VINCERE L’ANSIA
CON L’INTELLIGENZA EMOTIVA
Proprietà letteraria riservata
© 2013 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-58-65836-9
T ra il fisiologico e il patologico
Il cervello limbico
T ipologie di panico
Un nemico da rivalutare
«Una volta mi sentivo libero di fare ciò che mi andava, ogni gesto
era facile, naturale; ora è tutto così complicato. Passo tanto
tempo a controllare. Controllare di aver chiuso la porta a chiave,
di aver spento il gas, che tutto sia allineato sulla scrivania, di
aver riposto le scarpe in perfetto ordine nella scarpiera… Lo so,
ne ho consapevolezza, è già tutto a posto ma… È più forte di me:
quei tre colpi che do alla maniglia hanno il potere di
rassicurarmi. Solo così mi sento meglio.»
Il disturbo ossessivo compulsivo (acronimo DOC) rappresenta
una s da per il professionista della salute mentale; è una
patologia che rientra nel novero dei disturbi d’ansia, ma ha una
sua fenomenologia ben de nita che la di erenzia dagli altri
fenomeni ansiosi: contestualmente a una fenomenologia
uni cante, i pazienti a etti da DOC rappresentano una
popolazione del tutto eterogenea. Questa eterogeneità si
rintraccia anche, e soprattutto, nella prognosi delle persone che
ne so rono: molte di esse sono purtroppo destinate a una
cronicizzazione della problematica e spesso questo avviene in
p attern fenotipici ben de niti non solo da determinate
caratteristiche cliniche, ma anche da certe peculiarità del loro
cervello emotivo.
Inoltre, la s da della cura di persone a ette da DOC sta nel
fatto che, al di là della sintomatologia evidente (il loro agire
reiterato e compulsivo), le loro vite sono sostanzialmente
invalidate da una spesso totale incompetenza emotiva che rende
ragione della loro disfunzionalità sociale.
La fenomenologia che caratterizza questi pazienti è tutta nella
forma del pensiero ossessivo: è lì che vanno rintracciate le radici
e l’identità del disturbo. Intrusività, ripetitività, incoercibilità ed
estraneità sono le caratteristiche fondanti del fenomeno
psicopatologico «ossessione». È sorprendente come questa
fenomenologia si ripeta puntualmente in persone tanto diverse
fra loro. Tale eterogeneità permette di «suddividere» i pazienti
sulla base di numerose variabili di di erente pertinenza: i
contenuti del pensiero ossessivo, la storia di vita dei pazienti,
l’età di esordio del disturbo, il funzionamento neuropsicologico,
le competenze emotive, lo stile relazionale, il profilo genetico.
«Vede, dottore, prima il problema era che quando guidavo – si
ricorda vero? – dovevo sempre ritornare indietro per
convincermi di non aver commesso incidenti. Sì lo so, era
surreale, ma per quanto ci stessi attento, e ogni semaforo fosse
una tesi di laurea, poco dopo mi sembrava di aver dimenticato
qualcosa, di non averlo fatto con la dovuta attenzione e… tornavo
indietro. Ma ora… ora mi sembra ancora più grave. Alla sera
mentre sparecchio la tavola e carico la lavastoviglie mi sembra di
sentire delle voci fuori sul balcone, delle grida di aiuto… è una
sensazione ma per quanto mi sforzi di dirmi che non è vera,
devo uscire a veri care che non ci sia nessuno in pericolo che
grida aiuto. Ho coinvolto anche mia moglie, quello mi rassicura;
lo chiedo anche a lei, se le ha sentite. Lei ci ride sopra, ma poi
quando vado avanti anche delle mezz’ore a chiedere
rassicurazioni nisce che litighiamo perché lei si spazientisce…
È un disastro, dottore.»
In genere queste persone sono attanagliate da pensieri, dubbi,
paure, talvolta vere e proprie immagini intrusive, lastrocche e
ritornelli di canzoni, che ronzano loro in testa come un disco
incantato. Si bloccano lì, irrazionali ed estranei, perché non sono
frutto di un ragionamento e non sono voluti, anzi sono per
l’appunto degli intrusi che prepotentemente richiamano
attenzione ed energie, occupando gran parte del loro spazio
mentale. Il problema è proprio qui: generano un’ansia atavica,
angoscia, senso di impotenza che sfuggono del tutto al loro
controllo.
«Come faccio a lavarmi le mani? Come faccio a capire che
sono pulite? In realtà, dottore, il discorso vale anche un po’ per
tutta l’igiene del corpo: seguo un ordine preciso quando mi lavo.
È un rito, la cui corretta esecuzione mi rassicura, solo così mi
sento a posto. Prima solo con l’acqua, con un gesto circolare di
una mano sull’altra, poi le insapono accuratamente, e mentre lo
faccio conto, conto per regolarmi con la giusta quantità di
passaggi. Solitamente arrivo a diciotto, a volte però, se vengo
interrotto… mia madre non capisce mai e mi chiama sempre per
sapere se va tutto bene, ma questo mi disturba… be’, in quei casi
o ricomincio da capo o vado a un multiplo di tre e di solito, se la
giornata è positiva, mi fermo a ventisette.»
Da lì nascono dei gesti, rituali spesso a connotazione
scaramantica, che se eseguiti correttamente (come se ci fosse
una specie di libretto delle istruzioni), hanno il magico potere di
placare l’ansia. Ma la quiete dura poco: dal nulla rispunta ancora
quel dubbio, quella paura, che rapida diventa una certezza e
ricomincia tutto da capo.
«Per me esistono i giorni sì e i giorni no. Nei giorni sì, posso
fare una serie di cose. Nei giorni no, non posso fare nulla: ho
paura di essere contaminato. Anche la scelta del bar dove
comprare la bottiglietta d’acqua per inghiottire le pillole che mi
ha prescritto, dottore, è di cile. È come se dovessi controllare
che il nome del bar non sia collegabile in nessun modo alla lista
di “nomi no”, quelli che temo. Funziona così: se io faccio una
cosa, qualsiasi cosa, senza rispettare questi parametri di
sicurezza… ho paura di essere contaminato, di diventare come
quelle persone che non stimo… Lo so, è un pensiero assurdo ma,
mi creda, ieri ho girato due ore per trovare un bar che mi
ispirasse ducia. I numeri poi sono un’ossessione. È un incastro
magico per cui devo cercare combinazioni, multipli o
filastrocche che mi rassicurino.»
«Lei, dottore, non sa che angoscia sia per me prendere il treno
alla mattina per andare all’università. Tutta quella gente stipata,
non parliamo poi della metropolitana: ho sempre paura che
qualcuno, urtandomi, possa contaminarmi. Lo so che è
impossibile, ma è come se avessi la sensazione sica di
appiccicoso, sento gli occhiali appiccicosi, e anche il naso mi
sembra sporco di colla. Ho sempre l’idea che qualcuno
toccandomi mi contagi con il Bostick; sì, so che è irrazionale ma
non riesco a gestirla. È terribile perché non ammetto quella
sensazione di imperfezione… questo mi mette di un umore nero
e quando torno a casa sono costretto a lavarmi tutto. E lei,
dottore, sa bene cosa vuol dire per me lavarmi tutto!»
Quello che mi ha sempre a ascinato di questo lavoro è lo
sforzo per comprendere il comportamento altrui. Quando ci si
confronta con la bizzarria, la deviazione dalla norma, la non
naturalezza di certi atteggiamenti o comportamenti, se ne può
avere paura, di denza. Questa reazione, se vogliamo, è
normale, perché è normale che quello che non conosciamo ci
faccia paura. Ma si tratta solo di guardare «sotto» ai
comportamenti e, se si conosce la grammatica giusta, le
spiegazioni si trovano e anche le stranezze più assurde diventano
comportamenti in un certo senso prevedibili.
È proprio questo il caso dei sintomi ossessivo compulsivi. La
loro natura è quella ansiosa. Nulla di più.
Tutti noi da piccoli abbiamo familiarizzato con la
scaramanzia: piccoli gesti portafortuna che sottendevano il
pensiero «se faccio questo allora quella cosa mi andrà bene», e
tutti noi ci siamo compiaciuti di aver messo in minuzioso ordine
la nostra scrivania, il nostro armadio, o ci siamo so ermati, per
vezzo, a ri lare la barba più volte, a ricercare una specie di
perfezione nascosta, irraggiungibile. Tutti noi, quando siamo in
ansia o in un periodo un po’ stressante, tendiamo ad avere il
dubbio di non aver chiuso la macchina o la porta di casa,
sentendo la necessità di ricontrollare per essere rassicurati.
Immaginiamo ora, però, che il vezzo si trasformi in regola,
irrinunciabile, inemendabile, improcrastinabile. È quello che
capita tutti i giorni a chi so re di disturbo ossessivo compulsivo.
L’aggravante per queste persone è che si sentono strane, ma
hanno vergogna di aprirsi e chiedere aiuto, hanno paura di
essere giudicate pazze. In e etti ci sono forme di anomalia del
pensiero che rappresentano, nell’immaginario collettivo, l’attività
mentale del folle: per esempio sentire le voci, avere convinzioni
deliranti, come pensare di vivere in un’altra epoca o di essere in
contatto telepatico con gli extraterrestri. Queste persone però non
vivono così angosciosamente la loro condizione perché, si dice in
gergo tecnico, sono «sintonici con questo mondo», ne fanno parte
in maniera totalizzante.
Coloro che presentano sintomi ossessivi, invece, percepiscono
l’intrusività delle loro «manie», e ne sono angosciati proprio
perché mantengono sempre un piede nella realtà, avvertendo in
modo tangibile l’anomalia di questi loro pensieri bizzarri che
però sono soverchianti e annichilenti.
Sentirsi diversi
Come Rambo
Sintomatologia
Occorre ricordare che gli eventi traumatici non sono solo quelli
eclatanti nora accennati: esiste anche tutta una vasta gamma di
micro-esperienze traumatizzanti che possono in uenzare non
tanto una reazione patologica a esse direttamente correlata, bensì
la orida e armoniosa crescita del sistema emotivo, diventando
un vero e proprio fattore di rischio a tutto tondo sulla patologia
medica: dall’infarto cardiaco ai disturbi d’ansia, passando per
tumori, diabete, asma e tante altre patologie.
Per eventi di vita traumatizzanti si intendono abusi sici,
emotivi e sessuali, assenza di supporto, cura e protezione sia
emotiva sia sica, condizioni di fragilità familiare domestica
come il maltrattamento della gura materna, l’abuso in famiglia
di sostanze stupefacenti o alcol, la presenza di malattie mentali,
separazione o divorzio dei genitori, incarcerazione di membri
della famiglia.
A prescindere dalla valenza medica di queste variabili, dal
punto di vista emotivo le persone che hanno vissuto queste
esperienze – pur facendo la dovuta tara dell’in uenza genetica
sul comportamento e lo sviluppo emozionale – tendono di base
ad avere di coltà nelle relazioni interpersonali, mostrandosi
sempre insicure e preoccupate di trovare a etto, manifestano
scarsa capacità di interpretazione dei propri stati emotivi,
possono avere problemi nella gestione bilanciata della rabbia,
che viene o soppressa o liberata senza freni; in certi casi possono
essere come «anestetizzate» emotivamente nei confronti degli
altri, e manifestare scarsa empatia. Sono persone che spesso
possono sembrare introverse, pensierose, perse nel loro mondo.
Anche quando non si rileva traccia di eventi traumatici o non
ci si trova in presenza di una vera e propria sindrome post-
traumatica, se interagiamo con individui che mostrano disturbi
d’ansia, dell’umore o somatoformi va sempre indagata la
presenza di un’infanzia traumatizzante. Spesso, infatti,
l’anestesia emotiva di queste persone può essere curata,
migliorando così la prognosi del disturbo clinico per il quale
richiedono aiuto.
1. Alleviare i sintomi
2. Modi care la percezione di ciò che la condizione di
malattia e il presentarsi dei sintomi signi cano per chi ne
soffre
3. Armonizzare il proprio sistema emotivo.
I tre livelli possono essere a rontati in modi e tempi di erenti, a
seconda della persona. Non esiste da questo punto di vista la
scelta giusta sempre e comunque. È imperativo che il paziente
capisca che la scelta del percorso di terapia va personalizzata,
condivisa e quindi de nita insieme al proprio professionista. Non
deve mai essere subita come una prescrizione.
Quanto al primo e al secondo livello, la «tecnica» terapeutica
viene stabilita in larga parte dalle linee-guida scienti che
internazionali. Sul terzo livello di cambiamento – quello che
interviene sulla fragilità di sottofondo –, poco è stato detto e poco
si sa. In assoluto non possiamo escludere che forme di approccio
molto dissimili fra loro possano pervenire a risultati simili, in
persone di erenti. Le emozioni, la loro natura, il modo di viverle
e utilizzarle intelligentemente, o meglio di essere intelligenti
emotivamente, diventano l’argomento fondamentale, la cornice
di riferimento; è imprescindibile sentirsi su un percorso
individualizzato e personalizzato, come quando si va da un sarto
per realizzare un vestito su misura.
Porsi questo ne sposta l’attenzione dal modello medico,
concentrato sull’attenuazione dei sintomi, alla prospettiva della
persona nella sua globalità. Sembra una sciocchezza ma di fatto
quando ci si reca da un medico per un problema come questo
non si hanno le idee chiare su cosa ci si aspetta e su cosa
desiderare. Questo perché si tende a vivere il ruolo del «malato»
basandosi sul paradigma della malattia («devo raccontare i miei
sintomi») e non della persona («posso raccontare il mio disagio»).
La natura e la qualità delle manifestazioni della malattia possono
essere comprese, e adeguatamente a rontate, solo se ci si
addentra nella propria vita emotiva, acquisendo la capacità di
trovare felicità, salute e benessere nel coltivare un rapporto
armonico con le proprie esperienze emotive.
Un percorso condiviso
Presentazione e ringraziamenti
Disturbi d’ansia e intelligenza emotiva: la ricerca del
benessere fra disagio e malattia
Intelligenza emotiva e neurobiologia del cervello emotivo
Ansia come stile di vita: l’ansia generalizzata
Vivere con una spada di Damocle sulla testa: panico e paura
della paura
Rosso pomodoro: la fobia sociale
Strane manie: ossessioni, bizzarrie e dintorni
Episodi che segnano una vita: il disturbo post-traumatico da
stress
Ma ci si può curare? Le terapie disponibili: quando, come e
perché