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Pierpaolo Donati (2013). Sociologia della relazione. Bologna: il Mulino, pp. 184
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Pierpaolo Donati
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Sociologia
della relazione
il Mulino
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sultare il sito Internet:
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ISBN 978-88-15-24444-4 Copyright © 2013 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti
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altre informazioni si veda il sito www.mulino.it/edizioni/fotocopie
Indice
III. L’emergere della relazione sociale come tema e problema nel mondo
moderno 59
1. Le scoperte moderne sulla relazione sociale 59
2. Il carattere autopoietico ed eteropoietico delle relazioni
sociali 63
3. L’approccio positivista 67
4. L’approccio storico-comprendente (o del «Verstehen») 70
5. L’approccio formalista 71
6. L’approccio fenomenologico 73
7. L’approccio dell’interazionismo simbolico 75
8. L’approccio struttural-funzionalista 76
9. L’approccio neofunzionalista comunicazionale 78
10. L’approccio ermeneutico (o dialogico) 79
Com’è stato possibile scambiare delle parole fra loro? Bastavano le due per-
sone per fare l’incontro? La risposta è decisamente negativa.
I modi in cui si sono parlati, le cose che si sono dette, i riflessi del loro
incontro dipendono certamente dai caratteri individuali dell’una e dell’altra
persona. Come persone, possono essere più estroverse o introverse, più gen-
tili o più ruvide, più fiduciose o più diffidenti, più calme o più ansiose, più
calde o più fredde, e così via. Ma queste caratteristiche non bastano a capire
che cosa è successo e che cosa quell’incontro potrà produrre. Perché quello
che è accaduto, il fatto dell’incontro, e ciò che quell’incontro potrà produrre
non dipendono solo da loro.
Che cosa c’è di più? Ossia: perché ciò che succede nella società non è
spiegabile solo in base a ciò che gli individui (come tali) pensano e fanno?
C’è innanzitutto il contesto e, dentro il contesto, il problema di definire qua-
le relazione intercorra fra loro.
Se ci si incontra per strada, cioè si è in un contesto in cui gli altri – i pas-
santi – ti vedono, tu non puoi fare tutto quello che magari faresti a casa tua, nel
tuo salotto o nella tua camera. Alcuni lo fanno, ma allora devono attendersi la
reazione degli altri, che sarà quella di dire a questa persona: «guarda che non
sei a casa tua, la strada non è il tuo salotto». Bene o male, il luogo pubblico
porta con sé delle regole da rispettare. Se non le rispetti, dovrai aspettarti
delle reazioni da altri che sono estranei all’incontro personale. Ma anche l’in-
contro privato ha delle regole, perché anche nelle sfere più intime cerchiamo
di preservare una certa identità, desideriamo stima o affetto o quantomeno il
rispetto dell’altro. Così pure esistono regole sul confine fra l’ambito privato e
pubblico. Ad esempio, in un incontro privato una donna può sentirsi trattata
in maniera troppo intima, e reagire, se l’uomo fa delle avance, dicendogli: «ma
chi credi che io sia?» (il che significa, ci tengo alla mia identità di donna di non
facili costumi, anche per via delle ripercussioni che potrebbero esserci se la
cosa venisse conosciuta da altri, nella sfera pubblica).
Il contesto c’è sempre, che sia pubblico o privato. Esiste anche nella zona
intermedia, laddove non è chiaro se valgono le regole pubbliche o quelle
private. Il contesto c’è comunque, anche se le due persone non lo pensano,
non lo avvertono, non lo conoscono, o semplicemente non se ne curano.
In effetti, le regole del contesto sono molto spesso opache o labili, perché
sono soggette alle percezioni che ne hanno le persone, dipendono dalle loro
Introduzione 11
ché con loro si vergogna di essere trattato come un bambino dalla madre. In
quel momento sospende la relazione (che pure esiste) con la madre.
Tutto ciò dimostra quanto il contesto dell’incontro e la natura/forma
propria della relazione fra le persone che si incontrano siano importanti
per capire come avviene l’incontro. Come vedremo, è ancora più impor-
tante per capire che cosa esso possa generare. Marito e moglie, ad esem-
pio, vivono la stessa relazione matrimoniale diversamente quando si tro-
vano in pubblico e quando si trovano in privato. Non c’è solo il fatto che
in pubblico ci sono gli altri che osservano, mentre nella loro stanza non ci
sono. A parte le costrizioni imposte dall’esterno, c’è il fatto che essi pos-
sono aprire o chiudere la relazione a loro discrezione per motivi interiori
ed esteriori che ritengono significativi a seconda di come percepiscono il
contesto situazionale.
La sociologia classica ha dato molta importanza al contesto, fino al pun-
to di renderlo determinante nella spiegazione delle azioni individuali e delle
stesse relazioni. Le relazioni interpersonali sono state, per così dire, «assorbi-
te» dal contesto e dal suo condizionamento strutturale. Quanti sociologi han-
no spiegato il comportamento degli individui e le loro relazioni in base alle
sole pressioni dei meccanismi impersonali delle strutture sociali! I sociologi
positivisti e quelli marxisti sono stati esempi emblematici e lo sono tuttora.
Ad esempio, per i positivisti la relazione di coppia cambia perché deve per
forza adattarsi a strutture sociali (divisione funzionale del lavoro) che ri-
chiedono una maggiore mobilità sociale e una maggiore individualizzazione
degli individui; per i marxisti sono i meccanismi (strutture) del mercato che
fanno agire in un certo modo, così e non altrimenti, le coppie; la loro tesi è:
come il capitalismo impone che i padroni sfruttino gli operai, così nella cop-
pia l’uomo si comporta da padrone verso la donna. Da questi punti di vista,
le relazioni interpersonali non sono che una manifestazione delle costrizioni
delle strutture, un’espressione determinata essenzialmente da queste ultime.
C’è poco spazio per l’autonomia delle relazioni.
Da Karl Marx a Émile Durkheim questa è stata la visione delle cose. Ma,
per venire ai nostri giorni, prendiamo l’esempio di uno studioso americano
che molti ritengono sia stato uno dei massimi sociologi della seconda metà
del Novecento: Erving Goffman. Questo autore ha avuto il grande merito
di aver evidenziato l’esistenza di una realtà autonoma che egli ha chiamato
Introduzione 13
1
Cfr. Goffman [1983], con introduzione di Pier Paolo Giglioli che commenterò in
alcuni punti. Cito qui altri importanti lavori di questo autore che richiamerò nelle righe
successive [Goffman 1967; 1971; 1988].
14 Introduzione
2
Non si può arrivare al punto di scindere completamente la soggettività degli agenti
dalle relazioni sociali [Beechey e Donald 1985].
Introduzione 17
Per chi pensa che la vita sociale non sia solo questo, l’ordine dell’inte-
razione di Goffman risulta perlomeno parziale. Non ci aiuta molto a capire
le relazioni sociali nei vari modi e ambiti in cui le viviamo, anche se apre
una finestra importante da cui vedere l’autonomia delle interazioni sociali.
Ciò che io vorrei mostrare è che le interazioni di cui parla Goffman sono
una realtà superficiale, certo assai rilevante, ma dietro (o sotto) la quale c’è
un’altra realtà che i soggetti umani vivono, pensano e agiscono in modi di-
versamente significativi per la loro vita. Questa realtà è quella delle relazioni
sociali quando vengono prese sul serio, ossia allorché – in quanto relazioni
– chiedono un’attribuzione di senso profondo, non strumentale, perché in
quei momenti le strategie, i riti, i giochi, le cerimonie drammaturgiche delle
interazioni descritte da Goffman risultano prive di senso.
Noi tutti, quando ci incontriamo con gli altri, e anche quando stringia-
mo legami duraturi, siamo un po’ agenti e un po’ attori allo stesso tempo,
perché agiamo con una certa libertà e spontaneità, ma allo stesso tempo
teniamo conto del ruolo, ossia delle aspettative, che gli altri ci attribuisco-
no. Questo fatto, però, lo vediamo molto meglio se, anziché vedere solo le
interazioni, chiariamo la differenza fra le relazioni sociali e le interazioni. Lo
studio della relazione ci offre la strada per ritrovare l’agente che sta dietro
l’attore e, viceversa, l’attore che si confronta con l’agente. Si tratta di aprire
una nuova prospettiva che riesca a farci vedere come, in un incontro, in un
dialogo, in un’interazione fra persone, ci sia molto di più di individui strate-
gici che giocano con le regole sociali che ritengono siano dovute o attese in
una certa situazione. Questo qualcosa di più è quell’oggetto della sociologia
che chiamiamo «relazione sociale».
La figura I.1 sintetizza quanto ho detto finora. L’incontro (interazione)
è certamente frutto dei soggetti che si incontrano (Ego e Alter), ma l’in-
contro avviene dentro una relazione e la relazione è a sua volta immersa in
un contesto sociale. La relazione può non essere già esistente, se i soggetti
neanche si conoscono, ma è precisamente il fatto che l’osservatore e i sog-
getti interessati lo notino che conduce a vedere che l’interazione parte da
un vuoto relazionale; diciamo meglio: l’interazione parte dal fatto che esiste
una relazione strutturale (definita dal contesto), ma non una relazione inter-
personale pregressa. Ciò che le interazioni – nel corso della relazione inter-
personale – fanno è riprodurre o modificare la relazione strutturale iniziale,
20 Introduzione
dando vita a una forma sociale che riproduce o innova la forma precedente.
Lo schema descritto nella figura 1 ha ovviamente un andamento temporale
(lo stesso che vedremo nel processo – detto «morfogenetico» – di genera-
zione di nuove forme sociali): il contesto è la struttura sociale che esiste al
tempo iniziale T1, le interazioni si svolgono nell’intervallo di tempo T2-T3, la
forma sociale emergente appare al tempo T4.
Come dicevo all’inizio, il più delle volte noi osserviamo il fatto sociale
dell’incontro fra Ego e Alter fermandoci a ciò che essi fanno. Ad esempio,
osserviamo che una persona entra in un bar, chiede un caffè, lo beve, paga
e se ne va; oppure vediamo una persona che viene visitata dal medico in un
ambulatorio. La riflessione sociologica ci aiuta a capire che ciò che avvie-
ne lì, nell’interazione cliente-barista o medico-paziente, può essere meglio
compreso se lo vediamo come una relazione che sta all’interno di un conte-
sto strutturale ed evolve con le interazioni fra gli agenti/attori producendo
una certa forma di vita sociale. La relazione in cui avviene l’incontro può
T2
Ego Alter
Relazione
Interazione (incontro)
T3
fig. I.1. Il posto della relazione sociale nel farsi della società.
Introduzione 21
essere più o meno definita dal contesto (struttura) sociale, ma in ogni caso
è attivata dagli agenti/attori, che la definiscono a loro modo, e da tale de-
finizione dipendono i modi delle interazioni (come evolve l’incontro) da
cui scaturisce un tipo oppure un altro di forma relazionale. Collocare la
relazione all’inizio e alla fine delle interazioni – distinguendo analiticamente
la relazione dalle interazioni – ci serve per capire che cosa c’è prima delle
interazioni e dopo di esse, dando un senso a ciò che ne emerge. Possiamo,
in altri termini, addentrarci in quel territorio in cui dobbiamo pur sapere
qualcosa delle relazioni fra le persone, se esiste o meno una conoscenza reci-
proca, una relazione debole o forte, un distanziamento oppure un avvicina-
mento, un’indifferenza oppure una presa in carico di quella relazione. Una
realtà invisibile a occhio nudo, e però così decisiva nella vita delle persone.
Per stare agli esempi, l’incontro fra il barista e la persona che ha preso il
caffè è andata in un certo modo perché si conoscevano, e presumibilmente
ripartirà da quella conoscenza, forse potrebbero diventare amici. In certi
bar gli avventori sono quasi tutti amici, in altri sono solo clienti che vanno e
vengono. Dal punto di vista sociale i bar sono molto diversi fra loro, perché
in essi avvengono incontri molto diversi. Dietro questi incontri c’è una rete
di relazioni, che può produrre più o meno capitale sociale, beni o mali rela-
zionali, o niente di tutto questo. Il tessuto sociale (forma della vita sociale)
che si realizza nei bar (ma potremmo parlare di scuole, ospedali, associa-
zioni, qualsiasi luogo) è sempre una chiave di lettura della qualità sociale di
un luogo, che sia una strada, un quartiere o altro ancora. I cosiddetti «non-
luoghi» sono, appunto, luoghi con interazioni senza relazioni. Nell’esempio
del paziente che incontra il medico si può ragionare allo stesso modo.
L’interazione diventa più comprensibile se noi la vediamo inserita in una
relazione sociale, la quale non coincide né con la struttura del contesto, né
con l’interazione stessa. La relazione sociale è solo in parte definita dal con-
testo (la struttura del bar, la struttura dell’ambulatorio medico), mentre in
buona misura dipende da come la agiscono liberamente gli agenti/attori. A
volte si parla di «relazioni formali» e «relazioni informali», ma il fatto è che
queste entità sono mescolate fra loro, precisamente come lo sono l’attore e
l’agente sociale.
È importante ribadire che il contesto sociale è una struttura (molto
complessa) che condiziona la relazione entro cui avvengono gli incontri (le
22 Introduzione
essere e, se non sono adeguate, creano problemi non solo di tipo fisico, ma
anche e soprattutto psicologico, culturale e spirituale. Quando sentiamo che
le relazioni sociali sono un fatto irritante, sono sollecitazioni che ci creano
delle difficoltà, allora siamo portati a chiederci che cosa possiamo fare per
trovare un ordine relazionale con gli altri e con il mondo che allevi le nostre
sofferenze, problemi, disagi. Siamo portati a cercare un altro modo di vita,
un altro contesto relazionale in cui possiamo essere in grado di gestire le
nostre relazioni in modo più soddisfacente. Cerchiamo un ordine relaziona-
le nonostante i fattori che ci turbano o creano disagi (i «rumori»). I teorici
sistemici direbbero che cerchiamo di perseguire un «ordine da rumore»
(order from noise), un assetto di relazioni meno problematico nel mare delle
fluttuazioni. È qui dove la riflessività sulla relazione sociale, e per mezzo di
essa, deve poterci aiutare.
Riflettiamo sulla differenza tra l’aria e le relazioni sociali, che è molto
istruttiva. L’aria è un misto di vari gas, un mix che non ha una molecola
propria. Le relazioni sociali – così sostiene questo libro – hanno una propria
molecola, a seconda del tipo di relazioni. Mentre nell’aria gli elementi si me-
scolano aggregandosi e disaggregandosi, nella relazione sociale gli elementi
che la compongono (di cui si dirà) si combinano relazionalmente (attraverso
interazioni) in modo tale da generare un effetto emergente. In sostanza, la
relazione sociale – che è necessaria per la vita sociale, ma è contingente nella
forma – presenta una struttura propria, dotata di qualità e poteri sui generis,
che io chiamo «molecola sociale», la quale può essere più stabile o più vola-
tile, ma nondimeno esiste come tale.
Più in generale, io assumo che essere in relazione sia un’espressione che
ha tre significati analitici:
1. il fatto che fra due (o più) entità esiste una certa distanza la quale, allo
stesso tempo, distingue e connette tali entità;
2. che tale relazione esiste nel senso che ha una propria realtà (dal latino
ex-sistere, che vuol dire «star fuori con una propria consistenza» rispetto a
chi/che cosa l’ha generata) con i propri poteri causali;
3. che tale realtà ha un suo modo di essere (la modalità di essere che è
nella/dentro la relazione).
I tre significati sono analitici perché, dal punto di vista empirico, ogni
relazione contiene in sé tutti questi aspetti, che sono più o meno strettamente
Introduzione 25
legati fra loro a seconda della specifica relazione che si osserva in un dato
momento.
Tutto ciò ci dice quanto sia importante capire il mondo delle relazioni,
che è un mondo nel quale noi viviamo come nell’aria, ma di cui quasi sempre
non ci rendiamo conto nella vita ordinaria, perché lo diamo per scontato,
come l’aria appunto. Per rendercene conto dobbiamo attivare una certa
riflessività. Io la chiamo riflessività relazionale, perché è la riflessività eser-
citata dai soggetti agenti non già sui loro pensieri interiori, ma sulle relazioni
sociali e sui loro poteri ed effetti. La riflessività relazionale è un riflettere sul-
le/con/dentro le relazioni che i soggetti agenti hanno con gli altri significati-
vi, tenendo conto che tali relazioni hanno un’esistenza autonoma e generano
dinamiche che vanno al di là delle loro intenzioni.
Lungo tutto il testo, il lettore tenga presente l’ambivalenza semantica del
concetto di «relazione», nel suo duplice significato di realtà processuale e di
risultato di tale processo. Lo si può comprendere bene per analogia con il
concetto di «associazione», che indica sia il processo di «farsi soci» (socia-
zione, unione), sia l’outcome di tale processo che consiste in una certa forma
organizzativa (l’associazione in quanto entità costituita, con uno statuto o
regolazione più o meno formalizzati). Parimenti, quando diciamo che due
termini hanno/stanno in una «relazione» possiamo intendere due cose:
• il processo di azione reciproca (rel/azione) fra i termini della rela-
zione (il processo è il loro riferimento reciproco – il weberiano refero – che
genera un legame – il durkheimiano religo);
• il prodotto di tale processo, cioè l’effetto emergente (emergent), ossia
la relazione in quanto realtà che è venuta a costituirsi fra i termini e che defi-
niamo «struttura sociale» in quanto opera come connessione relativamente
stabile fra (le posizioni de)i termini che stanno in relazione (il sistema sociale
è basato su queste strutture). In breve, dal punto di vista ontologico, la re-
lazione sociale può essere vista sia come un elemento necessario per il pro-
cesso di emergenza di nuove forme sociali, sia come la realtà che è emersa,
l’entità strutturale (emergent) in se stessa.
1
Saper leggere la società 27
CAPITOLO
Tutti parlano di «società». Ma che cos’è la società? E che cosa vuol dire
«conoscere» la società? Il concetto di «società» è alquanto nebuloso, diffi-
cile da definire. Abbondano le visioni più diverse e anche contraddittorie.
In queste pagine sostengo che la società è relazione, e cerco di spiegare
che cosa ciò significhi e comporti per il vivere sociale. La società non è un
contenitore di relazioni, ma è essa stessa relazione, è «relazionalità sociale».
Il termine «società» ha una sua storia. Esso è nato dalla cultura latina.
La parola «societas» deriva da «socius», e sta precisamente a significare che la
società è un fatto associativo nel senso più generale del concetto, cioè dello
stare/vivere insieme. Tuttavia, proprio per il carattere generico che ha, il suo
28 Capitolo 1
significato è cambiato nel corso dei secoli, secondo i periodi e i contesti sto-
rici. La chiave per comprendere questi cambiamenti è data, precisamente,
da ciò che sostanzia ogni tipo di società, cioè la configurazione delle relazio-
ni sociali che caratterizzano una società per differenza dalle altre.
A tutti capita di osservare che le relazioni nelle strade di New York sono
molto diverse da quelle, supponiamo, di Palermo. Sono due società diverse.
Ma come definire questa diversità?
C’è chi ha pensato la società come una «cosa», come un grande conteni-
tore (una grande organizzazione, una struttura come una costruzione a mo’
di fabbricato, un insieme più o meno coerente di leggi e istituzioni, una sorta
di «macchina» o di «mega-sistema») dentro il quale gli individui umani si
agitano, interagiscono e producono certi effetti, più o meno stabili o mute-
voli. C’è chi l’ha descritta come una realtà rappresentata, immaginata, oggi
diremmo «virtuale», cioè come una grande rappresentazione fatta di idee,
simboli, segni, e spesso miti, che muovono gli attori sociali e li indirizzano in
una direzione o nell’altra.
La società è stata il più delle volte descritta come un’entità materiale o,
viceversa, ideazionale, fatta di idee, simboli, modelli culturali. Le «grandi
narrazioni» di un tempo hanno spesso ceduto a queste tentazioni. Hanno
raffigurato la società come un soggetto di grandi imprese e di fantastici so-
gni, oppure come una scena su cui recitare grandi drammi, commedie o tra-
gedie. Ma oggi non è più quel tempo. Oggi, le scienze sociali sono chiamate
a un altro compito. La loro narrazione di ciò che accade non può più essere
fatta di quella grandeur che, non di rado, ha fatto perdere il contatto con la
vita quotidiana e le realtà umane più significative. La «grandezza della nar-
razione», se ancora si può usare questa espressione, sta nel raccontare quello
che si vede allorché si è in grado di penetrare l’intimo «essere» della società,
il suo «farsi», più che nel suggerire delle letture improntate a grandi visioni
immaginarie. In questo testo, quando parliamo di «essenza (o natura) della
società» intendiamo riferirci alla sua costituzione relazionale, cioè al fatto
che essa è costituita da relazioni sociali («è» relazione, non «ha» relazioni).
La società, infatti, non è un ordine di realtà che possa essere descritto in-
dicando delle cose concrete e tangibili, come i corpi o le case, o le fabbriche,
le automobili o le strade. Ad esempio, se diciamo che la società italiana è fatta
di circa 60 milioni di persone, con ciò indichiamo un numero statistico, non
Saper leggere la società 29
diciamo certo come è fatta quella società. La società non è fatta di individui o
di cose, anche se gli individui e le cose influenzano la società. Certo, la società
con le automobili è diversa da quella di un tempo in cui si andava a cavallo,
ma non a causa del mezzo che si usa in sé e per sé, bensì in quanto l’auto e il
cavallo significano modi diversi di relazionarsi fra le persone. La società non è
fatta neppure di individui, per quanto gli individui odierni – più istruiti e de-
diti ai consumi – siano assai diversi da quelli di una società primitiva o antica,
dove prevalgono gli analfabeti e i poveri, e quindi diano alle relazioni sociali
delle qualità molto diverse. La società non è fatta né di individui umani né
delle cose che essi producono e scambiano. Non è neppure una combinazio-
ne o mescolanza di tanti fattori, ad esempio economici, psicologici, culturali,
giuridici, politici, ecc. Essa consiste, invece, di una propria «stoffa», e segue
dinamismi propri. Il «materiale» di cui è fatta è la relazione sociale, e i suoi
dinamismi corrispondono a peculiari processi di morfostasi e morfogenesi1.
Essendo invisibile e non materiale, la società può essere vista solo con
strumenti appropriati. Insisto: per vedere la società come tale, occorre un
sistema specifico di osservazione. Si assume, quindi, che la società sia relazio-
ne sociale, e ci si propone di offrire gli strumenti concettuali per osservare le
relazioni sociali.
Il fatto che la società non sia una realtà come quella studiata dalle scienze
naturali (fisica, chimica, biologia, ecc.), né una realtà oggettivabile (materia-
lizzabile) come i manufatti, né una rappresentazione puramente mentale o
ideazionale dice che essa è una realtà peculiarmente umana. La società non è
né un fatto naturalistico (che si riferisca a entità indipendenti dalla volontà e
dalla soggettività), né una pura convenzione o invenzione ideativa. È, invece,
una realtà culturale, che deve fare i conti con gli altri ordini di realtà, da quel-
la biologica a quella psichica a quella trascendente ovvero religiosa. Proprio
negli interscambi e sui confini con queste altre realtà, essa incontra alcuni
dei suoi problemi più significativi, mentre altri li genera al proprio interno.
Pur essendo una realtà culturale, la società non si riduce a ciò che costitui
sce una «cultura» intesa come semplice rappresentazione simbolica. Ridurre
1
Il termine «morfostasi» indica la riproduzione delle forme sociali (la loro «stasi»),
mentre con il termine «morfogenesi» si intende la generazione di nuove forme sociali.
30 Capitolo 1
la società alla sola cultura è una distorsione abbastanza frequente nei cosid-
detti cultural studies. La società è fatta di un materiale ben più complesso, in
cui si intrecciano componenti soggettive e oggettive, naturali e sovranaturali,
umane e non specifiche dell’umano.
Come si può fare scienza di una tale realtà?
Ci sono due modi distinti di produrre conoscenza (fare scienza): spiega-
re (attraverso cause) e comprendere (attribuire un senso). Questi due modi
devono essere relazionati fra loro. Infatti, non si può fare scienza della società
senza prima chiarire i significati di ciò di cui si parla, per poi cercare le con-
nessioni esplicative di ordine causale fra variabili e fenomeni. A loro volta, le
spiegazioni causali modificano il senso che viene attribuito ai fenomeni.
In questo testo adotterò un approccio che consiste nel vedere la società
sotto l’ottica della relazionalità, ossia nel focalizzarsi sulla relazione sociale
e non sugli individui o sui sistemi; il paradigma scelto è quello che osserva
la società come rete; la metodologia è formulata come analisi relazionale; la
teoria che viene prodotta consiste nel comprendere e spiegare i fenomeni
sociali in quanto generati da relazioni sociali e consistenti in relazioni sociali.
Non se ne deve, per questo, dedurre che il sistema conoscitivo così propo-
sto sia – per così dire – «monolitico». Ciò che qui si propone non è un sistema
monistico, ma, al contrario, una lettura multidimensionale aperta ai vari ap-
procci, paradigmi, metodologie e tecniche di indagine, dato che, normalmente,
ciascuno di essi contiene elementi utili per produrre una teoria sociale preditti-
va. In ultima analisi, ciò che proponiamo è una lettura selettiva (selezionata in
base a un criterio pienamente relazionale) della conoscenza sociologica.
Per fare scienza della società bisogna essere consapevoli che la conoscenza
è sia attribuzione di un senso a ciò che si vuole indagare (= il problema socio-
logico da cui si parte per l’indagine) e a ciò che viene espresso come risultato
del processo conoscitivo (= la singola teoria sul problema che ha mosso l’in-
dagine), sia un processo di accertamento e validazione di regolarità empiriche
mediante procedure appropriate. Dal momento che i fenomeni sociali sono
per loro natura contingenti e riflettono la libertà dell’agire umano, seppure
vincolato a strutture sociali, occorre che l’approccio, il paradigma e le meto-
dologie che portano alla conoscenza sociologica (teoria) tengano conto di ciò.
In linea generale, le ricerche sociologiche fanno ricorso a tre tipi di logiche
esplicative: causali, funzionali e intenzionali. Le spiegazioni causali hanno il
Saper leggere la società 31
loro paradigma nella fisica, quelle funzionali nella biologia e quelle intenzio-
nali nelle scienze ermeneutiche. Il lavoro sociologico non può mai appiattirsi
su una sola di queste logiche, ma deve connetterle fra loro. Cruciale è il modo
di relazionarle fra loro, e in particolare l’esigenza di non annullare la logica
dell’intenzionalità, che caratterizza l’umano. Ecco perché la sociologia deve
fare ricorso a una propria logica esplicativa, quella relazionale.
Facciamo un esempio. Se si deve cercare di capire perché e come la
famiglia cambi, si osserva che nella dinamica familiare c’è ben poco di deter-
ministico, nello stesso senso in cui se ne parla per i fenomeni studiati dalla
fisica; c’è ben poco di funzionale, nello stesso senso in cui questo termine è
usato in biologia. Le spiegazioni più appropriate devono orientarsi in senso
interpretativo. Ma le interpretazioni non possono esimersi dal fare i conti
con gli aspetti funzionali e causalistici. Una famiglia umana c’è nella misu-
ra in cui si attualizzano intenzioni significative, quali che ne siano gli esiti
(anche non intenzionali). Di questo tiene conto proprio l’approccio relazio-
nale, che mette in rilievo l’importanza di dare un senso a ciò che si osserva
e a come lo si osserva (cioè di attribuire significati, di vedere la conoscenza
come costruzione di significati), nello studio della famiglia. Ma gli esiti og-
gettivi non sono irrilevanti per il significato che i soggetti attribuiscono alla
vita familiare. In altri termini: necessitiamo di un approccio massimamente
comprensivo, che connetta gli orientamenti degli attori e le funzioni delle
loro azioni e relazioni, ossia la famiglia in quanto intersoggettività (mondo
vitale) e in quanto dinamica oggettiva (sistema sociale, istituzione).
Molti si chiedono: perché bisogna «apprendere» a leggere la società, cioè le
relazioni sociali? Non basta forse un po’ di senso comune e un po’ di cultura
generale? In fondo, tutti vivono immersi nelle relazioni sociali.
La mia risposta è decisamente negativa. Il senso comune è un requisito
importante del pensiero umano e la cultura generale è ugualmente un insie-
me di risorse cui si deve ricorrere. Ma questi requisiti, se sono necessari, non
sono però in nessun modo sufficienti a «vedere» le relazioni sociali, quindi a
conoscere il perché dei fatti sociali che fanno una società.
Per vedere la società bisogna vedere le relazioni sociali, mentre la gran
parte delle scienze sociali (anche quelle affini alla sociologia) vedono solo
individui e «cose» (oggetti e strutture materializzate).
La scienza sociale è lo studio di una realtà invisibile e irritante: quella dei
32 Capitolo 1
nessi fra strutture e azioni sociali. La realtà sociale è differente da ogni altra
in ragione della sua peculiare costituzione umana. La società esiste perché
l’essere umano non è né puramente natura fisica (corpo biopsichico), né un
puro spirito (realtà trascendente). Essa ha tre caratteristiche peculiari:
1. è inseparabile dai soggetti-agenti umani, perché la sua stessa esistenza
dipende in qualche modo dalle loro attività;
2. è intrinsecamente modificabile, non ha una forma immutabile e
nemmeno uno stato ottimale che possa essere definito a priori o a posteriori;
3. è condizione per le azioni e nello stesso tempo è condizionata dai
risultati delle azioni, ossia la società è nello stesso tempo vincolo e risorsa per
gli agenti, individuali e collettivi, che la fanno.
Bisogna saper leggere la società perché, per vederla, non basta conoscere
la struttura sociale esistente (che condiziona l’azione con regole, istituzioni,
vincoli) e/o l’agire umano (i comportamenti in atto dei soggetti-agenti): oc-
corre conoscere ciò che intreccia struttura e azione sociale, ciò che li media
e li tiene connessi, ciò che si attua come loro interazione e il prodotto di tale
interazione. La sociologia è una scienza complessa, forse la più complessa,
perché ha il compito di comprendere il nesso che esiste fra struttura e agire,
laddove tale nesso è sempre «irritante» perché, se da un lato è necessario,
dall’altro è aperto al massimo delle contingenze. È in tale nesso che consiste,
intrinsecamente, la società.
La società è quella condizione, tipicamente umana, che ci rende allo stes-
so tempo liberi e vincolati nell’agire sociale. Né totalmente liberi, né total-
mente vincolati: perché se fossimo nell’una o nell’altra situazione, allora non
saremmo in società.
«Apprendere a leggere» vuol dire mettersi in relazione alla società attra-
verso un sistema di osservazione sensibile alle relazioni, cioè che osserva con
e attraverso le relazioni sociali che la condizione umana di chi agisce e di chi
osserva implica, contestualmente.
Se la società fosse fatta di individui, ci basterebbe conoscere questi ul-
timi per sapere com’è fatta la struttura sociale. Se, parimenti, fosse fatta di
strutture, ci basterebbe conoscere queste ultime per sapere come sono fatti
i soggetti e come agiscono. Sfortunatamente, o piuttosto per nostra fortuna,
non è vera né l’una cosa né l’altra. Perché la società è un altro ordine di realtà:
è l’ordine di realtà della relazione.
Saper leggere la società 33
2
Anticipo qui una spiegazione che sarà ripresa più oltre (cap. 5, par. 2). Il tempo
storico-sociale è il tempo proprio delle relazioni, che nascono, hanno un corso di vita e poi
muoiono. Questo tempo si colloca fra il tempo delle interazioni (tempo evenemenziale),
che è quello che dura solo per il tempo della comunicazione (come al telefono o alla tele-
visione) e il tempo simbolico, che è quello dei simboli che stanno fuori del tempo, perché
sono in qualche modo pensati come esistenti da sempre e per sempre (come il simbolo
dell’universo, o del padre o della madre, che non hanno un tempo delimitato, anche se
cambiano di contenuti) [Donati 1994].
34 Capitolo 1
può dire che l’idea tradizionale di «società» è una nozione complessa perché
comprende tutto ciò che riguarda l’esistenza degli esseri umani nelle loro
azioni di vita quotidiana.
Se si segue questo modo di pensare, la società viene allora intesa come
fra di esse, aventi funzioni precise e ordinate al bene comune, in cui si realizza
il fine ultimo dell’uomo.
3. Nel corso del Sei-Settecento, all’inizio dell’età moderna, si diffonde
una nuova visione di tipo contrattualistico della società (in nuce già presente
nella cultura romana). A partire grossomodo da Thomas Hobbes, si afferma
una visione della società come costruzione artificiale. Si suppone che gli
individui preesistano alla società e vivano in una condizione (o stato di
natura) in cui l’uomo è lupo per l’altro uomo (homo homini lupus); e si
afferma che la società nasce nel momento in cui essi si mettono d’accordo
per cedere a un terzo (lo stato) il potere di usare la forza onde stabilire
l’ordine e la sicurezza sociale.
Contemporaneamente, a partire dal Settecento, in modo indipendente e
tuttavia relazionato al nuovo clima culturale «contrattualistico», si sviluppa
la semantica della «società civile» intesa come l’insieme di coloro che sono
impegnati nelle attività economiche, come artigiani, mercanti, fabbricanti e
agricoltori, ossia come popolazione dei produttori (i borghesi, abitanti dei
«borghi», fuoriusciti dall’ordine medievale del castello-feudo), che non sono
né aristocrazia né clero (e per questo denominati, con la Rivoluzione francese
del 1789, «terzo stato», ovvero borghesia). Qui la società è intesa come mer-
cato, ossia come ambito delle relazioni di produzione, commercio e consu-
mo, che tanta importanza ha avuto nel caratterizzare l’epoca moderna come
capitalistica. A partire dal saggio sulla società civile di Adam Ferguson (del
1767) e passando attraverso autori come Henri de Saint-Simon e Auguste
Comte, il termine «società» diventa sinonimo di «industria»: nasce il concet-
to di «società industriale», perché la società è vista come (dal punto di vista
dell’)industria (per Comte, la società è fatta solo di coloro che producono;
essa esclude coloro che non producono in modo utile alla società).
Con la modernità, dunque, la società perde decisamente quel carattere
di organismo naturale che le era stato garantito dalla tradizione classica. Essa
non coincide più con il «tutto sociale», ma diventa quella specifica sfera di re-
lazioni fra individui e gruppi che operano e contrattano, che vivono di propri
rapporti sociali. Un modo particolare di autodescriversi di questa società è
quello di pensare le relazioni civili come oppositive nei confronti dell’autori-
tà e del dominio politico, sia della religione (la chiesa) sia dello stato.
Friedrich Hegel crea un’ulteriore semantica, con la quale cerca di
38 Capitolo 1
agiscono in un certo modo anziché in altri, se, quando e per il fatto che si
rapportano gli uni agli altri secondo certe modalità.
Comprendere la società non è la stessa cosa che comprendere gli indivi-
dui (nella loro psicologia interiore) o individuare delle «leggi meccaniche»
che sovrastano gli individui. La società è una configurazione di relazioni le
quali emergono attraverso processi in cui possiamo analiticamente ed empi-
ricamente distinguere tre fasi temporali [Archer 1995]:
1. le forme socioculturali e strutturali preesistenti all’ingresso degli indi-
vidui;
2. le azioni dei soggetti-agenti, che si muovono in relazione fra loro con-
dizionati da queste forme;
3. i risultati di tali interazioni, che possono riattualizzare oppure mo
dificare le strutture socioculturali di partenza. Nel caso della riproduzione si
parla di morfostasi, nel caso di genesi di nuove forme si parla di morfogenesi.
Le categorie conoscitive attraverso cui noi comprendiamo le relazioni
sociali non possono essere meramente psicologiche (ad es., sentimentali, per
senso affettivo) o, viceversa, meccaniche (sul modello delle scienze fisiche,
ad es., i moti di attrazione e repulsione). Se la sociologia osserva, ad esempio,
la relazione di coppia uomo-donna, non può ridurla a un puro sentimento
o a una pura attrazione di istinto sessuale, ma deve vederla come un’azione
reciproca fra soggetti che è (nella forma e nei contenuti) qualcosa di più e
di diverso. Essa implica un agire reciproco dotato di senso che va oltre le
intenzioni e gli apporti dei due individui coinvolti. Nello stesso tempo, le
categorie conoscitive sociologiche attraverso cui comprendiamo la relazione
non possono essere intese come applicazioni di norme etiche a priori, come
se la società esistente di fatto (leggi in questo caso: la coppia) fosse compren-
sibile per semplice deduzione di imperativi morali posti ex ante. Neppure
possono essere solo razionali, rispetto a un valore incondizionato o rispetto a
uno scopo strumentale, perché la razionalità può essere solo una dimensione
della relazione sociale.
Il fatto è che la relazione sociale, ad esempio quella di coppia, include
tutte queste dimensioni (affettiva, istintiva, normativa), ma è più di tutto que-
sto: contiene questi elementi, ma non è la loro somma. La relazione è il «fatto
sociale emergente» di azioni reciproche che combinano elementi soggettivi e
oggettivi, interni ed esterni, nel tempo.
Saper leggere la società 43
passa dalla famiglia estesa a quella nucleare. Il passaggio dalla famiglia estesa
a quella nucleare (e poi eventualmente la frammentazione di quest’ultima)
è un fenomeno emergente dalle interazioni fra soggetti che, agendo dentro
certe opportunità e certi vincoli, modificano i pattern relazionali (le strutture
familiari e i relativi stili di vita) e così creano le condizioni attraverso cui, in
momenti successivi, altri soggetti agiranno entro le strutture generate, accet-
tandole o rifiutandole, riproducendole o modificandole ancora.
L’oggetto del contendere può essere in buona sostanza espresso con la
seguente domanda: la società è fatta di individui oppure è qualcosa che ha
una sua autonomia indipendente dagli individui? Nel primo caso, le relazioni
sociali sono concepite come emanazioni o proiezioni delle caratteristiche in-
dividuali (in particolare, delle loro preferenze, opzioni, scelte di valore, ecc.).
Nel secondo caso, alle relazioni viene attribuita una realtà in sé: per gli olisti,
tale realtà è fatta di strutture che si impongono agli individui, invece per la
sociologia relazionale si tratta di una realtà che ha le sue proprietà e i suoi
poteri, ma solo in quanto è agita ed emerge dalle interazioni fra gli individui.
• Gli individualisti ritengono che la società (e tutte le entità collettive)
non abbia alcuna «realtà». A loro avviso, tutte le entità dette «sociali» (fami-
glia, stato, popolo, capitalismo, struttura sociale, fisco, classe sociale, sistema
economico) sono solo etichette, nomi, rappresentazioni mentali. «Solo gli
individui esistono». Con ciò, essi trasformano il confronto da strettamente
storico-sociologico e metodologico in confronto anche filosofico (ontolo-
gico) e poi dichiaratamente politico. Sul piano filosofico, sostengono che i
concetti universali sono pure astrazioni, e che solo i concreti individui singoli
sono dotati di realtà propria. Sul piano politico sostengono il liberalismo. A
loro avviso, l’individualismo metodologico implica una posizione filosofica
nominalista su tutta la conoscenza sociale. Di qui la facile critica per cui l’in-
dividuo dell’individualismo metodologico è ipo o sottosocializzato.
• Gli olisti, al contrario, ritengono che esista un ordine di realtà che, se
non è preso in considerazione, rende incomprensibile e inagibile il compor-
tamento individuale. La sociologia classica sostiene che la società è una realtà
sui generis che pone vincoli esterni e coercitivi sugli individui. Sono gli indi-
vidui che agiscono, certamente, ma essi non possono mai farlo in maniera «li-
bera» così come gli individualisti metodologici sostengono. I fenomeni socia-
li non sono spiegabili con le sole azioni di individui, ma implicano realtà pre e
46 Capitolo 1
CAPITOLO
La relazione sociale
come oggetto di conoscenza
cui la relazione connette gli elementi di carattere organico (vitale) con quelli
artificialmente costruiti, non potendo mai eliminare completamente né gli
uni né gli altri. Si può affermare che la dottrina delle relazioni sociali elabo-
rata fino a oggi rappresenta solo il «vestibolo del sacrario», nel senso che,
ancor oggi, restano da fare passi decisivi per entrare nel nocciolo costitutivo
delle relazioni sociali e quindi per risalire ai nessi sociali, sia quelli più intimi
e ristretti sia quelli più anonimi e globali.
Il fatto è che la relazione sociale è stata spesso studiata come conseguen-
za, come «applicazione» e come mediazione di altre categorie conoscitive
piuttosto che come realtà in sé. Di solito, essa diventa un tema specifico di
conoscenza e investigazione solo in momenti particolarmente critici, cioè
allorquando i processi di differenziazione sociale e la percezione delle di-
stanze fra individuo e società vengono sentiti come altamente problematici.
Solo allora l’osservatore si dispone a considerare la relazione sociale come
prodotto concreto e determinato di una società che tematizza se stessa come
problema (di relazionamento).
che l’uomo sia «animale politico» per natura, cioè che non possa realizzarsi
se non nelle relazioni con gli altri (e invero nel bene comune della città), ma
le modalità relazionali sono viste come derivate dalla sua natura sostanziale
(l’uomo è portato «naturalmente» a fare famiglia, a vivere nella polis, ecc.).
In generale, si suppone che le relazioni sociali derivino dalla natura stessa
degli esseri viventi (anche se, come alcuni hanno notato, Aristotele avverte
su questo punto delle difficoltà, in quanto si rende conto che la categoria
della «relazione», pur non essendo equiparabile a quella di sostanza, non è
tuttavia di secondaria importanza, in quanto non c’è scienza senza relazione
[Actis Perinetti 1959, 65-69; Mathieu 1967]).
Il fatto è che Aristotele non possiede la nozione di «effetto emergente»
e quindi non può chiarire la natura della relazione. Facciamo un esempio.
È noto che l’acqua (H2O) è un effetto emergente da una combinazione di
idrogeno (H) e ossigeno (O) sotto particolari condizioni fisiche (di tempe-
ratura, pressione, ecc.). La relazione fra idrogeno e ossigeno nella molecola
dell’acqua non è un mero rapporto spaziale (di maggior vicinanza), ma è
un legame sostanziale per l’acqua. Senza quella relazione l’acqua non esiste-
rebbe. Diverso è il caso per la persona umana, che preesiste alla relazione
sociale. E, tuttavia, nel caso del soggetto umano la relazione non è solo una
questione di posizionamento spaziale: non dice semplicemente che Tizio è
più o meno vicino o lontano rispetto a Caio, bensì che la relazione tra Tizio
e Caio li «conforma», dà loro una certa identità e forma, che non esistereb-
bero senza quella relazione.
Neppure la cultura romana possiede un concetto specifico di «relazione
sociale», per quanto essa offra la radice etimologica di relatio (da referre),
la quale indica il riferimento di un ente o di un oggetto in genere a un altro
secondo un determinato modo, che può essere proprio delle cose stesse tra
loro oppure posto dalla mente fra le cose. Del resto, il diritto romano non
conosce neppure il concetto di «relazione giuridica» la quale, intesa come
«relazione da persona a persona, determinata da una regola giuridica», com-
pare con la pandettistica, una corrente giuridica affermatasi in Germania nel
XIX secolo che perseguiva la costruzione di un sistema concettuale capace
di dare una sistemazione generale agli istituti di diritto privato; essa era mo-
dellata sugli istituti del diritto romano, dei quali ricercò le fonti originarie
nel Digesto o Pandette che è la parte più cospicua del Corpus Iuris Civilis di
54 Capitolo 2
il futuro delle scienze sociali intese a largo spettro, specialmente ove si con-
sideri l’esplosione della realtà (società) virtuale rispetto alla realtà (società)
esistente (o potenziale rispetto a quella data).
esempi di cui si è già detto: l’identità di una persona sta nel distinguersi nel
riferimento agli altri (diversi da sé), cioè nel vedere la differenza, ma anche
il fatto che la differenza si stabilisce attraverso un riferimento reciproco
che, al di là della negazione logica, richiede riconoscimento e scambio (ad
es., mi sento – mi definisco come – italiano quando mi riferisco ad altri che
non sono italiani; è un’esperienza che si prova in modo naturale quando si
va all’estero; ciò non significa, però, che l’essere italiano non abbia nulla
in comune con le altre nazionalità, ossia la relazione italiano/non-italiano
stabilisce una differenza aperta a possibili scambi, anche di cose comuni, e
quindi non è necessariamente stabilita sulla negazione di tutto ciò che non è
italiano; nello stesso modo, l’umano trova la sua identità solo quando viene
confrontato con il non-umano, ma ciò non significa che non ci possano
essere scambi, attraversamenti, e anche relazioni tra realtà comuni fra un
dominio e l’altro); l’identità della società civile si definisce come alterità
rispetto allo stato – società civile è ciò che è altro dallo stato o dal sistema
politico-amministrativo –, ma tale relazione, se dice distanza, non indica
necessariamente una contrapposizione antagonistica o altra forma di
negazione; il benessere è definito in relazione al malessere, è una relazione
fra due condizioni che si distinguono per riferimento l’una all’altra, l’una
esiste in relazione all’altra, non necessariamente come antitesi, ma al limite
anche come sinergia reciproca, e secondo una molteplicità di dimensioni.
Notiamo che, attraverso il dispiegarsi di queste tre semantiche, si fa
strada una sorta di «emancipazione» del concetto di «relazione» e del suo
ruolo nell’indagine conoscitiva. Sotto un certo aspetto, è nella sociologia che
si compie a poco a poco quella rivoluzione epistemologica («relazionale»)
che porta a rivedere i quadri conoscitivi in modo tale che le identità (dei
concetti, dei soggetti, delle azioni, e così via) siano sempre più definite «re-
lazionalmente».
L’emanciparsi del concetto di «relazione», e la valorizzazione del suo
ruolo sia nella dinamica sociale sia nella scienza, si può osservare nel fatto
che la relazione, anziché essere vista solo come conseguenza dell’identità, sia
invece considerata come costitutiva di quest’ultima. Laddove l’identità si
costituisce non già per negazione di tutto ciò che essa non è (come nei codici
della dialettica hegeliana, o nel codice cibernetico binario), ma attraverso il
relazionamento a un’alterità.
La relazione sociale come oggetto di conoscenza 59
1
La sociologia relazionale basata sul realismo critico si avvale di argomenti teorici
ed empirici documentati da numerose ricerche sul campo: cfr. Donati e Terenzi [2005]
e Terenzi [2012].
60 Capitolo 2
come uno svolgimento circolare e indefinito nel tempo della relazione so-
ciale come fine a se stessa (la relazione sociale diventa il fine ultimo o escha-
ton dei processi, essendo essa stessa mera processualità), mentre secondo la
nostra sociologia relazionale – che segue il realismo critico –, quando si dice
che la realtà sociale è «relativa» si intende dire che essa esiste «in relazione
a»; ossia, si sottolinea che il carattere «relativo» di un fenomeno sociale in-
dica una «relazione fra» entità, laddove la relazione ha una sua struttura,
funzioni, articolazioni, ossia è unità delle distinzioni e non già arbitrarietà o
mera processualità situazionale.
3
L’emergere della relazione sociale come tema e problema nel mondo moderno 61
CAPITOLO
loro, quali i valori, le norme, le finalità e i mezzi che utilizza. Le relazioni viste
come scambi possono configurarsi in tutti i modi in cui è possibile realizzare
il passaggio di qualcosa fra i poli o soggetti della relazione. Questo passaggio
(o scambio) crea una nuova entità o situazione che ha i caratteri della relazio-
ne (è la relazione che emerge dallo scambio). La società moderna può essere
interpretata come scoperta e costruzione di questa prospettiva, dapprima
entro orizzonti limitati e poi via via in senso sempre più generalizzato.
Si è soliti raffigurare la nascita della società moderna come emergere
delle relazioni di Gesellschaft (relazioni contrattuali e associative di mercato,
intese come espressione di volontà arbitraria e di interessi finalizzati a scopi
strumentali) di contro alle relazioni di Gemeinschaft (relazioni tradizionali di
comunità, intese come espressione di volontà essenziale e di legami ascrittivi)
[Tönnies 1887]. Ciò è indubbiamente esatto. Ma bisogna insistere sul carat-
tere non puramente, né prevalentemente, economico di tale trasformazione.
La trasformazione di ciò che è «comunitario» in «societario», avendo appun-
to un carattere relazionale, se da un lato distingue, dall’altro connette e fa
interagire tra di loro le diverse componenti interne delle relazioni sociali, in
particolare quelle motivazionali, adattivo-funzionali e di creazione culturale.
In breve: il passaggio da una società «comunitaria» a una società «socie-
taria» («associativa») non significa che vengano cancellati i caratteri della
prima, ma significa invece che vengono prodotti dei fenomeni di mix, degli
scambi fra le componenti di ciò che fa il comunitario e di ciò che fa il societa-
rio [Donati 1991, cap. 2]. Nessuna società è puramente comunitaria o pura-
mente societaria. Nuovi sistemi economici sono resi possibili solo se cambia-
no le relazioni sociali fra i soggetti1. Anche un nuovo ordine politico diventa
possibile solo se cambiano le relazioni fra i soggetti che fanno la politica2. A
1
Diversi autori hanno mostrato come i moderni sistemi di computazione siano nati
dalle esigenze pratiche insite nelle relazioni sociali di scambio messe in atto dai mercanti
(i borghesi) che hanno dato vita al capitalismo occidentale moderno [Hadden 1988].
Ma non si deve dimenticare che non si potevano instaurare le nuove ragioni di scambio
economico senza che fossero disponibili dei nuovi modi culturali di pensare e agire le
relazioni sociali in senso più ampio (sotto questo aspetto è ancora largamente sottovalutato
il contributo decisivo offerto dal dibattito filosofico sulla categoria della relazione nelle
scuole cosiddette «scolastiche» fra il 1200 e il 1500 in tutta Europa).
2
Adottando quest’ottica, alcuni autori hanno mostrato come le grandi riforme
religiose e le trasformazioni del sistema sociale, economico e politico all’inizio dell’epoca
64 Capitolo 3
moderna siano state il prodotto di una «retorica delle relazioni sociali» (per «retorica»
si intende qui un certo stile di pensiero e di dialogo, positivo e non basato su finzioni)
che ha prodotto un contesto di relazioni sociali capace di trascendere l’ordine sociale
precedente basato sulla parentela e i legami localistici (ad es., sui processi che hanno
portato alla formazione dello stato e della chiesa nazionale in Inghilterra fra il 1540 e il
1640 [Bearman 1993]).
L’emergere della relazione sociale come tema e problema nel mondo moderno 65
in diversi codici simbolici (l’amore come agàpe, come eros, come amicizia,
come amore romantico, come passione, ecc.) che possono modificarsi nel
tempo. La nozione di «relazione sociale» assume una tensione interna, diventa
ambivalente (a doppia valenza), differenziabile al proprio interno, secondo
componenti che possono essere esplicitate di volta in volta.
Questi due grandi spostamenti nel modo di intendere la relazione sociale
indicano che esiste una stretta connessione fra la tematica della relazione
sociale e quella della società civile in senso moderno, e più in generale della
civiltà e del processo di civilizzazione. «Per me – dice von Wiese [1955; trad.
it. 1968, 265-266] – l’usuale parola “sociale” s’identifica con la parola inte-
rumano. La realtà interumana è il terreno sul quale crescono tutte le culture,
le civiltà, le istituzioni e le rappresentazioni ideali». È certamente vero, come
afferma von Wiese, che «non ci può essere una somatologia della società, per-
ché non esiste un soma». Detto con altre parole, la società civile è una realtà
in divenire e la sua natura relazionale rende difficilmente percepibili in modo
empirico le sue istituzioni (von Wiese si esprime così: «il sociale consiste di
una catena relativamente infinita di eventi che accadono nel tempo»). Tutta-
via, se è vero che non bisogna materializzare (reificare) la relazione sociale,
bisogna riconoscere, al di là della prospettiva formalistica di von Wiese, che
la relazione sociale ha dei contenuti che si concretizzano e persistono nel
tempo, al di là di una pura esistenza evenemenziale. I sistemi e le istituzioni
sociali sono concretizzazioni di insiemi di relazioni che hanno un loro ordine
di realtà, anche se non sono percepibili dai nostri sensi.
In ogni caso, resta vero che la «modernità» – intesa come forma culturale
– è caratterizzata dall’idea che il tipo e grado di civilizzazione di una società
(la sua connotazione di «civile») sia strettamente legata alla quantità e qua-
lità delle relazioni sociali in essa dominanti, siano esse praticate in maniera
formale o informale, legittima o illegittima, consensuale o conflittuale. L’idea
che la qualità moderna corrisponda ai caratteri della triade «libertà, ugua-
glianza, fraternità» costituisce, appunto, il codice simbolico specifico delle
relazioni in senso «moderno».
66 Capitolo 3
sociologico, noi osserviamo che nella realtà sociale ci sono dei finalismi, ma
questi non sono deterministici (sono, invece, «aperti»). Anche per chi adotta
una prospettiva religiosa o metafisica, è più istruttivo tradurre la finalità in
relazione fra natura e sovranatura; noi non sappiamo a cosa servono certe
cose, atti, azioni (o anche esperienze, come il dolore e la morte), ma possiamo
vederle come un modo di dispiegare (nel sociale) le relazioni fra l’umano e
il divino. La finalità della relazione sociale è, essa stessa, una relazione fra il
suo interno e il suo esterno, fra ciò che essa indica come propria direzione
(distinzione-guida interna) e ciò da cui dipende nel suo ambiente.
4
I diversi approcci nello studio della relazione sociale 69
CAPITOLO
1. LA TEMATICA
determinismo causale dei fenomeni sociali, ora spiegati come prodotti delle
interazione fra le dimensioni culturali e quelle materiali delle relazioni sociali.
In ogni caso, anche laddove si siano avuti questi ulteriori svolgimenti,
l’approccio marxista rimane legato alla sua intrinseca connotazione materia-
listica e strutturalistica, come si può verificare in autori recenti quali Louis
Althusser e Pierre Bourdieu. Quest’ultimo [Bourdieu 1992] esprime un par-
ticolare relazionismo ontologico e metodologico di origine marxiana. Lo si
constata nelle nozioni e nelle strategie di ricerca centrali che egli elabora. Le
nozioni di habitus e di campo sono definite come «nodi di relazioni»:
• il primo è definito come un insieme di relazioni storiche «depositate»
nei corpi individuali sotto forma di schemi mentali e corporei di percezione,
di valutazione e azione;
• il secondo è concepito come un insieme di relazioni oggettive, storiche
fra posizioni radicate in certe forme di potere o di capitale.
A suo avviso, quella di «società» è una nozione vuota, a cui bisogna so-
stituire quella di uno spazio socialmente strutturato in cui gli agenti (non ri-
conducibili a un’unica logica societaria) lottano in funzione della posizione
che occupano, costretti a ciò dalla configurazione di un sistema strutturato
di forze oggettive che impone determinate relazioni, in genere di conflitto
e concorrenza, al fine di stabilire un monopolio sulla particolare specie di
capitale che vi risulta efficiente (l’autorità culturale in campo artistico, l’au-
torità scientifica in campo scientifico, l’autorità sacerdotale in campo reli-
gioso, ecc.) e sul potere di decretare la gerarchia e i «tassi di conversione» tra
forme diverse di autorità nel campo del potere. Per quanto Bourdieu cerchi
di sfuggire al rigido determinismo classico (anche marxiano), la creatività
degli agenti ha per lui limiti invalicabili nei loro abiti (che sono meccanismi
strutturanti) e le relazioni incontrano limiti insuperabili nelle strutture del
campo e dello spazio sociale, cosicché la volontà e l’intenzionalità soggettive
ne risultano fondamentalmente menomate.
In realtà, nel caso della chimica, la reazione non trasforma gli elementi
(ad es., nell’H2O gli atomi di idrogeno e ossigeno restano gli stessi), ciò che
cambia è il loro legame. Ma, nel caso dei soggetti umani, Durkheim ha ragio-
ne: che cosa succede? Certamente qualcosa cambia nei soggetti che costitui
scono un legame forte, vedremo più oltre quali sono e come avviene il cam-
biamento (che non riguarda però l’essere ontologico della persona umana,
bensì la sua identità personale e sociale).
In un primo tempo, Durkheim [1975] vede la relazione sociale come
scaturente dalla divisione sociale del lavoro: di qui la celebre distinzione fra
la «solidarietà meccanica», che si costituisce tramite relazioni sociali fra sog-
getti uniformi, tipica delle società semplici, arcaiche e tradizionali, a bassa
divisione del lavoro, e la «solidarietà organica», che si costituisce tramite
relazioni fra soggetti sempre più individualizzati e differenziati, tipica delle
moderne società industriali a elevata e crescente divisione del lavoro. Suc-
cessivamente Durkheim approfondisce il contenuto e i caratteri simbolici
della relazione sociale come espressione della conscience collective. Sua è
la famosa argomentazione che «sociale» è tutto ciò che, avendo capacità di
integrazione, si configura come «legame» ed essendo la religione (da religo,
«legare assieme») l’elemento massimamente integrativo, vi sarebbe una piena
corrispondenza fra società e religione: al punto che la relazione sociale avreb-
be, dunque, di per sé i caratteri del «religioso».
Indubbiamente, il positivismo durkheimiano pone in luce il carattere
autonomo (normativo) dello spazio sociale, ma la relazione individuo-società
I diversi approcci nello studio della relazione sociale 73
1
Sul confronto fra le due scuole, cfr. Ekeh [1974].
74 Capitolo 4
2
Cfr. la frame analysis di Goffman [1974] e un brillante studio del caso a proposito
della società cinese [Shuo 1993].
I diversi approcci nello studio della relazione sociale 81
È quello che più di ogni altro si propone di fornire una teoria generale
sistemica della relazione sociale. È denominato in questo modo perché sup-
pone che la realtà sociale sia fatta di strutture che svolgono delle funzioni
(sempre più specializzate nel corso della storia sociale). Esso parte da un
postulato che condiziona tutti gli svolgimenti successivi in termini di osser-
vazioni e riflessioni ammissibili per questo approccio: la relazione sociale è
considerata come funzione degli status-ruoli ricoperti dagli individui in un
sistema sociale. Il medico, l’insegnante, l’operaio, la casalinga hanno certe
relazioni sociali perché occupano una certa posizione (status) e hanno un
certo ruolo (compiti) in un determinato sistema sociale (il sistema sanitario,
la scuola, la fabbrica, la famiglia, ecc.). In altri termini, la relazione sociale
non è che il modo in cui il sistema sociale, o sistema di azione, funziona; in
particolare, la relazione è l’espressione di un agire in uno status-ruolo, entro un
sistema di status-ruoli.
Talcott Parsons (1902-1979), caposcuola di questo approccio, assume,
fin dall’inizio (La struttura dell’azione sociale [1937]), e poi nel corso di tutta
la sua vita fino all’ultima opera (Action Theory and the Human Condition
[1978]), che la proprietà più generale e fondamentale di ogni fenomeno
sociale (considerato come sistema di azioni) sia la relazionalità costitutiva
delle sue parti, dimensioni o variabili. L’interdipendenza che sostanzia tale
relazionalità consiste nell’esistenza di determinate relazioni fra le parti o va-
riabili, in contrasto con la variabilità casuale. In altre parole, la relazione è
interdipendenza (con interpenetrazione), e l’interdipendenza è sia l’ordine
nelle relazioni tra le componenti che entrano in un sistema, sia il loro effetto
emergente.
Da questo punto di vista si vede bene la realtà sui generis della relazione
sociale, che consiste nel generare gli «effetti strutturali» (intesi come compor-
tamenti di conformità che gli attori individuali mettono in atto pur non con-
dividendoli interiormente [Blau 1989]) e i cosiddetti «effetti perversi» (intesi
come effetti non intenzionali prodotti da una moltitudine di singole azioni
intenzionali [Boudon 1979]). Conseguentemente, si può più agevolmente
vedere perché gli approcci individualistici, tanto strumentali che idealistici
o normativi, sono empiricamente incapaci di chiarire le vere relazioni causali
della vita sociale. In breve, Parsons ha posto alcune basi fondamentali per
un approccio relazionale comprensivo, integrato e multidimensionale, anche
se poi non ha sviluppato con coerenza tale progetto (i limiti e le contraddi-
zioni dell’approccio parsonsiano sono stati evidenziati da Alexander [1983;
1990]).
ossia come capacità di mettersi nei panni dell’altro e così di intenderlo più
pienamente (concetto distinto dalla «simpatia»), salvo precisare il fatto che
Buber insiste nel ritenere che è fondamentalmente sbagliato voler compren-
dere i fenomeni interumani come fenomeni psichici, perché il significato del-
la relazione non si trova in uno dei due interlocutori né in entrambi insieme,
ma soltanto nel loro concreto affiatamento, nel loro essere «inter» («l’ambito
dell’interumano – dice Buber [1993, 297] – si estende di gran lunga al di là
della simpatia. […] questa è la cosa decisiva: essere-non-oggetto»).
Proveniente da ben altre origini culturali (Scuola di Francoforte), anche
Jürgen Habermas [1981] ha posto il senso della relazione sociale nel suo
carattere dialogico interpersonale. La relazione sociale non ha per lui una
vera e propria struttura, ma è il luogo e il mezzo per affermare l’etica del
discorso attraverso cui gli individui cambiano la società e se stessi, negando
i vincoli del sistema (capitalistico). A suo avviso, una relazione è socialmente
(non sistemicamente) integrativa, e perciò umana, se e nella misura in cui
essa attua una comunicazione ugualitaria e democratica, libera da costrizioni,
trasparente e priva di motivazioni strumentali (detta per questo «agire comu-
nicativo» per distinguerla dall’«agire strategico»). La società che egli auspica
è identificata in una «comunità illimitata di discorso».
In questa linea, alcuni autori propongono di considerare la relazione
sociale come una realtà multidimensionale «dialogica», nella quale interagi-
scono una cultura, un sistema sociale e una personalità, e che, come tale, è
fondamentalmente oggetto di interpretazione (in quanto si costituisce come)
ermeneutica. In questo approccio, occorre leggere la relazione sociale come
un testo che un soggetto scrive a un altro soggetto (come suggerisce Paul
Ricoeur [1986]). Ed è in quest’ottica che molti studiosi trattano la relazione
sociale come «narrazione» che esprime e forgia, alla maniera di un racconto,
le identità sociali.
L’approccio dialogico-narrativo esprime in modo significativo certi
aspetti – prevalentemente espressivi – delle relazioni sociali, ma manca di un
apparato teorico capace di cogliere la realtà piena delle relazioni. Per questa
ragione, coloro che praticano questo approccio finiscono spesso per assume-
re posizioni ideologiche (come fa Habermas, che vede la società come pro-
getto incompiuto della modernità) oppure «culturalizzano» la società (come
fa Jeffrey C. Alexander [2003], il quale riduce la società a un gioco di simboli
86 Capitolo 4
CAPITOLO
1
L’epistemologia relazionale afferma che non c’è conoscenza senza relazione e
88 Capitolo 5
dire relazione vuol dire per forza di cose entrare in un contesto che richiede la gestione
di significati. Mentre le filosofie oggettivistiche assumono come punto di partenza un
designato sul quale ricalcare il discorso, e mentre le filosofie soggettivistiche tendono
a risolvere il problema semantico nella funzione privilegiata e autoespressiva dell’Io, la
prospettiva relazionale invece muove da un discorso la cui semanticità è data in certo
senso a priori, alla sola condizione che l’esperienza del discorso esista come relazione,
giacché non può esserci discorso laddove non sussiste e laddove non riceve espressione
una forma di relazione o di incontro tra funzioni soggettive e oggettive d’esperienza. La
semanticità così intesa diventa perciò una condizione della relazionalità del discorso, il
quale si ridurrebbe in caso diverso a una vuota espressione senza contenuto né significato,
o a una passiva riproduzione di forme a esso esterne e in esso non veramente mediabili
[Actis Perinetti 1959, 47]. La prospettiva fenomenologica mette in luce l’insostenibilità
delle posizioni positivistiche (e in particolare neopositivistiche del Circolo di Vienna,
Wiener Kreis), che interpretano soltanto sintatticamente e formalmente la relazione. Il
programma positivistico è del tutto illusorio, dal momento che i modi di articolazione
della relazione sono strettamente connessi alla sua funzione semantica, la quale a sua volta
ha tanti aspetti quanti sono gli «universi di discorso» o direzioni possibili di esperienza.
Tre modi di intendere la relazione sociale 89
G
Goal Attainment
(scopi situati)
A I
Adaptation Integration
(mezzi, risorse) L (norme)
Latency
(orientamenti di valore)
2
Recenti ricerche teoriche ed empiriche hanno messo a punto un quadro concettuale
per l’analisi dei vari tipi di riflessività [Archer 2003].
92 Capitolo 5
CAPITOLO
CAPITOLO
Dagli anni ’50 e ’60 in poi si è sviluppata, specie nei paesi anglosasso-
ni, a partire dall’antropologia struttural-funzionalista, la cosiddetta «analisi
delle reti sociali» (network analysis) [Barnes 1954; Nadel 1957; Bott 1957;
Mitchell 1969]. Benché raramente lo si rammenti, questi studi devono molto
alla sociometria di Jacob L. Moreno [1953; 1956] studioso teorico, empirico
e sperimentale delle relazioni interpersonali e dei piccoli gruppi (fondatore
della rivista «Sociometry. A Journal of Interpersonal Relations» apparsa nel
1937).
Con il concetto di rete non si intende solo evidenziare che gli individui
esistono in un contesto di relazioni, cioè che essi hanno legami referenziali
fra loro, ma – il che è diverso – che «c’è una relazione fra questi legami»
(l’espressione è di Raymond Firth, cit. in Forsé [1991, 259]), ossia che ciò che
accade tra due nodi della rete influenza le relazioni fra gli altri nodi, sia quelli
100 Capitolo 7
più adiacenti (che hanno relazioni dirette) sia quelli più distanti (che hanno
relazioni indirette). La rete non è un insieme di individui in contatto fra loro,
ma è l’insieme delle loro relazioni. E si noti che la dizione «relazione» non è
identica a quella di «legame».
Questi studi hanno avuto fin dall’inizio un carattere prevalentemente
metodologico, come applicazione delle scienze statistiche, della teoria dei
grafi e del calcolo matriciale a un modello di società concepito come insieme
di punti e linee (l’elaborazione metodologica è divenuta di recente quanto
mai raffinata [Wasserman e Faust 1994]. Molto fecondi ne sono stati i risulta-
ti empirici [Nohria e Eccles 1992; Piselli 1995; Di Nicola 1998].
Tuttavia, è ancor oggi improprio parlare di una «teoria» delle reti sociali
basata sui network studies, dato che questi studi sono in generale condotti in
termini ateoretici. Sul piano teorico essi sono quasi sempre debitori vuoi di
teorie di carattere sistemico (strutturaliste e positiviste, che trattano la rete
come un tutto, nel qual caso viene detta whole network), vuoi di teorie di tipo
azionistico (individualistiche e spesso utilitariste, che trattano la rete come
insieme di individui in contatto con un individuo posto al centro, detta Ego
network), mentre è abbastanza raro che la relazione sociale compaia come
l’unità focale dell’analisi. Si annoverano comunque alcuni tentativi di passare
dal piano puramente metodologico a quello teorico, fra cui quelli di Ronald
Burt [1982] e di Barry Wellman e Stephen D. Berkowitz [1988], i quali appro-
dano di nuovo a una forma olistica di «analisi strutturale», come essi stessi la
chiamano, per cui è la struttura – o rete sociale – totale che determina le parti,
ossia le caratteristiche degli attori, i loro comportamenti e le stesse singole
relazioni diadiche, senza che sia messa in rilievo l’altra faccia della medaglia.
Si danno anche ricerche su grande scala mediante campioni rappresentativi
di un’intera popolazione nazionale. Ad esempio, in Francia, François Héran
[1988a; 1988b] e Michel Forsé [1991; 1993] hanno indagato empiricamente
le reti di socialità distinguendole in reti di sociabilità (intese come relazioni
concrete fra individui e/o gruppi primari) e reti di societalità (che riguardano
i rapporti più astratti fra individui e gruppi secondari) mediante un approccio
che all’analisi di rete unisce una sensibilità per il concetto di «gruppalità»
(gurvitchianamente inteso come «fenomeno sociale totale») [Baechler 1992].
L’importanza dell’analisi dei reticoli sociali è stata messa in luce, in par-
ticolare, dagli studi sul capitale sociale (che vedremo nel cap. 8, par. 11).
La società come rete 101
Infatti, quando si tratta di definire che cosa sia il «capitale sociale», entrano
in gioco e devono essere valorizzati tre elementi: l’individuo, la struttura, e le
relazioni. Le relazioni rappresentano il minimo comune denominatore che
sta alla base delle principali definizioni di «capitale sociale». Tuttavia i vari
autori si distinguono in quanto privilegiano uno dei tre anzidetti elementi:
• alcuni privilegiano la prospettiva dell’individuo, ossia pongono il
fuoco dell’analisi sui modi attraverso cui gli individui come tali accedono/
utilizzano le risorse incardinate nelle relazioni, e di conseguenza definiscono
il capitale sociale come investimento che gli individui fanno in risorse incor-
porate (embedded) nelle reti sociali e accessibili e/o mobilitabili attraverso
azioni intenzionali con l’aspettativa di trarne un profitto (questa è, ad es., la
visione strumentale e utilitaristica di Lin [2001]);
• altri privilegiano la prospettiva della struttura, ossia concepiscono il
capitale sociale come opportunità offerte agli individui (o nodi della rete)
dalle posizioni strutturali che essi occupano nella rete, ad esempio rilevando
che chi occupa la posizione di mediatore fra altre posizioni (broker) ha più
capitale sociale degli altri nodi (è la nozione di «buchi strutturali» elaborata
da Burt [1982]);
• altri invece valorizzano il ruolo delle reti di relazioni; fra queste posi-
zioni va segnalato il cosiddetto «interazionismo strutturale» [Forsé e Tronca
2005], che cerca di superare il problema del determinismo di cui è stata
accusata l’analisi strutturalista, senza con ciò cadere nella prospettiva indi-
vidualista; in breve, qui si propone una nozione relazionale del «capitale so-
ciale» come effetto delle interazioni sociali che forgiano le strutture sociali;
il capitale sociale è visto come il prodotto di una rete sociale la cui struttura
rappresenta, ad un tempo, una costrizione e un effetto emergente delle inte-
razioni (se da un lato la struttura delle relazioni influenza gli atteggiamenti,
i comportamenti e le opinioni degli individui, dall’altro è anche vero che le
caratteristiche, i comportamenti e le interazioni degli attori contribuiscono a
configurare la struttura delle reti).
Secondo Forsé e Tronca, l’interazionismo strutturale può mostrare:
1. come la struttura della rete favorisca (renda più probabile, laddove il
determinismo è concepito in senso debole e non forte) la scelta di questa o
quell’altra azione o opinione;
2. come questa struttura sia anche il risultato di scelte individuali. Sen-
102 Capitolo 7
za questo principio, la rete resterebbe una sorta di «scatola nera». Non po-
tremmo spiegare in che modo un attore scelga di stabilire, in una struttura
preesistente, un tipo di relazione piuttosto che un altro. Di rimando, la strut-
tura della rete, come costrizione formale, è suscettibile di favorire la scelta di
un’azione piuttosto che di un’altra; ad esempio, la scelta di servire l’interesse
comune piuttosto che un interesse strettamente individuale. È questa circo-
larità fra struttura e azione, vista dal lato delle scelte individuali e razionali
in senso ampio, che costituisce il cuore dell’analisi strutturale nella sua com-
ponente interazionista.
Quest’ultima posizione si avvicina più delle altre due (individualista e
strutturalista) alla sociologia relazionale. Essa permette di definire il «capita-
le sociale» come realtà consistente di relazioni sociali sui generis (di fiducia,
cooperazione e reciprocità), e non solo come prodotto di scelte individuali o
della struttura dei reticoli sociali. In questa direzione, Tronca [2007] propo-
ne una strategia investigativa che integri la metodologia analitica proposta
dall’approccio relazionale (schema AGIL rivisto in senso relazionale) con la
rilevazione e il trattamento dei dati che sono svolti con strumenti propri del-
la social network analysis. La strategia consiste, sinteticamente, nell’adottare
lo schema AGIL per individuare le dimensioni fondamentali della relazione
sociale e poi nel connettere ognuno dei diversi tipi di legame sociale (indaga-
bili attraverso forme di analisi strutturale) alle dimensioni di AGIL (mezzi,
scopi, norme, valori) valutandone le qualità e la prevalenza. È così possibile
giungere allo studio della forma dei reticoli sociali senza negare la multidi-
mensionalità del contenuto delle relazioni che li costituiscono. Ad esempio,
sulla base di questa strategia analitica, il capitale sociale può essere colto
sia nella sua forma strutturale (di reticolo), sia nei suoi caratteri qualitativi
(quanto al tipo e grado di fiducia, alle qualità cooperative e di reciprocità fra
gli agenti) [Tronca 2013].
(AGIL dell’azione di B)
Y
(AGIL della relazione
fra A e B)
fig. 7.1. L’osservazione relazionale è quella fatta da O (terzo osservante, diverso dagli agenti A e B) che osserva
le relazioni fra A e B e il loro effetto emergente (Y).
104 Capitolo 7
Tempo
CAPITOLO
La relazione sociale
come «molecola del sociale»
1
L’espressione «morfogenesi sociale» sarà a volte abbreviata in MGS.
110 Capitolo 8
2
Ad esempio, Crossley [2011], seguendo Emirbayer e White, afferma che i mondi
sociali «comprendono» (comprise) reti di interazione e relazioni. Sembra che la società sia
una specie di «spazio» in cui le relazioni avvengono nel tempo, anziché essere fatta della
stoffa delle relazioni. Crossley definisce le relazioni come «traiettorie vissute attraverso
una continua (reiterata) interazione, costruite attraverso una storia di interazione, ma
che comportano anche l’anticipazione di un’interazione futura». A suo avviso, i sociologi
dovrebbero focalizzarsi sulle reti di interazioni e relazioni sociali, dinamiche ed evolutive,
concepite come transazioni. Per quanto corretta, questa prospettiva ha però il difetto di
evitare l’analisi delle relazioni «dal di dentro», cioè non vede la costituzione interna delle
relazioni, e quindi non si confronta con la «sostanza» (di genere proprio) delle relazioni,
che sono ridotte a scambi-transazioni.
La relazione sociale come «molecola del sociale» 111
relazioni sociali con i seguaci. Inoltre, spesso sono necessarie certe condi-
zioni ambientali (situazioni di crisi, catastrofi, rivoluzioni, mutamenti siste-
mici). In breve, la leadership non è certamente un attributo della persona,
e tuttavia non emerge solo dalla struttura della rete relazionale. Emerge da
una realtà più complessa. È costituita da una varietà di fattori. Pensiamo al
carisma e alla figura del capo carismatico. Secondo Weber [1922], l’autorità
carismatica è «fondata sulla devozione all’eccezionale santità, eroismo o ca-
rattere esemplare di una singola persona, e dei modelli normativi o ordini
rivelati o impartiti da tale soggetto». Weber è un individualista, non vede la
costituzione relazionale di questo tipo di autorità, la vede come attributo
personale. Carisma e capo carismatico sono invece relazioni che emergo-
no da un contesto. Ma non c’è solo il contesto relazionale, perché hanno
un peso decisivo anche le qualità personali del personaggio carismatico e
l’appello a una visione ideale, sovranaturale o utopica. Questi fattori non
sono prodotti completamente dalla rete fra i nodi. La rete ha dei confini con
l’esterno, con il quale ci sono degli scambi. Ciò che dobbiamo affrontare è il
problema di comprendere l’intreccio tra i fattori interni ed esterni alla rete
che fanno emergere quelle relazioni.
Sostengo che il cambiamento sociale è una forma di «eccedenza» (sur-
plus) della società su se stessa prodotta attraverso una nuova relazionalità
nella struttura delle relazioni sociali. Tale eccedenza non deriva tanto dagli
effetti strutturali3, quanto piuttosto è generata dagli effetti relazionali, ossia
è dovuta al valore aggiunto delle relazioni sociali. È questo valore socia-
le aggiunto che trasforma la società e la rende morfogenetica, in quanto
produce delle entità emergenti (emergents). In questo capitolo, propongo
degli esempi che, in linea generale, si riferiscono al superamento dell’assetto
tipicamente moderno (cioè lib/lab) della società e indicano la nascita di una
«società relazionale».
3
Mi riferisco agli effetti delle conditioning structures al tempo T1 del processo
morfogenetico.
112 Capitolo 8
esprime il famoso detto di Marx (enunciato nel Manifesto del Partito comuni-
sta del 1848) che è stato ripreso da Berman [1982] a proposito dell’esperienza
della modernità: All that is solid melts into air (La solidità delle relazioni sociali
del passato si trasforma in aria). Ma io mi chiedo: le cose stanno proprio così?
La mia risposta è negativa. Io sostengo che, diversamente dall’aria, la
relazione sociale ha una «struttura molecolare» che consiste degli elementi
che la compongono e della relazionalità che si esercita fra di essi. Gli ele-
menti della relazione sociale non sono di ordine chimico-fisico. Il genere di
relazionalità che esiste fra gli elementi della relazione sociale è sconosciuta
al mondo chimico-fisico.
In base alla sua struttura, la relazione sociale assume qualità e poteri dif-
ferenti. A loro volta, le qualità e i poteri delle relazioni sociali decidono degli
effetti che le relazioni hanno sulle persone e sulle formazioni sociali. Forse
una società virtuale è fatta come l’aria, ma per una società reale le cose vanno
ben diversamente. Tant’è vero che chi sostiene che la nostra società diventa
«liquida», deve poi ammettere che di fatto esistono delle strutture sociali
dotate di grande stabilità e influenza sulla vita degli individui.
Se vogliamo descrivere e comprendere i fatti sociali reali e non imma-
ginari, occorre che l’analisi della struttura delle relazioni sociali eviti un ap-
proccio soggettivistico o puramente costruzionista. Se le relazioni sociali
esistono, cioè se hanno realtà propria, devono avere una struttura (molecola
sociale) che non è quella dell’aria, anche se apparentemente può trasformar-
si in modo simile all’aria.
Chi sostiene l’analogia fra l’aria e le relazioni sociali evoca delle immagi-
ni attraenti, ma dal punto di vista ontologico ed epistemologico porta fuori
strada. L’aria è un fenomeno di ordine chimico-fisico, mentre la relazione
sociale è un fenomeno che appartiene a un altro ordine di realtà, quello pro-
dotto dall’agire degli esseri umani.
4
Ad esempio, Azarian [2010, 326] definisce la «relazione» in questo modo: «[la
relazione] è dovuta all’esistenza di quelle mutue aspettative che le parti considerano
terreno comune per continuare le loro interazioni [così che] la relazione fra le parti non
solo diventa un flusso relativamente durevole e perciò osservabile di interazione, ma
anche un flusso più o meno modellato e ordinato di un comportamento significativo,
reciprocamente orientato secondo percorsi che sono familiari ad una storia accumulata
nel tempo, caratteristica che genera la probabilità che, come Weber [1922] puntualizza,
ogni parte sia messa in grado di attendersi un certo comportamento dall’altra parte e
(quindi) progettare la propria azione in base alla supposizione che l’altro agirà in una
certa maniera attesa». Personalmente ho criticato questa definizione di «relazione sociale»
(di derivazione weberiana), perché essa è «vuota», nel senso che non parla in realtà della
relazione come tale, ma piuttosto delle aspettative reciproche degli agenti/attori, che
sono bensì elementi necessari della relazione, ma non definiscono la relazione come realtà
emergente [Donati 2008, 103-109].
5
Sottolineo ancora il fatto che i quattro elementi (scopi, mezzi, regole, valori) sono
stati evidenziati nella teoria di Parsons su AGIL. Io interpreto diversamente AGIL, non
già in chiave funzionalista, ma in chiave relazionale [Donati 1991, cap. 4].
La relazione sociale come «molecola del sociale» 115
6
Secondo alcuni autori, la «forma» è un tipo di identità socialmente codificata.
Polos, Hannan e Carroll [2002, 85] affermano: «I codici sociali specificano le proprietà
che un’entità sociale può legittimamente avere. L’esistenza di un codice sociale viene
all’evidenza quando si osserva che lo scostamento di un’entità dalla sua configurazione
ritenuta normale porta alla svalutazione di quell’entità da parte di insider e/o outsider».
Questa definizione è troppo rigida e riflette un’impostazione di tipo organico-sistemico,
in cui l’identità è concepita come univoca e funzionale. La definizione della forma come
identità può essere utile a condizione che il codice sociale sia inteso in senso relazionale,
come si dirà più oltre (parr. 5 e 6).
116 Capitolo 8
valori delle azioni singole entro le condizioni al contorno della rete. La com-
binazione di cui si parla ha una struttura relazionale autonoma rispetto alle
singole azioni che la generano. Letta come black box, questa struttura può
essere triviale oppure non-triviale (ossia può generare sempre uno stesso
output oppure può generare output sempre diversi). La morfogenesi sociale
può esistere solo se la black box non è triviale [Donati 2006, 212-220].
In breve, la relazione sociale è l’effetto emergente di azioni reciproche
reiterate nel tempo fra attori/soggetti sociali che occupano posizioni diverse
in una configurazione societaria (sistema o rete sociale). L’analisi relazionale
[ibidem] traduce la rete in una matrice (i j/j i) dalla quale si evince che
l’effetto relazionale è la risultante degli apporti di Ego e di Alter più l’appor-
to della relazione come tale [Tam 1989].
Gli agenti/attori realizzano degli scambi (con mezzi = A e norme = I,
cioè l’asse A-I) all’interno di un certo rapporto di potere (che ha un model-
lo di valore/legittimazione = L e degli scopi situati = G, cioè l’asse L-G).
L’azione reciproca (interazione), se stabilizzata in un certo lasso di tempo,
fa emergere un effetto che consiste in una struttura di interdipendenza (o
configurazione della relazione)7, che può essere reiterata oppure cambiata
nel tempo8.
Prendiamo ad esempio la relazione insegnante-alunno. Questa rela-
zione ha una sua struttura (AGIL) che possiamo identificare nelle seguenti
componenti: lo scopo situato dell’istruzione (insegnare qualcosa, un pro-
gramma), i mezzi adatti allo scopo (lezioni, libri, tecnologie varie), le regole
di interazione (l’alunno è tenuto a seguire l’autorità dell’insegnante), sulla
base di un modello di valore educativo (formare la persona dell’alunno).
Questa relazione assume una configurazione concreta a seconda di come si
comportano gli agenti (insegnante e alunno) con le loro singole azioni: cioè
se, in quale modo e in quale misura essi condividono scopi, mezzi, norme e
valori della relazione. Le combinazioni possono essere le più diverse quan-
7
Configuration nel senso di Elias [1978].
8
Come dirò più oltre, la struttura elaborata può essere un bene (relazionale) o un
male (relazionale) a seconda delle influenze (positive o negative) che ha sui soggetti/attori
della relazione e a seconda delle conseguenze (outcomes) che ha sulla rete più ampia delle
interdipendenze (social networks) in cui è inserita.
La relazione sociale come «molecola del sociale» 117
9
Il reflecting team è un metodo di lavoro sociale che ha lo scopo di fornire servizi
relazionali alle persone in difficoltà oppure a rischio attraverso la costruzione di una rete
relazionale fra professionisti (esperti) e la gente implicata in un particolare problema
[Andersen 1991]. Il team rimuove le barriere fra i terapeuti e i pazienti, fa partecipare
tutti a un dialogo in cui si cerca di ottenere un cambiamento della situazione, rimettendo
continuamente in discussione i ruoli e le relazioni fra tutti i partecipanti. Operando in
questo modo, i professionisti incontrano le persone in stato di bisogno senza ipotesi
preesistenti, si impegnano in una conversazione che va alla ricerca di ciò che non è an-
cora stato visto o pensato, in una forma di comunicazione che mira a far emergere una
comprensione alternativa di ciò che è stato definito come «problematico». Nella misura in
La relazione sociale come «molecola del sociale» 119
2006]10, che cercano di aiutare i genitori a gestire i problemi dei figli in situa-
zioni di rischio mediante la costruzione di reti interattive fra loro, dalle quali
far emergere una relazionalità che li sostenga nei loro compiti. In queste
dinamiche di gruppo si può vedere che la rete fra i partecipanti si forma sulla
base di una «molecola sociale» (parr. 5 e 6) che è la modalità riflessiva in cui
si struttura l’agire dei partecipanti al gruppo.
cui la rete opera con queste modalità relazionali, si aprono le possibilità di cambiamento.
Tali possibilità, comunque, sono valutate alla luce delle finalità terapeutiche, e quindi
siamo in presenza di quello che io chiamo un «sistema di osservazione, diagnosi e guida
relazionale» (ODG) [Donati 1991, cap. 5].
10
Una Family Group Conference (FGC) è un processo decisionale e di programma-
zione in cui «gruppi familiari molto ampi» (genitori, parenti, amici, vicini, altre famiglie)
fanno piani e prendono decisioni per bambini e ragazzi giovani che sono stati identificati
sia dalle stesse famiglie sia dagli operatori sociali come persone a rischio o bisognevoli di
un intervento che è necessario per tutelarli e promuovere il loro benessere. È possibile
definire questo tipo di intervento come un servizio relazionale per il fatto che è basato
su un approccio massimamente partecipativo in cui i servizi sociali lavorano assieme ai
genitori, parenti, minori e altre relazioni importanti al fine di trovare la giusta via per
prendersi cura e proteggere i minori stimolando la riflessività delle persone coinvolte e
le loro relazioni, alimentando la riflessività delle stesse relazioni [Donati 2011b]. Per un
esempio pratico, cfr. Prandini [2007].
11
La forma della relazione risponde alla domanda: «che tipo di relazione deside-
riamo fra noi?».
12
Secondo quanto teorizzato da Archer [1988, 226 e 279-272].
120 Capitolo 8
13
Nella mia prospettiva, l’eticità della relazione non sta nel fatto che essa debba
essere sempre aperta ad altre relazioni, come sostiene Fabris [2010], ma nel fatto che la
relazione implica che Ego e Alter ritornino sulle loro motivazioni-scopi iniziali per verifi-
care se l’esito delle loro azioni (G) ha effettivamente attuato o meno il valore (L) che essi
intendevano perseguire con le loro azioni (s’intende, alla luce del senso etico del valore).
14
«La formula del fine è ternaria, quella del meccanismo (è) soltanto binaria»
[Simmel 1900; trad. it. 1984, 302].
La relazione sociale come «molecola del sociale» 121
mente simili (in termini di mezzi e regole di incontro), ma con scopi e valori
opposti: libertari nel primo caso, ultraregolativi nel secondo caso. Le spinte
verso l’elaborazione strutturale del processo di morfogenesi sociale, di con-
seguenza, appaiono come forze opposte. E allora ci si chiede: le due mole-
cole sociali possono essere istituzionalizzate assieme? Lascio la risposta alla
ricerca empirica. Tuttavia osservo che questo esempio mostra le contraddi-
zioni interne della configurazione societaria che chiamiamo individualismo
istituzionalizzato (teorizzato inizialmente da Parsons) e ne spiega la profon-
da instabilità interna, perché tale assetto favorisce processi di morfogenesi
sociale altamente contraddittori.
Vediamo che cosa possa significare l’affermazione secondo cui possia-
mo pensare la relazione sociale come una «molecola», i cui elementi, con le
loro combinazioni interne, le conferiscono particolari qualità e poteri.
Una tribù o un clan esiste in quanto chi vi fa parte si sente legato nella
«molecola tribale», cioè in quel principio organizzativo della struttura tri-
bale o clanica che è totalizzante in quanto è uguale per tutti e non lascia
margini di variabilità.
Le società premoderne che fuoriescono dalla struttura tribale sono
generalmente stratificate. In questo assetto, ogni strato sociale ha una sua
«molecola sociale», la molecola di quello specifico strato (o ceto) sociale.
Le relazioni sociali nel ceto dell’aristocrazia medievale hanno una molecola
sociale diversa da quella dei ceti professionali e artigianali organizzati in
corporazioni (medici, notai, falegnami, macellai, ecc.), come dagli altri ceti.
Ogni corporazione ha la sua molecola sociale.
Le società moderne rompono le molecole degli strati sociali preesistenti,
e inaugurano un tipo di molecola sociale che, per qualità e poteri propri, è
completamente diversa rispetto a tutte le precedenti. Si tratta di una mo-
lecola che tende ad annullare il suo carattere morfostatico. La forma della
molecola moderna è basata sul principio della continua differenziazione
funzionale come sua distinzione-guida. Il che significa che assume il valore-
guida della contingenza (il plurale) come valore sovraordinato15 che apre
alla massima variabilità possibile della relazione sociale.
15
L’espressione «valore sovraordinato» (superordinated value) è di Berger e Luck-
mann [1995].
La relazione sociale come «molecola del sociale» 123
Diciamo infatti che una società è moderna nella misura in cui la sua mo-
lecola sociale promuove il pluralismo, cioè la pluralizzazione di tutte le forme
sociali come suo valore-guida. Nella tarda modernità il processo si radica-
lizza. La molecola sociale appare come un’aggregazione/combinazione di
elementi che è una sorta di «forma senza forma», nel senso che le forme
sociali rifiutano qualsiasi «canone», standard, verità o identità univocamen-
te definita. Lo fa sulla base dei principi di libertà e uguaglianza fra tutti i
partecipanti. In un certo senso, la postmodernità può essere definita come
una forma di società in cui le strutture delle relazioni sociali sono intrinse-
camente (cioè normativamente) morfogenetiche, in quanto la MGS è allo
stesso tempo il valore e la norma sociale che guida tutta la società, in ogni
sua espressione. L’identità della forma postmoderna è come quella del pro-
tagonista del romanzo di Philip Dick, Un oscuro scrutare, che, assumendo
continuamente nuove identità, perde il senso di sé.
Gli scopi e i mezzi della relazione sociale seguono un criterio di valoriz-
zazione che si apre al mondo dei possibili. Il criterio consiste nella continua
creazione di variazioni e variabilità. Questo processo viene via via esteso a
tutte le sfere sociali, dalla politica all’economia, e da ultimo anche alla fami-
glia. I processi sociali si avvalgono di mezzi simbolici generalizzati i quali
possono operare solo a condizione di poter realizzare il valore normativo
dell’apertura ai possibili. Lo slogan è: creare sempre nuove e maggiori op-
portunità. Lo fanno innanzitutto il denaro e il potere politico. La stessa cosa
è richiesta a tutti gli altri mezzi simbolici generalizzati, in particolare ciò av-
viene per quanto riguarda la formazione dell’opinione pubblica (influenza)
e l’impegno verso i valori esistenziali.
Possiamo rappresentare la relazione sociale come una molecola median-
te una figura (fig. 8.1), che indica come la struttura della relazione consista
nei quattro elementi (A, G, I, L) e nelle loro connessioni (i sei «legami»).
Ogni elemento ha un confine con un suo specifico ambiente (in senso siste-
mico): i mezzi stanno al confine con l’ambiente delle risorse e delle oppor-
tunità; gli scopi con l’ambiente degli interessi posseduti da altri (individui
o gruppi); le norme con l’ambiente delle regole collettive; i valori con l’am-
biente delle realtà ultime o premure fondamentali (ultimate concerns, what
we care about).
Dal punto di vista logico, in questa struttura esistono due relazioni fon-
124 Capitolo 8
L (valori) I (norme)
A (mezzi) G (scopi)
damentali, cioè lo scambio fra le quattro componenti (AGIL), che può essere
più o meno simmetrico, e il loro ordine, che può essere gerarchico o di altro
tipo. Queste due relazioni, di scambio e di ordine fra le componenti, si com-
binano fra loro in un principio – costitutivo del sistema relazionale osservato
– che possiamo chiamare relazione di base, ovvero relazione fondante (found
ing relation in inglese, Grundverhältnis in tedesco), in quanto è la struttura che
governa le sequenze degli scambi secondo un certo codice ordinativo.
Facciamo un esempio. Prendiamo la cittadinanza, definita come la re-
lazione di appartenenza di una persona a una comunità politica, che può es-
sere una città (comune), uno stato-nazione, o un’entità sovranazionale come
l’Unione Europea. Tale relazione include una serie di diritti-doveri che pos-
siamo sintetizzare nelle quattro componenti di AGIL con i loro rispettivi
ambienti: A. i diritti civili (di libertà, rispetto all’ambiente delle opportunità
e delle risorse); G. i diritti politici (di votare i propri rappresentanti di inte-
ressi, in rapporto agli interessi dei vari gruppi sociali e a quelli comuni); I. i
diritti sociali (i benefici di sicurezza sociale e welfare, erogati in base alle re-
gole collettive di equità e redistribuzione sociale); L. i diritti umani (inerenti
alla dignità della persona, per rapporto ai valori ultimi della persona umana
come tale). La cittadinanza è una diversa articolazione del complesso di
questi diritti, a cui corrispondono dei relativi doveri [Donati 1991, 267-271;
2006, 210-212 e glossario].
Quando il sociologo deve analizzare la cittadinanza come realtà empi-
rica, deve appunto studiare come questa relazione si concretizza di fatto in
La relazione sociale come «molecola del sociale» 125
G
Selezione della varietà
(cambiamento della struttura o istituzione = MGS
per differenziazione funzionale)
Tecnologie A I
e condizioni Mezzi di produzione Norme per la produzione
materiali di varietà della varietà
nell’ambiente (il denaro come (regole di
esterno equivalente universale) competizione acquisitiva)
L
Distinzione direttrice
della relazione sociale è la sua in-differenza
fig. 8.2. La molecola sociale della modernità (con la sua matrice teologica individualistica).
126 Capitolo 8
al fatto che viene dato il primato funzionale all’economia, che svincola il dena-
ro da determinati valori e norme sociali16. In questo capitolo, io rovescio le sue
tesi. Sostengo che anche i sistemi di società detti «moderni» dipendono da un
modello di valore normativo. Tale modello valorizza un tipo di «relazionalità
pura» (quella del denaro, che non è legato a nulla) intesa come possibilità che
le relazioni sociali siano immunizzate da qualsiasi vincolo sociale. In tal caso,
non è il denaro – come mezzo (la funzione A di AGIL) – che rende la società
sempre possibile altrimenti, ma lo è invece il valore (L) che viene attribuito
alle relazioni sociali nella molecola tipica della modernità, e alle norme sociali
che ne conseguono. È questo valore normativo che legittima l’uso del denaro
come convertitore universale, cioè l’uso del denaro come equivalente astratto
di ogni cosa, e delle stesse persone umane.
16
Per maggiori dettagli, cfr. Donati [1991, cap. 4]. Luhmann riprende e porta alle
sue estreme conseguenze la prospettiva di Simmel, secondo cui lo scambio di oggetti
comporta sempre un senso di privazione in quanto tali oggetti sono percepiti come
insostituibili e quanto più essi sono percepiti come scambiabili e non nella loro insosti-
tuibilità, tanto più sono percepiti come entità astratte. Il denaro rappresenta la forma
più pura dell’interazione, una forma che prescinde dai contenuti della stessa interazione.
Nell’economia monetaria tutti i rapporti tra uomini tendono a farsi misurabili e calcolabili
e si ha il prevalere del calcolo rispetto al sentimento. Anche nella cultura diventa sempre
più difficile che l’individuo possa partecipare a ciò che fa aderendovi completamente,
coinvolgendo totalmente la sua personalità e questo processo riguarda, oltre che la cul-
tura in senso stretto, anche gli stili di vita, il mondo dei significati nella vita dell’uomo
contemporaneo. Pure il consumo subisce questo processo di oggettivazione in quanto
la produzione di massa, prevalendo sulla produzione su ordinazione, non permette una
scelta individuale del prodotto. Simmel riprende alcune categorie già usate da Marx per
affermare che il prodotto isolato rimane privo di significato per il suo produttore, che
il produttore è separato dai mezzi di produzione e che questa separazione (oggettiva e
soggettiva) è dovuta al fatto che la forza lavoro è merce e quindi il lavoro perde il suo
significato proprio di relazione sociale.
128 Capitolo 8
vanno incontro a crescenti insuccessi. Oltre una certa soglia critica, perdono
di senso17. Né gli individui, né i sistemi funzionali riescono a tollerare le fru-
strazioni che ne conseguono.
Ci possiamo chiedere: quand’è che avviene la morfogenesi sociale del-
la modernità? Dal punto di vista della sociologia relazionale, essa avviene
quando la relazionalità propria della sua molecola sociale si trova a fronteg-
giare un tipo e un grado di contingenza che non è più capace di gestire. La
società si avvicina a un breaking point in cui gli agenti/attori sperimentano
crescenti fallimenti. Diventa possibile il collasso della molecola sociale che
la struttura. Questo avviene nelle sfere più modernizzanti. Molti fenomeni
emergenti segnalano l’avvento di un punto di svolta (turning point) che è
indicato dalla formazione di un’altra molecola sociale, di tipo dopo-moderno,
a partire dalla sfera della latenza (cambiamento di valori). Ovviamente, c’è
una modernità che continua e una modernità che collassa. Questo processo
è rappresentato nella figura 8.3.
Dopo-modernità
Area
TP della
MGS
Modernità BP
Collasso della
relazione moderna
fig. 8.3. Il passaggio dalla modernità alla dopo-modernità come svolta della struttura relazionale della sua
molecola sociale.
Legenda: BP = breaking point (quando si prevedono i disastri sociali provocati dal principio dell’equivalenza funzio-
nale – monetaria – come meccanismo di interscambio e convertibilità di ogni cosa in qualsiasi altra); TP = turning
point (passaggio dalla molecola sociale moderna a quella dopo-moderna mediante l’assunzione di un principio
di non-equivalenza funzionale); Area della MGS = quella parte della società in cui la molecola sociale moderna
viene destrutturata e nasce la molecola dopo-moderna, che si afferma in quelle sfere sociali in cui il principio di
equivalenza monetaria non funziona più e viene sostituito da principi di valore relazionale.
17
La crisi delle relazioni acquisitive moderne è una crisi di senso in quanto nasce
dal fatto che la cultura postmoderna non attribuisce più un significato di successo (il
valore L) a certe mete (un tempo dette «di successo», ad esempio ottenere uno status
che dà ricchezza e potere) e quindi mette in crisi l’asse referenziale (il refero) che connota
le relazioni acquisitive.
La relazione sociale come «molecola del sociale» 129
18
Scrivono Rushworth e Schluter [2011, 2-3]: «Questo significa [che si deve]
imparare a vedere la vita dalla prospettiva delle relazioni, a differenza di vederla dal
punto di vista del materialismo o dell’individualismo. Invece di assumere che il reddito
o il profitto dovrebbero generalmente essere l’obiettivo più importante per le decisioni
delle persone, delle aziende o dei governi, noi sosteniamo che invece debba esserlo il
benessere relazionale [relational wellbeing] – dal momento che ultimativamente le no
stre relazioni sono ciò che più importa nella vita. Apprendere a pensare relazionalmente
richiede una rivoluzione copernicana: invece di porre la ricchezza materiale, oppure i
diritti e le libertà individuali, al centro del nostro sistema solare metafisico, con tutte le
altre cose – incluse le relazioni – che ruotano attorno ad essi, noi poniamo le relazioni
al centro, per meglio riflettere su ciò che ha per noi il valore più fondamentale (what we
ultimately value). Prendiamo, per fare un esempio, la decisione di acquistare un forno a
microonde: noi possiamo considerare questa decisione dal punto di vista finanziario (me
lo posso permettere?), o dal punto di vista spaziale (c’è spazio in cucina?), o dal punto
di vista ambientale (come incide sulle emissioni di anidride carbonica?) – ma che dire
di come viene a incidere sulla relazionalità (tra i familiari)? Avere un forno a microonde
può accrescere oppure diminuire il benessere relazionale in famiglia. Il fatto di ridurre il
130 Capitolo 8
G
Selezione della varietà
(cambiamento della struttura o istituzione = MGS
per differenziazione relazionale)
Tecnologie A I
e condizioni Mezzi di produzione Norme per la produzione
materiali di varietà della varietà
nell’ambiente (reti sociali che (il senso non
esterno conferiscono identità) fungibile delle relazioni sociali)
L
Distinzione direttrice
della relazione sociale è l’attribuzione di una differenza significante
fig. 8.4 La molecola sociale della dopo-modernità (con la sua matrice teologica relazionale).
A. i mezzi per raggiungere lo scopo possono essere i più diversi, ma de-
vono essere tali da consentire la produzione di beni relazionali; devono favo-
rire una rete di scambi sociali che conferiscono agli agenti/attori un’identità
soddisfacente;
I. le norme della molecola sociale dopo-moderna favoriscono la meta-
riflessività, e quindi implicano la ricerca di una qualità non fungibile nelle
relazioni sociali; le relazioni sono cercate per la loro specifica qualità, sapen-
do che, se cambiamo il tipo di relazione, cambiamo anche le sue qualità (ad
es., lavorare in un’organizzazione non profit implica un genere di relazioni
qualitativamente diverse dal lavorare in un’azienda for profit, e i due ambiti
normativi non sono intercambiabili);
tempo per preparare il cibo può permettere di avere più tempo per parlare assieme mentre
si mangia, oppure invece può portare i membri della famiglia a mangiare in tempi diversi
e a non trovarsi per nulla assieme a chiacchierare. Osservare questa decisione attraverso
le lenti relazionali potrà chiarire proprio questo aspetto».
La relazione sociale come «molecola del sociale» 131
Nel processo di MGS (ossia nel ciclo T1-T4 teorizzato da Archer [1995]),
le strutture iniziali esercitano un effetto condizionante rispetto al quale gli
individui prendono posizione e reagiscono con la loro conversazione inte-
riore. La riflessività personale media fra le condizioni strutturali di partenza
al tempo T1 e la struttura emergente al tempo T4 in quanto genera nuove
relazioni nella fase intermedia T2-T3. A mio avviso, è importante considerare
il fatto che, in questo processo, si hanno due tipi di effetti diversi: gli effetti
strutturali e quelli relazionali.
Nella sequenza T1-T4 di ogni ciclo di MGS, gli effetti strutturali si eser-
citano al tempo T1 nei confronti degli agenti/attori che iniziano a interagire
al tempo T2. Gli effetti relazionali intervengono nella fase T2-T3 e hanno
come esito l’elaborazione strutturale emergente al tempo T4.
Gli effetti strutturali esercitano la loro influenza su un’arena di agenti/
attori che è una black box perché non possiamo prevedere come gli agenti/
attori elaboreranno le influenze esercitate dalla struttura condizionante.
132 Capitolo 8
Per loro natura, gli effetti strutturali sono effetti di aggregato. Essi ten-
dono a uniformare i comportamenti degli agenti/attori a prescindere dalle
loro opinioni, valori, riflessioni individuali. Un esempio di effetti strutturali
è l’influenza che una équipe chirurgica esercita sui singoli operatori. Il co-
stume di dire parolacce viene praticato anche da chi non le vorrebbe dire
perché c’è una pressione collettiva su tutti dovuta al fatto di dover affrontare
lo stress che proviene dall’invasività e drammaticità dell’intervento [Blau
1960]. Anche chi partecipa ai movimenti collettivi di massa si trova spesso a
comportarsi in un modo contrario alle proprie inclinazioni di valore, perché
è premuto dalla massa. Lo stesso capita quando un individuo deve esprime-
re un voto palese in un’assemblea pubblica, per timore del giudizio altrui.
Tuttavia, anche nelle situazioni più strutturate, non sempre tutti gli in-
dividui coinvolti in una situazione si comportano allo stesso modo, cedendo
alle pressioni strutturali. In tal caso, ossia quando c’è uno scostamento dalla
norma sociale del gruppo, si evidenziano gli effetti relazionali. In questi ultimi
si esprime la libertà degli agenti/attori, che è possibile perché essi si relazio-
nano alla situazione e agli altri in modo differente sulla base di una differenza
significativa (la L nella fig. 8.4). Essi mettono in atto comportamenti diversi, e
così creano degli effetti relazionali che sfuggono alla struttura condizionante.
Nella fase intermedia T2-T3 della MGS, la ricerca empirica deve osservare
– con analisi qualitative basate sulle storie di vita e ricerche campionarie – i con-
tributi degli individui e delle relazioni agli esiti finali. I contributi individuali
provengono dalla ridefinizione che il Self fa della propria identità e azione in
rapporto al contesto. I contributi delle relazioni derivano da come gli altri inci-
dono sulla ridefinizione del Me-We-You nel circolo delle interazioni. I due tipi
di contributi sono interconnessi. Lo mostra, ad esempio, una ricerca su come
gli interventi sociali riescano a fare in modo che i giovani appartenenti a bande
devianti desistano dal commettere reati [Weaver 2012]. Supponiamo che ci
si ponga la domanda «perché certe persone desistono dal commettere reati e
altre persone non lo fanno?». Per dare una risposta, si deve ipotizzare che esista
una black box che opera fra le strutture che condizionano i comportamenti del-
le persone da un lato e gli esiti delle reti interattive in cui le persone si trovano
dall’altro. Ciò che deve essere investigato è il modo in cui le relazioni vengono
configurate nella fase T2-T3. Gli agenti/attori hanno vincoli e facilitazioni (ena-
blements) che provengono sia dall’esterno, sia dalla dinamica di rete. Benché
La relazione sociale come «molecola del sociale» 133
le persone agiscano con una certa autonomia, sono le opportunità offerte dalla
rete che decidono se vi sarà desistenza dal commettere reati oppure no. L’im-
portante è vedere la realtà sui generis delle relazioni che possono produrre beni
o mali relazionali a seconda di come influenzano le scelte individuali aprendo
oppure restringendo le possibilità di creare un altro ordine relazionale di realtà.
Cade a questo proposito il tema del modo diverso di concepire il capi-
tale sociale. Gli effetti strutturali sono in genere enfatizzati dagli olisti (ad
es., autori come Robert D. Putnam e Francis Fukuyama), i quali intendono
il capitale sociale come la cultura civica che certe strutture istituzionali in-
stillano nei cittadini. Il capitale sociale è inteso come effetto strutturale. Altri
enfatizzano invece una definizione microsociologica del capitale sociale come
scelta razionale degli individui, seppure dentro certe strutture [Bourdieu e
Coleman 1991]. Diversamente da questi autori, io penso invece che il capi-
tale sociale debba essere inteso come un tipo di relazioni sociali che hanno
particolari qualità e poteri, in quanto producono non già conformità civica e
riproduzione sociale, ma effetti relazionali, cioè effetti che provengono dalla
modificazione delle reti di relazioni e creano altre reti di fiducia, cooperazione
e reciprocità. Quindi elaborano altre strutture sociali [Donati e Tronca 2008].
Sappiamo che, nel processo di MGS, c’è l’intenzionalità degli agenti/at-
tori, ma il processo come tale (la struttura che cambia) non è intenzionale.
Tuttavia, dalle ricerche empiriche sappiamo anche che il comportamento de-
gli agenti/attori – nella rete interattiva della fase intermedia T2-T3 – è guidato
dal problema della loro identità assai più che dalla necessità di rispondere alle
esigenze delle prestazioni funzionali [White 2008]. In altri termini, il motore
delle relazioni, ossia il fattore propulsivo dei fenomeni emergenti, è il bisogno
di ottenere un certo modus vivendi in cui realizzare un’identità soddisfacente,
assai più che adempiere un ruolo prefissato. I problemi di senso e di identità
prevalgono sulle richieste di prestazioni funzionali della rete. La struttura da
elaborare viene perseguita come struttura di opportunità in cui realizzare i
propri ultimate concerns, cioè una certa identità. In questo dato di realtà, si
evidenzia il fatto che la rete opera con una propria riflessività, che si carat-
terizza in quanto intreccia la conversazione interiore degli agenti/attori e la
riflessività delle relazioni fra i nodi della rete. Le relazioni della rete cambiano
perché gli individui cercano di realizzare una loro identità che non può essere
attuata che attraverso la rete stessa (in cui si gioca la dimensione della rifles-
134 Capitolo 8
sività, cioè il Me-Noi-Tu). In breve, nella fase intermedia T2-T3 di ogni ciclo
morfogenetico, il luogo del cambiamento sta nella rete relazionale in cui si
confrontano la riflessività personale, quella sociale (interpersonale) e quella
sistemica [Donati 2011b]. Il soggetto di tale confronto non è l’individuo come
tale, ma il soggetto relazionale [Donati 2012a].
Ciò che gli effetti relazionali mettono in luce è il valore sociale aggiunto
delle relazioni sociali che vengono messe in campo nella fase T2-T3 del ciclo
morfogenetico.
A I
Valore di scambio Valore relazionale
(dimensione economica: (dimensione di legame: la
exchange value, relazione come fattore che
con riferimento attiva delle connessioni
a un sistema di prezzi) e capacita i soggetti)
Nota: Il valore aggiunto può essere misurato come accrescimento ottenuto in varie dimensioni: A.
nell’utilità dello scambio economico; G. nel soddisfacimento di bisogni non puramente funzionali; I. nella
relazione sociale che viene attivata o stimolata come legame attivo che offre nuove opportunità e risorse
relazionali; L. nell’accrescere la dignità del qualcosa/qualcuno di cui si tratta.
del valore di scambio e del valore d’uso (area A-G), cioè nelle interazioni
che privilegiano il valore estrinseco della relazione sociale (fig. 8.5).
Un’ultima annotazione. In linea di principio, l’area del valore estrinseco
(area A-G, ad es. il capitale di Marx e l’agire strategico di Habermas) e l’area del
valore intrinseco (area L-I; ad es., la relazione Io-Tu di Buber e l’agire comu
nicativo di Habermas) sono agli antipodi (nella fig. 8.5). Tuttavia nei processi
reali di valorizzazione è in atto una loro differenziazione a seconda dei momenti
(fasi temporali) e della materia in gioco, per cui è opportuno non dicotomizzare
le forme di valorizzazione. Non è detto, ad esempio, che il valore relazionale ag-
giunto, di per sé avente un carattere qualitativo intrinseco, sia necessariamente
incompatibile con, poniamo, il valore di scambio aggiunto, che è estrinseco.
Anzi, le attuali tendenze a far cooperare profit e non profit, ad esempio costi-
tuendo organizzazioni (anche fondazioni) che li associano per produrre beni
relazionali, vanno precisamente nella direzione di un processo di valorizzazio-
ne «composito», in cui tutti e quattro i criteri di valorizzazione (nella fig. 8.5)
concorrono alla creazione di un valore sociale aggiunto «complessivo».
cato e lo stato moderni generano dei vuoti da cui emergono nuovi tipi di
relazionalità sociale. Questa morfogenesi societaria è certamente incerta nei
suoi esiti, e tuttavia genera delle forti discontinuità con la modernità anziché
procedere all’infinito in modo funzionalistico come sostiene Luhmann.
Le discontinuità avvengono all’insegna di un nuovo pensiero relazio-
nale. Ho segnalato questa svolta molti anni fa [Donati 1986; 1993]. Oggi
da molte parti si inizia a mostrarne le implicazioni pratiche. Ad esempio,
Jonathan Rushworth e Michael Schluter [2011] sostengono che
19
Rushworth e Schluter [2011, 20-26] sostengono che il mondo delle imprese ha
un quadro e un vocabolario ben sviluppato per analizzare gli affari e la finanza: «bilanci
preventivi e consuntivi, il conto dei profitti e delle perdite, le attività e le passività, i flussi
di cassa, rapporto tra indebitamento e patrimonio netto, ecc.». I manager usano questi
termini ogni giorno. Ma nel regno delle relazioni, essi argomentano, «abbiamo bisogno
di un vocabolario e di categorie nuove per consentirci di descrivere e analizzare che
cosa succede alle relazioni in maniera oggettiva e accurata». Essi propongono i seguenti
principi (originariamente tratteggiati da Michael Schluter e David Lee in The R Factor
[1993]) e successivamente sviluppati nel Relational Proximity Model dall’organizzazione
Relationships Foundation. Questo modello è basato su cinque caratteristiche chiave: «1.
L’immediatezza (directness): [questa caratteristica] considera il grado in cui si è presenti
in una relazione, e come tale presenza sia mediata dalla tecnologia (email, telefono, sms,
ecc.), dal tempo e da altre persone. 2. La continuità: poiché il tempo è la moneta (cur-
rency) delle relazioni, la continuità riguarda sia la quantità di tempo che è spesa in una
relazione, sia la durata nel tempo e la stabilità della relazione. 3. La multiplexity: questa
caratteristica esamina l’ampiezza delle conoscenze che si hanno attraverso le relazioni,
specialmente le conoscenze di persone fuori dal posto di lavoro: ruoli familiari, hobby,
persone impegnate nella comunità, conosciute in esperienze passate. 4. La parità (l’essere
alla pari nelle relazioni): questa caratteristica ha a che fare con il potere nelle relazioni;
possono certamente esservi dei differenziali (di potere), ma la questione è: questi differ-
enziali favoriscono la partecipazione e il rispetto (degli altri) oppure creano relazioni più
povere a causa dell’abuso di potere? 5. La comunanza (commonality): questa caratteristica
considera il grado in cui vengono condivisi i valori e/o le identità; laddove questi ultimi
divergono, specialmente a causa del fatto che le agende personali sono nascoste, nelle
relazioni viene creata tensione» [corsivo nostro].
La relazione sociale come «molecola del sociale» 141
Ciò che viene generato, a mio avviso, è una «società relazionale» [Do-
nati 2013].
20
Le considerazioni che qui svolgo a proposito della cooperazione sociale possono
essere applicate a qualunque sistema di azione cooperativo, ad esempio anche la coope-
razione internazionale oppure la cooperazione fra stati (Unione Europea, Mercosur, ecc.).
142 Capitolo 8
T1 - Rete di partenza: esiste (o si forma ex novo) una rete di relazioni fra gli attori che si attiva/
mobilita per produrre un servizio (è il disegno di intervento sociale, che ipotizza la crea-
zione di un bene relazionale)
T2 - Interazioni nella rete: la dinamica della rete di relazioni genera interazioni più o
T3 meno riflessive (che producono o consumano CS) - T3
fig. 8.6. Il valore sociale aggiunto del capitale sociale (CS) come (ri)generazione di beni relazionali (BR) nel tem-
po (ciclo T1-T4 ), ossia come modificazione dell’ordine delle relazioni attraverso l’ordine delle interazioni.
144 Capitolo 8
21
Il termine italiano «confondere» sta qui per il termine inglese conflation (traducibile
con «conflazione») utilizzato da Archer [1995] per indicare le forme di confusione, o se
La relazione sociale come «molecola del sociale» 145
delle relazioni sociali (scopi, mezzi, norme, valori) e anche le relazioni fra tali
dimensioni.
Per semplicità, propongo di classificare i modi di vincolare le relazioni
sociali lungo un continuum che va da modalità altamente determinate (hi-
ghly bound) a modalità altamente caotiche (highly unbound), e propongo
poi di esplorare una modalità in qualche modo intermedia – anche se sta su
un altro piano –, che è quella di una morfogenesi «guidata relazionalmente»
(relationally steered).
1. La morfogenesi sociale altamente vincolata (highly bound) è quella
che avviene all’interno di una struttura sociale che consente gradi di libertà
assai limitati agli agenti/attori, perché avviene entro vincoli cogenti e non
modificabili. Le azioni sono libere, ma esse si trovano a operare come in un
labirinto dal quale è difficile uscire. Le strutture lib/lab sono di questo tipo,
perché esse vincolano i soggetti a scegliere dentro un campo di opportunità
strettamente regolate dal compromesso fra stato (lab) e mercato (lib).
2. Per contro, la morfogenesi sociale caotica (highly unbound) è quella
che avviene in una processualità che minimizza o annulla i vincoli imposti
dalle strutture al tempo iniziale del ciclo morfogenetico. Il suo eschaton è
vivere e creare relazioni senza che esse rispondano a delle costrizioni. La
molecola sociale annulla la componente normativa. Afferma la relazionalità
come fine a se stessa. Le relazioni sono espressione di una ricerca che ha un
fine poco o nulla determinato, e quindi si rigirano su se stesse, in qualche
modo sono fini a se stesse. Questo tipo di morfogenesi rispecchia il pensiero
relativistico e pragmatista, tipico del mondo moderno, che è relazionista,
non relazionale. Dietro questo modo di pensare e agire c’è il paradigma del
mercato capitalistico, che genera sempre nuovi prodotti, nuove possibilità,
in modo espansivo ed evoluzionistico, senza che le variazioni rispondano a
dei vincoli. Pertanto non ha bisogno di legami sociali, anzi li erode e li deve
svuotare, li crea e li fa svanire subito dopo, se vuole espandersi. Per questo
motivo richiede adattamento e disponibilità agli agenti/attori. Gli individui
devono essere «disponibili» a qualunque esito, sperando che sia positivo, ma
senza alcuna certezza. Le strutture (sociali e culturali), quelle stesse che fanno
le istituzioni economiche, i mercati di profitto, e le corrispondenti strutture
politiche, incidono sulla vita degli individui in questa maniera: aprono delle
possibilità (le variazioni) che poi vengono selezionate sulla base del fatto che
148 Capitolo 8
non richiedano alcun vincolo che non sia il guadagno combinatorio che ha
luogo nella singola interazione ovvero in ciascuno scambio o transazione. Un
esempio paradigmatico è il modo di intendere la famiglia, che diventa un
mercato di opportunità a scelta degli individui, senza che le relazioni familiari
siano vincolate a nient’altro che non sia la soddisfazione che da esse si trae
nei processi di scambio e transazione fra coloro che la configurano come
loro scelta. L’idea della «relazione pura» teorizzata da Giddens [1992] è un
esempio di relazione morfogenetica unbound che è stata proposta da questo
autore come paradigmatica per tutte le relazioni sociali emergenti nella società
postmoderna. La ricerca empirica rivela però che essa è limitata a gruppi assai
limitati e minoritari della popolazione [Donati 2012b].
Nella zona intermedia fra MGS altamente vincolata e MGS caotica,
è possibile esplorare quelle forme di MGS che sono guidate da modalità
centrate sulla gestione delle relazioni, e delle reti di relazioni, fra gli agenti/
attori.
3. La morfogenesi sociale guidata (guided o steered) è quella che genera
nuove forme sulla base di una o più distinzioni direttrici proprie, le quali
tuttavia non agiscono come vincoli sul campo delle opportunità, ma anzi
servono per ampliare le opportunità uscendo dai vincoli esistenti. Ovviamente
i vincoli non sono facili da cambiare, ma l’ordine relazionale che gli agenti/
attori intendono generare guidando le interazioni nella fase intermedia
T2-T3 punta a mutare i criteri che vincolano la struttura condizionante. Se
intendiamo i vincoli come le distinzioni-guida del sistema di partenza, la
MGS guidata mira a modificare tali criteri. Ad esempio, modifica la coppia
libertà-uguaglianza con la coppia uguaglianza-solidarietà, oppure passa dal
vincolo binario libertà-uguaglianza a un vincolo ternario libertà-uguaglianza-
solidarietà.
Le sue operazioni non sono distinzioni binarie, ma sono modi di rela-
zionarsi alle distinzioni-guida che governano i processi. Questo modo di
pensare e agire la morfogenesi si presenta oggi sulla scena mondiale a causa
dei fallimenti della modernità, che ha posto come vincoli delle strutture
sociali il sistema lib/lab. Dietro questo modo di pensare e attuare la MGS,
c’è un paradigma ontologico ed epistemologico di tipo realista, anziché co-
struzionista. I cambiamenti delle forme sociali non sono concepiti come un
adattamento a un ambiente che evolve e impone delle scelte che modificano
La relazione sociale come «molecola del sociale» 149
il modo di essere originale (la natura sui generis) delle relazioni, perché le va-
riazioni delle relazioni sono viste come possibili e positive solo se cambiano
guardando al proprio fondamento, se ritornano (riflessivamente) alle radici
distintive che le costituiscono e le caratterizzano, le proprie distinzioni-gui-
da, che danno la direzione su cui camminare. La generazione di nuove for-
me sociali, incluse le trasformazioni delle identità personali e collettive, sono
manifestazioni di una radice (qualcuno la chiama «sostanza» o «essenza»)
che caratterizza, distingue e costituisce quella forma sociale. La quale non è
«disponibile» a piacimento degli agenti/attori.
La distinzione fra i tre tipi di MGS consiste precisamente nel modo di
concepire e trattare le relazioni sociali. La MGS altamente vincolata conce-
pisce le relazioni sociali come transazioni che esprimono delle scelte indivi-
duali fatte in un campo di opportunità fortemente delimitato dalle strutture
sociali esistenti. La MGS liquida è a-relazionale, ossia non attribuisce alla
relazione alcuna struttura. La MGS guidata opera con un codice relazionale
che conferisce una struttura creativa alla relazione sociale.
Possiamo comprendere la differenza fra questi tre modi di intendere la
MGS con due esempi.
• Il primo esempio riguarda la morfogenesi agenziale della persona
umana. Analizziamo le interpretazioni del motto «diventa ciò che sei».
Come è noto, questo detto è stato inizialmente attribuito al poeta greco
Pindaro (genoio, hoios ei) che lo ha rivolto a Ierone I, tiranno di Siracusa.
Pindaro pone un legame fra lo sviluppo della persona umana e il ricono-
scimento di sé: «Riconosci cosa sei nel cuore del tuo essere, poi cerca di
diventarlo». Questa è l’interpretazione guidata (o bound) della morfoge-
nesi: riconosci ciò che è la realtà profonda del tuo essere (e delle cose), e
poi sviluppa questo modo di essere, l’essere che esiste in questa relazione.
Nei tempi moderni, lo stesso motto è stato invece ripreso da Friedrich
Nietzsche che lo ha interpretato in tutt’altro senso. Per lui, la «fedeltà alla
terra» è fedeltà alla vita e al vivere con pienezza, è esaltazione della salute
e sanità del corpo, è altresì affermazione di una volontà creatrice che isti-
tuisce valori nuovi (in cui consiste il significato della volontà di potenza).
Non più «tu devi» (diventare ciò che sei), ma «io voglio» (diventare ciò che
posso essere). L’uomo deve diventare un superuomo, la cui socievolezza
è rappresentata da Zarathustra che balla. Il superuomo abbandona ogni
150 Capitolo 8
fede, ogni desiderio di certezza, per reggersi «sulle corde leggere di tutte le
possibilità». La sua massima è «diventa ciò che sei» nel senso che la libertà
del superuomo è una ricchezza di possibilità diverse. Da qui la rinuncia a
ogni certezza assoluta e da qui anche la profondità tipica del superuomo,
l’impossibilità di definire e giudicare la vita interiore, dalla quale non si at-
tinge altro che la maschera («Tutto ciò che è profondo ama mascherarsi»).
Il superuomo è il filosofo dell’avvenire; è un uomo senza patria né mèta per
poter insegnare ad amare la ricchezza e la transitorietà del mondo. Con la
sua «diversità di sguardo», egli cerca di rendere più degno il pensiero della
vita, di dare al mondo un altro valore, un’altra verità: la verità non è qualcosa
da riconoscere, ma da creare. Con la libertà che nasce dall’abbandono delle
vecchie illusioni e certezze, il superuomo osa «spostare le pietre di confine»
e aprire alla ricerca nuovi orizzonti. La sua volontà di potenza è la volontà di
creare sempre, incessantemente, dei valori nuovi, cioè creare il senso della
terra; quindi tutte le cose dipendono dalla volontà, dalla mia volontà.
Questa è precisamente la morfogenesi liquida, ben prima che ne parlas-
sero autori come Bauman [2000] e poi i teorici della cosiddetta «moderniz-
zazione riflessiva», che – come Archer [2012] e Donati [2001] hanno mo-
strato – non è per nulla riflessiva, ma puramente «riflettiva» (è reflective nel
senso che agisce di riflesso ai problemi come in uno specchio, senza una vera
e propria elaborazione riflessiva che porti a una progettualità consapevole).
Il passaggio dal mondo premoderno a quello moderno è stato segnato
da giochi che hanno portato dal «diventa ciò che sei» in senso classico,
come sviluppo fedele all’essere delle cose, al «diventa ciò che sei» come
volontà soggettiva di creare l’essere delle cose. Ed è in questo dramma
che noi oggi ci rigiriamo, alla ricerca di una via di uscita. Lo schema della
morfogenesi guidata in senso relazionale potrebbe essere una via di uscita.
Essa potrebbe suggerire di interpretare il «diventa ciò che sei» non già
come sviluppo di un’identità prefissata, che deve semplicemente svolgersi
come se si dovesse srotolare un rotolo, e neppure come una volontà di
potenza avulsa dalla realtà, ma come progettualità di un’identità capace di
arricchire se stessa in un cambiamento guidato del proprio Sé, dato che
il Self (l’Io della persona) deve affrontare un’inevitabile morfogenesi. Ma
deve trasformarsi senza perdere il suo carattere originario (la sua dotazio-
ne) e la sua originalità (unicità).
La relazione sociale come «molecola del sociale» 151
dal mutamento della natura delle relazioni sociali, di cui abbiamo parlato in
questo testo. Le ICT rendono meno problematici i contatti per certi aspetti,
ma possono avere altri effetti, come quelli di una maggiore invadenza nella
vita privata e di una pressione compulsiva per essere sempre attenti («con
nessi») a possibili comunicazioni distogliendo dalle relazioni concrete della
situazione.
Già oggi, riducendo o annullando le distanze spaziali e temporali, le
nuove tecnologie modificano le relazioni sociali rendendole più superficiali
e soggette agli eventi del momento. Le nuove tecnologie della comunicazio
ne non stanno semplicemente annullando le distanze spaziali e appiattendo
il tempo sul presente, ma modificano la percezione dello spazio e del tempo
in cui viviamo.
Alcune ricerche mettono in luce che, mentre arricchiscono enormemen
te le interazioni virtuali, tablet, smartphone e laptop hanno anche l’effetto
di isolare le persone [Turkle 2011]. In buona sostanza, possiamo dire che,
laddove manca una relazione di conoscenza diretta, interpersonale, fra le
persone, ossia laddove le relazioni sono solo virtuali, e non anche reali, gli
individui, per quanto siano connessi, sono indotti a isolarsi, e alla fine si
sentono più soli.
Come sarà il futuro relazionale dei nativi digitali? Mentre le generazioni
di adulti hanno l’esperienza del mondo reale e delle relazioni primarie, le
generazioni più giovani non hanno questo imprinting relazionale, perché
hanno soprattutto esperienza delle relazioni virtuali. Giovanissimi e adole
scenti sono attratti da dinamiche di comunicazione molto volatili, che non
hanno fisicità. Il rischio è quello dell’insorgenza di patologie connesse alle
difficoltà di formarsi un’identità autonoma e dotata di capacità riflessiva,
giacché sappiamo che l’identità si forma attraverso relazioni vissute in modo
significativo e vitale per la persona umana.
Per concludere. La nuova società appare fluida come lo sono le comuni
cazioni e le culture digitali. Un criterio per comprendere come andranno le
cose potrebbe derivarci dalla ricerca empirica, la quale ci dice che esiste una
differenza significativa tra chi usa il virtuale come strumento per confermare
relazioni reali e chi, al contrario, sostituisce il virtuale al reale. I primi creano
reti relazionali significative, i secondi rischiano di perdersi in un mondo eva
nescente, come capita quando la connessione al web diventa più importante
Conclusioni 159
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