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LA

CONDIVISIONE
DEL WEB
Aspetti comunicativi, sociali
e giuridici
Giuseppina Brandonisio

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Sommario
Web 2_0: la condivisione della conoscenza ................................. 5
L'accessibilità di rete e le fonti testuali ...................................... 11
User Generated Content ............................................................ 19
Prassi comunicative del web e copyright ................................... 23
I Creative Commons .................................................................. 32
Estetica del "sampler" ................................................................ 39

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ................................................ 42

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Web 2_0: la condivisione della conoscenza

Dal "mondo analogico" a quello "digitale", la storia della


diffusione delle idee e della conoscenza è da sempre legata
a delle forme di mediazione che vanno dalla trasmissione
orale, alla scrittura e alla sua evoluzione tecnologica
(quest’ultima rappresentata dall’invenzione della stampa
che ha dato l’impulso decisivo alla nascita dell’editoria
moderna), fino a Internet, che ha rivoluzionato in maniera

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epocale non solo le modalità di produzione e di accesso al


sapere ma anche l’uso e la comunicazione che ruota attorno
ad esso.
La validazione del sapere - in rapporto al prestigio
dell’autore, al suo contributo culturalmente innovativo per
la conoscenza - nei secoli, è rimasta invece legata ai
meccanismi economici e alle politiche di produzione (dei
libri, principalmente) che hanno caratterizzato le diverse
epoche: dal mecenatismo - che favorì la diffusione del
sapere tecnico, scientifico e artistico soprattutto in era pre-
gutemberghiana - alla nascita e allo sviluppo dell’industria
editoriale, il riconoscimento dell’autorialit{ è stato
l’elemento cardine intorno al quale ha ruotato tanto il
principio dell’autorevolezza (e del valore economico legato
alla paternit{ dell’opera) quanto il lavoro di ricerca e di
attribuzione da parte dei filologi che ci restituiscono il
nostro passato attraverso un attento studio dei testi
chirografici.
Invece il web è l’autentico luogo di scambio, della
pluriappartenenza e della nuova stratificazione e
definizione del “letterario” in cui circolano non solo
informazioni codificate, ma anche nuove rappresentazioni
di una più ampia e complessiva riconfigurazione culturale e
testuale la quale possiede direttamente molti strumenti

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che permettono la realizzazione e l’incremento della


conoscenza in termini di espansione, accessibilità,
reperibilit{ e interattivit{. L’intervento sul testo,
potenzialmente collettivo e non limitato alla
passività dell’interpretazione, alla trascrizione, o al
“contratto di lettura” di echiana memoria, ne trasforma
anche la fisionomia, rendendolo allora un oggetto molto
più condivisibile che in passato: non più statico (come è
invece nella fissazione a stampa) e, soprattutto,
manipolabile e ampliabile secondo l’uso e le esigenze
espressive, interpretative e conoscitive di ogni
fruitore/utilizzatore. Ciò è possibile almeno finché la
disponibilità sulla Rete di software, applicazioni, dispositivi,
competenze tecniche e regolamentazioni giuridiche (sul
diritto di copyright) lo consentano, e tra l'altro, in un
ambiente (quello del Web, appunto) in cui l'autorevolezza
autoriale (ma spesso anche l'attendibilità
dell'informazione), cede il passo a una forma più o meno
ampia di "democratizzazione" dei contenuti. Tutto ciò non
può che ridefinire anche il concetto di “autore" che diviene,
in un certo qual modo, collettivo.

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Parallelamente, in una tale configurazione, è proprio la


Rete che progressivamente va sempre più assumendo le
caratteristiche ideali per la ricerca
scientifica, grazie soprattutto al peer review, all’enorme
capacit{ d’archivio dei database, alle diverse possibilit{ di
interrogare i testi attraverso i software più adatti allo scopo
e ai costi di utilizzo che ci si sforza di rendere sempre più
modesti. In tutto questo, il web 2.0 è l'assoluto
protagonista, sia per quanto riguarda la sua funzione di
"serbatoio" di contenuti, sia per quanto concerne la
manipolabilità (grazie ai linguaggi di marcatura, ormai
standardizzati e universalmente usati, come l'XML e
l'HTML); che diventa perciò possibile. La trasmissione e la
diffusione di testi attraverso la Rete (qui intesa
nell'accezione di canale di comunicazione) è alla base
dell'interoperabilità del web 2.0. Lo stesso discorso vale per
altri tipi di produzione
testuale (non
strettamente scientifici),
come per esempio i libri
(di saggistica, narrativa),
spesso reperibili proprio
attraverso la Rete, quando
per esempio, nell'editoria

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"fisica", sono già stati resi indisponibili, perché messi fuori


catalogo: sul web diventano in molti casi accessibili (salvo
alcuni limiti di cui si dirà più avanti), consultabili e
scaricabili attraverso download gratuiti (dai portali, siti
web, blog, ecc), o a pagamento. E ciò perché nel web
prevale la logica della circolazione dei contenuti rispetto a
quella dei formati ai quali i testi, nell'editoria tradizionale,
sono ancorati.
Ma nell'ambiente-web non tutto è sempre positivo per i
contenuti che vi circolano, perché la minaccia della
pirateria e della censura - i due nemici storici della libera
circolazione dei testi - già da tempo, vi si è trasferita
assumendo nuove forme e alimentando spesso lotte di
principio, anche
esasperate, che
oppongono i
difensori dei
meccanismi
tradizionali della
produzione
a editoriale
che coloro
vedono
nell’ambiente digitale la possibilit{ di liberarsi da molti

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vincoli, legati soprattutto all’accessibilit{ e ai costi dei


supporti materiali, e quindi un fattore di libertà e di
convenienza.
La possibilità di diffusione in rete dei contenuti testuali
oggi ha messo in evidenza il problema collegandolo proprio
alla gestione economica, alla circolazione e alle modalità di
accesso dei contenuti, alla qualità e ai meccanismi di
attribuzione di ogni forma di testo pubblicabile.
Oltre il dibattito ideologico, le possibilità concrete di
utilizzo, memorizzazione, organizzazione e salvaguardia in
rete sono state affidate a diverse forme di gestione delle
licenze e del copyright che riguardano sia i contenuti
testuali digitali, sia le applicazioni necessarie per crearli,
fruirli e reperirli. Queste forme di regolamentazione, com’è
noto da tempo ai navigatori abituali, da un punto di vista
economico si possono suddividere in due macrocategorie
corrispondenti a:
- contenuti e applicazioni ad uso gratuito (" free" e "open
source")
- files sottoposti a regime di copyright e gestiti dai software
proprietari

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L'accessibilità di rete e le fonti testuali

I testi sono il cuore del web: dai semplici "stati" trasmessi


su Facebook, all'instant messagging di twitter, a quelli più
complessi ed elaborati di blog, siti e portali.
Internet è lo strumento che, permettendone la diffusione,
mette in moto i meccanismi di comunicazione e di scambio
delle informazioni. L'upload di testi (semplici o
multimediali che siano), è possibile grazie ai Content
Management System (CMS) e alle interfacce "user friendly",
utilizzate anche dalle piattaforme che permettono la
comunicazione dei social network. Ma i limiti di gestione (e
quindi anche all'accessibilità ai contenuti) non sono rari, e
sono quasi sempre legati al problema di software chiusi

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o proprietari: ci si riferisce soprattutto ai casi di pagine web


elaborate e complesse. Se è vero che non tutto ciò che
circola nel web possa essere "libero" (senza rispettare i
diritti d'autore) e "valido" (come in quei casi estremi in cui,
attraverso lo strumento di comunicazione di cui si dispone,
si commettano crimini e abusi che ledono gli altrui diritti e
libertà fondamentali), è vero anche, che su un piano
puramente tecnico, i limiti all'accessibilità, alla
trasportabilità e alla manipolazione dei contenuti
dipendono dalle differenze dei formati che rendono spesso
impossibile leggere i documenti, magari utilizzando
gli RSS.
Quindi si può affermare che le forme di accessibilità ai
contenuti dipendono dalle caratteristiche e dal formato dei
file, dalla compatibilità fra hardware e software e dal tipo di
licenza di gestione del copyright da cui sono coperti. I
formati più diffusi che permettono la creazione e
l’utilizzazione di testi in edizione elettronica possono
essere schematicamente elencati in quattro tipi:
1) Immagine digitale del documento: utilizzato
soprattutto per documenti originali da conservare "integri"
:sono i preferiti dagli archivi museali perché permettono la
digitalizzazione dei manoscritti antichi, ma si usano
moltissimo anche per la diffusione in Rete di libri e

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opuscoli moderni. Questo formato non si può manipolare e


rielaborare. Si tratta infatti di una foto del documento ed è
utile per la semplice lettura e per salvaguardare i testi fisici
dal deterioramento del tempo e dal continuo utilizzo. In
linea di principio, con questa tecnica, i testi sono archiviati
e resi disponibili per la consultazione, ma in molti casi - per
tornare al nostro esempio iniziale delle biblioteche digitali -
soprattutto in Italia, non è possibile accedervi attraverso
internet (magari, da casa), nemmeno con permessi speciali
riservati a particolari categorie di utenti (studiosi,
ricercatori, ecc), perché questi documenti sono situati in
spazi digitali chiusi (lan e extranet) e gestiti da software
proprietari che comportano notevoli spese per i gestori: il
fattore economico quindi è uno dei motivi che, secondo gli
addetti ai lavori di enti culturali, ne impedisce
l'implementazione. Tuttavia, anche le pubblicazioni dei
contemporanei (delle comunità scientifiche e non), con
questi sistemi di gestione, sono diffuse in rete totalmente
(in es Googlebook, Scribd. com, ecc) o parzialmente (in
pre-review, o in anteprima di lettura), e sono scaricabili
(disponibilità del mercato permettendo) sia gratuitamente
che attraverso alcune forme di pagamento.
2)File in .Pdf: è un formato molto comune e perciò adatto
alla distribuzione del documento elettronico. Consente

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anch’esso di conservare l’aspetto originale del documento


indipendentemente dal file di lettura utilizzato. Il Pdf
consente una parziale manipolazione del testo.
3) HTML (HyperText Markup Language), tradotto
letteralmente vuol dire “linguaggio per la codifica degli
ipertesti attraverso marcatori”, utilizzato per realizzare i
documenti ipertestuali del World Wide Web, è composto
da marcatori che forniscono le istruzioni su come
visualizzare la pagina al browser che serve appunto per la
lettura. Il formato, non sofisticato, è adatto alla rete perché
è standardizzato. Permette i collegamenti ipertestuali
(attraverso dei tags) e quindi la manipolazione e la ricerca
all’interno del testo.
4) SGML/XML ( eXtensible Markup Language): creato dal
comitato W3C (World Wide Web Consortium) guidato
da Tim Berners Lee (l'inventore dell'HTML ), è uno
standard di descrizione dei documenti. Permette di creare
dei “sotto-linguaggi” (come l’HTML). Ogni documento
XML è anche un documento SGML, dal quale deriva.
Consente la creazione di archivi testuali ma è necessario
utilizzare un software aggiuntivo per la ricerca dei dati.
Nell'area della multimedialit{, dell’elaborazione e dell’
analisi del contenuto informatica, le biblioteche digitali
dovrebbero invece costituire quello che gli studiosi (si

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citaFabio Ciotti) definiscono come “sistema di biblioteca


digitale”: un sistema strutturale e organizzativo costituito
da cinque principali sottoinsiemi, corrispondenti a cinque
diversi servizi integrati e soprattutto utilizzabili
contemporaneamente:
1) sistema di archiviazione dei documenti ;2) sistema di
attribuzione gestione e ricerca dei metadati; 3) sistema di
distribuzione remota dei documenti; 4) sistema di
consultazione on-line dei documenti; 5) sistemi di ricerca
avanzati su contenuto dei documenti
Tali servizi-sistemi faticano ad essere pienamente efficienti
e disponibili ovunque e, nonostante le numerose e felici
eccezioni presenti sul territorio nazionale, in molti casi,
sono ancora pura teoria, a causa, non solo dei problemi a
cui si accennava sopra, ma anche per le carenze strutturali
legate alla scarsa diffusione dei servizi di connessione (la
banda larga) e del problema, molto più generale, che
riguarda gli utilizzi del wi-fi. Alla luce di ciò, spesso si
innescano dei meccanismi perversi che portano all’accesso
esclusivo (riservato solo al personale impiegato in una
determinata area, per esempio istituzionale o dell’archivio
della biblioteca, o reso possibile soltanto a particolari
categorie di utenti muniti di permessi, ecc. ), ossia: a
rendere questi testi praticamente invisibili sul web.

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A dominare l'editoria digitale è un pregiudizio o forse una


paura che proviene dal "mondo analogico" : autori ed
editori tradizionalisti vedono nel web una minaccia perché
lo considerano uno strumento che rende possibile il "furto"
della proprietà intellettuale. Questo è un problema che non
riguarda solo il nostro Paese: basta dare uno sguardo ai
continui contenziosi che nascono fra Youtube e proprietari
del copyright su parte del materiale che viene caricato sul
sito dagli utenti, oppure alla "guerra" tra motori di ricerca o
portali (Google, Yahoo) per la visibilità di contenuti altrui,
spesso prelevati automaticamente da giornali on line che ne
vietano la riproduzione.
Certamente, tutto ciò a poco ha che vedere con la logica di
condivisione del web 2.0 fra gli utenti comuni e fra chi
vuole solo accedere a fonti di conoscenza, senza volerle
sfruttare economicamente per un proprio tornaconto
personale. Per questi motivi, a vantaggio della condivisione
di pagine web, sono stati applicati l' open source e licenze
gratuite di utilizzo, come le Creative Commons.
Internet di fatto potrebbe garantire la totale accessibilità
alle fonti disponibili, ma poiché rimette in discussione il
meccanismo tradizionale di produzione e di proprietà, va a
scontrarsi con quelle barriere di natura economico-
giuridica e soprattutto culturale che vedono nella libera

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circolazione delle idee un limite per quel ritorno


economico garantito dallo sfruttamento commerciale di
ogni copia venduta. Inoltre, va detto, i testi pubblicati
direttamente sul web, in Italia, perdono lo statuto
scientifico e non hanno quindi la stessa dignità di quelli
cartacei, a meno che non siano legittimati attraverso una
casa editrice.
Tutto ciò, trasferito nella globalità del web crea una sorta di
contraddizione tra la necessità di produrre, promuovere e
diffondere la conoscenza liberamente e i mezzi e le
possibilità gestionali che si hanno a disposizione.

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User Generated Content

UGC (User Generated Content) è la sigla inglese con la


quale si identificano i contenuti della Rete, generati
direttamente dagli utenti comuni, distinguendoli da quelli

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di aziende, siti professionali o organi di informazione


giornalistica on line. Lo UGC nasce praticamente col web
2'0 e la sua interattività, ma il 2005 può essere considerato
come l'anno in cui questa pratica viene per così dire,
consolidata e soprattutto "ufficializzata", grazie alla BBC
che, intuendo il potenziale informativo dei contenuti
amatoriali, istituisce uno staff di giornalisti col compito di
selezionare il materiale inviato alla redazione dai lettori e
da destinare alla pubblicazione nella sezione delle news
interattive. Oltre la definizione, lo Users Generated
Content ha rappresentato una svolta importante per le
pratiche comunicative del web 2.0, dato che la diffusione di
massa di hardware e software di facile utilizzo e dal basso
costo ha portato ad una vera e propria "democratizzazione"
dell'accesso, della fruizione e della manipolazione dei
contenuti di Rete attraverso prassi di condivisione libera e
gratuita (basate, per esempio, soprattutto sull'open source),
nonché alla nascita dei cosiddetti social media. Il cuore
dello UGC sono i social networks, le communities, i "Virtual
life", piattaforme che permettono la condivisione di foto
(flickr), video (Youtube, Google, e altri),o di pensieri,
opinioni e contenuti conoscitivi (dai blog ai "Knowledge") Il
web 2.0 è dunque l'ambiente in cui si sono sviluppati siti,
portali e applicazioni che permettono agli utenti della rete
di avere il controllo sulla gestione dei contenuti,
garantendo al contempo, il diritto agli scambi comunicativi,

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alla circolazione della conoscenza e alla libera espressione.


I contenuti generati dagli utenti prevedono uno sforzo
creativo che varia in base al grado di originalità del
materiale immesso nel web: foto, video, blog, podcast, siti e
pagine wiki rientrano sotto la definizione di UGC, mentre
contenuti preesistenti, non "nuovi", nè manipolati o
semplicemente "copia-incollati" o trasposti da una pagina
all'altra del web, non rientrano in questa categoria. Un'altra
fondamentale caratteristica che distingue i contenuti
amatoriali da quelli professionali è la gratuità: la creazione
di UGC infatti, avviene di solito lontano dalle routine
produttive professionali e non ha una valenza economica o
commerciale. Anche l'accesso a questi contenuti è
solitamente libero o comunque gestito e controllato dagli
utenti stessi: un esempio eclatante di ciò è rappresentato
dal blog personale in cui il titolare dello spazio (blogmaster,
con le stesse funzione dell'"Administrator"), attraverso varie
opzioni che ha a sua disposizione, può destinare il suo blog
alla lettura pubblica o privata (in questo caso, selezionando
i propri utenti).

Gli UGC, per semplificare,si possono suddividere in 2


macrocategorie: nella prima possiamo inserire quelli
destinati all'intrattenimento, nella seconda, possiamo
includere quelli destinati alla diffusione di informazione.

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Prassi comunicative del web e copyright

Condivisione sì ma... occhio alla legge!


La natura del web ha messo in luce i limiti che il “diritto
d’autore” (di pubblicazione, riproduzione,diffusione e
riconoscimento della “paternit{” dell’opera creata) e di
“copyright” (inteso come il diritto allo sfruttamento
commerciale, legato alla vendita di ogni singola copia di un
prodotto intellettuale riprodotto suun qualsiasi supporto)
incontrano a causa delle differenze tra gli ordinamenti
giuridici interni ai singoli Stati del mondo. La questione dei
diritti di proprietà intellettuale è uno dei piccoli, grandi
problemi quotidiani che sembra in molti casi ostacolare,
suo malgrado, lo scambio di informazioni in Internet. Il
web, per sua natura, non ha confini, né questi potrebbero
essere concepiti come quelli giuridici (che sono invece geo-
politici): e le contraddizioni tra la possibilità di utilizzo
della Rete il rispetto delle norme sono oggi tantissime, se
non altro per il ritardo e la complessità della materia da
regolamentare. Certamente il percorso della

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globalizzazione e l'esperienza del mondo reale, ogni giorno,


ci mostrano che esiste la volontà di gestire questi confini,
nel bene e nel male, e modellare così le odierne possibilità
delle comunicazioni di massa: il "villaggio globale" di
McLuhan, insomma, abbandonate le sue formulazioni
utopistiche e avveniristiche, si è calato nella realtà
quotidiana delle comunicazioni digitali - a corta e a lunga
distanza - è perciò ha bisogno tanto di crescere quanto di
migliorare ancora. Il tema è certamente vasto, anche in
termini dimensionali, visto che riguarda l'interazione delle
persone di tutto il mondo (o almeno di quelle che sono
state già raggiunte dalle nuove tecnologie) e non si può
affrontare in questa sede, dato che esso riguarda una serie
di problematiche attualmente dibattute dagli esperti di
tutte le discipline scientifiche che ne sono coinvolte
(politica, economia, sociologia, diritto, psicologia,
antropologia, etc). Ma, almeno nel nostro "piccolo", di
italiani, possiamo far riferimento ad una serie di parametri
giuridici nazionali e anche a quelli che ci connettono già da
tempo ad un "villaggio" che va oltre i confini del nostro
Paese: l’UE, oltre alle norme specifiche che regolarizzano le
comunicazioni elettroniche, con la
direttiva“sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto
d'autore e dei diritti connessi nella societàdell'informazione”

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(2001/29/CE), ribadisce che la proprietà intellettuale va


salvaguardata e sostenuta, sia sul piano economico che
materiale e morale e ricorda che essa è alla base dello
sviluppo sociale, culturale, economico,scientifico.
Ma la possibilità di diffondere in rete i contenuti testuali
e/o multimediali (su piattaforme come Youtube, google,
blog e altri spazi della Rete) fa emergere il problema,
collegandolo alla gestione legale del mercato di nuovi
prodotti e servizi, ai meccanismi di attribuzione e di
condivisione di ogni forma di prodotto intellettuale e alle
difficoltà relative al bilanciamento dei diritti di tutti i
soggetti coinvolti.
Comunque - va precisato - sul piano economico, l'upload
dei video su youtube, il file sharing di mp3 e il peer to peer
non impediscono ai proprietari dei diritti d'autore su queste
opere di venderle comunque: infatti non è stata ancora
ufficialmente dimostrata una relazione diretta tra lo
scambio del file di un' opera e la sua mancata vendita nel
mercato tradizionale. Piuttosto si crede che chi ricorra a
procurarsi materiale "pirata", sia un utente che non abbia
l'intenzione o la possibilità economica di comprare quella
stessa opera incorporata nel suo supporto. Attualmente,
molte norme sono già applicate per dipanare la spinosa
questione, e molte altre si stanno creando a posta per

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colmare i vuoti legislativi del presente. Ma la paura di


autori e editori, che la diffusione libera e gratuita possa
generare perdite economiche o peggio, che altri soggetti,
intendano ricavare dei vantaggi economici su oggetti
intellettuali che non gli appartengono (e che la legge sul
copyright comunque persegue), porta spesso a delle
rimozioni di quei contenuti creativi assemblati con alcune
parti di opere coperte dal diritto d'autore e che, a vario
titolo, rappresentano una fonte di espressione e
d'informazione, un arricchimento delle conoscenze
personali e di gruppo che, in tal modo, vengono di fatto
impediti - essendo nati da comportamenti
involontariamente criminosi - lasciando spesso gli
internauti comuni a dibattersi tra gli estremi del
libertinaggio e della censura.
Infatti, nella concezione più tradizionale del diritto di
copyright, basato sul concetto di “propriet{”, Internet
appare come un nuovo canale distributivo e
contemporaneamente come un potenziale rischio
economico derivabile dal trasferimento in digitale di
contenuti che, in alternativa si prevede di diffondere,
vendere, e garantire, in quanto opere intellettuali
incorporate in oggetti fisici. La tutela giuridica autoriale,
nata nel Settecento in Francia e in seguito trasformata in

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"tutela dell'impresa culturale", fino a tutto il Novecento, è


stata di carattere materiale: finché l'opera è incorporata in
un oggetto fisico, il diritto esclusivo dell'autore (di
pubblicare, distribuire, farsi remunerare per il proprio
lavoro) si applica al supporto materiale che la contiene:
cioè alla singola copia di un prodotto. La limitatezza fisica
dell'oggetto (un libro, un CD, etc.) può quindi
determinarne la proprietà. E l'acquisto della copia,
"esaurisce" i diritti dell'autore: ciò vuol dire che una
persona, una volta che ha acquistato il supporto
tecnologico contenente quel prodotto, può disporne per sé
in base all'acquisto del proprio "diritto di godimento". Ma
la digitalizzazione e la smaterializzazione dei formati,
hanno rimesso in discussione tale principio e rendono
difficile risolvere il problema di scegliere se far prevalere il
diritto esclusivo dell'autore - di diffondere la propria opera
- oppure quello degli altri soggetti - di far circolare una
parte di questi contenuti, anche quelli gia acquistati - nella
Rete, e lasciare quindi che l'autore si giovi, oltre che della
visibilità che la sua opera riceve attraverso il web, anche dei
vantaggi economici riservati lui e provenienti, però, solo dal
mercato del "mondo materiale". Un pensiero tradizionale,
ma ancora dominante, è quello che sostiene che se
qualcosa circola liberamente e gratuitamente in Internet,

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poi, alla fine, non venda. A ciò va aggiunta una


considerazione sugli utenti consapevoli delle potenzialità
del mezzo, che spesso vorrebbero acquistare legalmente in
formato digitale quel materiale coperto da copyright (per
esempio gli e-book) ma che non riescono a reperirlo perché
l' incompatibilità tecnologica e giuridica in molti casi
purtroppo ancora non lo consente.In tal modo, le abitudini
comuni del web contraddicono “gli usi consentiti dell’opera
dell’ingegno”.
Oggi, molti esperti di new media sostengono che la
pirateria è un male che non passerà ma che cesserà di
essere una preoccupazione per gli autori se la fruizione di
contenuti protetti in "modalità pirata" diventerà
economicamente più dispendiosa dell'acquisto regolare:
attualmente, è molto più semplice ed economico procurarsi
software che riescono a sabotare i DRM che far rispettare i
diritti di proprietà attraverso i dispositivi di protezione,
come i software che controllano la tracciabilità del prodotto
sulla Rete o che ne impediscono la duplicazione attraverso
la crittografia .
Ebbene, per gli addetti ai lavori che hanno una visione
meno preoccupata ma più "integrata" della situazione,
come Gino Roncaglia, non si dovrebbe trattare la Rete
come un territorio al quale imporre dei dazi, ma utilizzarla

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per favorire lo sviluppo di un mercato del digitale che


faciliti i comportamenti virtuosi, rendendo i contenuti più
disponibili (in termini di presenza e di lettura attraverso le
applicazioni soprattutto) di quanto lo siano oggi: più adatti
- e magari differenziati e arricchiti grazie ai formati
multimediali - rispetto a quelli venduti su carta o su
dispositivi di memoria fisica; più convenienti - sulla base
del fatto che, risparmiando alcuni passaggi intermedi nella
distribuzione, sulle spese di magazzino e sul materiale - a
questi prodotti possa essere applicato anche un prezzo
inferiore. I tune, con l'editoria musicale, ha già dato
l'esempio (coi suoi brani acquistabili in download a 99
cent.) e ha tracciato la strada. Ma le trasformazioni sono
lente e complesse e occorre del tempo prima di riuscire a
raggiungere un livello che rasenti la perfezione anche nella
giovanissima editoria digitale. E la perfezione consisterebbe
nel rendere più conveniente l'acquisto che il "furto". Per
rendere un prodotto digitale acquistabile, occorre renderlo
fruibile anche liberandolo dalle barriere tecnologiche
imposte dalle case produttrici di software e dispositivi di
lettura e, secondariamente, anche da quelle giurisdizionali
che, con le loro differenze tra Paese e Paese, ne inficiano
sia il consumo che l'acquisto. Invece, oggi,
paradossalmente è più facile reperire contenuti pirata, è

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più comodo e conveniente farne uso, anche quando, da


acquirenti, si vorrebbe essere in buona fede.
All'interno di diverse visioni del web, nasce dunque la
necessità di conciliare i diritti d'autore e all'informazione
con le esigenze pratiche degli utenti. Ma c'è anche il
bisogno e, insieme, il diritto di esprimersi attraverso i
prodotti della propria cultura, senza neppure sospettare
che, condividendo una poesia con gli amici di Facebook o
inserendo una canzone a fare da colonna sonora al proprio
video su Youtube, si possa in qualche modo, ledere il diritto
di un'altra persona e provocargli un danno economico.
La gestione dei contenuti incontra in Rete molteplici
problemi anche a causa della velocità, della diffusione e
della pervasività delle dinamiche comunicative: in una
logica di scambio e di libera circolazione gratuita (parliamo
del copyleft), i Creative Commons sono un utile strumento
per la gestione e la protezione del diritto d'autore, perché
definiscono in modo chiaro e semplice i comportamenti
possibili in relazione a quanto richiesto sia dalla legge che
dalla vita di rete.

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I Creative Commons

I “Creative Commons” nascono negli U.S.A., nel contesto di


un dibattito che poi diventerà internazionale e orientato

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alla libertà di circolazione delle informazioni. Tale


denominazione identifica sia l’organizzazione no-profit che
ha lo scopo di promuovere nuovi strumenti di gestione dei
diritti d’autore (CC), sia le licenze libere (CCPL) nate per la
sua salvaguardia, attraverso il copyleft.
Fondato nel 2001 da un’ idea del prof. Lawrence Lessing -
coadiuvato dal giurista James Boyle (della Duke Law
School) e dall’informatico del MIT Hal Abelson -, l’ente si
propone di redigere e standardizzare dei parametri
contrattuali che indichino in modo specifico gli usi
consentiti di opere intellettuali protette, sul web. A partire
dal 2002, vengono elaborate diverse versioni di una licenza
che prevede 4 condizioni d’uso funzionali alle prescrizioni
statunitensi ma che, per la loro flessibilità e la loro gratuità,
saranno adattate agli ordinamenti giuridici di diversi paesi.
In Italia, la licenza e le condizioni vengono tradotte e
rielaborate a partire dal 2003, all’Istituto di Elettronica e di
Ingegneria dell’Informazione e delle Telecomunicazioni
(IEIIT, organo del CNR), in collaborazione con un gruppo
di giuristi, coordinati da Marco Ricolfi del dipartimento
di Scienze Giuridiche dell’Universit{ di Torino e con
l’International Commons. Le prime bozze italiane
delle licenze giungono nel 2004. Oggi siamo alla versione
2.5. Le CCPL sono licenze “libere” (non hanno una natura

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economica) valevoli per alcuni “diritti


riservati”, solitamente in esclusiva, al proprietario
dell’opera dell’ingegno che, in questo modo, può consentire
ad altri di utilizzare, diffondere e modificare il proprio
prodotto intellettuale, impedendone contemporaneamente
lo sfruttamento commerciale altrui. Le 4 clausole della
licenza Creative Commons, contrassegnate da un simbolo
grafico per essere comprese in maniera intuitiva, sono
combinabili tra loro permettendo perciò 6 diverse modalità
di trattamento dei contenuti multimediali. Ad esse sono
associati dei metadati/XML che facilitano il trattamento
automatico e la ricerca delle opere concesse. Nello
specifico, si tratta di: una clausola di “Attribuzione” (è
l'immagine con l'omino, che trasferisce a terzi il diritto di
copiare, pubblicare, distribuire, modificare il
contenuto dell’opera originale e di quelle derivate,
obbligando però ad associare il nome dell’autore
all’opera circolante); della condizione di “non
commerciale”( la "s" barrata, che permette qualsiasi
trattamento del contenuto e ne vieta lo sfruttamento
commerciale); del contrassegno di “non opere derivate”(che
stabilisce che la pubblicazione, la distribuzione e la
diffusione dell’opera possono essere fatte su copie
identiche); di “condividi allo stesso modo” (che prevede la

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pubblicazione e la distribuzione dell’opera con una


licenza identica a quella apposta sull’originale, impedendo
quindi le eventuali trasformazioni).
La licenza vale al livello mondiale, è gratuita, non esclusiva,
di durata pari a quella del diritto dell’autore, il quale può
revocarla in caso di violazioni, senza pregiudicare i diritti
acquisiti da altri licenziatari legittimi collegati alla stessa
opera. Infatti, Creative Commons è solo un intermediario
per la concessione di una
licenza tra autore e utilizzatori di un’opera, senza avere
alcuna responsabilità legale ed economica nel contratto. Le
restrizioni riguardano gli usi diversi da quelli autorizzati e
l’obbligo di apporre il logo della licenza stessa oppure il
suo URI (Uniform Resource Identifier) su ogni copia
dell’opera concessa. Il licenziatario non può avanzare
alcuna condizione sull’opera altrui, né concederla in sub
licenza o pregiudicare diritti e condizioni dell’autore
originario.
La clausola Icommons stabilisce che a ogni opera licenziata,
se usata in Italia, si affianca la legge
sul diritto d’autore 633/41: la licenza può garantire una
protezione alternativa all’intermediazione della SIAE ma
non alla legge. La differenza tra la SIAE e la CCPL è
sostanzialmente di natura economica: la Società

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degli Autori e degli Editori tutela economicamente i


soggetti che decidono di iscriversi e depositare le loro
opere.
La licenza Creative Commons si riferisce principalmente ai
contenuti: protegge il diritto d’attribuzione all’autore e non
limita la diffusione, le modificazioni o la varietà di formati
dell’opera. Ma il tipico diritto di “propriet{” pretende che il
prodotto intellettuale sia ogni volta definito, “finito” e
catalogato in ogni sua versione, per poter essere venduto o
comprato. E ciò vale anche per le opere digitali, inserite nei
dispositivi fisici di memoria (CD, e-book) o scaricabili da
siti e portali. Infatti, è ancora in corso il dibattito su
un’applicabilit{ più efficace delle licenze “Creative
Commons” rispetto alla legge sul diritto d’autore italiana e
al nostro sistema editoriale tradizionale:2 ma esso fa parte
di un problema inserito in un contesto più ampio che tocca
anche le questioni cruciali della neutralità della rete, delle
implicazioni sociali e culturali legate alla diffusione di
determinati contenuti, agli approcci e ai comportamenti
connessi all’utilizzo degli strumenti informatici (proprio
allo scopo di promuovere la cultura, la comunicazione e la
socialit{ e non di danneggiarle), al “digital divide”, e così via

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L’estetica del "sampler"

L' editore Castelvecchi, in un suo saggio dal titolo: Morte e


resurrezione del diritto d'autore (inserito in "Letterature,
biblioteche e ipertesti" e curato da F. Pellizzi per le ed.
Carocci), parla dell'"estetica del sampling" come di un
nuovo linguaggio, tipico dei giovani internauti (i cosiddetti
"cyberkids") che ha forgiato una nuova cultura - quella
tipica del web - e, insieme ad essa, un nuovo modo di
sentire, oltre che una serie di prassi comunicative ed
espressive basate sulla condivisione e il trattamento dei
contenuti del web. Il termine "sampling" è mutuato dal
linguaggio musicale dei rapper e dalle loro tecniche di
campionamento (l'abitudine di estrarre parti di brani
musicali già noti per assemblarli insieme e crearne degli
altri), ma, nel caso del web 2.0, si riferisce a coloro che, con
un termine riduttivo, potremmo definire dei "copia-
incollatori". Ma il "sampler" (intendendo col termine
l'individuo che campiona e non la macchina del
campionatore) è anche molto di più di questo: è l'artefice di
un radicale rovesciamento dell'ambiente creativo che

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abbatte i confini tra autore/fruitore/manipolatore di un


testo in ambiente digitale.
I "cyberkids" altri non sono che gli appartenenti alla "google
generation", utilizzano, innovano e contemporaneamente
inventano qualcosa di nuovo partendo da materiali
preesistenti. Sono anche coloro che tradiscono con
un'ingenua naturalezza anche i diritti d'autore che tanto
preoccupano i proprietari di opere originali, ma lo fanno
per esprimere il proprio estro creativo e il bisogno di
comunicare e condividere esperienze con i propri coetanei:
senza aver intenzione (o forse neppure idea, in qualche
caso) di violare la legge. Tendenzialmente, i cyberkids
trovano un contenuto (audiovisivo, testuale, musicale,
multimediale, ecc), se ne appropriano e lo manipolano
attraverso il web, generando qualcosa di nuovo che - a
prescindere dai diversi livelli di originalità che esso possa
assumere poi - contiene messaggi individuali, esprime
sentimenti e stati d'animo, fa conoscere le proprie opinioni,
acquista le valenze dell'esperienza personale e condivisa. In
sintesi: utilizzano e migliorano con la tecnologia ciò che la
tecnologia stessa è in grado di mettere a loro disposizione.
In questo modo, contribuiscono (talvolta neppure in
maniera secondaria e involontaria) a creare nuovi spazi per
la conoscenza.

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L'estetica del sampling sarebbe quindi il nuovo motore


trainante della cultura odierna e della vita di rete, poiché,
quest'approccio creativo e utilitaristico ai contenuti è la
concezione fondamentale sui cui si basano le dinamiche
comunicative del web 2.0 e soprattutto lo UGC.

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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

 Alberto Castelvecchi, Morte e resurrezione del diritto


d'autore, in letterature, biblioteche, ipertesti, F.
Pellizzi (a cura di), Carocci editore, Roma, 2006.
 M. Riva, per una comunità della formazione
letteraria in “Letterature, biblioteche e ipertesti”, F.
Pellizzi (a cura di), p.43.
 Fabio Ciotti, Gino Roncaglia, Il mondo digitale,
Laterza, Bari, 2000.

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SITI:

http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/10_maggio_27/zuckerber
g-facebook-privacy-manifesto_d2bb4b88-698f-11df-a901-
00144f02aabe.shtml
www.youtube.com
http://www.cnr.it/

http://it.wikipedia.org/wiki/Copyleft
http://it.wikipedia.org/wiki/Uniform_Resource_Identifier
http://www.scribd.com/doc/21283575/La-Diffusione-Del-Sapere

http://www3.unibo.it/boll900/convegni/ciottiframe.html
http://www.youtube.com/watch?v=lt3kT1HkpJk&feature=player_emb
edded
http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale
http://it.wikipedia.org/wiki/Web_2.0
http://it.wikipedia.org/wiki/Early_adopter
http://it.wikipedia.org/wiki/Villaggio_globale

http://www.scribd.com/doc/31204119/I-Creative-Commons-
Giuseppina-Brandonisio
http://it.wikipedia.org/wiki/Content_management_system
http://it.wikipedia.org/wiki/Software_proprietario
http://it.wikipedia.org/wiki/Really_simple_syndication

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http://it.wikipedia.org/wiki/Marshall_McLuhan
http://www.claudio-corti.com/05/la-differenza-tra-web-1-web-2-e-
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http://www.creativecommons.it/

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http://www.trovareillavorochepiace.it/ricerca%20informativa/networking.htm

http://twitta.it/blog/followers-e-following

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/tecnologia/grubrica.asp?ID_blog=30&ID_articolo=446&ID_sezione

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http://psicocafe.blogosfere.it/2008/09/facebook-il-rovescio-oscuro-della-medaglia.html

http://blog.libero.it/notiziepsicologo/5807378.html

http://www.adnkronos.com/IGN/News/CyberNews/Usa-Facebook-al-lavoro-per-semplificare-impostazioni-

privacy_450510274.html

http://it.wikipedia.org/wiki/Tim_Berners-Lee

http://twitter.com/castelvecchi

http://dizionari.hoepli.it/Dizionario_Inglese/Italiano/parola/sampling.aspx?idD=3&Query=sampling

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http://www.jisc.ac.uk/news/stories/2008/01/googlegen.aspx

http://it.wikipedia.org/wiki/Social_media

http://it.wikipedia.org/wiki/Knowledge_management

http://it.wikipedia.org/wiki/Blog

http://it.wikipedia.org/wiki/World_Wide_Web

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http://it.wikipedia.org/wiki/Digital_rights_management

http://www.magna-carta.it/content/quali-sono-diritti-da-tutelare-nel-mondo-digitale-1

http://www.ibs.it/code/9788842092995/roncaglia-gino/quarta-rivoluzione-sei.html

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