I punto interrogativo più grande di Sant’Agostino riguarda un problema all’epoca contemporaneo, ossa la
distinzione tra lo Stato e la Chiesa. Egli ne parla nel de civitate dei, compiendo in quest’opera un confronto
tra la civiltà greco-romana e quella cristiana.
De civitate dei
Vi sono due modi di vivere degli uomini, due “città” (le chiama così), ossia la civitas dei e la civitas terrena.
Entrambe le città trovano il loro fondamento nella storia umana più antica. Il termine civitas indica una
comunanza di valori e di presupposti morali nei confronti di chi vi partecipa, una comunanza di intenti. La
civitas dei è costituita da coloro che si fanno ispirare dall’amor dei, dall’amore per Dio. La civitas terrena è
costituita da coloro che sono mossi dall’amor sui, dall’amor proprio insomma.
Queste due dimensioni, apparentemente incompatibili, hanno una caratteristica i comune: l’amore. Per s.
Agostino l’amore è il motore, e non è umano colui che non ama. L’amor sui consiste proprio nel desiderio di
soddisfare ogni esigenza della vita terrena, a conseguire tutti i beni materiali e trovare per sé stessi la piena
soddisfazione e la pace. È proprio il desiderio di pace a muovere l’uomo verso la conoscenza dei suoi simili,
perché non si è mai in pace con sé stessi
Se prima non lo si è con gli altri. E questo desiderio di pace è il principio base della civiltà. Anche la guerra
la si compie nella prospettiva di prevenire le guerre future, quindi in una prospettiva di pace. La pace è la
ragion d’essere degli uomini, è il bene più grande che l’uomo riceve dalla società.
3. Il compito dello stato e della politica è di garantire la pace . Tutto deve essere fatto in funzione di una
prospettiva di pace. Esistono due paci: la pace della città celeste è eterno. La pace nella città terrena è
insidiata da passioni sempre mutevoli degli uomini, quindi è provvisoria, non duratura.
Cicerone e sant’ago non sono d’accordo su una cosa. Sono d’accordo sul fatto che la repubblica èla cosa del
popolo, e il popolo non è una moltitudine sparsa di individui ma una unione mediante il vincolo del diritto
e della legge. Siccome non può esistere la res publica senza diritto, non c’è diritto se non c’è giustizia. Qui le
strade si dividono, perché s cicerone pensava che la vera giustizia fosse da ricercare negli uomini e nelle
leggi fatte da loro per loro, Sant’Agostino pensa che la VERA GIUSTIZIA si trovi solamente nella città di Dio.
4. Uno stato non è solo una moltitudine di individui, ma un insieme di uomini che si uniscono sulla base di
un concorde amore per una cosa comune. Le leggi, gli ordinamenti, le istituzioni, sono espressione di una
concordanza di interessi tra gli individui, i quali provano i un amore comune per le cose terrene. Il processo
di unificazione dei desideri e degli amori sta alla base delle ragioni di vita di una qualsiasi civiltà. Da questo
dogma scaturisce il principio del consenso degli associati, indispensabile per vivere in comunità perché
conferisce al governante la legittimità a governare. Il popolo infatti non è una manica di bestie, ma di esseri
razionali ed eguali tra loro. Qui implicitamente Sant’Agostino condanna il controllo dell’ uomo sull’altro
uomo. Lo stato è composto da:
1. Un’associazione di individui
2. Un patto sociale
3. Un capo che comanda
4. Una serie di convenzioni precedentemente concordate
Il potere quindi si fonda sul consenso dei cittadini al medesimo ordine politico, espresso dal patto sociale e
concordato tra i cittadini attraverso un accordo fra i consociati.
C’è una distinzione netta tra potere è dominio. Dio ha riservato il potere agli esseri razionali, il dominio su
quell’io irrazionali, sugli animali. Il potere si esercita nei limiti del diritto, tramite un comune accordo, e si
avvale della coercizione sono qualora serva a scoraggiare cattive attitudini. Il dominio è composto nella sua
essenza dalla coercizione, dalla violenza.
Esiste inoltre una stretta relazione tra l’oggetto dell’amore e l’ordine della comunità politica (ricordiamo
che per Sant’Agostino l’ordine è la disposizione che in una società pone tutto al suo posto, nella parità e
nella disparità), ossia al variare dell’uno varia anche l’altro. Più l’oggetto della relazione si trova nelle virtù
terrene, più l’ordine sarà giusto, ben proporzionato e lo stato sarà in grado di garantire giustizia per i propri
cittadini. Per virtù terrene si intendono la temperanza, la saggezza, prudenza, fortezza. Queste virtù
sussistono anche se non rette da una fede cristiana, e garantiscono il funzionamento di una comunità
politica.
Solo attraverso la virtù un popolo può essere così maturo dal potere eleggere i magistrati che vi governano.
Qualora invece l’oggetto dell’amore non coincida con la virtù, il popolo non è più in grado di
autogovernarsi, e nasceranno discordie, il governo sarà corrotto e il popolo non potrà eleggere i propri
magistrati. A questo punto si necessiterà di una autorità forte dotata di forte virtù e autorità, per cui il
governo dello stato sarà affidato ad una cerchia ristretta di aristocratici, o a uno solo.
Questa corruzione a cui l’uomo tende è da ricercare nella natura intrinseca dell’essere umano. Egli quando
aspira alla felicità e alla giustizia, spesso ricerca la sua giustizia, tralasciando o persino andando in contrasto
con quella altrui. Così quando egli cerca giustizia, ottiene guerra e ingiustizie. L’uomo che aderisce
solamente alla civitas humana è in continua ricerca della sua felicità, ma trascurando la città divina alla fine
non ci arriva mai. Così ciò genera inquietudine e una continua ricerca della felicità.
La contrapposizione tra città divina e città terrena non deve essere concepita come se ci fosse una totale
estraneità della prima nei confronti della seconda. La città divina vaga pellegrina nel mondo, e nei
confronti della città terrena essa vuole assicurare la pace. Di conseguenza c’è viva e costante
comunicazione tra le due. Ad esempio, il rapporto tra potere temporale e religione cristiana, per quanto
riguarda il potere, esiste e possiede anch’esso dei principi. Il cristianesimo concede che a un uomo possa
essere conferita dal popolo la legittimità che li serve per governare, ma se il popolo è cristiano, anche
l’asserzione di esso al potere presenta dei limiti: il potere temporale deve agire per dare e mantenere la
pace tra gli uomini.
Non è trascurabile il rapporto controverso che esiste tra religione cristiana e la guerra. Il vangelo condanna
in toto l’uso della violenza e quindi l’uso della guerra. Sant’Agostino lima questa posizione, partendo dal
presupposto che le antiche leggi divine devono essere interpretate a seconda delle situazioni entro cui esse
si sviluppano e accadono. Da questo punto di vista, tenendo vivo il concetto che il compito dello Stato è
garantire la pace, il filosofo stabilisce che qualora la guerra costituisca l’’unico estremo modo per arrivare
alla pace, l’autorità terrena si trova giustificata nel fare la guerra, non come strumento di offesa ma come
presupposto per una pace futura.
Un altro argomento molto delicato riguarda l’uso della coercizione come mezzo per garantire l’unità della
Chiesa quindi difenderla da eventuali scismi. Argomento delicato perché è terribilmente facile ricadere
nella coercizione rispetto alla libertà di coscienza. Sant’Agostino utilizza come esempio la lotta nei confronti
della Chiesa domatista. Quindi in sostanza dice che non bisogna forzare la gente ad essere cristiana, ma
bisogna educarli alla verità cristiana per evitare che il popolo possa essere soggetto a demagogie che
traviano la persona.
San Tommaso
San Tommaso è l’erede cristiano di Aristotele. Egli come Aristotele crede nella scientificità della politica. La
politica è una scienza autonoma, che ha una sua teoria e una sua pratica. Essa infatti non è scienza
speculativa, quindi applicabile solo alla pratica, ma essendo la scienza della polis, essa è fatta di pratica. È
una scienza pratica, quindi assimilabile alle arti manuali? No. Viene concepita come alla stessa guisa della
scienza medica, analitica e teorica prima, pratica dopo.
L’uomo è per S. Tommaso l’autore della comunità politica. Egli può vivere senza riunirsi in comunità, ma
non può vivere bene. La vita in comunità permette all’uomo di soddisfare alcuni bisogni che non riguardano
la mera soddisfazione di bisogni naturali, ma bisogni morali. Ossia la sua piena felicità. L’uomo può arrivare
alla soddisfazione della sua piena sufficienza, ma non alla sua piena felicità, realizzabile solamente grazie
alla fede.
L’uomo è quindi un animale sociale, ha bisogno di stare in società per soddisfare la sua natura. E la polis, la
comunitas non ha solamente un carattere strumentale, ma è funzionale all’uomo per soddisfare la sua
natura. La politica, la comunità politica in generale non è una unità-totalità (ovvero una realtà in cui le parti
sono strettamente connesse con il tutto), ma una unità d’ordine, in cui le parti sono hanno una sfera
d’azione distinta dal tutto, e il movimento del tutto risulta dal lavoro autonomo delle singole parti. Al
contrario della unità-totalità non è la parte che è condizionata dal lavoro del tutto, ma è il tutto che viene
condizionato dal lavoro di tutte le parti, il movimento della società è condizionato dal movimento compiuto
dai singoli individui. S. Tommaso quindi si scosta dalla tradizione organicistica della società, e conferisce
all’uomo una certa sfera di libertà, che gli viene concessa dalla ragione. La libertà è la caratteristica
essenziale dell’uomo, in quanto capacità di autodeterminazione razionale.
Il fine della civitas, come un tutto composto dalle singole parti che ne compongono il movimento, ha come
fine ultimo il bene comune, che è distinto dal bene dei singoli. Il concetto di bene politico è strettamente
connesso con quello di autorità politica, che garantisce unità nella coommunitas. Una guida legittimata a
governare non permette alla comunità politica di dividersi in fazioni, disgregandosi e ponendo fine alla
comunità stessa. Il potere politico quindi non è al di sopra della comunità, ma ne dipende, ed è stato
istituito dalla comunità stessa per soddisfare il suo bisogno più importante: il bene comune.
3. Sempre rimanendo sul terreno del potere politico, s. Tommaso affronta una analisi sulla ragione, è più in
particolare sul rapporto ragione-volontà. L’obbligatorietà della legge, e anche la sua legittimità, dipendono
dal fatto che gli atti giuridici vincolanti espressi dal principe scaturiscono dalla ragione. In questo senso la
ragione prevale sulla volontà del principe. Il potere politico quindi trova un importante limite nella ragione.
E la ragione porta il principe ad emanare atti volti a soddisfare il bene comune. Qualora questi atti non
siano conformi ad esso, il principe sta usando l’arbitrio. La legge che riguarda il bene comune, interessa
l’intera comunità e di conseguenza deve essere essere approvata o dalla comunità stessa o da un suo
legittimo rappresentante.
La legge umana, soprattutto quella che riguarda il diritto civile, cambia da stato in stato ed è la più soggetta
a mutabilità. La legge umana anche se è soggetta a mutabilità nel tempo è opportuno che essa rimanga in
vigore per tanto tempo, perché più tempo passa, più la legge si istituzionalizza.
Perché esiste la legge umana se già esiste la legge naturale, la quale conferisce già all’uomo la razionalità
che gli serve per vivere in comunità? Perché spesso, anche se l’uomo è dotato di razionalità, egli si fa
facilmente corrompere da vizi terreni, ed è indispensabile che ci sia una legge che regola i comportamenti
umani da questo punto di vista, e che talvolta li punisce.
Cosa fare se la legge umana, sotto-ordinata rispetto alla legge di natura, contrasta con quest’ultima? Facile,
salvo che ciò non implichi mali peggiori, l’uomo deve violare la legge umana in favore della legge di natura.
4. Nell’ultima parte s. Tommaso si chiede quale sia la forma di governo migliore per fermare il sovrano dal
prevaricare sulla legge. Chi prevarica sulla legge? Il tiranno. La tirannide è considerata da s. Tommaso la
peggiore delle forme di governo. Il tiranno viene considerato alla stregua di un animale rabbioso che ha
soppresso la ragione e il bene comune in favore della sua esclusiva volontà.
La rivolta contro il tiranno è più che legittima, fattuale. Portare il popolo ad una soppressione così grande
dei suoi diritti naturali lo porta ad esplodere, come l’acqua sotto troppa pressione che scoppia nel punto più
debole del recipiente. Così accade la rivolta, che fa molto male alla società e al suo stesso tessuto. Per ciò
deve esistere una procedura giuridico-costituzionale che si sostituisca alla rivolta, e chiami in causa tutti
quelle istituzioni di controllo nei confronti del tiranno (istituzioni che siano rappresentative della comunità).
S. Tommaso, richiamandosi ad Aristotele, propone ancora una volta la costituzione mista, che includa
elementi monarchici, aristocratici e democratici.