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GIOVANNI BOCCACCIO

8 marzo
Ha cercato di riproporre il suo romanzo familiare. É un figlio naturale, sappiamo chi è il padre
ma non la madre. Nasce nel 1313, e non siamo sicuri del luogo di nascita, originario
probabilmente di Certaldo (FI), perché il padre aveva quelle origini. Egli era un mercante
che aveva aperto un giro di commercio a Firenze e successivamente si trasferì. La madre
probabilmente era di origini umili, ma non si sa chi sia, il padre volle riconoscere suo figlio e
lo trattò sempre come tale. Il padre non era sposato al tempo, ma lo fece dopo 7 anni dalla
nascita di Giovanni. La madre non riconobbe il figlio e più volte nelle opere di Boccaccio
troviamo il racconto di una nobile ascendenza, finge quindi che la madre fosse una
principessa dal sangue francese; faceva ciò perché il padre aveva rapporti commerciali e
frequenti con la Francia, quindi giocava con questa situazione raccontando una favola.
Dobbiamo assumerne il significato simbolico: un bambino che nasce solo e con una
vergogna delle proprie origini e il desiderio che siano nobili, con un cattivo rapporto con la
moglie di Boccaccino di Chellino (il padre).
Cresciuto, Boccaccio si sposa con Margherita che apparteneva alla casata della famiglia
agiata dei Portinari, stessa famiglia del marito di Beatrice di Dante. Il rapporto tra Dante e
Boccaccio è molto stretto, Boccaccio copia per due volte la Divina Commedia a mano
(Perchè in quel periodo i libri costavano). Boccaccio ci ha permesso di identificare in
Beatrice una donna reale identificando anche la famiglia di provenienza.
Il rapporto con la nuova moglie del padre non era dei migliori: quando il padre parte per
Napoli in missione mercantile, porta con sé il ragazzo; la famiglia e il nuovo figlio (il
fratellastro) e la suocera restano a Certaldo.
In un'opera definisce "orsi" la sua matrigna e la sua rispettiva mamma, che le ritrova nella
sua casa da un giorno all'altro. Abbiamo davanti un bambino che non si sente amato,
accettato, cerca casa e famiglia nell'immaginazione e una mamma.
ALLEGORIA: dire una cosa attraverso un'altra, alludo a un significato attraverso
qualcos'altro. La lettera non corrisponde al significato della stessa = "due orsi", non sono
reali e materiali, sono due figure allegoriche che mascherano la matrigna di Boccaccio e la
suocera del padre.
9 marzo
Quando il padre si trasferì a Firenze nel sestiere di San Piero Maggiore —> lo stesso di
Dante e Beatrice.
Noi immaginiamo che il piccolo boccaccio si sia trasferito con il padre nel 1320 a Firenze. Il
padre di Boccaccio ha un’ascesa sociale notevole, comincia a rivestire una carica
importante dentro l’arte del cambio e arriva fino a ricoprire la massima carica del comune
tra il febbraio 1322/1323, cioè quella di Priore.
Dante stesso era stato Priore e proprio la sua attività politica lo aveva condotto all’esilio.
Boccaccio ebbe un'istruzione primaria che comprendeva obbligatoriamente l’insegnamento
del latino alla scuoletta, naturalmente era un’iniziazione allo studio che comprendeva
comunque l’apprendimento della lingua latina e agli autori della classicità. Noi sappiamo chi
è il maestro di Boccaccio, un preumanista Giovanni Di Strada. Nella sua stessa scuola
studiava anche l’amico e competitore di una vita Niccolò Degli Acciaiuoli; anche lui come
Boccaccio in gioventù raggiunse Napoli. Finito il ciclo primario di studi, i figli di mercanti
erano indirizzati a studi più tecnici ripercorrendo le orme del padre. Questa scuola è
associata allo scientifico o ancora il tecnico-Commerciale che nel medioevo prendeva nome
di ABACO.
Importante in questa scuola era l'aritmetica, la commerceologia e l'economia monetaria,
quindi studi molto tecnici che instradano alla professione. Boccaccio però si sente portato
per le lettere, si sente creativo e innamorato del latino e la poesia , ma continua ad obbedire
al padre autoritario ma sente che la sua strada non è quella. Non è un rifiuto ideologico
quello di Boccaccio, ma gli dispiace vedere che altri suoi coetanei potevano seguire scuole
improntate sugli studi umanistici. Nonostante il lavoro del padre, vi saranno degli episodi
che marcheranno altrettanto la vita del Boccaccio, un evento importante collegato alla storia
del tempo. A quel tempo Firenze era in mano ai Guelfi, sostenitori del Papa, ma i Ghibellini
erano ancora presenti a tal punto che nel 1325 la Firenze Guelfa riceve una grande sconfitta
dai Ghibellini e così Firenze, a sua difesa chiede soccorso al Re di Napoli Roberto D’Angiò,
che mandò a Firenze il figlio Carlo D’Angiò che assunse l’incarico di Vicario dove ebbe
ottimi rapporti con Boccaccino al quale rinnovò il mandato di consigliere della mercanzia di
Firenze di qualche mese rispetto alla naturale scadenza, dove supervisiona il commercio
estero, sovrintende alla risoluzione dei contenziosi tra i mercati e curava i fallimenti
soprattutto quando potevano destabilizzare il mercato.
Nel 1327 Boccaccino viene inviato a Napoli per conto di Carlo D’angiò e porta con sé il
figlio, che aveva terminato gli studi di Abaco e viene preso a lavorare col padre sebbene
non fosse consuetudine del tempo. Di questo periodo c’è ne parla nell’epistola in latino
“sacre famis” nel 1339, dove ad un interlocutore immaginario si descrive come vittima di un
padre padrone che lo ha costretto in cose che non li interessavano e che li ha fatto perdere
nozioni fondamentali; uno dei pochi scritti dove recrimina contro il padre.
Tuttavia Napoli era comunque una corte molto prestigiosa anche culturalmente e quindi
Boccaccio cerca di sfruttare le proprie conoscenze mercantili per cercare di entrare in quel
mondo che si avvicinava un poco a quel mondo letterario al quale non gli è stato concesso
di entrare al tempo; infatti D’angiò aveva messo insieme l’immensa biblioteca laurenziana
che copriva molteplici ambiti dai Classici ai romanzi cortesi in lingua d'oil, trattati scientifici di
astronomia, aritmetica e fisica e lui cerca di “portarli” con sé copiandoli in quaderni chiamati
Zibaldone laurenziano poiché confusionari come quello del Leopardi.
(Nel codice Hamilton autografo del Decameron ci sono molteplici refusi di stampa e
mancanza di senso compiuto, nonostante Boccaccio fosse abituato a copiare e riscrivere
visto che i libri costando molto era l’unico modo per “acquistarli”. La filologia serve proprio a
“restaurare” gli scritti antichi cercando di riprendere il significato nonostante queste
difficoltà).
Conosce numerose figure tra cui Giotto presente a Napoli per dipingere il ciclo degli uomini
magni, Paolo da Perugia bibliotecario dalla grande conoscenza dei classici, Andalò del
Negro autore di un trattato d’astronomia ricopiato da Boccaccio, studioso della magia, della
negromanzia, della cultura araba e della astrologia. Se per noi l’astronomia, lo zodiaco e in
generale la lettura delle stelle sono fantasie, nel medioevo erano invece bussola per
conoscere il passato, il destino di ognuno e per indagare il mondo visto che ogni cosa
veniva da Dio e la sua presenza era certa nel mondo, e parla con una lingua che andava
decifrata e che comprendeva il movimento degli astri.
Tutto questo affascina molto Boccaccio e in generale ogni nozione, incontro e
conoscenza appresa negli anni napoletani saranno carburante per lui sia come autore che
come persona.
Cino da Pistoia fu passaggio tra generazioni di scrittori, amico di Dante e Petrarca che
conobbe anche Boccaccio grazie al fatto che insegno giurisprudenza nel biennio 30-32 a
Napoli e viene citato anche nell’ incompleto “Vulgari Eloquentia” come massimo esempio di
volgare illustre. Sebbene fosse un grande intellettuale di “poesia non ci si viveva ma dava
gloria” e quindi per campare faceva l’esperto di diritto e il giurista (giurisperito)
A 20 anni, dopo la fine dell'apprendistato commerciale (1327/1333), prende coraggio e dice
al padre che vuole intraprendere la carriera letteraria e si giunge al compromesso che
avrebbe fatto dei seri studi di giurisprudenza. Non può iscriversi direttamente perché gli
manca una base culturale, si presume che tra il 1333 e il 1337 abbia recuperato gli studi
umanistici, volti verso le lettere, specialmente i classici latini, che non aveva potuto svolgere
all’inizio e che erano necessari.

Nell’opera boccacciana c’è una cosiddetta epopea/epica del mercante, teorizzata dallo
studioso Vittore Branca. C’è l’epos di Achille o di Orlando a Roncisvalle, e poi c’è un’epica
più umile, un’epica senza spada, un’epica dell’ingegno che è quella del mercante. Il
Decameron è una sapiente fusione di epica mercantile e di epica cavalleresca. Gli eroi più
vicini alla visione di Boccaccio sono quelli della sua classe, quelli della borghesia
mercantile tra 200 e 300 di cui fa parte anche il padre, che avevano sconfitto il ghibellinismo
imperiale, eroi senza spada.

Un avvenimento segnante è ovviamente la peste del 1348, viene a morire quasi un terzo
della popolazione, in alcuni territori di Firenze anche di più. Fu un evento naturale che però
comportò anche delle conseguenze storiche.

Il rifiuto della carriera mercantile da parte di Boccaccio non è un rifiuto della società
borghese che è al centro del Decameron.

Sappiamo che B. ha iniziato gli studi di Giurisprudenza nel 1337 ce lo dice una carta
d’archivio in modo indiretto. Il padre in quell’anno aveva affittato le rendite di una chiesa
fiorentina per cinque anni, aveva fatto cioè una sorta di prestito per mantenere il figlio negli
studi. Boccaccino, infatti, non è più a Napoli, i Bardi lo hanno dislocato. Al tempo attorno
alle istituzioni ecclesiastiche erano annessi dei beni fondiari che venivano sfruttati, non
necessariamente nei dintorni dell’edificio stesso, era questa la base del dominio temporale
della Chiesa. Poi c’era anche quella rendita che veniva dalle elemosine che non venivano
interamente usate per soccorrere i bisognosi. Poteva succedere che il titolare di una chiesa,
il pievano o l’arcivescovo, per non imbarazzarsi della gestione di questo bene, poteva darlo
in affitto.
Il fatto che l’affitto delle rendite fosse destinato a mantenere Boccaccio non è scritto nero su
bianco ma è ragionevolmente plausibile.
La prima opera di B. è un’opera di poesia in volgare, scelta non ovvia per l’epoca, scritta tra
il 1333 e il 1334 (datazione non sicura). Non si era ancora impratichito del latino per
scrivere in quella lingua. È notevole che fosse un’opera di poesia e che il metro scelto fosse
la terzina incatenata o terzina dantesca. Un altro segno dell’imprinting che Dante ha dato a
Boccaccio.
Si tratta di un poemetto allegorico classicheggiante dal titolo La caccia di Diana. Quando lo
scrive B. è un ventenne.
1. Boccaccio pensa alla poesia ancora prima di tornare agli studi, gli anni
dell’apprendistato non hanno spento il suo slancio alla creazione
letteraria.
2. Ha cominciato a farsi un nome nell’ambiente napoletano, poiché scrive un’opera per
quell’ambiente. Al suo interno ci sono numerose allusioni alla corte. B. immagina che
60 gentildonne napoletane, chiamate tutte con il loro nome e riconoscibili per la loro
casata, tranne una che rimane anonima, siano delle ninfe del seguito di Diana.
Ambientazione classico-pagana. Dante aveva scritto un sirventese (un poemetto
catalogo) sulle 60 più belle donne fiorentine che però è andato perduto. Guarda caso
anche Boccaccio ci parla di 60 gentildonne, il modello dantesco è influente su questa
scelta. Queste ninfe insieme a Diana cacciano degli animali della foresta, che però
non sono tutti animali normali, c’è un toro (domestico), ci sono animali esotici, di
invenzione, presi dai bestiari medievali. Fanno una strage di animali e
ammonticchiano una catasta, Diana ordina loro di bruciarli e darli in sacrificio a
Giove. L’unica gentildonna anonima, che l’autore dice di amare (ci sarebbe dunque
stata una donna napoletana che aveva concesso il suo cuore a B., schema presente
in tutte le altre opere napoletane, che cambia di nome per poi prendere quello fisso
di Fiammetta, gli autori provenzali chiamavano sehnal, falso nome che allude ad una
caratteristica della donna), non importa che fosse una donna nobile o no,
l’importante è l’immagine che lo scrittore ci ha riportato, che l’abbia immaginata, è
l’unico modo che abbiamo di conoscerla. Ci interessa perché questa immaginazione
va di pari passo con quella di essere il figlio di una principessa francese. Quel Nicolò
degli Acciaiuoli viene mandato a gestire gli affari mercantili paterni a Napoli, diventa
l’amante della vedova del fratello di Roberto D’Angiò, di Caterina di Valois. Il critico
Marco Sant’Agata ha pensato che il giovane B., in qualche modo invidioso o
competitivo del suo più fortunato amico, si sia voluto immaginare anche lui
un’amante illustre per non essere da meno. Quello che l’amico aveva raggiunto nella
realtà lui lo ha raggiunto nella fantasia. Non è un’ipotesi correlata dai fatti ma è
un’ipotesi tentatrice.
15 marzo
Queste 60 gentildonne napoletane sono presentate come ninfe cacciatrici di Diana. La
nostra ninfa anonima, quella amata dell’autore, spicca per il fatto che come uccello per la
caccia invece del falcone utilizza un’aquila. Questa scelta indica una superiorità della donna
rispetto alle altre.
Diana impone il sacrificio degli animali in un rogo che però trova contraria nella destinazione
la ninfa anonima, invece che a Giove, vorrebbe sacrificare gli animali a Venere, la dea
dell’amore. Diana gelosa risale in cielo. Scende però Venere, lusingata da questo sacrificio
all’amore, trasforma questi animali in bellissimi giovani, li fa purificare in un fiume, li veste di
un bellissimo manto vermiglio. Colore simbolico, per gli uomini del medioevo è il colore
dell’amore, del sangue, della passione di Cristo, è uno dei colori della vergine,
nell’iconografia mariana fin dal medioevo. È lo stesso colore che troviamo nella Vita Nova di
Dante, nel capitolo in cui Dante ritrova Beatrice dopo 9 anni e fa un sogno. Un sogno di
amore che gli dà da mangiare il cuore e la donna sognata completamente nuda e avvolta da
un manto vermiglio. Anche qui la reminiscenza dantesca è abbastanza chiara.
Al catalogo delle nobildonne si aggiunge quello dei giovani napoletani, alle donne di
aggiungono i loro promessi sposi/amanti.
Il poemetto è in certo modo di genere encomiastico di esaltazione di una casata, di tutto il
lignaggio o di singolo personaggio della casata.
Elementi innovativi:
● è il primo poemetto allegorico classicheggiante della nostra letteratura. Questa
ambientazione classica serve all’esaltazione della contemporaneità. Questa
commistione tra antico e contemporaneo era unica e innovativa per la letteratura
del tempo.
● C’è anche da segnalare la concezione dell’amore civilizzatore, scende Venere e
gli animali uccisi diventano giovani bellissimi. L’amore che non è bruta passione ma
è affinamento dello spirito.
● Così come è boccacciano mettere al centro le figure femminili. Si è parlato di
filoginia, l’opposto della misoginia, una poesia scritta per il pubblico femminile e
che ha al centro la figura della donna. Anche nelle giornate del Decameron la donna
è al centro, sia nelle giornate delle beffe che in quelle degli amori, anche nella
decima giornata.

Sono tutti elementi sparsi, che ancora non sono sublimati in un’opera importante ma che già
vi alludono. Anche la scelta di utilizzare la lingua volgare per un tema classicheggiante è in
Boccaccio un carattere preumanistico.
L’orizzonte della letteratura boccacciana non è un orizzonte religioso-mistico, Dio c’è ma
non si vede, quello che interessa a B. è il mondo al di qua, il mondo delle passioni e
dell’intelligenza, dell’arricchimento spirituale attraverso il rapporto con la donna. Non
possiamo dire che fosse miscredente, era impensabile pubblicamente dichiarare l’ateismo,
ma comunque non possiamo dire che B. vi aderisse, semplicemente non gli interessava.
Mentre per dante il mondo terreno è permeato di quello che sarà il mondo ultraterreno, vi si
riferisce di continuo. Per B. conta solo il mondo terreno e quello che riusciamo a farne,
perché la vita è una sola. La lezione della borghesia mercantile è anche quella, gestire il
tempo che abbiamo al meglio. La Parabola dei talenti nel vangelo è in un certo senso una
parabola mercantile, non si devono sprecare i talenti.
Già questa prima opera boccacciana è un’opera narrativa, è esile ma è comunque un
racconto. B. non è un lirico puro e non lo sarà mai, è un grande narratore, ci parla di eventi
e di valori e li mette in azione. Siamo in una dimensione allegorica ma si racconta qualcosa,
non si inneggia liricamente a valori o pezzi di natura, non c’è un abbandonarsi al sentimento
puro, c’è una ricerca di significato degli eventi che avviene attraverso uno sviluppo d’azione.

La seconda opera di B. è il primo romanzo della nostra letteratura. Boccaccio è un grande


sperimentatore di generi. Alla base c’è un gusto del racconto che si esercita nei modi e nelle
misure più varie.
L’opera è il Filocolo, grande romanzo in prosa. Un romanzone indigesto. Il Filocolo è legato
agli anni di inizio dello studio universitario, difficile marcare con esattezza l’anno, si ritiene
che lo abbia iniziato nel 1336 e che lo abbia terminato due anni dopo. Rispetto agli anni di
formazione culturale del B. dobbiamo dire che c’è stato un progressivo abbandono degli
studi scientifici verso un mondo letterario.

Sarà un caso che nel 1334 muore Andalo Del Negro, la figura più carismatica per il giovane
B. e di quell’anno è almeno la fine della Caccia di Diana.
Nel 1338 arriva a Napoli una figura che fa da collegamento tra B. e Petrarca, un teologo
agostiniano, Dionigi da Borgo San Sepolcro (confessore di Petrarca). Che era anche uno
studioso dei classici, un maestro di retorica, una figura che contò molto per B.
nell’accostamento alla poesia antica e nel lavoro sul verso e sul trattamento letterario della
realtà del dicibile.
Da Andalo a Dionigi sembra quasi un passaggio di testimone.
Boccaccio cresce all’ombra di un padre che è Dante e di un fratello maggiore che è
Petrarca. Riuscirà a conciliare questi due maestri così diversi nell’ammirazione che per essi
aveva provato e non era facile. Petrarca era ostile alla tradizione dantesca, cercava di
rivestire una figura di intellettuale che era diametralmente opposta a quella di Dante. Si
vantò una volta anche di non aver letto la Commedia, anche se nel Canzoniere troviamo
innumerevoli citazioni.
Il Filocolo è un ibrido, c’è un po’ di tutto dentro.
Il titolo vorrebbe significare, con falsa etimologia, “Fatica d’amore”. Denuncia una
conoscenza acerba delle lingue classiche. È il protagonista che va a caccia della sua
amata, è un romanzo di inseguimento, un amore infantile che quando sembra voler
coronare in giovinezza trova ostacoli insormontabili, ma si conclude con il più classico dei
lieti fine.
Non è un’opera originale, i protagonisti Florio e Biancifiore erano già presenti in un romanzo
francese del XII secolo.
È una storia che è dispersa lungo tutto il Mediterraneo, il campo d’azione è molto ampio
(anche nel Decameron sono numerose le storie di mare).
La storia è ambientata nel VI secolo dopo Cristo, i protagonisti all’inizio sono due romani,
Giulia e Quinto Africano, che vanno in pellegrinaggio a Santiago De Compostela, che
all’epoca non era un luogo di pellegrinaggio. Vengono aggrediti da Felice, re di Spagna, e
dalle sue truppe, pagano, moro, ancora forte anacronismo. Quinto muore, sopravvive Giulia
che muore però dando alla luce una figlia, ovvero Biancifiore.
Viene adottata e cresce alla corte di re Felice, compagna di giochi del principe e successore
al regno, Florio. Questi amori infantili diventano qualcos’altro giunti alla soglia dell’età
giovanile, questo non sfugge ai genitori di Florio che non approvano la loro unione.
Dapprima allontanano il figlio da corte, lo fanno viaggiare per farlo dimenticare. Ma Florio
non dimentica, quindi accusano Biancifiore di aver tramato contro la vita dei monarchi.
La condannano a morte. Florio interviene e riesce a provare la sua innocenza.
Felice però la fa vendere come schiava e finisce ad Alessandria D’Egitto. Florio va alla sua
ricerca.
Elemento precursore del Decameron, ma anche autobiografico, interessante che fra le mete
del viaggio tocchi Napoli. Lì incontra un giovane, Kaleon, che con altri giovani partecipa a
una sorta di gioco di società in un quadro di splendida natura, che è il dibattimento
attraverso delle novelle, di tredici questioni d’amore. Regina della compagnia, colei che
detta i tempi e coordina i tempi, si chiama Fiammetta, la donna amata da Kaleon. Per la
prima volta incontriamo questo nome segnale che troveremo ancora nel Decameron, come
una delle 7 donne novellatrici, ma anche come protagonista del romanzo in prosa Elegia di
Madonna Fiammetta. Sotto questo nome si traveste la donna amata da Boccaccio. Allude
alla fiamma d’amore, il rosso fiamma, l’uso del vezzeggiativo molto probabilmente risale
anche questo all’esempio dantesco, molte donne della Vita Nova sono contrassegnate dal
vezzeggiativo (Lisetta...). Anche una donna amata dal Cavalcanti aveva questo
vezzeggiativo. Poi c’era anche la protagonista di un grande romanzo in lingua d’oc,
provenzale, che era Flamenca.
Episodio importante nel viaggio di Florio che nel suo viaggio si imbatte in un'anticipazione
del Decameron. Il racconto, il piacere di stare insieme parlando trionfa. In più c’è questa
ritornate figura di donna.
Questo spunto non è il solo nel Filocolo, l’opera è dedicata da B. nel proemio ad una donna
amata, anche questa alter ego della Fiammetta, che lui chiama Maria e che lui dice
addirittura essere una figlia naturale di Roberto D’Angiò. Re che quando B. scrive è vivente,
attribuzione audace. Questa donna è figlia naturale del re così come lui si raccontava figlio
di una principessa di Francia. È come se l’opera letteraria fosse una superficie di rifrazione
in cui far rimbalzare l’immagine di sé arricchita e nobilitata.

Ci sono altri tratti autobiografici. C’è una figura di giovane, Idalogos, figlio di Neucomos, che
avrebbe avuto un figlio da una principessa di Francia che porta il nome di Gannai,
anagramma di Gianna, dunque una Jean. Si trattava di spiegare perché lui si chiamasse
Giovanni. L’uso dell’anagramma lo troviamo anche in Dante, è un gusto molto diffuso nel
medioevo. Anagrammi, acrostici e palindromi. Utilizzo cabalistico simbolico delle ricorrenze
numeriche. La Commedia è ricamata su una ricorrenza ossessiva che allude alla Trinità
(terzina dantesca, tre cantiche da 33 canti; tre unitario moltiplicato all’infinito). Grande
attenzione alla simbologia del numero e alla scomposizione e ricomposizione
simbolica delle parole.
Neucomos si sposa una Garemirta Margherita, allusione alla matrigna.
Anche nei racconti più fantasiosi sembra non dimenticare mai se stesso e volersi inserire
nella narrazione, nel mondo cinematografico sarebbe un cammeo. Boccaccio ha questo
gusto che è davvero moderno.
Nella Commedia dantesca ci sono molte allusioni al soggetto poetante ma sono tutte
esplicite. Nel Filocolo Boccaccio si nasconde nella propria opera, si ritaglia un angolino.
Vezzo molto diffuso invece nella storia dell’arte. Elemento precursore della modernità.

Florio arriva finalmente ad Alessandria D’Egitto dove Biancifiore è chiusa in una torre,
classica trama medievale. Lui la raggiunge, vengono scoperti dal re d’Egitto, che scopre
che Florio è suo nipote. Questo tema del riconoscimento salvifico, riconoscimento
provvidenziale di parentela a qualsiasi grado, generalmente consanguinei, che fa sì che le
cose finiscano bene, era proprio del teatro antico e della commedia greca, prende il nome
di agnizione. L’agnizione avviene solitamente attraverso il porto di un oggetto, un anello di
solito o più raramente un braccialetto, che rende riconoscibile il parente perduto; oppure
attraverso una particolarità fisica, una voglia, un’imperfezione della pelle situata in parti
nascoste del corpo.
16 marzo
Florio si scopre essere il nipote del re d'Egitto.
I due possono convolare a nozze, ma tornano indietro scegliendo lo stesso cammino che
aveva fatto Florio all'andata. Ritrova Kaleon che gli confida che Fiammetta lo ha
abbandonato.
Da Napoli a Certaldo fino a Roma, dove si sposano, convertendosi al cristianesimo.
È presente il tema dello sposalizio con conversione alla religione cattolica. Serviva a
sottolineare la potenza unificatrice della religione. Lo stesso amore si rende degno soltanto
se le due parti sono congiunte dalla fede cristiana.
-Nella Gerusalemme liberata (CLORINDA CHE SI CONVERTE IN PUNTO DI MORTE)
-Orlando furioso
Tornati in Spagna, il re Felice era morto, per cui possono entrambi salire al trono.
Errores: erranza
Questo genere di Boccaccio viene chiamato "romanzo Alessandrino", cioè un binomio di
avventure e amori, che sta alla base del romanzo cortese medievale. (AMANTI SEPARATI,
DIVISI, IN PENA L'UNO PER L'ALTRO).
Questa tradizione è arrivata a Boccaccio attraverso l'emulazione di genere nella letteratura
bizantina, che ha lasciato un testo nella tradizione orale (folclore) che faceva parte della
società.
Sappiamo ben poco della cultura orale, come della tradizione giullaresca (recitazione nelle
piazze) o di narrazioni epiche e romanzesche che venivano tramandate attraverso i
cantastorie.
In un periodo medievale di analfabetismo di massa, dove la cultura era essenzialmente
orale, non si può immaginare come abbia avuto inizio la comparsa di alcuni fattori come
fabule, romanzi, ecc.
Boccaccio ha voluto innalzare lo standard attraverso la sua opera per dare dignità letteraria
ad un genere che veniva considerato basso. Dà più valore a questo genere, discostandosi
ai "fabulosi parlari degli ignoranti", cioè racconti divertenti ma rozzi, volgari.
COME LO FA?
Attraverso una prosa ornata, classicheggiata, in cui predominano l'ipotassi, i periodi lunghi,
la costruzione del discorso in stile sintatticamente eloquente (PARTE DEL DECAMERON).
I romanzi venivano conservati nella biblioteca Angioina.
La chiesa era molto importante:
- Dante (VITA NUOVA: incontro con Beatrice in chiesa dopo molto tempo; CAPITOLO
incentrato sulla chiesa attraverso qualcosa che permette di dissimulare il suo incontro con
Beatrice)
-Boccaccio (figlia di re Roberto fusione con la chiesa=sacro e profano).
-Petrarca (Rerum vulgari fragmenta) ci dice aver visto per la prima volta Laura e di
essersene innamorato in chiesa di avignone il venerdì santo (giorno della passione).
Petrarca e Boccaccio incontrano i loro amori entrambi in un giorno legato ad avvenimenti
pasquali.
La parte in prosa della letteratura era la spiegazione che la poesia conteneva e sviluppava.
MARIA come BEATRICE: un altro grande rimando nel Filocolo a Dante.
Parliamo ora dei due poemi in ottave che chiudono il periodo creativo napoletano di B. Il
primo dei quali e il Teseida e il seconda il Filostrato… Boccaccio è ritenuto l’inventore di
questa forma metrica. Sono 8 versi endecasillabo verso il principe della nostra generazione,
un verso dove l’accento tonica cade sulla penultima sillaba. La maggior parte delle parole
sono piane e siccome l’ultimo accento tonico cade sulla 10 sillaba. La Struttura dell’ottava è
ABABABCC gli ultimi due versi fanno da sigillo dell’onda ritmica adatta alla narrazione, i
versi si succedono snelli con un ritmo vario e fluente fino alla chiusura. Sono strofe lunghe e
hanno un andamento alternato con la chiusura che permette di respirare a chi reciti prima di
passare alla parte seguente. La poesia antica era concepita per la lettura, soprattutto con
l’ottava. B. è il primo compositore in ottave, ma possiamo anche valutare la sua invenzione.
Questo schema è uno schema che si impara facilmente a memoria. Questo verso facile
deve essere stato adatto per il teatro, giusta per essere recitata, che volesse un pubblico. I
poemi romanzeschi di area Francese trasposti in italia e nel nostro volgare erano recitati in
piazza da dei giullari, ma nel caso dei poemi cavallereschi si parla di CANTERINI,
recitavano in ottavi e si chiamavano CANTARI…stanno alla base dell’epos….dai Cantari si
arriva i Boiardi e dai Boiardi all’Ariosto.
Nel medioevo siamo in epoca di cultura orale e i libri bisogna poterli leggi, il 95
% della popolazione europea era analfabeta e uno dei canali di acculturazione era la
recitazione. Poi c’è il linguaggio delle immagini, infatti le chiese a quel tempo era piena di
affreschi, quindi vi erano immagini parlanti ed era la Bibbia del popolo e la parole del prete
trovava riscontro nell’immagine che l’analfabeta poteva ammirare e questo per dire che
essere alfabeta non significa essere ignorante ma usufruire di altri mezzi di acculturazione.
Le fonti per molte novelle di B. molte di esse sono racconti uditi, magari dai mercanti (Nel
periodo da apprendista) e ne era affascinato perché essi viaggiavano in terre conosciute e
questi racconti li ha riportati nel Decameron.
Consideriamo B. come inventore dell’ottava, narratore più che lirico puro, interessato al
racconto rispetto all’espressione lirica delle emozioni. Oltre alla narrazione ha la passione di
trasportare le espressioni e le emozioni dell’orale e di portarle nello scritto. B. avrebbe
voluto trascendere attraverso la sfera letterario.
Il Teseida è in ottave ed è importante perché costituisce una prima volta e Boccaccio ne è
fiero. E’ il primo poema epico in volgare, anche se anche la commedia era un poema in
volgare, come anche De vulgari Eloquentia. Dante proprio in esso afferma che vi sono 3
generi di poesia :
1. amore
2. dei costumi
3. della guerra
Per questo afferma che nella letteratura vanno a mancare esempi di poesia della guerra e
così Boccaccio fu il primo a trattarlo.
TRIA MAGNALIA→ Vengono chiamati così i tre generi eleganti da Dante che sta a
significare “tre oggetti grandiosi di canti”
Boccaccio vantandosi di essere il primo a scrivere un poema in volgare, sembra avere
l’intento di denunciare la lacuna che avvertiva Dante in De Vulgari Eloquentia. Il poema ha
12 canti in ottave simile all’ Eneide. Boccaccio tiene fede al suo programma e al suo vanto
iniziale. La storia trae spunto per la parte della guerra dall'ultima parte del poema latino LA
TEBAIDE di Stazio. L’inizio della Teseida prende spunto dal finale del tebaide, ma poi
prende tutta un’altra strada inventata dal Boccaccio.
Il teseida è un poema epico della nostra tradizione, Boccaccio dimostra di aver letto il De
Vulgari Eloquentia e dimostra che come modello prende Dante. E’ stata scritta
probabilmente in periodo napoletano ma finita nel periodo in cui torna a Firenze (1338-
1340). E’ un poema che si intreccia con il Filostrato a livello temporale
Il titolo Teseida è modellato sull’antico: Teseida come Eneide, la finale in A dovrebbe
essere grecizzato, è un po’ un vezzo da parte del Boccaccio quella di voler dare un velo di
grecizzante quando le sue conoscenze sono ancora nulla. L’opera prende le mosse dal
finale della Tebaide. Teseo va in guerra contro le amazzoni e le costringe alla resa,
sposando poi la loro regina. L’etimologia di amazzoni perché prive di una mammella
affinché l’imbracciamento dell’arco sarebbe stato più agevole. Questo ha anche un valore
sessuale, una rinuncia all’identità femminile in funzione del potere. Questo poco importa al
Boccaccio. Teseo ritorna in Grecia con la regina e con sua sorella Emilia e muove guerra
contro Creonte vincendo. Tra i prigionieri c’erano due giovani (due amici: Eurialo e Niso)
che si pensava fossero morti ma così non fu. Da dietro le porte della prigione vedono una
giovane in un giardino: Emilia; se ne innamorano. Il nome dei due giovani erano Arcita e
Palemone.
Teseo fa libera Arcita minacciandolo di non tornare più ad Atene. Arcita però si
ripresenta sotto altre vesti irriconoscibili e si mette al servizio di Teseo. Palemone capisce
l’intento di Arcita e decise di evadere per aggredire Arcita. Teseo saputa la verità li perdona
ma impone loro di battersi: Arcita morendo chiede a Palemone di sposarsi con Emilia. Fra le
tante opere che Boccaccio ha copiato, c’è anche la Tebaide.
Non manca il riferimento autobiografico nell’opera ed è presente nella dedica all’inizio per la
donna amata. Una donna detta “lontana”. Ma perché lontana? Questo mito amoroso di
questa sconosciuta napoletana (Fiammetta) sembra un po’ stemperarsi. C’è chi ha
ipotizzato che quell’accennare alla natura di figlia illegittima del Re, possa non essere molto
piaciuto a corte. Da adesso Boccaccio ci andrà un po’ più cauto. L’altro poema, epico nelle
intenzioni ma che poi si identifica maggiormente come amoroso, è il Filostrato. Il titolo
vezzosamente vorrebbe richiamarsi all’etimologia classica (Il vinto da amore). Il suo studio
di diritto, sarà interrotto dal suo brusco rientro a Firenze. La materia è omerica.
Boccaccio non aveva letto il poema omerico (non aveva la conoscenza del greco), le
conosce attraverso una sommaria traduzione e una rielaborazione (Roman de troie) opera di
un monaco del XII sec. da cui lui trae un episodio che è quello dell’amore tragico tra Troilo e
Clessidra in Boccaccio sono Troiolo e Criselide.

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