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DI
ANATOMIA
ANATOMIA: introduzione
L’anatomia (dal greco “anatomè”, dissezione, “anà”, attraverso) è la scienza
che studia la forma e la struttura degli elementi degli organismi viventi. Si
distingue l’anatomia macroscopica (studia strutture osservabili ad occhio
nudo), che può essere di superficie (forma esterna), regionale e topografica
(parti interne ed esterne, regioni) o sistematica (strutture dei sistemi o
apparati), dall’anatomia microscopica (studia strutture non visibili ad occhio
nudo), che comprende istologia (tessuti) e citologia (cellule).
La classificazione della specie umana prevede: specie homo sapiens, phylum
cordata, subphylum vertebrati, classe mammiferi placentati, ordine primati,
famiglia ominidi.
MEMBRANE
Queste tappezzano le superfici esterne e le cavità interne del corpo, formano
guaine protettive intorno agli organi e possono essere epiteliali o connettivali.
Per quanto riguarda la membrana epiteliale, si ha: la cute, formata da un
epitelio di rivestimento, l’epidermide, e da uno strato più profondo, il derma, è
asciutta e costituisce la pelle; le mucose, formate da lamine di tessuto
epiteliale, rivestono tutte le cavità del corpo che comunicano con l’esterno,
sono umettate (bagnate) da secrezione e ogni epitelio ha una propria
funzione; le sierose, costituite da mesotelio e connettivo lasso, tappezzano
cavità chiuse e hanno due foglietti, il foglietto parietale (riveste la parete della
cavità) e il foglietto viscerale (ricopre la superficie dell’organo) e tra questi vi è
uno spazio virtuale (piccolo) che contiene un liquido sieroso a funzione
lubrificante, in quanto elimina l’attrito tra i foglietti e dà mobilità all’organo
un esempio di sierosa è il peritoneo è costituito da un foglietto viscerale e da
un foglietto parietale; nel peritoneo viscerale, si formano delle pieghe
peritoneali, introflessioni sacciformi e doppie pieghe, che rivestono in parte o
interamente visceri addominali, connettendoli tra loro e con la parte
addominale e tra queste pieghe le più importanti sono: grande (colon
trasverso) e piccolo omento (fegato), originario dallo stomaco, il mesentere
che avvolge l’intestino tenue ed è attraversato da vasi, il legamento falciforme
del fegato e i mesi (legamenti tra organo e parete addominale posteriore,
attraverso i due foglietti peritoneali) – il meso e l’omento sono due organi
collegati da un doppio foglietto peritoneale che transitano tra i due foglietti, tra
vasi e nervi; le funzioni del peritoneo sono meccaniche e trofiche (collegate
alla ricchezza di vasi sanguigni presenti nella lamina propria), di difesa grazie
ai leucociti e permette lo scivolamento degli organi e quindi mobilità agli
stessi; la peritonite è un’infiammazione del peritoneo che interessa tutti i
visceri rivestiti da esso.
Per quanto riguarda le membrane connettivali, si hanno membrane sinoviali
(tessuto connettivo) che rivestono le capsule articolari e borse sinoviali e
guaine tendinee, ovvero cuscinetti presenti intorno alle strutture scheletriche
con funzioni protettive (ammortizzano gli urti).
TESSUTO EPITELIALE
Questo si distingue in epiteli di rivestimento, che rivestono superfici interne o
esterne, e epiteli ghiandolari, che costituiscono il parenchima delle ghiandole
a secrezione interna o esterna.
Epiteli di rivestimento
Le principali funzioni sono: protezione fisica delle strutture sottostanti (es.
cute ed epitelio delle cavità orali), regolazione della permeabilità (es. cute),
passaggio di alcune sostanze attraverso gli strati (es. gas scambiati tra aria e
sangue attraverso l’epitelio alveolare), controllo degli scambi di acqua e soluti
tra i compartimenti, sensibilità (es. innervazioni o recettori) e sintesi o
secrezione di alcune sostanza (es. enzimi digestivi prodotti dalle ghiandole
del tratto intestinale o ormoni prodotti dalle ghiandole endocrine).
Il tessuto epiteliale è strettamente associato al tessuto connettivo, tramite una
membrana basale, costituita da una lamina basale (glicoproteine prodotte
dall’epitelio) e da una lamina reticolare (fibre connettivali).
La principale caratteristica del tessuto epiteliale è la rigenerazione, che
dipende dalla presenza delle cellule staminali: ad esempio, l’epitelio
dell’intestino tenue si rigenera ogni 3 giorni, quello della cornea ogni 7 giorni,
mentre quello nel fegato avviene un ricambio cellulare solo in caso di
distruzione delle cellule originarie.
GIUNZIONI CELLULARI
Poiché vi è poca matrice, quindi poca sostanza intercellulare, le giunzioni
hanno la funzione di unire le cellule e permettere l’adesione sulla membrana
d’appoggio.
Si distinguono: giunzioni serrate, che presentano le due membrane fuse a
livello esterno, desmosomi (macula aderens), che uniscono le membrane con
materiale glicoproteico, giunzioni discontinue (gap junctions), che
rappresentano delle interconnessioni attraverso pori o canali tra una cellula e
l’altra.
Per quanto riguarda le giunzioni strette, si hanno giunzioni occludenti e
giunzioni aderenti: le prime hanno una funzione sigillante e creano punti di
stretto contatto tra le cellule grazie a delle proteine come le claudine nella
zona occludente (il passaggio di sostanze è, perciò, mediato da elementi di
trasporto); le seconde possono essere rappresentate dalle caderine
(agiscono all’esterno), che hanno un’estremità nello spazio intercellulare e
un’estremità all’interno legata ai filamenti di actina (sotto la membrana, quindi
agiscono all’interno) e hanno il compito di opporsi allo scollamento delle
cellule.
Per quanto riguarda i desmosomi, sono simili alle giunzioni aderenti, hanno
una placca costituita da glicoproteine ancorate ai filamenti intermedi
cheratinici ed evitano l’allontanamento della cellula dalla cute gli
emidesmosomi (“mezzo desmosoma) ancorano le cellule alle membrane
basali.
Per quanto riguarda le giunzioni gap, sono formate da canali e sono
importanti nel trasporto di neurotrasmettitori o di ioni tra le cellule.
CLASSIFICAZIONE
È basata su strati semplici (monostratificati) o pluristratificati, che, a livello di
morfologia cellulare, pavimentosi (poco spessi), cubici (isoprismatico) o
cilindrico (batiprismatico).
A questo proposito, vi sono due eccezioni: l’epitelio pseudo-stratificato
(sembra stratificato ma non lo è), che possiede cellule che partono tutte dalla
membrana basale, è cigliato, ha sede nella cavità nasale, nei bronchi e nella
trachea e le sue principali funzioni sono protezione e secrezioni; l’epitelio di
transizione che si distende riducendo lo spessore, è stratificato, ha sede nelle
vie urinarie e possiede cellule di forme diverse, negli strati profondi cubiche,
negli strati intermedi piliformi e nello strato superficiale binucleate ad
ombrello.
Strato pavimentoso o squamoso semplice (interno)
Ha sede negli alveoli polmonari, nell’endotelio (vasi sanguigni), nelle porzioni
dei tubuli renali, nel pericardio, nelle pleure, nel peritoneo, nel mesotelio,
nell’interno della cornea; le principali funzioni sono ridurre l’attrito tra i foglietti
e controllare la permeabilità vascolare.
Strato pavimentoso o squamoso stratificato (esterno)
Ha sede nella cute, nella cavità orale, nella faringe, nell’esofago; la principale
funzione è la protezione chimica contro abrasioni, patogeni e sostanze
chimiche.
Strato cubico semplice
Ha sede nei tubuli renali, nella faccia anteriore del cristallino, nell’esterno
dell’ovaio, nei dotti escretori di ghiandole esocrine; le principali funzioni sono
assorbimento e secrezione e in parte minore protezione.
TESSUTO CONNETTIVO
Questo ha funzioni tropo-meccaniche: avvolgere e separare gli organi, i
muscoli, le arterie, le vene e i nervi; connettere, grazie a tendini (muscoli
all’osso) e legamenti (ossa tra loro); supporto e movimento grazie a ossa e
cartilagini; accumulo nel tessuto adiposo degli adipociti e nelle ossa di calcio
e fosforo; trasporto, ad esempio, nel sangue di liquidi e sostanze varie;
protezione contro tossine, microorganismi e danni tissutali.
È composto da cellule specializzate, fibre proteiche extracellulari e fluido
extracellulare (sostanza fondamentale) fibre proteiche e fluido
costituiscono la matrice.
Tessuto connettivo embrionale
Il mesènchima dà origine a tutti i tessuti connettivi; il tessuto connettivo
mucoso embrionale si trova in varie parti dell’embrione e permane nel
cordone ombelicale, ha un aspetto gelatinoso ed è, per questo, chiamato
gelatina di Warthon.
Tessuto connettivo adulto
Può essere: mucoso maturo (polpa dentaria), lasso, adiposo, reticolare,
denso (regolare o irregolare) ed elastico.
CLASSIFICAZIONE
Tessuti connettivi propriamente detti: fibrillare lasso (areolare, adiposo,
reticolare) e fibrillare denso (regolare, irregolare, elastico) i fibroblasti sono
cellule attive nella sintesi proteica di cellule della matrice e delle fibre.
Tessuti di sostegno: cartilagineo e osseo, hanno una cellularità meno
eterogenea e la matrice rigida (la fibra è intrappolata nella matrice calcificata).
Tessuti connettivi liquidi: sangue e linfa, hanno una cellularità molto
eterogenea e la matrice acquosa (non ci sono fibre).
La matrice extracellulare ha una componente amorfa e una componente
fibrosa, sintetizzate da fibroblasti: questi sono complessi macromolecolari
facilmente idratabili, hanno un sistema colloidale di consistenza gelatinosa
(resistenza a vari tipi di forze), una fase disperdente acquosa (elettroliti) e
una fase dispersa (proteine enzimatiche, glicoproteine e proteoglicani)
sono costituiti da proteoglicano, una macromolecola composta da CORE
(asse proteico), a cui sono uniti covalentemente disaccaridi o GAG
(glicosaminoglicani, catene polimeriche formate da unità disaccaridiche unite
da legami O-glicosidici): i GAG possono essere non solforati come acido
ialuronico (ubiquitario, corpo vitreo e cordone ombelicale) e acido
condrottinico e solforati come confrottin-solfato A, condrottin-solfato C,
dermatan-solfato (cute), cheratan-solfato (cartilagine e cornea) ed eparan-
solfato (polmoni, aorta, membrane basali); hanno un’elevata carica negativa,
intrappolano acqua e ioni (viscosità). La componente fibrosa ha, inoltre, delle
glicoproteine: fibronectina (sostanza fondamentale dei connettivi fibrosi, è
molto diffusa), condronectina (sostanza fondamentale della cartilagine, lega i
condrociti al collagene), laminina (si trova a livello delle lamine basali).
Le componenti fibrose sono:
-fibre collagene: costituite da molecole di tropocollagene, sono flessibili e
resistenti alla trazione, hanno una funzione di sostegno strutturale, oltre ad
ancorare tessuti diversi tra loro (tendini e legamenti); non sono ramificate;
presentano bande trasversali, formate da una testa globosa di tropocollagene
e code filamentose, e si dispongono ad intervalli regolari di 700 A, formando
fasci e strutture parallele
- fibre reticolari: costituite da molecole di collagene, formano l'impalcatura di
sostegno di alcuni organi pieni (come milza e fegato); non sono riunite in fasci
ma a formare delle reti (i polipeptidi che formano il tropocollagene
contengono una piccola quota glucidica; presentano periodismo
-fibre elastiche (costituite da elastina e fibrillina ma non collagene): sono
ramificate e ondulate, se striate possono tornare alla lunghezza originale
(legamenti gialli delle vertebre); sono costituite da una parte amorfa (che
conferisce elasticità) e da fibrilline (normalmente aggrovigliate che possono
distendersi); sono estensibili (150% della loro lunghezza) e resistenti alla
bollitura e all'attacco di acidi; sono digerite dall'enzima elastasi; sono gialli
perché presentano una fluorescenza innata (emettono luce gialla).
CUTE
Ha una superficie irregolare (con solchi, depressioni, creste e pieghe
caratteristiche per ciascun individuo di qui la specificità delle impronte
digitali) e un colore variabile in relazione al diverso contenuto di melanina e
all'esposizione ai raggi luminosi.
É costituita da epidermide (ha uno spessore fra 50 micron e 1,5 mm e
ottimizza l'adesione e gli scambi tra i vari strati), da derma (ha uno spessore
fra 0,3 e 4 mm ed è ricco di vasi e nervi) e da ipoderma (ha uno spessore tra
0,5 e 2 mm).
STRATI DELL'EPIDERMIDE
-strato basale (germinativo): è costituito da cellule staminali di tipo unipotente
che possono differenziarsi solo in cheratinociti (filamenti intermedi) ed è
implicato in una continua rigenerazione del tessuto
-strato spinoso: è costituito da cheratinociti disposti su 5-10 file, le cellule
formano delle "spine" che si invaginano nello strato basale, vi sono delle
tonofibrille che danno sostegno e in questo strato avviene la maggiore sintesi
di cheratina, proteina filamentosa
-strato granuloso: è costituito da cellule che presentano granuli di
cheratoialina (degenerazione) e che derivano dalla lisi degli organuli
citoplasmatici; anche in questo strato continua la sintesi di cheratina
-strato lucido (assente nella cute sottile): è costituito da cellule che hanno la
proprietà di riflettere la luce, in quanto contengono eleidina
-strato corneo: è uno strato desquamante poiché in questo sito, le cellule,
ormai del tutto degenerate, iniziano a sfaldarsi nel processo di
CITOMORFOSI CORNEA è il processo di cheratinizzazione tipica
dell'epidermide che permette la trasformazione delle cellule staminali in
cellule cornee e al termine del processo la cute risulta impermeabile e
resistente, poiché le cellule morte costituiscono un'efficiente barriera
dall'attacco di agenti estranei come virus e batteri.
Gli elementi citologici degli strati descritti tendono a perdere funzionalità e
man mano degenerano seguendo il processo di apoptosi o morte
programmata.
COMPONENTI DELL'EPIDERMIDE
L'epidermide è costituita da:
-cellule di Merkel: si trovano in uno strato germinativo, sono in contatto con
terminazioni nervose poiché funzionano come recettori tattili
-cellule di Langerhans: si trovano nello strato spinoso, hanno funzione di
difesa e, infatti, inglobano le sostanze estranee, fungendo da elementi
presentanti l'antigene per avviare risposte immunitarie
-melanociti: si trovano nello strato basale, producono melanina (pigmento
giallo-bruno che ostacola il passaggio di raggi UV rendendo la pelle più
scura) e sono positivi alla DOPA, una reazione specifica per i melanociti che
evidenzia la tirosinasi raggruppamenti di melanociti in specifiche zone
dell'epidermide vengono definiti efelidi o lentiggini.
A proposito della melanina, può essere sintetizzata nei seguenti modi:
-prodotta per ossidazione dell'aatirosina
-prodotta dalla conversione della di-idrossifenilalanina ad opera della
tirosinasi
-immagazzinata in vescicole definite melanosomi, che vengono trasferiti ai
cheratinociti (che si colorano in modo transitorio) e successivamente distrutti
nel processo di citomorfosi cornea.
COLORE DELLA CUTE
Nei caucasici, i melanosomi migrano nello strato basale e spinoso; nei neri, i
melanosomi arrivano allo strato granuloso, determinando una pigmentazione
più scura e resistente. A questo proposito, l'albinismo è un'incapacità
ereditaria di sintetizzare la melanina per assenza della tirosinasi e infatti
caratteristiche della malattia sono presenza di melanociti ma assenza del
pigmento nei capelli, negli occhi e nella cute.
La vitiligine rappresenta la perdita parziale di melanociti, alcune aree cutanee
presentano chiazze bianche irregolari (anomali e immunitarie) e si pensa che
in questo caso il sistema immunitario non riconosca i melanociti come corpi
estranei, distruggendoli o rendendoli inattivi.
Per quanto possano essere dannose, le radiazioni UV sono utili nella
produzione di vitamina D (nello specifico D3, detta colicalciferolo, prodotta a
livello della cute per irradiazione del colesterolo, ed è la forma endogena); vi
è, inoltre, la D2 che viene introdotta con la dieta in quanto è presente nei
vegetali (forma esogena).
La vitamina D è importante perché: interviene nel riassorbimento del calcio a
livello renale, nell’assorbimento di fosforo e calcio a livello intestinale e nei
processi di mineralizzazione dell’osso (in assenza di vitamina D anche la
disponibilità del calcio viene meno, poiché l’organismo non è in grado di
riassorbirlo). Entrambe le forme, D3 e D2, così come vengono prodotte non
sono attive: sono dei precursori che subiscono un processo di trasformazione
che coinvolge sia il fegato, all’interno del quale, vengono trasformate in 25-
idrossivitamina D (25D, forma ancora inattiva), sia il rene, dove la 25D viene
modificata ulteriormente dall’enzima idrossilasi e può entrare in circolazione,
dopo la trasformazione nella forma attiva di calcitriolo.
DERMA
È lo strato connettivale associato all’epidermide.
Al suo interno, vi sono ghiandole, bulbi piliferi, terminazioni nervose, vasi
sanguigni e linfatici. In profondità, si trova l’ipoderma, il cosiddetto pannicolo
adiposo, formato da grasso (tessuto sottocutaneo) e che fa da piano di
clivaggio rispetto alle strutture più profonde (muscolari, associate all’apparato
locomotore).
Il derma risulta suddiviso in due parti: lo strato papillare, più superficiale di
connettivo lasso, che favorisce processi di scambio con l’epidermide grazie a
creste ed invaginazioni, e lo strato reticolare, più profondo di connettivo
fibroso denso e irregolare, formato, quindi, da fibre collagene molto compatte
e orientate secondo le sollecitazioni meccaniche a cui la cute è sottoposta
per contrastare la sua eccessiva distensione se le sollecitazioni
meccaniche sono eccessive, comportano una scompaginazione della
struttura fibrosa e si formano le cosiddette smagliature, che sono proprio
espressione della disorganizzazione dell’assetto delle fibre collagene; le
smagliature sono sovrapponibili a cosiddette linee di tensione della cute, che
sono importanti punti di riferimento in un intervento chirurgico, poiché si
effettua il taglio in corrispondenza di queste linee per favorire la
cicatrizzazione.
PELI
La parte visibile del pelo è rappresentata dal fusto; la radice, ovvero il follicolo
pilifero, è inserita nel derma in un'invaginazione dell'epidermide.
Per quanto riguarda la struttura, il follicolo alla base accoglie una papilla
connettivale, circondata da cellule epiteliali che costituiscono il bulbo pilifero
(responsabile della crescita del pelo in lunghezza); nello strato interno,
ovvero la midollare, vi sono le cellule dell'apice della papilla in mitosi, che
sono le più chiare; nello strato intermedio adiacente alla midollare, ovvero la
corteccia, vi sono cellule poste a lato delle papille, che sono ricche di
melanina; nello strato più esterno, ovvero la cuticola, vi sono cellule
periferiche cheratinizzate (morte), che sono scagliette cornee embricate e
sono le più scure.
Per quanto riguarda la crescita del pelo, questa segue essenzialmente tre
fasi: fase di crescita (anagen=divisione), fase di regressione (catagen=arresto
delle divisioni), fase di riposo (telogen=caduta del pelo).
Il muscolo piloerettore è un muscolo liscio che, partendo dal derma papillare
superficiale, si inserisce nel follicolo pilifero, all'interno del quale si ha lo
sbocco di 10 o più ghiandole sebacee; essendo questo un muscolo non
scheletrico, è innervato dalla componente ortosimpatica del sistema nervoso
autonomo che interviene in condizioni di stress; la contrazione del muscolo
provoca l'erezione del pelo e contribuisce alla fuoriuscita del sebo.
La funzione del pelo è essenzialmente quella di proteggere da radiazioni UV
(testa), da microorganismi (meato acustico, narici) e da ciò che potrebbe
danneggiare il bulbo oculare (ciglia).
INNERVAZIONE CUTANEA
Le fibre sensitive-somatiche conducono sensazioni termiche-dolorifiche o
tattili e rientrano nell’ambito della sensibilità estrocettiva; alcune possono
terminare liberamente come fibre non mielinizzate, prive di rivestimento
mielinico e sono dette terminazioni libere; altre vengono in rapporto con
strutture connettivali (corpuscoli di senso di Pacini per pressione o vibrazione
e di Meissner per sensazioni tattili).
TESSUTO OSSEO
Il tessuto osseo è tessuto connettivo specializzato ed è caratterizzato da
notevole durezza e resistenza, poiché la sostanza intercellulare è fortemente
mineralizzata (vista la presenza di sali di calcio). Ha funzioni: statiche, in
quanto fornisce sostegno e protezione formando l’impalcatura che sostiene le
parti molli o gli organi, ad esempio la scatola cranica contiene l’encefalo, lo
speco (canale) vertebrale contiene il midollo spinale, le coste contengono
polmoni e cuore e la cavità pelvica contiene gli organi degli apparati digerente
e uro-genitale; dinamiche, in quanto le ossa costituiscono il supporto su cui
agisce l’azione muscolare durante l’esecuzione dei movimenti e formano un
sistema di leve poiché possono modificare ampiezza e direzione delle forze
generate dai muscoli; metaboliche (riserva), in quanto le ossa costituiscono
un deposito di sali minerali di calcio e fosforo e di lipidi le ossa
immagazzinano lipidi nell’area del midollo osseo giallo, il cui predecessore è il
midollo osseo rosso impegnato nell’emopoiesi ovvero nella produzione di
globuli rossi e bianchi e piastrine.
OSSIFICAZIONE
Può essere intramembranosa o diretta, che prevede che il tessuto osseo si
formi direttamente dal mesenchima senza un primo modello cartilagineo (è il
caso delle ossa piatte del cranio e della clavicola), o endocondrale o indiretta,
che prevede che il tessuto osseo si formi a partire da un modello cartilagineo
preesistente (è il caso della maggior parte delle ossa): in entrambi i casi,
all’inizio sarà tessuto osseo non lamellare e successivamente diventerà
lamellare.
Il processo di ossificazione diretta intramembranosa prevede inizialmente una
calcificazione con conseguente formazione di trabecole, nei cosiddetti centri
di ossificazione (mesenchimali) e si viene, quindi, a formare un tessuto osseo
spugnoso (per la presenza di trabecole), dapprima non lamellare, che viene
degradato dagli osteoblasti, poi lamellare, con fibre collagene ordinate. In
sintesi, le cellule mesenchimali si aggregano e iniziano l’ossificazione, l’osso
si espande in cosiddette spicole (che verranno anastomizzate e andranno a
formare le lacune in cui è contenuto il midollo osseo), quando queste si
connettono tra loro, intrappolano i vasi sanguigni e il primordiale osso
spugnoso si trasforma in osso compatto.
Il processo di ossificazione indiretta endocondrale prevede, invece,
inizialmente la degenerazione della cartilagine ialina (embrionale, più idratata
e meno fibrosa) poiché i condrociti diventano ipertrofici, la cartilagine calcifica
e questo porta alla comparsa di centri di ossificazione, che causano un
rimodellamento della cavità midollare in quanto l’osso cresce in larghezza e
lunghezza. In sintesi, si parte da un abbozzo cartilagineo embrionale che si
accresce (l’accrescimento può essere interstiziale o apposizionale), si ha poi
un’ossificazione primaria diafisaria con la conseguente formazione di un
canale midollare (dovuta a processi di osteolisi, che contiene internamente
tessuto spugnoso) e un’ossificazione secondaria epifisaria con la
conseguente formazione di cartilagine articolare che assicura l’allungamento
dell’osso.
TESSUTO CARTILAGINEO
Esso svolge essenzialmente funzioni meccaniche e per la presenza di fibre
collagene si presenta compatto e resistente; come elementi cellulari vi sono i
condrociti, ovvero condroblasti quiescenti.
Si distinguono tre tipologie di cartilagine:
- ialina (la più diffusa, non è mineralizzata ma è sufficientemente idratata),
dove le cellule possono essere isolate o associate in cosiddetti gruppi isogeni
(derivati dalla divisione delle cellule), derivano da cellule mesenchimali,
vanno a costituire lo scheletro dell’embrione e nell’adulto rimangono in alcuni
tratti dell’apparato respiratorio (es. trachea), hanno una matrice basofila; la
sostanza amorfa di questa cartilagine presenta molecole di proteoglicano
associate a condratinsolfato, cheratansolfato e acido ialuronico e che
possono legarsi a fibre collagene (le quali formano un reticolato) e ad acqua
queste insieme rafforzano l’impalcatura connettivale e idratano la matrice;
la cartilagine (ad eccezione degli altri connettivi) non è vascolarizzata, quindi
non presenta vasi sanguigni, ma uno strato connettivale esterno, detto
pericondrio, il quale assicura l’apporto trofico e gli elementi staminali per
l’accrescimento della cartilagine (quello apposizionale avviene a livello del
pericondrio, quello interstiziale riguarda condroblasti profondi); dopo
l’accrescimento, avviene la calcificazione, quindi l’ossificazione, e questo
porta alla degenerazione (morte) dei condrociti, che non potranno più avere
un apporto trofico adeguato.
- fibrosa (fibre collagene) che rappresenta un tessuto intermedio fra la
cartilagine ialina e il connettivo denso, si trova tra i dischi intervertebrali
(sinfisi) e sui menischi (funzione compensatoria correttiva); è caratterizzata
dalla mancanza di pericondrio, ma riceve sostanze nutritive grazie alla
continuità con il connettivo denso e la cartilagine ialina (per diffusione).
- elastica, caratterizzata dalla presenza di un’elevata percentuale di fibre
elastiche che le conferiscono un colore giallastro e flessibilità, è presente in
molte strutture dell’orecchio e nell’epiglottide.
APPARATO LOCOMOTORE
È costituito da elementi passivi (apparato osteoarticolare, ossa e articolazioni
che devono essere messi in movimento) ed elementi attivi (sistema
scheletrico - muscolare, che mettono in movimento). Lo scheletro è
sottoposto a forze statiche (essenzialmente forza di gravità) e forze
dinamiche (dovute alla trazione esercitata dalla massa muscolare).
LO SCHELETRO
Si distinguono lo scheletro assile (cranio, colonna vertebrale, gabbia toracica)
e lo scheletro appendicolare (arti superiori e arti inferiori, inseriti
rispettivamente mediante cingolo scapolare e cingolo pelvico).
Vi sono 4 tipologie di ossa: lunghe, caratterizzate da una diafisi (corpo
centrale costituito da tessuto osseo compatto) e due epifisi (estremità distali
costituite da tessuto osseo spugnoso); brevi (vertebre) presentano le tre
dimensioni essenzialmente uguali e sono caratterizzate da tessuto osseo
spugnoso rivestito esternamente da tessuto osseo compatto; piatte (cranio,
scapola, clavicole), caratterizzate dalla struttura diploe, la quale presenta due
tavolati di tessuto osseo compatto con interposto uno strato di tessuto osseo
spugnoso; sesamoidi (falangi, rotula), hanno forma ovoidale, lenticolare,
hanno una funzione meccanica, in quanto rinforzano le strutture tendinee.
La superficie delle ossa può presentare sporgenze che vengono definite
protuberanze (processo, condilo, tubercolo, tuberosità, testa, spina, cresta o
trocantere) o rientranze (fosse, canali, cavità) queste possono creare
superfici articolari (consentono di stabilire connessioni tra ossa contigue) e
superfici non articolari (costituiscono un punto di attacco per legamenti e
muscoli).
Le principali funzioni del sistema scheletrico sono: supporto (impalcatura
scheletrica), deposito di minerali (sali di calcio), produzione delle cellule del
sangue (per la presenza del midollo osseo), protezione di tessuti e organi,
sistema di leve (si modificano direzione e ampiezza delle forze generate da
muscoli scheletrici) queste funzioni sono in equilibrio e ciò che permette
questo equilibrio sono dei fattori che regolano l’accrescimento osseo, ovvero
un apporto costante di sali di calcio, fosfati, bicarbonato, ioni magnesio, calcio
e sodio; vitamine A e C, che vengono assunte con la dieta; vitamina D, la cui
forma attiva, il calcitriolo, stimola l’assorbimento intestinale di calcio e fosfato
e il trasporto di sangue; gli ormoni che modificano il rapporto tra osteoblasti e
osteoclasti (ad esempio, l’ormone paratiroideo stimola l’attività di osteolisi
degli osteoclasti aumentando la calcemia, in contrapposizione la calcitonina
induce il deposito di calcio nelle ossa e i due risentono dell’azione
dell’ormone somatotropo e degli ormoni sessuali stimolano la crescita ossea)
e se non sono in equilibrio tra loro determinano l’osteoporosi, ovvero la
riduzione di massa ossea (viene diagnosticata ai raggi x con la densitometria
ossea), molto frequente durante l’invecchiamento, poiché l’attività degli
osteoblasti è ridotta, può essere causata da carenza di vitamina D, carenza di
calcio, riduzione di estrogeni e fumo e compromette la normale funzione delle
strutture scheletriche (può essere contrastata da farmaci antiriassorbitivi che
evitano la perdita di minerali, farmaci osteoformativi che stimolano la
produzione di matrice e bifosfonati che inibiscono gli osteoclasti, insieme a
modulatori selettivi per gli estrogeni e terapie ormonali sostitutive, come la
somministrazione di estro-progestinici).
ARTICOLAZIONI
Sono dispositivi anatomici in grado di mettere in reciproco contatto due o più
capi ossei, dal punto di vista anatomico - strutturale, vi sono 2 categorie:
- sinartrosi (dal punto di vista funzionale fisse), ovvero per continuità, non
lasciano spazi tra i due capi articolari (ossa piatte o brevi); viene operata una
classificazione delle sinartrosi in base al tessuto tra i due capi articolari, vi
sono le suture o sindesmosi che utilizzano tessuto connettivo denso (es. ossa
del cranio), le sinostosi che utilizzano tessuto osseo (es. manubrio e corpo
dello sterno), le sincondrosi che utilizzano cartilagine ialina (es. I costa e
sterno) e le sinfisi che utilizzano cartilagine fibrosa (es. dischi intervertebrali).
All’interno della volta cranica si vedono una serie di impronte determinate dai
rapporti anatomici delle strutture in transito, come ad esempio alcune
formazioni aracnoidali (l’aracnoide è una delle tre meningi che tappezza il
telencefalo, oltre alla dura madre e alla pia madre) o granulazioni del
Pacchioni , piuttosto spesse e sporgenti, che rappresentano importanti punti
di riassorbimento del liquido cefalo-rachidiano (se non venisse riassorbito,
causerebbe patologie come l’idrocefalo, accumulo di liquido nelle strutture del
cranio).
Le due ossa mascellari presentano sulla faccia anteriore due depressioni
(concavità), definite fosse canine, dove si può osservare il foro intraorbitale,
dove raggiunge la cute la seconda branca del nervo trigemino, la mascellare,
che innerva la regione mascellare; l’osso mascellare fa parte delle cosiddette
ossa pneumatiche, perché il suo spessore interno è occupato da un ampio
seno (la presenza di aria alleggerisce la massa ossea) in comunicazione con
le cavità nasali; in alto si vede un processo, il processo frontonasale, che si
articola con il frontale e con le ossa nasali; lateralmente si individua il
processo zigomatico, che si articola mediante sutura; in basso si trova il
margine inferiore che costituisce il processo alveolare, dove si possono
individuare gli 8 alveoli dentali che accolgono le radici dei denti di ciascuna
emiarcata (lì dove le radici si inseriscono negli alveoli, si creano dei rilievi a
forma di cono, definiti gioghi alveolari); in basso a livello della base cranica,
vicino agli alveoli, si individua una lamina orizzontale, che si articola con
quella controlaterale che va a descrive la cosiddetta lamina costitutiva del
processo palatino) – le due lamine costituiscono i processi palatini, i quali
formano la parte anteriore del palato (il p. duro) e si articolano con le vere e
proprie ossa palatine –; nella parte superiore, presenta anche una lamina
orizzontale, che costituisce la parte orbitale, ovvero il pavimento della cavità
orbitaria
Le due ossa palatine hanno una forma ad L, dove si individuano due
lamine, una orizzontale e una perpendicolare (questa presenta
un’estroflessione, il processo orbitario, che delimita le cavità orbitarie); lungo
la linea mediana le due ossa formano un rilievo, la cresta nasale, in cui si
articola il vomere, che va a completare il setto nasale nella parte inferiore;
quindi, oltre a costituite il palato, le due ossa palatine contribuiscono alla
formazione del pavimento nasale e delle cavità orbitarie.
Le due ossa nasali costituiscono la radice del naso, unica porzione
scheletrica della piramide nasale (che per il resto è costituita da tessuto
cartilagineo).
Le due ossa lacrimali si trovano sulla superficie mediale delle cavità
orbitarie; sono piccole ossa di forma laminare quadrangolare, che descrivono,
insieme al processo frontonasale, una depressione, chiamata fossa del sacco
lacrimale (raccoglie il secreto prodotto dalla ghiandola lacrimale, che sbocca
nella cavità nasale al di sotto del turbinato nasale inferiore).
Le ossa zigomatiche costituiscono con il corpo quadrangolare il pomello,
detto anche zigomo; partecipa alla costituzione delle cavità orbitarie e
presenta una serie di processi che si articolano con le ossa adiacenti, come il
processo fronto-sfenoidale (tra frontale e sfenoide), il processo temporale, il
processo mascellare.
A livello della volta cranica, si possono avere dei difetti dell’accrescimento del
cranio. Nel neonato l’ossificazione non è completa e si trovano delle
cosiddette fontanelle, che hanno lo scopo di temporeggiare il processo di
ossificazione per consentire prima l’accrescimento dell’encefalo (altrimenti
l’encefalo non potrebbe crescere bene con conseguenze piuttosto gravi a
carico del sistema nervoso centrale), le più importanti sono la fontanella
anteriore, detta bregmatica (a forma di rombo tra i due abbozzi frontali e le
due ossa parietali), e quella posteriore, detta lambdoidea (a forma triangolare
tra le due ossa parietali e l’occipitale); una chiusura precoce delle fontanelle
provoca una condizione patologica, detta craniostenosi, che causa alterazioni
morfologiche del cranio (a livello della sutura sagittale, scafocefalia, provoca
un cranio più lungo o a livello delle suture coronali, brachicefalia, provoca un
cranio più largo) e nei casi più gravi occorre intervenire chirurgicamente per
evitare danni cerebrali (microcefalia: arresto accrescimento encefalo).
COLONNA VERTEBRALE
È una struttura metamerica, ovvero costituita da una serie di unità ripetute in
successione (le vertebre), non è rettilinea ma presenta delle curvature, è
lunga circa 65-75 cm e presenta quattro settori, cervicale (C), toracico (T) o
dorsale (D), lombare (L) e sacrale (S) e vi è poi il coccige che presenta 3 4
vertebre rudimentali; all’interno della colonna si trova un importante organo
del sistema nervoso centrale, ovvero il midollo spinale. La colonna
comprende 33 vertebre che si articolano l’una sull’altra: 7 cervicali (C1-C7),
12 dorsali o toraciche (T1-T12), 5 lombari (L1-L5), 5 sacrali (S 1-5, fuse tra
loro) e 4 coccigee (fuse, senza articolazioni).
La colonna presenta una forma ad S e presenta 4 curve a concavità dorsale
(lordosi) o a concavità ventrale (cifosi) alternata, che hanno funzione di
sostegno e di equilibrio della postura: questa conformazione, infatti, le
permette di avere una resistenza 10 volte maggiore rispetto alla struttura
rettilinea e di fornire un’adeguata protezione al midollo spinale che trasferisce
impulsi o acquisisce informazioni tramite nervi spinali.
Tra una vertebra è l’altra vi è l’interposizione dei cosiddetti dischi
intervertebrali (sinfisi, fissa): la loro struttura presenta due parti, una centrale
(nucleo polposo), di consistenza gelatinosa e molle poiché molto ricca di
acqua, e una periferica (anello fibroso), di consistenza fibrocartilaginea,
formata dalla successione di strati fibrosi concentrici. Il nucleo è privo di vasi
sanguigni quindi il disco lesionato o distrutto non può più essere riparato o
rigenerato e può rompere l’anello fibroso e penetrare nel canale vertebrale,
determinando la comparsa di un’ernia del disco.
Per quanto riguarda la morfologia delle vertebre, queste sono ossa brevi,
caratterizzate da una serie di processi: presentano un corpo cilindrico di
tessuto spugnoso, rivestito internamente da tessuto osseo compatto, e
dorsalmente un arco diviso in estremità prossimale (peduncolo) ed estremità
distale (lamina), che va a fondersi con l’estremità controlaterale, formando il
foro intervertebrale (in cui alloggia il midollo spinale). Tra le vertebre si
stabiliscono due tipi di articolazioni, sinartrosi, per la presenza dei dischi
intervertebrali (tra le due superfici articolari si interpone del tessuto
cartilagineo fibroso), e artrodie tra processi articolari superiori e inferiori (è
presente la capsula articolare).
GABBIA TORACICA
Le sue ossa costitutive sono rappresentate dalle 12 vertebre toraciche, dalle
12 paia di coste e dallo sterno (osso impari). La forma complessiva è un
tronco di cono, svolge un’importante funzione protettiva per gli organi di
sistema circolatorio e respiratorio, non va confusa con la cavità viscerale (di
dimensioni più ridotte, che contiene le due logge pleuropolmonari e il
mediastino), presenta una stretta apertura superiore e un’apertura inferiore
più larga (deve accogliere delle strutture anatomiche, come l’aorta o la vena
cava inferiore, che passano attraverso i cosiddetti iati o orifizi); risulta
particolarmente flessibile ed elastica, poiché deve adeguarsi alla
respirazione, espansione durante l’espirazione e ritorno durante l’inspirazione
(ha articolazioni mobili); i muscoli possono essere estrinseci (muscoli che
hanno origine e inserzione in due diversi distretti anatomici, per esempio
muscoli accessori come il muscolo sternocleidomastoideo o i muscoli
dell’addome) o intrinseci (muscoli che hanno origine e inserzione nello stesso
distretto anatomico, ovvero nel torace, ad esempio muscoli intercostali che si
dispongono tra due coste in successione; la loro caratteristica morfologica è
un’organizzazione metamerica, ovvero segmentale).
Si hanno 12 paia di coste divise in tre gruppi, in relazione all’articolazione con
lo sterno: dalla prima alla settima si articolano direttamente con lo sterno e
vengono definite coste sternali o vere; dall’ottava alla decima vengono
definite coste asternali o false, poiché hanno un’estremità sternale che si
articola con la cartilagine della costa precedente; l’undicesima e la
dodicesima vengono definite coste libere o fluttuanti, poiché non hanno
nessun rapporto articolare con lo sterno.
Dal punto di vista strutturale, le coste, seppur allungate, hanno le stesse
caratteristiche delle ossa piatte, con la struttura diploe (osso spugnoso
interno rivestito da due tavolati di osso compatto), hanno un andamento
curvilineo, arcuato e, partendo dalla vertebra, si dirigono indietro, poi piegano
lateralmente in avanti fino a raggiungere lo sterno, descrivendo il cosiddetto
arco costale, il quale aumenta di dimensioni dalla prima verso la settima,
facendo anche ampliare la cavità toracica. Le coste hanno un corpo e due
estremità, di cui quella anteriore é costituita da cartilagine ialina, mentre
quella posteriore presenta una testa (che si articola sulle superfici articolari al
confine tra corpo e arco delle vertebre toraciche), un corpo e un tubercolo
che si articola sulle faccette articolari sui processi trasversi.
Oltre a queste estremità, le coste presentano un angolo costale, descritto
quando il corpo dell’estremità posteriore della costa si porta in basso in avanti
verso l’estremità sternale (ovvero quando forma l’arco costale), e un solco
costale (nel margine inferiore, una depressione dove transitano vasi e nervi,
importante in alcuni interventi chirurgici).
Alcune coste atipiche hanno una morfologia leggermente diversa: la prima
costa, piuttosto piccola e tozza, non molto ampia che presenta una faccetta
articolare che si articola con la parte superiore della prima vertebra toracica
(dove non si formano emifaccette, poiché non c’è una vertebra contigua che
può realizzare l’articolazione completa); l’undicesima e la dodicesima hanno
la caratteristica di essere più sottili e più corte anche perché non partecipano
alla costituzione della gabbia toracica, e, non presentando un tubercolo, si
articolano impropriamente con i processi trasversi mediante dei legamenti
(fasci fibrosi).
Eventuali danni alle costole potrebbero provocare danni più gravi, visto la
stretta vicinanza tra costole, diaframma, fegato (a destra) e milza (a sinistra),
tra cui pneumotorace (aria nella pleura, sacco sieroso che riveste il polmone,
che lo fa collassare non permettendogli di espandersi) o lesione dei vasi
sanguigni (si determina l’emotorace, sangue nei polmoni o nella pleura).
SCHELETRO APPENDICOLARE
Lo scheletro appendicolare presenta due cingoli o cinti, come il cingolo
scapolare o toracico per l’arto superiore e il cingolo pelvico per l’arto inferiore
(gli arti non sono direttamente inseriti sulla colonna vertebrale!).
ARTO SUPERIORE
Il cinto scapolare e costituito da clavicola e scapola, entrambe ossa piatte.
Per quanto riguarda la parte appendicolare, il braccio presenta un unico
segmento osseo, l’omero, mentre sull’avambraccio, vi sono ulna e radio,
disposte in parallelo: sono tutte e tre ossa lunghe, quindi presentano una
diafisi e due epifisi (l’epifisi prossimale è il punto più vicino al tronco, quella
distale è il più lontano); la mano presenta diverse porzioni, il polso (il cui osso
è il carpo), il palmo (la base delle dita, il cui osso è il metacarpo) e le dita (le
cui ossa sono le falangi).
La scapola è un osso triangolare, con apice rivolto in basso, è solo applicata
alla parete posteriore della gabbia toracica ma non ha nessun contatto
articolare ed è tenuta in sede da legamenti e fasci muscolari; la clavicola è
articolata con la scapola e con lo sterno, unico elemento osseo che
garantisce l’inserzione dell’arto sul tronco.
La superficie posteriore della scapola presenta un rilievo piuttosto appuntito,
definito spina,che compare sul margine mediale (al limite tra il terzo superiore
e i due terzi inferiori), per dirigersi poi in alto, esternamente, e terminare
incurvandosi in avanti con un processo chiamato acromion (punto che
permette l’articolazione acromio-clavicolare tra scapola e clavicola); la spina
divide la faccia posteriore della scapola in due fosse, sovraspinata e
sottospinata, in cui alloggiano due muscoli della spalla, importanti anche per
la stabilizzazione del cingolo scapolare. La faccia anteriore della scapola
presenta una concavità, definita fossa sottoscapolare, dove alloggia
l’omonimo muscolo; sul margine superiore lateralmente si osserva il
cosiddetto processo coracoideo, punto di attacco per la muscolatura della
spalla che non partecipa all’articolazione.
La clavicola (“piccola asta”) presenta una forma ad S italica, è sottile e piatta,
e ha un’estremità acromiale (che si articola con l’acromion della scapola) e
un’estremità mediale sternale (che si articola con l’incisura clavicolare sul
manubrio dello sterno).
Lateralmente al processo coracoideo, si trova la cosiddetta cavità o fossa
glenoidea, non molto ampia, di forma sferica, dove si realizza l’articolazione
scapolo-omerale (la scapola accoglie la testa sferica dell’omero, collegando
così lo scheletro appendicolare allo scheletro assile); la differenza di
ampiezza tra la testa dell’omero e la cavità glenoidea, tamponata dall’azione
del labbro o cercine glenoideo (anello cartilagineo), ha come vantaggio la
maggiore mobilità dell’arto superiore e come svantaggio la facile lussazione
che può avvenire (è un’articolazione molto mobile ma instabile). I muscoli
coinvolti nella stabilizzazione dell’articolazione sono muscolo sottoscapolare,
muscolo sottospinato e muscolo piccolo rotondo, i cui tendini convergono e
formano la cosiddetta cuffia del nuotatore (rinforzano la capsula articolare ed
evitano movimenti troppo ampi).
I movimenti che possono essere fatti dalla spalla (grazie all’enartrosi) sono
adduzione, abduzione e rotazione, nel movimento risultante di
circumduzione.
L’omero presenta una diafisi e due epifisi (quella prossimale si articola con la
scapola, quella distale con il radio mediante il condilo e con l’ulna mediante la
troclea). Dall’alto verso il basso si trovano: l’epifisi prossimale, il collo
anatomico (contatto tra epifisi e diafisi), sulla diafisi due tubercoli (maggiore e
minore), che rappresentano punti di inserzione per i muscoli della spalla e
sono divisi dal cosiddetto solco intertubercolare (dove si trova un tendine, per
il muscolo bicipite brachiale del braccio) e l’epifisi distale. Quest’ultima sul
lato interno presenta la troclea, simile a un cilindro, orientata
perpendicolarmente rispetto all’asse dell’osso (questa posizione rende
possibile il movimento di flessione dell’avambraccio), che al di sopra presenta
la cosiddetta fossa coronoidea (accoglie l’omonimo processo che fa parte
dell’ulna durante la flessione – sull’ulna vi è una cosiddetta tuberosità che
permette l’inserzione del muscolo brachiale, responsabile della flessione –),
al lato la cosiddetta fossa radiale (accoglie l’epifisi prossimale del radio
durante la flessione), posteriormente la fossa olecranica (profonda, accoglie
l’omonimo processo dell’ulna durante l’estensione), termina con il processo
stiloideo (non articolare, che stabilizza l’articolazione del polso) e presenta,
infine, l’articolazione radio-ulnare, ginglimo trocoide (la superficie articolare
ha un orientamento parallelo all’asse maggiore dell’osso, che permette il
movimento di pronosupinazione).
La mano presenta una serie di ossa brevi che vanno a costituire il carpo, con
cui il radio è in rapporto articolare (mentre l’ulna no, dal momento che è più
arretrata): il carpo è costituito da 8 ossa, due fila di 4 elementi (4 ossa
prossimali, scafoide, semilunare, piramidale e pisiforme – articolazione
radio-carpica – e 4 ossa distali, trapezio, trapezoide, capitato e uncinato –
articolazione metacarpica); il metacarpo è costituito da 5 ossa lunghe che si
estendono a raggiera; le dita sono formate dalle falangi (14 in totale, 2 nel
pollice – prossimale e distale – e 3 nelle altre dita – prossimale, media e
distale –).
Ricapitolando le articolazioni: tra radio e carpo vi è una condilartrosi, tra le
ossa carpiche vi sono artrodie, tra il trapezio e il I osso metacarpale vi è
un’articolazione a sella, tra il I osso metacarpale e la falange vi è una troclea,
tra il metacarpo e le falangi vi è una condilartrosi, tra le falangi vi sono delle
troclee e le falangi distali presentano delle tuberosità ungueali.
ARTO INFERIORE
L’arto libero inferiore comprende la coscia (femore), la gamba (tibia e fibula) e
il piede (caviglia, pianta e dita, ovvero tarso, metatarso e falangi). Il cinto
pelvico è formato dalle ossa dell’anca, ileo, ischio e pube, che, durante
l’embriogenesi, sono separate da cartilagine ialina, ma intorno ai 25 anni si
fondono in corrispondenza di una fossa, chiamata acetabolo, formando un
unico corpo, di cui l’ileo rappresenta la porzione superiore, l’ischio la porzione
postero-inferiore e il pube la porzione antero-inferiore, e che accoglie la testa
del femore, costituendo l’articolazione coxo-femorale. L’osso coxale è un
osso piatto, irregolare, simile ad un 8, sul cui margine superiore si possono
notare la cosiddetta cresta iliaca, che dà attacco alla muscolatura del bacino
e che termina con una sporgenza, la spina iliaca antero-superiore (in basso
più rientrata è presente anche la spina iliaca antero-inferiore) e le cosiddette
linee glutee, punti di inserzione dei muscoli glutei; sulla faccia interna, si nota
un’ampia depressione, la fossa iliaca, che dà spazio alla cavità pelvica; nella
regione postero-mediale, si trova la tuberosità iliaca, anch’essa punto di
inserzione per la muscolatura; infine, si può notare anche il foro otturatorio,
compreso tra ischio e pube, attraverso cui passano nervi e vasi dal bacino
fino alla coscia.
Le ossa dell’anca si articolano posteriormente con il sacro (artrodia),
anteriormente tra di loro (sinfisi), formando la cavità viscerale del bacino (o
pelvi).
La tibia e la fibula sono le due ossa costitutive della gamba, sono disposte
parallelamente (tibia in posizione mediale rispetto alla fibula) e, come
articolazioni reciproche, presentano a livello prossimale un’artrodia, mentre a
livello distale una sinartrosi. La fibula non si articola, ha solo funzione
stabilizzante per la gamba, mentre la tibia si articola con il femore (tramite
l’epifisi prossimale) e con il tarso (tramite l’epifisi distale). In particolare la tibia
è costituita da un’epifisi prossimale, una diafisi e un’epifisi distale: la prima
presenta i condili mediale e laterale per l’articolazione con il femore; la
seconda presenta anteriormente una cresta (ben palpabile sotto la cute); la
terza è molto sottile e termina con un processo voluminoso, il cosiddetto
malleolo mediale, che si articola con l’astragalo della caviglia.
Lo scheletro del piede è composto dalle ossa del tarso (7 ossa, di cui due,
l’astragalo o talo e il calcagno sono più voluminose e sostengono il peso del
corpo – in particolare il primo si articola con la tibia e trasmette il peso del
corpo sul secondo) e del metatarso (5 ossa lunghe) e dalle falangi (2
nell’alluce, prossimale e distale e 3 nelle altre dita, prossimale, media e
distale).
Il piede presenta una forma arcuata (arco plantare), con una faccia superiore
convessa e una faccia inferiore concava. Le ossa del piede sono tenute
insieme da legamenti e tendini, in modo da formare degli archi che
conferiscono una certa elasticità al piede; se questi cedessero, si avrebbe il
“piede piatto”. In realtà per azione dei legamenti, si formano tre arcate, due
longitudinali e una trasversale; alla nascita non sono presenti, si sviluppano
successivamente.
Il piede presenta numerose articolazioni, che complessivamente consentono
al piede una mobilità più ridotta rispetto alla mano: una troclea tra tibia e
astragalo, delle artrodie all’interno del tarso, tra tarso e metatarso e tra
astragalo e calcagno, delle condilartrosi tra metatarso e falangi e delle troclee
tra le singole falangi.
TESSUTO MUSCOLARE
Il tessuto muscolare presenta caratteristiche peculiari, come eccitabilità
(capacità di rispondere ad uno stimolo), contrattilità (capacità di contrarsi,
generando movimenti delle formazioni a cui è legato), estensibilità (capacità
di allungarsi oltre la normale lunghezza di riposo) ed elasticità (capacità di
ritornare alle dimensioni originarie dopo l’iperestensione).
Ci sono tre tipi di tessuto muscolare: striato scheletrico (riguarda l’apparato
locomotore), striato cardiaco (riguarda il miocardio) e liscio (riguarda i visceri).
MUSCOLI
Il movimento è consentito grazie alla contrattilità muscolare e alla liberazione
di energia termina (partendo da energia chimica e meccanica).
I muscoli presentano due punti di ancoraggio sulle ossa, inserzione (viene
spostato durante la contrazione) e origine (resta fisso durante la contrazione).
La parte centrale (carnea) del muscolo è denominata ventre muscolare e
rappresenta la parte carnosa, in cui si trovano fibre muscolari, vasi sanguigni
e tessuto connettivo. La parte fibrosa del muscolo è rappresentata dal
tendine, la cui azione assicura la trasmissione del movimento all’osso e che è
costituito da tessuto connettivo, ovvero da fibre collagene ed elastiche.
SISTEMI DI LEVE
I segmenti ossei agisocno come sistemi di leve, che si spostano durante i
movimenti utilizzando le articolazioni (costituiscono il fulcro delle leve). La
leva è una struttura che si muove facendo perno sul fulcro (rappresentata
dall’articolazione) e si parla di forza applicata (rappresentata dal muscolo) e
resistenza (ostacolo che incontra il muscolo durante il movimento).
Si hanno 3 classi di leve:
le leve di prima classe presentano il fulcro interposto tra forza applicata e
resistenza e permettono il movimento tipico di un’altalena o di un paio di
forbici; un esempio può essere l’articolazione atlanto-occipitale (nuca).
le leve di seconda classe presentano la resistenza interposta tra fulcro e
forza applicata e permettono il movimento tipico di una carriola (ovvero, con
scarsa velocità); un esempio può essere il muscolo del polpaccio.
le leve di terza classe presentano la forza applicata interposta tra fulcro e
resistenza e garantiscono velocità ma con scarsa efficienza meccanica; un
esempio può essere il bicipite brachiale.
I muscoli possono essere classificati in base a come agiscono rispetto
all’articolazione, al tipo di movimento che determinano, alla posizione
anatomica, al numero di capi tendinei (bicipiti, tricipiti o quadricipiti, bicipite e
tricipite brachiale determinano flessione ed estensione dell’avambraccio,
bicipite e quadricipite femorale determinano flessione ed estensione del
ginocchio), o in base alla disposizione spaziale delle fibre. Ad esempio, i
muscoli fusiformi presentano lunghe fibre che consentono movimenti ampi e
con una notevole potenza; i muscoli pennati presentano fibre disposte
obliquamente rispetto ad un tendine, situato all’interno della massa carnea
(come l’estensore che è monopennato, il muscolo associato al femore che è
bipennato e il deltoide che è multi pennato); i muscoli a più inserzioni, come
bicipiti e tricipiti, sono costituiti da più ventri, che ad un’estremità convergono
in un tendine comune; i muscoli circolari, presentano fascicoli disposti con un
andamento circolare concentrico e formano i muscoli sfinteri, che regolano la
pervietà degli orifizi (come il muscolo orbicolare dell’occhio); i muscoli larghi
presentano ventre appiattito e si ancorano a strutture fibrose larghe, le
aponevrosi (che sostituiscono il tendine); i muscoli poligastrici presentano più
ventri disposti in serie, separati da una porzione tendinea.
I muscoli possono essere intrinseci o estrinseci, a seconda che essi,
rispettivamente, abbiano origine e inserzione nella stessa regione corporea o
in diverse parti del corpo.
I muscoli possono agire come agonisti, ovvero responsabili di un movimento
in particolare (ad esempio flessione), come sinergici, che partecipano
all’azione del muscolo agonista, contribuiscono allo stesso movimento, o
come antagonisti, muscoli motori primari che contrastano l’azione degli
agonisti (ad esempio estensione).
I muscoli rappresentano una sede di iniezione dei farmaci: l’iniezione
intramuscolo presenta dei vantaggi, si possono iniettare grandi quantità di
farmaco in una volta, il farmaco entra in circolo gradualmente e
l’assorbimento è più rapido e meno irritante delle iniezioni sottocutanee, ma
può avere anche serie complicanze, come la perforazione di un vaso o la
lesione di un nervo. I principali siti sono il gluteo medio, il deltoide del braccio
e il vasto laterale della coscia nel bambino, ovvero muscoli voluminosi ma
con pochi vasi.
SISTEMA NERVOSO
Ha origine ectodermica (quindi, deriva dall’ectoderma); le sue funzioni
principali funzioni sono: integrazione, processamento e coordinamento delle
informazioni sensitive e degli stimoli motori, è sede di funzioni superiori quali
intelligenza, memoria, apprendimento ed emozioni, raccoglie le informazioni,
che vengono trasportate, tramite il sistema nervoso periferico, al sistema
nervoso centrale. Il sistema nervoso è, infatti, costituito da una componente
centrale e da una componente periferica.
Il sistema nervoso centrale è rappresentato dall’encefalo (tutti gli organi
all’interno della cavità cranica) e dal midollo spinale (fa parte delle strutture
assili, comunica con l’encefalo tramite il grande foro occipitale): tutti gli organi
sono caratterizzati dalla presenza di una cavità interna, che si sviluppa
durante la fase embrionale nel momento in cui si forma l’abbozzo del sistema
nervoso centrale, ovvero il tubo neurale, all’interno del quale circola il liquido
cerebrospinale (che è contenuto in tutti gli organi del sistema nervoso
centrale indistintamente), che svolge importanti funzioni meccaniche e
trofiche; le cavità presenti all’interno dell’encefalo vengono definite ventricoli
(distinti con numeri romani e tutti comunicanti tra loro), mentre quella
presente nel midollo spinale canale centrale.
Il sistema nervoso periferico è costituito da: recettori sensitivi, dislocati a
livello di pelle, muscoli, articolazioni, organi interni o organi specializzati
(come occhio e orecchio) che possono essere terminali nervosi o cellule
specializzate; gangli, agglomerati di neuroni e tessuto connettivo, di forma
corpuscolare ellissoidale, delimitato da un involucro, al cui interno vi è uno
stroma, si trovano, ad esempio, lungo il decorso dei nervi; nervi, associazioni
di fibre nervose, ovvero neuriti (assoni, prolungamenti maggiori dei neuroni),
si dividono in nervi cranici (12 paia, o meglio 10 poiché i primi due – nervo
olfattivo e nervo ottico – hanno una componente periferica molto limitata) e
nervi spinali (31 paia).
Nel tessuto nervoso, si trovano anche nervi periferici, che hanno una struttura
simile a quella delle fibrocellule muscolari; questi rappresentano
un’associazione di neuriti, ovvero di fibre nervose anche di diversa natura,
che presentano tre strati di involucro, epinevrio, più esterno, avvolge gruppi di
fibre nervose, perinevrio, intermedio, avvolge fibre nervose, ed endonevrio,
più interno, avvolge la singola fibra nervosa (simili ad epimisio, perimisio ed
endomisio).
Altri elementi rintracciabili in questo tessuto, sono le sinapsi: queste possono
essere chimiche, ovvero spazi sinaptici interposti tra membrana pre e post-
sinaptica, o elettrica, ovvero connessioni intercellulari, canali, mai terminali.
Una sinapsi elettrica ha carattere eccitatorio, nella propagazione è molto
veloce (manca il ritardo sinaptico tipico della sinapsi chimica, ovvero quel
lasso di tempo tra l’espulsione del neurotrasmettitore dalla membrana pre-
sinaptica e il legame con il recettore corrispondente sulla membrana post-
sinaptica), non presenta una direzionalità dell’impulso, che può quindi
diffondere in entrambi i sensi, e questo rappresenta anche uno svantaggio
per queste sinapsi che non possono direzionare l’impulso, quindi non
possono integrare più segnali. Queste sinapsi si usano quando serve rapidità
nella trasmissione del segnale (nei circuiti dei sistemi di fuga dei pesci o dei
molluschi o nel sistema visivo dei vertebrati) o quando è richiesta la
sincronizzazione nell’attività di più cellule (ad esempio, nel muscolo cardiaco
le fibre devono contrarsi simultaneamente). Quindi, queste sinapsi sono più
rapide ma meno efficaci e meno diffuse rispetto alle sinapsi chimiche.
Una sinapsi chimica, o neurotrasmettitore, può avere carattere eccitatorio o
inibitorio o entrambi: ad esempio, l’acetilcolina o il glutammato hanno
carattere eccitatorio, la glicina o il gaba (acido gamma-amminobutirrico)
hanno carattere inibitorio, mentre la serotonina, la dopamina e la
noradrenalina possono avere sia carattere eccitatorio sia inibitorio. Questa
trasmissione sinaptica avviene grazie ad un mediatore chimico, che modifica
la permeabilità ionica della membrana post-sinaptica: ad esempio, se come
mediatore chimico abbiamo un flusso di ioni sodio all’interno della cellula,
sulla membrana post-sinaptica, avviene una depolarizzazione (potenziale
post-sinaptico eccitatorio); mentre, se come mediatore chimico abbiamo un
flusso di ioni potassio all’interno della cellula, sulla membrana post-sinaptica,
avviene un’iperpolarizzazione (potenziale post-sinaptico inibitorio).
Le sinapsi possono essere di tre tipi: asso-somatiche, tra il versante pre-
sinaptico e il pirenoforo, asso-dendritiche, tra assone e dendrite, e asso-
assoniche, tra l’assone pre-sinaptico e quello post-sinaptico. In genere, le
sinapsi si verificano con altri neuroni, ma possono anche essere citoneurali (o
neuro-ghiandolari o neuro-muscolari).
SENSIBILITA’
Il compartimento sensitivo ha a che fare con sensazioni accompagnate da
una partecipazione emozionale e con i sensi di piacere, disgusto, paura, ecc.
Lo stimolo della sensazione può essere ben localizzabile (discriminabile)o
meno e può avere una maggiore o minore partecipazione affettiva. Si
distinguono due gruppi diversi di sensibilità, a diverso significato filogenetico:
la sensibilità protopatica, poco discriminabile (meno localizzabile) a maggior
contenuto affettivo (es. sensibilità dolorifica), e la sensibilità epicritica,
altamente discriminabile (più localizzabile) a scarso contenuto emozionale
(es. sensibilità tattile). In realtà in una sensazione, vi sono entrambe le
componenti (protopatica ed epicritica) ma una finisce sempre per prevalere
sull’altra.
Dal punto di vista generale, la sensibilità può essere suddivisa in somatica e
viscerale: la prima viene generata a livello cutaneo (sensibilità esterocettiva)
o a livello artro-muscolare e tendineo (sensibilità propriocettiva, che, per
misurare la tensione del muscolo, utilizza dei propriocettori, come i fusi
neuromuscolari), mentre la seconda a livello di organi interni (sensibilità
introcettiva).
MIDOLLO SPINALE
Il midollo spinale è uno stelo cilindrico, lungo 45 cm ed è contenuto nel
canale vertebrale (lungo 65cm); data la diversa lunghezza, il midollo spinale
termina in corrispondenza della seconda vertebra lombare. Sul midollo
spinale, si osservano due rigonfiamenti, uno a livello cervicale e uno a livello
sacrale, dovuti all’origine dei nervi destinati rispettivamente agli arti superiori
ed inferiori.
Il midollo spinale ha una disposizione metamerica, le cui unità funzionali
vengono definite neuromeri (o mielomeri, che vanno ad innervare i
dermatomeri e i miomeri, porzioni rispettivamente di cute e muscolo): vi sono
8 neuromeri cervicali, ciascuno caratterizzato dalla presenza di una coppia di
nervi spinali (di cui il primo nervo non ha un’emergenza in corrispondenza del
foro intervertebrale, ma tra la base del cranio e la prima vertebra cervicale e
per questo i nervi sono 8 mentre le vertebre 7), 12 neuromeri toracici, 5
neuromeri lombari, 5 neuromeri sacrali e 3-4 neuromeri coccigei rudimentali
(fusi tra loro, emerge un solo nervo coccigeo).
Al di sotto della seconda vertebra lombare, si trova una struttura filamentosa
definita cauda equina, formata a causa dell’andamento dei nervi spinali degli
ultimi neuromeri: normalmente, i nervi spinali hanno un decorso orizzontale (il
nervo fuoriesce in corrispondenza del foro intervertebrale che si trova allo
stesso livello) ma, in virtù della sproporzione di lunghezza tra midollo spinale
e canale vertebrale, negli ultimi neuromeri i nervi spinali percorrono un
tragitto piuttosto lungo per trovare il corrispondente foro intervertebrale.
Questa struttura si crea perché, dal quarto mese di vita intrauterina, la
colonna vertebrale si allunga più velocemente rispetto al midollo spinale, e si
assiste all’apparente ascesa del midollo spinale, che, quindi, si restringe nel
cono midollare e continua con il filamento terminale, il quale si fissa alla
faccia dorsale del coccige.
Il midollo spinale risulta rivestito da tre meningi, che inferiormente si fondono
insieme a costituire la guaina terminale, la quale avvolge il filamento
terminale: pia madre, aderente al midollo e molto sottile, aracnoide, ricca di
trabecole connettivali (simile alla tela di un ragno), e dura madre, esterna,
molto spessa e fibrosa, principale costituente del sacco durale.
Il midollo spinale non occupa tutto lo spazio del canale vertebrale. Infatti, la
dura madre divide questo spazio in uno più esterno, detto epidurale (o
peridurale, formato da materiale adiposo), e uno più interno, detto subdurale
(in corrispondenza dell’aracnoide), in cui si trova il liquido cefalo-rachidiano.
I mezzi di fissità del midollo spinale hanno la funzione di mantenere il midollo
in sede e sono, quindi, rappresentati dalle radici dei nervi spinali che da esso
emergono, dai fascetti fibrosi (legamenti denticolati), che partono dalla
superficie laterale e si portano alla dura madre, e dalla continuità del midollo
con il tronco encefalico.
Tipica di ciascun neuromero è la fessura mediana anteriore, che divide il
neuromero in due antimeri simmetrici e speculari, in ciascuno dei quali sono
presenti lateralmente, sia anteriormente sia posteriormente, i solchi laterali
anteriore e posteriore e da questi, emergono le radicole dei nervi spinali,
mentre sul lato posteriore, il midollo spinale presenta il solco mediano
posteriore.
Il midollo spinale contiene le cosiddette sostanza grigia e sostanza bianca
(rappresenta fibre mie linizzate, circonda la grigia ed è organizzata in
cordoni).
La sostanza grigia rappresenta corpi cellulari dei neuroni, fibre amieliniche e
dendriti; occupa una posizione interna e assume la forma di un’H con un
segmento anteriore, detto corno anteriore, e uno posteriore, detto corno
posteriore, connessi tra loro dalla massa intermedia (sia a destra sia a
sinistra, i corni sono 4 in tutto); inoltre, nella parte centrale della massa, si
trova un canale, detto canale centrale, che rappresenta la derivazione del
tubo neurale, è costituito da cellule ependimali e in cui si trova il liquido
cefalo-rachidiano.
Gli elementi contenuti all’interno della sostanza grigia non sono disposti
casualmente, ma sono disposti in base alla funzione che svolgono:
anteriormente, si trovano i neuroni a significato motorio, in particolare, più
ventralmente i neuroni motori somatici (che vanno ad innervare la
muscolatura scheletrica) e più dorsalmente i neuroni motori viscerali (che
vanno ad innervare i visceri); mentre, posteriormente, si trovano i neuroni a
significato sensitivo, in particolare, più ventralmente i neuroni sensitivi
viscerali (che raccolgono informazioni dai visceri) e più dorsalmente i neuroni
sensitivi somatici (che raccolgono informazioni dalla cute e dall’apparato
locomotore).
Vi sono due classi di neuroni presenti nella sostanza grigia: cellule radicolari,
ovvero le fibre che escono dal nevrasse e si portano alla periferia tramite le
radici anteriori, e gli interneuroni, ovvero le fibre che stabiliscono collegamenti
con le varie parti del nevrasse (collegamenti intranevrassiali).
Tra le cellule radicolari, si distinguono motoneuroni somatici e neuroni
effettori viscerali.
I primi provvedono all’innervazione motoria dei muscoli scheletrici,
comprendono motoneuroni (che innervano fibre muscolari extrafusali e
sono i più numerosi e i più voluminosi) e motoneuroni (che innervano fibre
muscolari intrafusali), e ricevono impulsi dai neuroni gangliari e dalle vie
discendente dei sistemi piramidale ed extrapiramidale.
Isecondi provvedono all’innervazione motoria della muscolatura liscia (vasi,
visceri e ghiandole), sono i più piccoli, si arrestano in corrispondenza dei
gangli simpatici viscerali (da non confondere con i gangli spinali) a significato
motorio e costituiti da neuroni multipolari; lo schema di questo neurone
prevede che questo parta dalle radici anteriori dei nervi spinali e vada a
costituire la fibra pre-gangliare, per poi fermarsi in corrispondenza dei gangli
simpatici, da cui, successivamente, uscirà un altro neurone, che costituirà la
fibra post-gangliare.
La caratteristica degli interneuroni è che è i loro prolungamenti non
fuoriescono mai dal nevrasse. Si distinguono gli interneuroni del II tipo di
Golgi e gli interneuroni funicolari.
I primi sono neuroni multipolari, il cui neurite non si correda mai di guaina
mielinica, non esce dalla sostanza grigia e si ramifica a breve distanza.
Questi sono numerosi nella cosiddetta gelatina di Rolando (che si trova nella
parte dorsale della sostanza grigia e svolge un ruolo importante nella
filtrazione degli stimoli dolorifici, in quanto riceve afferenze di tipo sensitivo-
dolorifico, rappresentate dal neurite centrale dei neuroni pseudounipolari).
I secondi sono neuroni multipolari ad assone lungo, il cui neurite si correda di
guaina mielinica, si porta nella sostanza bianca e va a formare i fasci
fondamentali o funicoli, a significato sensitivo (ovvero connessioni tra i vari
tratti del midollo spinale o tra midollo spinale e tronco encefalico, che creano
le cosiddette vie ascendenti, le quali trasportano la sensibilità verso i centri
sovrassiali).
SISTEMA PIRAMIDALE
L’area interessata da questo sistema è l’area 4 (che rappresenta la corteccia
somato-motoria, da cui partono gli impulsi) costituita da neuroni piramidali;
attraverso quest’area, vengono trasmessi ai motoneuroni spinali e ai nuclei
somatomotori del tronco encefalico i segnali che determinano i movimenti
volontari. Lesioni di quest’area compromettono i movimenti volontari fini che
richiedono abilità e precisione e possono determinare paresi (movimenti
molto deboli), ipotonia (riduzione del tono muscolare) o spasticità (incapacità
di coordinamento dell’attività muscolare).
All’interno del sistema piramidale, si trovano anche vie extrapiramidali che
fungono da supporto. Il sistema extrapiramidale è multisinaptico e presenta
diverse interruzioni a livello di stazioni intermedie prima di giungere alle
cellule radicolari; la sua funzione è di cooperare con il sistema piramidale,
garantendo il supporto tonico nei movimenti volontari, di controllare il tono
muscolare, la postura nei movimenti volontari e involontari (in generale, il
sistema extrapiramidale si occupa di movimenti attitudinali, ovvero di quei
movimenti involontari associati a movimenti volontari). I più importanti centri
extrapiramidali sono: nuclei della base situati in profondità nel telencefalo
(putamen, nucleo caudato, nucleo pallido vanno a costituire un nucleo che
presenta delle striature, dovute a interposizioni di sostanza bianca), nucleo
subtalamico (diencefalo), nucleo rosso, sostanza nera, struttura coinvolta
nella patologia del morbo di Parkinson (mesencefalo) e oliva bulbare (bulbo).
Affianca il sistema extrapiramidale anche il cervelletto, con funzioni
coordinatrici e stabilizzanti.
ENCEFALO
L’encefalo rappresenta la massa nervosa contenuta nella scatola cranica;
costituisce la parte rostrale del nevrasse, ha la forma di un ovoide con asse
maggiore sagittale; è avvolto dalle meningi che lo separano dalla superficie
ossea (dura madre esternamente, aracnoide e pia madre).
Si distinguono 3 sezioni: tronco cerebrale, cervelletto e cervello (telencefalo e
diencefalo).
TRONCO CEREBRALE
Il tronco cerebrale è in continuazione con il midollo spinale e comprende, in
senso caudo-craniale, il midollo allungato o bulbo, il ponte e il mesencefalo. Il
tronco è collegato alla periferia da 12 paia di nervi cranici (i primi due sono
l’olfattivo e l’ottico, gli altri 10 sono periferici), che, a differenza dei nervi
spinali, non hanno un aspetto metamerico e non presentano sempre tutte le 4
componenti (alcuni possono essere solo sensitivi o solo motori), ad
eccezione del nono (nervo glosso-faringeo) e del decimo paio (nervo vago).
Si distinguono due diversi tipi di nuclei di sostanza grigia: nuclei propri del
tronco encefalico e nuclei dei nervi encefalici. I primi sono porzioni di
sostanza grigia dove le fibre in transito trovano intervallo sinaptico; ad
esempio, i nuclei gracile e cuneato. I secondi non hanno disposizione
segmentaria e sono raggruppamenti di neuroni che possono rappresentare
l’origine delle fibre motrici dei nervi cranici o la stazione di arrivo delle fibre
sensitive dei nervi cranici. Nell’ambito delle fibre motrici, si distinguono i
motoneuroni somatici ( e ) per i muscoli scheletrici e i neuroni viscero-
effettori, ovvero fibre pre-gangliari destinate alla muscolatura liscia. Per
quanto riguarda, invece, le fibre sensitive, queste hanno origine in un ganglio
pseudo-unipolare e arrivo nei nuclei sensitivi dei nervi cranici.
A questo punto, occorre fare una distinzione tra la parte ventrale del tronco
encefalico, definita piede, che è costituita prevalentemente da sostanza
bianca, e la parte dorsale, definita callotta o tegmento, ricca di formazioni
nucleari (grigie). Nel piede, si trovano, a livello del bulbo, piramidi e oliva
bulbare, a livello del ponte, fibre ponto-cerebellari, fibre piramidali e nuclei
basilari (fanno parte della via cortico-ponto-cerebellare), e, a livello del
mesencefalo, peduncoli cerebrali.
Per quanto, invece, riguarda la callotta: a livello del bulbo, si trovano il nucleo
del cordone laterale (che trasporta sensibilità protopatica e propriocettiva
incosciente), i nuclei dei fascicoli gracile e cuneato (che trasportano
sensibilità protopatica e propriocettiva incosciente) e il nucleo olivare inferiore
(che fa parte delle vie extrapiramidali e delle vie motorie); a livello del ponte,
vi sono i nuclei intercalati lungo la via acustica, ovvero i nuclei cocleari
(dorsale e ventrale), il nucleo del corpo trapezoide e il nucleo del lemnisco
laterale); a livello del mesencefalo, ci sono i nuclei intercalati lungo le vie
extrapiramidali, ovvero il nucleo rosso (contiene il pigmento eme), la sostanza
nera e la formazione reticolare (struttura presente anche nel IV ventricolo e
nell’acquedotto di Silvio, si spinge in basso fino a raggiungere i primi
neuromeri cervicali, è molto importante in quanto consente la propagazione
degli impulsi e l’amplificazione dei segnali somatici e viscerali, è
indispensabile per il mantenimento di stati fisiologici come sonno, veglia o
attenzione ed, infine, interviene lungo le vie discendenti appartenenti al
sistema extrapiramidale).
La sostanza bianca, invece, è abbondante nel piede e nella callotta è
intercalata tra i nuclei; i fasci di sostanza bianca hanno un decorso
prevalentemente longitudinale, ad eccezione del ponte, in cui i fasci ponto-
cerebellari hanno un decorso trasversale. Vengono distinte vie proiettive
ascendenti, vie discendenti e via di associazione.
CERVELLETTO
è un organo sovrassiale, la sua posizione precisa è in fossa cranica
posteriore, alloggiato a livello delle fosse cerebellari della squama
dell’occipitale; ha una forma ellissoidale (con un asse maggiore trasversale di
9 cm –orizzontale- e un diametro sagittale di 6 cm –verticale-).
Al suo interno si distinguono: verme (che si trova in posizione intermedia,
così chiamato perché è una formazione solcata, impari e ai suoi lati è
presente l’ilo) ed emisferi cerebellari (all’interno delle omonime fosse
cerebellari).
È collegato al tronco encefalico per mezzo di 3 paia di cordoni di sostanza
bianca, ovvero i peduncoli cerebellari (i superiori, o corpi restiformi, si
collegano al mesencefalo, i medi al ponte e i superiori al bulbo), che passano
per l’ilo: qui vengono raccolte fibre che trasportano informazioni motorie,
sensitive (sensibilità propriocettiva) e vestibolari; la faccia superiore è invece
in rapporto con i lobi occipitali grazie al tentorio (formato da due spioventi).
Complessivamente, il cervelletto è definito arbor vitae, poiché la sua
organizzazione assomiglia a quella di un albero. La superficie del cervelletto
presenta una serie di solchi paralleli e trasversali di varia profondità: i meno
profondi formano le lamelle cerebellari (formazioni più sottili), i più profondi
costituiscono le lamine cerebellari; mentre, i solchi ancora più profondi
(scissure) suddividono l’organo in tre lobi con diverso significato funzionale,
flocculo-nodulare (flocculo = estroflessioni ai lati del verme), anteriore e
posteriore tutta questa organizzazione è dovuta alla necessità di ampliare
la superficie d’azione della corteccia cerebellare, poiché questa è molto
importante soprattutto per i movimenti.
Analizzando i tre lobi:
Il lobo flocculo-nodulare (inferiormente) è anche definito archicerebellum,
poiché è il più filogeneticamente antico; è collegato ai quattro nuclei
vestibolari posizionati tra bulbo e ponte che ricevono informazioni relative
all’equilibrio dai recettori dell’orecchio interno; è connesso funzionalmente al
mantenimento della postura, dell’equilibrio e del tono muscolare del tronco;
Il lobo anteriore è anche definito paleocerebellum, riceve impulsi della
sensibilità propriocettiva incosciente, invia impulsi alla formazione reticolare,
al nucleo rosso e al nucleo olivare inferiore; svolge funzioni di controllo
del’equilibrio, della postura e del tono muscolare degli arti inferiori;
Il lobo posteriore è anche definito neocerebellum, poiché è il più
filogeneticamente recente; è anche il più esteso e ciò corrisponde ad una
maggiore capacità funzionale, collegata al movimento; è collegato al
telencefalo, al nucleo rosso, ai nuclei pontini e al nucleo olivare inferiore; ha
la funzione di coordinare i movimenti volontari e automatici degli arti.
Diencefalo
Il diencefalo è una formazione impari e mediana, ricoperta interamente dal
telencefalo, è visibile solo sulla faccia ventrale dell’encefalo, anteriormente ai
peduncoli cerebrali.
Partendo da dietro, è costituito da quattro formazioni ventrali, ovvero corpi
mammillari, tuber cinereum con l’ipofisi, chiasma ottico e lamina terminale.
Inoltre, al suo interno, il diencefalo contiene una cavità, il III ventricolo (in cui
si trova il liquido cefalo-rachidiano), comunicante in basso con l’acquedotto
mesencefalico e lateralmente con i ventricoli telencefalici, tramite i forami
laterali di Monroe. La faccia dorsale del diencefalo presenta la tela corioidea
e l’epifisi; la faccia ventrale presenta l’ipotalamo (con chiasma ottico, tuber
cinereum, ipofisi e corpi mammillari); le facce laterali presentano i vari talami
(formazioni grigie orientate obliquamente verso il davanti e l’interno); la faccia
anteriore è stretta, ma estesa al chiasma ottico dai forami di Monroe; infine, la
faccia posteriore è virtualmente compresa tra i tubercoli quadrigemini
superiori e i corpi mammillari.
Per quanto riguarda la conformazione interna del diencefalo, si distinguono 5
porzioni di sostanza grigia, subtalamo, ipotalamo, talamo, metatalamo ed
epitalamo.
Il subtalamo è definito talamo ventrale, è una formazione di tipo
extrapiramidale (è implicato nell’esecuzione di movimenti volontari), è situato
al di sotto del solco ipotalamico, è costituito da nuclei di sostanza grigia e
fibre di sostanza bianca intercalate tra essi.
L’ipotalamo comprende chiasma ottico, tuber cinereum e corpi mammillari,
quindi, corrisponde al diencefalo ventrale. Si individuano quattro regioni:
quella posteriore è connessa con le vie olfattive (corpi mammillari); quella
intermedia presenta una serie di nuclei che fanno parte dell’eminenza
mediana; quella anteriore sovra-ottica comprende i nuclei sovra-ottico e
paraventricolare, che producono due ormoni, l’ossitocina che stimola la
contrazione della muscolatura uterina e la vasopressina ADH, che induce il
riassorbimento di acqua a livello renale e vasodilatazione nelle arteriole;
quella anteriore pre-ottica presenta i nuclei pre-ottici laterale e mediale, che
agiscono sul sistema nervoso autonomo.
L’ipotalamo svolge quindi una duplice funzione: controllo sull’attività
endocrina e controllo sull’attività vegetativa. Per quanto riguarda il primo, oltre
all’attività dei nuclei sovra-ottico e paraventricolare sul lobo posteriore
dell’ipofisi, la neuro-ipofisi, bisogna tener conto anche dell’attività dei nuclei
parvocellulari sul lobo anteriore dell’ipofisi, l’adeno-ipofisi, che controllano il
rilascio di ormoni ipofisari (di inibizione o di attivazione secondo feedback:
viene rilasciato un ormone di attivazione se i livelli dello stesso ormone nel
sangue scendono), i quali agiscono sugli organi bersaglio (ad esempio
ghiandole endocrine). Per quanto riguarda il secondo, l’ipotalamo anteriore
controlla il tono parasimpatico (bradicardia, ipotensione, salivazione,
sudorazione, miosi – restringimento della pupilla – e ipermotilità gastro-
intestinale), mentre l’ipotalamo posteriore controlla il tono ortosimpatico
(tachicardia, ipertensione, midriasi – dilatazione della pupilla – e ridotta
peristalsi intestinale. Infine, nell’ipotalamo sono presenti anche altri centri
come: centro della fame, centro della sete, centro della veglia, centro di
regolazione termica.
Il talamo è una formazione ovoidale, anteriormente in rapporto con le colonne
del fornice, con un diametro sagittale di 3-4 cm e un diametro trasverso di 2
cm, la cui faccia mediale è rappresentata dalla parete laterale superiore del III
ventricolo e il cui polo posteriore, detto pùlvinar, è in rapporto con la lamina
quadrigemina. È costituito da sostanza bianca, che si divide in peritalamica
(superficiale) e intratalamica (suddivide il talamo in diversi territori), e da
sostanza grigia organizzata in nuclei, che, a seconda della loro funzione, si
dividono in specifici (intercalati lungo le vie sensitive) e non specifici (ricevono
impulsi dalla formazione reticolare e sono caratterizzati da collegamenti
talamo-corticali diffusi).
Il talamo svolge tre funzioni: rappresenta una stazione d’arresto obbligata
lungo le vie sensitive (lemnisco spinale, mediale e trigeminale), poiché qui gli
impulsi, soprattutto quelli che presentano una ricca componente protopatica,
subiscono un’integrazione, che consiste nell’arricchimento di un contenuto
emozionale; connette il cervelletto alla corteccia telencefalica, esercitando un
controllo sul tono e sull’attività muscolare; grazie ad un sistema attivatore
costituito dai nuclei non specifici, mantiene un certo livello di attività elettrica
della corteccia telencefalica necessario per l’elaborazione degli impulsi.
Il metatalamo è costituito da quattro rilievi che sporgono postero-
inferiormente rispetto al talamo, ovvero i due corpi genicolati mediali e i due
corpi genicolati laterali.
L’epitalamo è la regione posteriore al III ventricolo ed è costituito dall’abenula,
collegata al sistema limbico e situata anteriormente al talamo, dalla
commessura posteriore, situata anteriormente all’epifisi, e dall’epifisi.
Quest’ultima è una ghiandola pineale, appartenente al sistema endocrino, ha
una forma ovoidale, misura 1 cm di lunghezza, produce melatonina, svolge
un’azione di controllo sullo sviluppo delle gonadi e può anche intervenire
nella regolazione dei ritmi circadiani (alternanza tra buio e luce).
VIE OTTICHE
Le vie ottiche comprendono nervi ottici, chiasma ottico, tratti ottici e tratti
genicolo-calcarini. Sulle retine di entrambi gli occhi, vengono proiettati i campi
visivi, ovvero parte di spazio che si può percepire. A livello della retina, se si
suddivide il campo visivo in parte destra e parte sinistra, la prima si proietta
sulla metà sinistra della retina e la seconda si proietta sulla metà destra:
questo perché dalla retina, i nervi ottici raggiungono il chiasma ottico e
successivamente vanno a formare i tratti ottici: per via della decussazione gli
impulsi provenienti dalla parte sinistra arriveranno a destra, quindi se è
lesionato il tratto ottico destro l’occhio non percepirà tutto ciò che è a sinistra
del campo visivo. In ogni caso, le vie ottiche fanno capo ai corpi genicolati del
metatalamo: le fibre che giungono al corpo genicolato laterale, che devono
informare la corteccia telencefalica della percezione visiva, si interrompono e
si forma la radiazione ottica (via proiettiva); a volte, altre fibre giungendo al
corpo genicolato laterale non si interrompono, ma, attraverso i bracci
congiuntivi superiori, arrivano ai tubercoli quadrigemelli superiori (risposta
riflessa alla luce).
Telencefalo
È formato da due emisferi telencefalici, è avvolto dalle meningi, comprende
formazioni commessurali interemisferiche, ovvero strutture impari e mediane
che svolgono funzioni associative tra i due emisferi quali:
corpo calloso: si trova in profondità, lungo la linea mediale, è spesso e
robusto, è costituito da sostanza bianca, è allungato in senso antero-
posteriore; è diviso in tre parti, una anteriore, il ginocchio, una
intermedia, il tronco, e una posteriore, lo splenio, che circonda il talamo;
è in rapporto inferiormente con il setto pellucido e il fornice
fornice: fa parte del sistema limbico; è sostanza bianca di forma
triangolare; aderisce parzialmente al corpo calloso; anteriormente vi
sono le colonne del fornice (cordoni), dirette verso i corpi mammillari,
posteriormente vi sono le gambe del fornice, dirette dietro al pulvinar
del talamo (ippocampo)
setto pellucido: è una lamina di tessuto nervoso, posta tra corpo calloso
in alto e fornice in basso; è sottile e trasparente; è costituito da due
lamine accollate di sostanza grigia e bianca, le cui fibre fanno parte
delle vie olfattive
commessura anteriore: è assegnata al sistema limbico, è situata
anteriormente alle colonne del fornice; risulta costituita da fibre
commessurali di allungamento fra i due emisferi, attraversando il 3°
ventricolo.
Nei due emisferi telencefalici, si distinguono:
NUCLEI DELLA BASE: sono situati in profondità e costituiti da sostanza
grigia; sono il corpo striato (è suddiviso in due parti dalla capsula interna e
comprende tre porzioni grigie, il nucleo caudato, si trova in una posizione
mediale rispetto alla capsula interna e comprende una testa, connessa
mediante sostanza grigia al nucleo lenticolare, un corpo, in rapporto con i
forami di Monroe, e una coda, in rapporto con i ventricoli laterali e con
l’amigdala, il nucleo o globo pallido e il putamen che insieme costituiscono il
nucleo lenticolare che è a forma di lente biconvessa e in cui il nucleo pallido e
il putamen occupano rispettivamente una posizione laterale e mediale
rispetto alla capsula interna; per quanto riguarda le funzioni svolte da questi
centri sottocorticali del sistema extrapiramidale, il nucleo caudato e il
putamen si occupano del controllo di movimenti automatici, mentre il nucleo
pallido si occupa del controllo dei movimenti fini), il claustro (situato tra
capsula esterna e capsula estrema, lateralmente al nucleo lenticolare e
collegato alla corteccia; ha un significato funzionale ancora incerto) e
l’amigdala (ha una forma a mandorla, è situata in profondità del lobo
temporale, è raggiunta dalla coda del nucleo caudato, è connessa alle vie
olfattive e fa parte del sistema limbico).
SOSTANZA BIANCA DEL TELENCEFALO: asportando il mantello
telencefalico (spesso 0.5 cm), si scopre il complesso di fibre bianche
sottocorticali, che presenta una forma ovale, da cui deriva la denominazione
di “centro” ovale o semiovale. La sostanza bianca del centro semiovale si
dispone in lamine parallele alla superficie encefalica e si distinguono capsula
interna (lamina a concavità laterale, interposta tra il talamo e il nucleo
caudato medialmente, il nucleo lenticolare lateralmente e in questa si
distinguono braccio anteriore, ginocchio e braccio posteriore), capsula
esterna (lamina bianca situata tra il claustro lateralmente e il nucleo
lenticolare) e capsula estrema (situata lateralmente al claustro); sia capsula
esterna sia estrema sono percorse da fibre proiettive ed associative.
AREE CORTICALI: si distinguono aree motorie, sensitive (proiettive) ed
associative.
L’area somato-motoria (area 4), situata anteriormente alla scissura di
Rolando, è la principale stazione di partenza del sistema piramidale. La sua
distribuzione compromette in varia misura i movimenti; l’arte s-m di destra
controlla di destra controlla la metà sinistra del corpo e viceversa.
La localizzazione somato-tipica (topografica) delle varie parti del corpo sulla
corteccia somato.motoria è definita omuncolo motorio. Le parti cefaliche
dell’organismo corrispondono alla parte più laterale dell’area; le parti più
caudali sono rappresentate medialmente. La rappresentazione non è
proporzionale alle dimensioni delle varie parti ma in rapporto alla finezza dei
movimenti.
Oltre all’area somato-motoria primaria, esiste un’area accessoria detta
corteccia post-rolandica (aree 3 e 1) e un’area anteriore alla 4, detta area
premotoria (aree 6 e 8): entrambe danno origine alle fibre del sistema
piramidale.
Vi sono diverse scissure: scissura di Rolando (tra lobo frontale e parietale),
scissura di Silvio (limita il lobo temporale), scissura parieto-occipitale (tra loro
parietale e lobo occipitale) e scissura del cingolo (limita il corpo calloso, e
quindi il lobo limbico).
I centri encefalici dell’extrapiramidale corrispondono all’area premotoria (6 e
8) in sintesi, il sistema piramidale rappresenta il primer dei movimenti
volontari, mentre l’extrapiramidale li coordina ed interviene nell’automatismo
degli stessi, per regolare la postura e l’equilibrio dinamico delle risposte
motorie.
CORTECCIA PREFRONTALE
è l’area corticale più complessa, interviene nelle funzioni di apprendimento e
capacità di ragionamento ed è responsabile dell’elaborazione intellettuale
astratta (conseguenze di azioni ed eventi).
Vi sono l’area di broca, ovvero quella del linguaggio, il campo visivo frontale
(o di associazione), che se viene lesionata provoca una mancanza nella
capacità di riconoscimento di oggetti, e l’area gnosica, collegata a capacità
interpretative generali.
Ricapitolando..
LOBO FRONTALE (corteccia motoria primaria) controllo dei movimenti
volontari
LOBO PARIETALE (corteccia sensitiva primaria) percezione conscia del
tatto, della pressione, delle vibrazioni, del dolore, della temperatura e del
gusto
LOBO OCCIPITALE (corteccia visiva) percezione conscia degli stimoli
visivi
LOBO TEMPORALE (corteccia uditiva e olfattiva) percezione conscia di
stimoli uditivi e olfattivi
TUTTI I LOBI (aree associative) integrazione ed elaborazione dei dati
sensitivi, elaborazione ed inizio delle attività motorie
SISTEMA LIMBICO
Rappresenta un “cervello viscerale” responsabile di ciò che l’individuo sente e
prova emotivamente; comprende un complesso di formazioni, tra cui il
rinencefalo, che servono all’integrazione degli impulsi viscerali, olfattivi e
somatici (appartenenti alla sfera affettiva), provocando risposte
comportamentali.
RINENCEFALO
Comprende le vie olfattive; ha origine dai neuriti delle cellule olfattive
(recettori sensitivi primari), che, successivamente, attraversano la lamina
cribrosa dell’etmoide e raggiungono i bulbi olfattivi, a forma di clava; qui
prendono contatto con le cellule mitrali, i cui neuriti formano i tratti olfattivi,
che raggiungono il setto pellucido e altre formazioni del sistema limbico.
Il sistema limbico è collegato alle vie olfattive e, oltre ad amigdala, neuroni del
setto pellucido, epitalamo, alcuni nuclei ipotalamici, fornice e commessura
bianca anteriore, comprende: circonvoluzione del corpo calloso (giro del
cingolo), circonvoluzione dell’ippocampo e il corno d’ammone (o ippocampo
ventrale).
FUSI NEUROMUSCOLARI
I fusi neuromuscolari sono fibre muscolari intrafusali (a sacca se i nuclei sono
raggruppati o a catena se sono organizzati in maniera lineare), disposte in
parallelo con fibre extrafusali (normali fibrocellule muscolari scheletriche), alle
cui estremità vi sono motoneuroni . Sono recettori di stiramento, ad
innervazione motoria: il riflesso da stiramento monosinaptico (miotatico)
provoca la contrazione del muscolo agonista e il rilassamento del muscolo
antagonista (es. riflesso patellare con il martelletto), per l’interposizione di un
interneurone inibitore, in maniera tale da completare la risposta (che è quindi
coerente tra agonista e antagonista); il riflesso da stiramento può essere
passivo, come nel caso del riflesso miotatico, o attivo, se è provocato dai
motoneuroni che si trovano alle estremità del fuso e scatenato da uno
stiramento del muscolo sottoposto ad un carico. Se il circuito agisce sulle
fibre intrafusali, su quelle extrafusali, invece, agiscono i motoneuroni che
rendono possibile la contrazione del muscolo.
Questi circuiti sono responsabili del mantenimento del tono muscolare ad un
livello costante e del mantenimento della lunghezza del muscolo.
SENSIBILITA’ SPECIFICA
Olfatto
L’epitelio olfattivo occupa la porzione superiore della cavità nasale e contiene
cellule basali, cellule di sostegno (cellule epiteliali colonnari della mucosa che
riveste il naso) e recettori olfattivi (neuroni di prim’ordine della via olfattiva). I
primi neuroni olfattivi attraversano la lamina cribrosa dell’etmoide e si portano
nella fossa cranica, dove diventano vie centrali; i tratti olfattivi veri e propri
iniziano dopo la formazione di una sinapsi a livello dei bulbi olfattivi, che si
trovano al di sopra della lamina cribrosa; gli impulsi olfattivi vengono portati al
lobo limbico, dove vengono integrati tra loro. La via olfattiva è, quindi,
composta dai fascicoli, costituiti dagli assoni mielinici dei recettori olfattivi, che
terminano nei bulbi olfattivi (cellule mitrali) e giungono nel lobo limbico e nel
lobo temporale della corteccia cerebrale, dove inizia la consapevolezza
dell’odore (grazie a cui si hanno reazioni proprie del sistema limbico).
Gusto
Il senso del gusto è localizzato a livello della mucosa della lingua e, in minor
parte, della laringe e della faringe. Cinque gusti vengono riconosciuti come
primari: acido, dolce, amaro, salato e umami (saporito, riferito al glutammato).
La percezione dei vari sapori è possibile grazie ai recettori, che alloggiano nei
calici gustativi (forma ovoidale), i quali sono contenuti nello spessore
dell’epitelio che tappezza le papille (sul dorso della lingua, sono circumvallate
–a V –, foliate, fungiformi o filiformi). La sensibilità gustativa è raccolta da
neuriti dei gangli pseudo-unipolari, che derivano da 3 nervi cranici (i quali
provengono dal bulbo del tronco encefalico), faciale intermedio (VII), glosso-
faringeo (IX) e vago (X). Successivamente, le molecole si sciolgono nella
saliva, penetrano nei pori gustativi ed entrano in contatto con i peli gustativi e
i recettori di membrana cellulare. In seguito, gli impulsi passano al sistema
limbico e al talamo, fino all’area gustativa primaria, presente nel lobo
parietale (opercolo) della corteccia cerebrale.
Udito-Equilibrio
Questi due sensi fanno capo all’orecchio, che è divido in tre segmenti:
orecchio esterno e orecchio medio, che non ricevono impulsi vestibolari ma
solo suoni, ed orecchio interno, che è rappresentata da una porzione
endocranica dell’osso temporale e presenta recettori vestibolari (nella regione
posteriore del labirito per gli stimoli stato-cinetici) ed uditivi (nella regione
anteriore del labirinto, la coclea).
L’orecchio esterno comprende il meato, ovvero il condotto uditivo esterno, e il
padiglione auricolare, posizionato al lato della testa, anteriormente alla
regione mastoidea, che ha la funzione di convogliare le onde sonore
(vibrazioni nell’aria) e di effettuarne una prima analisi, localizzando la
sorgente sonora (per lo più, la posizione laterale confonde sull’origine del
suono). Il padiglione presenta tre rilievi e una grande depressione: i primi
sono rappresentati da elice (contorno del padiglione), antelice e lobulo
(porzione inferiore più stretta, priva di cartilagine e ricca di fibre elastiche; la
depressione è, invece, definita conca, e rappresenta l’apertura che immette
nel condotto uditivo esterno (25 mm), che è costituito da cartilagine e
scheletro osseo (inferiormente osso timpatico, superiormente parte
squamosa) e che presenta una cute con numerose ghiandole apocrine che
producono il cerume (protegge e acquisisce acqua che aiuta a percepire
suoni, ma se si accumula può essere pericoloso, in quanto potrebbe
generare un riflesso vagale, ad esempio la bradicardia).
L’orecchio medio trasporta le vibrazioni sonore alla finestra ovale, piccola
cavità piena d’aria, posta tra il timpano e l’orecchio interno ed è costituito
dall’apparato di trasmissione sonora, formato dalla tuba uditiva (o tromba di
Eustachio che rappresenta un collegamento anatomo-funzionale con
l’arinofaringe) e dagli ossicini dell’udito (martello, incudine e staffa).
SISTEMA PROTETTORE
Ha la funzione di preservare le tonache fibrose del bulbo oculare,
rappresentate dalle palpebre (superiore e inferiore), dalla congiuntiva e
dall’apparato lacrimali.
Le palpebre
Sono due (superiore e inferiore), hanno un’impalcatura fibromuscolare, sono
rivestite da fibre esternamente e da mucosa congiuntivale internamente (che
rivesta anche la sclera e si arresta in corrispondenza del limbus); delimitano
la rima palpebrale e vengono in contatto a livello delle commessure palpebrali
(dove si assiste alla riflessione dalla cute alla mucosa, questo punto viene
definito fornice); sui margini liberi delle palpebre si inseriscono 2-3 file di ciglia
e verso la commessura mediale, vi sono dei rilievi, ovvero delle papille che
contengono i punti lacrimali, da cui hanno origine i condotti lacrimali.
Nello strato palpebrale intermedio, si trova una porzione fibrosa che prende il
norme di tarso (piuttosto spesso), struttura costituita da connettivo denso, che
in periferia verso la parte orbitale della palpebra si congiunge con il setto
orbitale (è la continuazione del tarso, che è invece visibile nella parte libera),
al cui interno si trovano le ghiandole tarsali di Meibomio: queste hanno la
caratteristica di produrre un materiale sebaceo, che viene depositato sulla
rima palpebrale in maniera tale che il secreto (una sorta di film impermeabile)
defluisca in direzione dei punti lacrimali. Nella regione del tarso, oltre al
muscolo elevatore della palpebra superiore, si trova anche il muscolo tarsale,
un muscolo liscio che viene innervato da fibre ortosimpatiche e ha il compito
di contribuire al tono della palpebra. A livello del muscolo tarsale, si può
avere la patologia di Horner (il sistema nervoso ortosimpatico non riesce a
controbilanciare il parasimpatico), i cui sintomi sono restringimento della rima
palpebrale superiore, enoftalmo (rientro dell’occhio nell’orbita) e miosi
(restringimento della pupilla).
La congiuntiva
Il sacco congiuntivale è visibile quando le due palpebre sono a contatto tra di
loro, poiché si viene a creare una concamerazione interna delimitata dalla
mucosa congiuntivale; è uno spazio che si trova in corrispondenza della
faccia posteriore della palpebra che si riflette sulla sclera e va ad arrestarsi a
livello dell’angolo sclero-corneale.
Apparato lacrimale
Questo è rappresentato dalle ghiandole lacrimali e dalla vie lacrimali. La
produzione da parte delle ghiandole del secreto è molto importante per
mantenere idratate le strutture esposte all’ambiente esterno. La ghiandola
lacrimale si trova adagiata nella fossa corrispondente, si divide in due
porzioni, la porzione orbitale (sempre presente) e la parte palpebrale (a volte
manca), che sono divise da un setto connettivale. Il secreto è sieroso,
costituito da lisozima che ha funzioni battericide; viene riversato nel fornice
congiuntivale, per poi procedere in direzione della rima palpebrale, fino ai
punti lacrimali, dove inizia il deflusso. I due condotti lacrimali sono canalicoli
diretti più o meno orizzontalmente in direzione della faccia mediale della
cavità orbitaria, dove si trova il cosiddetto sacco lacrimale, accolto nella fossa
del sacco lacrimale; successivamente si continuano con il condotto naso-
lacrimale, che si apre nel meato nasale inferiore delle cavità nasali.
TESSUTO EMATICO
Il sangue è considerato tessuto connettivo specializzato, che, attraverso i vasi
sanguigni, raggiunge tutti i distretti del corpo ed è fondamentale per il
mantenimento dell’omeostasi.
È implicato in: trasporto di gas (O 2 e CO2), sostanze nutritive e prodotti di
degradazione (CO2), trasporto di ormoni, protezione dell’organismo da
infezioni, formazione dei coaguli e mantenimento costante della temperatura
corporea. Le due componenti del sangue sono per il 55% matrice
extracellulare (liquida), ovvero il plasma, costituito da proteine disciolte e per
il 45% frazione corpuscolata, costituita da frammenti di cellule (globuli rossi e
globuli bianchi) e piastrine. La quantità di sangue è piuttosto elevata: 5-6 L
nell’uomo, 4-5 L nella donna. Il plasma ha pH=7,4 ed è costituito per il 91%
da acqua e per il resto al suo interno si trovano proteine plasmatiche
sintetizzate a livello epatico e altri soluti (sostanze nutritive, cataboliti, ormoni
e ioni). A proposito delle proteine plasmatiche, le principali sono l’albumina
(60%), prodotta nel fegato, le globuline (36%, e prodotte nel fegato,
prodotte nel tessuto linfatico) e il fibrinogeno (4%), prodotto nel fegato e molto
importante nella coagulazione (il sangue privo di fibrinogeno viene definito
siero).
LEUCOCITI AGRANULARI
monociti: sono i leucociti più voluminosi, sono capaci di diapedesi, ovvero,
in seguito a stimoli chemiotattici ed infiammatori, la cellula attraversa la
parete dei vasi e raggiunge i tessuti connettivi, dove matura in macrofago.
linfociti: sono caratterizzati dalla presenza di un nucleo che occupa quasi
tutto il volume cellulare, sono in grado di debellare in maniera definitiva uno
specifico antigene e intervengono nelle difese del sistema immunitario. Sono
distinti, in base alla loro funzione, in linfociti B e linfociti T, così chiamati per il
sito anatomico in cui acquistano l’immunocompetenza, rispettivamente la
borsa di Fabrizio negli uccelli (l’equivalente del midollo osseo nei mammiferi),
e il timo; i primi si occupano delle risposte umorali, mediate delle
immunoglobuline, e i secondi sono responsabili dell’immunità cellulare,
agendo direttamente uccidendo il bersaglio cellulare o coadiuvando le
risposte umorali (sono essenziali per la produzione di anticorpi da parte dei
linfociti B). Questi si trovano nella linfa, che ha determinate caratteristiche:
può coagulare come il sangue, in quanto tra i suoi costituenti c’è il
fibrinogeno, oltre a colesterolo, grassi (accumulati soprattutto nel distretto
intestinale, dove i vasi linfatici vengono chiamati vasi chiliferi da qui in poi la
linfa viene definita chilo, perché ricca di chilomicroni, ovvero particelle di
grasso che vengono assorbite a livello intestinale), proteine, cataboliti e
antigeni; la sua funzione fondamentale è di intervenire nella difesa
immunitaria (per la presenza dei linfociti), ma regola anche le masse liquide
corporee, in quanto la linfa viene drenata a livello dei tessuti connettivi (infatti,
se il drenaggio linfatico viene ostacolato, compare edema, ovvero accumulo
di liquidi nei tessuti).
Piastrine
Sono presenti nel sangue, sono frammenti cellulari derivanti da cellule più
grandi presenti nel midollo osseo, interagiscono con filamenti di fibrina
partecipando al processo di coagulazione (collaborano alla costituzione del
tappo emostatico). Hanno vita molto breve in quanto non contengono
neanche un nucleo. La funzione principale di questi elementi è l’emostasi,
quindi partecipano a processi coagulativi, soprattutto nel meccanismo di
prevenzione delle emorragie in caso di lesione dei vasi: si forma un tappo,
costituito dalle piastrine aggregate in una rete di fibrina (deriva dal
fibrinogeno) e consolidato proprio dai filamenti di fibrina; vengono liberati dei
fattori contenuti nel plasma, come serotonina e fibrinogeno, che hanno il
compito di far arretrare la rete di fibrina; dopo l’arretramento del coagulo e la
separazione del siero, vi è la riparazione del vaso lesionato, ad opera dei
fibroblasti (attivati per risintetizzare le parti lese). I principali elementi che
intervengono nella coagulazione sono: il fibrinogeno che si trasforma in
fibrina, ad opera dell’enzima trombina, sempre presente in forma inattiva
(protrombina), trasformata in trombina dalla tromboplastina, intrinseca
(ematica) o estrinseca (tissutale).
La coagulazione è un processo fisiologico e non si attiva solo in caso di
lesione di vasi ma, può essere attivato anche a livello interno, quando si
formano dei coaguli all’interno dei vasi sanguigni, provocando un’ischemia
(che può portare all’ipossia, assenza di ossigeno, e alla necrosi).
APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO
Le arterie, polmonare ed aortica, sono vasi in partenza dal cuore (che vanno
dal cuore alla periferia) e trasportano sangue ossigenato, mentre le vene,
cave e polmonari, sono vasi in arrivo al cuore (dalla periferia al cuore) che
trasportano sangue privo di ossigeno.
Sulla grande circolazione si inserisce il circolo portale, che trasporta,
attraverso la vena porta, il sangue proveniente dagli organi dell’apparato
digerente al fegato.
Il circolo cardiaco è dato dall’alternanza tra sistole e diastole: contrazione e
rilassamento del tessuto muscolare cardiaco.
Il flusso ematico, in condizioni fisiologiche, è unidirezionale, ovvero il sangue
viene portato dalle vene (polmonari a sinistra e cave a destra) e inviato agli
atri, si sposta verso il basso per la gravità, quindi nei ventricoli, e, infine, nelle
arterie polmonari (piccola circolazione) e aortica (grande circolazione).
Il cuore è collocato nel mediastino, cavità toracica interposta tra le due facce
mediali dei polmoni, con cui il cuore è in rapporto, poggia posteriormente sul
centro frenico del diaframma (centro tendineo che rappresenta il punto di
convergenza delle varie parti del diaframma), ha un orientamento obliquo,
una forma conica e un apice rivolto verso il basso, a sinistra e in avanti,
mentre la base è diretta vero l’alto, a destra e indietro; è rivestito da una
doppia membrana, una esterna fibrosa, pericardio fibroso, (sacco contenitivo
connettivale che ha il compito di evitare l'eccessiva dilatazione -cosa che
potrebbe accadere senza il pericardio a causa della forte spinta durante la
sistole -) e una interna sierosa, pericardio sieroso, (costituito da un doppio
strato, di cui il foglietto interno, l'epicardio, è in contatto con il miocardio).
Alla base del cuore emergono i grossi vasi, come la vena cava inferiore, che
trasporta sangue refluo proveniente dalle regioni sovradiaframmatiche verso
l'atrio destro.
La superficie del cuore, privata degli involucri fibro-sierosi, appare percorsa
da una serie di solchi:
il solco coronario è un solco orizzontale, in cui si inseriscono le arterie
coronarie (che vascolarizzano il miocardio), che rappresenta la linea di
separazione tra gli atri e i ventricoli e che presenta delle estroflessioni, dette
auricole atriali, che "abbracciano" l'emergenza delle arterie.
il solco interventricolare anteriore è un solco verticale, che separa tra loro i
due ventricoli, che è percorso da vasi sanguigni (contiene materiale adiposo)
e che si porta verso l'apice del cuore.
il solco interatriale separa tra loro i due atri.
L'atrio sinistro presenta lo sbocco di 4 vene, due a sinistra e due a destra, le
vene polmonari (due per ciascun polmone), che chiudono la piccola
circolazione e trasportano sangue ricco di ossigeno. L'atrio destro, invece,
presenta lo sbocco delle due vene cave (superiore ed inferiore), che
trasportano sangue ricco di anidride carbonica e privo di ossigeno e che
chiudono la grande circolazione. Vi è un altro vaso, con decorso orizzontale
nel solco coronario posteriore, il seno coronario, che fa parte della
circolazione cardiaca, raccoglie il sangue refluo dalle pareti del miocardio e,
dopo un breve tragitto nel solco coronario, sbocca nell'atrio destro.
Per quanto riguarda le arterie, inferiormente vi è l'arteria polmonare e
superiormente l'aorta, ed entrambe derivano dai ventricoli. La faccia
diaframmatica è più estesa, presenta il setto interventricolare posteriore, che,
come quello anteriore, separa i due ventricoli, e all'interno del quale decorre
un ramo dell'arteria coronaria, che porta sangue ossigenato al cuore.
Queste ultime sono caratterizzate dalla presenza di tre lamine, che quando si
riempiono di sangue si aprono, chiudendo l’accesso all’arteria; nelle valvole
atrio-ventricolari, invece, vi sono delle cuspidi (di forma triangolare) che
vengono mantenute in posizione orizzontale, impedendo il reflusso del
sangue, grazie alla presenza delle corde tendinee: queste sono dei filamenti
fibrosi che hanno un’estremità sul margine della cuspide e l’altra sull’apice dei
muscoli papillari (durante la sistole, i muscoli papillari si contraggono, le corde
tendinee si tendono verso il basso e viene così evitato il ribaltamento del
sangue verso l’atrio). A carico delle corde tendinee, possono esserci
patologie: ad esempio, se queste sono più corte o più lunghe del normale,
può presentarsi un prolasso (il più pericoloso è a carico della valvola mitrale),
con un conseguente rigurgito (il sangue dal ventricolo torna all’atrio in piccola
parte). Altre alterazioni valvolari possono essere rappresentate da
insufficienza, incontinenza e stenosi e, in questo caso, si procede con la
sostituzione della valvola in un trapianto.
Sempre a livello degli orifizi, sono presenti delle fibre connettivali che
rappresentano il punto di ancoraggio per le lamine connettivali e il punto di
inserzione per la muscolatura del miocardio (nel ventricolo che ha una
muscolatura leggermente più spessa, le fibre si dispongono a formare dei
coni, in fasci propri e fasci comuni, nell’atrio invece la muscolatura è per lo
più trasversale e non presenta coni).
In generale, il muscolo cardiaco è in grado di autogenerare l’impulso, non ha
bisogno di innervazione somato-motrice, infatti riceve solo un’innervazione
vegetativa, responsabile della regolazione del ritmo cardiaco: questa
regolazione è dovuta all’azione sinergica delle fibre postgangliari
parasimpatiche che rallentano il ritmo, provocando bradicardia, e delle fibre
postgangliari simpatiche che aumentano il ritmo, provocando tachicardia;
inoltre, il ritmo cambia per via riflesse anche in relazione a ciò che rilevano i
recettori (sia chemiocettori sia barocettori) in corrispondenza dell’aorta e
dell’arteria carotide comune.
Oltre al miocardio comune (costituito da fibrocellule muscolari), si può
descrivere un sistema di conduzione del cuore, detto anche del miocardio
specifico, che si divide in 3 componenti, che corrispondono a quei punti in cui
agisce l’impulso elettrico, che si propaga prima agli atri e poi ai ventricoli: il
seno atriale, vicino allo sbocco della vena cava inferiore, il nodo
atrioventricolare e il fascio comune di His, costituito dalle fibre di Purkinje
sono tutti e tre costituiti da fibrocellule muscolari modificate, in grado di
depolarizzarsi, definite cellule pacemaker, generatori del ritmo (qui parte il
primo vero impulso).
L’impulso quindi si diffonde dalle fibrocellule muscolari del miocardio comune
al nodo atrioventricolare e di conseguenza ai due ventricoli nel setto
ventricolare, passando per il fascio di His, da cui poi l’impulso si sdoppia in
due branche e successivamente si disperde nel miocardio comune.
Se vi è qualche problema a carico di questo sistema, viene inserito un
pacemaker, strumento a batterie che genera l’impulso elettrico al posto delle
cellule pacemaker.
PICCOLA CIRCOLAZIONE
La piccola circolazione parte dal ventricolo destro, da cui il sangue arriva al
tronco polmonare (si suddivide successivamente nelle due arterie polmonari)
e, infine, negli alveoli polmonari, dove avverrà lo scambio dei due gas (viene
ceduta anidride carbonica e viene acquisito ossigeno); il sangue ricco di
ossigeno ritorna al cuore, tramite il sistema venoso polmonare, rappresentato
dalle 4 vene polmonari che sfociano nell’atrio sinistro, chiudendo la piccola
circolazione.
Dall’atrio sinistro, il sangue ossigenato passa nel ventricolo e da qui inizia la
grande circolazione, passando per l’aorta. Il sangue da quest’arteria torna
indietro verso il cuore attraverso le due vene cave che si aprono nell’atrio
destro, chiudendo la grande circolazione (su questa si inserisce anche il
sistema portale, in cui la vena porta trasporta il sangue proveniente
dall’addome al fegato, qui viene elaborato e attraverso le vene sovra epatiche
arriva poi alla vena cava inferiore).
L’aorta presenta dei rami di divisione: in primis, l’arco aortico, che, dopo aver
scavalcato il cuore, si porta in alto per 5 cm, scavalcando anche le arterie
polmonari e arriva alla faccia posteriore; nell’antimero destro, si trova l’arteria
anonima (o arteria brachio-cefalica), che si porta verso l’alto per 3 cm e poi si
biforca in due rami, di cui uno, l’arteria carotide comune di destra, si porta
verso l’alto, e l’altro, l’arteria succlavia di destra, si porta verso l’esterno; in
posizione intermedia, si trova l’arteria carotide comune di sinistra e, infine,
sulla sinistra si trova l’arteria succlavia di sinistra.
L’arteria succlavia, che vascolarizza l’arto superiore, presenta su un ramo,
l’arteria vertebrale, che vascolarizza l’encefalo e va verso la scatola cranica,
passando per i fori trasversi delle vertebre cervicali. Le due arterie vertebrali
(una per la succlavia di destra e una per quella sinistra) si fondono, formando
l’arteria basilare, che arriva alla scatola cranica attraverso il solco basilare del
ponte: l’arteria basilare fornisce il dispositivo arterioso definito poligono di
Willis, che ha il compito di evitare sbalzi di pressione che potrebbero causare
danni alle strutture nervose, che circonda l’ipofisi e il chiasma ottico (ovvero
la sella turcica dello sfenoide) e che vascolarizza l’encefalo insieme all’arteria
carotide interna (quindi, l’encefalo è vascolarizzato dalla succlavia e dalla
carotide interna, in maniera tale che se si occlude una, l’altra assicura il
circolo arterioso).
Nel collo, all’altezza della laringe (cartilagine tiroidea), la carotide comune si
divide in due rami, la carotide interna, che si porta all’interno della cavità
cranica passando per il canale tiroideo (nel temporale), e quella esterna, che
vascolarizza la muscolatura della testa.
L’arteria succlavia va a vascolarizzare il braccio: dopo aver scavalcato la
prima costa, va verso il cavo ascellare e si definisce arteria ascellare;
successivamente entra in contatto con l’omero e viene definita arteria
omerale; giunge in corrispondenza del gomito e si divide in arteria radiale
esternamente e arteria ulnare medialmente.
L’arco aortico arriva nel torace, dove l’aorta viene definita toracica: cede rami
parietali (arterie intercostali e arterie freniche superiori, destinate alla
muscolatura del torace) e rami viscerali (arterie esofagee, arterie pericardiche
e arterie brachiali, quest’ultime importanti perché vascolarizzano i bronchi e
costituiscono i rami nutritivi dei polmoni).
Successivamente l’aorta si porta nell’addome (dove viene definita aorta
addominale), attraversa il diaframma, lo iato aortico a ridosso della colonna
vertebrale e termina a livello della 4-5 vertebra lombare, da cui si divide in
due rami di terminazione, le arterie iliache comuni (oltre a queste, sulla
traiettoria dell’aorta si trova un altro ramo di divisione, l’arteria sacrale media):
queste arterie giungono all’articolazione sacro-iliaca e si dividono in arteria
ipogastrica o iliaca interna, che si ferma e vascolarizza il bacino, e arteria
iliaca esterna, che va verso l’arto inferiore e, a livello della coscia diventa
arteria femorale, la quale ha decorso superficiale (si lesiona facilmente
causando gravi emorragie) e termina in corrispondenza della faccia
posteriore del ginocchio con due rami, arteria tibiale e arteria peroneale.
Anche nella cavità addominale, l’aorta presenza dei rami parietali (arterie
lombari, destinate alla muscolatura addominale, e arterie freniche inferiori,
destinate alla faccia inferiore del diaframma), dei rami viscerali pari (arterie
renali, arterie surrenali medie e arterie spermatiche o ovariche) e dei rami
viscerali impari (arteria celiaca o tripode celiaco, costituita da tre arterie,
arteria gastrica sinistra, arteria epatica e arteria splenica o lienale per
stomaco, fegato e milza, arteria mesenterica superiore, da cui si dipartono
arcate anastomotiche, le quali vascolarizzano l’intestino tenue e la parte
iniziale dell’intestino crasso, e arteria mesenterica inferiore, le cui arcate
anastomotiche vascolarizzano la restante parte dell’intestino crasso e
presenta un’anastomosi, un collegamento con la mesenterica superiore
grazie all’arcata di Riolano).
CIRCOLAZIONE PRENATALE
Nella circolazione fetale, non funzionano né il sistema portale (in quanto non
funziona l’apparato digerente) né il circolo polmonare (poiché i polmoni non
sono attivi) e, per questa ragione, vi sono tre elementi che svolgono funzioni
simili e che, subito dopo la nascita, scompaiono: il foro di Botallo (che mette
in comunicazione i due atri), il dotto arterioso di Botallo (che rappresenta un
ponte di collegamento tra le due arterie, in maniera tale che l’arteria
polmonare possa portare il sangue all’arco aortico, rimpiazzando il circolo
polmonare) e il dotto venoso di Aranzio (che rappresenta un ponte di
collegamento tra la vena cava inferiore e la vena ombelicale, in maniera tale
da bypassare il sistema portale).
Nel circolo fetale, alla placenta arriva il sangue refluo dai rami dell’arteria
ombelicale e da questa il sangue ossigenato si porta alla vena ombelicale,
per poi giungere alla vena cava inferiore; a questo punto il sangue assume un
colore violetto, dato dall’unione di sangue ricco di O 2 e sangue ricco di CO2 (in
quantità minime, tali da consentire comunque lo svolgimento delle attività
metaboliche del feto); dall’atrio destro, il sangue può andare o nell’atrio
sinistro attraverso il foro di Botallo o nel ventricolo destro da cui, dopo aver
superato il tronco polmonare, attraverso il dotto di Botallo, giunge all’aorta.
Quando alla nascita viene tagliata la vena ombelicale, il sangue risulta molto
ricco di CO2 e questo rende possibile il primo atto respiratorio, ovvero, inizia
per via riflessa l’attività polmonare, che porta immediatamente alla chiusura
del dotto arterioso di Botallo e del foro di Botallo.
SISTEMA LINFATICO
Il sistema linfatico è rappresentato da una rete composta da linfonodi, da
organi emolinfopoietici (ovvero midollo osseo, milza, timo e tessuto linfoide
associato alle mucose) e dai vasi linfatici.
Questo drena dai tessuti la linfa riversandola nel circolo venoso ed è un
importante componente del sistema immunitario. Le sue funzioni principali
sono: rimozione dei fluidi in eccesso dai tessuti (se si accumulassero si
formerebbe un edema), assorbimento di molecole lipidiche, soprattutto a
livello dell’intestino, e trasporto di grasso (punto da cui la linfa prende il nome
di chilo) verso il sistema circolatorio, produzione di cellule immunitarie
(linfociti) e produzione di anticorpi.
I vasi linfatici sono rappresentati da:
capillari linfatici, che sono a decorso sinusoidale e, via via che aumentano
di dimensioni, presentano una parete simile a quella venosa, in cui le tonache
sono meno distinte
precollettori, che presentano una parete ricca di fibre muscolari lisce e
spiraliformi e sul loro decorso si trovano i primi linfonosi
collettori, che hanno dimensioni maggiori e presentano lungo le loro pareti
delle valvole a nido di rondine, che impediscono i l reflusso della linfa
dotti linfatici, che presentano diversificazioni tra i due antimeri (destro e
sinistro): il dotto linfatico destro inizia in corrispondenza del punto di inizio
della vena anonima, riceve tronco giugulare destro, tronco succlavio destro e
tronco bronco-mediastinico destro, e raccoglie la linfa di tutta la parte destra
del corpo (testa, arto superiore e torace); il dotto linfatico sinistro inizia a
livello della cisterna di Pecquet (all’altezza della seconda lombare), sale
verso l’alto, riceve i due tronchi linfatici lombari, che raccolgono la linfa dagli
arti inferiori, e il tronco intestinale, che drena la linfa dall’intestino, raggiunge il
punto di confluenza della vena giugulare interna e della succlavia, e infine
riceve il tronco giugulare sinistro, che raccoglie la linfa della metà sinistra
della testa, il tronco succlavio sinistro, che raccoglie la linfa dall’arto
superiore, e il tronco bronco-mediastinico sinistro, che raccoglie la linfa dalla
metà sinistra del torace.
Gli organi del sistema linfatico sono distinti in primari (midollo osseo e timo),
che intervengono nella maturazione, con la presenza di un recettore
specifico, e secondari (milza, linfonodi e tessuto linfoide mucoso – MALT – ),
che ricevono linfociti maturi che colonizzano aree B e T dipendenti.
MIDOLLO OSSEO
Si trova nel tessuto osseo spugnoso ed è preposto alla sintesi di linfociti B e
delle cellule corpuscolate; si distingue in rosso (funzionalmente attivo,
costituito da tessuto mieloide, unica forma alla nascita, presente nella ossa
piatte come bacino, sterno, cranio, coste, vertebre e scapole, nel tessuto
osseo spugnonso e nelle epifisi delle ossa lunghe come omero e femore) e
giallo (non funzionalmente attivo, compare con la crescita e si trova
principalmente nelle diafisi delle ossa lunghe).
Il midollo osseo è un organo linfoide primario, fornisce linfociti B maturi alle
aree B-dipendenti, origina i precursori dei linfociti T, che poi vanno a
maturare, ovvero ad acquisire i recettori specifici, nel timo; dà origine ai
precursori dei mieloidi, che forniscono gli elementi corpuscolati del sangue, i
precursori dei mastociti (che insieme ai macrofagi si trovano nei tessuti), i
precursori delle piastrine (i megacariociti) e i precursori degli eritrociti (gli
eritroblasti). Attività molto importante del midollo osseo, soprattutto quando
viene asportata la milza, è quella eritrocateretica, che prevede la distruzione
degli eritrociti invecchiati ad opera dei macrofagi, che distruggono i nuclei
degli eritroblasti ma che funzionano anche come deposito di ferro (attività
marziale).
LINFONODI
I linfonodi hanno forma di fagiolo (con un margine concavo e un margine
convesso) e possono essere grandi da pochi millimetri fino a 1-2 centimetri.
Ogni linfonodo è circondato da una capsula dove si trovano i canali di
ingresso per il sangue e la linfa; presenta uno stroma (costituito da tessuto
connettivo reticolare) e un parenchima di tessuto linfoide. Si distinguono 3
aree e per funzione: una esterna, corticale, presenta follicoli primari, ovvero
noduli linfatici costituiti da linfociti B quiescenti, e follicoli secondari, strutture
ad anello dotate di centri germinativi (per questo appaiono chiari al centro e
più scuri intorno), che aumentano con l’età (in quanto forniscono cellule della
memoria, importanti per una risposta immunitaria più rapida); una intermedia,
paracorticale, che contiene linfociti T; una interna, midollare, che contiene
linfociti B e plasmacellule.
Infine, è presente un ilo, che rappresenta l’entrata o l’uscita delle arterie e
delle vene del grande circolo e dei vasi linfatici.
MILZA
La milza nel circolo fetale è considerato un organo primario, mentre
nell’adulto un organo secondario; sebbene non presenti vasi linfatici, viene
comunque annoverato nel sistema linfatico, in quanto contiene aree B e T
dipendenti.
La milza è situata nell’ipocondrio sinistro (in posizione sottodiaframmatica,
nella loggia lienale), ha una forma a spicchio di arancia, infatti presenta una
faccia convessa diaframmatica, in rapporto con il diaframma e, medialmente
ed inferiormente, una faccia viscerale, suddivisa dall’ilo in due parti (anteriore,
gastrica, in rapporto con lo stomaco, e posteriore, renale, in rapporto con i
reni). Più in basso rispetto all’ilo, vi è un’impronta colica, data dalla fessura
colica, che fa comunicare colon trasverso e colon discendente. La milza è
riccamente vascolarizzata ed è considerata un serbatoio di sangue. In
corrispondenza dell’ilo, si vede l’ingresso dell’arteria lienale (ramo dell’arteria
celiaca) e la fuoriuscita della vena lienale (tributaria della vena porta). Sulla
superficie, l’organo presenta due foglietti viscerali, un anteriore ed uno
posteriore, che si accollano formando un collegamento gastro-lienale.
La milza è rivestita da sierosa e, al di sotto di questo rivestimento, vi è una
capsula fibrosa, che circonda l’organo e da cui partono i tralci connettivali che
poi vanno a costituire lo stroma (reticolare).
In seguito a splenectomia totale, un bambino presenta una rallentata risposta
immunitaria che persiste per tutta la vita e, in virtù di questo, si è pensato che
la milza produca fattori, che nel midollo osseo e nel timo stimolano la
maturazione delle cellule immunitarie, almeno nei primi anni di vita; l’adulto
invece, dopo una splenectomia, non presenta problemi nella risposta
immunitaria, ma una leucocitosi (ovvero un incremento dei leucociti nel
sangue).
Per quanto riguarda la struttura, la milza presenta delle trabecole connettivali
che formano una rete strutturale di supporto e il parenchima suddiviso in due
componenti (polpa bianca e polpa rossa che hanno caratteristiche morfo-
funzionali differenti).
L’arteria lienale entra nell’ilo e si suddivide in due rami, seguendo le trabecole
connettivali (infatti, i rami vengono definiti arteriole trabecolari); questi, a loro
volta, si ramificano e vanno a formare le arteriole follicolari, avvolte dai
corpuscoli o follicoli di Malpighi, manicotti che costituiscono la polpa bianca e
che contengono linfociti T più vicini alle arteriole e più distalmente linfociti B,
ovvero centri germinativi follicolari che innescano la risposta immunitaria
(riconoscono antigeni di tipo ematico); da un’ulteriore divisione, derivano le
arteriole penicilllari (di dimensioni sempre più ridotte), che terminano con i
capillari (spesso dotati di un guscio a proprietà contrattili). Questi capillari si
organizzano alla periferia capsulare con i seni venosi (capillari venosi), i quali
tornano indietro seguendo lo stesso percorso delle arterie (venule follicolari,
venule trabecolari, fino a confluire nella vena lienale). La polpa rossa
presenta una complessa architettura in quanto comprende cordoni splenici,
capillari splenici e seni venosi. I cordoni sono costituiti da macrofagi e da un
reticolo di fibre collagene e fibroblasti di forma stellata; tra le maglie di questo
reticolo, oltre ai macrofagi dei cordoni, scorrono i capillari splenici e i seni
venosi, entrambi con morfologia sinusoidale. Il circolo splenico prevede che
l’arteria trabecolare si continui con le arterie follicolari (dotate dei corpuscoli di
Malpighi), che poi proseguono con i penicilli arteriosi (dotati del manicotto
cellulare) e terminano con i capillari della polpa rossa. Da qui il sangue può
fuoriuscire in micro-lacune interstiziali (completando la cosiddetta circolazione
aperta) o incanalarsi nei seni venosi (completando la cosiddetta circolazione
chiusa).
La milza svolge diverse funzioni: attività emolinfopoietica (tra il terzo e il
quarto mese di vita fetale), attività marziale (il ferro viene immagazzinato nei
macrofagi legato alla ferritina e all’emiosiderina), deposito di sangue
(contiene, infatti, il 30-40% degli eritrociti circolanti), attività immunitaria
(contiene linfociti B e T nella polpa bianca) e attività emocateretica (che
prevede l’eliminazione di eritrociti e la scomposizione dell’emoglobina in
amminoacidi, che saranno riutilizzati, e in bilirubina, che verrà inviata al
fegato per la sintesi di bile e successivamente eliminata).
TIMO
Il timo è posizionato nel mediastino, è a contatto con il cuore e con i polmoni
ed ha un colore giallastro. È un organo linfoepiteliale transitorio, le cui
funzioni iniziano durante la vita fetale e si esauriscono nella pubertà, in
quanto subisce una regressione fibrosa (ovvero una trasformazione del
tessuto). I precursori provenienti dal midollo osseo si dirigono al timo, dove
maturano (il processo maturativo prevede la separazione delle competenze
funzionali dei vari linfociti e il riarrangiamento del veri recettori, in maniera tale
che possano riconoscere gli svariati antigeni) e poi vanno a colonizzare le
aree T dipendenti negli organi linfoidi periferici. Come tutti gli organi pieni,
presenta una capsula fibrosa, uno stroma reticolare e un parechima, che ha
una struttura lobulare: le cellule formano dei lobuli delimitati da tessuto
connettivo, in ciascuno dei quali si descrivono una corticale esterna ed una
midollare interna. Il timo presenta una composizione cellulare ben definita: i
linfociti sono più numerosi nella corticale e sono disposti in maniera ordinata,
secondo un gradiente maturativo, con i più maturi verso la midollare; le
cellule epiteliali sono più numerose nella midollare e producono ormoni timici,
come timosina, timopoietina e fattore timico sierico; i macrofagi hanno il
compito di distruggere i cloni linfocitari autoreattivi (linfociti che potrebbero
scatenare reazioni autoimmuni, ovvero riconoscere come estranei antigeni
self, propri dell’individuo).
La regressione del timo inizia dal quinto mese di vita fetale, quando
compaiono i corpuscoli di Hassal, formazioni tondeggianti di cellule epiteliali
presenti nella midollare: creano delle lamine concentriche e vanno a
trasformare l’epitelio in tessuto fibroso cicatriziale; aumentano di numero e di
dimensione man mano che il processo di involuzione va avanti e finiscono
per invadere del tutto la midollare.
Sempre nella midollare si trovano numerosi capillari sanguigni, che entrano in
contatto con le cellule epiteliali e formano una membrana selettiva, la barriera
emato-timica, che lascia passare i linfociti che, man mano, maturano, ma non
tutti gli antigeni (proteine ad alto peso molecolare): in questa fase, si sviluppa
una tolleranza immunitaria, fenomeno senza cui un clone linfocitario con
specificità verso un antigene self potrebbe scatenare una risposta
immunitaria contro quell’antigene provocando danno all’individuo.
SISTEMA RESPIRATORIO
Il sistema respiratorio è composto da: naso (è responsabile del
riscaldamento, della filtrazione e dell'umidificazione dell'aria), faringe
(permette il passaggio di aria ed è un organo in comune con il digerente),
laringe (è responsabile della fonazione, produzione del suono), trachea
(continua il trasferimento di aria), bronchi (trasportano aria ai polmoni) e
polmoni (rappresentano la ramificazione terminale dei bronchi). Negli alveoli
avviene la respirazione esterna aria-sangue, attraverso la barriera aria-
sangue: consiste nella diffusione dei due gas per effetto della differenza delle
pressioni parziali, dal gas a pressione maggiore a quello a pressione minore
(in questo caso dall'ossigeno all'anidride carbonica) il circolo che si crea
nell'alveolo è il risultato della ramificazione dell'arteria polmonare (che
interviene nell'ossigenazione del sangue). A livello del liquido interstiziale
avviene la respirazione interna: l'ossigeno passa dal versante arterioso
capillare nell'ambiente interstiziale, facendo ossigenare il tessuto, mentre
l'anidride carbonica derivante dal metabolismo cellulare va in direzione del
versante venoso capillare, riprendendo il circolo sistemico.
I due bronchi non sono simmetrici: il bronco di destra è più largo, più corto e
si estende più in verticale e da questo si dipartono 3 bronchi secondari, per
ciascun lobo polmonare, il lobare superiore, il lobare medio e il lobare
inferiore; il bronco di sinistra è più lungo e si estende più in orizzontale (per
lasciare spazio al cuore) e da questo si dipartono 2 bronchi secondari, il
lobare superiore ed inferiore.
Da qui si può parlare di albero bronchiale e la ramificazione porta alla
formazione del parenchima polmonare.
La struttura dei bronchi ricalca quella della trachea, metamerica, con anelli
cartilaginei incompleti e parete membranacea posteriormente. La parete
interna è formata da tessuto muscolare e cartilagineo; l’epitelio è cilindrico,
pseudo stratificato e ciliato, che comprende cellule secernenti, calciformi,
ghiandolari, della sottomucosa, di Clara, neuroendocrine e dendritiche.
La ramificazione continua attraversando i bronchi zonali, fino ad arrivare ai
bronchioli, caratterizzati dall’assenza di cartilagine: si distinguono i bronchioli
terminali, che non presentano strutture alveolari, e bronchioli respiratori, che
invece presentano strutture alveolari in numero sempre maggiore man mano
che si procede verso la periferia.
Questi alveoli rappresentano la sede degli scambi gassosi all’interno dei
polmoni e formano dei grappoli; sono formati da due tipi di cellule epiteliari,
pneumociti di I tipo, che sono costituiti da giunzioni strette per prevenire lo
stravaso del liquido nell’alveolo, e pneumociti di II tipo, caratterizzate da
granuli, i “corpi lamellari”, che producono il “surfactante”, un detergente che
mantiene gli alveoli dilatati, in maniera tale da consentire gli scambi gassosi.
La muscolatura bronchiale subisce effetti dall’ortosimpatico, che agisce sulla
bronco-dilatazione, e dal parasimpatico, che agisce sulla bronco-costrizione.
Una costrizione eccessiva provoca asma, edema ed infiammazione dei
condotti respiratori e quindi respirazione difficoltosa.
APPARATO URINARIO
L’apparato urinario è costituito da reni (formati da calici minori e maggiori e
pelvi, o bacinetti) e vie urinarie (ureteri, vescica e uretra).
I reni sono collocati nelle logge renali (costituite da materiale adipodo, un
denso tessuto connettivo che tiene ancorati i reni e le ghiandole surrenali alle
strutture circostanti), sono a significato connettivale, in quanto sono organi
retro peritoneali e vengono in rapporto solo con il foglietto parietale (che
tappezza la parete addominale). Questi organi si estendono per 12 cm di
lunghezza circa, tra la 12° vertebra toracica e la 2° lombare, hanno la forma
di un fagiolo, con un due poli smussati (uno superiore incappucciato poiché in
stretto rapporto anatomico con le ghiandole surrenali, e uno inferiore), un
margine laterale convesso, un margine mediale convesso all’estremità e una
porzione intermedia concava, in cui si trova l’ilo (punto di ingresso e di uscita
di arterie renali, vene renali e vie urinarie).
Il rene destro è spostato più in basso rispetto al sinistro, per via del rapporto
con il fegato superiormente (che occupa gran parte dell’ipocondrio destro) ed
è anche in rapporto con il colon ascendente e il duodeno più in basso e
posteriormente con la muscolatura addominale (muscolo quadrato dei lombi
e grande psoas); mentre il rene sinistro è in rapporto con il diaframma, con la
coda del pancreas, con la milza e con lo stomaco.
I reni risultano rivestiti da una capsula fibrosa esternamente e dal
parenchima.
Il parenchima interno presenta una corticale ed una midollare: la corticale è
più esterna, al di sotto della capsula, presenta i cosiddetti raggi midollari
(segni della vascolarizzazione); la seconda è più interna, presenta nell’aria
centrale (definita seno renale) le cosiddette piramidi renali, con l’apice rivolto
verso il centro (cribrato, ovvero pieno di fori, i tubuli renali, da cui fuoriesce
l’urina.
L’unità funzionale del rene prende il nome nefrone (vi sono in totale 2 milioni
di nefroni): è costituito dal corpuscolo di Malpighi e dal tubulo renale. Il
corpuscolo di Malpighi è costituito a sua volta da glomerulo renale (la
componente vascolare, attraversato dai vasi sanguigni, ovvero arteriola
afferente, rete mirabile ed arteriola efferente) e capsula di Bowmann (la
componente epiteliale, che incapsula la rete capillare ed è costituita da un
doppio foglietto epiteliale, il parietale più esterno e il viscerale più interno, tra i
quali vi è lo spazio di Bowmann). Dal polo opposto rispetto al corpuscolo di
Malpighi, si trova il polo urinifero, da cui parte il tubulo renale: questo è
costituito dal tubulo contorto prossimale (presenta anse e circonvoluzioni),
dall’ansa di Henle (di forma simile ad una forcina) e dal tubulo contorto
distale; i tubuli renali provenienti dai vari nefroni vanno poi a confluire nel
tubulo collettore, che raccoglie, quindi, l’urina proveniente da tutte le strutture
microscopiche.
L’ansa di Henle è costituita da un ramo discendente, che fa seguito al tubulo
contorto prossimale, dall’ansa vera e propria e da un ramo ascendente, che
si continua con il tubulo contorto distale.
Si distinguono due tipi di nefroni, per posizione e morfologia: i corticali sono
periferici e corti, si trovano in prossimità della superficie del rene e hanno le
anse di Henle molto corte, che penetrano solo per un breve tratto nella zona
esterna della midollare; gli juxtamidollari sono localizzati nella corticale in
vicinanza della midollare, hanno anse di Henle molto lunghe e sottili che
penetrano nella zona interna della midollare.
L’apparato juxtaglomerulare è localizzato tra le arteriole afferente ed efferente
e il tubulo contorto distale (nel polo vascolare); è costituito da macula densa,
cellule iuxtaglomerulari e cellule ilari.
La macula densa contiene cellule del tubulo distale, più dense rispetto alle
altre, si trova nell’angolo tra le due arteriole, si mette in rapporto diretto con
ciascuna di essa; le sue cellule secernono sostanze in direzione delle
arteriole, con funzione di comunicazione cellulare sulla composizione di sodio
dell’urina.
Le cellule iuxtaglomerulari sono localizzate laddove l’arteriola afferente entra
in contatto con la macula densa, si presentano rigonfie e contengono granuli
scuri costituiti principalmente da renina inattiva; si comportano da
pressocettori, ovvero quando la pressione sanguigna si riduce, esse
immettendo in circolo la renina, riportano la pressione a livelli normali; la
renina agisce a livello dell’angiotensinogeno (prodotto dal fegato), che con la
renina si trasforma in angiotensina I, ancora inattiva, che nei polmoni viene
convertita enzimaticamente a formare l’angiotensina II che determina
vasocostrizione periferica, che comporta aumento della pressione sanguigna
(l’angiotensina II agisce anche sulla corticale del surrene, in quanto stimola la
produzione di aldosterone, che induce il riassorbimento di acqua e sodio).
Le cellule ilari (o mesangio) sono poste nell’angolo tra le due arteriole ed
intervengono nel trasferimento di informazioni tra cellule della macula densa
e cellule iuxtaglomerulari.
I reni adempiono in modo determinante al mantenimento della costanza dei
caratteri chimico-fisici del cosiddetto mezzo interno (plasma e liquido
interstiziale). Le principali funzioni sono: eliminazione dei prodotti finali del
catabolismo azotato (urea, acido urico, creatinina, solfati, ecc); regolazione
del volume del liquido extracellulare e del contenuto idrico dell’organismo;
regolazione della pressione osmotica del liquido extracellulare, tramite il
riassorbimento di sodio e acqua; regolazione del pH ematico entro limiti
ristretti, tramite il riassorbimento e la produzione di ioni bicarbonati;
regolazione della concentrazione ematica di importanti metaboliti e ioni
(sodio, potassio, calcio e cloro), mantenendola in ambiti normali;
detossificazione dell’organismo da composti tossici, per poi eliminarli.
SISTEMA DIGERENTE
L’apparato digerente è responsabile dell’introduzione, della pro cessazione,
della digestione e dell’assimilazione di cibo, quindi decorre dall’estremità
della bocca fino al retto, passando per torace, addome, pelvi e perineo.
Il canale alimentare, o tubo digerente, lungo 11 cm, presenta delle ghiandole,
le salivari maggiori, rappresentate dalle parotidi (le più grandi, si trovano ai
lati della mandibola, al di sotto del padiglione auricolare e se infiammate
determinano la parotite), dalle sotto-mandibolari e dalle sotto-linguali, che si
trovano nelle relative logge queste ghiandole sono deputate alla
produzione della saliva, che ha numerose funzioni, quali permettere di
impastare il bolo alimentare, per consentirne la deglutizione (che nello
stomaco diventa chimo) e di lubrificare le prime vie digerenti (cavità orale e
orofaringe) con la produzione di muco.
Nell’addome vi è l’intestino tenue, diviso in duodeno e tenue mesenteriale, a
sua volta divido in digiuno e ileo; l’intestino crasso è diviso in cieco (con
l’appendice), colon (ascendente, trasverso, discendente e sigmoideo) e retto;
il fegato che svolge importanti funzioni, come la produzione di bile (che
scompone i grassi), la regolazione della glicemia, la detossificazione di
farmaci e la sintesi di proteine plasmatiche; il pancreas, divido in componente
esocrina (deputata alla digestione, con la produzione del succo pancreatico,
contenente enzimi litici) e componente endocrina (produce insulina e
glucagone per la regolazione della glicemia).
La cavità orale comunica con l’esterno, è rivestita internamente dalla mucosa
orale, contiene l’organo della masticazione, rappresentato da labbra, denti e
lingua, interviene nella secrezione di enzimi digestivi (per esempio la ptialina,
della famiglia delle amilasi, che inizia a digerire carboidrati) e ha anche
funzione battericida (per la presenza di lisozima).
A livello della bocca, si distinguono la cavità orale propriamente detta (si trova
posteriormente alle arcate gengivo-dentali) e il vestibolo (fessura interposta
tra labbra e arcate dentali). La cavità orale svolge numerose funzioni:
fonazione, masticazione, digestione, respirazione e difesa immunitaria.
Le labbra sono due organi ad impalcatura fibro-muscolare, rivestite
internamente da mucosa ed esternamente da cute (simili alle palpebre); ai lati
si possono descrivere le due commessure, punti in cui le labbra entrano in
contatto e che delimitano la rima bucale; ciascuna delle due labbra lungo la
linea mediale possiede il cossi detto frenulo, piega della mucosa che collega
l’arcata dentaria con il rispettivo labbro.
La cavità orale presenta 3 pareti, superiore, laterale ed inferiore. Nella parete
inferiore (pavimento), si può descrivere un solco (visibile se la lingua è
sollevata) sottolinguale, al di dietro del quale vi è il pavimento occupato dalla
lingua; la lingua, infatti, non è attaccata, ma collegata mediante un frenulo al
pavimento. Inferiormente, se la lingua è sollevata, è possibile osservare il
solco sottolinguale, dietro il quale vi è il pavimento linguale; superiormente la
volta è occupata dal palato; lateralmente vi sono le pareti delle guance.
L’innervazione di questa zona è ad opera del nervo faciale (X paio di nervi
cranici), mentre l’impalcatura muscolare si basa sul muscolo orbicolare della
bocca, che determina apertura e chiusura delle labbra, mentre la lingua è
innervata dal nervo ipoglosso (XII).
A carico di questa zona, come patologie possono esserci infezioni, tumori
(labbra oblunga) o labbro leporino (malformazione congenita, ovvero la
mancata chiusura delle ossa del palato –processi palatini del
mascellare e ossa palatine –).
L’intestino tenue è la parte più lunga del canale alimentare (7m) ed è divido in
duodeno, digiuno (chiamato così perché nel cadavere è vuoto) e ileo.
Il duodeno si chiama così perché è lungo 12 pollici (circa 30 cm), riceve il
chimo che, a livello intestinale, si trasforma in chilo, e due importanti condotti,
il coledoco e i dotti pancreatici (in maniera tale che in questa zona si riversino
bile e succhi pancreatici); se si uniscono dotti pancreatici e coledoco si forma
all’interno della papilla una cavità definita ampolla duodenale di Vater.
Ha forma di C aperta superiormente, per accogliere la cosa del pancreas e
presenta diversi segmenti: una parte iniziale che fa seguito allo sfintere
pilorico, detta ampolla o bulbo duodenale (circa 5 cm, unica porzione
intraperitoneale), la parte discendente che si trova al di sotto del fegato, nel
fianco destro (circa 8 cm), la parte orizzontale lunga circa 6 cm, la parte
ascendente lunga circa 6 cm e, infine, il duodeno piega bruscamente in
avanti, a costituire il duodeno digiunale (a livello della L2 che si continua con
il digiuno).
Nella parete mediale della parte discendente vi sono due rilievi: la papilla
minore, sbocco del dotto pancreatico minore o di Santorini, e la papilla
maggiore, sbocco del dotto pancreatico maggiore o di Wirsung.
Per quanto riguarda la mucosa vi sono le cosiddette ghiandole di Plunner
(ghiandole duodenali specifiche), a secrezione mucosa di tipo neutro, per
proteggere il duodeno dai succhi gastrici acidi.
I rapporti anatomici che presenta il duodeno si instaurano con fegato, rene,
pancreas e colon.
Internamente, la struttura presenta delle pieghe della sottomucosa, definite
valvole conniventi o pieghe circolari (o semicircolari): queste presentano i
cosiddetti villi intestinali (1 mm), che sono sollevamenti della sottomucosa;
infine, sui villi, vi sono i microvilli, estroflessioni degli enterociti (cellule
epiteliali dell’intestino tenue).
Quindi, la parete interna dell’intestino tenue presenta pieghe, villi e microvilli,
allo scopo di aumentare la superficie assorbente, per permettere
l’assorbimento di nutrienti (infatti è riccamente vascolarizzata).
Nella tonaca mucosa, oltre ai villi intestinali, si trovano le ghiandole di
Galeazzi (costituite da eitrociti e cellule di Paneth, secretorie che producono
lisozima) e le cellule enterocromaffini, che producono serotonina (agisce sulla
mobilità intestinale), secretina e pancreozimina (attivano il pancreas
esocrino).