsons 1937; trad. it. 1968, 739].

Da questo punto di vista si vede bene la realtà sui generis della relazione
sociale, che consiste nel generare gli «effetti strutturali» (intesi come compor-
tamenti di conformità che gli attori individuali mettono in atto pur non con-
dividendoli interiormente [Blau 1989]) e i cosiddetti «effetti perversi» (intesi
come effetti non intenzionali prodotti da una moltitudine di singole azioni
intenzionali [Boudon 1979]). Conseguentemente, si può più agevolmente
vedere perché gli approcci individualistici, tanto strumentali che idealistici
o normativi, sono empiricamente incapaci di chiarire le vere relazioni causali
della vita sociale. In breve, Parsons ha posto alcune basi fondamentali per
un approccio relazionale comprensivo, integrato e multidimensionale, anche
se poi non ha sviluppato con coerenza tale progetto (i limiti e le contraddi-
zioni dell’approccio parsonsiano sono stati evidenziati da Alexander [1983;
1990]).

9.  L’APPROCCIO NEOFUNZIONALISTA COMUNICAZIONALE

Il funzionalismo sistemico postparsonsiano ha abbandonato l’idea di


mantenere tutto lo spessore, ossia forma e contenuto, dimensioni strutturali
e azionistiche, delle relazioni sociali, e si è decisamente orientato a trattare la
relazione sociale come pura funzione comunicativa.
Il punto di partenza di questo approccio sta nel ribaltare la posizione
dello struttural-funzionalismo (Parsons), assumendo che – anziché esservi
delle strutture sociali che funzionano –, esistono delle funzioni che creano
delle strutture. Il senso delle relazioni sociali ne consegue: le relazioni non
sono più viste come scambi (input-output) fra parti (status-ruoli) del sistema
sociale, ma come riferimenti funzionali di tipo comunicativo che creano e
modificano continuamente le strutture sociali.
L’operazione, già avviata da una serie di autori nordamericani (espres-
sioni delle correnti di studio sull’ecologia della mente, della pragmatica co-
I diversi approcci nello studio della relazione sociale 83

municativa e delle nuove scienze informatiche e cognitive: Gregory Bateson,


Marshall McLuhan, Paul Watzlawick, Heinz von Foerster e altri), è stata
portata alle sue estreme conseguenze in Europa da Niklas Luhmann (1927-
1998), che l’ha innestata sulla teoria biologica di Francisco Varela e Hum-
berto Maturana, mediandola attraverso la logica di George Spencer Brown.
In questo approccio, la relazione sociale viene equiparata alla comunicazio-
ne, intesa come operazione specifica dei sistemi sociali, che consiste nella
sintesi (o unità della differenza) di tre selezioni (emissione, informazione
e comprensione della differenza tra emissione e informazione). Poiché la
comunicazione è intesa come evento (scompare non appena è stata svolta),
e poiché la comunicazione ha senso solo nel suo collegamento con un’altra
comunicazione (ciò in cui consiste il processo sociale), le relazioni sociali
vengono a perdere di consistenza, stabilità e ordine prefissato. La relazione
sociale non è più un conduttore di significati culturali predefiniti, né un ca-
nale strutturato per il trasferimento di informazioni e prestazioni. Parlare di
«relazioni sociali» in chiave neofunzionalistica vuol dire osservare comuni-
cazioni che rinviano sempre ad altre comunicazioni intese come esperienze
di possibili aperture ad altre comunicazioni le quali sono funzionalmente
equivalenti fra loro e quindi intercambiabili. Il che porta la relazione socia-
le a perdere la sua «durezza», stratificazione e «consistenza» sociologica,
specie quella strutturale e normativa. Come giustamente sostengono Gili e
Colombo [2012], la comunicazione avviene nel quadro di una relazione so-
ciale, che è quella che dà senso (esprime intenzioni, volontà, desideri, scopi)
alla comunicazione.

10.  L’APPROCCIO ERMENEUTICO (O DIALOGICO)

Possiamo raccogliere sotto questa denominazione un’ampia e assai di-


versificata corrente di pensiero che, nelle scienze sociali moderne, tratta la re-
lazione sociale come «dialogo». Per quanto assai distanti fra loro, i pensatori
che possono essere qui collocati mettono in rilievo il fatto che dire «relazione
sociale», significa riferirsi alla vita sociale in quanto discorso fra soggetti, in
cui è fondamentale l’elaborazione culturale che nasce attraverso il linguaggio
e la conversazione.
84 Capitolo 4

Martin Buber (1878-1965) indica, con il termine Beziehung (relazione),


esclusivamente il rapporto dialogico Io-Tu (di piena interpenetrazione in-
terumana), di contro al rapporto Io-Esso (che è l’esperienza oggettivante,
«cosificante» dell’altro): «la parola fondamentale Io-Tu fonda il mondo della
relazione» [Buber 1993, 61]. Secondo Buber, le due vie tentate dall’uomo
contemporaneo per superare la propria crisi (la «solitudine sociale»), cioè
l’individualismo e il collettivismo, sono entrambe senza sbocco. La via au-
tentica è quella della relazione «tra-uomo-e-uomo», del rapporto interper-
sonale e della comunità. Solo nella relazione con l’«altro» uomo l’individuo
ritrova se stesso, e allo stesso tempo supera la solitudine e l’isolamento: solo
nell’incontro con l’altro, nella relazione istituita tra (zwischen) l’Io e il Tu,
l’uomo entra nella realtà autentica, da cui si era allontanato. Con un approc-
cio di chiara ispirazione religiosa (ebraica), ma con evidenti implicazioni so-
ciologiche, Buber ritiene che la comprensione del problema dell’uomo non
debba concentrarsi sull’individuo, ma sul tra, cioè sulla relazione, perché
solo in essa si costituisce l’uomo come persona, ossia come un Io per un Tu
e come un Tu per un Io. La relazione non è qui intesa come un atteggiamen-
to psicologico, interno all’Io, né come un fenomeno cosmologico o olistico,
proprio di un mondo che contiene in sé gli individui: essa è una struttura
ontologica originaria, è una realtà non compresa nell’Io, né comprendente
l’Io, ma effettivamente esistente tra l’Io e il Tu. La relazione non è fonda-
ta sulla soggettività, ma sulla sfera della relazione fra gli esseri. Negli scritti
più tardi (ad es., Elementi dell’interumano, 1954), Buber ritorna sulla teoria
della relazione chiarendo che, a suo avviso, bisogna non confondere fra la
componente sociale e quella interumana della relazione: il mondo umano è
sociale in quanto legame reciproco che genera esperienze e reazioni comuni
(sociale è «l’essere membro di un gruppo») ed è umano in quanto le persone
possono liberarsi delle loro appartenenze collettive (di tipo durkheimiano),
e delle loro funzioni di ruolo (di tipo parsonsiano), per entrare e vivere la
relazione intersoggettiva Io-Tu, dove vige la reciprocità dello Sguardo e del
Dialogo, dove si è compagni nelle vicende della vita, dove si è percepiti come
«totalità esistente» («la sfera dell’interumano è quella del reciproco stare-
l’uno-di-fronte-all’altro; il suo dispiegarsi è ciò che chiamiamo il dialogico»).
In questo senso, Buber si avvicina a coloro che, dopo Husserl, hanno trattato
la relazione sociale come relazione di «empatia» in senso forte (Edith Stein),
I diversi approcci nello studio della relazione sociale 85

ossia come capacità di mettersi nei panni dell’altro e così di intenderlo più
pienamente (concetto distinto dalla «simpatia»), salvo precisare il fatto che
Buber insiste nel ritenere che è fondamentalmente sbagliato voler compren-
dere i fenomeni interumani come fenomeni psichici, perché il significato del-
la relazione non si trova in uno dei due interlocutori né in entrambi insieme,
ma soltanto nel loro concreto affiatamento, nel loro essere «inter» («l’ambito
dell’interumano – dice Buber [1993, 297] – si estende di gran lunga al di là
della simpatia. […] questa è la cosa decisiva: essere-non-oggetto»).
Proveniente da ben altre origini culturali (Scuola di Francoforte), anche
Jürgen Habermas [1981] ha posto il senso della relazione sociale nel suo
carattere dialogico interpersonale. La relazione sociale non ha per lui una
vera e propria struttura, ma è il luogo e il mezzo per affermare l’etica del
discorso attraverso cui gli individui cambiano la società e se stessi, negando
i vincoli del sistema (capitalistico). A suo avviso, una relazione è socialmente
(non sistemicamente) integrativa, e perciò umana, se e nella misura in cui
essa attua una comunicazione ugualitaria e democratica, libera da costrizioni,
trasparente e priva di motivazioni strumentali (detta per questo «agire comu-
nicativo» per distinguerla dall’«agire strategico»). La società che egli auspica
è identificata in una «comunità illimitata di discorso».
In questa linea, alcuni autori propongono di considerare la relazione
sociale come una realtà multidimensionale «dialogica», nella quale interagi-
scono una cultura, un sistema sociale e una personalità, e che, come tale, è
fondamentalmente oggetto di interpretazione (in quanto si costituisce come)
ermeneutica. In questo approccio, occorre leggere la relazione sociale come
un testo che un soggetto scrive a un altro soggetto (come suggerisce Paul
Ricoeur [1986]). Ed è in quest’ottica che molti studiosi trattano la relazione
sociale come «narrazio­ne» che esprime e forgia, alla maniera di un racconto,
le identità sociali.
L’approccio dialogico-narrativo esprime in modo significativo certi
aspetti – prevalentemente espressivi – delle relazioni sociali, ma manca di un
apparato teorico capace di cogliere la realtà piena delle relazioni. Per questa
ragione, coloro che praticano questo approccio finiscono spesso per assume-
re posizioni ideologiche (come fa Habermas, che vede la società come pro-
getto incompiuto della modernità) oppure «culturalizzano» la società (come
fa Jeffrey C. Alexander [2003], il quale riduce la società a un gioco di simboli
86 Capitolo 4

culturali, ad es. fra democrazia e totalitarismo, uguaglianza e differenza, puli-


to e sporco, giusto ed errato, e così via, laddove invece la realtà sociale è una
relazione sociale assai più corposa e complessa di un semplice riferimento a
dei simboli).
5
Tre modi di intendere la relazione sociale 87

CAPITOLO

Tre modi di intendere


la relazione sociale

Nel capitolo si sintetizzano tre modi di leggere la relazione sociale: come


un riferire qualcosa a qualcos’altro (riferimento a simboli con sottostanti
motivazioni: «refero»), come legame o connessione strutturale (religo) e
come effetto emergente, che è il prodotto della combinazione relaziona-
le dei primi due. La novità della sociologia relazionale sta nell’attribui­re
una realtà «sui generis» alla relazione come effetto emergente.

1.  LA RELAZIONE COME «REFERO», «RELIGO» ED EFFETTO


EMERGENTE

Il pensiero classico (premoderno) ha avuto difficoltà a definire la «rela-


zione sociale» per il fatto che ha assunto un punto di vista epistemologico se-
condo il quale la nozione di «relazione» è un «concetto primo», autoevidente
e non ulteriormente scomponibile. Le scienze sociali moderne e contempora-
nee hanno abbandonato questo assunto, e sono entrate «dentro» la relazione
sociale. Esse hanno iniziato una duplice operazione: di problematizzazione
semantica e di scomposizione-riarticolazione analitica della relazione sociale
secondo varie dimensioni o componenti. Tali operazioni mettono capo a tre
semantiche fondamentali, che oggi dobbiamo considerare in un unico quadro
epistemologico1: la semantica referenziale, strutturale e generativa.

1
  L’epistemologia relazionale afferma che non c’è conoscenza senza relazione e
88 Capitolo 5

•  La semantica referenziale intende la relazione sociale come refero, os-


sia come un riferire qualcosa a qualcos’altro entro un quadro di riferimento
costituito da significati simbolici a differenti tipi e gradi di intenzionalità e
più o meno condiviso fra gli attori in campo.
•  La semantica strutturale intende la relazione sociale come religo, ossia
come legame, connessione, vincolo, condizionamento reciproco, struttura, che
è nello stesso tempo vincolo e risorsa, di carattere impersonale o personale.
È possibile scomporre a loro volta queste due dimensioni semantiche del-
la relazione in ulteriori componenti analitiche. Come pure è possibile cercare
forme di integrazione fra queste semantiche e le loro componenti interne.
Il tentativo più emblematico in tale direzione può essere considerato quello
che interpreta la relazione sociale secondo lo schema AGIL (Adaptation-Goal
Attainment-Integration-Latency) [Donati 1991, cap. 4]: l’asse referenziale (la
relazione come refero) viene interpretato in termini di riferimenti fra valori di
base e determinati scopi intenzionali situazionali (asse L-G: latenza-realizza-
zione delle mete, ovvero cultura-personalità) e l’asse strutturale (la relazione
come religo) in termini di mezzi – necessari per realizzare gli scopi – connessi
a norme di comportamento (asse A-I: adattamento-integrazione, ovvero siste-
ma comportamentale-sistema sociale) (fig. 5.1).
La prospettiva che si ottiene non è di poco conto. In primo luogo, si
viene ad affermare che la relazione sociale presuppone quattro componenti,

dire relazione vuol dire per forza di cose entrare in un contesto che richiede la gestione
di significati. Mentre le filosofie oggettivistiche assumono come punto di partenza un
designato sul quale ricalcare il discorso, e mentre le filosofie soggettivistiche tendono
a risolvere il problema semantico nella funzione privilegiata e autoespressiva dell’Io, la
prospettiva relazionale invece muove da un discorso la cui semanticità è data in certo
senso a priori, alla sola condizione che l’esperienza del discorso esista come relazione,
giacché non può esserci discorso laddove non sussiste e laddove non riceve espressione
una forma di relazione o di incontro tra funzioni soggettive e oggettive d’esperienza. La
semanticità così intesa diventa perciò una condizione della relazionalità del discorso, il
quale si ridurrebbe in caso diverso a una vuota espressione senza contenuto né significato,
o a una passiva riproduzione di forme a esso esterne e in esso non veramente mediabili
[Actis Perinetti 1959, 47]. La prospettiva fenomenologica mette in luce l’insostenibilità
delle posizioni positivistiche (e in particolare neopositivistiche del Circolo di Vienna,
Wiener Kreis), che interpretano soltanto sintatticamente e formalmente la relazione. Il
programma positivistico è del tutto illusorio, dal momento che i modi di articolazione
della relazione sono strettamente connessi alla sua funzione semantica, la quale a sua volta
ha tanti aspetti quanti sono gli «universi di discorso» o direzioni possibili di esperienza.
Tre modi di intendere la relazione sociale 89

G
Goal Attainment
(scopi situati)

A I
Adaptation Integration
(mezzi, risorse) L (norme)
Latency
(orientamenti di valore)

fig. 5.1.  Le componenti della relazione sociale secondo lo schema AGIL.

ovvero prerequisiti funzionali, fondamentali: mezzi (risorse), scopi situazio-


nali, norme e orientamenti di valore. In secondo luogo, si ha uno schema
per relazionare a loro volta, sincronicamente e diacronicamente, le compo-
nenti della relazione sociale. La teoria neofunzionalista di Luhmann [1993]
riformula lo schema della relazione AGIL nei termini di un meccanismo
autopoietico che opera meccanicamente attraverso una simultanea e doppia
distinzione binaria: la distinzione fra «interno/esterno» del sistema sociale
e «prima/dopo» della dimensione temporale [Donati 1991, 230-237]. In tal
modo, però, se da un lato la relazione sociale viene ad avere un posto di pri-
mo piano, dall’altro essa viene interpretata in modo meccanicistico e ridotta
a pura comunicazione (come forma comunicativa di una rete sociometrica
[Parlebas 1992]).
Fin qui arrivano le sociologie contemporanee. La sociologia relazionale
osserva che le semantiche referenziali e strutturali della relazione descrivono
una situazione, osservata in un certo tempo e spazio. Tuttavia sono carenti di
«generatività»: ossia dicono assai poco su che cosa generi le relazioni sociali,
e soprattutto su come queste ultime assumano, esse stesse, un carattere gene-
rativo di «fenomeni emergenti», cioè eccedenti gli elementi e le relazioni già
date in precedenza.
•  Diventa necessario accedere a un terzo tipo di semantica, che pos-
siamo chiamare generativa. Essa afferma che le diverse componenti della
relazione (mezzi, scopi, norme, valori) e i diversi soggetti agenti che ne sono
portatori, interagendo fra loro, producono un effetto che non è spiegabile in
90 Capitolo 5

base alle proprietà di tali componenti e attori sociali, ma assume connotazio-


ni quanto-qualitative proprie.
L’idea che le relazioni sociali producano effetti emergenti risale più o
meno esplicitamente all’idea simmeliana di effetto di reciprocità (Wechsel­
wirkung): nell’interazione (o scambio relazionale) si produce un effetto che
va al di là di ciò che vi apportano i due termini della relazione. Su tale base,
sono stati condotti tutta una serie di studi a carattere psicologico-sociale, spe-
cie sui piccoli gruppi, che indagano la relazione sociale, al di là degli approcci
tradizionali che la osservano in termini di energia affettiva [Pagès 1970] e di
legame simbolico e funzionale [Stark 1976-1983], soprattutto come «effetto
di interazione», nel senso di mettere in risalto gli effetti diversi da quelli di
Ego su Alter, e da quelli di Alter su Ego, che sono passibili di osservazione e
misurazione solo che si prenda come unità di analisi non già l’individuo, ma
la relazione stessa. William Cook e Albert Dreyer [1984] hanno elaborato in
proposito un «modello relazionale» per lo studio della famiglia. A chi asseri-
sce che l’approccio relazionale finisce con il perdere il Self, Tony Tam [1989]
ha obiettato, anche con strumenti empirici, che l’interdipendenza «Ego-Al-
ter» non è un’idea circolare, ma che, al contrario, nella relazione intesa come
interazione il Self non viene «perduto». In altri termini, quando osserviamo
una relazione sociale, possiamo distinguere ciò che in essa proviene da Ego e
da Alter, e ciò che è il prodotto generato dalla loro interazione.

2.  LA REALTÀ DI «GENERE PROPRIO» DELLA RELAZIONE


SOCIALE

Quando si affronta il problema di definire la «relazione sociale» si tende,


in genere, a utilizzare una o più delle tre semantiche anzidette. Per una de-
finizione comprensiva occorre tenerle compresenti. Dal punto di vista delle
scienze sociali odierne, possiamo dire che la relazione sociale è quella referenza
– simbolica e intenzionale – che connette i soggetti sociali in quanto attualizza o
genera un legame fra loro, ossia in quanto esprime la loro «azione reciproca» (la
quale consiste nell’in­fluenza che i termini della relazione hanno l’uno sull’al-
tro e nel­l’effetto di reciprocità emergente tra essi). «Stare (essere) in relazio-
ne» può avere un significato statico o dinamico, può voler dire trovarsi in un
Tre modi di intendere la relazione sociale 91

contesto dato (senso morfostatico) oppure in un’interazione che genera nuove


forme (senso morfogenetico). È dunque opportuno distinguere fra relazione
sociale come contesto (ovvero come matrice contestuale, ossia come situazio-
ne di riferimenti simbolici e connessioni strutturali osservate nel campo di
indagine) e relazione sociale come interazione (ovvero come effetto emergen-
te in/da una dinamica interattiva). Ma, in ogni caso, l’essere in relazione com-
porta il fatto che, agendo l’uno in riferimento all’al­tro, Ego e Alter non solo si
orientano e si condizionano a vicenda, ma danno luogo a una connessione sui
generis che in parte dipende da Ego, in parte da Alter, e in parte ancora è una
realtà (effettuale o virtuale) che non dipende dai due, ma li «eccede».
L’evidenziazione di questo tertium, di norma, riflette il punto di vista di
un osservatore esterno ai soggetti (Ego e Alter) in relazione. Può anche essere
svolta da Ego e Alter se e nella misura in cui essi si collocano da un punto di
vista esterno a se stessi. Ma ciò è sempre altamente problematico. Questo
fatto fa comprendere perché, di solito, i soggetti agenti non abbiano con-
sapevolezza della relazione sociale come realtà differente dalle proprie (sin-
gole) motivazioni e intenzionalità soggettive. Detto altrimenti: solo soggetti
altamente riflessivi, ovvero soggetti che utilizzano cibernetiche di secondo
ordine, possono «oggettivare» le proprie relazioni2.
Dopo ogni interazione, la relazione che ne fa da supporto e che la at-
tualizza non è più la stessa: si rafforza o si indebolisce, comunque cambia
le sue qualità. Ed è per questo che le relazioni sociali non solo ammettono,
ma richiedono necessariamente «storia», in quanto possono esistere solo nel
tempo [Gottman 1982]. Si può, anzi, affermare che le relazioni sociali hanno
un loro codice temporale, a seconda di come declinano il tempo sociale (quel-
lo della relazione). Esistono tre codici (o registri) del tempo in senso sociale:
1.  il codice relazionale (o storico-relazionale, in cui il tempo sociale ha
una durata, perché la relazione nasce in un certo momento, si sviluppa in un
certo lasso di tempo e poi muore);
2.  il codice interattivo (in cui il tempo sociale ha la durata di un evento,
ossia dura il tempo della mera comunicazione, cosicché la relazione nasce e
muore con quest’ultima);

2
  Recenti ricerche teoriche ed empiriche hanno messo a punto un quadro concettuale
per l’analisi dei vari tipi di riflessività [Archer 2003].
92 Capitolo 5

3.  il codice simbolico (o atemporale-simbolico, in cui il tempo sociale non


ha propriamente una durata, nel senso bergsoniano di durée, perché è il tempo
di ciò che esiste da sempre e per sempre; cosicché, propriamente parlando,
non c’è relazione sociale).
Nella prospettiva relazionale, la relazione fa da «base» alla (è il soste-
gno della) interazione e l’interazione esprime (attualizza ovvero «riempie»)
la relazione: se ci si ferma solo al livello dell’interazione (codice interattivo)
si perdono le dimensioni storiche e simboliche della vita sociale [Scabini e
Cigoli 1991].
6
Tipi di relazioni sociali: processi associativi e dissociativi 93

CAPITOLO

Tipi di relazioni sociali:


processi associativi e dissociativi

Nel capitolo si illustrano in modo sintetico la varietà e la variabilità


dei tipi di relazioni sociali. Vengono messe a fuoco alcune distinzioni
classiche, come quella fra «relazioni di comunità» («Gemeinschaft») e
«relazioni di associazione» («Gesellschaft»). Viene esposto un elenco
di criteri che servono per classificare le relazioni sociali. Le tipologie
delle relazioni sono utili per comprendere come cambiano gli attori e
per distinguere i «beni sociali» (in particolare i beni relazionali).

1.  I PRINCIPALI CRITERI DI CLASSIFICAZIONE DELLE RELAZIONI


SOCIALI

Le classificazioni delle forme e dei tipi di relazioni sociali sono innume-


revoli, praticamente infinite, dato che le relazioni sociali esistite, potenziali
e virtuali sono in pratica e in teoria non numerabili. Alcuni autori hanno co-
struito classificazioni tipologiche assai articolate, ma in generale prevalgono
concettualizzazioni che utilizzano criteri dicotomici. Vediamo i principali
criteri classificatori.
La coppia Gemeinschaft/Gesellschaft (introdotta da Tönnies e ripre-
sa da Weber come distinzione fra «relazioni associative» e «relazioni co-
munitarie») è servita in generale come base per ulteriori classificazioni. La
più celebre è quella di Parsons [1961], che ha spezzato la dicotomia tön-
nesiana in cinque dimensioni analitiche: relazioni affettive/neutrali, par-
94 Capitolo 6

ticolaristiche/universalistiche, ascrittive/acquisitive, diffusive/specifiche,


orientate alla collettività/orientate al Self, con le quali descrivere il cambia-
mento sociale dal premoderno (o tradizionale) al moderno. Il problema,
nel Parsons «sistemico», è che egli vede le relazioni come espressione di
ruoli sociali (in qualche modo già istituzionalizzati, dunque la relazione
viene osservata in genere come un agire di ruolo), anziché viceversa [Rud-
dock 1969; Savage 1981]. Per la sociologia relazionale, i ruoli esistono e
sono attuati in un contesto relazionale che conferisce loro senso, mentre
le sociologie sistemiche pensano le relazioni come prodotti delle strutture
di ruolo.
Wlodzimierz Wesolowski [1995] ha rielaborato la stessa coppia Gemein-
schaft/Gesellschaft distinguendo fra:
1.  legami associativi (associative ties), caratterizzati dal fatto che vengo-
no assunti e lasciati con libertà dei contraenti, utilizzano procedure sociopo-
litiche discorsive per raggiungere decisioni, servono scopi e interessi fissati
dai membri, e sono carratteristici delle democrazie occidentali (concepite,
come afferma John Rawls [1996], come «unioni di unioni»);
2.  legami comuni o comunitaristici (communal ties), di carattere ascritti-
vo (l’individuo li possiede per nascita o così gli vengono attribuiti) e poggiano
su valori, simboli e credenze di forte lealtà al gruppo di appartenenza, e in
quanto tali sono caratteristici dei gruppi etnici, religiosi e in generale delle
«comunità spirituali»;
3.  legami comunitari (communi­tarian ties), che combinano caratteristi-
che associative e comunitaristiche, in modo tale che la libertà di accesso e
permanenza nel gruppo viene accoppiata con l’accetta­zione di alcuni valori
fondamentali, la solidarietà e l’uguaglianza servono a sostenere il bene comu-
ne e il mutuo aiuto, lo stato è organizzato come attore che agisce per conto
della società, e la società stessa è vista come comunità di ordine più elevato.
La tesi di questo autore è che lo sviluppo di una moderna società civile dipen-
de soprattutto dalla diffusione del terzo tipo di relazioni.
Tipi di relazioni sociali: processi associativi e dissociativi 95

2.  ALTRI CRITERI

Altri criteri classificatori sono:


•  relazioni statiche e dinamiche, ovvero morfostatiche e morfogenetiche
[Archer 1995];
•  relazioni di conflitto (competitive, antagonistiche) e di integrazione
(conformità, cooperazione) [Bajoit 1992];
•  relazioni di avvicinamento e distanziamento [Wiese 1955], ovvero di
coinvolgimento e distacco [Elias 1987];
•  relazioni primarie e secondarie [Moreno 1956], personali e impersona-
li [Wellman 1988];
•  relazioni dirette (interpersonali, faccia-a-faccia) e indirette (quelle che
si costituiscono attraverso la mediazione del mercato di larga scala, le or-
ganizzazioni amministrative, le tecnologie informative e di trasporto, ecc.);
Craig Calhoun [1992] sostiene la tesi che lo sviluppo della società moderna si
caratterizzi per l’emergenza delle seconde;
•  relazioni formali e informali, a seconda che richiedano rispettivamente
un alto oppure basso grado di competenza tecnica e di standardizzazione di
procedure [Litwak 1985; Di Nicola 1986; Bulmer 1987];
•  relazioni private e pubbliche, a seconda della discrezionalità ammes-
sa nel grado legittimo di apertura all’esterno, oppure ancora intime e non,
secondo varie gradazioni che vanno dalla massima intimità al massimo di
connotazione pubblica [Huston e Robins 1982];
•  relazioni deboli e forti [Granovetter 1973; 1982];
•  relazioni ugualitarie e disugualitarie, ovvero simmetriche e gerarchiche,
fiduciarie e non fiduciarie [Bajoit 2009], e così di seguito.
Le tipologie di relazioni possono essere utilizzate in vari modi. Segnalo i
due modi più importanti di utilizzazione.
1.  Possono servire per comprendere come cambiano le posizioni, i poteri e
le identità degli attori a seconda del tipo di relazioni che essi hanno e agiscono fra
di loro. Facciamo un esempio. Guy Bajoit [1992], rifacendosi alla prospettiva
sociologica di Alain Touraine [1975], ha elaborato una classificazione delle
relazioni sociali partendo dalla definizione di «relazione» come legame che
presenta due dimensioni fondamentali interconnesse fra loro: un legame di
identità (fonte di solidarietà) e un legame di alterità (fonte di scambio). L’identità
96 Capitolo 6

può essere convergente (consensuale) o divergente (conflittuale); lo scambio


può essere simmetrico o asimmetrico. Di qui le varie tipologie che possono
essere derivate incrociando le suddette dimensioni alternative. In questa linea,
la relazione viene definita come uno scambio che risponde a delle attese,
individuali o collettive (gli attori perseguono delle finalità e si aspettano dei
ritorni), e si svolge sotto certe costrizioni sociali (ogni attore ha risorse limitate,
e ciascuno tende a dominare l’altro e a difendersi dalla sua dominanza). Anche
quando è di fatto cooperativa (stare/agire in una relazione comporta mettere
risorse e competenze al servizio di qualche finalità comune), in quanto è
scambio, la relazione sociale produce sempre disuguaglianza, perché gli attori
– individuali o collettivi – traggono dei vantaggi diversi che dipendono dalla
posizione che occupano nella relazione e dall’influenza che gli uni esercitano
sugli altri. In breve, le relazioni possono essere distinte come forme diverse
di scambi che spostano risorse e poteri da certi attori ad altri.
2.  Possono servire per caratterizzare i diversi beni o servizi in quanto
sono prodotti e/o fruiti non già individualmente, ma in relazione agli altri.
Molti consumi si distinguono da altri perché esprimono certe relazioni sociali
anziché altre (i consumi come status symbol differenziano i ceti, oppure
segnalano relazioni di appartenenza a gruppi di marca, ecc.). I servizi sociali
personali si distinguono da quelli impersonali perché richiedono relazioni
integrate e di avvicinamento, primarie e dirette, più informali che formali,
anziché altri tipi di relazioni.
In particolare va menzionata una categoria di beni.
Il tipo e grado di relazionalità definiscono anche una categoria di beni
sociali, detti beni relazionali, le cui caratteristiche sono quelle di non essere
né strettamente pubblici né strettamente privati; si tratta di beni che non
sono competitivi secondo i giochi a somma zero, possono essere prodotti
e fruiti soltanto assieme dai partecipanti, non sono escludibili per nessuno
che ne faccia parte, non sono frazionabili e neppure sono concepibili come
somma di beni individuali. I beni relazionali sono diversi da quelli che, nella
teoria economica, sono detti «beni meritori» – che meritano di essere tutelati
in sé e per sé (ad es., l’educazione) – e dai «beni posizionali» – che hanno un
valore diverso a seconda della posizione sociale di chi lo valuta (ad es., un
pezzo di pane ha un valore diverso per un ricco o per un povero).
I beni relazionali caratterizzano le reti informali (beni relazionali prima-
Tipi di relazioni sociali: processi associativi e dissociativi 97

ri) e le reti associative (beni relazionali secondari), particolarmente in quelle


sfere sociali auto-organizzate che non sono strettamente dipendenti né dallo
stato (che opera attraverso il potere politico, il comando, la legge) né dal mer-
cato (il quale opera attraverso il denaro e il relativo sistema di prezzi) [Donati
e Solci 2011].
Secondo recenti indirizzi di pensiero sociogiuridico [Willke 1985], la re-
lazionalità sociale caratterizza anche un tipo di struttura legale, e più in gene-
rale normativa, che opera attraverso regole che vengono prodotte da continui
relazionamenti dei soggetti rilevanti, in modo affatto differente dagli ordina-
menti giuridici o normativi di tipo condizionale (che operano su comando o
in base a norme del tipo «se accade x, allora si deve fare y») e finalistici (che
operano per scopi o progetti). Il paradigma può essere generalizzato al cam-
po delle politiche sociali attraverso i sistemi di osservazione-diagnosi-guida
relazionale [Donati 1991, cap. 5] (esposti nel successivo cap. 7, par. 3). Si
tratta evidentemente di una relazionalità che si è ormai allontanata dal con-
cetto di «relazione» come semplice legame sociale, ossia come forza cogente
di una norma sociale precedente e sovrastante gli individui (come ancora la
maggior parte degli autori concettualizzano la relazione).
7
La società come rete 99

CAPITOLO

La società come rete

Nel capitolo si propongono due aspetti molto importanti della teoria


relazionale della società: una metodologia e una pragmatica. La teoria
relazionale della società si avvale infatti di un’epistemologia specifica
(che cosa e come si conosce), trattata nei capitoli precedenti, ma non si
limita a questa. La metodologia consiste in un’originale analisi relazio-
nale di rete e la pragmatica propone i cosiddetti «interventi di rete».

1.  L’ANALISI DI RETE

Dagli anni ’50 e ’60 in poi si è sviluppata, specie nei paesi anglosasso-
ni, a partire dall’antropologia struttural-funzio­nalista, la cosiddetta «analisi
delle reti sociali» (network analysis) [Barnes 1954; Nadel 1957; Bott 1957;
Mitchell 1969]. Benché raramente lo si rammenti, questi studi devono molto
alla sociometria di Jacob L. Moreno [1953; 1956] studioso teorico, empirico
e sperimentale delle relazioni interpersonali e dei piccoli gruppi (fondatore
della rivista «Sociometry. A Journal of Interpersonal Relations» apparsa nel
1937).
Con il concetto di rete non si intende solo evidenziare che gli individui
esistono in un contesto di relazioni, cioè che essi hanno legami referenziali
fra loro, ma – il che è diverso – che «c’è una relazione fra questi legami»
(l’espressione è di Raymond Firth, cit. in Forsé [1991, 259]), ossia che ciò che
accade tra due nodi della rete influenza le relazioni fra gli altri nodi, sia quelli
100 Capitolo 7

più adiacenti (che hanno relazioni dirette) sia quelli più distanti (che hanno
relazioni indirette). La rete non è un insieme di individui in contatto fra loro,
ma è l’insieme delle loro relazioni. E si noti che la dizione «relazione» non è
identica a quella di «legame».
Questi studi hanno avuto fin dall’inizio un carattere prevalentemente
metodologico, come applicazione delle scienze statistiche, della teoria dei
grafi e del calcolo matriciale a un modello di società concepito come insieme
di punti e linee (l’ela­borazione metodologica è divenuta di recente quanto
mai raffinata [Wasserman e Faust 1994]. Molto fecondi ne sono stati i risulta-
ti empirici [Nohria e Eccles 1992; Piselli 1995; Di Nicola 1998].
Tuttavia, è ancor oggi improprio parlare di una «teoria» delle reti sociali
basata sui network studies, dato che questi studi sono in generale condotti in
termini ateoretici. Sul piano teorico essi sono quasi sempre debitori vuoi di
teorie di carattere sistemico (strutturaliste e positiviste, che trattano la rete
come un tutto, nel qual caso viene detta whole network), vuoi di teorie di tipo
azionistico (individualistiche e spesso utilitariste, che trattano la rete come
insieme di individui in contatto con un individuo posto al centro, detta Ego
network), mentre è abbastanza raro che la relazione sociale compaia come
l’unità focale dell’analisi. Si annoverano comunque alcuni tentativi di passare
dal piano puramente metodologico a quello teorico, fra cui quelli di Ronald
Burt [1982] e di Barry Wellman e Stephen D. Berkowitz [1988], i quali appro-
dano di nuovo a una forma olistica di «analisi strutturale», come essi stessi la
chiamano, per cui è la struttura – o rete sociale – totale che determina le parti,
ossia le caratteristiche degli attori, i loro comportamenti e le stesse singole
relazioni diadiche, senza che sia messa in rilievo l’altra faccia della medaglia.
Si danno anche ricerche su grande scala mediante campioni rappresentativi
di un’intera popolazione nazionale. Ad esempio, in Francia, François Héran
[1988a; 1988b] e Michel Forsé [1991; 1993] hanno indagato empiricamente
le reti di socialità distinguendole in reti di sociabilità (intese come relazioni
concrete fra individui e/o gruppi primari) e reti di societalità (che riguardano
i rapporti più astratti fra individui e gruppi secondari) mediante un approccio
che all’analisi di rete unisce una sensibilità per il concetto di «gruppalità»
(gurvitchianamente inteso come «fenomeno sociale totale») [Baechler 1992].
L’importanza dell’analisi dei reticoli sociali è stata messa in luce, in par-
ticolare, dagli studi sul capitale sociale (che vedremo nel cap. 8, par. 11).
La società come rete 101

Infatti, quando si tratta di definire che cosa sia il «capitale sociale», entrano
in gioco e devono essere valorizzati tre elementi: l’individuo, la struttura, e le
relazioni. Le relazioni rappresentano il minimo comune denominatore che
sta alla base delle principali definizioni di «capitale sociale». Tuttavia i vari
autori si distinguono in quanto privilegiano uno dei tre anzidetti elementi:
•  alcuni privilegiano la prospettiva dell’individuo, ossia pongono il
fuoco dell’analisi sui modi attraverso cui gli individui come tali accedono/
utilizzano le risorse incardinate nelle relazioni, e di conseguenza definiscono
il capitale sociale come investimento che gli individui fanno in risorse incor-
porate (embedded) nelle reti sociali e accessibili e/o mobilitabili attraverso
azioni intenzionali con l’aspettativa di trarne un profitto (questa è, ad es., la
visione strumentale e utilitaristica di Lin [2001]);
•  altri privilegiano la prospettiva della struttura, ossia concepiscono il
capitale sociale come opportunità offerte agli individui (o nodi della rete)
dalle posizioni strutturali che essi occupano nella rete, ad esempio rilevando
che chi occupa la posizione di mediatore fra altre posizioni (broker) ha più
capitale sociale degli altri nodi (è la nozione di «buchi strutturali» elaborata
da Burt [1982]);
•  altri invece valorizzano il ruolo delle reti di relazioni; fra queste posi-
zioni va segnalato il cosiddetto «interazionismo strutturale» [Forsé e Tronca
2005], che cerca di superare il problema del determinismo di cui è stata
accusata l’analisi strutturalista, senza con ciò cadere nella prospettiva indi-
vidualista; in breve, qui si propone una nozione relazionale del «capitale so-
ciale» come effetto delle interazioni sociali che forgiano le strutture sociali;
il capitale sociale è visto come il prodotto di una rete sociale la cui struttura
rappresenta, ad un tempo, una costrizione e un effetto emergente delle inte-
razioni (se da un lato la struttura delle relazioni influenza gli atteggiamenti,
i comportamenti e le opinioni degli individui, dall’altro è anche vero che le
caratteristiche, i comportamenti e le interazioni degli attori contribuiscono a
configurare la struttura delle reti).
Secondo Forsé e Tronca, l’interazionismo strutturale può mostrare:
1.  come la struttura della rete favorisca (renda più probabile, laddove il
determinismo è concepito in senso debole e non forte) la scelta di questa o
quell’altra azione o opinione;
2.  come questa struttura sia anche il risultato di scelte individuali. Sen-
102 Capitolo 7

za questo principio, la rete resterebbe una sorta di «scatola nera». Non po-
tremmo spiegare in che modo un attore scelga di stabilire, in una struttura
preesistente, un tipo di relazione piuttosto che un altro. Di rimando, la strut-
tura della rete, come costrizione formale, è suscettibile di favorire la scelta di
un’azione piuttosto che di un’altra; ad esempio, la scelta di servire l’interesse
comune piuttosto che un interesse strettamente individuale. È questa circo-
larità fra struttura e azione, vista dal lato delle scelte individuali e razionali
in senso ampio, che costituisce il cuore dell’analisi strutturale nella sua com-
ponente interazionista.
Quest’ultima posizione si avvicina più delle altre due (individualista e
strutturalista) alla sociologia relazionale. Essa permette di definire il «capita-
le sociale» come realtà consistente di relazioni sociali sui generis (di fiducia,
cooperazione e reciprocità), e non solo come prodotto di scelte individuali o
della struttura dei reticoli sociali. In questa direzione, Tronca [2007] propo-
ne una strategia investigativa che integri la metodologia analitica proposta
dall’approccio relazionale (schema AGIL rivisto in senso relazionale) con la
rilevazione e il trattamento dei dati che sono svolti con strumenti propri del-
la social network analysis. La strategia consiste, sinteticamente, nell’adottare
lo schema AGIL per individuare le dimensioni fondamentali della relazione
sociale e poi nel connettere ognuno dei diversi tipi di legame sociale (indaga-
bili attraverso forme di analisi strutturale) alle dimensioni di AGIL (mezzi,
scopi, norme, valori) valutandone le qualità e la prevalenza. È così possibile
giungere allo studio della forma dei reticoli sociali senza negare la multidi-
mensionalità del contenuto delle relazioni che li costituiscono. Ad esempio,
sulla base di questa strategia analitica, il capitale sociale può essere colto
sia nella sua forma strutturale (di reticolo), sia nei suoi caratteri qualitativi
(quanto al tipo e grado di fiducia, alle qualità cooperative e di reciprocità fra
gli agenti) [Tronca 2013].

2.  L’OSSERVAZIONE RELAZIONALE

L’analisi di rete conduce, ove generalizzata, al cosiddetto «approccio di


rete» che tratta la società come «rete di reti di relazioni». Questo approccio
rappresenta una forma descrittiva, esplicativa e comprendente dei fenome-
La società come rete 103

ni sociali, se e in quanto utilizza un paradigma (linguaggio e regole) e uno


specifico apparato metodologico. Esso ha successo nella misura in cui può
raffinare l’analisi delle strutture relazionali ipercomplesse. Implica un’episte-
mologia relazionale per la quale la conoscenza sociologica (fig. 7.1):
1.  inizia con il definire il proprio oggetto come relazione sociale fra sog-
getti (A e B) che stanno in (appartengono a) diverse strutture socioculturali
in cui sono inseriti;
2.  prosegue osservando i fenomeni in una prospettiva relazionale, ossia
collocandosi dal punto di vista di un terzo osservatore (O) che osserva sia il
comportamento di un attore (A) verso l’altro (B), sia viceversa (il comporta-
mento di B verso A), sia la relazione che emerge da tale interazione (effetto
Y), che è l’oggetto o problema conoscitivo da cui si è partiti, il quale diventa
così l’oggetto di una specifica teoria.
A titolo esemplificativo, pensiamo al matrimonio. Si parte da un proble-
ma, e ci si chiede ad esempio: perché oggi il matrimonio (come istituzione
sociale) è in crisi, tanto che si osserva un drastico abbassamento dei tassi di
nuzialità? La sociologia a) inizia con il definire il matrimonio come relazione
sociale (il compito è complesso; ma in ogni caso, come relazione, il matri-
monio presuppone delle referenze simboliche, delle connessioni strutturali
e una forma emergente che deriva dal fatto che i soggetti A e B interagiscono
fra loro come coniugi), b) osserva, poi, i soggetti (A e B) con le loro carat-

Strutture (AGIL dell’azione di A) Strutture


socioculturali in cui A socioculturali in cui B
è inserito A B è inserito

(AGIL dell’azione di B)

Y
(AGIL della relazione
fra A e B)

fig. 7.1.  L’osservazione relazionale è quella fatta da O (terzo osservante, diverso dagli agenti A e B) che osserva
le relazioni fra A e B e il loro effetto emergente (Y).
104 Capitolo 7

teristiche in riferimento alle strutture socioculturali in cui sono inseriti e al


modo in cui essi (A e B) si rapportano al partner, c) analizza l’azione recipro-
ca fra A e B (come si esprimono le loro volontà, finalità, aspettative, senti-
menti reciproci), e di qui d) mette in luce se e come emerge quella relazione
(accordo, patto) che chiamiamo «matrimonio». Il matrimonio è tale se si
concretizza in un impegno reciproco che esprime un bene che sta al di là dei
due individui; nel caso che sia solo la somma dei loro interessi aggregati non
è un matrimonio, perché non c’è l’effetto emergente di reciprocità; potreb-
be esserci un effetto emergente, ma sarebbe di un altro tipo (una relazione di
utilità o di passione o altro ancora).
La sequenza avviene nel tempo: al tempo T1 troviamo delle strutture (ruo-
li) e dei modelli culturali (stili di vita) che definiscono il matrimonio nel con-
testo in cui A e B si incontrano; fra un tempo T2 e T3 i partner interagiscono e
possono mantenere o cambiare il contesto relazionale esistente dei ruoli e dei
modelli culturali del matrimonio; al tempo T4 emerge la relazione effettuale
fra i partner che sarà un’unione di un certo tipo. La sequenza può ovviamente
essere osservata ulteriormente nel tempo sempre sulla base dello stesso sche-
ma: in un certo tempo iniziale l’interazione ha certe caratteristiche e produce
certi effetti (il modo di fare matrimonio), mentre in un tempo successivo si
osserveranno altre caratteristiche e altri effetti, e così di seguito.
La teoria che, alla fine, il sociologo potrà produrre dovrebbe essere in
grado di identificare il peso e la qualità dei vari fattori che provocano il calo
dei matrimoni, il quale sarà dovuto sia ai mutamenti delle relazioni intersog-
gettive fra A e B, sia a certi cambiamenti nelle loro strutture socioculturali
di appartenenza, sia ancora al modo di combinarsi di questi fattori nell’«ef-
fetto emergente di unione», che, per tutti i fattori anzidetti, alla fine di ogni
sequenza osservata (al tempo T4) si presenta (emerge) come istituzione dif-
ferente da come si configurava al tempo iniziale (T1). Ad esempio, potrà
essere più ugualitaria nella divisione del lavoro domestico e nei processi
decisionali, più regolata in certi aspetti e meno regolata in altri aspetti, più
soggetta a vincoli pubblici per certi comportamenti e più privatizzata per
altri comportamenti.
Generalizzando lo schema, possiamo dire che l’analisi relazionale av-
viene lungo una sequenza che porta dalla struttura del contesto sociale, che
condiziona gli agenti/attori, attraverso la definizione dell’oggetto di indagi-
La società come rete 105

ne come relazione (che da relazione strutturale diventa relazione interper-


sonale), all’osservazione delle interazioni che modificano la relazione inter-
personale e fanno emergere una nuova struttura relazionale che costituisce il
nuovo (elaborato) contesto sociale di tipo istituzionale (fig. 7.2).
È più che ovvio osservare che, in generale, in una società modernizzan-
te, si verificherà un generale allentamento (maggiore contingenza) di tutte le
variabili implicate e delle loro relazioni, ciò che porta a una maggiore labilità
della relazione-matrimonio. Tuttavia, non se ne potrà dedurre un’evoluzio-
ne lineare di qualsivoglia tipo. Per converso, una tale analisi potrebbe anche
mostrare dove i soggetti incontrano le maggiori difficoltà nello sposarsi, e
quindi dove si potrebbe intervenire per modificare le caratteristiche della
rete sociale che può generare o ostacolare la relazione matrimoniale.
Non tutti gli autori che parlano di relazioni sociali sono propriamente re-
lazionali. Occorre sempre vedere in che senso, modo e grado viene utilizzata
(o meno) una teoria delle relazioni sociali in senso specifico.
Nel corso degli ultimi decenni nell’analisi di rete si è assistito a una cre-
scente divaricazione fra aspetti strutturali (oggettivi, impersonali) e aspetti
culturali (soggettivi, intenzionali), cosa per cui si avverte oggi la necessità

T1 - Struttura del contesto (ad es., il matrimonio come istituzione sociale)

Relazione sociale (ad es., il matrimonio come


relazione della struttura sociale che si pone come
relazione interpersonale fra i partner)

T2 - Interazioni (ad es., tra i partner) - T3

Relazione sociale (ad es., il matrimonio come


relazione interpersonale che diventa relazione
strutturale in una nuova forma di vita sociale)

T4 - Nuova struttura (elaborata) del contesto sociale


(ad es., nuova forma istituzionale del matrimonio)

Tempo

fig. 7.2.  Lo schema generale dell’analisi relazionale.


106 Capitolo 7

di un’integrazione fra tali dimensioni [DiMaggio 1992]. Del resto, l’analisi


storico-sociologica mostra come le identità sociali si formino in una rete e
procedano relazionandosi fra loro [Tilly 1996]. Con ciò si tende ad ampliare
il paradigma verso una configurazione più generale, che tratta della forma-
zione delle identità come «narrazione» degli attori in una rete sociale [So-
mers 1994]. Nella stessa direzione si muovono molti studiosi dei movimenti
sociali, i quali mettono in luce come tali movimenti si generino e rigenerino
attraverso l’attivazione di «identità reticolari» [Melucci 1984].

3.  L’INTERVENTO DI RETE

Sul piano operativo, il paradigma di rete conduce a una specifica prag-


matica relazionale, intesa come forma di intervento (di servizio sociale, di te-
rapia, di politica sociale) nella/sulla società. Particolare importanza vengono
oggi assumendo i modelli di intervento (o lavoro) di rete [Loriedo 1978; Sa-
nicola 1990; 1993; Folgheraiter 1994; 2004] intesi come sistemi di azioni che:
1.  a partire da una mappa di rete (della quale si studiano le caratteristiche,
come la densità relazionale, la multiplexity, ecc.), si propongono di modificare
la realtà agendo sulle relazioni, ossia producendo cambiamenti dei contesti e
dei comportamenti attraverso la modificazione delle relazioni esistenti;
2.  cercano di attivare i potenziali naturali delle reti sociali;
3.  utilizzano forme miste (anziché pure) di relazionamenti (cioè in­
trecciano relazioni formali e informali, primarie e secondarie, cooperative e
conflittuali, ecc.). Nella misura in cui la relazione sociale diventa l’oggetto dei
nuovi servizi sociali in senso lato alle persone, essa diventa anche il fulcro di
nuove professionalità e di un’etica relazionale del lavoro sociale [Constable
1992].
In linea generale, per intervento sociale si intende un’azione volta a
modificare uno «stato di cose» (ad es., la povertà, la disoccupazione, la tossi-
codipendenza, l’emarginazione sociale, ecc.) definito come il prodotto di un
particolare contesto relazionale che genera problemi. L’analisi sociologica
è orientata in modo da mettere in evidenza che un determinato problema
sociale emerge dalle interazioni fra attori che si trovano all’interno di una
struttura problematica la quale genera un’altra struttura problematica. In
La società come rete 107

questo modo, possono essere messi in luce fenomeni particolari, come ad


esempio:
1.  le trappole della povertà, che consistono in misure strutturali di
politica sociale che, anziché far uscire un individuo dalla povertà, lo inducono
a restarvi (la ragione sta nel fatto che l’intervento – ad es., un sussidio
assistenziale dato dallo stato – rende più conveniente per quell’individuo
fruire di quel beneficio che darsi da fare per guadagnare di più);
2.  oppure i cerchi della deprivazione sociale, che consistono nel fatto
che la distribuzione pubblica delle risorse sociali non riesce a spezzare la
trasmissione della povertà dai genitori poveri ai figli, perché l’intervento
sociale non modifica le cause della deprivazione famigliare.
L’analisi sociologica che intende avere una ricaduta operativa in termini
di modificazione di uno stato di cose nella società è detta ricerca finalizza-
ta. Essa deve adottare fin dall’inizio un’impostazione (disegno di ricerca)
orientata all’intervento per risolvere un determinato problema sociale. Ciò
significa adottare un modo di fare ricerca che mette in sequenza riflessiva
tre operazioni: l’osservazione relazionale (O), la diagnosi relazionale (D) e
l’intervento come guida relazionale (G) [Donati 1991, cap. 5].
•  Per osservazione relazionale si intende la capacità di tradurre un
fatto sociale in una relazione che fa problema. Nel caso di una ricerca fi-
nalizzata all’intervento, si assume che l’osservazione relazionale osservi il
problema sociale come stato di cose generato da determinate relazioni che
sono potenzialmente modificabili.
•  Per diagnosi relazionale si intende l’introduzione, nello stato di cose
(come relazione) osservato, della distinzione fra «normale» e «deviante»,
ovvero «soddisfacente» e «insoddisfacente», «fisiologico» o «patologico».
Queste distinzioni sono ovviamente delle elaborazioni culturali. La distin-
zione può essere dell’osservatore, degli attori in gioco o di una terza parte.
•  Per guida relazionale si intende l’intervento sociale che mira a cam-
biare uno stato di cose ritenuto deviante/insoddisfacente/patologico attra-
verso la modificazione delle relazioni che lo originano, cioè progettando un
processo morfogenetico che produca un mutamento del contesto relaziona-
le così da realizzare uno stato di cose più normale/soddisfacente/fisiologico
di quello osservato in un certo momento.
Questa sequenza, detta sistema ODG, consente al sociologo di pas-
108 Capitolo 7

sare dal piano conoscitivo (sapere perché avvengono i fenomeni) al piano


operativo (come intervenire per risolvere i problemi sociali), che è quello di
applicazione professionale della sociologia. I sistemi ODG sono la versione
specifica che la teoria relazionale offre al lavoro sociologico che consiste nel
produrre conoscenza-e-intervento insieme, e che si chiama action research
(ricerca-azione).
La sequenza ODG è riflessiva, nel senso che deve continuamente ope-
rare su se stessa ricominciando daccapo. In breve, il sociologo parte da un
sistema ODG al tempo T1 e ri-applica il sistema ODG alla struttura che è
emersa dall’intervento operativo al tempo T4, usando lo stesso sistema di
osservazione relazionale per analizzare e guidare le interazioni fra gli attori
nella fase intermedia dell’intervallo temporale T2-T3.
Ad esempio, se un committente (supponiamo il Comune di Roma o di
Milano) chiama un sociologo a intervenire sul problema sociale dell’aumen-
to di giovani tossicodipendenti in uno o più quartieri della città, il sociologo
dovrà impostare una ricerca finalizzata all’intervento. Innanzitutto farà una
diagnosi del contesto relazionale in cui emerge il problema, cercando di
capire come e perché il tessuto delle relazioni in quel territorio generi quel
problema. Poi valuterà il carattere patologico (di patologia sociale) emer-
gente dalla struttura del contesto relazionale in cui i giovani vivono. La terza
fase sarà impostata sulla guida relazionale, che consisterà nel coinvolgere
gli attori di quel contesto (prima i ragazzi, poi le famiglie, le reti informali,
le scuole, gli operatori dei servizi pubblici e privati, gli enti locali, ecc.) in
modo da modificare la struttura delle relazioni esistenti tra i giovani e tra
loro e il loro ambiente (sistema relazionale complessivo), così da generare
un processo morfogenetico che possa portare a far emergere un contesto di
relazioni sociali favorevoli ad evitare la dipendenza dalla droga.
Sul piano dell’intervento, la guida relazionale si caratterizza perché ope-
ra un cambiamento delle relazioni attraverso/con/insieme ai soggetti che le
vivono.
8
La relazione sociale come «molecola del sociale» 109

CAPITOLO

La relazione sociale
come «molecola del sociale»

Nel capitolo si propone un modo di intendere la struttura della relazio-


ne sociale. Per comprendere a fondo la relazione sociale, infatti, occor-
re entrare «dentro di essa». La qualità specifica di una società dipende
da come viene configurata la «materia di base» di cui è fatta (cioè la re-
lazione come «molecola del sociale»), che non è predeterminata come
nel caso del mondo fisico, ma si forgia in base alle azioni dei sogget-
ti che la pongono in essere. Viene inoltre descritto il passaggio dalla
molecola sociale moderna a quella dopo-moderna come processo di
morfogenesi sociale.

1.  CONFRONTI FRA SOCIOLOGIE RELAZIONALI

Per tutti i sociologi relazionali, la generazione di nuove forme di vita so-


ciale (morfogenesi sociale) avviene attraverso le relazioni sociali in quanto le
relazioni sono i connettori che mediano fra l’agenzialità delle persone (agen-
cy) e la struttura sociale. Il meccanismo generativo che alimenta la morfo-
genesi sociale1 risiede nella dinamica delle reti di relazioni sociali. Tuttavia
siamo ancora lontani da una teoria generale condivisa delle relazioni sociali.
La mia teoria relazionale della società è nata per criticare non solo l’in-
dividualismo metodologico e l’olismo metodologico, ma anche i fallimen-

1
  L’espressione «morfogenesi sociale» sarà a volte abbreviata in MGS.
110 Capitolo 8

ti degli approcci – solo parzialmente relazionali – di carattere formalistico


e strutturalista nel campo della social network analysis. Questi fallimenti
sono stati evidenziati da molti altri autori, fra i quali White [2008] e Azarian
[2010]. Rispetto a questi ultimi, il mio approccio si caratterizza per cercare
di approfondire la comprensione della stoffa che effettivamente costituisce
la relazione sociale come orderly process (processo ordinativo) che avviene
dentro la morfogenesi sociale. Io lo chiamo ordine relazionale della realtà.
La differenza fra la mia teoria e quella di altri autori sta nel fatto che io
cerco di mantenere le connessioni fra la relazione sociale in quanto costru-
zione sociale e in quanto espressione della natura umana in un ambiente bio-
fisico. La maggior parte degli autori che esprimono una sociologia relazio-
nale (ad es., Emirbayer [1997], White [2008], Crossley [2011]) riducono la
relazione a transazione, oppure a una narrazione (racconti di storie), oppure
ancora a un effetto strutturale di rete, e così via2, mentre io tratto le relazioni
sociali come una realtà che intreccia gli elementi derivanti dalla natura (sia
quella interna agli esseri umani, sia quella biofisica esterna) con gli effetti
derivanti dalle reti che connettono gli agenti/attori [Dickens 1992].
Ad esempio, per gli autori che ho appena citato, non esiste il leader
come tale, perché il leader esiste se ci sono i seguaci, anzi è creato dai segua-
ci. Ciò che esiste, dicono, è la relazione di leadership, e quest’ultima emerge
da una rete sociale. Ciò è indubbiamente vero, ma indica solo una parte di
realtà. Non chiarisce per intero la struttura della relazione che chiamiamo
«leadership». Per comprendere questa struttura occorre guardare anche
ad altri fattori. Una persona non potrebbe essere leader se non avesse certe
qualità e se non avesse una certa riflessività interiore, che egli riversa sulle

2
  Ad esempio, Crossley [2011], seguendo Emirbayer e White, afferma che i mondi
sociali «comprendono» (comprise) reti di interazione e relazioni. Sembra che la società sia
una specie di «spazio» in cui le relazioni avvengono nel tempo, anziché essere fatta della
stoffa delle relazioni. Crossley definisce le relazioni come «traiettorie vissute attraverso
una continua (reiterata) interazione, costruite attraverso una storia di interazione, ma
che comportano anche l’anticipazione di un’interazione futura». A suo avviso, i sociologi
dovrebbero focalizzarsi sulle reti di interazioni e relazioni sociali, dinamiche ed evolutive,
concepite come transazioni. Per quanto corretta, questa prospettiva ha però il difetto di
evitare l’analisi delle relazioni «dal di dentro», cioè non vede la costituzione interna delle
relazioni, e quindi non si confronta con la «sostanza» (di genere proprio) delle relazioni,
che sono ridotte a scambi-transazioni.
La relazione sociale come «molecola del sociale» 111

relazioni sociali con i seguaci. Inoltre, spesso sono necessarie certe condi-
zioni ambientali (situazioni di crisi, catastrofi, rivoluzioni, mutamenti siste-
mici). In breve, la leadership non è certamente un attributo della persona,
e tuttavia non emerge solo dalla struttura della rete relazionale. Emerge da
una realtà più complessa. È costituita da una varietà di fattori. Pensiamo al
carisma e alla figura del capo carismatico. Secondo Weber [1922], l’autorità
carismatica è «fondata sulla devozione all’eccezionale santità, eroismo o ca-
rattere esemplare di una singola persona, e dei modelli normativi o ordini
rivelati o impartiti da tale soggetto». Weber è un individualista, non vede la
costituzione relazionale di questo tipo di autorità, la vede come attributo
personale. Carisma e capo carismatico sono invece relazioni che emergo-
no da un contesto. Ma non c’è solo il contesto relazionale, perché hanno
un peso decisivo anche le qualità personali del personaggio carismatico e
l’appello a una visione ideale, sovranaturale o utopica. Questi fattori non
sono prodotti completamente dalla rete fra i nodi. La rete ha dei confini con
l’esterno, con il quale ci sono degli scambi. Ciò che dobbiamo affrontare è il
problema di comprendere l’intreccio tra i fattori interni ed esterni alla rete
che fanno emergere quelle relazioni.
Sostengo che il cambiamento sociale è una forma di «eccedenza» (sur-
plus) della società su se stessa prodotta attraverso una nuova relazionalità
nella struttura delle relazioni sociali. Tale eccedenza non deriva tanto dagli
effetti strutturali3, quanto piuttosto è generata dagli effetti relazionali, ossia
è dovuta al valore aggiunto delle relazioni sociali. È questo valore socia-
le aggiunto che trasforma la società e la rende morfogenetica, in quanto
produce delle entità emergenti (emergents). In questo capitolo, propongo
degli esempi che, in linea generale, si riferiscono al superamento dell’assetto
tipicamente moderno (cioè lib/lab) della società e indicano la nascita di una
«società relazionale».

3
  Mi riferisco agli effetti delle conditioning structures al tempo T1 del processo
morfogenetico.
112 Capitolo 8

2.  L’ARIA E LE RELAZIONI SOCIALI

Per comprendere il senso di quanto dirò circa la struttura delle relazioni


sociali, vorrei iniziare con una riflessione. Quando io penso «le» relazioni
sociali (cioè penso alle relazioni per quello che esse sono), mi viene sempre
in mente di paragonarle all’aria. Ciò che hanno in comune è il fatto di essere
invisibili a occhio nudo e il fatto di essere necessarie per gli esseri viventi.
Ma lo sono in modo assai diverso. L’analogia tra ciò che è l’aria per il corpo
umano e ciò che è la relazionalità sociale per l’identità delle persone umane
può essere istruttiva.
Diciamo che l’aria ha una «struttura» per dire che ha una composizione
più o meno regolare e stabile di elementi. L’aria non ha una struttura moleco-
lare propria, è semplicemente un miscuglio di gas e di microscopiche particel-
le solide e liquide; i suoi elementi di base si combinano fra loro modificando la
sua composizione mentre assumono o espellono certi gas a seconda delle con-
dizioni di pressione, temperatura, ecc. Ma non ha una «forma» nel senso in
cui il concetto di «forma» è implicato nel concetto di «morfogenesi sociale».
Può sembrare che la stessa cosa avvenga per le relazioni sociali. Ma non è così.
Nella morfogenesi sociale, la forma sociale non è un’aggregazione o composi-
zione di elementi, bensì è la struttura relazionale – attiva e modificabile – che
esiste e opera fra i suoi elementi, i quali possono essere radicalmente sostituiti
da altri elementi. L’aria non ha queste qualità. Ciò che l’aria può causare (il
bello e il cattivo tempo atmosferico) è dell’ordine delle probabilità. Ciò che le
relazioni sociali possono causare è dell’ordine delle possibilità.
In effetti, molte relazioni di vita quotidiana sono altamente contingenti
(casuali) nella loro composizione di motivazioni, desideri, sentimenti, aspi-
razioni, progetti, regole, interessi, mezzi impiegati. Le relazioni sembrano
fluttuare in modo simile all’aria quando sono composte da un miscuglio di
elementi poco o per nulla ordinati, che ne modificano continuamente la quali-
tà. L’aria può essere più calda o più fredda, più secca o più umida, più ferma o
più mossa, più pulita o più sporca, può assumere vari tipi di profumi e odori,
e così via. La stessa cosa può sembrare che capiti alle relazioni sociali: possono
essere più calde o più fredde, più stabili o instabili, e così via. Dunque, può
sembrare che vi sia una netta somiglianza fra l’aria e la relazione sociale. Così si
La relazione sociale come «molecola del sociale» 113

esprime il famoso detto di Marx (enunciato nel Manifesto del Partito comuni-
sta del 1848) che è stato ripreso da Berman [1982] a proposito dell’esperienza
della modernità: All that is solid melts into air (La solidità delle relazioni sociali
del passato si trasforma in aria). Ma io mi chiedo: le cose stanno proprio così?
La mia risposta è negativa. Io sostengo che, diversamente dall’aria, la
relazione sociale ha una «struttura molecolare» che consiste degli elementi
che la compongono e della relazionalità che si esercita fra di essi. Gli ele-
menti della relazione sociale non sono di ordine chimico-fisico. Il genere di
relazionalità che esiste fra gli elementi della relazione sociale è sconosciuta
al mondo chimico-fisico.
In base alla sua struttura, la relazione sociale assume qualità e poteri dif-
ferenti. A loro volta, le qualità e i poteri delle relazioni sociali decidono degli
effetti che le relazioni hanno sulle persone e sulle formazioni sociali. Forse
una società virtuale è fatta come l’aria, ma per una società reale le cose vanno
ben diversamente. Tant’è vero che chi sostiene che la nostra società diventa
«liquida», deve poi ammettere che di fatto esistono delle strutture sociali
dotate di grande stabilità e influenza sulla vita degli individui.
Se vogliamo descrivere e comprendere i fatti sociali reali e non imma-
ginari, occorre che l’analisi della struttura delle relazioni sociali eviti un ap-
proccio soggettivistico o puramente costruzionista. Se le relazioni sociali
esistono, cioè se hanno realtà propria, devono avere una struttura (molecola
sociale) che non è quella dell’aria, anche se apparentemente può trasformar-
si in modo simile all’aria.
Chi sostiene l’analogia fra l’aria e le relazioni sociali evoca delle immagi-
ni attraenti, ma dal punto di vista ontologico ed epistemologico porta fuori
strada. L’aria è un fenomeno di ordine chimico-fisico, mentre la relazione
sociale è un fenomeno che appartiene a un altro ordine di realtà, quello pro-
dotto dall’agire degli esseri umani.

3.  LA STRUTTURA DELLA RELAZIONE SOCIALE: ENTRIAMO


«DENTRO» LA RELAZIONE SOCIALE

Vediamo sinteticamente la composizione e la forma della relazione.


•  Composizione. La relazione è composta dagli elementi che proven-
114 Capitolo 8

gono dalle azioni di Ego e di Alter (i quali saranno influenzati eventualmen-


te dalle relazioni con altri). Questi elementi sono quelli che danno senso
all’azione, e dunque sono i più diversi: sentimenti, scopi, aspettative, mezzi
utilizzati, ecc. rispetto a certe affinità, utilità, bisogni individuali. Molti auto-
ri definiscono la relazione sociale nei termini di una struttura di interdipen-
denza fra mutual expectations4. Ciò è importante, ma non sufficiente, perché
non evidenzia il carattere di fenomeno emergente che la relazione sociale ha.
Un modo che io trovo interessante per concettualizzare gli elementi analitici
di ogni singola azione è quello che li raccoglie in quattro categorie: lo scopo
(o finalità) in una situazione, i mezzi usati per raggiungere lo scopo, le norme
che vengono seguite, il valore latente che la relazione incorpora5. Il «valore»
(scelto fra le varie opportunità) non è un modello astratto, ma corrisponde
al criterio di valorizzazione dello scopo dell’azione. Risponde al «perché»
un agente/attore attua un’azione e cerca una certa relazione. Anche la re-
lazione come entità emergente (emergent) può essere analizzata nella sua
composizione facendo riferimento ai medesimi elementi analitici, che tutta-
via sono empiricamente diversi da quelli presenti nelle singole azioni degli
agenti/attori.
I quattro ordini di elementi (scopi, mezzi, norme, valori) non sono ne-
cessariamente congruenti fra loro, anzi la loro coerenza è sempre proble-
matica. Qualcuno potrebbe chiedersi se nella relazione non ci siano anche

4
  Ad esempio, Azarian [2010, 326] definisce la «relazione» in questo modo: «[la
relazione] è dovuta all’esistenza di quelle mutue aspettative che le parti considerano
terreno comune per continuare le loro interazioni [così che] la relazione fra le parti non
solo diventa un flusso relativamente durevole e perciò osservabile di interazione, ma
anche un flusso più o meno modellato e ordinato di un comportamento significativo,
reciprocamente orientato secondo percorsi che sono familiari ad una storia accumulata
nel tempo, caratteristica che genera la probabilità che, come Weber [1922] puntualizza,
ogni parte sia messa in grado di attendersi un certo comportamento dall’altra parte e
(quindi) progettare la propria azione in base alla supposizione che l’altro agirà in una
certa maniera attesa». Personalmente ho criticato questa definizione di «relazione sociale»
(di derivazione weberiana), perché essa è «vuota», nel senso che non parla in realtà della
relazione come tale, ma piuttosto delle aspettative reciproche degli agenti/attori, che
sono bensì elementi necessari della relazione, ma non definiscono la relazione come realtà
emergente [Donati 2008, 103-109].
5
  Sottolineo ancora il fatto che i quattro elementi (scopi, mezzi, regole, valori) sono
stati evidenziati nella teoria di Parsons su AGIL. Io interpreto diversamente AGIL, non
già in chiave funzionalista, ma in chiave relazionale [Donati 1991, cap. 4].
La relazione sociale come «molecola del sociale» 115

i sentimenti (come gli affetti e la simpatia, oppure viceversa l’antipatia e


l’odio), le emozioni (come reazioni psicofisiologiche) e gli stati d’animo
(sentirsi tristi o felici, ecc.). La mia risposta è che sentimenti, emozioni, stati
d’animo sono nei soggetti (persone), e non nelle relazioni. Sono il riflesso
delle relazioni nei soggetti, ma non identificano la relazione come tale. Ad
esempio, se una persona sente antipatia, repulsione e tristezza verso un’altra
persona, queste sensazioni possono essere causate da relazioni assai diverse.
La relazione – in quanto ha una propria struttura e identità – precede e va
oltre i sentimenti, le emozioni e gli stati d’animo che caratterizzano la vita
interiore delle persone.
•  Forma. È la struttura relazionale che organizza gli elementi prove-
nienti dalle singole azioni e li combina in modo da conferire loro un certo as-
setto (effetto relazionale) che ha un potere causale sui partecipanti. È impor-
tante ribadire fin d’ora che le varie dimensioni della morfogenesi (strutturale,
culturale, agenziale) si intrecciano fra loro dentro la relazione sociale6. Ciò
avviene attraverso cambiamenti nelle componenti interne della relazione:
la cultura (L), l’asse connettivo della struttura adattativa interna (asse A-I)
e la finalità/intenzionalità (G) della relazione e nuovi relazionamenti fra tali
componenti.
La complementarità o contraddizione fra gli elementi AGIL compare
nell’elaborazione strutturale (al tempo T4), a seguito di quanto emerge dalla
rete interattiva dei soggetti agenti (nella fase T2-T3).
Detto in altri termini, la relazione sociale, considerata come risultante
delle azioni reciproche di Ego e Alter, è un mix degli elementi delle azioni
di Ego e Alter che avviene sotto i condizionamenti del contesto sociale e lo
modifica. In generale, in una rete sociale, il mix si forma attraverso l’incon-
tro-scontro (ossia una certa combinazione) tra le finalità, i mezzi, le norme, i

6
  Secondo alcuni autori, la «forma» è un tipo di identità socialmente codificata.
Polos, Hannan e Carroll [2002, 85] affermano: «I codici sociali specificano le proprietà
che un’entità sociale può legittimamente avere. L’esistenza di un codice sociale viene
all’evidenza quando si osserva che lo scostamento di un’entità dalla sua configurazione
ritenuta normale porta alla svalutazione di quell’entità da parte di insider e/o outsider».
Questa definizione è troppo rigida e riflette un’impostazione di tipo organico-sistemico,
in cui l’identità è concepita come univoca e funzionale. La definizione della forma come
identità può essere utile a condizione che il codice sociale sia inteso in senso relazionale,
come si dirà più oltre (parr. 5 e 6).
116 Capitolo 8

valori delle azioni singole entro le condizioni al contorno della rete. La com-
binazione di cui si parla ha una struttura relazionale autonoma rispetto alle
singole azioni che la generano. Letta come black box, questa struttura può
essere triviale oppure non-triviale (ossia può generare sempre uno stesso
out­put oppure può generare output sempre diversi). La morfogenesi sociale
può esistere solo se la black box non è triviale [Donati 2006, 212-220].
In breve, la relazione sociale è l’effetto emergente di azioni reciproche
reiterate nel tempo fra attori/soggetti sociali che occupano posizioni diverse
in una configurazione societaria (sistema o rete sociale). L’analisi relazionale
[ibidem] traduce la rete in una matrice (i  j/j  i) dalla quale si evince che
l’effetto relazionale è la risultante degli apporti di Ego e di Alter più l’appor-
to della relazione come tale [Tam 1989].
Gli agenti/attori realizzano degli scambi (con mezzi = A e norme = I,
cioè l’asse A-I) all’interno di un certo rapporto di potere (che ha un model-
lo di valore/legittimazione = L e degli scopi situati = G, cioè l’asse L-G).
L’azione reciproca (interazione), se stabilizzata in un certo lasso di tempo,
fa emergere un effetto che consiste in una struttura di interdipendenza (o
configurazione della relazione)7, che può essere reiterata oppure cambiata
nel tempo8.
Prendiamo ad esempio la relazione insegnante-alunno. Questa rela-
zione ha una sua struttura (AGIL) che possiamo identificare nelle seguenti
componenti: lo scopo situato dell’istruzione (insegnare qualcosa, un pro-
gramma), i mezzi adatti allo scopo (lezioni, libri, tecnologie varie), le regole
di interazione (l’alunno è tenuto a seguire l’autorità dell’insegnante), sulla
base di un modello di valore educativo (formare la persona dell’alunno).
Questa relazione assume una configurazione concreta a seconda di come si
comportano gli agenti (insegnante e alunno) con le loro singole azioni: cioè
se, in quale modo e in quale misura essi condividono scopi, mezzi, norme e
valori della relazione. Le combinazioni possono essere le più diverse quan-

7
  Configuration nel senso di Elias [1978].
8
  Come dirò più oltre, la struttura elaborata può essere un bene (relazionale) o un
male (relazionale) a seconda delle influenze (positive o negative) che ha sui soggetti/attori
della relazione e a seconda delle conseguenze (outcomes) che ha sulla rete più ampia delle
interdipendenze (social networks) in cui è inserita.
La relazione sociale come «molecola del sociale» 117

do ciascuno contribuisce a realizzare quella relazione con i propri scopi,


mezzi, norme e valore (variabilità della relazione). Ma se, nello scorrere del
tempo, la relazione educativa attraversa una morfogenesi che la trasforma
in un altro tipo di relazione (variazione della relazione), ad esempio diven-
ta uno stare assieme perché la scuola è solo un parcheggio, o diventa una
relazione del tutto informale che prescinde dai ruoli, allora è la struttura
della relazione che cambia. Pertanto, non affermo che prima ci sono le
strutture e poi le loro funzioni (come sostiene Parsons), né viceversa che
le funzioni creano le strutture (come sostiene Luhmann), ma che è la re-
lazionalità (il tipo di relazioni) che genera insieme forma e funzioni delle
strutture sociali.
Ovviamente, non si deve pensare soltanto a processi di degradazione
delle relazioni, ma anche, viceversa, a processi di arricchimento. Ad esem-
pio, le banche del tempo iniziano come relazioni di utilità fra persone che si
scambiano dei servizi, ma poi possono evolvere in relazioni di tipo comuni-
tario, perché attraverso gli scambi, che favoriscono la conoscenza recipro-
ca, la fiducia e la simpatia, i partecipanti arrivano a organizzare assieme le
vacanze o a condividere altre occasioni e opportunità che prescindono del
tutto dallo scambio di tempo per farsi servizi reciproci.
Consideriamo ora la relazione medico-paziente. Entrambi gli agenti/
attori hanno scopi, mezzi, norme, valori, che sono in parte convergenti e in
parte divergenti, comunque sempre soggettivamente intesi in modi diversi.
La relazione che emerge è fatta di elementi che provengono in parte dal
medico e in parte dal paziente, e si concretizzano in una realtà – activity-
dependent – che è la relazionalità effettivamente operante fra i due. Benché
la relazione sia supposta essere di genere terapeutico, in vista della salute
del paziente, può essere che gli elementi delle azioni non portino a questo
genere di relazione, ma a un altro genere di relazione.
Un altro esempio può essere quello della relazione di coppia. Quando
Ego e Alter decidono di formare una coppia, cercano di adattare i loro ri-
spettivi scopi situati, mezzi, norme e valori motivazionali in modo tale da
creare una relazione dalla quale ciascun partner possa ricevere quanto si
attende, compatibilmente con le esigenze dell’altro partner. Si suppone che
la relazione emergente sia l’amore reciproco, ma non sempre ciò avviene.
Ovviamente la risultante sarà quasi sempre asimmetrica. In ogni caso, «sta-
118 Capitolo 8

re» in questa relazione significa perseguire delle opportunità accettando dei


vincoli. Sia le opportunità sia i vincoli vengono continuamente rinegoziati.
L’azione del dono, cioè l’accettazione non condizionata delle aspettative
dell’altro, fatto da una parte oppure da entrambi, è possibile, ma è un’ecce-
zione, perché normalmente i due partner cercano di trovare un accomoda-
mento che soddisfi le loro esigenze personali. La difficoltà dell’accomoda-
mento nasce dal fatto che la relazione è un «terzo» che media fra Ego e Alter.
Ha una sua realtà, che è rilevante non solo per i partner, ma anche per gli
attori/agenti esterni alla coppia, i quali la osservano, la valutano, pongono
in essa delle aspettative. Chi osserva la coppia le attribuisce certe qualità e
poteri, che sono diversi dalle qualità dei partner.
Lo stesso potremmo dire della relazione fra datore di lavoro e lavora-
tore (che si concretizza in un contratto, che istituisce la relazione), oppure
insegnante e alunno, e così via. Gli elementi sono quelli di cui sono compo-
ste le azioni reciproche. I modi di combinarli dipendono dalla natura della
relazione e dal contesto sociale (condizioni al contorno). Se il setting è un
contesto familiare avremo una forma familiare; se è un ambulatorio medico,
una scuola, un’azienda, un’assemblea pubblica, ecc. avremo forme relazio-
nali diverse per ciascuno di questi settings.
Ciò non significa affermare che gli agenti/attori si conformino necessa-
riamente alla struttura del setting. La forma relazionale dipende dal tipo e
dal grado di riflessività e creatività degli agenti/attori.
La relazione di gruppo può essere vista come un’estensione della dina-
mica fra Ego e Alter a una pluralità di soggetti. Si veda il caso del reflecting
team utilizzato nei servizi che fanno terapia per le persone e per le famiglie
in difficoltà9 o il caso delle Family Group Conferences [Seikkula e Arnkil

9
  Il reflecting team è un metodo di lavoro sociale che ha lo scopo di fornire servizi
relazionali alle persone in difficoltà oppure a rischio attraverso la costruzione di una rete
relazionale fra professionisti (esperti) e la gente implicata in un particolare problema
[Andersen 1991]. Il team rimuove le barriere fra i terapeuti e i pazienti, fa partecipare
tutti a un dialogo in cui si cerca di ottenere un cambiamento della situazione, rimettendo
continuamente in discussione i ruoli e le relazioni fra tutti i partecipanti. Operando in
questo modo, i professionisti incontrano le persone in stato di bisogno senza ipotesi
preesistenti, si impegnano in una conversazione che va alla ricerca di ciò che non è an-
cora stato visto o pensato, in una forma di comunicazione che mira a far emergere una
comprensione alternativa di ciò che è stato definito come «problematico». Nella misura in
La relazione sociale come «molecola del sociale» 119

2006]10, che cercano di aiutare i genitori a gestire i problemi dei figli in situa-
zioni di rischio mediante la costruzione di reti interattive fra loro, dalle quali
far emergere una relazionalità che li sostenga nei loro compiti. In queste
dinamiche di gruppo si può vedere che la rete fra i partecipanti si forma sulla
base di una «molecola sociale» (parr. 5 e 6) che è la modalità riflessiva in cui
si struttura l’agire dei partecipanti al gruppo.

4.  LA RELAZIONE COME MECCANISMO GENERATIVO

La morfogenesi sociale inizia all’interno delle relazioni ed è attraverso


le relazioni che vengono generate le nuove forme sociali. È nella forma11
della relazione sociale che si realizzano oppure no, in vari modi e gradi, le
compatibilità, le contraddizioni, le complementarità12 fra gli elementi che
compongono la relazione.
Quando la forma della relazione sociale è un habitus, l’azione reciproca
assume un carattere automatico (basato su feedback negativi). La morfo-
genesi sociale avviene quando la relazione è agita con una riflessività dei
soggetti che comporta dei feedback positivi, in particolare dei feedback re-
lazionali. Tuttavia la riflessività può anche essere bloccata.

cui la rete opera con queste modalità relazionali, si aprono le possibilità di cambiamento.
Tali possibilità, comunque, sono valutate alla luce delle finalità terapeutiche, e quindi
siamo in presenza di quello che io chiamo un «sistema di osservazione, diagnosi e guida
relazionale» (ODG) [Donati 1991, cap. 5].
10
  Una Family Group Conference (FGC) è un processo decisionale e di programma-
zione in cui «gruppi familiari molto ampi» (genitori, parenti, amici, vicini, altre famiglie)
fanno piani e prendono decisioni per bambini e ragazzi giovani che sono stati identificati
sia dalle stesse famiglie sia dagli operatori sociali come persone a rischio o bisognevoli di
un intervento che è necessario per tutelarli e promuovere il loro benessere. È possibile
definire questo tipo di intervento come un servizio relazionale per il fatto che è basato
su un approccio massimamente partecipativo in cui i servizi sociali lavorano assieme ai
genitori, parenti, minori e altre relazioni importanti al fine di trovare la giusta via per
prendersi cura e proteggere i minori stimolando la riflessività delle persone coinvolte e
le loro relazioni, alimentando la riflessività delle stesse relazioni [Donati 2011b]. Per un
esempio pratico, cfr. Prandini [2007].
11
  La forma della relazione risponde alla domanda: «che tipo di relazione deside-
riamo fra noi?».
12
  Secondo quanto teorizzato da Archer [1988, 226 e 279-272].
120 Capitolo 8

In generale, la relazione è un meccanismo generativo, perché contiene


riflessività e quest’ultima rende la black box non triviale. Come tale, la rela-
zione ha delle qualità e proprietà che «eccedono» le interazioni sociali (che
hanno un carattere evenemenziale, sono puri «eventi»). Tra le varie qualità e
proprietà ne vorrei segnalare almeno due, che sono collegate fra loro.
1.  La relazione sociale è intrinsecamente riflessiva, nel senso che essa
«ritorna sempre indietro» sui soggetti che stanno nella relazione. Naturalmente
la riflessività può essere minima e a volte può anche mancare, ma allora la
relazionalità tende a zero. Proprio perché stanno in una relazione, gli agenti/
attori devono pensarsi e agire gli uni in relazione agli altri. La struttura della
relazione è riflessiva in quanto l’asse del refero (L-G) non è solo un riferimento
simbolico verso lo scopo che Ego e Alter intendono realizzare, ma è anche un
referre, cioè un riportare indietro alle loro motivazioni iniziali ciò che è emerso
dalle interazioni. A mio avviso, in questa qualità risiede il valore etico della
relazione, in quanto la relazione richiede un «rispondere» (responsabilità), cioè
un dare conto a se stessi e agli altri degli esiti delle interazioni13. Ovviamente,
la riflessività avrà caratteristiche assai diverse da relazione a relazione e da
contesto a contesto. Nel mercato, ad esempio, le cose vanno ben diversamente
che nella famiglia. In ogni caso, il carattere riflessivo della relazione è decisivo
per la dinamica sociale. Possiamo parlare della relazione come «meccanismo
riflessivo» (anzi: «molecola riflessiva» come poi dirò) del sociale.
2.  In parallelo, la relazione sociale non può mai essere puramente
meccanica, perché ha una struttura ternaria, non binaria. I meccanismi
(automatici) sono binari, non hanno finalità, mentre la relazione sociale – se e
in quanto si configura come meccanismo generativo – contiene un finalismo14.
Ovviamente, non è detto che il finalismo della relazione corrisponda alle
finalità dei singoli soggetti in relazione, anche quando sono d’accordo.
Tutt’altro. È normale che la finalità a cui serve la relazione si discosti dalle

13
  Nella mia prospettiva, l’eticità della relazione non sta nel fatto che essa debba
essere sempre aperta ad altre relazioni, come sostiene Fabris [2010], ma nel fatto che la
relazione implica che Ego e Alter ritornino sulle loro motivazioni-scopi iniziali per verifi-
care se l’esito delle loro azioni (G) ha effettivamente attuato o meno il valore (L) che essi
intendevano perseguire con le loro azioni (s’intende, alla luce del senso etico del valore).
14
  «La formula del fine è ternaria, quella del meccanismo (è) soltanto binaria»
[Simmel 1900; trad. it. 1984, 302].
La relazione sociale come «molecola del sociale» 121

finalità (volontà) particolari dei singoli soggetti in relazione, proprio in quanto


è un effetto emergente che deve mediare fra i soggetti. Tuttavia, affinché i
soggetti instaurino una relazione generativa, essi devono riconoscere una
dimensione finalistica alla loro relazione.
I tipi di riflessività e di finalismo decidono del potere causale che le di-
verse relazioni sociali hanno nell’essere generative di morfogenesi sociale.
Spesso, gli attori/agenti che si appellano a grandi «valori», come la pace, la
giustizia, la solidarietà, non sono efficaci nel generarla perché non vedono
come dare forma alla relazione sociale che deve realizzare quel valore. Per
comprendere il problema della forma della relazione, è utile pensarla come
una «molecola sociale».

5.  LA RELAZIONE SOCIALE COME «MOLECOLA DEL SOCIALE»:


IL CASO DELLA MODERNITÀ

Diversamente dall’aria, il sociale tende a organizzarsi in «molecole», le


quali – se stabilizzate – generano le strutture sociali che caratterizzano un con-
testo. Se entro in un pub, il contesto sociale che trovo prevede certi scopi (non
posso chiedere di comperare una bicicletta), certi mezzi per ottenere gli scopi,
certe regole e certi valori, nonché certe combinazioni fra di essi. In questo si
concretizza la molecola sociale del pub, che può essere ovviamente cambiata,
nel qual caso la molecola sociale va incontro a una morfogenesi sociale.
Recentemente, un noto sociologo inglese è venuto nella mia città per
tenere una lettura. Sono accorse migliaia di persone. Il contesto era quello
tipico di un pubblico reclutato attraverso i mass media per ascoltare una
voce famosa. Il relatore ha esaltato i nuovi diritti civili perché ci rendono
liberi e uguali eliminando tutte le costrizioni del passato. Ha ricevuto grandi
applausi. La molecola sociale di quel contesto era costituita da un’identifi-
cazione totale (Durkheim direbbe da una «solidarietà meccanica») con il
personaggio che esaltava una società priva di costrizioni dove ciascun in-
dividuo può scegliere il suo modo di vita. Quelle stesse persone, il giorno
dopo, hanno partecipato a una manifestazione di piazza per chiedere regole
più stringenti per la tutela delle pensioni e del posto di lavoro. L’osservatore
sociologico non può fare a meno di notare che i due contesti erano formal-
122 Capitolo 8

mente simili (in termini di mezzi e regole di incontro), ma con scopi e valori
opposti: libertari nel primo caso, ultraregolativi nel secondo caso. Le spinte
verso l’elaborazione strutturale del processo di morfogenesi sociale, di con-
seguenza, appaiono come forze opposte. E allora ci si chiede: le due mole-
cole sociali possono essere istituzionalizzate assieme? Lascio la risposta alla
ricerca empirica. Tuttavia osservo che questo esempio mostra le contraddi-
zioni interne della configurazione societaria che chiamiamo individualismo
istituzionalizzato (teorizzato inizialmente da Parsons) e ne spiega la profon-
da instabilità interna, perché tale assetto favorisce processi di morfogenesi
sociale altamente contraddittori.
Vediamo che cosa possa significare l’affermazione secondo cui possia-
mo pensare la relazione sociale come una «molecola», i cui elementi, con le
loro combinazioni interne, le conferiscono particolari qualità e poteri.
Una tribù o un clan esiste in quanto chi vi fa parte si sente legato nella
«molecola tribale», cioè in quel principio organizzativo della struttura tri-
bale o clanica che è totalizzante in quanto è uguale per tutti e non lascia
margini di variabilità.
Le società premoderne che fuoriescono dalla struttura tribale sono
generalmente stratificate. In questo assetto, ogni strato sociale ha una sua
«molecola sociale», la molecola di quello specifico strato (o ceto) sociale.
Le relazioni sociali nel ceto dell’aristocrazia medievale hanno una molecola
sociale diversa da quella dei ceti professionali e artigianali organizzati in
corporazioni (medici, notai, falegnami, macellai, ecc.), come dagli altri ceti.
Ogni corporazione ha la sua molecola sociale.
Le società moderne rompono le molecole degli strati sociali preesistenti,
e inaugurano un tipo di molecola sociale che, per qualità e poteri propri, è
completamente diversa rispetto a tutte le precedenti. Si tratta di una mo-
lecola che tende ad annullare il suo carattere morfostatico. La forma della
molecola moderna è basata sul principio della continua differenziazione
funzionale come sua distinzione-guida. Il che significa che assume il valore-
guida della contingenza (il plurale) come valore sovraordinato15 che apre
alla massima variabilità possibile della relazione sociale.

15
  L’espressione «valore sovraordinato» (superordinated value) è di Berger e Luck-
mann [1995].
La relazione sociale come «molecola del sociale» 123

Diciamo infatti che una società è moderna nella misura in cui la sua mo-
lecola sociale promuove il pluralismo, cioè la pluralizzazione di tutte le forme
sociali come suo valore-guida. Nella tarda modernità il processo si radica-
lizza. La molecola sociale appare come un’aggregazione/combinazione di
elementi che è una sorta di «forma senza forma», nel senso che le forme
sociali rifiutano qualsiasi «canone», standard, verità o identità univocamen-
te definita. Lo fa sulla base dei principi di libertà e uguaglianza fra tutti i
partecipanti. In un certo senso, la postmodernità può essere definita come
una forma di società in cui le strutture delle relazioni sociali sono intrinse-
camente (cioè normativamente) morfogenetiche, in quanto la MGS è allo
stesso tempo il valore e la norma sociale che guida tutta la società, in ogni
sua espressione. L’identità della forma postmoderna è come quella del pro-
tagonista del romanzo di Philip Dick, Un oscuro scrutare, che, assumendo
continuamente nuove identità, perde il senso di sé.
Gli scopi e i mezzi della relazione sociale seguono un criterio di valoriz-
zazione che si apre al mondo dei possibili. Il criterio consiste nella continua
creazione di variazioni e variabilità. Questo processo viene via via esteso a
tutte le sfere sociali, dalla politica all’economia, e da ultimo anche alla fami-
glia. I processi sociali si avvalgono di mezzi simbolici generalizzati i quali
possono operare solo a condizione di poter realizzare il valore normativo
dell’apertura ai possibili. Lo slogan è: creare sempre nuove e maggiori op-
portunità. Lo fanno innanzitutto il denaro e il potere politico. La stessa cosa
è richiesta a tutti gli altri mezzi simbolici generalizzati, in particolare ciò av-
viene per quanto riguarda la formazione dell’opinione pubblica (influenza)
e l’impegno verso i valori esistenziali.
Possiamo rappresentare la relazione sociale come una molecola median-
te una figura (fig. 8.1), che indica come la struttura della relazione consista
nei quattro elementi (A, G, I, L) e nelle loro connessioni (i sei «legami»).
Ogni elemento ha un confine con un suo specifico ambiente (in senso siste-
mico): i mezzi stanno al confine con l’ambiente delle risorse e delle oppor-
tunità; gli scopi con l’ambiente degli interessi posseduti da altri (individui
o gruppi); le norme con l’ambiente delle regole collettive; i valori con l’am-
biente delle realtà ultime o premure fondamentali (ultimate concerns, what
we care about).
Dal punto di vista logico, in questa struttura esistono due relazioni fon-
124 Capitolo 8

L (valori) I (norme)

A (mezzi) G (scopi)

fig. 8.1.  La struttura molecolare della relazione sociale.

damentali, cioè lo scambio fra le quattro componenti (AGIL), che può essere
più o meno simmetrico, e il loro ordine, che può essere gerarchico o di altro
tipo. Queste due relazioni, di scambio e di ordine fra le componenti, si com-
binano fra loro in un principio – costitutivo del sistema relazionale osservato
– che possiamo chiamare relazione di base, ovvero relazione fondante (found­
ing relation in inglese, Grundverhältnis in tedesco), in quanto è la struttura che
governa le sequenze degli scambi secondo un certo codice ordinativo.
Facciamo un esempio. Prendiamo la cittadinanza, definita come la re-
lazione di appartenenza di una persona a una comunità politica, che può es-
sere una città (comune), uno stato-nazione, o un’entità sovranazionale come
l’Unione Europea. Tale relazione include una serie di diritti-doveri che pos-
siamo sintetizzare nelle quattro componenti di AGIL con i loro rispettivi
ambienti: A. i diritti civili (di libertà, rispetto all’ambiente delle opportunità
e delle risorse); G. i diritti politici (di votare i propri rappresentanti di inte-
ressi, in rapporto agli interessi dei vari gruppi sociali e a quelli comuni); I. i
diritti sociali (i benefici di sicurezza sociale e welfare, erogati in base alle re-
gole collettive di equità e redistribuzione sociale); L. i diritti umani (inerenti
alla dignità della persona, per rapporto ai valori ultimi della persona umana
come tale). La cittadinanza è una diversa articolazione del complesso di
questi diritti, a cui corrispondono dei relativi doveri [Donati 1991, 267-271;
2006, 210-212 e glossario].
Quando il sociologo deve analizzare la cittadinanza come realtà empi-
rica, deve appunto studiare come questa relazione si concretizza di fatto in
La relazione sociale come «molecola del sociale» 125

diversi contesti e a differenti livelli territoriali. Si troverà di fronte a com-


binazioni differenti per quanto riguarda gli elementi appena detti, i loro
scambi e il loro ordinamento. Potremmo fare degli esempi riferiti alle cit-
tà (ad es., la cittadinanza a Milano o Palermo oppure a Parigi o Londra),
agli stati-nazione (essere cittadini in Italia o in altri paesi europei), oppure
fra la cittadinanza europea e quella americana. In tutti questi casi empirici,
troveremo che in quel determinato contesto c’è una struttura specifica che
prevede certe componenti (tutti o solo alcuni dei diritti-doveri di cui sopra)
e organizza i loro scambi in base a un certo ordinamento: questa struttura è
la relazione di base – o relazione fondante – della cittadinanza in quel conte-
sto. Chiaramente, si tratta di uno strumento euristico volto a semplificare la
comprensione di una forma che, in realtà, è assai complessa.
In base a questa concettualizzazione, possiamo caratterizzare la mole-
cola sociale prodotta dalla modernità avanzata nel seguente modo (fig. 8.2).
Essa è costituita da quattro elementi-base che si combinano assieme:

G
Selezione della varietà
(cambiamento della struttura o istituzione = MGS
per differenziazione funzionale)

Tecnologie A I
e condizioni Mezzi di produzione Norme per la produzione
materiali di varietà della varietà
nell’ambiente (il denaro come (regole di
esterno equivalente universale) competizione acquisitiva)

L
Distinzione direttrice
della relazione sociale è la sua in-differenza

mondo delle realtà ultime


(matrice teologica della società =
la trascendenza è nell’individuo)

fig. 8.2.  La molecola sociale della modernità (con la sua matrice teologica individualistica).
126 Capitolo 8

G.  lo scopo della relazione sociale è quello di selezionare una variazione


come ampliamento delle opportunità; per produrre nuove forme sociali (ad
es., nuove imprese, nuove associazioni, ecc.) la variazione deve essere liberata
da tutti i vincoli ascrittivi (ossia deve essere massimamente contingente);
A.  i mezzi per raggiungere tale scopo possono essere i più diversi, ma ciò
che è essenziale è che essi siano trattati come «denaro», perché il denaro è il
mezzo simbolico generalizzato di interscambio che consente di rendere equi-
valenti tutti gli oggetti privandoli dei loro vincoli; di fatto, il denaro è il trigger
della relazionalità tipicamente moderna, che rende in-differenti le relazioni
sociali, facendo svanire il loro carattere ascrittivo e la loro qualità intrinseca;
I.  le norme della molecola sociale moderna sono regole che devono favo-
rire la produzione di varietà, dunque tipicamente acquisitive, il che significa
che valorizzano la competitività per produrre continua innovazione;
L.  la distinzione direttrice della relazione è la sua in-differenza verso i
valori (ovvero il politeismo dei valori, come direbbe Weber); ossia, la rela-
zione valuta la realtà sulla base di valori che sono sempre negoziabili e fun-
gibili, ossia funzionalmente equivalenti ad altri valori; la cultura della società
degli individui è caratterizzata dalla liquidità e dalla decontestualizzazione
delle relazioni e viene alimentata da una matrice teologica arelazionale.
La figura 8.2 dice, fra le altre cose, che il denaro serve come mezzo (A)
per trattare i rapporti con l’ambiente esterno della relazione sociale dove si
trovano le risorse fisiche, scientifiche e tecnologiche. Mentre il criterio valo-
riale della relazione sociale (L) riflette il suo rapporto con una matrice teo-
logica che deriva dal protestantesimo, considerato da molti sociologi come
processo evolutivo di razionalizzazione [Parsons 1967].
Se osserviamo le cose in questo modo, possiamo renderci conto della veri-
tà e insieme della fallacia delle tesi di Luhmann. Com’è noto, Luhmann [1984]
ritiene che la funzione adattativa della società (A di AGIL), cioè la funzione
strumentale assolta dal denaro come mezzo simbolico generalizzato di comu-
nicazione, sia la funzione dominante e specifica del sistema sociale moderno,
per contrasto con i sistemi di società premoderni. «Una società – afferma Luh-
mann [1976, 517] – che dà la primazia istituzionale ai meccanismi monetari
(cioè, a livello sistemico, alla sua economia), si orienterà pertanto a un futuro
“aperto” e si concepirà come progressiva (mov­ing ahead)». A suo avviso, la
modernità consiste proprio nella creazione di una continua variabilità dovuta
La relazione sociale come «molecola del sociale» 127

al fatto che viene dato il primato funzionale all’economia, che svincola il dena-
ro da determinati valori e norme sociali16. In questo capitolo, io rovescio le sue
tesi. Sostengo che anche i sistemi di società detti «moderni» dipendono da un
modello di valore normativo. Tale modello valorizza un tipo di «relazionalità
pura» (quella del denaro, che non è legato a nulla) intesa come possibilità che
le relazioni sociali siano immunizzate da qualsiasi vincolo sociale. In tal caso,
non è il denaro – come mezzo (la funzione A di AGIL) – che rende la società
sempre possibile altrimenti, ma lo è invece il valore (L) che viene attribuito
alle relazioni sociali nella molecola tipica della modernità, e alle norme sociali
che ne conseguono. È questo valore normativo che legittima l’uso del denaro
come convertitore universale, cioè l’uso del denaro come equivalente astratto
di ogni cosa, e delle stesse persone umane.

6.  DALLA RELAZIONE MODERNA ALLA RELAZIONE


DOPO-MODERNA

La modernità è stata interpretata come dissolvimento di tutto ciò che è


solido. Si è detto che il mercato capitalistico erode le relazioni ascrittive e fa-
vorisce quelle di tipo acquisitivo. A un certo punto, le relazioni acquisitive,
per la logica che le governa, creano un contesto sempre più problematico, e

16
  Per maggiori dettagli, cfr. Donati [1991, cap. 4]. Luhmann riprende e porta alle
sue estreme conseguenze la prospettiva di Simmel, secondo cui lo scambio di oggetti
comporta sempre un senso di privazione in quanto tali oggetti sono percepiti come
insostituibili e quanto più essi sono percepiti come scambiabili e non nella loro insosti-
tuibilità, tanto più sono percepiti come entità astratte. Il denaro rappresenta la forma
più pura dell’interazione, una forma che prescinde dai contenuti della stessa interazione.
Nell’economia monetaria tutti i rapporti tra uomini tendono a farsi misurabili e calcolabili
e si ha il prevalere del calcolo rispetto al sentimento. Anche nella cultura diventa sempre
più difficile che l’individuo possa partecipare a ciò che fa aderendovi completamente,
coinvolgendo totalmente la sua personalità e questo processo riguarda, oltre che la cul-
tura in senso stretto, anche gli stili di vita, il mondo dei significati nella vita dell’uomo
contemporaneo. Pure il consumo subisce questo processo di oggettivazione in quanto
la produzione di massa, prevalendo sulla produzione su ordinazione, non permette una
scelta individuale del prodotto. Simmel riprende alcune categorie già usate da Marx per
affermare che il prodotto isolato rimane privo di significato per il suo produttore, che
il produttore è separato dai mezzi di produzione e che questa separazione (oggettiva e
soggettiva) è dovuta al fatto che la forza lavoro è merce e quindi il lavoro perde il suo
significato proprio di relazione sociale.
128 Capitolo 8

vanno incontro a crescenti insuccessi. Oltre una certa soglia critica, perdono
di senso17. Né gli individui, né i sistemi funzionali riescono a tollerare le fru-
strazioni che ne conseguono.
Ci possiamo chiedere: quand’è che avviene la morfogenesi sociale del-
la modernità? Dal punto di vista della sociologia relazionale, essa avviene
quando la relazionalità propria della sua molecola sociale si trova a fronteg-
giare un tipo e un grado di contingenza che non è più capace di gestire. La
società si avvicina a un breaking point in cui gli agenti/attori sperimentano
crescenti fallimenti. Diventa possibile il collasso della molecola sociale che
la struttura. Questo avviene nelle sfere più modernizzanti. Molti fenomeni
emergenti segnalano l’avvento di un punto di svolta (turning point) che è
indicato dalla formazione di un’altra molecola sociale, di tipo dopo-moderno,
a partire dalla sfera della latenza (cambiamento di valori). Ovviamente, c’è
una modernità che continua e una modernità che collassa. Questo processo
è rappresentato nella figura 8.3.

Dopo-modernità

Area
TP della
MGS

Modernità BP
Collasso della
relazione moderna

fig. 8.3.  Il passaggio dalla modernità alla dopo-modernità come svolta della struttura relazionale della sua
molecola sociale.

Legenda: BP = breaking point (quando si prevedono i disastri sociali provocati dal principio dell’equivalenza funzio-
nale – monetaria – come meccanismo di interscambio e convertibilità di ogni cosa in qualsiasi altra); TP = turning
point (passaggio dalla molecola sociale moderna a quella dopo-moderna mediante l’assunzione di un principio
di non-equivalenza funzionale); Area della MGS = quella parte della società in cui la molecola sociale moderna
viene destrutturata e nasce la molecola dopo-moderna, che si afferma in quelle sfere sociali in cui il principio di
equivalenza monetaria non funziona più e viene sostituito da principi di valore relazionale.

17
  La crisi delle relazioni acquisitive moderne è una crisi di senso in quanto nasce
dal fatto che la cultura postmoderna non attribuisce più un significato di successo (il
valore L) a certe mete (un tempo dette «di successo», ad esempio ottenere uno status
che dà ricchezza e potere) e quindi mette in crisi l’asse referenziale (il refero) che connota
le relazioni acquisitive.
La relazione sociale come «molecola del sociale» 129

Se pensiamo le relazioni sociali come «molecole sociali» i cui elementi si


combinano in modo da conferire particolari qualità e poteri a uno specifico
dominio sociale (come può essere una casta, un clan, un certo segmento di
mercato, la specifica cittadinanza di uno stato nazionale, ecc.), allora possia-
mo cercare di capire il passaggio morfogenetico dalla modernità alla dopo-
modernità nei termini di una mutazione della molecola sociale moderna.
Il collasso della relazione moderna può essere descritto come venire meno
delle complementarità fra cultura e strutture basate su una matrice teo­logica
individualistica. A questa sinergia fa seguito la nascita di esperienze in cui
emerge una nuova sinergia fra una cultura e una nuova struttura caratterizzate
dal senso relazionale sia dei valori sia dei ruoli/funzioni/prestazioni sociali.
Le avanguardie sociali che operano questo passaggio sono quelle che
escono fuori dal campo governato dal principio dell’equivalenza funzionale
(monetaria). Esse modificano la molecola della relazione sociale cambiando
la combinazione degli elementi che la formano. Il principio strutturale del
passaggio alla dopo-modernità è quello di una molecola sociale che rifiuta
l’equivalenza funzionale.
La figura 8.4 illustra i tratti della molecola emergente:
G.  lo scopo della relazione sociale è quello di selezionare le variazioni
secondo il tipo e il grado di relazionalità che comportano, in vista di genera-
re beni detti «relazionali»18;

18
  Scrivono Rushworth e Schluter [2011, 2-3]: «Questo significa [che si deve]
imparare a vedere la vita dalla prospettiva delle relazioni, a differenza di vederla dal
punto di vista del materialismo o dell’individualismo. Invece di assumere che il reddito
o il profitto dovrebbero generalmente essere l’obiettivo più importante per le decisioni
delle persone, delle aziende o dei governi, noi sosteniamo che invece debba esserlo il
benessere relazionale [relational wellbeing] – dal momento che ultimativamente le no­
stre relazioni sono ciò che più importa nella vita. Apprendere a pensare relazionalmente
richiede una rivoluzione copernicana: invece di porre la ricchezza materiale, oppure i
diritti e le libertà individuali, al centro del nostro sistema solare metafisico, con tutte le
altre cose – incluse le relazioni – che ruotano attorno ad essi, noi poniamo le relazioni
al centro, per meglio riflettere su ciò che ha per noi il valore più fondamentale (what we
ultimately value). Prendiamo, per fare un esempio, la decisione di acquistare un forno a
microonde: noi possiamo considerare questa decisione dal punto di vista finanziario (me
lo posso permettere?), o dal punto di vista spaziale (c’è spazio in cucina?), o dal punto
di vista ambientale (come incide sulle emissioni di anidride carbonica?) – ma che dire
di come viene a incidere sulla relazionalità (tra i familiari)? Avere un forno a microonde
può accrescere oppure diminuire il benessere relazionale in famiglia. Il fatto di ridurre il
130 Capitolo 8

G
Selezione della varietà
(cambiamento della struttura o istituzione = MGS
per differenziazione relazionale)

Tecnologie A I
e condizioni Mezzi di produzione Norme per la produzione
materiali di varietà della varietà
nell’ambiente (reti sociali che (il senso non
esterno conferiscono identità) fungibile delle relazioni sociali)

L
Distinzione direttrice
della relazione sociale è l’attribuzione di una differenza significante

mondo delle realtà ultime


(matrice teologica della società =
la trascendenza è nella relazione)

fig. 8.4  La molecola sociale della dopo-modernità (con la sua matrice teologica relazionale).

A.  i mezzi per raggiungere lo scopo possono essere i più diversi, ma de-
vono essere tali da consentire la produzione di beni relazionali; devono favo-
rire una rete di scambi sociali che conferiscono agli agenti/attori un’identità
soddisfacente;
I.  le norme della molecola sociale dopo-moderna favoriscono la meta-
riflessività, e quindi implicano la ricerca di una qualità non fungibile nelle
relazioni sociali; le relazioni sono cercate per la loro specifica qualità, sapen-
do che, se cambiamo il tipo di relazione, cambiamo anche le sue qualità (ad
es., lavorare in un’organizzazione non profit implica un genere di relazioni
qualitativamente diverse dal lavorare in un’azienda for profit, e i due ambiti
normativi non sono intercambiabili);

tempo per preparare il cibo può permettere di avere più tempo per parlare assieme mentre
si mangia, oppure invece può portare i membri della famiglia a mangiare in tempi diversi
e a non trovarsi per nulla assieme a chiacchierare. Osservare questa decisione attraverso
le lenti relazionali potrà chiarire proprio questo aspetto».
La relazione sociale come «molecola del sociale» 131

L.  la distinzione guida della relazione è la sua differenza in termini di va-


lore, ossia la relazione viene valutata in base all’esperienza significativa che essa
procura per differenza con altri tipi di relazioni; questo orientamento culturale
ha come matrice una cultura per la quale il trascendente è nella relazione (tra-
scendere non solo come «andare oltre», ma anche come «scendere tra»).
Di fronte a un possibile collasso della società, cioè a una crisi della sua
integrazione sia sociale sia sistemica, parti significative della società attivano
dei processi morfogenetici, che consistono nel creare delle reti di relazioni
in cui il principio funzionalistico viene sostituito da altri principi. Il denaro
viene sostituito da altri mezzi generalizzati di interscambio e comunicazio-
ne, ovvero da altri mezzi generalizzati di relazionalità sociale. La struttura
della matrice culturale cambia per riconoscere e promuovere il valore delle
relazioni sociali come criterio distintivo della nuova molecola sociale, in cui
i mezzi non hanno più il primato funzionale. La nuova molecola si afferma
se e nella misura in cui il primato della funzione adattativa (la A nella fig. 8.4)
viene sostituito dal criterio di valore della relazionalità sociale.

7.  EFFETTI STRUTTURALI ED EFFETTI RELAZIONALI

Nel processo di MGS (ossia nel ciclo T1-T4 teorizzato da Archer [1995]),
le strutture iniziali esercitano un effetto condizionante rispetto al quale gli
individui prendono posizione e reagiscono con la loro conversazione inte-
riore. La riflessività personale media fra le condizioni strutturali di partenza
al tempo T1 e la struttura emergente al tempo T4 in quanto genera nuove
relazioni nella fase intermedia T2-T3. A mio avviso, è importante considerare
il fatto che, in questo processo, si hanno due tipi di effetti diversi: gli effetti
strutturali e quelli relazionali.
Nella sequenza T1-T4 di ogni ciclo di MGS, gli effetti strutturali si eser-
citano al tempo T1 nei confronti degli agenti/attori che iniziano a interagire
al tempo T2. Gli effetti relazionali intervengono nella fase T2-T3 e hanno
come esito l’elaborazione strutturale emergente al tempo T4.
Gli effetti strutturali esercitano la loro influenza su un’arena di agenti/
attori che è una black box perché non possiamo prevedere come gli agenti/
attori elaboreranno le influenze esercitate dalla struttura condizionante.
132 Capitolo 8

Per loro natura, gli effetti strutturali sono effetti di aggregato. Essi ten-
dono a uniformare i comportamenti degli agenti/attori a prescindere dalle
loro opinioni, valori, riflessioni individuali. Un esempio di effetti strutturali
è l’influenza che una équipe chirurgica esercita sui singoli operatori. Il co-
stume di dire parolacce viene praticato anche da chi non le vorrebbe dire
perché c’è una pressione collettiva su tutti dovuta al fatto di dover affrontare
lo stress che proviene dall’invasività e drammaticità dell’intervento [Blau
1960]. Anche chi partecipa ai movimenti collettivi di massa si trova spesso a
comportarsi in un modo contrario alle proprie inclinazioni di valore, perché
è premuto dalla massa. Lo stesso capita quando un individuo deve esprime-
re un voto palese in un’assemblea pubblica, per timore del giudizio altrui.
Tuttavia, anche nelle situazioni più strutturate, non sempre tutti gli in-
dividui coinvolti in una situazione si comportano allo stesso modo, cedendo
alle pressioni strutturali. In tal caso, ossia quando c’è uno scostamento dalla
norma sociale del gruppo, si evidenziano gli effetti relazionali. In questi ultimi
si esprime la libertà degli agenti/attori, che è possibile perché essi si relazio-
nano alla situazione e agli altri in modo differente sulla base di una differenza
significativa (la L nella fig. 8.4). Essi mettono in atto comportamenti diversi, e
così creano degli effetti relazionali che sfuggono alla struttura condizionante.
Nella fase intermedia T2-T3 della MGS, la ricerca empirica deve osservare
– con analisi qualitative basate sulle storie di vita e ricerche campionarie – i con-
tributi degli individui e delle relazioni agli esiti finali. I contributi individuali
provengono dalla ridefinizione che il Self fa della propria identità e azione in
rapporto al contesto. I contributi delle relazioni derivano da come gli altri inci-
dono sulla ridefinizione del Me-We-You nel circolo delle interazioni. I due tipi
di contributi sono interconnessi. Lo mostra, ad esempio, una ricerca su come
gli interventi sociali riescano a fare in modo che i giovani appartenenti a bande
devianti desistano dal commettere reati [Weaver 2012]. Supponiamo che ci
si ponga la domanda «perché certe persone desistono dal commettere reati e
altre persone non lo fanno?». Per dare una risposta, si deve ipotizzare che esista
una black box che opera fra le strutture che condizionano i comportamenti del-
le persone da un lato e gli esiti delle reti interattive in cui le persone si trovano
dall’altro. Ciò che deve essere investigato è il modo in cui le relazioni vengono
configurate nella fase T2-T3. Gli agenti/attori hanno vincoli e facilitazioni (ena-
blements) che provengono sia dall’esterno, sia dalla dinamica di rete. Benché
La relazione sociale come «molecola del sociale» 133

le persone agiscano con una certa autonomia, sono le opportunità offerte dalla
rete che decidono se vi sarà desistenza dal commettere reati oppure no. L’im-
portante è vedere la realtà sui generis delle relazioni che possono produrre beni
o mali relazionali a seconda di come influenzano le scelte individuali aprendo
oppure restringendo le possibilità di creare un altro ordine relazionale di realtà.
Cade a questo proposito il tema del modo diverso di concepire il capi-
tale sociale. Gli effetti strutturali sono in genere enfatizzati dagli olisti (ad
es., autori come Robert D. Putnam e Francis Fukuyama), i quali intendono
il capitale sociale come la cultura civica che certe strutture istituzionali in-
stillano nei cittadini. Il capitale sociale è inteso come effetto strutturale. Altri
enfatizzano invece una definizione microsociologica del capitale sociale come
scelta razionale degli individui, seppure dentro certe strutture [Bourdieu e
Coleman 1991]. Diversamente da questi autori, io penso invece che il capi-
tale sociale debba essere inteso come un tipo di relazioni sociali che hanno
particolari qualità e poteri, in quanto producono non già conformità civica e
riproduzione sociale, ma effetti relazionali, cioè effetti che provengono dalla
modificazione delle reti di relazioni e creano altre reti di fiducia, cooperazione
e reciprocità. Quindi elaborano altre strutture sociali [Donati e Tronca 2008].
Sappiamo che, nel processo di MGS, c’è l’intenzionalità degli agenti/at-
tori, ma il processo come tale (la struttura che cambia) non è intenzionale.
Tuttavia, dalle ricerche empiriche sappiamo anche che il comportamento de-
gli agenti/attori – nella rete interattiva della fase intermedia T2-T3 – è guidato
dal problema della loro identità assai più che dalla necessità di rispondere alle
esigenze delle prestazioni funzionali [White 2008]. In altri termini, il motore
delle relazioni, ossia il fattore propulsivo dei fenomeni emergenti, è il bisogno
di ottenere un certo modus vivendi in cui realizzare un’identità soddisfacente,
assai più che adempiere un ruolo prefissato. I problemi di senso e di identità
prevalgono sulle richieste di prestazioni funzionali della rete. La struttura da
elaborare viene perseguita come struttura di opportunità in cui realizzare i
propri ultimate concerns, cioè una certa identità. In questo dato di realtà, si
evidenzia il fatto che la rete opera con una propria riflessività, che si carat-
terizza in quanto intreccia la conversazione interiore degli agenti/attori e la
riflessività delle relazioni fra i nodi della rete. Le relazioni della rete cambiano
perché gli individui cercano di realizzare una loro identità che non può essere
attuata che attraverso la rete stessa (in cui si gioca la dimensione della rifles-
134 Capitolo 8

sività, cioè il Me-Noi-Tu). In breve, nella fase intermedia T2-T3 di ogni ciclo
morfogenetico, il luogo del cambiamento sta nella rete relazionale in cui si
confrontano la riflessività personale, quella sociale (interpersonale) e quella
sistemica [Donati 2011b]. Il soggetto di tale confronto non è l’individuo come
tale, ma il soggetto relazionale [Donati 2012a].
Ciò che gli effetti relazionali mettono in luce è il valore sociale aggiunto
delle relazioni sociali che vengono messe in campo nella fase T2-T3 del ciclo
morfogenetico.

8.  IL VALORE SOCIALE AGGIUNTO DELLE RELAZIONI SOCIALI

In astratto, dire «valore aggiunto» significa, in breve, riferirsi a un incre-


mento di valore di qualcosa/qualcuno. L’incremento è prodotto da qualcosa/
qualcuno che ha agito/operato sul qualcosa/qualcuno che – per effetto cau-
sale – ha aumentato il suo valore. Quando ciò avviene attraverso la relazione
sociale abbiamo il valore sociale aggiunto della relazione sociale, cioè il valore
sociale aggiunto (VSA) che la relazione sociale conferisce a qualcosa/qualcu-
no. È la relazione sociale che valorizza qualcosa/qualcuno.
La relazione sociale può valorizzare delle cose, degli agenti/attori (indi-
viduali o collettivi), oppure ancora delle relazioni sociali.
Se ciò che le relazioni sociali fra gli agenti/attori nella fase T2-T3 valoriz-
zano è una relazione, allora siamo sulla strada della produzione di un bene
relazionale, che sarà pubblico se e nella misura in cui prevede l’accesso e la
possibilità di adesione da parte di tutti coloro che hanno un potenziale inte-
resse a condividerlo come forma di servizio relazionale.
Una rete associativa o un’organizzazione di Terzo settore crea VSA per-
ché, nel produrre beni o servizi (ad es., un servizio di cura dell’infanzia, di
disabili, anziani, ecc.), usa una quantità maggiore e una qualità migliore di
relazioni sociali rispetto a quelle che vengono usate dal mercato o dalle bu-
rocrazie della amministrazione pubblica. Se poi queste maggiori e migliori
relazioni sono mirate non alle semplici prestazioni come tali, ma anche alle
relazioni fra i soggetti coinvolti nel servizio, allora il servizio stesso diventa
un bene relazionale. Diventa un servizio relazionale in senso stretto.
Dire che una relazione sociale ha un VSA significa osservare il fatto
La relazione sociale come «molecola del sociale» 135

che mettere in relazione qualcosa/qualcuno (nel senso di creare un legame


o connessione) con qualcosa/qualcun altro produce un’entità che va oltre i
poteri e le qualità degli elementi/soggetti che sono stati messi in relazione.
Il complesso di refero-religo che viene posto in essere genera un valore
aggiunto perché incrementa il valore di ciò che è stato messo in relazione at-
traverso la stessa relazione sociale. Si tratta di un effetto emergente, e precisa-
mente di un effetto che emerge dalle qualità e proprietà causali della relazione.
Per comprendere questo processo di valorizzazione, è necessario con-
cettualizzare la «relazione che valorizza», dato che non tutte le relazioni
hanno la capacità di produrre questo effetto emergente (beni relazionali). A
volte, l’effetto emergente è negativo, nel senso che viene prodotto un male
relazionale (MR) anziché un bene relazionale (BR).
Allora ci chiediamo: come è configurata la relazione che conferisce va-
lore aggiunto?
Lo vediamo nella figura 8.5. Il valore sociale (Vs) di un’entità X (qual-
cosa/qualcuno, o anche una relazione sociale) può essere definito come una
funzione della relazione sociale (r) fra i due soggetti, Ego e Alter, che hanno
delle interazioni (I) (scambi o transazioni) fra loro, ossia: Vs (X) = f {r [I
(Ego/Alter)]}. Più in generale, il valore sociale di un’entità X è una funzione
della rete di relazioni (Nr) fra tutti i soggetti (o nodi Ss) che attuano intera-
zioni (I) fra loro nella rete: Vs (X) = f {Nr [I (Ss)]}.
Le reti di relazioni differiscono in molti modi per come trattano un’enti-
tà X. Ogni rete valorizza X in modo diverso da altre reti. Certe reti non valo-
rizzano affatto X, ma la sfruttano o la annientano. Solo certe reti di relazioni
producono beni relazionali, mentre altre reti producono mali relazionali.
Se rimaniamo nel caso più semplice della relazione a due fra Ego e
Alter, la relazione che conferisce valore aggiunto può essere vista secondo
quattro dimensioni, interrelate fra loro: come valore di scambio (A), come
valore d’uso (G), come valore relazionale o di legame (I), come valore
della dignità (L).
A.  La relazione ha un valore di scambio quando, attraverso la relazione
ad altro da sé, viene aumentato il valore economico (exchange value in ingle-
se, Wert in tedesco) di qualcosa/qualcuno, con riferimento a un sistema di
prezzi (valore aggiunto in termini di utilità).
G.  La relazione ha un valore d’uso quando serve per soddisfare sempli-
136 Capitolo 8

A-G = Area del valore G


estrinseco Valore d’uso
(ad es., capitale di Marx, (dimensione politica:
agire strategico di risponde a dei bisogni
Habermas) sovrafunzionali)

A I
Valore di scambio Valore relazionale
(dimensione economica: (dimensione di legame: la
exchange value, relazione come fattore che
con riferimento attiva delle connessioni
a un sistema di prezzi) e capacita i soggetti)

L-I = Area del valore


intrinseco
L
(ad es., relazione Io-Tu di
Valore come dignità
Buber, agire comunicativo
(worth, inteso come ciò
di Habermas)
che rende degno in sé e per sé)

fig. 8.5.  Le dimensioni analitiche del «valore» di qualcosa/qualcuno.

Nota:  Il valore aggiunto può essere misurato come accrescimento ottenuto in varie dimensioni: A.
nell’utilità dello scambio economico; G. nel soddisfacimento di bisogni non puramente funzionali; I. nella
relazione sociale che viene attivata o stimolata come legame attivo che offre nuove opportunità e risorse
relazionali; L. nell’accrescere la dignità del qualcosa/qualcuno di cui si tratta.

cemente dei bisogni, attraverso la relazione ad altro da sé (scopi sovrafun-


zionali della relazione).
I.  La relazione ha un valore come fattore che attiva delle connessioni
le quali aumentano le capacità dei soggetti (valore aggiunto in termini di
creazione di relazioni che migliorano le capacità, qualità e poteri, di ciò che
è messo in relazione); le relazioni che chiamiamo «capitale sociale» (fiducia,
cooperazione, reciprocità) ottimizzano questo criterio.
L.  Qualcosa/qualcuno viene valorizzato nel suo valore di dignità (valo-
re intrinseco) quando attraverso la relazione ad altro da sé viene riconosciu-
to e amplificato il senso della dignità che ha in sé e per sé, senza che il valore
(Würde in tedesco, worth in inglese [Collier 1999]) possa essere negoziato
(valore aggiunto in termini di riconoscimento).
La relazione sociale come «molecola del sociale» 137

Queste sono dimensioni analitiche del «valore». Nei processi di MGS,


il valore di qualcosa/qualcuno può essere incrementato o semplicemente
riprodotto tale e quale, oppure diminuito o annullato. La valorizzazione è
un’operazione di enhancement (to enhance significa «incrementare le buone
qualità di qualcosa/qualcuno») che avviene attraverso una peculiare combi-
nazione fra tutte o alcune delle quattro dimensioni esposte (fig. 8.5).
Quando mobilitiamo una rete di relazioni per accrescere il valore di
qualcosa/qualcuno, ad esempio un servizio alla persona, in modo più o
meno consapevole stiamo cercando di produrre un valore sociale aggiunto.
Lo otteniamo se e nella misura in cui ci serviamo del criterio relazionale, che
rimanda non già all’utilità economica o alla prestazione funzionale, bensì
alla capacità delle relazioni sociali di mobilitare risorse – tra cui le relazioni
stesse – che capacitano i soggetti produttori e fruitori del servizio.
Questo tipo di operazioni è, in teoria, specifico delle organizzazioni
non profit, a motivo delle loro supposte buone motivazioni. In realtà av-
vengono solo quando queste organizzazioni danno la priorità ai criteri di
valorizzazione che si riferiscono alle dimensioni relazionali e della dignità
(fig. 8.5).
Affinché ciò possa avvenire, occorre che venga resa disponibile la rela-
zione sociale che dà valore sociale aggiunto a qualcosa/qualcuno (X). Ciò
significa che deve esserci in potenza un certo capitale sociale (cioè relazioni
di fiducia, cooperazione e reciprocità).
Queste relazioni hanno a che fare con l’area della dignità e della relazio-
nalità (area L-I) del valore, cioè con l’area delle relazioni che conferiscono
un valore intrinseco a quel qualcosa/qualcuno (X). Se quest’area funziona in
modo da valorizzare relazioni positive, allora può essere prodotto quel bene
relazionale che, a sua volta, alimenta il capitale sociale in una sequenza che
non è circolare, ma ha un carattere lineare di successione nel tempo (senza
che si possa ritornare indietro). In questo modo, la relazionalità che si espli-
ca nell’interazione fra gli attori può accrescere o diminuire i parametri (fidu-
cia, ecc.) del capitale sociale da cui i beni relazionali pubblici dipendono. Se
questi parametri vanno sotto una certa soglia, o addirittura si azzerano, non
solamente non viene prodotto un bene relazionale pubblico, ma viene anche
consumato il capitale sociale. Questo è quanto avviene il più delle volte se il
processo di valorizzazione di qualcosa/qualcuno rimane confinato nell’area
138 Capitolo 8

del valore di scambio e del valore d’uso (area A-G), cioè nelle interazioni
che privilegiano il valore estrinseco della relazione sociale (fig. 8.5).
Un’ultima annotazione. In linea di principio, l’area del valore estrinseco
(area A-G, ad es. il capitale di Marx e l’agire strategico di Habermas) e l’area del
valore intrinseco (area L-I; ad es., la relazione Io-Tu di Buber e l’agire comu­
nicativo di Habermas) sono agli antipodi (nella fig. 8.5). Tuttavia nei processi
reali di valorizzazione è in atto una loro differenziazione a seconda dei momenti
(fasi temporali) e della materia in gioco, per cui è opportuno non dicotomizzare
le forme di valorizzazione. Non è detto, ad esempio, che il valore relazionale ag-
giunto, di per sé avente un carattere qualitativo intrinseco, sia necessariamente
incompatibile con, poniamo, il valore di scambio aggiunto, che è estrinseco.
Anzi, le attuali tendenze a far cooperare profit e non profit, ad esempio costi-
tuendo organizzazioni (anche fondazioni) che li associano per produrre beni
relazionali, vanno precisamente nella direzione di un processo di valorizzazio-
ne «composito», in cui tutti e quattro i criteri di valorizzazione (nella fig. 8.5)
concorrono alla creazione di un valore sociale aggiunto «complessivo».

9.  COME I CAMBIAMENTI DELLA MOLECOLA SOCIALE STANNO


TRASFORMANDO LA SOCIETÀ CAPITALISTICA MODERNA

Sappiamo che la società moderna è basata sul binomio stato-mercato,


cioè è un sistema societario che si basa sul compromesso fra cultura liberale
e socialista, che io denomino struttura lib/lab [Donati 2001]. La molecola
sociale di questa struttura lascia liberi gli individui di agire all’interno di un
campo di opportunità competitive regolate dal potere politico. Nei termini
di AGIL, è l’asse mezzi-scopi A-G che prevale, e rende funzionali a sé le
componenti normative e di valore di ogni relazione sociale.
Precisamente per il modo in cui è configurata, questa struttura neutra-
lizza la relazionalità della società civile, dove opera un Terzo settore che pri-
vilegia l’asse valori-norme (L-I) ed elabora nuove forme di socialità, le quali
fanno fatica a essere istituzionalizzate. C’è pertanto un conflitto aperto fra il
binomio stato-mercato da un lato e una nuova società civile dall’altro. Dove
va questo conflitto? È possibile ritenere che possa emergere una società
diversa da quella moderna?
La relazione sociale come «molecola del sociale» 139

La mia ipotesi è che si stia di fatto producendo una morfogenesi socie-


taria che fa emergere il Terzo settore, così da modificare la struttura lib/lab.
Per verificare questa ipotesi, si deve dimostrare che, in settori importanti
della società, la struttura binaria lib/lab viene sostituita da una struttura
triadica in cui, oltre alle componenti lib e lab, si afferma la componente del
Terzo settore, così da far nascere una nuova molecola sociale che va a forma-
re un nuovo sistema relazionale a livello societario.
Mi chiedo: questo processo di MGS è possibile e realistico? Sappiamo
che il mercato e il sistema politico amministrativo consumano la dimensio-
ne di legame e di appartenenza della relazione sociale, mentre valorizzano
la dimensione dell’autonomia del soggetto nelle relazioni sociali. Nei ter-
mini della teoria relazionale, l’autonomia degli agenti/attori è considerata
una dimensione essenziale della relazione, ma occorre che tale autono-
mia non sia giocata in modo individualistico, bensì in modo «relazionale».
Il che significa che la dimensione del riferimento di senso (refero: cioè
l’aspetto della motivazione soggettiva e dell’autonoma intenzionalità indi-
viduale) viene combinato con la dimensione del legame reciproco (religo)
in modo tale da produrre un effetto emergente dotato di una certa stabi-
lità.
Pertanto, se concepiamo lo stato e il mercato come istituzioni che fa-
voriscono l’autonoma intenzionalità del soggetto (precondizione per una
riflessività del soggetto non bloccata e per una relazione libera e respon-
sabile), mediante la rimozione delle costrizioni che limitano l’autonomia
dei soggetti, è d’altra parte necessario che questo processo non distrugga
il legame sociale. In breve, è necessario che la struttura lib/lab riconosca e
favorisca il rigenerarsi dei legami sociali, la qual cosa è opera della società
civile, e non può essere svolta dal mercato o dallo stato.
Molte ricerche empiriche mostrano che questa dinamica è effettivamente
in atto. I deficit e i fallimenti del binomio stato-mercato vengono affrontati
mediante la creazione di nuove forme sociali che sono opera della società civi-
le. Le qualità e i poteri propri di queste forme sociali sono basati su relazioni di
reciprocità e solidarietà sociale che generano dei legami sociali in un contesto
in cui gli agenti/attori godono di condizioni di libertà (lib) e uguaglianza (lab).
Se analizziamo i processi sociali in cui la modernità entra in crisi e di-
venta riflessiva, vediamo che le nuove forme sociali nascono laddove il mer-
140 Capitolo 8

cato e lo stato moderni generano dei vuoti da cui emergono nuovi tipi di
relazionalità sociale. Questa morfogenesi societaria è certamente incerta nei
suoi esiti, e tuttavia genera delle forti discontinuità con la modernità anziché
procedere all’infinito in modo funzionalistico come sostiene Luhmann.
Le discontinuità avvengono all’insegna di un nuovo pensiero relazio-
nale. Ho segnalato questa svolta molti anni fa [Donati 1986; 1993]. Oggi
da molte parti si inizia a mostrarne le implicazioni pratiche. Ad esempio,
Jonathan Rushworth e Michael Schluter [2011] sostengono che

apprendere a pensare relazionalmente è il primo passo verso la costruzi-


one di un mondo più relazionale. Esistono tre principali componenti per
il Pensiero Relazionale: a) imparare a osservare la politica pubblica e i
problemi personali attraverso le lenti relazionali; b) cambiare mete, valo­
ri e pratiche delle organizzazioni; c) sviluppare un quadro concettuale di
lavoro che sia appropriato alle relazioni19.

19
  Rushworth e Schluter [2011, 20-26] sostengono che il mondo delle imprese ha
un quadro e un vocabolario ben sviluppato per analizzare gli affari e la finanza: «bilanci
preventivi e consuntivi, il conto dei profitti e delle perdite, le attività e le passività, i flussi
di cassa, rapporto tra indebitamento e patrimonio netto, ecc.». I manager usano questi
termini ogni giorno. Ma nel regno delle relazioni, essi argomentano, «abbiamo bisogno
di un vocabolario e di categorie nuove per consentirci di descrivere e analizzare che
cosa succede alle relazioni in maniera oggettiva e accurata». Essi propongono i seguenti
principi (originariamente tratteggiati da Michael Schluter e David Lee in The R Factor
[1993]) e successivamente sviluppati nel Relational Proximity Model dall’organizzazione
Relationships Foundation. Questo modello è basato su cinque caratteristiche chiave: «1.
L’immediatezza (directness): [questa caratteristica] considera il grado in cui si è presenti
in una relazione, e come tale presenza sia mediata dalla tecnologia (email, telefono, sms,
ecc.), dal tempo e da altre persone. 2. La continuità: poiché il tempo è la moneta (cur-
rency) delle relazioni, la continuità riguarda sia la quantità di tempo che è spesa in una
relazione, sia la durata nel tempo e la stabilità della relazione. 3. La multiplexity: questa
caratteristica esamina l’ampiezza delle conoscenze che si hanno attraverso le relazioni,
specialmente le conoscenze di persone fuori dal posto di lavoro: ruoli familiari, hobby,
persone impegnate nella comunità, conosciute in esperienze passate. 4. La parità (l’essere
alla pari nelle relazioni): questa caratteristica ha a che fare con il potere nelle relazioni;
possono certamente esservi dei differenziali (di potere), ma la questione è: questi differ-
enziali favoriscono la partecipazione e il rispetto (degli altri) oppure creano relazioni più
povere a causa dell’abuso di potere? 5. La comunanza (commonality): questa caratteristica
considera il grado in cui vengono condivisi i valori e/o le identità; laddove questi ultimi
divergono, specialmente a causa del fatto che le agende personali sono nascoste, nelle
relazioni viene creata tensione» [corsivo nostro].
La relazione sociale come «molecola del sociale» 141

Ciò che viene generato, a mio avviso, è una «società relazionale» [Do-
nati 2013].

10.  UN ESEMPIO ISTRUTTIVO: LA COOPERAZIONE SOCIALE

Dalla società civile nascono iniziative di tipo cooperativo che cercano di


creare un’economia socialmente responsabile capace di modificare le leggi
del mercato capitalistico20. Il loro obiettivo è tenere sotto controllo la leg-
ge del profitto, legando il denaro a dei vincoli sociali. Esattamente quanto
Luhmann ritiene essere un agire antimoderno, perché non opera con criteri
funzionali e non apre a maggiori contingenze, ma fa il contrario, in quanto
vincola le contingenze create dalla moneta a esigenze prosociali. Di fatto la
cooperazione sociale esiste nella misura in cui le relazioni cooperative non
adottano la legge dell’equivalenza funzionale e rifiutano il criterio di valo-
rizzazione basato sull’equivalenza monetaria. La loro capacità di vita è però
sempre problematica. Dal punto di vista empirico, il più delle volte, le ini-
ziative cooperative si trasformano in organizzazioni capitalistiche. Perché?
A mio avviso, il successo della cooperazione sociale dipende dalla sua
capacità di stabilizzare una molecola sociale non capitalistica. Vediamo che
cosa ciò significa.
La cooperazione sociale è un’organizzazione caratterizzata da una propria
forma (molecola) sociale che si basa sui seguenti elementi intrecciati fra loro:
G.  lo scopo è produrre dei beni che non sono cercati per il motivo del
profitto, ma devono avere una finalità prosociale, cioè devono soddisfare
dei bisogni che non sono assoggettabili allo scambio di profitto;
A.  i mezzi (capitale finanziario, lavoro, tecnologie) devono essere scelti
e trattati in maniera appropriata al perseguimento degli scopi prosociali;
I.  le regole organizzative sono: il non distribution constraint, la demo-
crazia interna come modalità di governance della cooperativa, la responsa-
bilità in solido dei membri della cooperativa;

20
  Le considerazioni che qui svolgo a proposito della cooperazione sociale possono
essere applicate a qualunque sistema di azione cooperativo, ad esempio anche la coope-
razione internazionale oppure la cooperazione fra stati (Unione Europea, Mercosur, ecc.).
142 Capitolo 8

L.  il valore (criterio distintivo che valorizza l’organizzazione cooperati-


va) è la socialità, che si applica al modo di produzione, alla destinazione dei
beni e all’uso dei ricavi.
L’integrazione fra queste quattro componenti (AGIL) è sempre proble-
matica. Richiede un’elevata e adeguata riflessività nel gestire le relazioni fra
gli elementi di questa specifica molecola sociale che chiamiamo la «forma
cooperativa». In particolare, l’integrazione sistemica (A-G) e l’integrazione
sociale (L-I) hanno difficoltà a combinarsi secondo una complementarità
concomitante, capace di connetterle in modo efficace. Quando l’impulso a
creare una cooperativa sociale che proviene dall’area socioculturale (valori e
norme) non trova corrispondenti complementari nell’area sistemica (mezzi
e scopi), l’iniziativa cooperativa entra in crisi.
Ciò accade perché la complementarità concomitante (convergen-
te) deve affrontare delle sfide che portano la cooperativa ad adottare una
complementarità contingente (non necessariamente convergente) fra l’in-
tegrazione sistemica e l’integrazione sociale. Ad esempio, i manager usano
il denaro per avere un profitto collettivo, pensando di investirlo poi in fini
prosociali. Ma in tal modo abbandonano il primato del valore della socialità.
I vincoli che impediscono le contraddizioni fra motivazione al profitto e
finalità prosociali vengono meno e portano alle contraddizioni competitive
fra le esigenze sistemiche (A-G) e quelle di integrazione sociale (L-I). Quan-
do ciò si realizza, le imprese cooperative diventano imprese di mercato.
Questo processo di morfogenesi della forma cooperativa in direzione di
un agire capitalistico può essere evitato solo se l’integrazione sociale (che con-
siste nella combinazione fra il valore della socialità (L) e le conseguenti norme
regolative (I)) riesce a rendere relazionale l’integrazione sistemica (che consiste
nell’adeguare i mezzi (A) della produzione a fini prosociali (G)). Gli scopi de-
vono produrre dei beni relazionali, e non altre cose. I fattori della produzione
(denaro, lavoro, tecnologie) devono essere definiti in senso relazionale.
Generalizzando il discorso, si può dire che la costruzione di «altri mer-
cati» (non capitalistici) dipende dall’introdurre una nuova relazionalità nel-
le componenti (AGIL) della forma (molecola sociale) cooperativa. Questo è
precisamente quanto sta avvenendo in alcuni settori dell’economia, che non
a caso vengono spesso chiamati «relazionali», come ad esempio la produ-
zione di commons in internet [Bauwens 2008; 2012], il turismo relazionale,
La relazione sociale come «molecola del sociale» 143

l’impresa relazionale, l’economia civile [Sacco e Zamagni 2002; Rushworth


e Schluter 2011].
Le molecole sociali che fuoriescono dalla modernità hanno una certa
caratteristica: in modo implicito o esplicito si orientano a produrre beni
relazionali, attraverso relazioni che – nel gergo internazionale – sono deno-
minate «capitale sociale». Vediamo che cosa ciò possa significare.

11.  CAPITALE SOCIALE E BENI RELAZIONALI

È in corso da molto tempo un dibattito internazionale su che cosa sia il


capitale sociale. A volte viene definito come cultura civica e altre volte come
un genere specifico di relazioni sociali. Inoltre, a volte viene considerato
come explanans e altre volte come explanandum. La soluzione che io pro-
pongo sta nell’osservare il capitale sociale (CS) dentro una sequenza morfo-
genetica rispetto ai suoi prodotti, cioè i beni relazionali (BR).
Per chiarire questo punto, propongo uno schema (fig. 8.6) che sintetiz-
za le mie tesi di fondo, secondo le quali il CS è un prodotto dei beni relaziona-

T1 - Rete di partenza: esiste (o si forma ex novo) una rete di relazioni fra gli attori che si attiva/
mobilita per produrre un servizio (è il disegno di intervento sociale, che ipotizza la crea-
zione di un bene relazionale)

CS come variabile dipendente (explanandum)

T2 - Interazioni nella rete: la dinamica della rete di relazioni genera interazioni più o
T3 meno riflessive (che producono o consumano CS) - T3

CS come variabile indipendente (explanans)

T4 - Proprietà della rete emergente e suoi effetti: il CS che emerge dalle


interazioni nella rete produce il servizio progettato in partenza come bene
relazionale (l’intervento sociale ha successo) oppure non lo realizza o lo
ottiene solo in parte (l’intervento sociale fallisce o è parziale)

fig. 8.6.  Il valore sociale aggiunto del capitale sociale (CS) come (ri)generazione di beni relazionali (BR) nel tem-
po (ciclo T1-T4 ), ossia come modificazione dell’ordine delle relazioni attraverso l’ordine delle interazioni.
144 Capitolo 8

li e, a sua volta, è un rigeneratore di beni relazionali. La ricorsività fra CS e BR


relazionali è solo apparente, nel senso che può essere risolta introducendo lo
schema morfogenetico, che tiene conto delle fasi temporali e dell’apporto
autonomo («stratificato») di ogni elemento nelle singole fasi del processo.
In questo schema si vedono con chiarezza i rapporti fra CS e BR (sempre
semplificando al massimo). Il fatto che sia il CS a generare i BR oppure se
accade il contrario dipende dalla fase in cui osserviamo il processo sociale.
Facciamo un esempio.
Tempo T1: l’inizio del processo si ha quando viene organizzato un inter-
vento (un’azione fra diversi soggetti) che attiva/mobilita la/le relazione/i fra gli
attori come bene da perseguire, come bene in sé, ossia come BR. Ad esempio,
dovendo organizzare un intervento di cura (un servizio di nido per i bambini,
l’assistenza domiciliare per anziani) lo si disegna e lo si attua mobilitando le
relazioni fra gli individui da assistere e gli attori delle loro reti primarie e secon-
darie. Ciò genera una situazione dalla quale può emergere più o meno CS, o
anche nessun CS, in termini di fiducia, cooperazione e reciprocità fra gli attori.
Tempo T2-T3: il fatto che venga generato più o meno CS dipende dagli
attori e dalla rete che viene a essere creata e mobilitata. Qui gioca la riflessi-
vità degli attori e delle loro reti [Donati 2011b].
Tempo T4: se nelle interazioni di rete della seconda fase la dinamica ha
generato CS allora il BR di partenza viene rigenerato o anche accresciuto,
mentre se nella seconda fase il CS è stato solo consumato o distrutto non si
producono BR, e anche quello di partenza scompare.
Dal tempo T4 comincerà un altro ciclo morfogenetico. La rete di rela-
zioni esistente al tempo T4 dovrà affrontare le interazioni fra i soggetti, così
che il CS sarà messo nuovamente in gioco.
È importante sottolineare che nella fase interattiva ha un ruolo decisivo la
riflessività personale degli attori e la riflessività relazionale delle loro reti, men-
tre il contesto strutturale incide nel favorire un certo tipo di riflessività piut-
tosto che un altro (è la riflessività – o meglio riflettività – sistemica [ibidem]).
Questo quadro evita di confondere21 fra loro i BR e il CS, li mantiene
distinti ma anche relazionati fra loro.

21
  Il termine italiano «confondere» sta qui per il termine inglese conflation (traducibile
con «conflazione») utilizzato da Archer [1995] per indicare le forme di confusione, o se
La relazione sociale come «molecola del sociale» 145

Possiamo allora parlare di un valore sociale aggiunto del CS che:


1.  consiste nel (ri)generare (anziché consumare, annullare, ecc.) i BR;
2.  si può misurare con la capacità della rete associativa di produrre
relazioni interne ed esterne che agiscono in maniera riflessiva [Donati e
Solci 2011] facendo sì che le relazioni condivise siano rese più efficaci, cioè
aumentino l’efficacia operativa della rete (potenziamento di G di AGIL
applicato alla rete associativa).
Il VSA delle relazioni che chiamiamo CS, dunque, come capacità di gene-
rare beni pubblici relazionali a partire da un contesto organizzato in vista di
BR. In un intervento sociale che funziona bene (perché produce effettivamen-
te dei beni pubblici) non c’è una circolarità confusiva fra CS e BR, ma si ve-
rifica un processo morfogenetico che segue una precisa sequenza temporale.
Il VSA è la differenza fra la situazione iniziale al tempo T1 e la situazione
al termine del ciclo morfogenetico considerato al tempo T4 (può essere po-
sitivo o negativo). Il VSA misura la capacità di una rete associativa di essere
efficace qua talis (quindi di non essere asservita ad altro da sé), in quanto
misura la capacità di una rete di produrre sociabilità come valore aggiunto
(ossia come accrescimento dei suoi parametri relazionali: ad es., il grado di
reciprocità, cooperazione, fiducia, simpatia, ecc.), ossia se e in che misura la
rete riesca a mettere in sinergia il suo BR (interno) con il CS (in tutte le sue di-
mensioni: il capitale sociale bonding come legame di solidarità interna, quello
bridging di connessione con l’esterno, e quello linking che connette differenti
livelli di relazioni, ad esempio fra le associazioni locali e quelle nazionali),
giacché l’uno ha bisogno dell’altro per produrre frutti di prosocialità.
Un esempio può essere quello della Tagesmütter (la cosiddetta «ma-
dre di giorno»). Questa figura viene creata con un contratto erogato da un

si preferisce di assimilazione o fusione, di un’entità A rispetto a un’altra B. Nel caso che


le due entità siano le strutture sociali e l’agire degli individui nei processi morfogenetici, si
parla delle seguenti tre forme (semplificando al massimo la spiegazione): a) la downwards
conflation (conflazione verso il basso) si ha quando si suppone che la struttura sociale de-
termina in toto l’agire degli individui (l’efficacia causale è attribuita solo alle strutture); b)
la upwards conflation (conflazione verso l’alto) si ha, viceversa, quando si suppone che sia
l’agire degli individui a determinare la struttura sociale (l’efficacia causale è attribuita solo
alle azioni individuali); c) e infine la central conflation (conflazione centrale) si ha quando si
afferma che le strutture sociali e l’agire degli individui si co-determinano (si co-producono,
si co-istituiscono) in modo circolare a vicenda, cosicché non si capisce chi causa che cosa.
146 Capitolo 8

Comune alla madre di un bambino piccolo (0-3 anni) la quale si assume il


compito di prendersi cura di altri bambini (due o tre) della stessa età in casa
propria (è un nido familiare). Il contratto crea una relazione tra le famiglie
coinvolte che si danno un obiettivo o compito comune (la cura dei figli, affi-
data alla Tagesmütter). In questa azione di fiducia e cooperazione reciproca,
c’è la premessa e la promessa di un bene relazionale. Dipende dalla seconda
fase (come avvengono le interazioni tra le famiglie) far sì che le interazioni
fra loro operino generando CS e non consumandolo. In altri termini, se si
crea effettivamente un contesto relazionale fatto di fiducia, cooperazione e
reciprocità fra i genitori dei bambini (che, per il tipo di relazione che si è in-
staurata, si conoscono e si frequentano secondo qualità e poteri che un asilo
nido organizzato in maniera burocratica o mercantile non avrebbe prodot-
to), allora il CS genera una rete di famiglie in cui i BR fioriscono, altrimenti
l’intervento sociale prende un’altra strada.
Più in generale, le organizzazioni di Terzo settore sono tali quando si
configurano come sfere sociali che producono inclusione sociale relazionale
attraverso un’interazione virtuosa fra BR e CS. L’interazione è virtuosa sia
perché li incrementa a vicenda, sia perché opera con finalità prosociali, ci-
viche o civili.
La concettualizzazione che viene qui presentata (fig. 8.6) risolve le apo-
rie di cui sono prigionieri gli studi sul CS, in quanto mostra che il CS è una
variabile sia dipendente sia indipendente, sia context-dependent sia activity-
dependent, sia culturale (norme, valori atteggiamenti degli attori) sia struttu-
rale (fatta di reti, organizzazioni e linkages), senza confondere fra loro tutti
questi elementi e dimensioni.

12.  TRE TIPI DI MORFOGENESI SOCIALE: «VINCOLATA»,


«CAOTICA» E «GUIDATA RELAZIONALMENTE»

La morfogenesi sociale può avvenire in molti e diversi modi, e la possia-


mo descrivere con diverse tipologie. Per essere sintetici, vorrei qui proporre
una tipologia che è basata sui modi in cui la struttura sociale condizionante
(al tempo T1) vincola le relazioni sociali nella fase intermedia (T2-T3) del
ciclo morfogenetico. I vincoli possono riguardare ciascuna delle dimensioni
La relazione sociale come «molecola del sociale» 147

delle relazioni sociali (scopi, mezzi, norme, valori) e anche le relazioni fra tali
dimensioni.
Per semplicità, propongo di classificare i modi di vincolare le relazioni
sociali lungo un continuum che va da modalità altamente determinate (hi-
ghly bound) a modalità altamente caotiche (highly unbound), e propongo
poi di esplorare una modalità in qualche modo intermedia – anche se sta su
un altro piano –, che è quella di una morfogenesi «guidata relazionalmente»
(relationally steered).
1.  La morfogenesi sociale altamente vincolata (highly bound) è quella
che avviene all’interno di una struttura sociale che consente gradi di libertà
assai limitati agli agenti/attori, perché avviene entro vincoli cogenti e non
modificabili. Le azioni sono libere, ma esse si trovano a operare come in un
labirinto dal quale è difficile uscire. Le strutture lib/lab sono di questo tipo,
perché esse vincolano i soggetti a scegliere dentro un campo di opportunità
strettamente regolate dal compromesso fra stato (lab) e mercato (lib).
2.  Per contro, la morfogenesi sociale caotica (highly unbound) è quella
che avviene in una processualità che minimizza o annulla i vincoli imposti
dalle strutture al tempo iniziale del ciclo morfogenetico. Il suo eschaton è
vivere e creare relazioni senza che esse rispondano a delle costrizioni. La
molecola sociale annulla la componente normativa. Afferma la relazionalità
come fine a se stessa. Le relazioni sono espressione di una ricerca che ha un
fine poco o nulla determinato, e quindi si rigirano su se stesse, in qualche
modo sono fini a se stesse. Questo tipo di morfogenesi rispecchia il pensiero
relativistico e pragmatista, tipico del mondo moderno, che è relazionista,
non relazionale. Dietro questo modo di pensare e agire c’è il paradigma del
mercato capitalistico, che genera sempre nuovi prodotti, nuove possibilità,
in modo espansivo ed evoluzionistico, senza che le variazioni rispondano a
dei vincoli. Pertanto non ha bisogno di legami sociali, anzi li erode e li deve
svuotare, li crea e li fa svanire subito dopo, se vuole espandersi. Per questo
motivo richiede adattamento e disponibilità agli agenti/attori. Gli individui
devono essere «disponibili» a qualunque esito, sperando che sia positivo, ma
senza alcuna certezza. Le strutture (sociali e culturali), quelle stesse che fanno
le istituzioni economiche, i mercati di profitto, e le corrispondenti strutture
politiche, incidono sulla vita degli individui in questa maniera: aprono delle
possibilità (le variazioni) che poi vengono selezionate sulla base del fatto che
148 Capitolo 8

non richiedano alcun vincolo che non sia il guadagno combinatorio che ha
luogo nella singola interazione ovvero in ciascuno scambio o transazione. Un
esempio paradigmatico è il modo di intendere la famiglia, che diventa un
mercato di opportunità a scelta degli individui, senza che le relazioni familiari
siano vincolate a nient’altro che non sia la soddisfazione che da esse si trae
nei processi di scambio e transazione fra coloro che la configurano come
loro scelta. L’idea della «relazione pura» teorizzata da Giddens [1992] è un
esempio di relazione morfogenetica unbound che è stata proposta da questo
autore come paradigmatica per tutte le relazioni sociali emergenti nella società
postmoderna. La ricerca empirica rivela però che essa è limitata a gruppi assai
limitati e minoritari della popolazione [Donati 2012b].
Nella zona intermedia fra MGS altamente vincolata e MGS caotica,
è possibile esplorare quelle forme di MGS che sono guidate da modalità
centrate sulla gestione delle relazioni, e delle reti di relazioni, fra gli agenti/
attori.
3.  La morfogenesi sociale guidata (guided o steered) è quella che genera
nuove forme sulla base di una o più distinzioni direttrici proprie, le quali
tuttavia non agiscono come vincoli sul campo delle opportunità, ma anzi
servono per ampliare le opportunità uscendo dai vincoli esistenti. Ovviamente
i vincoli non sono facili da cambiare, ma l’ordine relazionale che gli agenti/
attori intendono generare guidando le interazioni nella fase intermedia
T2-T3 punta a mutare i criteri che vincolano la struttura condizionante. Se
intendiamo i vincoli come le distinzioni-guida del sistema di partenza, la
MGS guidata mira a modificare tali criteri. Ad esempio, modifica la coppia
libertà-uguaglianza con la coppia uguaglianza-solidarietà, oppure passa dal
vincolo binario libertà-uguaglianza a un vincolo ternario libertà-uguaglianza-
solidarietà.
Le sue operazioni non sono distinzioni binarie, ma sono modi di rela-
zionarsi alle distinzioni-guida che governano i processi. Questo modo di
pensare e agire la morfogenesi si presenta oggi sulla scena mondiale a causa
dei fallimenti della modernità, che ha posto come vincoli delle strutture
sociali il sistema lib/lab. Dietro questo modo di pensare e attuare la MGS,
c’è un paradigma ontologico ed epistemologico di tipo realista, anziché co-
struzionista. I cambiamenti delle forme sociali non sono concepiti come un
adattamento a un ambiente che evolve e impone delle scelte che modificano
La relazione sociale come «molecola del sociale» 149

il modo di essere originale (la natura sui generis) delle relazioni, perché le va-
riazioni delle relazioni sono viste come possibili e positive solo se cambiano
guardando al proprio fondamento, se ritornano (riflessivamente) alle radici
distintive che le costituiscono e le caratterizzano, le proprie distinzioni-gui-
da, che danno la direzione su cui camminare. La generazione di nuove for-
me sociali, incluse le trasformazioni delle identità personali e collettive, sono
manifestazioni di una radice (qualcuno la chiama «sostanza» o «essenza»)
che caratterizza, distingue e costituisce quella forma sociale. La quale non è
«disponibile» a piacimento degli agenti/attori.
La distinzione fra i tre tipi di MGS consiste precisamente nel modo di
concepire e trattare le relazioni sociali. La MGS altamente vincolata conce-
pisce le relazioni sociali come transazioni che esprimono delle scelte indivi-
duali fatte in un campo di opportunità fortemente delimitato dalle strutture
sociali esistenti. La MGS liquida è a-relazionale, ossia non attribuisce alla
relazione alcuna struttura. La MGS guidata opera con un codice relazionale
che conferisce una struttura creativa alla relazione sociale.
Possiamo comprendere la differenza fra questi tre modi di intendere la
MGS con due esempi.
•  Il primo esempio riguarda la morfogenesi agenziale della persona
umana. Analizziamo le interpretazioni del motto «diventa ciò che sei».
Come è noto, questo detto è stato inizialmente attribuito al poeta greco
Pindaro (genoio, hoios ei) che lo ha rivolto a Ierone I, tiranno di Siracusa.
Pindaro pone un legame fra lo sviluppo della persona umana e il ricono-
scimento di sé: «Riconosci cosa sei nel cuore del tuo essere, poi cerca di
diventarlo». Questa è l’interpretazione guidata (o bound) della morfoge-
nesi: riconosci ciò che è la realtà profonda del tuo essere (e delle cose), e
poi sviluppa questo modo di essere, l’essere che esiste in questa relazione.
Nei tempi moderni, lo stesso motto è stato invece ripreso da Friedrich
Nietzsche che lo ha interpretato in tutt’altro senso. Per lui, la «fedeltà alla
terra» è fedeltà alla vita e al vivere con pienezza, è esaltazione della salute
e sanità del corpo, è altresì affermazione di una volontà creatrice che isti-
tuisce valori nuovi (in cui consiste il significato della volontà di potenza).
Non più «tu devi» (diventare ciò che sei), ma «io voglio» (diventare ciò che
posso essere). L’uomo deve diventare un superuomo, la cui socievolezza
è rappresentata da Zarathustra che balla. Il superuomo abbandona ogni
150 Capitolo 8

fede, ogni desiderio di certezza, per reggersi «sulle corde leggere di tutte le
possibilità». La sua massima è «diventa ciò che sei» nel senso che la libertà
del superuomo è una ricchezza di possibilità diverse. Da qui la rinuncia a
ogni certezza assoluta e da qui anche la profondità tipica del superuomo,
l’impossibilità di definire e giudicare la vita interiore, dalla quale non si at-
tinge altro che la maschera («Tutto ciò che è profondo ama mascherarsi»).
Il superuomo è il filosofo dell’avvenire; è un uomo senza patria né mèta per
poter insegnare ad amare la ricchezza e la transitorietà del mondo. Con la
sua «diversità di sguardo», egli cerca di rendere più degno il pensiero della
vita, di dare al mondo un altro valore, un’altra verità: la verità non è qualcosa
da riconoscere, ma da creare. Con la libertà che nasce dall’abbandono delle
vecchie illusioni e certezze, il superuomo osa «spostare le pietre di confine»
e aprire alla ricerca nuovi orizzonti. La sua volontà di potenza è la volontà di
creare sempre, incessantemente, dei valori nuovi, cioè creare il senso della
terra; quindi tutte le cose dipendono dalla volontà, dalla mia volontà.
Questa è precisamente la morfogenesi liquida, ben prima che ne parlas-
sero autori come Bauman [2000] e poi i teorici della cosiddetta «moderniz-
zazione riflessiva», che – come Archer [2012] e Donati [2001] hanno mo-
strato – non è per nulla riflessiva, ma puramente «riflettiva» (è reflective nel
senso che agisce di riflesso ai problemi come in uno specchio, senza una vera
e propria elaborazione riflessiva che porti a una progettualità consapevole).
Il passaggio dal mondo premoderno a quello moderno è stato segnato
da giochi che hanno portato dal «diventa ciò che sei» in senso classico,
come sviluppo fedele all’essere delle cose, al «diventa ciò che sei» come
volontà soggettiva di creare l’essere delle cose. Ed è in questo dramma
che noi oggi ci rigiriamo, alla ricerca di una via di uscita. Lo schema della
morfogenesi guidata in senso relazionale potrebbe essere una via di uscita.
Essa potrebbe suggerire di interpretare il «diventa ciò che sei» non già
come sviluppo di un’identità prefissata, che deve semplicemente svolgersi
come se si dovesse srotolare un rotolo, e neppure come una volontà di
potenza avulsa dalla realtà, ma come progettualità di un’identità capace di
arricchire se stessa in un cambiamento guidato del proprio Sé, dato che
il Self (l’Io della persona) deve affrontare un’inevitabile morfogenesi. Ma
deve trasformarsi senza perdere il suo carattere originario (la sua dotazio-
ne) e la sua originalità (unicità).
La relazione sociale come «molecola del sociale» 151

■•  Il secondo esempio si riferisce alla relazione di coppia. Osserviamo


una relazione di coppia che vive alla giornata come semplice aggregazione
di convivenza (MG unbound) e una relazione di coppia che è legata da un
patto reciproco (MG bound).
La coppia puramente aggregativa vive la relazione come spazio di espan-
sione e conferma del Sé. Quello che sono Io si conferma e si rafforza attraver-
so la relazione. La relazione è lo strumento di affermazione dell’Io, la qual
cosa vale allo stesso modo per entrambi i partner. La coppia che si lega con
un patto reciproco, invece, si trova di fronte a un bivio: vivere il patto come
un vincolo che limita oppure vivere il patto come una relazione che crea uno
spazio di trasformazione del Sé, di cambiamento e maturazione della propria
identità attraverso l’esperienza dell’Altro come differente dall’Io, un altro
che mi arricchisce perché la relazione che ci lega è un modo per migliorarci
reciprocamente. La relazione genera un altro Sé, in cui l’Io si afferma come
colui che ama l’Altro perché vuole il bene dell’Altro. E attraverso questo
amore trova la felicità e la realizzazione propria.
La coppia aggregativa è una somma (qui la coppia è un accoppiamento:
1 + 1 = 2), e ciò la rende precaria proprio come coppia, perché in essa la
relazionalità è usata in funzione dell’Io di ciascun partner, la qual cosa porta
con più facilità al conflitto o alla solitudine. La coppia vincolata, che sa ve-
dere il vincolo come risorsa anziché come limitazione di possibilità, è invece
generativa, vive nella relazione, della relazione, con la relazione in quanto
bene comune (bene relazionale) che genera i beni di ciascuno, e matura la
persona anziché farne un individuo sempre alla ricerca di se stesso, nella
continua problematicità del confronto con l’Altro.
Conclusioni 153

Conclusioni. Il futuro della società


è quello della relazione sociale

Poiché la società è relazione, il destino della società è segnato dai mu­


tamenti della relazione sociale «modale». La società futura sarà fatta delle
qualità e proprietà costitutive della relazionalità («molecola sociale») che va
emergendo come tipica e caratterizzante dei processi di globalizzazione. Di­
venta necessario apprendere a gestire le tensioni fra le dimensioni – naturali
e artificiali, analogiche e digitali – delle relazioni sociali. Per evitare patolo­
gie e alienazioni, le relazioni concrete (interpersonali) e le relazioni virtuali
(sul web) non debbono sosti­tuirsi le une alle altre, ma debbono interagire,
verificarsi e alimentarsi reciprocamente.
Nel campo delle scienze sociali, molti autori hanno rilevato come, dopo
l’età d’oro della società civile moderna e della cosiddetta «sfera pubblica
borghese», la società moderna si caratterizzi per essere intrinsecamente si­
nonimo di dissoluzione delle relazioni sociali. Ma nel far questo si sono
commessi sovente due errori. In primo luogo, ci si è lasciati prendere da
forme nostalgiche verso il passato, conferendo più o meno implicitamente
una qualche superiorità a stati meno differenziati del sociale (cioè a relazioni
più «compatte» e «dense» di contenuti). In secondo luogo, si è trattata la
relazione sociale essenzialmente come legame anziché vederla anche come
innovazione referenziale e come effetto eccedente. È su questi versanti della
differenziazione relazionale che vanno oggi cercate le potenzialità più crea­
tive e umane delle relazioni sociali, incluse le possibilità – tanto discusse – di
una nuova società civile.
La modernità ha aperto il mondo delle relazioni sociali come il vaso di
154 Conclusioni

Pandora. Tutta la vita sociale moderna è caratterizzata da un’ambivalenza


paradossale: da un lato la relazione viene esaltata come modalità con cui la
società può continuamente espandersi e sviluppare se stessa, dall’altro la
relazione è costantemente oggetto di pressioni per controllarne, limitarne,
condizionarne, regolarne le possibili manifestazioni. La società occidentale
moderna è quella che, unica nella storia umana, da una parte libera al massi­
mo grado le forze che esaltano le potenzialità delle relazioni sociali, mentre
dall’altra deve far fronte al disordine che consegue ai processi di continua
differenziazione e fluttuazione delle stesse relazioni. Pensiamo, solo per fare
due esempi, a quanto accade alle relazioni di lavoro (che diventano più atipi­
che, flessibili, ecc.) e alle relazioni familiari (che diventano più instabili, cao­
tiche, ecc.). La qualità della vita sociale moderna e ancor più postmoderna è
segnata dalla continua distruzione e creazione di relazioni sociali. Le stesse
teorie sociali, in ogni campo (antropologia, psicologia, sociologia, econo­
mia, politica), possono essere lette come un discorso sulle modalità con cui
le relazioni sociali vengono dissolte e ricostruite di continuo.
L’ambivalenza del pensiero moderno e contemporaneo verso le relazio­
ni sociali non ha cessato di esistere. Ed è per questo che se qualcosa si può
dire della società futura è che essa sarà una «società relazionale», nel senso
che sarà caratterizzata da una sistematica «distruzione creatrice» di relazioni
sociali su larga scala, a ogni livello lungo il continuum micro-meso-macro.
Il problema della società, intesa come forma associativa «fatta» di relazio­
ni sociali, diventa sempre più di un duplice ordine: da un lato, quello di saper
creare e «gestire» le relazioni sociali (attualizzate, potenziali e virtuali), in ma­
niera tale da ridurre le patologie e gli effetti perversi; e, dall’altro, quello di
mantenere le connessioni più significative possibili fra le qualità propriamente
umane delle relazioni sociali e i determinismi che esse incorporano.
La società odierna si caratterizza per una progressiva e rapida scissione
tra la sfera dell’umano, vista come campo delle relazioni «libere» da con­
dizionamenti e presupposti esterni all’autonomia dei soggetti, e la sfera co-
siddetta «del sociale», rappresentata e vissuta come spazio delle relazioni
costrittive, routinarie, artificiali, astratte e meccaniche. Tale scissione porta a
considerare le relazioni sociali come sempre più negatrici dell’individualità
e delle possibilità di differenziazione del singolo, e pertanto come irrazio­
nali. È proprio in tale contesto che la «teoria delle relazioni sociali» può
Conclusioni 155

rappresentare una forma di conoscenza capace di ricondurre il processo di


civilizzazione ai caratteri creativi – in quanto propriamente umani – della re­
lazionalità sociale, ossia di ciò che, «stando fra» i soggetti agenti, ne costitui­
sce (non solo condiziona o «influenza») le possibilità di vita sperabilmente
più umane.
In ogni caso, d’ora in poi, la relazione sociale, e quindi la società, non
potrà più essere concepita come immediatamente umana (ossia senza che
l’umano debba essere intenzionalmente perseguito attraverso specifiche se­
lezioni), dal momento che il sociale (la mediazione sociale) diventa un in­
treccio sempre più complesso di elementi umani e non-umani (questi ultimi
intesi non già come necessariamente dis-umani, ma semplicemente come
qualità non distintive di ciò che è proprio dell’essere umano [Donati 1995]).
Gli elementi umani e non-umani del sociale sono stati scissi dalla modernità
secondo linee e misure senza precedenti nella storia; inoltre sono stati accre­
sciuti ciascuno come realtà autonoma, sia analiticamente sia empiricamente,
sia per ragioni funzionali sia per ragioni non funzionali. L’esito è tale da ri­
chiedere che la nostra società debba cercare continuamente di ricombinarli
in ogni momento, in qualche maniera. Per questo motivo, non possiamo più
semplicisticamente parlare della società come «società umana», ma invece
dobbiamo costantemente ridistinguere quella che, in senso proprio, possia­
mo chiamare la società dell’umano, nel senso che deve essere generata sem­
pre di nuovo come bene relazionale, in quanto distinta da altri tipi di società
(ad es., società finanziarie, società tecnologiche, società virtuali di comuni­
cazione mass mediatica, ecc.) in cui le relazioni sociali non corrispondono a
requisiti propriamente umani.
La società della globalizzazione è relazionale perché in essa le relazioni
esplodono e implodono con ritmi incessanti e sempre più veloci. La globa­
lizzazione è allo stesso tempo la causa e l’effetto di un processo storico che
assume la morfogenesi come suo valore-guida, come sua distinzione direttrice.
In breve, la società diventa sempre più «morfogenetica», perché, per dirla
in modo semplice, essa si basa sulla continua generazione di nuove forme
sociali come suo motore primo e suo scopo ultimo.
In un tale contesto, le patologie sociali vengono a manifestarsi come
rottura, fuoriuscita o distorsione delle relazioni, vuoi nella direzione del
puro individualismo, vuoi nella direzione dell’emergenza di sistemi sociali
156 Conclusioni

che non consentono la produzione di senso nelle relazioni interumane. Il


compito della sociologia relazionale è quello di mostrare e, se possibile, con­
tribuire a modificare, i contesti relazionali che formalizzano, sclerotizzano
o costringono le relazioni entro strutture incapaci di corrispondere alle esi­
genze vitali degli agenti sociali.
Il sociale (la relazionalità) si è venuto a trovare sempre più fra il livello
della natura e dell’artificialità. È cresciuta la tensione fra i due poli. Ma
proprio questa tensione fra natura e mondo artificiale, lungi dal cancellare la
natura, genera oggi una nuova relazionalità sociale. C’è chi pensa che questa
relazionalità possa essere una «ricostruzione razionale» [Coleman 1993]
fatta all’insegna della rational choice. A mio avviso, si tratta invece di una
relazionalità che risponde non già alla ragione strumentale moderna, ma a
quella che io chiamo la ragione relazionale [Donati 2011a].
Infatti nella relazionalità, diversamente dalla razionalità moderna, si
esprime una domanda di senso che non è quella tipicamente moderna dell’in­
dividuo astratto. Si tratta di una domanda di senso umano, che va alla ricer­
ca di relazioni sociali significative e non di «oggetti» (il feticcio delle merci).
Quando la domanda di senso che è insita nella relazione sociale non trova una
risposta in ciò che è offerto dalla natura (delle cose e delle persone umane),
deve necessariamente costruire un mondo sociale che non esiste in natura. La
natura umana viene allora sottoposta alla tensione dell’artificiale (il cosiddetto
«postumano», «iperumano», cyborg). Ma se l’artificiale non vuole saperne di
fare i conti con la relazionalità umana, genera il non-umano. Lo dimostrano i
casi della manipolazione genetica che arriva alla clonazione degli esseri umani
o l’uso di tecnologie comunicative che producono patologie psichiche e socia­
li perché non tengono conto dei bisogni di relazionalità umana.
In questa tensione fra la natura «relazionale» degli esseri umani e una co-
struzione puramente «razionale» della società, che ignora la prima, si aprono
degli spazi da cui si generano quelle forme relazionali che caratterizzano la
società dopo-moderna.
Rispetto al passato, la differenza qualitativa dei cambiamenti sociali
odierni sta in questo: la modernità dice «Io» e lo contrappone al «Tu» (in­
cluso il «Tu» della natura); il dopo-moderno dice «Noi», e quindi cerca una
relazionalità che metta in sinergia ciò che è naturale e ciò che è artificiale,
ma può realizzare i beni relazionali solo passando attraverso ciò che la mo­
Conclusioni 157

dernità ci ha lasciato in termini di autonomizzazione delle relazioni sociali.


La società del futuro potrà sfuggire ai cambiamenti caotici solo se riuscirà a
declinare la morfogenesi nei termini di un «Noi-in-relazione», cioè un «Noi
relazionale».
Un ruolo determinante nel produrre la nuova società relazionale sarà
giocato da internet e dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comu­
nicazione (ICT). Questo nuovo mondo sarà decisivo per il futuro delle rela­
zioni umane, cioè per le loro qualità, caratteristiche e poteri, perché le ICT
non rappresentano solo un «ambiente» esterno alle relazioni sociali e non
sono solo un loro strumento, ma cambiano la natura (struttura) «interna»
delle relazioni interumane. Come avviene questo processo?
Le ICT aumentano enormemente la quantità di relazioni che l’individuo
può avere. La quantità influisce sulla qualità. Le ICT rendono più rapide e
accelerate quelle relazioni che un tempo avvenivano con ritmi lenti e stabili.
Modificano lo spazio e il tempo delle relazioni, come non è mai successo
nella storia. Le cose che prima apparivano lontane nello spazio e nel tempo,
e quindi presentavano un problema di relazionamento «a distanza», diven­
tano sempre più vicine, e si toccano, in modo tale da dare l’impressione che
la distanza spazio-temporale insita nella relazione sia svanita.
Attraverso questi mutamenti, le relazioni che si instaurano fra individui
sulla rete (WWW) perdono il carattere «reale» delle relazioni interpersona­
li, faccia-a-faccia, e diventano «virtuali». Virtuale significa tante cose: signi­
fica che è solo potenzialmente una vera (reale) relazione; di fatto permette
l’anonimato, non coinvolge la fisicità della persona, impegna la persona solo
per la comunicazione di quel momento e solo per gli aspetti cognitivi che
comporta.
Vari autori hanno sottolineato i benefici che internet può portare pro­
prio attraverso questa modificazione delle relazioni sociali. Internet viene
esaltato come una pratica che moltiplica le intelligenze mettendole le une
in relazione alle altre all’interno del tempo reale di un’esperienza. Molti­
plicando le relazioni, internet diventa un «moltiplicatore di intelligenze»,
aumenta l’«intelligenza collettiva» [Levy 1994], e al suo interno fa emergere
un’«intelligenza connettiva» [De Kerckhove 1997]. Tutto questo, però, rap­
presenta solo un lato della medaglia.
L’altro lato, assai poco esplorato, riguarda gli effetti sociali che derivano
158 Conclusioni

dal mutamento della natura delle relazioni sociali, di cui abbiamo parlato in
questo testo. Le ICT rendono meno problematici i contatti per certi aspetti,
ma possono avere altri effetti, come quelli di una maggiore invadenza nella
vita privata e di una pressione compulsiva per essere sempre attenti («con­
nessi») a possibili comunicazioni distogliendo dalle relazioni concrete della
situazione.
Già oggi, riducendo o annullando le distanze spaziali e temporali, le
nuove tecnologie modificano le relazioni sociali rendendole più superficiali
e soggette agli eventi del momento. Le nuove tecnologie della comunicazio­
ne non stanno semplicemente annullando le distanze spaziali e appiattendo
il tempo sul presente, ma modificano la percezione dello spazio e del tempo
in cui viviamo.
Alcune ricerche mettono in luce che, mentre arricchiscono enormemen­
te le interazioni virtuali, tablet, smartphone e laptop hanno anche l’effetto
di isolare le persone [Turkle 2011]. In buona sostanza, possiamo dire che,
laddove manca una relazione di conoscenza diretta, interpersonale, fra le
persone, ossia laddove le relazioni sono solo virtuali, e non anche reali, gli
individui, per quanto siano connessi, sono indotti a isolarsi, e alla fine si
sentono più soli.
Come sarà il futuro relazionale dei nativi digitali? Mentre le generazioni
di adulti hanno l’esperienza del mondo reale e delle relazioni primarie, le
generazioni più giovani non hanno questo imprinting relazionale, perché
hanno soprattutto esperienza delle relazioni virtuali. Giovanissimi e adole­
scenti sono attratti da dinamiche di comunicazione molto volatili, che non
hanno fisicità. Il rischio è quello dell’insorgenza di patologie connesse alle
difficoltà di formarsi un’identità autonoma e dotata di capacità riflessiva,
giacché sappiamo che l’identità si forma attraverso relazioni vissute in modo
significativo e vitale per la persona umana.
Per concludere. La nuova società appare fluida come lo sono le comuni­
cazioni e le culture digitali. Un criterio per comprendere come andranno le
cose potrebbe derivarci dalla ricerca empirica, la quale ci dice che esiste una
differenza significativa tra chi usa il virtuale come strumento per confermare
relazioni reali e chi, al contrario, sostituisce il virtuale al reale. I primi creano
reti relazionali significative, i secondi rischiano di perdersi in un mondo eva­
nescente, come capita quando la connessione al web diventa più importante
Conclusioni 159

dei contenuti delle relazioni e addirittura li sostituisce. Per questo è im­


portante che la comunicazione virtuale sia vista nel contesto delle relazioni
sociali interpersonali, piuttosto che viceversa, se non vogliamo che la nostra
vita si riduca a un archivio di messaggi informativi, per quanto grande sia il
sapere cognitivo che essi ci possano dare.
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