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APPUNTI

DI

ANATOMIA
ANATOMIA: introduzione
L’anatomia (dal greco “anatomè”, dissezione, “anà”, attraverso) è la scienza
che studia la forma e la struttura degli elementi degli organismi viventi. Si
distingue l’anatomia macroscopica (studia strutture osservabili ad occhio
nudo), che può essere di superficie (forma esterna), regionale e topografica
(parti interne ed esterne, regioni) o sistematica (strutture dei sistemi o
apparati), dall’anatomia microscopica (studia strutture non visibili ad occhio
nudo), che comprende istologia (tessuti) e citologia (cellule).
La classificazione della specie umana prevede: specie homo sapiens, phylum
cordata, subphylum vertebrati, classe mammiferi placentati, ordine primati,
famiglia ominidi.

In generale, le entità gerarchiche del corpo umano sono: cellule, tessuti,


organi, apparati o sistemi.
A livello di cellule (sono unità strutturali e fondamentali), vi sono condrociti,
epatociti, eritrociti e neuroni, che si differenziano per forme e dimensioni.
A livello di tessuti (cellule specializzate e cooperanti associate al fine di
svolgere una determinata funzione), le principali caratteristiche dipendono da:
morfologia della cellula, relazioni tra cellule e ambiente esterno,
caratteristiche dell’ambiente extracellulare, derivazione embrionale
(ectoderma, mesoderma, mesenchima o entoderma).
Vi sono quattro tipi di tessuti: epiteliale, connettivo, muscolare e nervoso.
Per quanto riguarda i tessuti epiteliali: possiedono cellule poste a stretto
contatto tra loro, presentano polarità, ovvero una superficie apicale (costituita
da ciglia o microvilli) e una superficie basale (che poggia su una membrana
basale glicoproteica), hanno funzione di rivestimento (protezione  ad
esempio squamoso stratificato, cubico semplice, squamoso semplice e
cilindrico semplice) e di secrezione (grazie alle ghiandole), possono essere
mono o pluristratificati (i primi si occupano di scambio e diffusione, i secondi
di protezione). Per quanto riguarda le ghiandole, si distinguono ghiandole
esocrine, che hanno un dotto escretore e riversano i prodotti fuori dal corpo o
in cavità comunicanti con l’esterno, e ghiandole endocrine, che sono prive di
dotti escretori e riversano nel sangue i prodotti, ovvero gli ormoni
(messaggeri chimici che esercitano azioni di stimolo o di inibizione
contribuendo con il sistema nervoso a coordinare le attività del corpo).
I tessuti connettivi collegano gli organi, nutrono gli altri tessuti, formano il
materiale di sostegno del corpo, sono immersi in una sostanza intercellulare
(matrice), prodotta dalle stesse cellule connettivali e hanno funzioni
meccaniche e nutritive. Si distinguono:
- tessuti connettivi propriamente detti: lasso (più molle) e denso (più
compatto) hanno fibre di collagene ed elastina, adiposo sintetizza ed
immagazzina i grani con funzione di riserva energetica (le sue cellule
hanno un REL molto sviluppato riempito da grani)
- tessuti connettivi di sostegno: cartilagineo (ha sostanza intercellulare
idratata, formata da fibre proteiche e polisaccaridi che gli conferiscono
resistenza ed elasticità; i vasi sanguigni sono costituiti da tessuto
cartilagineo e hanno una funzione trofica) e osseo (ha una matrice di
fibre di collagene e depositi inorganici PO 4 e CaCO3; le ossa
costituiscono il sistema scheletrico, quindi danno forma e sostegno al
corpo e consentono il movimento, insieme ai muscoli, contengono il
midollo osseo che produce alcune cellule del sangue, svolgono
un’attività metabolica e fungono da deposito e riserva minerale)
- tessuti connettivi fluidi: linfa e sangue (è un tessuto circolante con
cellule sparse in un’abbondante matrice liquida, rifornisce le cellule di
ossigeno e nutrimenti e allontana anidride carbonica e rifiuti)
La caratteristica principale tessuto muscolare è di permettere la contrazione
(un impulso elettrico che deriva dalle fibre nervose). Si distinguono: tessuto
muscolare liscio (involontario), tessuto muscolare striato (volontario) e
tessuto muscolare cardiaco (il miocardio è morfologicamente simile allo
striato ma involontario, non ha innervazione autonoma ma vegetativa che è
responsabile dell’automatismo cardiaco).
Il tessuto nervoso (che genera gli impulsi elettrici) è formato da neuroni, che
svolgono l’attività elettrica (dendriti e assoni) e si trovano nel cervello, negli
organi di senso, nel midollo spinale e nei nervi, e cellule della glia, che
svolgono una funzione trofomeccanica, nutrono e sostengono i neuroni,
formando dei manicotti intorno ad essi (cellule di Schwann).

Per quanto riguarda apparati e sistemi, i primi sono associazioni di organi


diversi per struttura, con funzione ed origine embriologica, mentre i secondi
sono associazioni di organi omogenei simili per struttura, con funzione ed
origine embriologica.
Analizzando la struttura degli organi cavi, dall’interno verso l’esterno si
trovano: tonaca mucosa (formata da epiteli di rivestimento, da una lamina
propria e da mucose muscolari che rivestono cavità interne collegate con
l’esterno), tonaca sottomucosa (rappresenta un piano di scorrimento che
contiene ghiandole parietali), tonaca muscolare, tonaca avventizia (costituita
da tessuto connettivo compatto) oppure tonaca sierosa (rappresenta una
membrana epiteliale ed è costituita da mesotelio e da uno strato
sottomesoteliale).
Analizzando la struttura degli organi cavi dell’apparato circolatorio,
dall’interno verso l’esterno, vi sono: tonaca intima (o endocardio, formato da
endotelio e da uno strato sottoendoteliale), tonaca media (o miocardio, che
rappresenta il tessuto muscolare cardiaco e può avere tessuto connettivo
lasso in relazione alla funzione svolta dalle cellule) e tonaca avventizia (o
sierosa, detta epicardio, che rappresenta un foglietto viscerale a contatto con
il cuore); il tutto è racchiuso nel pericardio. Nell’apparato circolatorio, manca
la tonaca mucosa: infatti, esso non ha collegamenti con l’esterno.
Gli organi pieni sono costituiti da stroma (formato da tessuto connettivo di
sostegno) e parenchima (che è una componente cellulare funzionale e può
essere epiteliale, connettivale, muscolare o nervosa); la parte esterna è
costituita da una capsula, di connettivo denso e all’interno vi sono dei vasi
che trasportano sostanze nutritive; il punto di convergenza delle strutture di
connessione dell’organo (nervi, vasi sanguigni) è detto porta.

MEMBRANE
Queste tappezzano le superfici esterne e le cavità interne del corpo, formano
guaine protettive intorno agli organi e possono essere epiteliali o connettivali.
Per quanto riguarda la membrana epiteliale, si ha: la cute, formata da un
epitelio di rivestimento, l’epidermide, e da uno strato più profondo, il derma, è
asciutta e costituisce la pelle; le mucose, formate da lamine di tessuto
epiteliale, rivestono tutte le cavità del corpo che comunicano con l’esterno,
sono umettate (bagnate) da secrezione e ogni epitelio ha una propria
funzione; le sierose, costituite da mesotelio e connettivo lasso, tappezzano
cavità chiuse e hanno due foglietti, il foglietto parietale (riveste la parete della
cavità) e il foglietto viscerale (ricopre la superficie dell’organo) e tra questi vi è
uno spazio virtuale (piccolo) che contiene un liquido sieroso a funzione
lubrificante, in quanto elimina l’attrito tra i foglietti e dà mobilità all’organo 
un esempio di sierosa è il peritoneo è costituito da un foglietto viscerale e da
un foglietto parietale; nel peritoneo viscerale, si formano delle pieghe
peritoneali, introflessioni sacciformi e doppie pieghe, che rivestono in parte o
interamente visceri addominali, connettendoli tra loro e con la parte
addominale e tra queste pieghe le più importanti sono: grande (colon
trasverso) e piccolo omento (fegato), originario dallo stomaco, il mesentere
che avvolge l’intestino tenue ed è attraversato da vasi, il legamento falciforme
del fegato e i mesi (legamenti tra organo e parete addominale posteriore,
attraverso i due foglietti peritoneali) – il meso e l’omento sono due organi
collegati da un doppio foglietto peritoneale che transitano tra i due foglietti, tra
vasi e nervi; le funzioni del peritoneo sono meccaniche e trofiche (collegate
alla ricchezza di vasi sanguigni presenti nella lamina propria), di difesa grazie
ai leucociti e permette lo scivolamento degli organi e quindi mobilità agli
stessi; la peritonite è un’infiammazione del peritoneo che interessa tutti i
visceri rivestiti da esso.
Per quanto riguarda le membrane connettivali, si hanno membrane sinoviali
(tessuto connettivo) che rivestono le capsule articolari e borse sinoviali e
guaine tendinee, ovvero cuscinetti presenti intorno alle strutture scheletriche
con funzioni protettive (ammortizzano gli urti).
TESSUTO EPITELIALE
Questo si distingue in epiteli di rivestimento, che rivestono superfici interne o
esterne, e epiteli ghiandolari, che costituiscono il parenchima delle ghiandole
a secrezione interna o esterna.
Epiteli di rivestimento
Le principali funzioni sono: protezione fisica delle strutture sottostanti (es.
cute ed epitelio delle cavità orali), regolazione della permeabilità (es. cute),
passaggio di alcune sostanze attraverso gli strati (es. gas scambiati tra aria e
sangue attraverso l’epitelio alveolare), controllo degli scambi di acqua e soluti
tra i compartimenti, sensibilità (es. innervazioni o recettori) e sintesi o
secrezione di alcune sostanza (es. enzimi digestivi prodotti dalle ghiandole
del tratto intestinale o ormoni prodotti dalle ghiandole endocrine).
Il tessuto epiteliale è strettamente associato al tessuto connettivo, tramite una
membrana basale, costituita da una lamina basale (glicoproteine prodotte
dall’epitelio) e da una lamina reticolare (fibre connettivali).
La principale caratteristica del tessuto epiteliale è la rigenerazione, che
dipende dalla presenza delle cellule staminali: ad esempio, l’epitelio
dell’intestino tenue si rigenera ogni 3 giorni, quello della cornea ogni 7 giorni,
mentre quello nel fegato avviene un ricambio cellulare solo in caso di
distruzione delle cellule originarie.
GIUNZIONI CELLULARI
Poiché vi è poca matrice, quindi poca sostanza intercellulare, le giunzioni
hanno la funzione di unire le cellule e permettere l’adesione sulla membrana
d’appoggio.
Si distinguono: giunzioni serrate, che presentano le due membrane fuse a
livello esterno, desmosomi (macula aderens), che uniscono le membrane con
materiale glicoproteico, giunzioni discontinue (gap junctions), che
rappresentano delle interconnessioni attraverso pori o canali tra una cellula e
l’altra.
Per quanto riguarda le giunzioni strette, si hanno giunzioni occludenti e
giunzioni aderenti: le prime hanno una funzione sigillante e creano punti di
stretto contatto tra le cellule grazie a delle proteine come le claudine nella
zona occludente (il passaggio di sostanze è, perciò, mediato da elementi di
trasporto); le seconde possono essere rappresentate dalle caderine
(agiscono all’esterno), che hanno un’estremità nello spazio intercellulare e
un’estremità all’interno legata ai filamenti di actina (sotto la membrana, quindi
agiscono all’interno) e hanno il compito di opporsi allo scollamento delle
cellule.
Per quanto riguarda i desmosomi, sono simili alle giunzioni aderenti, hanno
una placca costituita da glicoproteine ancorate ai filamenti intermedi
cheratinici ed evitano l’allontanamento della cellula dalla cute  gli
emidesmosomi (“mezzo desmosoma) ancorano le cellule alle membrane
basali.
Per quanto riguarda le giunzioni gap, sono formate da canali e sono
importanti nel trasporto di neurotrasmettitori o di ioni tra le cellule.
CLASSIFICAZIONE
È basata su strati semplici (monostratificati) o pluristratificati, che, a livello di
morfologia cellulare, pavimentosi (poco spessi), cubici (isoprismatico) o
cilindrico (batiprismatico).
A questo proposito, vi sono due eccezioni: l’epitelio pseudo-stratificato
(sembra stratificato ma non lo è), che possiede cellule che partono tutte dalla
membrana basale, è cigliato, ha sede nella cavità nasale, nei bronchi e nella
trachea e le sue principali funzioni sono protezione e secrezioni; l’epitelio di
transizione che si distende riducendo lo spessore, è stratificato, ha sede nelle
vie urinarie e possiede cellule di forme diverse, negli strati profondi cubiche,
negli strati intermedi piliformi e nello strato superficiale binucleate ad
ombrello.
Strato pavimentoso o squamoso semplice (interno)
Ha sede negli alveoli polmonari, nell’endotelio (vasi sanguigni), nelle porzioni
dei tubuli renali, nel pericardio, nelle pleure, nel peritoneo, nel mesotelio,
nell’interno della cornea; le principali funzioni sono ridurre l’attrito tra i foglietti
e controllare la permeabilità vascolare.
Strato pavimentoso o squamoso stratificato (esterno)
Ha sede nella cute, nella cavità orale, nella faringe, nell’esofago; la principale
funzione è la protezione chimica contro abrasioni, patogeni e sostanze
chimiche.
Strato cubico semplice
Ha sede nei tubuli renali, nella faccia anteriore del cristallino, nell’esterno
dell’ovaio, nei dotti escretori di ghiandole esocrine; le principali funzioni sono
assorbimento e secrezione e in parte minore protezione.

Strato cilindrico semplice


Ha sede nello stomaco, nell’intestino tenue e crasso, nella colecisti, nelle
tube uterine, nei dotti collettori del rene; ha funzioni di protezione,
assorbimento e secrezione (particolarità di questo strato è l’orletto a spazzola
che aumenta la superficie di contatto).
Strato cilindrico stratificato
Ha sede nella faringe, nell’ano, nei dotti mammari e nell’uretra; ha funzione di
protezione.
Strato cubico stratificato (raro)
Ha sede nei dotti e ha funzioni di protezioni, secrezione e assorbimento.
Epiteli ghiandolari
Possono essere esocrini, formati da una parte secernente (adenomero) e da
dotti escretori e il loro prodotto è riversato all’esterno della cellula o nel lume
di un organo, o endocrini, sono privi di dotti escretori e il secreto, ovvero
l’ormone che può anche essere un fattore di crescita, è versato nei vasi
sanguigni.
Gli epiteli ghiandolari derivano dall’entoderma e al loro interno vi sono
ghiandole esocrine, in cui il cordone cellulare si canalizza e si differenzia
(collegamento con la superficie), e ghiandole endocrine, in cui il cordone
cellulare si divide e successivamente la ghiandola si stacca, provocando
apoptosi.
GHIANDOLE ESOCRINE
In base al numero di cellule che le costituiscono, sono unicellulari (come le
caliciformi mucipare ma sono rare) o pluricellulari (che a loro volta possono
essere intraepiteliali, come quelle che si trovano nell’epitelio, nella mucosa
nasale e nell’uretra o extraepiteliali intramurali, come quelle che si trovano
nella parete di un organo, nella mucosa o nella sottomucosa, o extraepiteliali
extramurali, che sono di per sé degli organi, come fegato e pancreas).
In base alla forma dell’adenomero, che può essere tubulare semplice senza
cotto, tubulare semplice con dotto, acinoso semplice con dotto, succulare
semplice, tubulare glorumelare e tubulare ramificata.
In base alle ramificazioni del dotto, che può essere tubulare composto,
acinoso composto e tubulo-acinoso composto.
In base al meccanismo di secrezione, sono merocrine (sudoripare) che
producono un secreto liquido e questo viene inglobato in vescicole che vanno
verso il poro apicale; apocrine (mammarie), i cui prodotti di secrezione
vengono accumulati nella parte apicale della cellula (si forma una strozzatura
e la porzione apicale si stacca); olocrina (sebacee), i cui prodotti si
accumulano nella cellula (l’intera cellula si stacca e libera il secreto nel lume).
In base alla natura del secreto, che può essere sieroso (contengono acqua,
sali minerali ed enzimi e si trovano nel pancreas), mucoso (il secreto è denso
e viscoso, contiene glicoproteine e si trovano nel duodeno) o mucoso-sieroso
(a secrezione mista, il sieroso circonda le mucose e si trovano al di sotto
della lingua).
GHIANDOLE ENDOCRINE
Contengono vasi sanguigni e capillari; gli epiteli endocrini si trovano in cellule
sparse dell’apparato digerente, all’interno di tessuti o organi (isole di
Langerhans del pancreas) o raggruppate in organi completi (tiroidi). Vengono
classificati in base all’organizzazione delle cellule che compongono le
ghiandole, in strutture che possono essere cordonali (epifisi, ipofisi e
surrenali), a follicoli (la sostanza si accumula e poi viene riversata
all’esterno tiroide) e interstiziali (cellule sparse in un connettivo 
componenti endocrini nei testicoli e nelle ovaie).
La secrezione, inoltre, può avvenire secondo particolari modalità:
 secrezione paracrina: l’ormone è facilmente captato dal recettore e
viene trasmesso a cellule bersaglio vicine o adiacenti attraverso spazi
intercellulari e non attraverso il sangue (è importante nei fenomeni
morfogenetici)
 secrezione autocrina: l’ormone agisce sulla stessa cellula endocrina che lo
produce e che, quindi, diventa il bersaglio (è utile alle cellule che devono
autoregolarsi)
 secrezione neuroendocrina: l’ormone è secreto e immesso nel sangue da
tipi di cellule nervose particolari di alcuni settori (ipotalamo) dal sistema
nervoso centrale.

TESSUTO CONNETTIVO
Questo ha funzioni tropo-meccaniche: avvolgere e separare gli organi, i
muscoli, le arterie, le vene e i nervi; connettere, grazie a tendini (muscoli
all’osso) e legamenti (ossa tra loro); supporto e movimento grazie a ossa e
cartilagini; accumulo nel tessuto adiposo degli adipociti e nelle ossa di calcio
e fosforo; trasporto, ad esempio, nel sangue di liquidi e sostanze varie;
protezione contro tossine, microorganismi e danni tissutali.
È composto da cellule specializzate, fibre proteiche extracellulari e fluido
extracellulare (sostanza fondamentale)  fibre proteiche e fluido
costituiscono la matrice.
Tessuto connettivo embrionale
Il mesènchima dà origine a tutti i tessuti connettivi; il tessuto connettivo
mucoso embrionale si trova in varie parti dell’embrione e permane nel
cordone ombelicale, ha un aspetto gelatinoso ed è, per questo, chiamato
gelatina di Warthon.
Tessuto connettivo adulto
Può essere: mucoso maturo (polpa dentaria), lasso, adiposo, reticolare,
denso (regolare o irregolare) ed elastico.
CLASSIFICAZIONE
Tessuti connettivi propriamente detti: fibrillare lasso (areolare, adiposo,
reticolare) e fibrillare denso (regolare, irregolare, elastico)  i fibroblasti sono
cellule attive nella sintesi proteica di cellule della matrice e delle fibre.
Tessuti di sostegno: cartilagineo e osseo, hanno una cellularità meno
eterogenea e la matrice rigida (la fibra è intrappolata nella matrice calcificata).
Tessuti connettivi liquidi: sangue e linfa, hanno una cellularità molto
eterogenea e la matrice acquosa (non ci sono fibre).
La matrice extracellulare ha una componente amorfa e una componente
fibrosa, sintetizzate da fibroblasti: questi sono complessi macromolecolari
facilmente idratabili, hanno un sistema colloidale di consistenza gelatinosa
(resistenza a vari tipi di forze), una fase disperdente acquosa (elettroliti) e
una fase dispersa (proteine enzimatiche, glicoproteine e proteoglicani) 
sono costituiti da proteoglicano, una macromolecola composta da CORE
(asse proteico), a cui sono uniti covalentemente disaccaridi o GAG
(glicosaminoglicani, catene polimeriche formate da unità disaccaridiche unite
da legami O-glicosidici): i GAG possono essere non solforati come acido
ialuronico (ubiquitario, corpo vitreo e cordone ombelicale) e acido
condrottinico e solforati come confrottin-solfato A, condrottin-solfato C,
dermatan-solfato (cute), cheratan-solfato (cartilagine e cornea) ed eparan-
solfato (polmoni, aorta, membrane basali); hanno un’elevata carica negativa,
intrappolano acqua e ioni (viscosità). La componente fibrosa ha, inoltre, delle
glicoproteine: fibronectina (sostanza fondamentale dei connettivi fibrosi, è
molto diffusa), condronectina (sostanza fondamentale della cartilagine, lega i
condrociti al collagene), laminina (si trova a livello delle lamine basali).
Le componenti fibrose sono:
-fibre collagene: costituite da molecole di tropocollagene, sono flessibili e
resistenti alla trazione, hanno una funzione di sostegno strutturale, oltre ad
ancorare tessuti diversi tra loro (tendini e legamenti); non sono ramificate;
presentano bande trasversali, formate da una testa globosa di tropocollagene
e code filamentose, e si dispongono ad intervalli regolari di 700 A, formando
fasci e strutture parallele
- fibre reticolari: costituite da molecole di collagene, formano l'impalcatura di
sostegno di alcuni organi pieni (come milza e fegato); non sono riunite in fasci
ma a formare delle reti (i polipeptidi che formano il tropocollagene
contengono una piccola quota glucidica; presentano periodismo
-fibre elastiche (costituite da elastina e fibrillina ma non collagene): sono
ramificate e ondulate, se striate possono tornare alla lunghezza originale
(legamenti gialli delle vertebre); sono costituite da una parte amorfa (che
conferisce elasticità) e da fibrilline (normalmente aggrovigliate che possono
distendersi); sono estensibili (150% della loro lunghezza) e resistenti alla
bollitura e all'attacco di acidi; sono digerite dall'enzima elastasi; sono gialli
perché presentano una fluorescenza innata (emettono luce gialla).

A livello di componenti cellulari, vi sono anche cellule fisse e cellule migranti


Le prime sono:
-fibroblasti: responsabili dell'omeostasi della matrice, sintetizzano l'acido
ialuronico e sono sempre presenti
-macrofagi fissi: sono grandi cellule disperse tra le fibre, fagocitano cellule
danneggiate o patogeni, innescano la risposta immunitaria specifica
-adipociti: cellule specializzate nell'accumulo di sostanze lipidiche
-mesenchimali: staminali che rispondono a lesioni o infezioni dividendosi e
differenziandosi a formare tipi cellulari adulti come i fibroblasti; sono
responsabili della rigenerazione del tessuto.
Le seconde sono:
-macrofagi migranti: chemiotassi, fagocitosi, difesa immunitaria
-mastociti: piccoli e mobili, vicini ai vasi, contengono grani formati da istamina
(antistaminico) ed eparina (rende il sangue più fluido) che stimolano
l'infiammazione se rilasciate in seguito a danno o infezione
-linfociti: aumentano a seguito di danni tissutali e possono dare origine a
plasmocellule che producono anticorpi, richiamati in vasi sanguigni dai
macrofagi
-granulociti neutrofili ed eosinofili: migrano durante i processi infettivi o
infiammatori e hanno azione fagocitaria.

TESSUTO CONNETTIVO LASSO O AREOLARE


Sede: sotto il derma cutaneo, nel canale alimentare, nelle vie aeree o unifere,
tra i muscoli, intorno ai vasi, ai nervi e alle articolazioni
Funzioni: protegge gli organi, ne assicura la nutrizione, ne permette i
movimenti (clivaggio) e le cellule del sistema fagocitario ne assicurano la
difesa dagli agenti patogeni
TESSUTO ADIPOSO
Sede: sotto la cute (ipoderma), nei fianchi, nelle natiche, nelle mammelle,
dietro i globi oculari, intorno ai reni (involucro protettivo)
Funzioni: imbottisce, proteggendo dagli urti, isolante termico (riduce la perdita
di calore), riserva energetica
TESSUTO CONNETTIVO RETICOLARE
Sede: forma lo stroma di molti organi parenchimatici (fegato, reni, milza,
linfonodi e midollo osseo)
Funzioni: crea un'intelaiatura di supporto
TESSUTO CONNETTIVO DENSO REGOLARE
Sede: tra i muscoli scheletrici e lo scheletro (tendini), tra le ossa (legamenti),
intorno ai muscoli scheletrici (fasce profonde: guaine contenutive)
Funzioni: esercita un solido attacco, coordina la trazione muscolare, riduce
l'attrito tra i muscoli, stabilisce la postura ossea
TESSUTO CONNETTIVO DENSO IRREGOLARE
Sede: capsule degli organi viscerali, derma cutaneo, periostio e pericondrio,
guaina nervosa e muscolare
Funzioni: esercita la resistenza che si oppone alle forze applicate in molte
direzioni, previene l'iperespansione degli organi (vescica)
TESSUTO ELASTICO
Sede: tra le vertebre della colonna, sotto l'epitelio di transizione, nella parete
di vasi
Funzioni: stabilizza la posizione delle vertebre, ammortizzano i traumi,
permettono l'espansione e la contrazione degli organi
APPARATO TEGUMENTARIO
La cute o pelle riveste la superficie del corpo: rappresenta il 16% del peso
corporeo, ha uno spessore variabile da 0,5 mm a 4-5 mm.
Si occupa della protezione da danni termici, chimici, meccanici, luminosi e
biologici, della termoregolazione e di secrezione, assorbimento e percezione
sensoriale. 
L'apparato comprende:
- cute che si distingue in epidermide e derma (strato papillare e
reticolare)
- annessi cutanei.

CUTE
Ha una superficie irregolare (con solchi, depressioni, creste e pieghe
caratteristiche per ciascun individuo  di qui la specificità delle impronte
digitali) e un colore variabile in relazione al diverso contenuto di melanina e
all'esposizione ai raggi luminosi.
É costituita da epidermide (ha uno spessore fra 50 micron e 1,5 mm e
ottimizza l'adesione e gli scambi tra i vari strati), da derma (ha uno spessore
fra 0,3 e 4 mm ed è ricco di vasi e nervi) e da ipoderma (ha uno spessore tra
0,5 e 2 mm).
STRATI DELL'EPIDERMIDE
-strato basale (germinativo): è costituito da cellule staminali di tipo unipotente
che possono differenziarsi solo in cheratinociti (filamenti intermedi) ed è
implicato in una continua rigenerazione del tessuto
-strato spinoso: è costituito da cheratinociti disposti su 5-10 file, le cellule
formano delle "spine" che si invaginano nello strato basale, vi sono delle
tonofibrille che danno sostegno e in questo strato avviene la maggiore sintesi
di cheratina, proteina filamentosa
-strato granuloso: è costituito da cellule che presentano granuli di
cheratoialina (degenerazione) e che derivano dalla lisi degli organuli
citoplasmatici; anche in questo strato continua la sintesi di cheratina
-strato lucido (assente nella cute sottile): è costituito da cellule che hanno la
proprietà di riflettere la luce, in quanto contengono eleidina
-strato corneo: è uno strato desquamante poiché in questo sito, le cellule,
ormai del tutto degenerate, iniziano a sfaldarsi nel processo di
CITOMORFOSI CORNEA  è il processo di cheratinizzazione tipica
dell'epidermide che permette la trasformazione delle cellule staminali in
cellule cornee e al termine del processo la cute risulta impermeabile e
resistente, poiché le cellule morte costituiscono un'efficiente barriera
dall'attacco di agenti estranei come virus e batteri.
Gli elementi citologici degli strati descritti tendono a perdere funzionalità e
man mano degenerano seguendo il processo di apoptosi o morte
programmata.
COMPONENTI DELL'EPIDERMIDE 
L'epidermide è costituita da:
-cellule di Merkel: si trovano in uno strato germinativo, sono in contatto con
terminazioni nervose poiché funzionano come recettori tattili
-cellule di Langerhans: si trovano nello strato spinoso, hanno funzione di
difesa e, infatti, inglobano le sostanze estranee, fungendo da elementi
presentanti l'antigene per avviare risposte immunitarie
-melanociti: si trovano nello strato basale, producono melanina (pigmento
giallo-bruno che ostacola il passaggio di raggi UV rendendo la pelle più
scura) e sono positivi alla DOPA, una reazione specifica per i melanociti che
evidenzia la tirosinasi  raggruppamenti di melanociti in specifiche zone
dell'epidermide vengono definiti efelidi o lentiggini.
A proposito della melanina, può essere sintetizzata nei seguenti modi:
-prodotta per ossidazione dell'aatirosina
-prodotta dalla conversione della di-idrossifenilalanina ad opera della
tirosinasi
-immagazzinata in vescicole definite melanosomi, che vengono trasferiti ai
cheratinociti (che si colorano in modo transitorio) e successivamente distrutti
nel processo di citomorfosi cornea.
COLORE DELLA CUTE
Nei caucasici, i melanosomi migrano nello strato basale e spinoso; nei neri, i
melanosomi arrivano allo strato granuloso, determinando una pigmentazione
più scura e resistente. A questo proposito, l'albinismo è un'incapacità
ereditaria di sintetizzare la melanina per assenza della tirosinasi e infatti
caratteristiche della malattia sono presenza di melanociti ma assenza del
pigmento nei capelli, negli occhi e nella cute.
La vitiligine rappresenta la perdita parziale di melanociti, alcune aree cutanee
presentano chiazze bianche irregolari (anomali e immunitarie) e si pensa che
in questo caso il sistema immunitario non riconosca i melanociti come corpi
estranei, distruggendoli o rendendoli inattivi.
Per quanto possano essere dannose, le radiazioni UV sono utili nella
produzione di vitamina D (nello specifico D3, detta colicalciferolo, prodotta a
livello della cute per irradiazione del colesterolo, ed è la forma endogena); vi
è, inoltre, la D2 che viene introdotta con la dieta in quanto è presente nei
vegetali (forma esogena).
La vitamina D è importante perché: interviene nel riassorbimento del calcio a
livello renale, nell’assorbimento di fosforo e calcio a livello intestinale e nei
processi di mineralizzazione dell’osso (in assenza di vitamina D anche la
disponibilità del calcio viene meno, poiché l’organismo non è in grado di
riassorbirlo). Entrambe le forme, D3 e D2, così come vengono prodotte non
sono attive: sono dei precursori che subiscono un processo di trasformazione
che coinvolge sia il fegato, all’interno del quale, vengono trasformate in 25-
idrossivitamina D (25D, forma ancora inattiva), sia il rene, dove la 25D viene
modificata ulteriormente dall’enzima idrossilasi e può entrare in circolazione,
dopo la trasformazione nella forma attiva di calcitriolo.

DERMA
È lo strato connettivale associato all’epidermide.
Al suo interno, vi sono ghiandole, bulbi piliferi, terminazioni nervose, vasi
sanguigni e linfatici. In profondità, si trova l’ipoderma, il cosiddetto pannicolo
adiposo, formato da grasso (tessuto sottocutaneo) e che fa da piano di
clivaggio rispetto alle strutture più profonde (muscolari, associate all’apparato
locomotore).
Il derma risulta suddiviso in due parti: lo strato papillare, più superficiale di
connettivo lasso, che favorisce processi di scambio con l’epidermide grazie a
creste ed invaginazioni, e lo strato reticolare, più profondo di connettivo
fibroso denso e irregolare, formato, quindi, da fibre collagene molto compatte
e orientate secondo le sollecitazioni meccaniche a cui la cute è sottoposta
per contrastare la sua eccessiva distensione  se le sollecitazioni
meccaniche sono eccessive, comportano una scompaginazione della
struttura fibrosa e si formano le cosiddette smagliature, che sono proprio
espressione della disorganizzazione dell’assetto delle fibre collagene; le
smagliature sono sovrapponibili a cosiddette linee di tensione della cute, che
sono importanti punti di riferimento in un intervento chirurgico, poiché si
effettua il taglio in corrispondenza di queste linee per favorire la
cicatrizzazione.

IPODERMA (tessuto sottocutaneo)


È la parte più estesa della cute; è costituito essenzialmente da tessuto
adiposo e, quindi, da adipociti che immagazzinano grassi (per lo più
trigliceridi) nel citoplasma. Questo tessuto può quindi: fungere da isolate, da
riserva energetica di lipidi, ma può anche svolgere funzioni strutturali come
ammortizzare gli urti e favorire la mobilità della pelle. Dove la cute poggia su
superfici ossee e protuberanti, si trovano delle cosiddette borse sinoviali,
contenenti il liquido sinoviale. Neonati e bambini hanno una maggiore quota
di tessuto adiposo rispetto agli adulti.
L’ipoderma contiene solo in superficie vasi arteriosi e venosi, mentre in
profondità sono presenti capillari: ciò rende l’iniezione sottocutanea un utile
metodo per la somministrazione dei farmaci (è nota come puntura
ipodermica). Vi è, inoltre, la medicazione trans dermica, la quale prevede che
farmaci in composti acquosi o oleosi possano attraversare l’epidermide ed
essere poi assorbiti dai vasi del derma  una tecnica è quella che prevede di
impiegare un cerotto contenente alte quantità di farmaco ed ha il vantaggio
che un singolo cerotto può durare per diversi giorni.

ANNESSI CUTANEI (unghie, peli, ghiandole sebacee e sudoripare)


UNGHIE: formazioni laminari dell’epidermide, che possono essere cornee e
convesse e rivestono la superficie dorsale delle falangi distali (più esterne); si
presentano con un margine libero e tre lati rivestiti da una piega cutanea (il
cosiddetto vallo ungueale), mentre la cuticola rappresenta un’estroflessione
della parte cornea vicina alla matrice.
Infine, la matrice è nascosta sotto il vallo ungueale (lunula) e qui si trova la
matrice, responsabile dell’accrescimento dell’unghia (1mm/giorno).

PELI
La parte visibile del pelo è rappresentata dal fusto; la radice, ovvero il follicolo
pilifero, è inserita nel derma in un'invaginazione dell'epidermide.
Per quanto riguarda la struttura, il follicolo alla base accoglie una papilla
connettivale, circondata da cellule epiteliali che costituiscono il bulbo pilifero
(responsabile della crescita del pelo in lunghezza); nello strato interno,
ovvero la midollare, vi sono le cellule dell'apice della papilla in mitosi, che
sono le più chiare; nello strato intermedio adiacente alla midollare, ovvero la
corteccia, vi sono cellule poste a lato delle papille, che sono ricche di
melanina; nello strato più esterno, ovvero la cuticola, vi sono cellule
periferiche cheratinizzate (morte), che sono scagliette cornee embricate e
sono le più scure.
Per quanto riguarda la crescita del pelo, questa segue essenzialmente tre
fasi: fase di crescita (anagen=divisione), fase di regressione (catagen=arresto
delle divisioni), fase di riposo (telogen=caduta del pelo).
Il muscolo piloerettore è un muscolo liscio che, partendo dal derma papillare
superficiale, si inserisce nel follicolo pilifero, all'interno del quale si ha lo
sbocco di 10 o più ghiandole sebacee; essendo questo un muscolo non
scheletrico, è innervato dalla componente ortosimpatica del sistema nervoso
autonomo che interviene in condizioni di stress; la contrazione del muscolo
provoca l'erezione del pelo e contribuisce alla fuoriuscita del sebo.
La funzione del pelo è essenzialmente quella di proteggere da radiazioni UV
(testa), da microorganismi (meato acustico, narici) e da ciò che potrebbe
danneggiare il bulbo oculare (ciglia).

GHIANDOLE CUTANEE (esocrine)


Le ghiandole SUDORIPARE hanno funzione termoregolatrice, in quanto
l'evaporazione del sudore causa un abbassamento della temperatura
corporea ma rappresentano anche un sistema di eliminazione di cataboliti. Vi
sono due tipi di ghiandole sudoripare: eccrine, che sono molto numerose, si
trovano nel palmo della mano, nella fronte, e nella pianta del piede e hanno
un secreto liquido e acquoso; le ghiandole apocrine hanno una distribuzione
molto limitata, sono rappresentate dalle ghiandole mammarie (latte) e dalle
ghiandole del cerume (ricche di trigliceridi, che producono un secreto ceroso
a funzione protettiva), hanno un secreto opaco, ricco di lipidi, glucidi e
proteine.
Le ghiandole SEBACEE sono numerose a livello del volto e del cuoio
capelluto ma assenti sulle mani o sui piedi; sono di tipo olocrine, ovvero il loro
secreto è costituito dalle cellule che si riempiono di gocce lipidiche e
successivamente degenerano, ed è molto acido (pH=3,4), poiché ricco di
trigliceridi e steroidi. Il sebo (che ha un’azione battericida), insieme a sudore
ed eleidina, forma un film idrolipidico che impermeabilizza la cute e la
mantiene elastica. A questo proposito, parliamo del follicolo sebaceo, che
produce sebo ma, a differenza delle ghiandole vere e proprie, non si apre nel
follicolo pilifero, in quanto è direttamente comunicante con l’epidermide (si
può trovare sulla faccia, sulla schiena e sul torace). In particolari situazioni,
follicoli e ghiandole sebacee possono essere colonizzati da germi: ciò
accade, ad esempio, nella follicolite (questa si manifesta con l’acne), il dotto
escretore risulta ostruito e si forma un ascesso.
GHIANDOLE ESOCRINE
SUDORIPARE: apocrine, eccrine
SEBACEE: ghiandole (propriamente dette, piccole), follicoli (grandi)

INNERVAZIONE CUTANEA
Le fibre sensitive-somatiche conducono sensazioni termiche-dolorifiche o
tattili e rientrano nell’ambito della sensibilità estrocettiva; alcune possono
terminare liberamente come fibre non mielinizzate, prive di rivestimento
mielinico e sono dette terminazioni libere; altre vengono in rapporto con
strutture connettivali (corpuscoli di senso di Pacini per pressione o vibrazione
e di Meissner per sensazioni tattili).

Per quanto riguarda l’invecchiamento della cute, questo prevede:


assottigliamento dell’epidermide e del derma, riduzione del numero di cellule
di Langerhans (rischio maggiore di infezioni), dell’attività melanocitaria,
dell’attività ghiandolare (pelle più secca), dell’attività pilifera e delle capacità
rigenerative.

TESSUTO OSSEO
Il tessuto osseo è tessuto connettivo specializzato ed è caratterizzato da
notevole durezza e resistenza, poiché la sostanza intercellulare è fortemente
mineralizzata (vista la presenza di sali di calcio). Ha funzioni: statiche, in
quanto fornisce sostegno e protezione formando l’impalcatura che sostiene le
parti molli o gli organi, ad esempio la scatola cranica contiene l’encefalo, lo
speco (canale) vertebrale contiene il midollo spinale, le coste contengono
polmoni e cuore e la cavità pelvica contiene gli organi degli apparati digerente
e uro-genitale; dinamiche, in quanto le ossa costituiscono il supporto su cui
agisce l’azione muscolare durante l’esecuzione dei movimenti e formano un
sistema di leve poiché possono modificare ampiezza e direzione delle forze
generate dai muscoli; metaboliche (riserva), in quanto le ossa costituiscono
un deposito di sali minerali di calcio e fosforo e di lipidi  le ossa
immagazzinano lipidi nell’area del midollo osseo giallo, il cui predecessore è il
midollo osseo rosso impegnato nell’emopoiesi ovvero nella produzione di
globuli rossi e bianchi e piastrine.

COMPOSIZIONE DELLE OSSA


La matrice ossea è costituita per il 70% da una componente organica e per il
restante 30% da una componente inorganica: le proporzioni delle due
componenti variano in base a età, distretto scheletrico e condizioni
metaboliche dell’individuo.
La componente organica della matrice risulta costituita da sostanza
fondamentale (10% componente amorfa contenente proteoglicani, fosfolipidi,
glicoproteine, fosfatasi alcalina e fattori di crescita) che forma le fibre
collagene, la parte fibrillare (90%) la quale costituisce un’impalcatura, un
sostegno reticolare. La componente inorganica è rappresentata dai cristalli di
idrossiapatite, ovvero fosfato di calcio e idrossido di calcio che precipitano
mineralizzando la matrice.
I cristalli di idrossiapatite costituiscono i 2/3 del peso dell’osso, sono resistenti
e relativamente rigidi e sono responsabili della resistenza alla compressione;
le fibre collagene costituiscono il reste 1/3 del peso dell’osso, fanno da
supporto organico per la formazione dei cristalli, sono resistenti e flessibile e
sono responsabili della resistenza a trazione, torsione e flessione.

CELLULE DEL TESSUTO OSSEO


La produzione e il mantenimento del tessuto deriva da 4 tipi cellulari che sono
in equilibrio dinamico tra loro, per assicurare l’integrità funzionale dell’osso:
-cellule osteoprogenitrici, che si dividono per mitosi (sono cellule staminali),
sono a contatto con un connettivo associato detto periostio, sono cellule
mesenchimali che si differenziano in osteoblasti e sono importanti nella
riparazione di fratture e attive nei processi di neoformazione e di
accrescimento
-osteoblasti, che intervengono nell’osteogenesi sulle superfici esterne ed
interne di un osso, ovvero sintetizzano i componenti organici della matrice
ossea producendo l’osteoide e ne regolano la mineralizzazione, svolgono
un’intensa sintesi proteica, producendo collagene e enzimi, e raccolgono
vescicole contenenti ioni calcio e ioni fosfato, ovvero cristalli di idrossiapatite
-osteociti, che interrompono la sintesi, sono di forma globosa e presentano
prolungamenti citoplasmatici, possono effettuare scambi metabolici ma sono
cellule quiescenti, e si trovano tra gli strati di matrice calcificata nelle
cosiddette lacune, le quali sono collegate da canalicoli che consentono la
diffusione di nutrienti e prodotti di rifiuto
-osteoclasti, che sono responsabili dell’osteolisi, ovvero della degradazione
della sostanza intercellulare, sono molto grandi (40-100 m) e multi nucleati
(fino a 50 nuclei), intervengono nel riassorbimento o nella distruzione
dell’osso (i lisosomi contenenti acidi ed enzimi sciolgono la matrice ossea), in
alcuni processi citoplasmatici (decalcificazione) e nel rilascio di calcio e
fosfato, regolando la loro concentrazione nei fluidi corporei (l’ormone
paratiroideo ipercalcemizzante stimola gli osteoclasti a digerire la matrice,
mettendo il calcio a disposizione dell’organismo).

Durante l’osteogenesi, in relazione all’organizzazione delle fibre collagene


all’interno della matrice, si distinguono tessuto osseo non lamellare o primario
(disorganizzato), che rappresenta lo scheletro in formazione (questo presenta
la matrice ossea con le fibre collagene intrecciate casualmente in direzioni
diverse, sostituisce lo scheletro cartilagineo embrionale o si forma per la
riparazione di una frattura e viene successivamente sostituito dal tessuto
osseo lamellare per rimodellamento), e tessuto osseo lamellare o secondario,
che rappresenta lo scheletro definitivo (questo presenta la matrice ossea
organizzata in lamelle ossee in cui le fibre collagene hanno una disposizione
ordinata, ovvero parallelamente tra loro in ciascuna lamella e
perpendicolarmente rispetto alle lamelle adiacenti).
Si distinguono:
- tessuto osseo compatto (esterno), che contiene gli osteoni, lamelle disposte
concentricamente intorno al canale di Havers al cui interno vi sono vasi
sanguigni (quindi il tessuto osseo è vascolarizzato), canali di Volkmann che si
anastomizzano con il canale di Havers, lamelle interstiziali (per evitare la
presenza di spazi vuoti), lamelle circonferenziali (delimitano internamente ed
esternamente lo spessore dell’osso) e periostio (situato all’esterno,
rappresenta la via di transito dei vasi sanguigni e il fornitore di cellule
osteoprogenitrici);
- tessuto osseo spugnoso (interno), formato da pacchetti di lamelle
anastomizzate dette trabecole, che costituiscono un’impalcatura
tridimensionale ricca dei cosiddetti spazi midollari (canali midollari) in cui vi è
midollo osseo (a livello della diafisi, all’inizio rosso che fornisce gli elementi
corpuscolati del sangue, dopo la pubertà giallo, che non è più attivo ma funge
da riserva lipidica; a livello delle epifisi, nelle trabecole rosso per tutta la vita);
in parte è responsabile dell’attività osteoclastica e in parte della sintesi di
tessuto osseo (vi è una struttura particolare che viene definita diploe - a
sandwich -, al centro presenta tessuto osseo spugnoso tra due tavolati di
osso compatto ed è caratteristica delle ossa piatte).

OSSIFICAZIONE
Può essere intramembranosa o diretta, che prevede che il tessuto osseo si
formi direttamente dal mesenchima senza un primo modello cartilagineo (è il
caso delle ossa piatte del cranio e della clavicola), o endocondrale o indiretta,
che prevede che il tessuto osseo si formi a partire da un modello cartilagineo
preesistente (è il caso della maggior parte delle ossa): in entrambi i casi,
all’inizio sarà tessuto osseo non lamellare e successivamente diventerà
lamellare.
Il processo di ossificazione diretta intramembranosa prevede inizialmente una
calcificazione con conseguente formazione di trabecole, nei cosiddetti centri
di ossificazione (mesenchimali) e si viene, quindi, a formare un tessuto osseo
spugnoso (per la presenza di trabecole), dapprima non lamellare, che viene
degradato dagli osteoblasti, poi lamellare, con fibre collagene ordinate. In
sintesi, le cellule mesenchimali si aggregano e iniziano l’ossificazione, l’osso
si espande in cosiddette spicole (che verranno anastomizzate e andranno a
formare le lacune in cui è contenuto il midollo osseo), quando queste si
connettono tra loro, intrappolano i vasi sanguigni e il primordiale osso
spugnoso si trasforma in osso compatto.
Il processo di ossificazione indiretta endocondrale prevede, invece,
inizialmente la degenerazione della cartilagine ialina (embrionale, più idratata
e meno fibrosa) poiché i condrociti diventano ipertrofici, la cartilagine calcifica
e questo porta alla comparsa di centri di ossificazione, che causano un
rimodellamento della cavità midollare in quanto l’osso cresce in larghezza e
lunghezza. In sintesi, si parte da un abbozzo cartilagineo embrionale che si
accresce (l’accrescimento può essere interstiziale o apposizionale), si ha poi
un’ossificazione primaria diafisaria con la conseguente formazione di un
canale midollare (dovuta a processi di osteolisi, che contiene internamente
tessuto spugnoso) e un’ossificazione secondaria epifisaria con la
conseguente formazione di cartilagine articolare che assicura l’allungamento
dell’osso.

TESSUTO CARTILAGINEO
Esso svolge essenzialmente funzioni meccaniche e per la presenza di fibre
collagene si presenta compatto e resistente; come elementi cellulari vi sono i
condrociti, ovvero condroblasti quiescenti.
Si distinguono tre tipologie di cartilagine:
- ialina (la più diffusa, non è mineralizzata ma è sufficientemente idratata),
dove le cellule possono essere isolate o associate in cosiddetti gruppi isogeni
(derivati dalla divisione delle cellule), derivano da cellule mesenchimali,
vanno a costituire lo scheletro dell’embrione e nell’adulto rimangono in alcuni
tratti dell’apparato respiratorio (es. trachea), hanno una matrice basofila; la
sostanza amorfa di questa cartilagine presenta molecole di proteoglicano
associate a condratinsolfato, cheratansolfato e acido ialuronico e che
possono legarsi a fibre collagene (le quali formano un reticolato) e ad acqua
 queste insieme rafforzano l’impalcatura connettivale e idratano la matrice;
la cartilagine (ad eccezione degli altri connettivi) non è vascolarizzata, quindi
non presenta vasi sanguigni, ma uno strato connettivale esterno, detto
pericondrio, il quale assicura l’apporto trofico e gli elementi staminali per
l’accrescimento della cartilagine (quello apposizionale avviene a livello del
pericondrio, quello interstiziale riguarda condroblasti profondi); dopo
l’accrescimento, avviene la calcificazione, quindi l’ossificazione, e questo
porta alla degenerazione (morte) dei condrociti, che non potranno più avere
un apporto trofico adeguato.
- fibrosa (fibre collagene) che rappresenta un tessuto intermedio fra la
cartilagine ialina e il connettivo denso, si trova tra i dischi intervertebrali
(sinfisi) e sui menischi (funzione compensatoria correttiva); è caratterizzata
dalla mancanza di pericondrio, ma riceve sostanze nutritive grazie alla
continuità con il connettivo denso e la cartilagine ialina (per diffusione).
- elastica, caratterizzata dalla presenza di un’elevata percentuale di fibre
elastiche che le conferiscono un colore giallastro e flessibilità, è presente in
molte strutture dell’orecchio e nell’epiglottide.

APPARATO LOCOMOTORE
È costituito da elementi passivi (apparato osteoarticolare, ossa e articolazioni
che devono essere messi in movimento) ed elementi attivi (sistema
scheletrico - muscolare, che mettono in movimento). Lo scheletro è
sottoposto a forze statiche (essenzialmente forza di gravità) e forze
dinamiche (dovute alla trazione esercitata dalla massa muscolare).
LO SCHELETRO
Si distinguono lo scheletro assile (cranio, colonna vertebrale, gabbia toracica)
e lo scheletro appendicolare (arti superiori e arti inferiori, inseriti
rispettivamente mediante cingolo scapolare e cingolo pelvico).
Vi sono 4 tipologie di ossa: lunghe, caratterizzate da una diafisi (corpo
centrale costituito da tessuto osseo compatto) e due epifisi (estremità distali
costituite da tessuto osseo spugnoso); brevi (vertebre) presentano le tre
dimensioni essenzialmente uguali e sono caratterizzate da tessuto osseo
spugnoso rivestito esternamente da tessuto osseo compatto; piatte (cranio,
scapola, clavicole), caratterizzate dalla struttura diploe, la quale presenta due
tavolati di tessuto osseo compatto con interposto uno strato di tessuto osseo
spugnoso; sesamoidi (falangi, rotula), hanno forma ovoidale, lenticolare,
hanno una funzione meccanica, in quanto rinforzano le strutture tendinee.
La superficie delle ossa può presentare sporgenze che vengono definite
protuberanze (processo, condilo, tubercolo, tuberosità, testa, spina, cresta o
trocantere) o rientranze (fosse, canali, cavità)  queste possono creare
superfici articolari (consentono di stabilire connessioni tra ossa contigue) e
superfici non articolari (costituiscono un punto di attacco per legamenti e
muscoli).
Le principali funzioni del sistema scheletrico sono: supporto (impalcatura
scheletrica), deposito di minerali (sali di calcio), produzione delle cellule del
sangue (per la presenza del midollo osseo), protezione di tessuti e organi,
sistema di leve (si modificano direzione e ampiezza delle forze generate da
muscoli scheletrici)  queste funzioni sono in equilibrio e ciò che permette
questo equilibrio sono dei fattori che regolano l’accrescimento osseo, ovvero
un apporto costante di sali di calcio, fosfati, bicarbonato, ioni magnesio, calcio
e sodio; vitamine A e C, che vengono assunte con la dieta; vitamina D, la cui
forma attiva, il calcitriolo, stimola l’assorbimento intestinale di calcio e fosfato
e il trasporto di sangue; gli ormoni che modificano il rapporto tra osteoblasti e
osteoclasti (ad esempio, l’ormone paratiroideo stimola l’attività di osteolisi
degli osteoclasti aumentando la calcemia, in contrapposizione la calcitonina
induce il deposito di calcio nelle ossa e i due risentono dell’azione
dell’ormone somatotropo e degli ormoni sessuali stimolano la crescita ossea)
e se non sono in equilibrio tra loro determinano l’osteoporosi, ovvero la
riduzione di massa ossea (viene diagnosticata ai raggi x con la densitometria
ossea), molto frequente durante l’invecchiamento, poiché l’attività degli
osteoblasti è ridotta, può essere causata da carenza di vitamina D, carenza di
calcio, riduzione di estrogeni e fumo e compromette la normale funzione delle
strutture scheletriche (può essere contrastata da farmaci antiriassorbitivi che
evitano la perdita di minerali, farmaci osteoformativi che stimolano la
produzione di matrice e bifosfonati che inibiscono gli osteoclasti, insieme a
modulatori selettivi per gli estrogeni e terapie ormonali sostitutive, come la
somministrazione di estro-progestinici).
ARTICOLAZIONI
Sono dispositivi anatomici in grado di mettere in reciproco contatto due o più
capi ossei, dal punto di vista anatomico - strutturale, vi sono 2 categorie:

- sinartrosi (dal punto di vista funzionale fisse), ovvero per continuità, non
lasciano spazi tra i due capi articolari (ossa piatte o brevi); viene operata una
classificazione delle sinartrosi in base al tessuto tra i due capi articolari, vi
sono le suture o sindesmosi che utilizzano tessuto connettivo denso (es. ossa
del cranio), le sinostosi che utilizzano tessuto osseo (es. manubrio e corpo
dello sterno), le sincondrosi che utilizzano cartilagine ialina (es. I costa e
sterno) e le sinfisi che utilizzano cartilagine fibrosa (es. dischi intervertebrali).

- diatrosi (dal punto di vista funzionale mobili e semimobili), ovvero per


contiguità, i capi articolari sono separati e mantenuti in sede da legamenti e
capsule articolari; sono divise in artrodie sono caratterizzate da superfici
pianeggianti e consentono movimenti per scivolamento (es. osso sacro e
anca), enartrosi sono caratterizzate da superfici sferiche (una concava, l’altra
convessa, complementari) e consentono movimenti angolari su tutti i piani
(es. omero e spalla), condilartrosi sono caratterizzate da segmenti di ellisse e
consentono movimenti più ampi lungo l’asse maggiore (es. mandibola e osso
temporale, unica articolazione semimobile della testa, per il resto suture),
ginglimi, sono caratterizzati da segmenti di cilindro (uno convesso, l’altro
concavo) e ve ne sono due tipi, a troclea (perpendicolari, il capo articolare è
posizionato perpendicolarmente rispetto all’asse maggiore dell’osso,
movimento di flesso - estensione, compiuto intorno all’asse del cilindro, es.
ulna e omero) e trocoidi (laterali, il capo articolare risulta parallelo all’asse
maggiore dell’osso, movimento di rotazione dell’osso sul proprio asse
maggiore, ovvero un movimento di pronosupinazione – palmo in su e in giù –
es. ulna e radio).
Particolare è l’articolazione a sella, si trova a livello della mano, tra la base
del pollice e un osso del carpo (l’osso metacarpale e l’osso trapezio del
carpo), e per definizione è una condilartrosi modificata, viene così chiamata
poiché uno dei due capi ossei assomiglia ad una vera e propria sella: una
faccia presenta sull’asse maggiore un rilievo, mentre sull’asse perpendicolare
vi è una docciatura, una depressione a sella, a cui si applica un’estremità
complementare che presenta una concavità; quest’articolazione consente il
movimento di opposizione del pollice, ovvero il movimento di prensione tipico
dei primati, che consente al pollice di entrare in contatto con i polpastrelli
delle altre quattro dita.
La capsula articolare è un manicotto fibroso, ovvero un involucro connettivale
denso, le estremità delle ossa che partecipano all’articolazione perdono il
periostio, sostituito da cartilagine ialina; può avere una struttura adiposa,
areolare o fibrosa; internamente vi è un rivestimento costituito da membrana
mesoteliale detto sinovia  il liquido sinoviale è denso e giallastro, è
dializzato dal plasma ad opera delle cellule mesoteliali che rivestono
internamente la capsula, contiene glicoproteine, acido ialuronico, urea,
glucosio, ha un pH compreso tra 7 e 8 e contiene -globuline; le sue principali
funzioni sono lubrificazione (riduce gli attriti tra le superfici articolari),
nutrimento dei condrociti (la cartilagine articolare consente il nutrimento e
l’eliminazione dei rifiuti del metabolismo dei condrociti) e ammortizzamento
(assorbe i traumi articolari).
Non sempre le superfici articolari sono tra loro congruenti, in quanto
potrebbero avere raggi di curvatura differenti: in questi casi si parla di
articolazioni incongruenti e intervengono i cosiddetti dischi (grosse
incongruenze) e menischi (piccole incongruenze, ginocchio) per stabilizzare
l’articolazione, migliorare la distribuzione delle forze meccaniche sulle
superfici articolari ed aumentarne la congruenza.
Altre strutture accessorie possono essere i legamenti, extrarticolari ed
intrarticolari: hanno funzione di mantenere in sede i capi articolari, di
assicurare il contatto tra le superfici articolari, di evitare le deviazioni e di
limitare l’ampiezza di alcuni movimenti e sono costituiti da connettivo denso
fibroso.
Nonostante la presenza di queste strutture, a volte può avvenire la
dislocazione di un’articolazione, ovvero uno spostamento delle superfici
articolari dalla loro posizione anatomica, che è un evento traumatico, in
quanto consiste nella perdita dei rapporti reciproci tra i capi articolari di
un’articolazione; nel caso più grave, si ha la lussazione vera e propria,
altrimenti, si parla di distorsione quando la situazione è meno grave e si
risolve autonomamente.

Una lussazione è accompagnata spessa dalla rottura, almeno parziale, della


capsula e dei legamenti che stabilizzano l’articolazione; a volte, a queste
lesioni, si associano quelle della cartilagine articolare, dei vasi, delle ossa,
della cute (in questo caso si parla di lussazione esposta) e dei nervi; questo
aggrava ulteriormente la situazione, a causa delle infezioni o, in caso di
lesioni nervose, della perdita di sensibilità e forza muscolare. La lussazione
può essere completa (se vi è una netta separazione tra le due superfici
articolari) o incompleta (se i capi ossei rimangono parzialmente in contatto tra
loro): in entrambi i casi è necessario un intervento esterno per riportare in
sede le due superfici articolari.
Il logorio a cui sono soggette le articolazioni porta nei soggetti anziani al
reumatismo, ovvero dolore e rigidità a carico dell’apparato scheletrico 
questo può poi portare all’artrite, malattia a carico delle articolazioni con
conseguente danno alle cartilagini articolari, o all’artrite reumatoide, patologia
infiammatoria distruttiva su base autoimmune che può essere causata da
fattori genetici o infezioni batteriche e virali.
SCHELETRO ASSILE
Le ossa del cranio comprendono il neurocranio (teca cranica, involucro che al
suo interno contiene alcuni organi del sistema nervoso centrale) e lo
splancnocranio (massiccio facciale, realizza delle cavità al cui interno sono
contenuti alcuni organi). Il neurocranio presenta 8 ossa, 4 impari e 4 pari:
frontale, etmoide, sfenoide ed occipitale, le due parietali e le due temporali.
Lo splancnocranio comprende 14 ossa, la maggior parte delle quali sono pari:
le mascellari, le palatine, le nasali, i cornetti (o turbinati) nasali inferiori, le
zigomatiche e le lacrimali, il vomere, la mandibola e l’osso ioide.
A queste ossa, si aggiungono i 6 ossicini uditivi (martello, incudine, staffa)
dell’osso temporale.
L’osso frontale è caratterizzato dalla presenza di un’ampia squama,
costituisce l’impalcatura della fronte, presenta due rilievi pari (bozze frontali) e
un rilievo impari (glabella) in basso, che contiene il seno frontale, diviso in
due parti, le due cavità paranasali che contribuiscono al riscaldamento
dell’aria e comunicano con le adiacenti cavità nasali; in basso la squama
delimita i margini sovraorbitari, sopra i quali si trova il foro sovraorbitario,
attraverso cui passano le fibre della prima branca del nervo trigemino
(oftalmica, che innerva gran parte delle strutture del bulbo oculare e della
regione di cute che riveste il frontale); lateralmente si trovano due processi
diretti esternamente cosiddetti zigomatici poiché si articolano con l’osso
zigomatico; orizzontalmente e posteriormente costituisce la volta delle cavità
orbitarie; in alto è presente la cosiddetta fossa lacrimale, così chiamata
poiché contiene la ghiandola lacrimale che produce il secreto lacrimale;
sempre lungo la linea sagittale-mediana si nota l’incisura etmoidale, che
permette l’articolazione con il posteriore osso etmoide; sulla linea mediana, si
trova una cresta che rappresenta il sito di attacco della falce cerebrale
(corrisponde al rivestimento connettivale più esterno del telencefalo, la dura
madre encefalica) e che si continua nel cosiddetto solco sagittale superiore
(in cui passa un vaso, il seno sagittale superiore, che raccoglie il sangue
refluo); si articola posteriormente mediante suture con le ossa parietali e
questo crea un margine frastagliato, dentellato che assicura l’articolazione
fissa tra le due ossa.
L’osso etmoide presenta due parti, una lamina diretta verticalmente
chiamata lamina perpendicolare dell’etmoide, molto importante poiché
costituisce parte del setto nasale (dividendo nettamente le due cavità nasali),
e una lamina orizzontale detta lamina cribrosa (in quanto presenta dei fori
che fanno passare le fibre del nervo olfattivo, costituisce la volta delle cavità
nasali); successivamente si trova la cosiddetta crista galli, una cresta che si
trova nell’incisura etmoidale e completa l’attacco della falce cerebrale; ai lati
della lamina perpendicolare, si trovano le cosiddette masse laterali, molto
leggere poiché contengono delle cavità contenenti aria (celle etmoidali,
contribuiscono al riscaldamento dell’aria e comunicano con le adiacenti cavità
nasali), le cui superfici interne costituiscono la parete laterale delle cavità
nasali e che presentano due sporgenze, i due cornetti nasali superiori o
turbinati (creano una sorta di turbine interno) e i due cornetti nasali medi, tra
cui si trova il meato nasale superiore (al di sotto, il meato nasale inferiore),
una struttura tortuosa definita labirinto etmoidale, che permette all’aria
inspirata di rimanere più a lungo in contatto con la mucosa che tappezza le
cavità nasali, in maniera tale che l’aria venga adeguatamente riscaldata,
filtrata e inumidita; le due masse laterali sono rivestite da una membrana
ossea molto sottile definita membrana papiracea e superiormente
partecipano alla costituzione delle cavità orbitarie.
L’osso sfenoide appare di forma simile ad una farfalla, con un corpo (parte
intermedia) e due coppie di ali laterali (due superiori più piccole e appuntite e
due più ampie), che contribuiscono a chiudere la parete laterale del cranio;
tra piccola e grande ala si forma la cosiddetta fessura orbitaria superiore,
importante perché attraverso questa si ha il transito di vasi e nervi destinati
alla cavità orbitaria; in alto, a livello della grande ala si trova un foro
attraverso cui passa la seconda branca del nervo trigemino, il nervo
mascellare; in basso, si ha un’altra coppia di processi a forma di uncino,
chiamati processi pterigoidei, che rappresentano dei punti di inserzione degli
omonimi muscoli masticatori (intervengono nei movimenti della mandibola);
superiormente, in corrispondenza del corpo dello sfenoide, si vede
un’importante depressione con due rilievi, chiamata fossetta ipofisaria o sella
turcica, in cui si trova l’ipofisi, ghiandola che coordina l’attività endocrina delle
altre ghiandole e intorno alla quale si trova il poligono di Willis; in quest’area
avviene anche l’importante fenomeno del chiasma ottico (diencefalo), ovvero
l’incrociamento delle fibre del nervo ottico. (poligono di Willis circonda il
chiasma ottico ed è complessivamente posto nella regione che contiene gran
parte del corpo dello sfenoide, le radici della piccola ala e la sella turcica.
L’osso occipitale è caratterizzato dalla presenza della squama occipitale, di
due bracci e di un corpo, che insieme delimitano il grande foro dell’occipitale
o forame magno, il quale consente il passaggio continuativo del midollo
spinale fino al tronco encefalico (due organi appartenenti al sistema nervoso
centrale, il primo è situato all’interno della colonna vertebrale e si continua
con il tronco encefalico situato all’interno della cavità cranica); lateralmente a
livello dei due bracci si trovano delle superfici articolari, di forma ellissoidale,
chiamate condili dell’occipitale, che stabiliscono una condilartrosi con la prima
vertebra cervicale (l’atlante, articolazione atlanto-occipitale); sulla squama
dell’occipitale si trovano una serie di creste (quelle orizzontali vanno a
costituire le cosiddette linee nucali, che rappresentano dei punti di inserzione
per la muscolatura occipitale), tra cui due che descrivono un rilievo
crociforme, detto eminenza crociata, struttura che delimita con i suoi bracci
quattro fosse, due inferiori cerebellari (in cui sono situati gli emisferi del
cervelletto) e due superiori cerebrali (in cui si collocano i poli posteriori
occipitali degli emisferi telencefalici); lungo i bracci laterali, si trova il solco del
seno sigmoideo uno dei seni di deflusso di sangue refluo, che si continua fino
all’incisura giugulare (nel margine anteriore dei bracci) e va poi proprio a
costituire la vena giugulare interna; successivamente, nella depressione
corrispondente al corpo dell’occipitale, detta clivo, si trova il ponte, uno dei tre
organi costitutivi del tronco encefalico (insieme a bulbo e mesencefalo);
lateralmente si nota la cosiddetta protuberanza occipitale esterna, che
corrisponde al punto di incontro dell’eminenza crociata e rappresenta
un’importante punto di riferimento poiché permette di dividere la volta cranica
(dalla base dell’occipitale alla base del frontale) dalla base cranica.
Le due ossa parietali sono di forma quadrangolare e completano la
maggior parte della volta cranica; sono tipiche ossa piatte con struttura
diploe; sono articolate anteriormente con la squama del frontale,
posteriormente con la squama dell’occipitale, tra di loro lungo la linea
sagittale-mediana con l’osso controlaterale, in basso con la grande ala dello
sfenoide anteriormente e con la squama del temporale; sulla loro superficie
esterna, si possono individuare delle linee, pressoché orizzontali, che
proseguono in basso, descrivendo un’ampia depressione, detta fossa
temporale, al cui interno si colloca il muscolo temporale (che insieme ai
muscoli pterigoidei, costituiscono il muscolo masticatorio, innervato dalla
terza branca del nervo trigemino, ovvero quella mandibolare, l’unica motoria).
L’osso temporale (due) comprende due abbozzi, uno della componente
squamosa e uno della componente timpanica; presenta una squama (parte
più piatta, meno spessa), che va a partecipare alla costituzione della parete
laterale della testa, e una serie di processi, uno endocranico e per il resto
esocranici come per esempio il processo zigomatico va a costituire l’omonima
arcata con cui è articolato, e dove inizia il processo si trova una depressione,
chiamata fossa mandibolare, che accoglie il condilo della mandibola e va a
costituire l’unica articolazione (temporo-mandibolare) mobile tra le ossa della
testa; posteriormente in basso si trova un’apertura che dà accesso al
cosiddetto meato acustico esterno, che corrisponde al condotto uditivo
esterno, ovvero quello che dà seguito al padiglione auricolare, che ha
un’impalcatura esterna cartilaginea e una più interna ossea; sempre
posteriormente si trova il processo mastoideo, al cui interno si collocano un
insieme di celle, contenenti aria e rivestite da mucosa, in comunicazione con
l’orecchio medio (in virtù di questo collegamento ad esempio un’otite media
può causare una mastoidite e questa può provocare gravi più danni alle
meningi, quindi questo collegamento non è trascurabile); un altro processo
esocranico è il processo stiloideo, a forma di uncino, che rappresenta il punto
di attacco di alcuni legamenti; l’unico processo endocranico è chiamato rocca
petrosa o piramide del temporale per la sua forma e al suo interno vi sono
delle cavità delle vanno a costituire il labirinto osseo, che contiene due tipi di
recettori (cellule epiteliali modificate), anteriormente acustici per la percezione
degli stimoli sonori e posteriormente vestibolari per la percezione degli stimoli
dell’equilibrio (ad esempio la posizione della testa); in corrispondenza
dell’apice della piramide si trova l’importante ganglio di Gasse, una struttura
associata al nervo trigemino, che rappresenta l’origine reale (punto in cui si
trova il pirenoforo, corpo cellulare del neurone) delle tre fibre sensitive del
nervo trigemino; in corrispondenza della base cranica, si descrive un foro di
accesso al cranio per l’arteria carotidea interna, che partecipa alla
costituzione del poligono di Willis.
Per quanto riguarda le articolazioni della testa, oltre l’articolazione temporo-
mandibolare, vi sono: la sutura sagittale (tra le due ossa parietali), la sutura
coronale (tra frontale e parietale), la sutura lambdoidea (tra le due parietali e
l’occipitale), la sutura squamosa (riguarda il temporale) e la sutura
frontonasale (tra il frontale e le cavità nasali).

All’interno della volta cranica si vedono una serie di impronte determinate dai
rapporti anatomici delle strutture in transito, come ad esempio alcune
formazioni aracnoidali (l’aracnoide è una delle tre meningi che tappezza il
telencefalo, oltre alla dura madre e alla pia madre) o granulazioni del
Pacchioni , piuttosto spesse e sporgenti, che rappresentano importanti punti
di riassorbimento del liquido cefalo-rachidiano (se non venisse riassorbito,
causerebbe patologie come l’idrocefalo, accumulo di liquido nelle strutture del
cranio).

Le due ossa mascellari presentano sulla faccia anteriore due depressioni
(concavità), definite fosse canine, dove si può osservare il foro intraorbitale,
dove raggiunge la cute la seconda branca del nervo trigemino, la mascellare,
che innerva la regione mascellare; l’osso mascellare fa parte delle cosiddette
ossa pneumatiche, perché il suo spessore interno è occupato da un ampio
seno (la presenza di aria alleggerisce la massa ossea) in comunicazione con
le cavità nasali; in alto si vede un processo, il processo frontonasale, che si
articola con il frontale e con le ossa nasali; lateralmente si individua il
processo zigomatico, che si articola mediante sutura; in basso si trova il
margine inferiore che costituisce il processo alveolare, dove si possono
individuare gli 8 alveoli dentali che accolgono le radici dei denti di ciascuna
emiarcata (lì dove le radici si inseriscono negli alveoli, si creano dei rilievi a
forma di cono, definiti gioghi alveolari); in basso a livello della base cranica,
vicino agli alveoli, si individua una lamina orizzontale, che si articola con
quella controlaterale che va a descrive la cosiddetta lamina costitutiva del
processo palatino) – le due lamine costituiscono i processi palatini, i quali
formano la parte anteriore del palato (il p. duro) e si articolano con le vere e
proprie ossa palatine –; nella parte superiore, presenta anche una lamina
orizzontale, che costituisce la parte orbitale, ovvero il pavimento della cavità
orbitaria
Le due ossa palatine hanno una forma ad L, dove si individuano due
lamine, una orizzontale e una perpendicolare (questa presenta
un’estroflessione, il processo orbitario, che delimita le cavità orbitarie); lungo
la linea mediana le due ossa formano un rilievo, la cresta nasale, in cui si
articola il vomere, che va a completare il setto nasale nella parte inferiore;
quindi, oltre a costituite il palato, le due ossa palatine contribuiscono alla
formazione del pavimento nasale e delle cavità orbitarie.
Le due ossa nasali costituiscono la radice del naso, unica porzione
scheletrica della piramide nasale (che per il resto è costituita da tessuto
cartilagineo).
Le due ossa lacrimali si trovano sulla superficie mediale delle cavità
orbitarie; sono piccole ossa di forma laminare quadrangolare, che descrivono,
insieme al processo frontonasale, una depressione, chiamata fossa del sacco
lacrimale (raccoglie il secreto prodotto dalla ghiandola lacrimale, che sbocca
nella cavità nasale al di sotto del turbinato nasale inferiore).
Le ossa zigomatiche costituiscono con il corpo quadrangolare il pomello,
detto anche zigomo; partecipa alla costituzione delle cavità orbitarie e
presenta una serie di processi che si articolano con le ossa adiacenti, come il
processo fronto-sfenoidale (tra frontale e sfenoide), il processo temporale, il
processo mascellare.

Cavità comuni al neurocranio e al viscerocranio: cavità nasali & cavità


orbitarie
Le cavità orbitarie hanno una forma piramidale con la base corrispondente
al margine orbitario, che accoglie il bulbo oculare con i suoi annessi, ovvero
le strutture protettive (congiuntiva, palpebre e formazioni ghiandolari);
presentano una base, che corrisponde all’apertura dell’orbita, e un apice, che
corrisponde al canale ottico, e quattro pareti, superiore (costituita da frontale
e piccola ala dello sfenoide), inferiore (costituita da mascellare, zigomatico e
palatino), mediale (costituita da zigomatico, grande ala dello sfenoide e
frontale) e laterale (costituita da sfenoide, lacrimale, etmoide e mascellare).
Le cavità nasali appartengono alle vie respiratorie, accolgono la mucosa
respiratoria (svolge funzione protettiva e di rivestimento ed è ricca di
ghiandole che filtrano e umidificano l’aria), contengono la mucosa olfattiva (si
trova in corrispondenza della volta delle cavità nasali, contiene recettori
olfattivi ovvero veri e propri neuroni in grado di percepire odori), sono divise in
due parti dal setto nasale (prevalentemente costituito da scheletro osseo e
completato da una porzione cartilaginea), sono slargate in basso e più strette
in alto, hanno un aspetto labirintico e sono caratterizzate dalla presenza di
cosiddette conche nasali; si descrivono quattro pareti, superiore (costituita da
osso nasale, frontale, etmoide e sfenoide), laterale (costituita dai turbinati
superiori inferiori e medi che formano i rispettivi meati), inferiore (costituita da
osso mascellare e palatino) e mediale (costituita da etmoide e vomere,
corrisponde al setto, presenta superficie liscia); le cavità paranasali
associate, rappresentate da seno mascellare, seno frontale, seno sfenoidale
e celle etmoidali, processano l’aria prima che questa arrivi nella laringe,
filtrandola, umidificandola e riscaldandola.
BASE CRANICA
Può essere divisa in tre parti: facciale (corrispondente all’articolazione dello
splancnocranio sul neurocranio), giugulare (intermedia, regione che permette
il passaggio di vasi sanguigni come la fossa giugulare – sangue refluo – e in
questa si trova il canale carotideo che permette il passaggio della carotide –
sangue ossigenato –) e occipitale (corrispondente al forame magno, che
consente il passaggio senza interruzione del midollo spinale fino al tronco
encefalico).
La base cranica dall’interno presenta tre fosse: fossa cranica anteriore, media
e posteriore.
La regione sovraioidea è costituita dai muscoli che intervengono nei
movimenti della lingua e della laringe, ha una particolare conformazione ad
altalena poiché la muscolatura deve permettere movimenti piuttosto ampi;
l’osso ioide non si articola con le altre ossa del cranio, costituisce un punto di
attacco dello scheletro della laringe, infatti si trovano la membrana tiroidea,
che rappresenta una membrana connettivale che consente l’attacco della
cartilagine tiroidea – la cui regione anteriore corrisponde al pomo d’Adamo –;
si presenta con un corpo a forma di ferro di cavallo, da cui si dipartono due
prolungamenti diretti posteriormente che terminano con delle protuberanze,
detti corni maggiori, mentre i corni minori sono visibili sulla faccia anteriore;
ciascuno di questi processi rappresentano dei punti di inserzione dei muscoli
o dei legamenti, in particolare, il corno minore rappresenta il punto di attacco
per il processo stiloideo – fa parte dell’osso temporale – e il corno maggiore
permette l’inserzione dei muscoli della lingua formando il nervo ipoglosso;
complessivamente l’osso ioide fornisce l’attacco della membrana tiroidea
(indirettamente della laringe), rende possibile l’inserzione della muscolatura
scheletrica striata della lingua e della laringe e si presenta molto mobile
proprio per l’assenza di articolazioni vere e proprie e per la presenza di
legamenti

A livello della volta cranica, si possono avere dei difetti dell’accrescimento del
cranio. Nel neonato l’ossificazione non è completa e si trovano delle
cosiddette fontanelle, che hanno lo scopo di temporeggiare il processo di
ossificazione per consentire prima l’accrescimento dell’encefalo (altrimenti
l’encefalo non potrebbe crescere bene con conseguenze piuttosto gravi a
carico del sistema nervoso centrale), le più importanti sono la fontanella
anteriore, detta bregmatica (a forma di rombo tra i due abbozzi frontali e le
due ossa parietali), e quella posteriore, detta lambdoidea (a forma triangolare
tra le due ossa parietali e l’occipitale); una chiusura precoce delle fontanelle
provoca una condizione patologica, detta craniostenosi, che causa alterazioni
morfologiche del cranio (a livello della sutura sagittale, scafocefalia, provoca
un cranio più lungo o a livello delle suture coronali, brachicefalia, provoca un
cranio più largo) e nei casi più gravi occorre intervenire chirurgicamente per
evitare danni cerebrali (microcefalia: arresto accrescimento encefalo).
COLONNA VERTEBRALE
È una struttura metamerica, ovvero costituita da una serie di unità ripetute in
successione (le vertebre), non è rettilinea ma presenta delle curvature, è
lunga circa 65-75 cm e presenta quattro settori, cervicale (C), toracico (T) o
dorsale (D), lombare (L) e sacrale (S) e vi è poi il coccige che presenta 3 4
vertebre rudimentali; all’interno della colonna si trova un importante organo
del sistema nervoso centrale, ovvero il midollo spinale. La colonna
comprende 33 vertebre che si articolano l’una sull’altra: 7 cervicali (C1-C7),
12 dorsali o toraciche (T1-T12), 5 lombari (L1-L5), 5 sacrali (S 1-5, fuse tra
loro) e 4 coccigee (fuse, senza articolazioni).
La colonna presenta una forma ad S e presenta 4 curve a concavità dorsale
(lordosi) o a concavità ventrale (cifosi) alternata, che hanno funzione di
sostegno e di equilibrio della postura: questa conformazione, infatti, le
permette di avere una resistenza 10 volte maggiore rispetto alla struttura
rettilinea e di fornire un’adeguata protezione al midollo spinale che trasferisce
impulsi o acquisisce informazioni tramite nervi spinali.
Tra una vertebra è l’altra vi è l’interposizione dei cosiddetti dischi
intervertebrali (sinfisi, fissa): la loro struttura presenta due parti, una centrale
(nucleo polposo), di consistenza gelatinosa e molle poiché molto ricca di
acqua, e una periferica (anello fibroso), di consistenza fibrocartilaginea,
formata dalla successione di strati fibrosi concentrici. Il nucleo è privo di vasi
sanguigni quindi il disco lesionato o distrutto non può più essere riparato o
rigenerato e può rompere l’anello fibroso e penetrare nel canale vertebrale,
determinando la comparsa di un’ernia del disco.

Per quanto riguarda la morfologia delle vertebre, queste sono ossa brevi,
caratterizzate da una serie di processi: presentano un corpo cilindrico di
tessuto spugnoso, rivestito internamente da tessuto osseo compatto, e
dorsalmente un arco diviso in estremità prossimale (peduncolo) ed estremità
distale (lamina), che va a fondersi con l’estremità controlaterale, formando il
foro intervertebrale (in cui alloggia il midollo spinale). Tra le vertebre si
stabiliscono due tipi di articolazioni, sinartrosi, per la presenza dei dischi
intervertebrali (tra le due superfici articolari si interpone del tessuto
cartilagineo fibroso), e artrodie tra processi articolari superiori e inferiori (è
presente la capsula articolare).

Le vertebre cervicali sono le vertebre che costituiscono l'asse di sostegno del


collo; sono le più piccole dell'intero sistema della colonna; inoltre presentano
tutte processi trasversi piuttosto corti e tozzi, nei quali si aprono i
cosiddetti fori trasversari, attraverso cui passano l'arteria vertebrale (ad
esclusione del foro trasversario di C7), importante per l'irrorazione della parte
posteriore dell'encefalo e del cervelletto, e la vena vertebrale; infine
presentano all'estremità del processo spinoso (ad esclusione di C7) una
biforcazione, per via della quale si parla di processo spinoso bifido. La prima
vertebra, atlante, è priva di corpo, ma costituita da due archi, che permettono
l’articolazione con l’occipitale e quindi collega il cranio alla colonna vertebrale;
la seconda, epistrofeo, si articola con l’atlante attraverso il cosiddetto dente e
quest’articolazione permette il movimento di rotazione del capo; la settima ed
ultima vertebra, detta prominente, è più sviluppata in lunghezza ed è
particolare poichè il suo processo spinoso non è bifido.

Le vertebre toraciche si articolano con le corrispondenti 12 coste, che


costituiscono la gabbia toracica. Ciascuna vertebra presenta sul corpo su
faccette incomplete, definite emifaccette, poste al confine con i corrispondenti
dischi intervertebrali; la caratteristica di questo settore è che una costa si
articola con l’emifaccetta inferiore di una vertebra e con l’emifaccetta
superiore di quella sottostante. I processi spinosi di queste vertebre risultano
piuttosto lunghi e inclinati verso il basso. Particolari sono la prima vertebra,
che presenta una faccetta articolare completa per la prima costa, e le ultime
due vertebre, che presentano una sola emifaccetta articolare posta sul corpo
vertebrale.

Le vertebre lombari sono le ossa che compongono la terza parte


della colonna vertebrale e costituiscono l'asse di sostegno dell'addome. I
principali caratteri che le distinguono consistono nel notevole volume del
corpo (più alto in avanti) e nella caratteristica forma dei processi spinosi. Dai
peduncoli e dal corpo si distaccano i processi costiformi, oltre a processo
mammillare e processo accessorio.

L'osso sacro è un unico osso derivante dalla fusione di cinque segmenti


primitivi (vertebre sacrali). L’osso sacro si trova di seguito al segmento
lombare della colonna vertebrale; assieme al coccige e alle due ossa
dell’anca forma il bacino. Il sacro ha la forma di una piramide quadrangolare
con base in alto e apice in basso.
Nell’osso sacro si considerano una faccia anteriore, una posteriore, due
laterali, una base (in alto) e un apice (in basso): su quella anteriore, si
possono notare quattro linee trasversali, che rappresentano le saldature tra i
corpi delle cinque vertebre primitive; sulla linea mediana di quella posteriore,
si nota la cresta sacrale media, che deriva dalla fusione dei processi spinosi
delle primitive vertebre sacrali; quelle laterali presentano una superficie
articolare per l’osso dell’anca, la faccetta auricolare, e una superficie
irregolare, su cui si impiantano numerosi legamenti, la tuberosità sacrale; la
base è in rapporto con la 5° vertebra lombare, formando il cosiddetto
promontorio, e ai lati di questa superficie articolare, si trovano due superfici
lisce, definite ali del sacro; l’apice si articola con la base del coccige.
Infine, il canale sacrale, triangolare in alto e appiattito in basso, termina con il
cosiddetto hiatus sacrale, e ai suoi lati vi sono 4 brevi canali, i fori
intervertebrali.

Il coccige è l’ultimo segmento della colonna vertebrale, è formato da 4-6


segmenti fusi tra loro, che non presentano le normali caratteristiche delle
vertebre. Ha fora triangolare, con una base superiore che si articola con
l’osso sacro, un vertice inferiore, due margini laterali una faccia anteriore e
una posteriore, che presentano dei solchi (rappresentano i punti di fusione
dei segmenti primitivi).

GABBIA TORACICA
Le sue ossa costitutive sono rappresentate dalle 12 vertebre toraciche, dalle
12 paia di coste e dallo sterno (osso impari). La forma complessiva è un
tronco di cono, svolge un’importante funzione protettiva per gli organi di
sistema circolatorio e respiratorio, non va confusa con la cavità viscerale (di
dimensioni più ridotte, che contiene le due logge pleuropolmonari e il
mediastino), presenta una stretta apertura superiore e un’apertura inferiore
più larga (deve accogliere delle strutture anatomiche, come l’aorta o la vena
cava inferiore, che passano attraverso i cosiddetti iati o orifizi); risulta
particolarmente flessibile ed elastica, poiché deve adeguarsi alla
respirazione, espansione durante l’espirazione e ritorno durante l’inspirazione
(ha articolazioni mobili); i muscoli possono essere estrinseci (muscoli che
hanno origine e inserzione in due diversi distretti anatomici, per esempio
muscoli accessori come il muscolo sternocleidomastoideo o i muscoli
dell’addome) o intrinseci (muscoli che hanno origine e inserzione nello stesso
distretto anatomico, ovvero nel torace, ad esempio muscoli intercostali che si
dispongono tra due coste in successione; la loro caratteristica morfologica è
un’organizzazione metamerica, ovvero segmentale).
Si hanno 12 paia di coste divise in tre gruppi, in relazione all’articolazione con
lo sterno: dalla prima alla settima si articolano direttamente con lo sterno e
vengono definite coste sternali o vere; dall’ottava alla decima vengono
definite coste asternali o false, poiché hanno un’estremità sternale che si
articola con la cartilagine della costa precedente; l’undicesima e la
dodicesima vengono definite coste libere o fluttuanti, poiché non hanno
nessun rapporto articolare con lo sterno.
Dal punto di vista strutturale, le coste, seppur allungate, hanno le stesse
caratteristiche delle ossa piatte, con la struttura diploe (osso spugnoso
interno rivestito da due tavolati di osso compatto), hanno un andamento
curvilineo, arcuato e, partendo dalla vertebra, si dirigono indietro, poi piegano
lateralmente in avanti fino a raggiungere lo sterno, descrivendo il cosiddetto
arco costale, il quale aumenta di dimensioni dalla prima verso la settima,
facendo anche ampliare la cavità toracica. Le coste hanno un corpo e due
estremità, di cui quella anteriore é costituita da cartilagine ialina, mentre
quella posteriore presenta una testa (che si articola sulle superfici articolari al
confine tra corpo e arco delle vertebre toraciche), un corpo e un tubercolo
che si articola sulle faccette articolari sui processi trasversi.
Oltre a queste estremità, le coste presentano un angolo costale, descritto
quando il corpo dell’estremità posteriore della costa si porta in basso in avanti
verso l’estremità sternale (ovvero quando forma l’arco costale), e un solco
costale (nel margine inferiore, una depressione dove transitano vasi e nervi,
importante in alcuni interventi chirurgici).
Alcune coste atipiche hanno una morfologia leggermente diversa: la prima
costa, piuttosto piccola e tozza, non molto ampia che presenta una faccetta
articolare che si articola con la parte superiore della prima vertebra toracica
(dove non si formano emifaccette, poiché non c’è una vertebra contigua che
può realizzare l’articolazione completa); l’undicesima e la dodicesima hanno
la caratteristica di essere più sottili e più corte anche perché non partecipano
alla costituzione della gabbia toracica, e, non presentando un tubercolo, si
articolano impropriamente con i processi trasversi mediante dei legamenti
(fasci fibrosi).
Eventuali danni alle costole potrebbero provocare danni più gravi, visto la
stretta vicinanza tra costole, diaframma, fegato (a destra) e milza (a sinistra),
tra cui pneumotorace (aria nella pleura, sacco sieroso che riveste il polmone,
che lo fa collassare non permettendogli di espandersi) o lesione dei vasi
sanguigni (si determina l’emotorace, sangue nei polmoni o nella pleura).

In corrispondenza della linea vasi-sternale, al di sotto del corpo dello sterno,


si nota la superficie superiore del diaframma (quarto spazio intercostale), che
divide le due cavità toracica e addominale; i due margini costali inferiori
(destro e sinistro), convergendo in corrispondenza dello sterno, costituiscono
il cosiddetto angolo sottosternale ed è un punto importante, poiché permette
di posizione adeguatamente la mano durante la rianimazione cardio-
polmonare (massaggio cardiaco).

Il diaframma è un muscolo scheletrico, striato, volontario, innervato dal nervo


frenico (spinale), che proviene dal plesso cervicale e la cui lesione determina
paralisi del diaframma e impossibilità di respirare; è molto importante per la
respirazione, soprattutto durante l’inspirazione; ha diversi punti di attacco, il
processo xifoideo, le cartilagini costali delle ultime sei coste e le vertebre
lombari, che convergono in un centro fibroso, definito centro tendineo o
centro frenico del diaframma, che è importante perché è il punto su cui si
poggia il cuore e che presenta una serie di orifizi (ad esempio, lo iato
esofageo per il passaggio dell’esofago, lo iato diaframmatico per il passaggio
dell’aorta che da toracica diventa addominale, e un ultimo per il passaggio
della vena cava inferiore che raccoglie il sangue refluo proveniente dalle
regioni sottodiaframmatiche) e i tre pilastri diaframmatici (destro, sinistro e
sternale)

Lo sterno ha le caratteristiche delle ossa piatte, presenta uno strato esterno


di tessuto osseo compatto particolarmente sottile, che consente di attuare il
puntato sternale (prelievo di midollo osseo a fini istologici). Si riconoscono tre
porzioni, che nascono come abbozzi singoli e si fondono successivamente
(verso i 20-25 anni): la superiore, di aspetto poligonale, il manubrio, che in
unione con il corpo forma il cosiddetto angolo sternale o di Luys; il corpo,
parte più allungata; il processo xifoideo (ensiforme), una protuberanza
appuntita, generalmente rivolta in avanti (tra corpo e processo xifoideo si
trova la linea vasi-sternale).
In corrispondenza del manubrio si trovano due punti articolari: l’incisura
clavicolare, unico punto di attacco sullo scheletro assile per l’arto superiore
(si forma l’articolazione sterno-clavicolare, artrodia), e l’incisura costale, per la
cartilagine della prima costa; lateralmente al corpo si trovano le superfici
articolari delle altre sei coste (dalla seconda alla settima).
Riepilogando tutte le articolazioni a livello del torace: articolazioni costo-
vertebrali (tra estremità costale e le vertebre), articolazioni costo-condrali (tra
le due estremità della costa, ossea e cartilaginea), articolazioni intra-condrali
(tra le cartilagini delle coste), articolazioni sterno-costali, articolazioni sternali.
Il processo che porta all’espansione polmonare è legato all’azione dei
muscoli propriamente attivi nella respirazione, ovvero diaframma e muscoli
intercostali esterni (contribuiscono all’elevazione delle coste; quelli interni
agiscono durante l’emissione di aria forzata), e dei muscoli respiratori
accessori, quali muscolo sternocleidomastoideo, muscoli piccolo-pettorale, di
forma dentata, e il muscolo dentato, che contribuiscono a sollevare il
manubrio dello sterno.

SCHELETRO APPENDICOLARE
Lo scheletro appendicolare presenta due cingoli o cinti, come il cingolo
scapolare o toracico per l’arto superiore e il cingolo pelvico per l’arto inferiore
(gli arti non sono direttamente inseriti sulla colonna vertebrale!).

ARTO SUPERIORE
Il cinto scapolare e costituito da clavicola e scapola, entrambe ossa piatte.
Per quanto riguarda la parte appendicolare, il braccio presenta un unico
segmento osseo, l’omero, mentre sull’avambraccio, vi sono ulna e radio,
disposte in parallelo: sono tutte e tre ossa lunghe, quindi presentano una
diafisi e due epifisi (l’epifisi prossimale è il punto più vicino al tronco, quella
distale è il più lontano); la mano presenta diverse porzioni, il polso (il cui osso
è il carpo), il palmo (la base delle dita, il cui osso è il metacarpo) e le dita (le
cui ossa sono le falangi).
La scapola è un osso triangolare, con apice rivolto in basso, è solo applicata
alla parete posteriore della gabbia toracica ma non ha nessun contatto
articolare ed è tenuta in sede da legamenti e fasci muscolari; la clavicola è
articolata con la scapola e con lo sterno, unico elemento osseo che
garantisce l’inserzione dell’arto sul tronco.
La superficie posteriore della scapola presenta un rilievo piuttosto appuntito,
definito spina,che compare sul margine mediale (al limite tra il terzo superiore
e i due terzi inferiori), per dirigersi poi in alto, esternamente, e terminare
incurvandosi in avanti con un processo chiamato acromion (punto che
permette l’articolazione acromio-clavicolare tra scapola e clavicola); la spina
divide la faccia posteriore della scapola in due fosse, sovraspinata e
sottospinata, in cui alloggiano due muscoli della spalla, importanti anche per
la stabilizzazione del cingolo scapolare. La faccia anteriore della scapola
presenta una concavità, definita fossa sottoscapolare, dove alloggia
l’omonimo muscolo; sul margine superiore lateralmente si osserva il
cosiddetto processo coracoideo, punto di attacco per la muscolatura della
spalla che non partecipa all’articolazione.
La clavicola (“piccola asta”) presenta una forma ad S italica, è sottile e piatta,
e ha un’estremità acromiale (che si articola con l’acromion della scapola) e
un’estremità mediale sternale (che si articola con l’incisura clavicolare sul
manubrio dello sterno).
Lateralmente al processo coracoideo, si trova la cosiddetta cavità o fossa
glenoidea, non molto ampia, di forma sferica, dove si realizza l’articolazione
scapolo-omerale (la scapola accoglie la testa sferica dell’omero, collegando
così lo scheletro appendicolare allo scheletro assile); la differenza di
ampiezza tra la testa dell’omero e la cavità glenoidea, tamponata dall’azione
del labbro o cercine glenoideo (anello cartilagineo), ha come vantaggio la
maggiore mobilità dell’arto superiore e come svantaggio la facile lussazione
che può avvenire (è un’articolazione molto mobile ma instabile). I muscoli
coinvolti nella stabilizzazione dell’articolazione sono muscolo sottoscapolare,
muscolo sottospinato e muscolo piccolo rotondo, i cui tendini convergono e
formano la cosiddetta cuffia del nuotatore (rinforzano la capsula articolare ed
evitano movimenti troppo ampi).
I movimenti che possono essere fatti dalla spalla (grazie all’enartrosi) sono
adduzione, abduzione e rotazione, nel movimento risultante di
circumduzione.
L’omero presenta una diafisi e due epifisi (quella prossimale si articola con la
scapola, quella distale con il radio mediante il condilo e con l’ulna mediante la
troclea). Dall’alto verso il basso si trovano: l’epifisi prossimale, il collo
anatomico (contatto tra epifisi e diafisi), sulla diafisi due tubercoli (maggiore e
minore), che rappresentano punti di inserzione per i muscoli della spalla e
sono divisi dal cosiddetto solco intertubercolare (dove si trova un tendine, per
il muscolo bicipite brachiale del braccio) e l’epifisi distale. Quest’ultima sul
lato interno presenta la troclea, simile a un cilindro, orientata
perpendicolarmente rispetto all’asse dell’osso (questa posizione rende
possibile il movimento di flessione dell’avambraccio), che al di sopra presenta
la cosiddetta fossa coronoidea (accoglie l’omonimo processo che fa parte
dell’ulna durante la flessione – sull’ulna vi è una cosiddetta tuberosità che
permette l’inserzione del muscolo brachiale, responsabile della flessione –),
al lato la cosiddetta fossa radiale (accoglie l’epifisi prossimale del radio
durante la flessione), posteriormente la fossa olecranica (profonda, accoglie
l’omonimo processo dell’ulna durante l’estensione), termina con il processo
stiloideo (non articolare, che stabilizza l’articolazione del polso) e presenta,
infine, l’articolazione radio-ulnare, ginglimo trocoide (la superficie articolare
ha un orientamento parallelo all’asse maggiore dell’osso, che permette il
movimento di pronosupinazione).

Il radio mediante l’epifisi prossimale si articola con il capitello o condilo


dell’omero, consentendo i movimenti di flesso - estensione, e mediante
l’epifisi distale (molto voluminosa), stabilisce l’articolazione radio-carpica (solo
il radio si articola con il carpo, mentre l’ulna no) ed entra in contatto con
l’arteria radiale (uno dei rami dell’arteria ascellare che va a vascolarizzare il
braccio, importante perché grazie a questa si può auscultare il polso dal
momento che pulso con lo stesso ritmo del cuore).

La mano presenta una serie di ossa brevi che vanno a costituire il carpo, con
cui il radio è in rapporto articolare (mentre l’ulna no, dal momento che è più
arretrata): il carpo è costituito da 8 ossa, due fila di 4 elementi (4 ossa
prossimali, scafoide, semilunare, piramidale e pisiforme – articolazione
radio-carpica – e 4 ossa distali, trapezio, trapezoide, capitato e uncinato –
articolazione metacarpica); il metacarpo è costituito da 5 ossa lunghe che si
estendono a raggiera; le dita sono formate dalle falangi (14 in totale, 2 nel
pollice – prossimale e distale – e 3 nelle altre dita – prossimale, media e
distale –).
Ricapitolando le articolazioni: tra radio e carpo vi è una condilartrosi, tra le
ossa carpiche vi sono artrodie, tra il trapezio e il I osso metacarpale vi è
un’articolazione a sella, tra il I osso metacarpale e la falange vi è una troclea,
tra il metacarpo e le falangi vi è una condilartrosi, tra le falangi vi sono delle
troclee e le falangi distali presentano delle tuberosità ungueali.

Nella mano vi sono articolazioni che consentono movimenti piuttosto precisi e


fini, ma, a volte, può presentarsi la patologia del tunnel carpale, neuropatia
dovuta all’irritazione o alla compressione del nervo nel suo passaggio
attraverso il canale carpale (accumulo di liquido sinoviale che provoca
edema), può essere dovuta all’infiammazione cronica della borsa tendinea
dei flessori che comprime il nervo, può manifestarsi durante la gravidanza nei
soggetti affetti da ipertiroidismo o da
artrite reumatoide, è frequente nei soggetti che svolgono lavori di precisione o
ripetuti o in caso di traumi, processi infiammatori dei muscoli flessori o sforzi
muscolari. Vi sono due tipi di terapia: conservativa (farmaci antinfiammatori o
ultrasuoni che hanno scarsa efficacia nel tempo, stecche per il polso che non
incidono sulla causa vera e propria) o chirurgica (viene tagliato il legamento
trasverso del carpo, tetto del tunnel carpale).

ARTO INFERIORE
L’arto libero inferiore comprende la coscia (femore), la gamba (tibia e fibula) e
il piede (caviglia, pianta e dita, ovvero tarso, metatarso e falangi). Il cinto
pelvico è formato dalle ossa dell’anca, ileo, ischio e pube, che, durante
l’embriogenesi, sono separate da cartilagine ialina, ma intorno ai 25 anni si
fondono in corrispondenza di una fossa, chiamata acetabolo, formando un
unico corpo, di cui l’ileo rappresenta la porzione superiore, l’ischio la porzione
postero-inferiore e il pube la porzione antero-inferiore, e che accoglie la testa
del femore, costituendo l’articolazione coxo-femorale. L’osso coxale è un
osso piatto, irregolare, simile ad un 8, sul cui margine superiore si possono
notare la cosiddetta cresta iliaca, che dà attacco alla muscolatura del bacino
e che termina con una sporgenza, la spina iliaca antero-superiore (in basso
più rientrata è presente anche la spina iliaca antero-inferiore) e le cosiddette
linee glutee, punti di inserzione dei muscoli glutei; sulla faccia interna, si nota
un’ampia depressione, la fossa iliaca, che dà spazio alla cavità pelvica; nella
regione postero-mediale, si trova la tuberosità iliaca, anch’essa punto di
inserzione per la muscolatura; infine, si può notare anche il foro otturatorio,
compreso tra ischio e pube, attraverso cui passano nervi e vasi dal bacino
fino alla coscia.
Le ossa dell’anca si articolano posteriormente con il sacro (artrodia),
anteriormente tra di loro (sinfisi), formando la cavità viscerale del bacino (o
pelvi).

Il bacino ha una forma a tronco di cono, ovvero presenta un’ampia base


antero-superiore e una piccola base inferiore, divise dalla cosiddetta linea
arcuata: la prima, la grande pelvi (o falsa) è ampia e svasata, è aperto verso
l’alto e il davanti ed è costituita dalle ali degli ilei; la seconda, la piccola pelvi
(o vera) è costituita dagli ischi e dalle ossa pubiche, racchiude retto, vescica
e genitali interni, presenta un’apertura superiore (stretto superiore), delimitato
dalla linea terminale, e un’apertura caudale (stretto inferiore). Il bacino
femminile presenta delle differenze rispetto a quello maschile, anche in
funzione della gravidanza e del parto: è meno profondo ma più largo,
presenta ossa più sottili, la sinfisi pubica più bassa, l’arco pubico più ampio,
la cresta iliaca meno curva e il sacro più corto e meno ricurvo (l’angolo
formato dai rami ischio pubici delle due ossa iliache è maggiore di 90°). Le
principali funzioni del bacino sono il mantenimento della stazione eretta, la
deambulazione in quanto scarica il peso della colonna sugli arti inferiore per
mezzo delle articolazioni coxo-femorali e, infine, oltre a dare attacco ai
muscoli dell’addome e dell’arto inferiore, contiene e protegge tutti i visceri
della cavità pelvica.

In senso prossimo-distale, l’arto inferiore comprende il femore nella coscia, la


patella (o rotula) nel ginocchio, tibia e fibula nella gamba, tarso metatarso e
falangi nel piede. Lo scheletro dell’arto inferiore non è rettilineo, ma presenta
un’angolazione che riguarda la posizione del femore (e quindi la diversa
inclinazione maschile e femminile).

Il femore ha un corpo allungato e due estremità, una prossimale e una


distale. L’estremità  prossimale  presenta la testa del femore, semisfera che
si trova all’estremità del collo del femore, un segmento cilindrico che partendo
dal corpo si dirige medialmente, con un angolo di circa 130 gradi. Tale angolo
si modifica nel corso della vita e si riduce nell’anziano, facendo aumentare il
rischio di frattura; qui si trovano il piccolo trocantere e il grande trocantere,
sporgenze ossee su cui prendono inserzione alcuni muscoli. La testa del
femore si articola con la cavità acetabolare dell’osso dell’anca, costituendo
l’articolazione coxo-femorale, molto stabile grazie a muscoli e legamenti di
supporto (questa zona è, infatti, più soggetta a fratture che lussazioni).
L’estremità distale del femore presenta due rilievi voluminosi, i condili che,
articolandosi con la tibia, sono compresi nella articolazione del ginocchio. Tra
i due condili, uno mediale e uno laterale, anteriormente vi è una superficie, la
faccia patellare, che si articola con la patella (è una troclea) e posteriormente
vi è una depressione, la cosiddetta fossa intercondiloidea.

La rotula (o patella) è un osso sesamoide, di forma pressoché triangolare,


che si sviluppa all’interno del tendine del muscolo quadricipite femorale
(costituito dai quattro muscoli estensori del ginocchio, retto femorale, vasto
intermedio, vasto laterale e vasto mediale); non partecipa direttamente
all’articolazione e svolge essenzialmente una funzione protettiva, infatti
irrobustisce il tendine del quadricipite femorale, aumenta la forza di leva del
muscolo, mantiene la posizione del tendine quando il ginocchio è flesso e
protegge l’articolazione anteriormente.
L’articolazione del ginocchio è incongruente, poiché le superfici interessate
non hanno lo stesso raggio di curvatura: in questa intervengono 8 legamenti
di supporto, il legamento rotuleo o patellare, il legamento collaterale tibiale, il
legamento collaterale fibulare, i due legamenti poplitei (posteriormente), i due
legamenti crociati (anteriore e posteriore, orientati ad X) e il legamento
trasverso (disposto orizzontalmente). L’articolazione è molto stabile, presenta
il ginocchio bloccato in estensione (è limitata la contrazione dei muscoli
antigravitali estensori e una piccola rotazione esterna della tibia tira il crociato
anteriore bloccando il menisco) – meccanismo molto importante poiché
permette di stare a lungo in piedi, senza contrarre i muscoli estensori – e può
essere sbloccato solo con una piccola rotazione interna della tibia o con una
rotazione esterna del femore.

La tibia e la fibula sono le due ossa costitutive della gamba, sono disposte
parallelamente (tibia in posizione mediale rispetto alla fibula) e, come
articolazioni reciproche, presentano a livello prossimale un’artrodia, mentre a
livello distale una sinartrosi. La fibula non si articola, ha solo funzione
stabilizzante per la gamba, mentre la tibia si articola con il femore (tramite
l’epifisi prossimale) e con il tarso (tramite l’epifisi distale). In particolare la tibia
è costituita da un’epifisi prossimale, una diafisi e un’epifisi distale: la prima
presenta i condili mediale e laterale per l’articolazione con il femore; la
seconda presenta anteriormente una cresta (ben palpabile sotto la cute); la
terza è molto sottile e termina con un processo voluminoso, il cosiddetto
malleolo mediale, che si articola con l’astragalo della caviglia.

Lo scheletro del piede è composto dalle ossa del tarso (7 ossa, di cui due,
l’astragalo o talo e il calcagno sono più voluminose e sostengono il peso del
corpo – in particolare il primo si articola con la tibia e trasmette il peso del
corpo sul secondo) e del metatarso (5 ossa lunghe) e dalle falangi (2
nell’alluce, prossimale e distale e 3 nelle altre dita, prossimale, media e
distale).
Il piede presenta una forma arcuata (arco plantare), con una faccia superiore
convessa e una faccia inferiore concava. Le ossa del piede sono tenute
insieme da legamenti e tendini, in modo da formare degli archi che
conferiscono una certa elasticità al piede; se questi cedessero, si avrebbe il
“piede piatto”. In realtà per azione dei legamenti, si formano tre arcate, due
longitudinali e una trasversale; alla nascita non sono presenti, si sviluppano
successivamente.
Il piede presenta numerose articolazioni, che complessivamente consentono
al piede una mobilità più ridotta rispetto alla mano: una troclea tra tibia e
astragalo, delle artrodie all’interno del tarso, tra tarso e metatarso e tra
astragalo e calcagno, delle condilartrosi tra metatarso e falangi e delle troclee
tra le singole falangi.
TESSUTO MUSCOLARE
Il tessuto muscolare presenta caratteristiche peculiari, come eccitabilità
(capacità di rispondere ad uno stimolo), contrattilità (capacità di contrarsi,
generando movimenti delle formazioni a cui è legato), estensibilità (capacità
di allungarsi oltre la normale lunghezza di riposo) ed elasticità (capacità di
ritornare alle dimensioni originarie dopo l’iperestensione).
Ci sono tre tipi di tessuto muscolare: striato scheletrico (riguarda l’apparato
locomotore), striato cardiaco (riguarda il miocardio) e liscio (riguarda i visceri).

TESSUTO MUSCOLARE STRIATO SCHELTRICO


Questo tessuto riceve impulsi dai neuromotori, è presente anche
nell’apparato digerente e respiratorio (ad esempio, nella lingua, nel palato
molle, nella faringe, nella laringe e nello sfintere uretrale ed anale). Le
funzioni generali sono: movimento e postura, protezione e sostegno e
mantenimento della temperatura corporea.
Dal punto di vista embriologico, le fibre (cellule) muscolari derivano da cellule
progenitrici, dette mioblasti, che si fondono tra loro, creando i miociti: questi
sono sincizi (masse citopasmatiche polinucleate), sono altamente
specializzate nella contrazione, non hanno capacità rigenerative (ovvero
capacità di divisione mitotica). In genere, le fibre muscolari si associano in
lunghezza, ovvero vengono “impacchettate” in involucri connettivali; i tre strati
che rivestono i fasci di fibre sono l’epimisio (capsula esterna, che consente il
passaggio di vasi nervosi e sanguigni e protegge le fibre), il perimisio (strado
intermedio, che riveste gruppi di fibre) e l’endomisio (strato più interno, che
ricopre ogni fibra). All’interno ciascuna fibra muscolare presenta un contenuto
piuttosto elevato di strutture proteiche, le miofibrille (elemento citoplasmatico
preponderante), che contengono proteine contrattili e mitocondri per l’energia
del movimento.
Per quanto riguarda le caratteristiche generali, le miofibrille hanno un
diametro di 10-100 m, una lunghezza di 10-30 cm, presentano un
sarcolemma (corrispondente ad una membrana plasmatica), un sarcoplasma
(corrispondente al citoplasma) e un reticolo sarcoplasmatico (corrispondente
al reticolo endoplasmatico liscio, che funge da riserva di calcio ed è utile per
la contrazione) e a queste sono associate delle cellule satelliti, ad attività
mitotica.
Le miofibrille sono costituite da una serie di bande chiare (bande I) e scure
(bande A) alternate che conferiscono l’aspetto striato al muscolo: queste
bande presentano due meccanoproteine, rispettivamente actina (che si trova
a livello di miofilamenti sottili) e miosina (che si trova a livello di miofilamenti
spessi)  quindi, le miofibrille sono costituite da raggruppamenti di
miofilamenti di actina (sottili) e miosina (spessi).
La banda A comprende una periferia, in cui sono presenti sia l’actina sia la
miosina, e una parte centrale, costituita dalla banda H, che presenta solo
filamenti di miosina (quando il muscolo è rilassato); inoltre vi sono le
cosiddette strie Z, ponti trasversali tra molecole di actina, e strie M, ponti
trasversali tra molecole di miosina; infine, vi è un segmento, detto sarcomero,
che è compreso tra due linee Z e rappresenta l’unità morfo-funzionale
(durante la contrazione, il sarcomero si accorcia e le due linee Z si
avvicinano, poiché i microfilamenti di actina scorrono sui filamenti di miosina
e scompare la banda H).
Per quanto riguarda la struttura delle proteine, la miosina presenta una testa
globulare (che lega e scinde ATP) e una coda filamentosa, quindi una forma
simile ad una mazza da golf, mentre l’actina è costituita da una serie di entità
globulari, che costituiscono una doppia elica, che, a sua volta, si associa ad
altre proteine strutturali, come tropomiosina e tropomina (queste permettono
il mascheramento dei siti di legame per le teste di miosina, posti sull’actina).
Un’altra struttura importante, situata a livello della giunzione tra le bande A ed
I, è la triade, costituita da due cisterne terminali (comprese nel reticolo
sarcoplasmatico), tra cui vi è una formazione tubulare (tubulo trasverso,
invaginazione del sarcolemma): quindi, la triade è il risultato
dell’invaginazione del sarcolemma associata alle due cisterne terminali del
reticolo sarcoplasmatico e si trova a livello della giunzione tra la banda A e la
banda I (poiché la giunzione si trova in corrispondenza della linea Z, si
notano due triadi per ciascun sarcomero).
A livello tridimensionale, vi è una disposizione organizzata delle proteine: i
filamenti di miosina sono circondati da filamenti di actina, in maniera tale da
permettere il movimento coordinato della contrazione (quando il muscolo è
rilassato, si distinguono zone chiare e zone scure, mentre quando è contratto,
le teste globulari della miosina si legano all’ADP e all’actina).
La contrazione ha inizio quando arriva un particolare impulso elettrico dovuto
alla sinapsi placca motrice (o giunzione neuro-muscolare), che si realizza tra
il neurone e la fibrocellula muscolare (anziché tra due neuroni); viene
determinato il rilascio del neurotrasmettitore, l’aceticolina; si crea una
depolarizzazione nella membrana, ovvero un’inversione delle cariche sulla
membrana (normalmente, si hanno cariche positive all’esterno e negative
all’interno); aumenta il flusso di calcio all’interno della fibra nervosa e questo
facilita la fusione delle vescicole sinaptiche con la membrana presinaptica;
viene liberata l’acetilcolina all’interno dello spazio sinaptico e questa è, quindi,
libera di legarsi ai neurotrasmettitori sul sarcolemma; l’impulso elettrico viene
trasferito dal neurotrasmettitore al sarcolemma, causando una
depolarizzazione. Il neurotrasmettitore ha azione limitata, poiché infatti, subito
dopo aver agito, un enzima, l’acetilcolinesterasi, lo degrada. L’impulso
nervoso dal sarcolemma passa al tubulo trasverso e da lì alle cisterne
terminali, arrivando al reticolo sarcoplasmatico: questo comporta una
liberazione di ioni calcio contenuti all’interno del reticolo nel sarcoplasma,
dove possono interagire con due meccano-proteine, la tropomina e la
tropomiosina. La prima subisce un cambiamento conformazionale, che si
riflette sulla seconda: grazie al cambiamento conformazionale della
tropomiosina, vengono esposti i siti attivi dell’actina (che normalmente
risultano mascherati).
In condizioni di riposo, l’angolazione tra le teste globulari della miosina e le
code filamentose dell’actina è di 45°: perché avvenga la contrazione (quindi
perché la miosina si leghi all’actina), l’angolo deve ampliarsi fino a 90° e
l’energia per questo processo viene fornita dalla scissione dell’ATP; actina e
miosina si legano, si formano i cosiddetti ponti trasversali, vengono rilasciati
ADP e fosforo; la testa della miosina riprende la conformazione iniziale (con
un angolo di 45°) e si ha il cosiddetto colpo di forza, ovvero lo scorrimento dei
filamenti sottili sui filamenti spessi. Alla fine di tutti questi processi successivi
l’uno all’altro, il muscolo si ritrova nella condizione di riposo.
Un motoneurone non innerva una singola cellula muscolare: viene definito
unità motoria (fibre + neurone), il gruppo di fibre muscolari striate scheletriche
innervate da uno stesso motoneurone (un assone ha diversi terminali
sinaptici, ciascuno dei quali può interagire con una fibra).
Si possono avere tre tipi di fibre muscolari: lente (rosse), rapide (bianche) ed
intermedie. Le prime sono responsabili del tono muscolare, sono ricche di
mitocondri e mioglobina e consentono contrazioni lente e prolungate, senza
fatica; esempi di muscoli innervati da fibre rosse sono muscoli posturali,
muscoli della gamba dei maratoneti (si parla di risposte di tipo tonico). Le
seconde presentano un diametro elevato, danno molta forza per un elevato
numero di sarcomeri, contengono scarsi mitocondri, consentono contrazioni
rapide e brevi ma con facile affaticabilità; esempi di muscoli innervati da fibre
bianche sono muscoli delle dita, muscoli oculari e muscoli per la
deambulazione (si parla di risposte di tipo fasico). Le terze danno origine a
risposte rapide, ma contengono molti mitocondri, sono resistenti alla fatica;
un esempio di un muscolo innervato da queste fibre è il muscolo soleo
(rafforza la postura della gamba, è usato anche per camminare o correre).

TESSUTO MUSCOLARE STRIATO CARDIACO


Questo tessuto non ha capacità rigenerativa, non è un sincizio (fusione di
elementi cellulari) ma funzionalmente si comporta come tale per permettere il
passaggio delle cariche elettriche: questo perchè le cellule del tessuto
cardiaco si eccitano autonomamente senza l’intervento di fibre nervose e la
carica elettrica viene trasmessa da cellula a cellula tramite desmosomi,
giunzioni intercellulari (tra le cellule, si trova materiale glicoproteico, sono
giunzioni serrate, presentano le cosiddette strie scalariformi). Questo è il
tessuto muscolare del cuore (in particolare, del miocardio), le fibre muscolari
presentano bande A e bande I e strie Z, hanno una forma cilindrica spesso
bifida (con le estremità appuntite), sono mononucleate e hanno la capacitò di
formare una rete orientata in varie direzioni, ovvero un trabecolato.

TESSUTO MUSCOLARE LISCIO


Questo tipo di tessuto non presenta bande né sarcomeri ed è quindi
omogeneo nell’aspetto. Le fibrocellule muscolari lisce risultano affusolate e
lunghe (ca 200 m di lunghezza), presentano elementi contrattili, caveole
simili ai tubuli T, contengono actina e miosina non organizzate in sarcomeri
ma in fasci diagonali (all’interno dei quali, durante la contrazione, la fibra
assume una forma tondeggiante), sono unite tra loro da gap junctions che
assicurano il trasferimento della depolarizzazione e al loro interno viene a
costituirsi un reticolo.
Queste cellule costituiscono muscoli involontari regolati dal sistema nervoso
autonomo, consentono una contrazione lenta e duratura senza fatica e come
neurotrasmettitori utilizzano aceti colina, noradrenalina, ossitocina e
vasopressina; partecipano alla costituzione dello stroma di organi pieni,
formano le tonache degli organi cavi, si presentano come fibre singole o
compattate, ma non sono innervate singolarmente.

MUSCOLI
Il movimento è consentito grazie alla contrattilità muscolare e alla liberazione
di energia termina (partendo da energia chimica e meccanica).
I muscoli presentano due punti di ancoraggio sulle ossa, inserzione (viene
spostato durante la contrazione) e origine (resta fisso durante la contrazione).
La parte centrale (carnea) del muscolo è denominata ventre muscolare e
rappresenta la parte carnosa, in cui si trovano fibre muscolari, vasi sanguigni
e tessuto connettivo. La parte fibrosa del muscolo è rappresentata dal
tendine, la cui azione assicura la trasmissione del movimento all’osso e che è
costituito da tessuto connettivo, ovvero da fibre collagene ed elastiche.
SISTEMI DI LEVE
I segmenti ossei agisocno come sistemi di leve, che si spostano durante i
movimenti utilizzando le articolazioni (costituiscono il fulcro delle leve). La
leva è una struttura che si muove facendo perno sul fulcro (rappresentata
dall’articolazione) e si parla di forza applicata (rappresentata dal muscolo) e
resistenza (ostacolo che incontra il muscolo durante il movimento).
Si hanno 3 classi di leve:
le leve di prima classe presentano il fulcro interposto tra forza applicata e
resistenza e permettono il movimento tipico di un’altalena o di un paio di
forbici; un esempio può essere l’articolazione atlanto-occipitale (nuca).
le leve di seconda classe presentano la resistenza interposta tra fulcro e
forza applicata e permettono il movimento tipico di una carriola (ovvero, con
scarsa velocità); un esempio può essere il muscolo del polpaccio.
le leve di terza classe presentano la forza applicata interposta tra fulcro e
resistenza e garantiscono velocità ma con scarsa efficienza meccanica; un
esempio può essere il bicipite brachiale.
I muscoli possono essere classificati in base a come agiscono rispetto
all’articolazione, al tipo di movimento che determinano, alla posizione
anatomica, al numero di capi tendinei (bicipiti, tricipiti o quadricipiti, bicipite e
tricipite brachiale determinano flessione ed estensione dell’avambraccio,
bicipite e quadricipite femorale determinano flessione ed estensione del
ginocchio), o in base alla disposizione spaziale delle fibre. Ad esempio, i
muscoli fusiformi presentano lunghe fibre che consentono movimenti ampi e
con una notevole potenza; i muscoli pennati presentano fibre disposte
obliquamente rispetto ad un tendine, situato all’interno della massa carnea
(come l’estensore che è monopennato, il muscolo associato al femore che è
bipennato e il deltoide che è multi pennato); i muscoli a più inserzioni, come
bicipiti e tricipiti, sono costituiti da più ventri, che ad un’estremità convergono
in un tendine comune; i muscoli circolari, presentano fascicoli disposti con un
andamento circolare concentrico e formano i muscoli sfinteri, che regolano la
pervietà degli orifizi (come il muscolo orbicolare dell’occhio); i muscoli larghi
presentano ventre appiattito e si ancorano a strutture fibrose larghe, le
aponevrosi (che sostituiscono il tendine); i muscoli poligastrici presentano più
ventri disposti in serie, separati da una porzione tendinea.
I muscoli possono essere intrinseci o estrinseci, a seconda che essi,
rispettivamente, abbiano origine e inserzione nella stessa regione corporea o
in diverse parti del corpo.
I muscoli possono agire come agonisti, ovvero responsabili di un movimento
in particolare (ad esempio flessione), come sinergici, che partecipano
all’azione del muscolo agonista, contribuiscono allo stesso movimento, o
come antagonisti, muscoli motori primari che contrastano l’azione degli
agonisti (ad esempio estensione).
I muscoli rappresentano una sede di iniezione dei farmaci: l’iniezione
intramuscolo presenta dei vantaggi, si possono iniettare grandi quantità di
farmaco in una volta, il farmaco entra in circolo gradualmente e
l’assorbimento è più rapido e meno irritante delle iniezioni sottocutanee, ma
può avere anche serie complicanze, come la perforazione di un vaso o la
lesione di un nervo. I principali siti sono il gluteo medio, il deltoide del braccio
e il vasto laterale della coscia nel bambino, ovvero muscoli voluminosi ma
con pochi vasi.
SISTEMA NERVOSO
Ha origine ectodermica (quindi, deriva dall’ectoderma); le sue funzioni
principali funzioni sono: integrazione, processamento e coordinamento delle
informazioni sensitive e degli stimoli motori, è sede di funzioni superiori quali
intelligenza, memoria, apprendimento ed emozioni, raccoglie le informazioni,
che vengono trasportate, tramite il sistema nervoso periferico, al sistema
nervoso centrale. Il sistema nervoso è, infatti, costituito da una componente
centrale e da una componente periferica.
Il sistema nervoso centrale è rappresentato dall’encefalo (tutti gli organi
all’interno della cavità cranica) e dal midollo spinale (fa parte delle strutture
assili, comunica con l’encefalo tramite il grande foro occipitale): tutti gli organi
sono caratterizzati dalla presenza di una cavità interna, che si sviluppa
durante la fase embrionale nel momento in cui si forma l’abbozzo del sistema
nervoso centrale, ovvero il tubo neurale, all’interno del quale circola il liquido
cerebrospinale (che è contenuto in tutti gli organi del sistema nervoso
centrale indistintamente), che svolge importanti funzioni meccaniche e
trofiche; le cavità presenti all’interno dell’encefalo vengono definite ventricoli
(distinti con numeri romani e tutti comunicanti tra loro), mentre quella
presente nel midollo spinale canale centrale.
Il sistema nervoso periferico è costituito da: recettori sensitivi, dislocati a
livello di pelle, muscoli, articolazioni, organi interni o organi specializzati
(come occhio e orecchio) che possono essere terminali nervosi o cellule
specializzate; gangli, agglomerati di neuroni e tessuto connettivo, di forma
corpuscolare ellissoidale, delimitato da un involucro, al cui interno vi è uno
stroma, si trovano, ad esempio, lungo il decorso dei nervi; nervi, associazioni
di fibre nervose, ovvero neuriti (assoni, prolungamenti maggiori dei neuroni),
si dividono in nervi cranici (12 paia, o meglio 10 poiché i primi due – nervo
olfattivo e nervo ottico – hanno una componente periferica molto limitata) e
nervi spinali (31 paia).

Il tessuto nervoso è l’elemento costitutivo degli organi del sistema nervoso;


comprende l’elemento funzionalmente attivo, il neurone, e dalle cellule gliali
(la neuroglia).
I neuroni sono cellule specializzate nel trasferimento degli impulsi elettrici e
nell’elaborazione, nell’integrazione, dei segnali (le risposte vengono modulate
in base ad una comparazione dei segnali ricevuti, inibitori o attivatori); le
principali caratteristiche dei neuroni sono l’eccitabilità (possono avviare
impulsi elettrici), la trasduzione (attivazione di una risposta cellulare), la
conduttività (trasporto dell’impulso elettrico sulla fibra nervosa) e la
trasmissione (legata alla presenza dei dispositivi sinaptici). Per quanto
riguarda la struttura del neurone, il corpo cellulare prende il nome di
pirenoforo, che rappresenta il centro trofico, ovvero laddove avvengono tutte
le funzioni cellulari (punto di origine di qualsiasi via o di qualsiasi nervo); dal
corpo cellulare si dipartono una serie di prolungamenti, alcuni numerosi,
ramificati e corti, i dendriti, che terminano con delle espansioni bottonute (a
bottone, spine dendritiche o bottoni sinaptici), un altro più lungo e
voluminoso, il neurite (o l’assone, la fibra nervosa vera e propria, che si
ramifica e termina con delle espansioni sinaptiche). La direzionalità della
trasmissione dell’impulso nervoso prevede inizialmente le spine dendritiche,
che raccolgono informazioni provenienti da altre strutture (brevi distanze), e
successivamente l’assone, che, in genere, rappresenta l’uscita del segnale
(lunghi percorsi); l’impulso può essere poi trasferito o a cellule effettrici o ad
altre cellule non neuronali.
Per quanto riguarda la colorazione del tessuto neurale, si osserva in
corrispondenza del pirenoforo (ovvero del soma, del centro di controllo) una
colorazione scura (sono contenuti melanina, lipofuscina e glicogeno), che va
a costituire i corpi di NISSL o la cosiddetta sostanza tigroide (è tigrata, poiché
ricca di reticolo endoplasmatico rugoso, di ribosomi e proteine associate  il
RER è molto abbondante poiché sintetizza continuamente neuroni, fattori di
crescita e neurotrasmettitori). Bisogna tener presente che le cellule neuronali
sono altamente specializzate, quindi è assente l’attività mitotica, possono
riparare ma non rigenerare le proprie componenti.
A livello dell’assone, sono assenti reticolo endoplasmatico rugoso, ribosomi e
apparato di Golgi e prevalgono sistemi citoscheletrici come microtubuli e
microfilamenti, che intervengono nel trasporto delle vescicole sinaitiche, ma
anche mitocondri che forniscono l’energia (ATP) per il trasporto assonale.
Per quanto riguarda il trasporto assonale, può essere: anterogrado (dal
centro verso la periferia) o retrogrado (dalla periferia verso il centro), questo
perché, una volta trasportati i neurotrasmettitori a livello delle sinapsi, gli
stessi possono poi essere riciclati.
Nel trasporto anterogrado, interviene la chinesina, molecola trasportatrice
molto simile alla miosina in struttura (testa globulare, coda filamentosa
costituita da catene proteiche con conformazione ad elica avvolte insieme),
che presenta attività ATPasica, ovvero idrolizza ATP (la testa globulare si
lega ai microtubuli, mentre la coda interagisce con vescicole intracellulare e
organelli come i mitocondri: ciò rende possibile il movimento); questa
molecola presenta una polarità, per quanto riguarda le interazioni con le
strutture dell’assone  il trasporto che ne deriva è guidato e selettivo, in
risposta agli stimoli che giungono dal neurone e in questo modo si evitano
dispendi energetici inutili per la cellula; il movimento è unidirezionale, avviene
sempre nello stesso verso (dal pirenoforo verso il terminale sinaptico) ed è
reso possibile dall’idrolisi di ATP (questo permette alla chinesina di scorrere
sul microtubulo).
Nel trasporto retrogrado, invece, interviene la dineina che agisce in direzione
opposta, ovvero dalle sinapsi verso il pirenoforo, che è, come la chinesina, ad
attività ATPasica (subisce, quindi, cambiamenti conformazionali) e che
permette di degradare o ripristinare materiali già utilizzati.
Quindi le tre molecole, miosina, dineina e chinesina, fanno parte dei
cosiddetti elementi proteici motori (motori proteici, molecular motors o motor
proteins), ovvero una famiglia di proteine ad attività ATPasica che cambiano
conformazione e presentano una certa polarità strutturale (testa globulare
che interagisce con componenti citoscheletrici, code filamentose che
interagiscono con i trasportatori).
I neuroni possono essere caratterizzati in base a differenze strutturali e
funzionali.
Su base strutturale (ramificazioni), si distinguono:
 neurone unipolare: presenta un’unica fibra (un unico neurite o
prolungamento).
 neurone pseudounipolare (o atti): sono presenti all’interno dei gangli
spinali (strutture del sistema nervoso periferico associate ai gangli dei
nervi spinali e cranici), sono a significato sensitivo (raccolgono
informazioni sensitive alla periferia per poi trasportarle nel sistema
nervoso centrale; l’unico prolungamento che si diparte dal pirenoforo (o
soma), dopo un brevissimo tratto, si biforca, si divide a T in un ramo
centrale (centripeto, verso il SNC) e un ramo periferico (centrifugo, si
distribuisce per raccogliere le informazioni).
 neurone bipolare (o oppositopolari): dai due poli opposti del neurone
fuoriesce un neurite, uno periferico e uno centrale; questi neuroni sono
localizzati, ad esempio, all’interno dell’orecchio, dove si trovano
l’organo uditivo per la percezione sonora e l’organo dell’equilibrio,
all’interno delle quali, si trovano due gangli specifici (del corti e di
scarpa).
 neurone multipolari: caratterizzati da una ricca ramificazione dendritica
e localizzati nel sistema nervoso vegetativo, perché hanno la
caratteristica di prendere numerosi contatti sinaptici (interagiscono con
numerosi neuroni, costituiscono le vie di collegamento nel nevrasse),
ovvero permettono risposte diffuse ed estese; si distinguono i neuroni
ad assone breve (II tipo di Golgi, caratterizzati dal fatto che l’assone
non guadagna la guaina mielinica, ovvero coprono una breve distanza,
non fuoriescono dal sistema nervoso centrale, rimangono sempre
all’interno del nevrasse) e i neuroni ad assone lungo (I tipo di Golgi,
caratterizzati dal fatto che l’assone fuoriesce spesso dal sistema
nervoso centrale, e fuoriesce sempre dalla sostanza grigia, poiché,
essendo mie linizzato, va a costituire la sostanza bianca del sistema
nervoso – ovvero quella sostanza dovuta alla presenza di un manicotto
di mielina che va a ricoprire le fibre nervose, i neuriti-).
Su base funzionale (direzione in cui vengono condotti i potenziali d’azione), si
distinguono:
 neuroni sensoriali (sensitivi o afferenti): gli assoni formano le fibre
afferenti  raccolgono le informazioni dall’esterno o dall’interno e
conducono gli stimoli dai recettori sensoriali al sistema nervoso centrale
(dalla periferia verso il pirenoforo).
 neuroni motori (motoneuroni): gli assoni formano le fibre efferenti
conducono il potenziale d’azione al sistema nervoso centrale a muscoli
e ghiandole (dal pirenoforo alla periferia).
 inteneuroni: conducono il potenziale d’azione da un neurone all’altro
all’interno del sistema nervoso centrale; operano una modulazione dei
segnali in relazione al tipo di neurotrasmettitore impiegato (attivante o
inibitorio); sono detti associativi, vengono interposti tra segnali in arrivo
e in uscita e si trovano tra neuroni motori e neuroni sensoriali.

Nel tessuto nervoso, si può anche descrivere un gruppo di elementi cellulari,


definito neuroglia (o cellule della glia)  sostituisce un tessuto connettivo
vero e proprio di sostegno che nel tessuto nervoso è assente (eccetto che
per le meningi, rivestimenti esterni di tessuto connettivo).
Nel sistema nervoso periferico, gli elementi gliali sono costituiti da:
- cellule satelliti (satelliti perché strettamente associate ai neuroni
localizzati nei gangli, che sono strutture periferiche), che circondano i
pirenofori all’interno dei gangli e regolano il trasporto di CO 2 e O2,
nutrienti e neurotrasmettitori verso i neuroni.
- cellule di Schwann, caratterizzate dalla presenza di estroflessioni
piuttosto ampie del proprio citoplasma che vanno a formare una serie di
avvolgimenti a spirale intorno ad un neurite, costituendo la guaina
mielinica (una sorta di manicotto lipidico che conferisce un aspetto
biancastro a queste fibre nervose che rappresentano la componente
bianca del sistema nervoso).
Nel sistema nervoso centrale, gli elementi gliali sono costituiti da:
- oligodendrociti, che sono gli equivalenti delle cellule di Schwann nel
SNC, hanno lo stesso significato funzionale e, infatti, vanno a rivestire i
neuriti con una serie di avvolgimenti a spirale, formando la guaina
mielinica.
- astrociti, così chiamati per la loro forma stellata (dal corpo cellulare si
dipartono una serie di ramificazioni), che sono interposti tra i vasi
sanguigni e i neuroni, vanno a formare la cosiddetta barriera
ematoencefalica, ovvero una barriera costituita da astrociti che,
interponendosi tra l’endotelio che tappezza i vasi sanguigni e i neuroni,
impedisce che eventuali sostanze presenti nel circolo sanguigno
vengano in contatto con i neuroni (è un filtro di controllo selettivo che
non lascia passare agenti patogeni o batteri, proteine ad alto peso
molecolare come le tossine).
- cellule della microglia, che sono gli equivalenti dei macrofagi, svolgono
una funzione di difesa con un’operazione di killing, intervenendo nella
rimozione di eventuali patogeni, detriti cellulari e rifiuti per fagocitosi.
- cellule ependimali, di aspetto pavimentoso, che sono simili a cellule
epiteliali, vanno a rivestire cavità cerebrali che percorrono tutti gli organi
del SNC e che contengono il liquido cefalorachidiano, si trovano in
contatto con delle strutture vascolari chiamati plessi corioidei, ovvero
formazioni vascolari che producono il liquido cefalorachidiano.
Le cellule gliali hanno, quindi, diverse funzioni: nutrizione e sostegno dei
neuroni, rimozione di neuroni morti, isolamento dei tessuti nervosi, protezione
da corpi estranei in caso di lesione. Secondo la ricerca, è possibile modificare
la glia per ottenere nuovi neuroni e questo rappresenta un notevole vantaggio
in caso di malattie neurodegenerative o lesioni cerebrali.
Su un neurone, sono presenti i cosiddetti nodi di Ranvier, i quali non
presentano guaina mielinica ed assicurano la trasmissione dell’impulso
elettrico. Nel sistema nervoso periferico, sono presenti fibre mieliniche ed
amieliniche, invece nel sistema nervoso centrale sono fibre mieliniche:
tuttavia, anche le fibre amieliniche, in realtà, presentano parziali avvolgimenti
di mielina, quindi non sono libere né isolate dall’ambiente esterno. La guaina
mielinica può essere ricollegata a patologie, come la sclerosi multipla,
degenerazione dovuta, probabilmente, a disordini autoimmune e causata da
infezioni in soggetti predisposti, che compromette la conduzione nervosa
(non è l’equivalente della SLA, sclerosi laterale amiotrofica, poiché questa
riguarda i motoneuroni).

Nel tessuto nervoso, si trovano anche nervi periferici, che hanno una struttura
simile a quella delle fibrocellule muscolari; questi rappresentano
un’associazione di neuriti, ovvero di fibre nervose anche di diversa natura,
che presentano tre strati di involucro, epinevrio, più esterno, avvolge gruppi di
fibre nervose, perinevrio, intermedio, avvolge fibre nervose, ed endonevrio,
più interno, avvolge la singola fibra nervosa (simili ad epimisio, perimisio ed
endomisio).
Altri elementi rintracciabili in questo tessuto, sono le sinapsi: queste possono
essere chimiche, ovvero spazi sinaptici interposti tra membrana pre e post-
sinaptica, o elettrica, ovvero connessioni intercellulari, canali, mai terminali.
Una sinapsi elettrica ha carattere eccitatorio, nella propagazione è molto
veloce (manca il ritardo sinaptico tipico della sinapsi chimica, ovvero quel
lasso di tempo tra l’espulsione del neurotrasmettitore dalla membrana pre-
sinaptica e il legame con il recettore corrispondente sulla membrana post-
sinaptica), non presenta una direzionalità dell’impulso, che può quindi
diffondere in entrambi i sensi, e questo rappresenta anche uno svantaggio
per queste sinapsi che non possono direzionare l’impulso, quindi non
possono integrare più segnali. Queste sinapsi si usano quando serve rapidità
nella trasmissione del segnale (nei circuiti dei sistemi di fuga dei pesci o dei
molluschi o nel sistema visivo dei vertebrati) o quando è richiesta la
sincronizzazione nell’attività di più cellule (ad esempio, nel muscolo cardiaco
le fibre devono contrarsi simultaneamente). Quindi, queste sinapsi sono più
rapide ma meno efficaci e meno diffuse rispetto alle sinapsi chimiche.
Una sinapsi chimica, o neurotrasmettitore, può avere carattere eccitatorio o
inibitorio o entrambi: ad esempio, l’acetilcolina o il glutammato hanno
carattere eccitatorio, la glicina o il gaba (acido gamma-amminobutirrico)
hanno carattere inibitorio, mentre la serotonina, la dopamina e la
noradrenalina possono avere sia carattere eccitatorio sia inibitorio. Questa
trasmissione sinaptica avviene grazie ad un mediatore chimico, che modifica
la permeabilità ionica della membrana post-sinaptica: ad esempio, se come
mediatore chimico abbiamo un flusso di ioni sodio all’interno della cellula,
sulla membrana post-sinaptica, avviene una depolarizzazione (potenziale
post-sinaptico eccitatorio); mentre, se come mediatore chimico abbiamo un
flusso di ioni potassio all’interno della cellula, sulla membrana post-sinaptica,
avviene un’iperpolarizzazione (potenziale post-sinaptico inibitorio).
Le sinapsi possono essere di tre tipi: asso-somatiche, tra il versante pre-
sinaptico e il pirenoforo, asso-dendritiche, tra assone e dendrite, e asso-
assoniche, tra l’assone pre-sinaptico e quello post-sinaptico. In genere, le
sinapsi si verificano con altri neuroni, ma possono anche essere citoneurali (o
neuro-ghiandolari o neuro-muscolari).

Per quanto riguarda la propagazione dell’impulso nervoso, nelle fibre


amieliniche (grigie) è continuativa e procede a piccoli passi lungo l’assone (è
lenta), si ha una forte corrente di ioni sodio verso l’interno (il potenziale
d’azione di membrana di riposo passa da -70mV a 20mV), mentre nelle fibre
mieliniche (bianche), viene applicata la teoria saltatoria dell’impulso nervoso,
ovvero la propagazione avviene a salti, in corrispondenza dei nodi di Ranvier,
elettricamente attivi, e questo conferisce un’alta velocità di conduzione, la
quale è facilitata anche dall’aumento del diametro della guaina.
SVILUPPO
Durante lo sviluppo embrionale, il sistema nervoso ha origine da una doccia
neurale, che si forma per invaginazione di una piastra neurale (o placca),
costituita da cellule epiteliali dell’ectoderma embrionale. Questa doccia
neurale possiede delle pieghe, che si avvicinano, chiudendosi nella porzione
cefalica (destinata a diventare encefalo) e caudale (destinata a diventare
midollo spinale), dando origine ad un tubo neurale cavo. All’interno del tubo
neurale, vi è un liquido, che diventerà liquor encefalo-rachidiano, che
circonda il nevrasse e che si trova all’interno delle meningi (nello spazio sub-
aracnoideo), per ammortizzare gli urti o per proteggerlo.
Nella porzione caudale del tubo neurale, la struttura rimane di forma tubulare,
mentre in quella cefalica, si formano 3 vescicole (prosencefalo – telencefalo
–, mesencefalo e rombencefalo).

Il sistema nervoso è un complesso di organi e formazioni in stretta continuità


anatomica e funzionale, che svolgono una duplice funzione, ricezione e
riconoscimento degli stimoli e risposta agli stimoli (volontarie o involontarie).
Il sistema nervoso comprende:
sistema nervoso centrale (o nevrasse), costituito da midollo spinale ed
encefalo, interviene nell’elaborazione delle informazioni ricevute dalla
periferia e rappresenta l’origine delle risposte destinate alla periferia
sistema nervoso periferico, costituito da nervi, gangli e dispositivi
recettoriali (inclusi gli organi di senso), collega a due sensi la periferia con il
sistema nervoso centrale.

Il sistema nervoso centrale si suddivide in organi assili, midollo encefalico,


tronco encefalico (bulbo, ponte e mesencefalo) e diencefalo, e organi
sovrassiali (caratterizzati da una stratificazione ordinata di neuroni),
cervelletto, lamina quadrigemina (parte dorsale del mesencefalo) e
telencefalo (sei strati di neuroni).
A livello di terminologia, un neurone è un’entità anatomica in grado di ricevere
gli impulsi e trasmetterli ad altri neuroni, una sinapsi è un dispositivo di
collegamento tra neuroni o altre cellule non neuronali (placche motrici o
giunzioni cito-neurali) e una via nervosa rappresenta una catena neuronale,
dove si incontrano neuroni in successione. A proposito delle catene neuronali
(via di ingresso: neurone afferente; via di uscita: neurone efferente), queste
possono essere a trasmissione divergente, quando vi è una distruzione
spaziale di impulsi e se la risposta è riflessa, automatica, involontaria e priva
di modulazione (a volte inadeguata), oppure a trasmissione convergente,
quando interneuroni sono interposti tra i neuroni sensitivi (che raccolgono gli
impulsi provenienti da più fibre) e i neuroni effettori, ed in questo caso le
risposte che i neuroni portano alla periferia risultano modulate, elaborate, più
complesse, volontarie e coscienti. Le catene possono essere schematizzate
con una serie di archi orizzontali, che dalla periferia (neurone sensitivo)
portano gli impulsi all’asse (neurone effettore) e da questo alla periferia
(determinando una disposizione metamerica), come avviene nel caso
dell’arco patellare.
Nell’asse sono presenti anche archi polineuronici verticali, comprendenti
interneuroni che portano l’impulso dall’asse ai centri sovrassiali (o a vari livelli
dell’asse) e, da qui, nuovamente all’asse.
Ogni arco orizzontale presenta un braccio sensitivo (rappresenta la via
afferente), che si inserisce sul braccio ascendente di un arco verticale (via
sensitiva). Il braccio discendente dell’arco verticale rappresenta la via motrice
che si inserisce sul braccio effettore dell’arco orizzontale (via efferente).
In questo modo, i neuroni effettori possono tenere conto di diverse esigenze
ed influenze a loro trasmesse dalle varie parti del sistema nervoso; la risposta
risulta essere più adeguata allo stimolo, volontaria e cosciente. Si parla,
comunque, di via finale comune per indicare i neuroni effettori dell’asse
nervoso responsabili del trasporto degli impulsi in uscita verso la periferia.

SENSIBILITA’
Il compartimento sensitivo ha a che fare con sensazioni accompagnate da
una partecipazione emozionale e con i sensi di piacere, disgusto, paura, ecc.
Lo stimolo della sensazione può essere ben localizzabile (discriminabile)o
meno e può avere una maggiore o minore partecipazione affettiva. Si
distinguono due gruppi diversi di sensibilità, a diverso significato filogenetico:
la sensibilità protopatica, poco discriminabile (meno localizzabile) a maggior
contenuto affettivo (es. sensibilità dolorifica), e la sensibilità epicritica,
altamente discriminabile (più localizzabile) a scarso contenuto emozionale
(es. sensibilità tattile). In realtà in una sensazione, vi sono entrambe le
componenti (protopatica ed epicritica) ma una finisce sempre per prevalere
sull’altra.
Dal punto di vista generale, la sensibilità può essere suddivisa in somatica e
viscerale: la prima viene generata a livello cutaneo (sensibilità esterocettiva)
o a livello artro-muscolare e tendineo (sensibilità propriocettiva, che, per
misurare la tensione del muscolo, utilizza dei propriocettori, come i fusi
neuromuscolari), mentre la seconda a livello di organi interni (sensibilità
introcettiva).
MIDOLLO SPINALE
Il midollo spinale è uno stelo cilindrico, lungo 45 cm ed è contenuto nel
canale vertebrale (lungo 65cm); data la diversa lunghezza, il midollo spinale
termina in corrispondenza della seconda vertebra lombare. Sul midollo
spinale, si osservano due rigonfiamenti, uno a livello cervicale e uno a livello
sacrale, dovuti all’origine dei nervi destinati rispettivamente agli arti superiori
ed inferiori.
Il midollo spinale ha una disposizione metamerica, le cui unità funzionali
vengono definite neuromeri (o mielomeri, che vanno ad innervare i
dermatomeri e i miomeri, porzioni rispettivamente di cute e muscolo): vi sono
8 neuromeri cervicali, ciascuno caratterizzato dalla presenza di una coppia di
nervi spinali (di cui il primo nervo non ha un’emergenza in corrispondenza del
foro intervertebrale, ma tra la base del cranio e la prima vertebra cervicale e
per questo i nervi sono 8 mentre le vertebre 7), 12 neuromeri toracici, 5
neuromeri lombari, 5 neuromeri sacrali e 3-4 neuromeri coccigei rudimentali
(fusi tra loro, emerge un solo nervo coccigeo).
Al di sotto della seconda vertebra lombare, si trova una struttura filamentosa
definita cauda equina, formata a causa dell’andamento dei nervi spinali degli
ultimi neuromeri: normalmente, i nervi spinali hanno un decorso orizzontale (il
nervo fuoriesce in corrispondenza del foro intervertebrale che si trova allo
stesso livello) ma, in virtù della sproporzione di lunghezza tra midollo spinale
e canale vertebrale, negli ultimi neuromeri i nervi spinali percorrono un
tragitto piuttosto lungo per trovare il corrispondente foro intervertebrale.
Questa struttura si crea perché, dal quarto mese di vita intrauterina, la
colonna vertebrale si allunga più velocemente rispetto al midollo spinale, e si
assiste all’apparente ascesa del midollo spinale, che, quindi, si restringe nel
cono midollare e continua con il filamento terminale, il quale si fissa alla
faccia dorsale del coccige.
Il midollo spinale risulta rivestito da tre meningi, che inferiormente si fondono
insieme a costituire la guaina terminale, la quale avvolge il filamento
terminale: pia madre, aderente al midollo e molto sottile, aracnoide, ricca di
trabecole connettivali (simile alla tela di un ragno), e dura madre, esterna,
molto spessa e fibrosa, principale costituente del sacco durale.
Il midollo spinale non occupa tutto lo spazio del canale vertebrale. Infatti, la
dura madre divide questo spazio in uno più esterno, detto epidurale (o
peridurale, formato da materiale adiposo), e uno più interno, detto subdurale
(in corrispondenza dell’aracnoide), in cui si trova il liquido cefalo-rachidiano.
I mezzi di fissità del midollo spinale hanno la funzione di mantenere il midollo
in sede e sono, quindi, rappresentati dalle radici dei nervi spinali che da esso
emergono, dai fascetti fibrosi (legamenti denticolati), che partono dalla
superficie laterale e si portano alla dura madre, e dalla continuità del midollo
con il tronco encefalico.
Tipica di ciascun neuromero è la fessura mediana anteriore, che divide il
neuromero in due antimeri simmetrici e speculari, in ciascuno dei quali sono
presenti lateralmente, sia anteriormente sia posteriormente, i solchi laterali
anteriore e posteriore e da questi, emergono le radicole dei nervi spinali,
mentre sul lato posteriore, il midollo spinale presenta il solco mediano
posteriore.
Il midollo spinale contiene le cosiddette sostanza grigia e sostanza bianca
(rappresenta fibre mie linizzate, circonda la grigia ed è organizzata in
cordoni).
La sostanza grigia rappresenta corpi cellulari dei neuroni, fibre amieliniche e
dendriti; occupa una posizione interna e assume la forma di un’H con un
segmento anteriore, detto corno anteriore, e uno posteriore, detto corno
posteriore, connessi tra loro dalla massa intermedia (sia a destra sia a
sinistra, i corni sono 4 in tutto); inoltre, nella parte centrale della massa, si
trova un canale, detto canale centrale, che rappresenta la derivazione del
tubo neurale, è costituito da cellule ependimali e in cui si trova il liquido
cefalo-rachidiano.
Gli elementi contenuti all’interno della sostanza grigia non sono disposti
casualmente, ma sono disposti in base alla funzione che svolgono:
anteriormente, si trovano i neuroni a significato motorio, in particolare, più
ventralmente i neuroni motori somatici (che vanno ad innervare la
muscolatura scheletrica) e più dorsalmente i neuroni motori viscerali (che
vanno ad innervare i visceri); mentre, posteriormente, si trovano i neuroni a
significato sensitivo, in particolare, più ventralmente i neuroni sensitivi
viscerali (che raccolgono informazioni dai visceri) e più dorsalmente i neuroni
sensitivi somatici (che raccolgono informazioni dalla cute e dall’apparato
locomotore).

Vi sono due classi di neuroni presenti nella sostanza grigia: cellule radicolari,
ovvero le fibre che escono dal nevrasse e si portano alla periferia tramite le
radici anteriori, e gli interneuroni, ovvero le fibre che stabiliscono collegamenti
con le varie parti del nevrasse (collegamenti intranevrassiali).
Tra le cellule radicolari, si distinguono motoneuroni somatici e neuroni
effettori viscerali.
I primi provvedono all’innervazione motoria dei muscoli scheletrici,
comprendono motoneuroni  (che innervano fibre muscolari extrafusali e
sono i più numerosi e i più voluminosi) e motoneuroni  (che innervano fibre
muscolari intrafusali), e ricevono impulsi dai neuroni gangliari e dalle vie
discendente dei sistemi piramidale ed extrapiramidale.
Isecondi provvedono all’innervazione motoria della muscolatura liscia (vasi,
visceri e ghiandole), sono i più piccoli, si arrestano in corrispondenza dei
gangli simpatici viscerali (da non confondere con i gangli spinali) a significato
motorio e costituiti da neuroni multipolari; lo schema di questo neurone
prevede che questo parta dalle radici anteriori dei nervi spinali e vada a
costituire la fibra pre-gangliare, per poi fermarsi in corrispondenza dei gangli
simpatici, da cui, successivamente, uscirà un altro neurone, che costituirà la
fibra post-gangliare.
La caratteristica degli interneuroni è che è i loro prolungamenti non
fuoriescono mai dal nevrasse. Si distinguono gli interneuroni del II tipo di
Golgi e gli interneuroni funicolari.
I primi sono neuroni multipolari, il cui neurite non si correda mai di guaina
mielinica, non esce dalla sostanza grigia e si ramifica a breve distanza.
Questi sono numerosi nella cosiddetta gelatina di Rolando (che si trova nella
parte dorsale della sostanza grigia e svolge un ruolo importante nella
filtrazione degli stimoli dolorifici, in quanto riceve afferenze di tipo sensitivo-
dolorifico, rappresentate dal neurite centrale dei neuroni pseudounipolari).
I secondi sono neuroni multipolari ad assone lungo, il cui neurite si correda di
guaina mielinica, si porta nella sostanza bianca e va a formare i fasci
fondamentali o funicoli, a significato sensitivo (ovvero connessioni tra i vari
tratti del midollo spinale o tra midollo spinale e tronco encefalico, che creano
le cosiddette vie ascendenti, le quali trasportano la sensibilità verso i centri
sovrassiali).

I fasci di fibre nervose occupano la sostanza bianca, che è organizzata in 3


cordoni (per ciascun antimero del midollo spinale): cordone posteriore
(compreso fra il solco mediano posteriore e il solco mediano laterale,
contenente fasci di fibre sensitive), cordone laterale (compreso fra i solchi
laterale posteriore e anteriore, contenente fasci di fibre sensitive e motorie) e
il cordone anteriore (compreso fra la fessura mediana anteriore e il solco
laterale anteriore, contenente fasci di fibre motorie).
Nel primo (posteriore), si trovano due fasci a decorso ascendente di fibre
(gracile di GOLL e cuneato di BURDACH): qui si trovano le fibre responsabili
del trasporto della sensibilità propriocettiva cosciente (ovvero quella che
deriva dal recettori dell’apparato locomotore quali fusi neuromuscolari, organi
tendinei del Golgi e le fibre delle capsule articolari), le cui informazioni
raggiungono la corteccia telencefalica e che possono quindi essere percepite
come posizione e stato di tensione di muscoli, e la sensibilità tattile epicritica,
ovvero quella altamente discriminabile.
Nel secondo (laterale), si trovano due fasci spino-cerebellari, uno dorsale e
uno ventrale (ascendenti): sono importanti perché trasporta la sensibilità
propriocettiva incosciente che viene trasferita al cervelletto, il quale svolge
un’importante funzione di controllo motorio (grazie a questo, il cervelletto
controlla e corregge i movimenti volontari e va ad inserirsi nel sistema
piramidale). In questa zona, si localizzano anche fasci di fibre a significato
motorio, il fascio cortico-spinale (o piramidale crociato –chiamato così perché
le sue fibre decussano, ovvero si incrociano- laterale, si trova quasi a ridosso
della sostanza grigia e va dalla corteccia al midollo spinale): questo fascio
consente l’esecuzione dei movimenti volontari coscienti e costituisce una via
monosinaptica.
Sono sia a decorso discendente sia ascendente e sono: vie extrapiramidali,
fascio spino-talamico (lemnisco spinale, per la sensibilità protopatica –
termica, dolorifica, ad alto contenuto affettivo e scarsamente discriminabile).

Nel terzo (anteriore), si trova l’altro contingente di fibre cortico-spinale


piramidale diretto (le cui fibre non si sono ancora incrociate –cosa che
avverrà quando raggiungeranno il neuromero di destinazione-), implicato
nella motilità volontaria cosciente.
Sono fasci a decorso discendente e sono: fascicolo longitudinale mediale
(fascio di associazione, che ha il compito di collegare i nuclei del tronco
encefalico e raggruppamenti di neuroni del midollo spinale  es. movimento
cefalo-oculo-giri, rotazione della testa e degli occhi, per esempio, in risposta
ad una luce molto forte), fascio tetto-spinale (deriva dalla lamina
quadrigemina, che è una formazione sovrassiale nella parete dorsale del
mesencefalo, ed è implicato nei riflessi visivi es. movimento degli occhi
durante la lettura di un libro), fascio vestibolo-spinale (implicato nei riflessi a
stimoli stato-cinetici, informazioni relative all’equilibrio, provenienti
dall’orecchio interno, che sono alla base della postura, sia in condizioni
statiche sotto l’azione della forza di gravità, sia in condizioni di moto).
A ridosso della sostanza grigia, si trovano dei cosiddetti fasci fondamentali:
derivano dai neuriti delle cellule funicolari che svolgono funzioni associative
 servono a creare connessioni tra un neuromero e l’altro, importanti
affinché avvenga un’integrazione di segnali anche a livello del midollo
spinale.
Per quanto riguarda i nervi spinali, ve ne sono 33 paia: in realtà, solo 31
raggiungono la periferia, gli ultimi due restano all’interno del sacco durale.
Essi vengono classificati in base alla suddivisione della colonna: 8 paia di
nervi cervicali, 12 toracici, 5 lombari, 5 sacrali e 1 coccigeo; la caratteristica di
questi nervi è, oltre ad avere un’origine metamerica, di essere misti, in quanto
tutti hanno le 4 componenti (sensibilità somatica e viscerale, motilità somatica
e viscerale)  questo perché all’interno della sostanza grigia nell’ambito delle
cellule radicolari sono presenti sia i motoneuroni sia i neuroni viscero-effettori.
I dermatomeri rappresentano la distribuzione cutanea di ciascuna coppia di
nervi spinali (ovvero il tratto di cute che viene innervato dal quel determinato
nervo spinale)  Vi è una distribuzione segmentale dei nervi spinali
soprattutto nel settore toracico (negli arti infatti questa distribuzione viene per
lo più persa). I miomeri rappresentano raggruppamenti muscolari innervati dai
corrispondenti nervi spinali. Si può facilmente notare che la faccia sia priva di
innervatomeri spinali, poiché, infatti, è il nervo trigemino con le sue tre
branche –oftalmica, mascellare e mandibolare- (che fa parte del quinto paio
di nervi cranici) che ottempra a questa funzione; al contrario, nella parte
posteriore della faccia, agiscono i primi nervi spinali, ad esempio nella
regione nucale, occipitale posteriore, sottomandibolare, ioidea.
Per quanto riguarda l’origine dei nervi spinali, è rappresentata dalla
confluenza di due radici, una anteriore (effettrice, motoria) e una posteriore
(sensitiva), che si uniscono in corrispondenza del foro intervertebrale
(apertura che si costituisce per la sovrapposizione dei peduncoli delle
vertebre), costituendo il nervo spinale, che, successivamente, si ramifica.
Bisogna però distinguere l’origine reale (punto in cui viene individuato il
pirenoforo) e l’origine apparente (l’emergenza da cui spuntano, l’intercetta
con la superficie) delle due radici: l’origine apparente delle radici anteriori è
rappresentata dal solco laterale anteriore, mentre quella reale dalle cellule
radicolari (sostanza grigia del midollo spinale); l’origine apparente delle radici
posteriori è rappresentata dal solco laterale posteriore, mentre quella reale
dal ganglio spinale, che contiene il pirenoforo e neuroni pseudounipolari e
che si trova precisamente prima che le due radici si uniscano.
Caratteristica dei nervi spinali è la cauda equina (insieme dei fasci di fibre
dei neuromeri dei nervi spinali lombo-sacrali): questa struttura si viene a
formare a causa della disparità di lunghezza tra il midollo spinale e la colonna
vertebrale  durante l’embriogenesi, midollo spinale e colonna vertebrale
crescono con la stessa velocità, quindi il nervo spinale è vicino alla
corrispondente vertebra; tuttavia, successivamente, la colonna vertebrale
cresce con una velocità maggiore, quindi il nervo spinale dovrà allungarsi
sempre di più (almeno quelli dei neuromeri più caudali) fino a “raggiungere” il
proprio foro, formando la detta struttura.
COMPONENTE MOTORIA dei nervi spinali: le fibre somato-motrici, originate
dai motoneuroni  e  si portano con il nervo alla periferia, si distribuiscono
rispettivamente alle fibre extrafusali () e a quelle intrafusali dei muscoli
scheletrici (); le fibre viscero-effettrici, originate dalle cellule radicolari a
funzione motoria e viscerale, entrano nella compagine del nervo spinale,
imboccano rami anatomici, detti rami comunicanti bianchi, e, infine,
raggiungono la catena gangliare paravertebrale dell’ortosimpatico.
COMPONENTE SENSITIVA dei nervi spinali: è costituita dal ganglio spinale,
dove si trova il neurone pseudounipolare (il primo neurone che va a costituire
le fibre sensitive, somatiche e viscerali)  i neuriti, che costituiscono il ramo
centrale e che veicolano la sensibilità epicritica e propriocettiva cosciente,
entrano direttamente nella sostanza bianca del midollo spinale (andando a
formare i fascicoli gracile e cuneato del cordone posteriore); altri neuriti,
invece, entrano nella sostanza grigia del midollo spinale, dove si trovano
degli interneuroni (II neurone), quindi, si arrestano, contraggono una sinapsi e
vanno a formare il lemnisco spinale per la sensibilità protopatica (termica-
dolorifica) e il lemnisco viscerale per la sensibilità viscerale.
DECORSO DEI NERVI SPINALI: il nervo spinale, raggiunto il foro
intervertebrale, si divide in un ramo ventrale – anteriore – e un ramo dorsale.
I rami dorsali sono molto brevi, hanno una distribuzione metamerica,
provvedono all’innervazione sensitiva e motoria delle docce vertebrali; fanno
eccezione i primi due nervi cervicali che si distribuiscono, oltre nella regione
paravertebrale, anche nella regione occipitale (ovvero nucale, posteriore).
Per quanto riguarda i rami ventrali, ad eccezione dei nervi toracici che
hanno un andamento segmentale, perdono la loro distribuzione metamerica e
formano dei dispositivi anatomici detti plessi, derivati dall’anastomosi (dalle
ramificazioni  costituiscono delle vere e proprie reti nervose), che possono
essere cervicale, brachiale, lombare, sacrale o pudendo e da cui fuoriescono
i nervi terminali.

La via che trasporta sensibilità epicritica e propriocettiva cosciente è costituita


da un primo neurone pseudounipolare che si trova nel ganglio associato alla
radice posteriore del nervo spinale e che si porta all’interno del midollo
spinale, costituendo i fasci gracile e cuneato del cordone posteriore;
successivamente entra nel bulbo, la parte più interiore del tronco encefalico
(la formazione nervosa che si trova quando il midollo spinale passa nella
cavità cranica attraverso il foro occipitale), dove si trovano delle formazioni
grigie, ovvero i nuclei (agglomerati di neuroni) gracile e cuneato; a questo
punto, dopo l’arresto sinaptico, i neuriti dei nuclei gracile e cuneato si
decussano (incrociano) e passano dalla parte opposta rispetto alla linea
mediana; infine, queste fibre arrivano al talamo (regione dove si arrestano
tutte le vie poiettive) e si forma la cosiddetta radiazione talamica (l’ultimo
neurone dà origine ad una proiezione di una fibra nervosa che raggiungerà la
corteccia somato-sensitiva, nell’emisfero opposto rispetto all’origine della
sensazione).
La via che trasporta la sensibilità protopatica (termica-dolorifica), ovvero la
via del lemnisco spinale, parte con l’entrata del neurite centrale del neurone
gangliare nella sostanza grigia; qui il neurite trova l’interneurone, da dove
parte un neurite che si incrocia subito nello stesso neuromero e va a
costituire il lemnisco spinale, che viaggia nel cordone laterale;
successivamente attraversa il bulbo, il ponte, il mesencefalo e raggiunge il
talamo; infine, si forma una proiezione alla corteccia telencefalica opposta
allo stimolo di partenza.

SISTEMA PIRAMIDALE
L’area interessata da questo sistema è l’area 4 (che rappresenta la corteccia
somato-motoria, da cui partono gli impulsi) costituita da neuroni piramidali;
attraverso quest’area, vengono trasmessi ai motoneuroni spinali e ai nuclei
somatomotori del tronco encefalico i segnali che determinano i movimenti
volontari. Lesioni di quest’area compromettono i movimenti volontari fini che
richiedono abilità e precisione e possono determinare paresi (movimenti
molto deboli), ipotonia (riduzione del tono muscolare) o spasticità (incapacità
di coordinamento dell’attività muscolare).
All’interno del sistema piramidale, si trovano anche vie extrapiramidali che
fungono da supporto. Il sistema extrapiramidale è multisinaptico e presenta
diverse interruzioni a livello di stazioni intermedie prima di giungere alle
cellule radicolari; la sua funzione è di cooperare con il sistema piramidale,
garantendo il supporto tonico nei movimenti volontari, di controllare il tono
muscolare, la postura nei movimenti volontari e involontari (in generale, il
sistema extrapiramidale si occupa di movimenti attitudinali, ovvero di quei
movimenti involontari associati a movimenti volontari). I più importanti centri
extrapiramidali sono: nuclei della base situati in profondità nel telencefalo
(putamen, nucleo caudato, nucleo pallido  vanno a costituire un nucleo che
presenta delle striature, dovute a interposizioni di sostanza bianca), nucleo
subtalamico (diencefalo), nucleo rosso, sostanza nera, struttura coinvolta
nella patologia del morbo di Parkinson (mesencefalo) e oliva bulbare (bulbo).
Affianca il sistema extrapiramidale anche il cervelletto, con funzioni
coordinatrici e stabilizzanti.
ENCEFALO
L’encefalo rappresenta la massa nervosa contenuta nella scatola cranica;
costituisce la parte rostrale del nevrasse, ha la forma di un ovoide con asse
maggiore sagittale; è avvolto dalle meningi che lo separano dalla superficie
ossea (dura madre esternamente, aracnoide e pia madre).
Si distinguono 3 sezioni: tronco cerebrale, cervelletto e cervello (telencefalo e
diencefalo).

TRONCO CEREBRALE
Il tronco cerebrale è in continuazione con il midollo spinale e comprende, in
senso caudo-craniale, il midollo allungato o bulbo, il ponte e il mesencefalo. Il
tronco è collegato alla periferia da 12 paia di nervi cranici (i primi due sono
l’olfattivo e l’ottico, gli altri 10 sono periferici), che, a differenza dei nervi
spinali, non hanno un aspetto metamerico e non presentano sempre tutte le 4
componenti (alcuni possono essere solo sensitivi o solo motori), ad
eccezione del nono (nervo glosso-faringeo) e del decimo paio (nervo vago).

Il bulbo presenta le cosiddette piramidi, ovvero fessure mediane interrotte,


riempite da sostanza bianca, al cui interno passano le fibre decussate a
decorso discendente che andranno a costituire il fascio cortico-spinale
crociato nel cordone laterale del midollo spinale.
Oltre a queste formazioni piramidali, nel bulbo troviamo anche l’oliva bulbare,
costituita da un agglomerato di nuclei a significato extrapiramidale; il solco
bulbo-pontino che separa bulbo e ponte e presenta l’emergenza del nervo
abducente (VI paio di nervi cranici, innerva il muscolo retto laterale
dell’occhio, che permette di spostare il bulbo oculare verso l’esterno); oltre al
nervo abducente, in questa struttura si trovano anche il nervo vago (grosso
nervo cranico che giunge nella cavità addominale e trasporta fibre viscerali
anche a livello dell’apparato digerente), il nervo faciale (che innerva la
muscolatura mimica del volto) e il nervo stato-acustico (che trasporta fibre
sensitive provenienti dall’orecchio interno).
Sulla faccia posteriore del bulbo, si notano due prominenze allungate, i
tubercoli gracile e cuneato, che contengono i rispetti nuclei gracile e cuneato,
in continuità con il midollo spinale.

Il ponte occupa una posizione intermedia tra bulbo e mesencefalo, è un semi-


anello compreso tra il solco bulbo-pontino e il solco ponto-mesencefalico. Il
ponte è uno dei costituenti dei sistemi cortico-ponto-cerebellari, grazie ai quali
corteccia e cervelletto vengono messi in collegamento immediato, in maniera
tale che il cervello possa essere informato sulle risposte motorie in atto.

All’interno del tronco encefalico, si trova una cavità, il IV ventricolo o fossa


romboidale, situata ventralmente tra bulbo e ponte e dorsalmente tra bulbo e
cervelletto. Ha una forma losangica e presenta un pavimento e una volta:
quest’ultima è un tetto a due spioventi (che si incontrano nell’ilo del
cervelletto, formando il velo midollare superiore o anteriore e il velo midollare
inferiore o posteriore), costituiti da cellule ependimali e all’interno dei quali
compare il plesso corioideo (responsabile della formazione del liquido cefalo-
rachidiano).

Il mesencefalo è la parte più rostrale del tronco encefalico e risulta costituito


anteriormente dai peduncoli cerebrali e dorsalmente dalla lamina
quadrigemina, tra cui vi è una cavità, definita acquedotto mesencefalico o di
Silvio, che contiene il liquor cefalo-rachidiano. I peduncoli cerebrali
presentano un piede (formazione bianca, attraverso cui vi è un transito di
fibre) e una callotta (formazione grigia, all’interno della quale vi è l’acquedotto
mesencefalico), separati dalla sostanza nera (ovvero sostanza grigia
arricchita di un pigmento, al cui interno si trovano i cosiddetti neuroni
dopaminergici), la quale, se viene distrutta, provoca il morbo di Parkinson. La
lamina quadrigemina si compone di quattro rilievi emisferici, i tubercoli
quadrigemini, due superiori, che presentano una stratificazione neuronale e
sono uniti tramite bracci congiuntivi superiori ai corpi genicolati laterali (le
fibre scendono), e due inferiori, che sono collegati alle vie acustiche e uniti
tramite bracci congiuntivi inferiori ai corpi genicolati mediali (le fibre salgono)
 i corpi genicolati mediali e laterali vanno a costituire il metatalamo,
struttura diencefalica e, quindi, attraverso queste formazioni, il tronco
encefalico entra in contatto con il diencefalo.
Per quanto riguarda l’organizzazione del tronco encefalico, si prendono in
considerazione due aspetti principali: la scompaginazione della sostanza
grigia ad opera della sostanza bianca e l’organizzazione della sostanza grigia
in nuclei (agglomerati di neuroni).

Si distinguono due diversi tipi di nuclei di sostanza grigia: nuclei propri del
tronco encefalico e nuclei dei nervi encefalici. I primi sono porzioni di
sostanza grigia dove le fibre in transito trovano intervallo sinaptico; ad
esempio, i nuclei gracile e cuneato. I secondi non hanno disposizione
segmentaria e sono raggruppamenti di neuroni che possono rappresentare
l’origine delle fibre motrici dei nervi cranici o la stazione di arrivo delle fibre
sensitive dei nervi cranici. Nell’ambito delle fibre motrici, si distinguono i
motoneuroni somatici ( e ) per i muscoli scheletrici e i neuroni viscero-
effettori, ovvero fibre pre-gangliari destinate alla muscolatura liscia. Per
quanto riguarda, invece, le fibre sensitive, queste hanno origine in un ganglio
pseudo-unipolare e arrivo nei nuclei sensitivi dei nervi cranici.
A questo punto, occorre fare una distinzione tra la parte ventrale del tronco
encefalico, definita piede, che è costituita prevalentemente da sostanza
bianca, e la parte dorsale, definita callotta o tegmento, ricca di formazioni
nucleari (grigie). Nel piede, si trovano, a livello del bulbo, piramidi e oliva
bulbare, a livello del ponte, fibre ponto-cerebellari, fibre piramidali e nuclei
basilari (fanno parte della via cortico-ponto-cerebellare), e, a livello del
mesencefalo, peduncoli cerebrali.
Per quanto, invece, riguarda la callotta: a livello del bulbo, si trovano il nucleo
del cordone laterale (che trasporta sensibilità protopatica e propriocettiva
incosciente), i nuclei dei fascicoli gracile e cuneato (che trasportano
sensibilità protopatica e propriocettiva incosciente) e il nucleo olivare inferiore
(che fa parte delle vie extrapiramidali e delle vie motorie); a livello del ponte,
vi sono i nuclei intercalati lungo la via acustica, ovvero i nuclei cocleari
(dorsale e ventrale), il nucleo del corpo trapezoide e il nucleo del lemnisco
laterale); a livello del mesencefalo, ci sono i nuclei intercalati lungo le vie
extrapiramidali, ovvero il nucleo rosso (contiene il pigmento eme), la sostanza
nera e la formazione reticolare (struttura presente anche nel IV ventricolo e
nell’acquedotto di Silvio, si spinge in basso fino a raggiungere i primi
neuromeri cervicali, è molto importante in quanto consente la propagazione
degli impulsi e l’amplificazione dei segnali somatici e viscerali, è
indispensabile per il mantenimento di stati fisiologici come sonno, veglia o
attenzione ed, infine, interviene lungo le vie discendenti appartenenti al
sistema extrapiramidale).
La sostanza bianca, invece, è abbondante nel piede e nella callotta è
intercalata tra i nuclei; i fasci di sostanza bianca hanno un decorso
prevalentemente longitudinale, ad eccezione del ponte, in cui i fasci ponto-
cerebellari hanno un decorso trasversale. Vengono distinte vie proiettive
ascendenti, vie discendenti e via di associazione.

CERVELLETTO
è un organo sovrassiale, la sua posizione precisa è in fossa cranica
posteriore, alloggiato a livello delle fosse cerebellari della squama
dell’occipitale; ha una forma ellissoidale (con un asse maggiore trasversale di
9 cm –orizzontale- e un diametro sagittale di 6 cm –verticale-).
Al suo interno si distinguono: verme (che si trova in posizione intermedia,
così chiamato perché è una formazione solcata, impari e ai suoi lati è
presente l’ilo) ed emisferi cerebellari (all’interno delle omonime fosse
cerebellari).
È collegato al tronco encefalico per mezzo di 3 paia di cordoni di sostanza
bianca, ovvero i peduncoli cerebellari (i superiori, o corpi restiformi, si
collegano al mesencefalo, i medi al ponte e i superiori al bulbo), che passano
per l’ilo: qui vengono raccolte fibre che trasportano informazioni motorie,
sensitive (sensibilità propriocettiva) e vestibolari; la faccia superiore è invece
in rapporto con i lobi occipitali grazie al tentorio (formato da due spioventi).
Complessivamente, il cervelletto è definito arbor vitae, poiché la sua
organizzazione assomiglia a quella di un albero. La superficie del cervelletto
presenta una serie di solchi paralleli e trasversali di varia profondità: i meno
profondi formano le lamelle cerebellari (formazioni più sottili), i più profondi
costituiscono le lamine cerebellari; mentre, i solchi ancora più profondi
(scissure) suddividono l’organo in tre lobi con diverso significato funzionale,
flocculo-nodulare (flocculo = estroflessioni ai lati del verme), anteriore e
posteriore  tutta questa organizzazione è dovuta alla necessità di ampliare
la superficie d’azione della corteccia cerebellare, poiché questa è molto
importante soprattutto per i movimenti.
Analizzando i tre lobi:
Il lobo flocculo-nodulare (inferiormente) è anche definito archicerebellum,
poiché è il più filogeneticamente antico; è collegato ai quattro nuclei
vestibolari posizionati tra bulbo e ponte che ricevono informazioni relative
all’equilibrio dai recettori dell’orecchio interno; è connesso funzionalmente al
mantenimento della postura, dell’equilibrio e del tono muscolare del tronco;
Il lobo anteriore è anche definito paleocerebellum, riceve impulsi della
sensibilità propriocettiva incosciente, invia impulsi alla formazione reticolare,
al nucleo rosso e al nucleo olivare inferiore; svolge funzioni di controllo
del’equilibrio, della postura e del tono muscolare degli arti inferiori;
Il lobo posteriore è anche definito neocerebellum, poiché è il più
filogeneticamente recente; è anche il più esteso e ciò corrisponde ad una
maggiore capacità funzionale, collegata al movimento; è collegato al
telencefalo, al nucleo rosso, ai nuclei pontini e al nucleo olivare inferiore; ha
la funzione di coordinare i movimenti volontari e automatici degli arti.

Il cervelletto presenta in superficie uno strato di sostanza grigia, spessa 1-1.5


mm, mentre all’interno è presenta sostanza bianca, che forma il corpo
midollare; nella profondità del corpo midollare si trovano 4 nuclei intrinseci di
sostanza grigia, che ricevono informazioni dalla corteccia cerebellare e da cui
partono le efferenze del cervelletto destinate ai motoneuroni e alle formazioni
extrapiramidali: del tetto (funzionalmente collegato all’archicerebellum,
connesso all’attività vestibolare), globoso, emboliforme e dentato (chiamato
così perché dentellato, pieghettato, è collegato al neocerebellum).
CORTECCIA CEREBELLARE
Risulta organizzata in tre strati sovrapposti: molecolare (in superficie), delle
cellule gangliari o di Purkinje e dei granuli -piccoli e grandi- (in profondità a
ridosso della sostanza bianca). Le efferenze derivano sempre dalle cellule di
Purkinje, che rappresentano la via finale comune del cervelletto e presentano
una ricca arborizzazione dendritica.
strato molecolare: è il più superficiale; presenta neuroni (cellule stellate,
cellule fusiformi e cellule dei canestri con funzioni associative – quest’ultime
formano intorno al soma delle cellule di Purkinje una ricca arborizzazione
detta canestro-), spalliere (arborizzazioni dendritiche delle cellule di Purkinje),
fibre parallele (provengono dalle cellule dei piccoli granuli e ricevono solo
fibre muscoidi) e fibre rampicanti (che provengono dal nucleo olivare inferiore
e trasportano informazioni extrapiramidali)
strato delle cellule di Purkinje: queste sono le cellule tipiche della corteccia
cerebrale, presentano pirenofori voluminosi allineati in fila, presentano 2-3
dendriti, perpendicolari alla superficie delle lamelle, dotati di numerose spine
(ovvero di bottoni sinaptici), presentano il neurite diretto ai nuclei intrinseci o
ai nuclei vestibolari e, infine, sono responsabili del coordinamento di tutte le
informazioni in arrivo
strato dei granuli: è il più ricco di neuroni; si distinguono piccoli granuli,
caratterizzati dalla presenza di dendriti ad artiglio che contraggono sinapsi
con le fibre muscoidi e presentano un neurite mielinico che risale verso l’alto,
dove si divide a T per formare le fibre parallele dello strato molecolare, e
grandi granuli, sono voluminosi, caratterizzati da dendriti che raggiungono lo
strato molecolare ed entrano in contatto con le fibre parallele, mentre i neuriti
prendono contatto con le fibre muscoidi e con i piccoli granuli costituendo il
glomerulo cerebellare  questo effettua una modulazione inibitoria sugli
impulsi in arrivo, riverberando il segnale su se stesso; dal glomerulo gli
impulsi, tramite le fibre parallele dei piccoli granuli, raggiungono le cellule di
Purkinje, via finale comune degli impulsi in uscita dal cervelletto (quindi il
glomerulo modula gli impulsi in entrata riducendone l’intensità).

CONNESSIONI DEL CERVELLETTO


Il cervelletto riceve due tipi di afferenze, da fibre muscoidi, che trasportano
informazioni extrapiramidale, quindi sensibilità propriocettiva, motoria e
vestibolare, e da fibre rampicanti, che trasportano informazioni dal nucleo
olivare inferiore. Ciò che permette al cervelletto di ricevere queste afferenze
sono i peduncoli cerebellari: in particolare, tramite i peduncoli cerebellari
inferiori, il cervelletto riceve dal bulbo informazioni sulla sensibilità
propriocettiva di tronco e arti (fasci spino-cerebellari), sulla sensibilità
generale della testa (fascio trigemino-cerebellare), sulla sensibilità
vestibolare, motoria e tattile; tramite i peduncoli cerebellari medi, riceve
esclusivamente informazioni dal ponte, ovvero dalla via cortico-ponto-
cerebellare, che ha origine nella corteccia telencefalica e, dopo essersi
arrestata nei nuclei basilari del ponte, si incrocia e raggiunge la corteccia
cerebellare controlaterale; tramite i peduncoli cerebellari superiori, riceve dal
mesencefalo informazioni su stimoli visivi e acustici (dal fascio tetto-spinale) e
altre informazioni sulla sensibilità propriocettiva di tronco e arti (tramite il
fascio spino-cerebellare) e della testa (tramite il fascio trigemino-cerebellare).
Per quanto riguarda le efferenze del cervelletto, queste provengono
essenzialmente dai nuclei intrinseci e sono dirette ai nuclei vestibolari, al
nucleo rosso del mesencefalo (stazione extrapiramidale), al talamo (che fa
parte della corteccia telencefalica) e ai nuclei di III, IV e VI paio di nervi
cranici (per i movimenti oculari).

Il cervelletto è un organo essenziale, che controlla e corregge l’attività di quei


centri implicati nelle azioni motorie, al fine di consentire movimenti corretti e
precisi. Il cervelletto interviene prima, durante e alla fine di ciascun
movimento, per regolarne durata e ampiezza. Questo opera un confronto tra
gli impulsi propriocettivi e le risposte motorie elaborate dalla corteccia, per
rilevare errori di tali risposte e correggerle: ciò avviene perché la corteccia
somato-motoria elabora quasi sempre risposte eccessive, che devono essere
modulate dall’azione inibente del cervelletto (che agisce, quindi, come un
freno).
Problemi al cervelletto possono causare deficit come vertigini (problemi
vestibolari), tremore intenzionale durante i movimenti), nistagmo (movimenti
oscillatori) di fissazione dello sguardo su un punto) e disturbi della parola (che
diventa scandita e rallentata).
CERVELLO
Il cervello è la porzione più voluminosa dell’encefalo ed è costituito da
diencefalo e telencefalo.

Diencefalo
Il diencefalo è una formazione impari e mediana, ricoperta interamente dal
telencefalo, è visibile solo sulla faccia ventrale dell’encefalo, anteriormente ai
peduncoli cerebrali.
Partendo da dietro, è costituito da quattro formazioni ventrali, ovvero corpi
mammillari, tuber cinereum con l’ipofisi, chiasma ottico e lamina terminale.
Inoltre, al suo interno, il diencefalo contiene una cavità, il III ventricolo (in cui
si trova il liquido cefalo-rachidiano), comunicante in basso con l’acquedotto
mesencefalico e lateralmente con i ventricoli telencefalici, tramite i forami
laterali di Monroe. La faccia dorsale del diencefalo presenta la tela corioidea
e l’epifisi; la faccia ventrale presenta l’ipotalamo (con chiasma ottico, tuber
cinereum, ipofisi e corpi mammillari); le facce laterali presentano i vari talami
(formazioni grigie orientate obliquamente verso il davanti e l’interno); la faccia
anteriore è stretta, ma estesa al chiasma ottico dai forami di Monroe; infine, la
faccia posteriore è virtualmente compresa tra i tubercoli quadrigemini
superiori e i corpi mammillari.
Per quanto riguarda la conformazione interna del diencefalo, si distinguono 5
porzioni di sostanza grigia, subtalamo, ipotalamo, talamo, metatalamo ed
epitalamo.
Il subtalamo è definito talamo ventrale, è una formazione di tipo
extrapiramidale (è implicato nell’esecuzione di movimenti volontari), è situato
al di sotto del solco ipotalamico, è costituito da nuclei di sostanza grigia e
fibre di sostanza bianca intercalate tra essi.
L’ipotalamo comprende chiasma ottico, tuber cinereum e corpi mammillari,
quindi, corrisponde al diencefalo ventrale. Si individuano quattro regioni:
quella posteriore è connessa con le vie olfattive (corpi mammillari); quella
intermedia presenta una serie di nuclei che fanno parte dell’eminenza
mediana; quella anteriore sovra-ottica comprende i nuclei sovra-ottico e
paraventricolare, che producono due ormoni, l’ossitocina che stimola la
contrazione della muscolatura uterina e la vasopressina ADH, che induce il
riassorbimento di acqua a livello renale e vasodilatazione nelle arteriole;
quella anteriore pre-ottica presenta i nuclei pre-ottici laterale e mediale, che
agiscono sul sistema nervoso autonomo.
L’ipotalamo svolge quindi una duplice funzione: controllo sull’attività
endocrina e controllo sull’attività vegetativa. Per quanto riguarda il primo, oltre
all’attività dei nuclei sovra-ottico e paraventricolare sul lobo posteriore
dell’ipofisi, la neuro-ipofisi, bisogna tener conto anche dell’attività dei nuclei
parvocellulari sul lobo anteriore dell’ipofisi, l’adeno-ipofisi, che controllano il
rilascio di ormoni ipofisari (di inibizione o di attivazione secondo feedback:
viene rilasciato un ormone di attivazione se i livelli dello stesso ormone nel
sangue scendono), i quali agiscono sugli organi bersaglio (ad esempio
ghiandole endocrine). Per quanto riguarda il secondo, l’ipotalamo anteriore
controlla il tono parasimpatico (bradicardia, ipotensione, salivazione,
sudorazione, miosi – restringimento della pupilla – e ipermotilità gastro-
intestinale), mentre l’ipotalamo posteriore controlla il tono ortosimpatico
(tachicardia, ipertensione, midriasi – dilatazione della pupilla – e ridotta
peristalsi intestinale. Infine, nell’ipotalamo sono presenti anche altri centri
come: centro della fame, centro della sete, centro della veglia, centro di
regolazione termica.
Il talamo è una formazione ovoidale, anteriormente in rapporto con le colonne
del fornice, con un diametro sagittale di 3-4 cm e un diametro trasverso di 2
cm, la cui faccia mediale è rappresentata dalla parete laterale superiore del III
ventricolo e il cui polo posteriore, detto pùlvinar, è in rapporto con la lamina
quadrigemina. È costituito da sostanza bianca, che si divide in peritalamica
(superficiale) e intratalamica (suddivide il talamo in diversi territori), e da
sostanza grigia organizzata in nuclei, che, a seconda della loro funzione, si
dividono in specifici (intercalati lungo le vie sensitive) e non specifici (ricevono
impulsi dalla formazione reticolare e sono caratterizzati da collegamenti
talamo-corticali diffusi).
Il talamo svolge tre funzioni: rappresenta una stazione d’arresto obbligata
lungo le vie sensitive (lemnisco spinale, mediale e trigeminale), poiché qui gli
impulsi, soprattutto quelli che presentano una ricca componente protopatica,
subiscono un’integrazione, che consiste nell’arricchimento di un contenuto
emozionale; connette il cervelletto alla corteccia telencefalica, esercitando un
controllo sul tono e sull’attività muscolare; grazie ad un sistema attivatore
costituito dai nuclei non specifici, mantiene un certo livello di attività elettrica
della corteccia telencefalica necessario per l’elaborazione degli impulsi.
Il metatalamo è costituito da quattro rilievi che sporgono postero-
inferiormente rispetto al talamo, ovvero i due corpi genicolati mediali e i due
corpi genicolati laterali.
L’epitalamo è la regione posteriore al III ventricolo ed è costituito dall’abenula,
collegata al sistema limbico e situata anteriormente al talamo, dalla
commessura posteriore, situata anteriormente all’epifisi, e dall’epifisi.
Quest’ultima è una ghiandola pineale, appartenente al sistema endocrino, ha
una forma ovoidale, misura 1 cm di lunghezza, produce melatonina, svolge
un’azione di controllo sullo sviluppo delle gonadi e può anche intervenire
nella regolazione dei ritmi circadiani (alternanza tra buio e luce).

VIE OTTICHE
Le vie ottiche comprendono nervi ottici, chiasma ottico, tratti ottici e tratti
genicolo-calcarini. Sulle retine di entrambi gli occhi, vengono proiettati i campi
visivi, ovvero parte di spazio che si può percepire. A livello della retina, se si
suddivide il campo visivo in parte destra e parte sinistra, la prima si proietta
sulla metà sinistra della retina e la seconda si proietta sulla metà destra:
questo perché dalla retina, i nervi ottici raggiungono il chiasma ottico e
successivamente vanno a formare i tratti ottici: per via della decussazione gli
impulsi provenienti dalla parte sinistra arriveranno a destra, quindi se è
lesionato il tratto ottico destro l’occhio non percepirà tutto ciò che è a sinistra
del campo visivo. In ogni caso, le vie ottiche fanno capo ai corpi genicolati del
metatalamo: le fibre che giungono al corpo genicolato laterale, che devono
informare la corteccia telencefalica della percezione visiva, si interrompono e
si forma la radiazione ottica (via proiettiva); a volte, altre fibre giungendo al
corpo genicolato laterale non si interrompono, ma, attraverso i bracci
congiuntivi superiori, arrivano ai tubercoli quadrigemelli superiori (risposta
riflessa alla luce).

CIRCOLAZIONE DEL LIQUIDO CEFALO-RACHIDIANO


Questo liquido viene prodotto nei plessi corioidei (IV ventricolo), in rapporto
anatomico con il tetto della lamina quadrigemina; attraverso i forami di
Monroe, il plesso corioideo si inserisce all’interno dei due ventricoli laterali.
Questi sono sono scavati in ciascun emisfero telencefalico, circondano il
talamo; comprendono dei prolungamenti, un corno anteriore o frontale, un
corno inferiore o temporale e un corno posteriore o occipitale. Il punto di
convergenza è chiamato crocicchio ventricolare. I plessi corioidei del 3°
ventricolo attraversano i forami intraventricolari di Monroe e si continuano con
i plessi corioidei laterali. Successivamente, attraverso i forami di Magendie e
di Luschka, circonda praticamente tutte le strutture encefaliche e verrà poi
riassorbito da ispessimenti dell’aracnoide, definiti granulazioni di Pacchioni
(quando non viene riassorbito si accumula e comprime le strutture nervose).

Telencefalo
È formato da due emisferi telencefalici, è avvolto dalle meningi, comprende
formazioni commessurali interemisferiche, ovvero strutture impari e mediane
che svolgono funzioni associative tra i due emisferi quali:
 corpo calloso: si trova in profondità, lungo la linea mediale, è spesso e
robusto, è costituito da sostanza bianca, è allungato in senso antero-
posteriore; è diviso in tre parti, una anteriore, il ginocchio, una
intermedia, il tronco, e una posteriore, lo splenio, che circonda il talamo;
è in rapporto inferiormente con il setto pellucido e il fornice
 fornice: fa parte del sistema limbico; è sostanza bianca di forma
triangolare; aderisce parzialmente al corpo calloso; anteriormente vi
sono le colonne del fornice (cordoni), dirette verso i corpi mammillari,
posteriormente vi sono le gambe del fornice, dirette dietro al pulvinar
del talamo (ippocampo)
 setto pellucido: è una lamina di tessuto nervoso, posta tra corpo calloso
in alto e fornice in basso; è sottile e trasparente; è costituito da due
lamine accollate di sostanza grigia e bianca, le cui fibre fanno parte
delle vie olfattive
 commessura anteriore: è assegnata al sistema limbico, è situata
anteriormente alle colonne del fornice; risulta costituita da fibre
commessurali di allungamento fra i due emisferi, attraversando il 3°
ventricolo.
Nei due emisferi telencefalici, si distinguono:
NUCLEI DELLA BASE: sono situati in profondità e costituiti da sostanza
grigia; sono il corpo striato (è suddiviso in due parti dalla capsula interna e
comprende tre porzioni grigie, il nucleo caudato, si trova in una posizione
mediale rispetto alla capsula interna e comprende una testa, connessa
mediante sostanza grigia al nucleo lenticolare, un corpo, in rapporto con i
forami di Monroe, e una coda, in rapporto con i ventricoli laterali e con
l’amigdala, il nucleo o globo pallido e il putamen che insieme costituiscono il
nucleo lenticolare che è a forma di lente biconvessa e in cui il nucleo pallido e
il putamen occupano rispettivamente una posizione laterale e mediale
rispetto alla capsula interna; per quanto riguarda le funzioni svolte da questi
centri sottocorticali del sistema extrapiramidale, il nucleo caudato e il
putamen si occupano del controllo di movimenti automatici, mentre il nucleo
pallido si occupa del controllo dei movimenti fini), il claustro (situato tra
capsula esterna e capsula estrema, lateralmente al nucleo lenticolare e
collegato alla corteccia; ha un significato funzionale ancora incerto) e
l’amigdala (ha una forma a mandorla, è situata in profondità del lobo
temporale, è raggiunta dalla coda del nucleo caudato, è connessa alle vie
olfattive e fa parte del sistema limbico).
SOSTANZA BIANCA DEL TELENCEFALO: asportando il mantello
telencefalico (spesso 0.5 cm), si scopre il complesso di fibre bianche
sottocorticali, che presenta una forma ovale, da cui deriva la denominazione
di “centro” ovale o semiovale. La sostanza bianca del centro semiovale si
dispone in lamine parallele alla superficie encefalica e si distinguono capsula
interna (lamina a concavità laterale, interposta tra il talamo e il nucleo
caudato medialmente, il nucleo lenticolare lateralmente e in questa si
distinguono braccio anteriore, ginocchio e braccio posteriore), capsula
esterna (lamina bianca situata tra il claustro lateralmente e il nucleo
lenticolare) e capsula estrema (situata lateralmente al claustro); sia capsula
esterna sia estrema sono percorse da fibre proiettive ed associative.
AREE CORTICALI: si distinguono aree motorie, sensitive (proiettive) ed
associative.
L’area somato-motoria (area 4), situata anteriormente alla scissura di
Rolando, è la principale stazione di partenza del sistema piramidale. La sua
distribuzione compromette in varia misura i movimenti; l’arte s-m di destra
controlla di destra controlla la metà sinistra del corpo e viceversa.
La localizzazione somato-tipica (topografica) delle varie parti del corpo sulla
corteccia somato.motoria è definita omuncolo motorio. Le parti cefaliche
dell’organismo corrispondono alla parte più laterale dell’area; le parti più
caudali sono rappresentate medialmente. La rappresentazione non è
proporzionale alle dimensioni delle varie parti ma in rapporto alla finezza dei
movimenti.
Oltre all’area somato-motoria primaria, esiste un’area accessoria detta
corteccia post-rolandica (aree 3 e 1) e un’area anteriore alla 4, detta area
premotoria (aree 6 e 8): entrambe danno origine alle fibre del sistema
piramidale.
Vi sono diverse scissure: scissura di Rolando (tra lobo frontale e parietale),
scissura di Silvio (limita il lobo temporale), scissura parieto-occipitale (tra loro
parietale e lobo occipitale) e scissura del cingolo (limita il corpo calloso, e
quindi il lobo limbico).
I centri encefalici dell’extrapiramidale corrispondono all’area premotoria (6 e
8)  in sintesi, il sistema piramidale rappresenta il primer dei movimenti
volontari, mentre l’extrapiramidale li coordina ed interviene nell’automatismo
degli stessi, per regolare la postura e l’equilibrio dinamico delle risposte
motorie.

Si proiettano le vie della sensibilità generale e specifica, tranne quelle


olfattive che fanno parte del sistema limbico e del rinencefalo. Le vie sensitive
trovano l’ultimo arresto sinaptico nel talamo, da dove parte la radiazione
talamica. Qui in parte possono raggiungere il livello di coscienza ma le
sensazioni sono mal localizzabili. Per quanto riguarda le proiezioni, queste
interessano la corteccia dei lobi parietale, temporale e occipitale delle aree
sensitive primarie, dove le sensazioni subiscono un processo integrativo e
discriminativo.
L’area somato-estetica primaria è localizzata nella circonvoluzione
postcentrale del lobo parietale; le afferenza provengono dal talamo e
attraversano il lemnisco mediale, il lemnisco spinale e il lemnisco trigeminale.
Per quanto riguarda la localizzazione somatotopica è definita omuncolo
sensitivo e i territori più estesi risultano essere quelli di volto, mano e lingua.
L’area somato-estetica secondaria, invece, si trova superiormente alla
scissura di Silvio ed è coinvolta nella ricezione corticale della sensibilità
protopatica (dolorifica).
Vi sono, inoltre, l’area visiva primaria (area 17) che occupa i due versanti
della scissura calcarina nel lobo occipitale, la cui lesione provoca cecità
completa, e l’area acustica (area 41) che si trova nella circonvoluzione
temporale ed è coinvolta nella percezione dei suoni.

CORTECCIA PREFRONTALE
è l’area corticale più complessa, interviene nelle funzioni di apprendimento e
capacità di ragionamento ed è responsabile dell’elaborazione intellettuale
astratta (conseguenze di azioni ed eventi).
Vi sono l’area di broca, ovvero quella del linguaggio, il campo visivo frontale
(o di associazione), che se viene lesionata provoca una mancanza nella
capacità di riconoscimento di oggetti, e l’area gnosica, collegata a capacità
interpretative generali.

Ricapitolando..
LOBO FRONTALE (corteccia motoria primaria)  controllo dei movimenti
volontari
LOBO PARIETALE (corteccia sensitiva primaria)  percezione conscia del
tatto, della pressione, delle vibrazioni, del dolore, della temperatura e del
gusto
LOBO OCCIPITALE (corteccia visiva)  percezione conscia degli stimoli
visivi
LOBO TEMPORALE (corteccia uditiva e olfattiva)  percezione conscia di
stimoli uditivi e olfattivi
TUTTI I LOBI (aree associative)  integrazione ed elaborazione dei dati
sensitivi, elaborazione ed inizio delle attività motorie

SISTEMA LIMBICO
Rappresenta un “cervello viscerale” responsabile di ciò che l’individuo sente e
prova emotivamente; comprende un complesso di formazioni, tra cui il
rinencefalo, che servono all’integrazione degli impulsi viscerali, olfattivi e
somatici (appartenenti alla sfera affettiva), provocando risposte
comportamentali.
RINENCEFALO
Comprende le vie olfattive; ha origine dai neuriti delle cellule olfattive
(recettori sensitivi primari), che, successivamente, attraversano la lamina
cribrosa dell’etmoide e raggiungono i bulbi olfattivi, a forma di clava; qui
prendono contatto con le cellule mitrali, i cui neuriti formano i tratti olfattivi,
che raggiungono il setto pellucido e altre formazioni del sistema limbico.
Il sistema limbico è collegato alle vie olfattive e, oltre ad amigdala, neuroni del
setto pellucido, epitalamo, alcuni nuclei ipotalamici, fornice e commessura
bianca anteriore, comprende: circonvoluzione del corpo calloso (giro del
cingolo), circonvoluzione dell’ippocampo e il corno d’ammone (o ippocampo
ventrale).

SISTEMA NERVOSO AUTONOMO (simpatico, vegetativo, viscerale)


Questo esercita la sua azione a livello dei visceri e le sue attività sfuggono al
controllo della volontà. Si distinguono una parte centrale e una parte
periferica.
Per quanto riguarda la parte centrale, questa comprende formazioni
visceroeffettrici localizzate nel nevrasse; da questi nuclei visceroeffettori, si
dipartono fibre pregangliari mieliniche, che seguono il decorso dei nervi
spinali o cranici (3°, 7°, 9° e 10°); queste poi si arrestano nei gangli simpatici
(motori viscerali), nei pressi dei visceri o dei vasi oppure nei pressi della
colonna vertebrale. Dai neuroni gangliari (multipolari) si originano
successivamente le fibre amieliniche (postgangliari). In generale, si può
affermare che i neuroni pregangliari sono meno numerosi di quelli
postgangliari (in rapporto 1:15 o 1:20) e ciò determina un’ampia diffusione
delle risposte viscerali.
Per quanto riguarda, invece, la parte periferica, è formata da gangli e nervi;
dagli stessi organi innervati si dipartono le fibre viscerosensitive che portano
al nevrasse gli impulsi della sensibilità viscerale. Quindi, la parte periferica
presenta l’origine nei gangli spinali o cranici (neuroni pseudounipolari a T), un
prolungamento periferico diretto al viscere e un prolungamento centrale
diretto all’asse nervoso. In ogni caso, lo schema del percorso delle vie
sensitive viscerali è lo stesso descritto per il sistema nervoso somatico.

Il sistema nervoso autonomo comprende: sistema nervoso ortosimpatico e


sistema nervoso parasimpatico.
SISTEMA NERVOSO ORTOSIMPATICO (simpatico)
Presenta centri visceroeffettori localizzati nel tratto toraco-lombare (mielomeri
C8-L2/L3) del midollo spinale (nucleo intermedio laterale); i gangli annessi
sono rappresentati dalle catene gangliari paravertebrali. Queste sono due
catene di gangli simpatici a significato motore-viscerale, che si estendono
dalla base del cranio fino al coccige; sono formate da 24-25 gangli, collegati
tramite cordoni intermedi longitudinali di sostanza bianca, che sono disposti
davanti al rachide e distinti in 3 gangli cervicali, 11-12 toracici, 5 lombari e 4-5
sacrali.
Nel ganglio può avvenire la sinapsi, oppure, nel caso in cui non avvenga, la
fibra continua a percorrere i cordoni intermedi fino a raggiungere un ganglio
situato ad un altro livello della catena; se la fibra non si interrompe neanche
all’altro livello della catena, allora formerà una sinapsi in un ganglio simpatico
(motore-viscerale), situato nei pressi dell’organo da innervare.
L’ortosimpatico viene suddiviso in 5 parti:
parte cervicale: comprende 3 gangli (che regolano il ritmo cardiaco), uno
superiore (3 cm) situato a livello C2-C3, uno medio, situato a livello C5, e uno
inferiore, spesso fuso con il 1° toracico a costituire il ganglio stellato (2
cm), situato a livello C7.
parte toracica: è costituira da 10-11 gangli da cui nascono i due nervi
splancnici (grande e piccolo), che sono collegati al plesso cardiaco e
polmonare.
parte lombare: si estende fino all’osso sacro, è costituita da 5 gangli (di cui
il primo è detto semilunare e partecipa alla costituzione del plesso celiaco),
ovvero i gangli celiaci (che si trovano ai lati dell’aorta, semilunari), i gangli
reno-aortici (che si trovano presso l’origine delle arterie renali) e i gangli
mesenterici superiori (che si trovano nelle vicinanze dell’arteria mesenterica
superiore).
parte aortico-addominale: si estende dall’origine dell’arteria mesenterica
superiore fino alla biforcazione dell’aorta nei vasi iliaci comuni, si occupa
dell’innervazione del colon trasverso e dell’intestino crasso ed è ricca di
piccoli gangli che fanno parte del plesso mesenterico inferiore.
parte pelvica: le sue fibre partecipano alla costituzione del plesso pelvico e
sono destinate al retto, agli organi genitali, alla vescica, all’uretra e agli
ureteri.
Da un punto di vista fisiologico, si riconosce l’ortosimpatico come ergotropo,
ossia stimolante le funzioni e lo sviluppo di energia: per questo, è attivo negli
stati di emergenza (di stress) e le sue risposte principali sono rappresentate
da tachicardia, ipertensione, midriasi, bronco dilatazione, iperglicemia e
vasodilatazione.

SISTEMA NERVOSO PARASIMPATICO


In questo, si distinguono una parte encefalica e una parte sacrale.
Per quanto riguarda la parte encefalica, i suoi centri effettori sono situati nel
tronco encefalico e corrispondono ai nuclei visceroeffettori del 3°, del 7°, del
9° e del 10° paio di nervi cranici.
Per quanto riguarda la parte sacrale, corrisponde ai neuromeri S2-S3 del
midollo spinale, dove si trovano le colonne grigie visceromotrici e le sue fibre
postgangliari raggiungono colon, vescica e organi genitali.
Da un punto di vista fisiologico, il parasimpatico viene considerato istiotropo,
ossia come sistema che favorisce l’economia energetica e l’anabolismo: le
sue risposte principali sono rappresentate da bradicardia, miosi, ipotensione,
aumento della peristalsi e assorbimento intestinale.
Per combattere le risposte dei due sistemi, agiscono dei mediatori chimici:
l’acetilcolina per le fibre pre e post gangliari del parasimpatico e per le fibre
pregangliari dell’ortosimpatico, e la noradrenalina, per le fibre postgangliari
dell’ortosimpatico.

FUSI NEUROMUSCOLARI
I fusi neuromuscolari sono fibre muscolari intrafusali (a sacca se i nuclei sono
raggruppati o a catena se sono organizzati in maniera lineare), disposte in
parallelo con fibre extrafusali (normali fibrocellule muscolari scheletriche), alle
cui estremità vi sono motoneuroni . Sono recettori di stiramento, ad
innervazione motoria: il riflesso da stiramento monosinaptico (miotatico)
provoca la contrazione del muscolo agonista e il rilassamento del muscolo
antagonista (es. riflesso patellare con il martelletto), per l’interposizione di un
interneurone inibitore, in maniera tale da completare la risposta (che è quindi
coerente tra agonista e antagonista); il riflesso da stiramento può essere
passivo, come nel caso del riflesso miotatico, o attivo, se è provocato dai
motoneuroni che si trovano alle estremità del fuso e scatenato da uno
stiramento del muscolo sottoposto ad un carico. Se il circuito  agisce sulle
fibre intrafusali, su quelle extrafusali, invece, agiscono i motoneuroni che
rendono possibile la contrazione del muscolo.
Questi circuiti sono responsabili del mantenimento del tono muscolare ad un
livello costante e del mantenimento della lunghezza del muscolo.
SENSIBILITA’ SPECIFICA

Olfatto
L’epitelio olfattivo occupa la porzione superiore della cavità nasale e contiene
cellule basali, cellule di sostegno (cellule epiteliali colonnari della mucosa che
riveste il naso) e recettori olfattivi (neuroni di prim’ordine della via olfattiva). I
primi neuroni olfattivi attraversano la lamina cribrosa dell’etmoide e si portano
nella fossa cranica, dove diventano vie centrali; i tratti olfattivi veri e propri
iniziano dopo la formazione di una sinapsi a livello dei bulbi olfattivi, che si
trovano al di sopra della lamina cribrosa; gli impulsi olfattivi vengono portati al
lobo limbico, dove vengono integrati tra loro. La via olfattiva è, quindi,
composta dai fascicoli, costituiti dagli assoni mielinici dei recettori olfattivi, che
terminano nei bulbi olfattivi (cellule mitrali) e giungono nel lobo limbico e nel
lobo temporale della corteccia cerebrale, dove inizia la consapevolezza
dell’odore (grazie a cui si hanno reazioni proprie del sistema limbico).

Gusto
Il senso del gusto è localizzato a livello della mucosa della lingua e, in minor
parte, della laringe e della faringe. Cinque gusti vengono riconosciuti come
primari: acido, dolce, amaro, salato e umami (saporito, riferito al glutammato).
La percezione dei vari sapori è possibile grazie ai recettori, che alloggiano nei
calici gustativi (forma ovoidale), i quali sono contenuti nello spessore
dell’epitelio che tappezza le papille (sul dorso della lingua, sono circumvallate
–a V –, foliate, fungiformi o filiformi). La sensibilità gustativa è raccolta da
neuriti dei gangli pseudo-unipolari, che derivano da 3 nervi cranici (i quali
provengono dal bulbo del tronco encefalico), faciale intermedio (VII), glosso-
faringeo (IX) e vago (X). Successivamente, le molecole si sciolgono nella
saliva, penetrano nei pori gustativi ed entrano in contatto con i peli gustativi e
i recettori di membrana cellulare. In seguito, gli impulsi passano al sistema
limbico e al talamo, fino all’area gustativa primaria, presente nel lobo
parietale (opercolo) della corteccia cerebrale.

Udito-Equilibrio
Questi due sensi fanno capo all’orecchio, che è divido in tre segmenti:
orecchio esterno e orecchio medio, che non ricevono impulsi vestibolari ma
solo suoni, ed orecchio interno, che è rappresentata da una porzione
endocranica dell’osso temporale e presenta recettori vestibolari (nella regione
posteriore del labirito per gli stimoli stato-cinetici) ed uditivi (nella regione
anteriore del labirinto, la coclea).
L’orecchio esterno comprende il meato, ovvero il condotto uditivo esterno, e il
padiglione auricolare, posizionato al lato della testa, anteriormente alla
regione mastoidea, che ha la funzione di convogliare le onde sonore
(vibrazioni nell’aria) e di effettuarne una prima analisi, localizzando la
sorgente sonora (per lo più, la posizione laterale confonde sull’origine del
suono). Il padiglione presenta tre rilievi e una grande depressione: i primi
sono rappresentati da elice (contorno del padiglione), antelice e lobulo
(porzione inferiore più stretta, priva di cartilagine e ricca di fibre elastiche; la
depressione è, invece, definita conca, e rappresenta l’apertura che immette
nel condotto uditivo esterno (25 mm), che è costituito da cartilagine e
scheletro osseo (inferiormente osso timpatico, superiormente parte
squamosa) e che presenta una cute con numerose ghiandole apocrine che
producono il cerume (protegge e acquisisce acqua che aiuta a percepire
suoni, ma se si accumula può essere pericoloso, in quanto potrebbe
generare un riflesso vagale, ad esempio la bradicardia).
L’orecchio medio trasporta le vibrazioni sonore alla finestra ovale, piccola
cavità piena d’aria, posta tra il timpano e l’orecchio interno ed è costituito
dall’apparato di trasmissione sonora, formato dalla tuba uditiva (o tromba di
Eustachio che rappresenta un collegamento anatomo-funzionale con
l’arinofaringe) e dagli ossicini dell’udito (martello, incudine e staffa).

Il timpano, o membrana timpanica, separa l’orecchio esterno dall’orecchio


medio ed è caratterizzato dalla presenza del cosiddetto triangolo luminoso (o
di Politzer), espressione dello stato di tensione della membrana. Questa ha
una forma ellittica, è simile alla membrana di un tamburo, in quanto vibra
all’arrivo di onde sonore; l’asse maggiore è costituito da una sporgenza, detta
stria malleolare, data dalla presenza del manico del martello inserito nello
spessore della membrana (quando vibra, vibra anche il martello), e termina
con la cosiddetta prominenza malleolare, punto in cui la membrana non
presenta attività vibratoria, a causa della sua struttura. Infatti la struttura della
membrana è divisa in pars tensa, che presenta uno strato esterno rivestito da
cute, uno strato interno mucoso ed uno strado intermedio ricco di fibre
collagene, e pars flaccida, che serve solo da ancoraggio all’osso, ma non
contiene fibre e non permette la trasmissione delle vibrazione.
Al di sotto della membrana, si trovano due tendini, uno sul martello (il
muscolo tensore del timpano innervato dal nervo trigemino) e uno sulla staffa
(il muscolo stapedio innervato dal nervo faciale); oltre a questi, vi è anche il
nervo, definito corda del timpano, che trasporta fibre destinare
all’innervazione dei due/terzi anteriori della lingua (infatti, in caso di lesione, si
perde la sensibilità di tutta la regione anteriore della lingua).
Per quanto riguarda i tre ossicini, questi sono articolati tra loro, per esempio
tramite martello e incudine vi è una diartrosi, che può degenerare,
provocando l’otosclerosi, malattia che determina rigidità degli ossicini, non più
efficienti nella trasmissione sonora (l’udito viene meno). Importante è il
cosiddetto recesso epitimpanico, volta del cavo timpanico, che inferiormente
accoglie i corpi degli ossicini e comunica con la fossa cranica media. La tuba
uditiva (posizionata anteriormente rispetto al cavo timpanico) può veicolare
anche agenti infettivi, che si propagano verso l’orecchio medio, provocando
l’otite (più frequente nei bambini, in cui la tuba non è del tutto formata e non è
obliqua come nell’adulto ma orizzontale); se non viene diagnosticata o curata
può determinare anche ascessi cerebrali. La tuba, dal punto di vista
scheletrico, è simile al condotto uditivo esterno, costituito da una porzione
ossea e una cartilaginea (questa presenta una parete laterale costituita da
connettivo e una mediale, che possono unirsi provocando il senso di
“orecchie tappate” per la contrazione della muscolatura arino-faringea).
Nella parte mediale del cavo timpanico (area esattamente opposta a quella
della membrana timpanica), si trova un rilievo, il promontorio, dovuto alla
presenza della chiocciola ossea dell’orecchio interno e che rappresenta il
confine tra orecchio interno e medio; inoltre, al limite superiore del recesso
epitimpanico, si nota il ganglio genicolato, che rappresenta l’origine dei
neuroni responsabili della sensibilità gustativa.
Per quanto riguarda il martello, il suo manico è inserito nella membrana
timpanica e presenta dei processi che servono da ancoraggio e hanno il
compito di mantenere in sede gli ossicini; per quanto riguarda la staffa,
invece, la sua base si connette all’orecchio interno poggiandosi sulla finestra
ovale, presenta un cercine, un legamento circolare fibroso, detto legamento
anulare della staffa, importante per il corrette ancoraggio della base alla
staffa.

I muscoli dell’orecchio medio, tensore e stapedio, sono antagonisti e, infatti,


quando lo stapedio si contrae, solleva la staffa verso l’esterno (verso la
membrana timpanica), il tensore sposta il manico del martello verso l’interno;
agiscono come se si avvicinassero, perché, anche se antagonisti, sono
sinergici, ovvero lavorano insieme, provocando un irrigidimento, che funge da
meccanismo protettivo per gli ossicini, in caso di suoni molto forti che
potrebbero danneggiare la struttura.
Anche l’apparato mastoideo, tramite l’antro timpanico (a cui si può accedere
anche dall’esterno), è collegato al cavo del timpano; in virtù di questo
collegamento, i processi patologici a carico del cavo giungono all’apparato
mastoideo e, in questi casi, l’essudato infiammatorio (pus) può essere
drenato attraverso perforazione della membrana timpanica o, nei casi più
gravi, si procede con la rimozione chirurgica di cellule mastoidee.
Le principali funzioni dell’orecchio medio sono: trasferire le onde sonore che
fanno vibrare la membrana timpaniche, che è in continuità con la catena degli
ossicini, la cui oscillazione può essere trasmessa alla finestra ovale; vincere
l’inerzia dei liquidi; far passare le onde sonore dall’aria (compressibile) al
liquido (incompressibile); amplificare i segnali.

L’orecchio interno presenta un labirinto osseo, collegato al cavo del timpano


dalla finestra ovale, diviso in una parte anteriore, ovvero la porzione acustica,
e una parte posteriore, ovvero la porzione vestibolare, che comprende il
vestibolo, tre canali semicircolari ossei, ciascuno costituito da un arco
adagiato sui tre piani spaziali (il canale superiore sul piano frontale, il canale
posteriore sul piano sagittale e il canale laterale sul piano orizzontale), un
braccio semplice ed uno ampollare (che presenta una dilatazione al cui
interno ci sono i recettori vestibolari per l’equilibrio dinamico, ovvero le creste
ampollari). All’interno, il vestibolo presenta delle depressioni, chiamate
recessi (uno ellittico che contiene l’utricolo e uno sferico che contiene il
sacculo). All’interno dei canali semicircolari ossei, invece, si trovano i canali
semicircolari membranosi, che hanno stessa forma e costituzione .
Per quanto riguarda la porzione acustica, invece, la chiocciola è costituita da
due rampe che compiono tre giri (basale, apicale e un ultimo incompleto); la
scala superiore è quella vestibolare, comunica con l’orecchio medio ed è
separata dalla scala inferiore grazie alla lamina spirale; la scala inferiore è
quella timpanica ed è chiusa dalla membrana secondaria del timpano a livello
della finestra rotonda; le due scale sono in comunicazione tra loro, grazie
all’apice della chiocciola, definito elicotrema, in corrispondenza del quale il
liquido (perilinfa) passa da una scala all’altra.
La perilinfa è un liquido (simile ai liquidi extracellulari), che circola all’interno
delle strutture ossee (mentre in quelle membranose parliamo di endolinfa).
All’interno della chioccia del labirinto membranoso, vi è il canale cocleare,
che contiene i recettori acustici, mentre le macule (recettori vestibolari) sono
localizzate nelle ampolle dei canali semicircolari membranosi, nell’utricolo e
nel sacculo.
Perilinfa: quando la base della staffa esercita la sua pressione sulla finestra
ovale, viene compressa la perilinfa, che va in direzione della scala
vestibolare, arriva all’elicotrema, per poi tornare indietro passando per la
scala timpanica, fino a raggiungere la finestra rotonda della membrana
secondaria del timpano, chiusa in maniera tale da non permettere ai liquidi di
fuoriuscire e disperdersi.
Le onde pressorie dell’endolinfa trasmettono le vibrazioni alla membrana
basilare, che spinge le cellule ciliate dell’organo del Corti entro la membrana
tectoria. La flessione delle ciglia stimola il rilascio di neurotrasmettitori da
parte delle cellule ciliate in corrispondenza delle sinapsi con i neuroni
sensoriali, che generano impulsi nervosi trasmessi lungo il nervo vestibolo-
cocleare o stato-cinetico. Tutte le frequenze in un dato intervallo vengono
ricevute dalla chiocciola, in particolare le frequenze alte dalla parte basale,
mentre quelle più basse dalla parte apicale: già, quindi, a livello periferico,
viene messa in atto una prima analisi dei suoni percepiti. L’organo deputato
alla ricezione dei suoni è l’organo spirale o del Corti, che si trova nella
chiocciola, ha una forma triangolare ed è contiguo a scala vestibolare e a
scala timpanica.
Per quanto riguarda il labirinto posteriore, questo presenta due diversi tipi di
recettori vestibolari, o preposti al mantenimento della posizione del corpo
rispetto alla forza di gravità (parliamo di macule), o al mantenimento della
posizione del corpo in risposta a movimenti improvvisi (che generano correnti
di endolinfa all’interno). Diversi sono gli stimoli che vanno ad attivare questi
recettori, morfologicamente e funzionalmente differenti tra loro: le macule,
contenute nell’utricolo e nel sacculo, presentano una superficie costituita
dalla membrana otolitica, struttura gelatinosa ricoperta dagli otoliti, piccoli
cristalli di carbonato di calcio, e sono responsabili dell’equilibrio statico,
ovvero del mantenimento della posizione del corpo rispetto alla forza di
gravità, ma non risentono dei movimenti dell’endolinfa; le creste ampollari,
contenute nelle ampolle dei canali semicircolari, sono formate da una
sostanza gelatinosa (simile alla macula otolitica senza cristalli di carbonato di
calcio), sono responsabili dell’equilibrio dinamico e, per questo, sensibili ai
movimenti dell’endolinfa (specialmente quelli causati da movimenti di
rotazione del capo); entrambi i recettori, macule e creste ampollari,
presentano le stereo-ciglia e il chino-ciglio, se le stereo-ciglia si spostano
verso il chino-ciglio, la cellula viene attivata, mentre se il movimento avviene
in senso opposto, la cellula viene inibita.
Nell’ambito dei riflessi acustici, abbiamo i riflessi audio-motori (conseguenza
della contrazione dei muscoli stapedio e tensore) e i riflessi cefalo-oculogiri
(prevedono uno scatto della testa in risposta ad un suono improvviso).

Per quanto riguarda i deficit uditivi, è importante distinguere la sordità neuro-


sensoriale, causata dalla distruzione di un nervo o dei recettori dell’orecchio
interno ed è irreversibile, dalla sordità di conduzione, che riguarda, invece, un
problema dell’orecchio medio e a questa si può rimediare grazie ad
apparecchi acustici; anche alcuni farmaci, come la gentamicina e la
tebramicina, o i salicilati (aspirina), possono essere dannosi per le cellule
sensoriali, provocando un danno neurosensoriale a carico dell’orecchio.
Possono essere effettuati dei test per testare le capacità uditive o vestibolari
di un individuo, come, ad esempio, la prova di Weber, che prevede
l’attivazione del diapason nel punto di mezzo della fronte: se non ci sono
compromissioni della capacità uditiva, il suono più alto deve essere recepito
proprio nel mezza della fronte; se il problema riguarda la sordità conduttiva, il
suono più alto viene recepito dall’orecchio “malato”; se il problema riguarda la
sordità neurosensoriale, il suono più alto viene recepito dall’orecchio
“normale”.
Infine, analizziamo il nistagmo, movimento di oscillazione degli occhi, che
presenta una fase lenta e una fase veloce: nella prima, l’occhio segue
l’oggetto fino al massimo del suo limite per poi, nella fase veloce, tornare
indietro; la fase veloce caratterizza la direzione del nistagmo, che è opposta
alla direzione del movimento che lo ha provocato e su questo si basa la
verifica delle funzionalità vestibolari, in particolare con il test del movimento
rotatorio su una sedia girevole (il soggetto gira un certo numero di volte e
questa rotazione provoca il nistagmo, che ha una durata minima di circa 30
secondi in un soggetto normale, persistente nel soggetto che presenta dei
deficit; se la rotazione, ad esempio, è stata eseguita verso sinistra, il
movimento dell’endolinfa avviene sulla destra, il nistagmo lento avviene a
sinistra e il nistagmo veloce a destra).
Vista
L’apparato visivo comprende i bulbi oculari e altri organi accessori che hanno
il compito di proteggere l’occhio.
I bulbi oculari sono formazioni sferoidali di 24 mm di diametro, contenute
nelle cavità orbitarie, e sono vascolarizzati dall’arteria oftalmica, dipendente
dall’arteria carotide interna; sono costituiti da tre tonache sovrapposte: la
fibrosa, la più esterna, costituita da tessuto connettivo, la vascolare, che
comprende coroide, corpo ciliare e iride, e la nervosa, la più interna, che
rappresenta la retina.
I muscoli oculo-motori hanno inserzione sulla sclera e sulle pareti delle cavità
orbitarie e, oltre lo sfintere della pupilla e il muscolo ciliare che sono intrinseci,
i muscoli retti superiore, inferiore, laterale e mediale, i muscoli obliqui
superiore ed inferiore, il muscolo elevatore della palpebra superiore e il
muscolo orbicolare (per la chiusura dell’occhio), sono tutti estrinseci.
Le strutture di protezione sono rappresentate da: palpebre, ciglia,
sopracciglia, congiuntiva (muscosa che tappezza tutta la superficie interna
delle palpebre, della sclera e che si arresta a livello della cornea) e apparato
lacrimale (che comprende ghiandole e vie lacrimali e che rappresenta un
sistema di lubrificazione del bulbo oculare).
Infine, le vie nervose sono dipendenze del diencefalo e sono rappresentante
dai chiasmi ottici, tratti ottici, corteccia visiva e scissura calcarina (lobo
occipitale, dove avviene la visione cosciente).
Il polo anteriore del bulbo oculare è definito asse visivo e congiunge il centro
della cornea con la favea centralis, depressione posizionata in
corrispondenza della macula lutea; il polo posteriore è definito asse
anatomico e congiunge il centro della cornea con il centro della sclera.
Particolare è la presenza di un residuo fetale dell’arteria ialoidea, che
vascolarizzava il cristallino, è un canale degenerato che congiunge la papilla
del nervo ottico e il polo posteriore del cristallino.
La cornea costituisce il sesto anteriore dell’occhio, fa parte dei mezzi diottrici
(trasparenti che lasciano passare la luce), come umore acqueo, corpo vitreo
e cristallino; posteriormente vi è una cosiddetta camera anteriore, situata tra
cornea ed iride e che contiene umore acqueo (che successivamente
defluisce nel sistema sclero-corneale.
L’iride delimita il foro pupillare (fa passare i raggi luminosi), dietro il quale è
posizionato il cristallino (o lente) e che permette il collegamento tra la camera
anteriore e la camera posteriore (all’iride).
La camera vitrea ha una consistenza gelatinosa (simile al vetro) e contiene il
corpo vitreo; ai lati del cristallino si trovano delle fibre allungate che
dall’equatore del cristallino vanno a raggiungere il corpo ciliare (che fa parte
della tonaca vascolare) e che, se allentate, permettono variazioni di
convessità (modificando la messa a fuoco).
La coroide si trova nella tonaca vascolare ed è in rapporto con la tonaca
nervosa.
La retina ha un particolare punto, detto ora serrata, in cui cambia spessore e
presenta una porzione cieca, che non contiene fotorecettori ma cellule
epiteliali che ricoprono la parte posteriore dell’iride e il corpo ciliare.
L’occhio normale, definito emmetrope, ha un peso di circa 7-8g; l’occhio
corto, definito ipermetrope, permette la messa a fuoco sulla parte posteriore
del bulbo oculare; l’occhio grande, definito miope, permette la messa a fuoco
sulla parte anteriore alla retina.

La massa adiposa circonda il bulbo oculare e il nervo ottico, il quale è


rivestito da una guaina connettivale, cin continuità con una fascia bulbare e il
rapporto con la capsula di tenone della sclera, che permette ai tendini dei
muscoli retti di inserirsi sulla sclera: da qui partono altri tendini inferiormente e
superiormente alla cavità orbitaria, i tendini di arresto, che moderano la
trazione esercitata dai muscoli oculari sul bulbo e impediscono l’eccessivo
accorciamento del muscolo durante la contrazione, quindi limitano i
movimenti del bulbo nella cavità.

L’apparato lacrimale risulta costituito dalla ghiandola lacrimale, che si trova


sull’angolo supero-laterale dell’occhio, e dalle vie lacrimali (che dal sacco
congiuntivale fanno defluire le lacrime verso il meato nasale inferiore).

Per quanto riguarda la tonaca fibrosa, contiene la cornea che costituisce il


sesto anteriore dell’occhio e la sclera che costituisce i restanti cinque sesti: il
raggio di curvatura (è il reciproco del raggio, quanto maggiore è il raggio,
tanto minore sarà il raggio di curvatura) delle due formazioni è differente, è
più ridotto per la cornea (per questo, risulta più sporgente).
La cornea è uno dei mezzi diottrici, non solo perché è priva di vasi sanguigni,
ma anche perché la sua struttura è caratterizzata da una disposizione
ordinata dei suoi componenti in cinque strati: un epitelio (simile all’epidermide
ma non cheratinizzato e continuamente bagnato dai dotti lacrimali), una
membrana limitante (chiamata di Bowmann), lo stroma corneale (molto
spesso), un’altra membrana limitante (detta di Descenat) ed un endotelio (in
contatto con l’umore acqueo, il quale assicura il nutrimento della cornea). Le
fibre della cornea presentano un indice di rifrazione di 1,377, pari all’indice di
rifrazione della sostanza fondamentale del tessuto connettivo: ciò vuol dire
che i raggi luminosi non subiscono alcuna diffrazione quando attraversano gli
strati della cornea. Un altro elemento (oltre all’indice di rifrazione e
all’assenza di vasi sanguigni) che assicura la trasparenza della cornea è la
disposizione ordinata delle sue fibre collagene, che in ogni strato sono
parallele tra loro ma ortogonali rispetto allo strato precedente o successivo.
Negli anziani è spesso visibile il cosiddetto arco senile, un deposito dei calcio
e sali di colesterolo (non ha significato patologico), che compare come un
anello grigiastro intorno sulla superficie dell’occhio tra cornea e sclera (non
sull’iride).
La sclera è opaca, è una struttura connettivale e, infatti ha essenzialmente
una composizione fibrosa; nei bambini è più sottile ed appare bluastra,
poiché fa trasparire il tessuto pigmentato della lamina sovracoroidea, definita
lamina fusca; mentre negli anziani può apparire giallastra, a causa
dell’accumulo di grassi.
Posteriormente alla camera anteriore dell’occhio, si trova la prima porzione
della tonaca vascolare, ovvero l’iride (a cui seguono corpo ciliare e coroide):
è una struttura simile al diaframma, che va a delimitare il foro pupillare,
attraverso cui passano umore acqueo e raggi luminosi. Dal punto di vista
strutturale, l’iride presenta un endotelio, in continuità con l’endotelio della
cornea, uno stroma, che contiene diverse cellule pigmentate e il muscolo
sfintere della pupilla (riceve innervazione parasimpatica, provoca miosi), e,
infine, la porzione iridea della retina (la parte cieca della retina), che presenta
uno strato esterno, a contatto con lo stroma, che contiene cellule a significato
mioepiteliale, che hanno la funzione di costituire un muscolo antagonista allo
sfintere, ovvero il muscolo dilatatore (riceve innervazione ortosimpatica,
provoca midriasi), e uno strato interno, diretto verso la cornea posteriore, che
contiene cellule pigmentate molto scure. Il colore fondamentale dell’iride è
grigio-celeste ed è il risultato della diffrazione dei raggi luminosi dopo essere
stati riflessi dallo strato profondo; ciò che fa apparire un colore diverso per
ciascun individuo è la quantità di pigmento nello strato superficiale.
L’iride è in continuità con il corpo ciliare: questa struttura contiene l’apparato
di sospensione del cristallino e il muscolo ciliare (liscio, a innervazione
viscerale del parasimpatico), le cui fibre sono organizzate in due strati, uno
esterno longitudinale e uno interno circolare. Il corpo ciliare è diviso in due
zone: quella anteriore, detta corona ciliare, comprende delle porzioni
sporgenti, i processi ciliari, intercalati alle vallecole, invaginazioni in cui si
inseriscono le estremità delle fibre zonulari dell’apparato sospensore del
cristallino (quando il muscolo si contrae, le fibre zonulari si allentano e
diminuisce la convessità del cristallino; quando il muscolo si rilassa, al
contrario, le fibre si tendono e aumenta la convessità, il che permette la
messa a fuoco degli oggetti vicini) e una parte periferica, detta pars plana o
orbicolo.
La coroide è la struttura più vascolarizzata e risulta costituita da quattro strati:
quello più esterno, la lamina sovracoroidea (a contatto con la sclera), due
strati vascolari, uno con grossi vasi esterni e vasi di medio calibro più interni,
e l’altro con capillari e fibre collagene, e quello più interno, la lamina vitrea
(una membrana basale a contatto con l’epitelio pigmentato e gli altri strati
della retina). Dal punto di vista funzionale, oltre al nutrimento della retina, la
coroide interviene con il suo pigmento nella formazione dei raggi luminosi,
bloccandoli, dopo che questi hanno attraversato la retina, in modo tale che
non si disperdano a livello della sclera e che entrino in contatto con i
fotorecettori della retina (coni e bastoncelli).
Questi fotorecettori possono essere di due tipi, rispetto alla forma dell’articolo
esterno citoplasmatico contenuto nel segmento più esterno (dove ci sono i
pigmenti visivi, sensibili alle diverse lunghezze d’onda della luce): è conico
nei coni e cilindrico nei bastoncelli. Oltre il segmento esterno, vi sono: un
segmento interno con organelli citoplasmatici e dei nuclei, uno strato più
profondo interno, sinapsi con le cosiddette cellule bipolari, e lo strato più
interno delle cellule gangliari multipolari (quindi vi è uno strato di coni e
bastoncelli a contatto con i pigmenti visivi, uno strato di cellule bipolari e uno
strato di cellule gangliari, da cui fuoriesce un neurite che insieme alle altre
cellule gangliari va a costituire le fibre del nervo ottico).
Analizzando più nel dettaglio i fotorecettori: i coni si trovano della zona
centrale della retina (fovea), sono responsabili della visione distinta diurna e
della visiona dei colori (fotopica), sono circa 6 milioni per occhio, contengono
iosopsina (vit A1) e si distinguono in coni S (per il blu-violetto, con un picco di
assorbimento a 430nm), coni M (per il verde, con un picco di 530nm) e comi
L (per il rosso, con un picco di 570 nm) – ad esempio, per la ricezione del
giallo, vengono stimolati coni M e L e annullati i coni S –; i bastoncelli sono
più numerosi (circa 100 milioni per occhio), sono responsabili della visione
crepuscolare al buio (scutopica), si trovano nella zona periferica della retina e
contengono rodopsina.
A carico di questi fotorecettori, come patologia, si ha la degenerazione
maculare legata all’età, che colpisce la zona centrale della retina, è ad
andamento progressivo e può portare alla perdita completa ed irreversibile
della vista centrale.

Il nervo ottico è il risultato dell’associazione delle fibre gangliari amieliniche


ed è lungo circa 5 cm (50 mm), presenta una porzione intratubulare, una
porzione orbitaria, una porzione canalicolare ed una porzione intracranica (da
cui poi si arriva al chiasma ottico).
I muscoli intrinseci dell’occhio sono rappresentati dal muscolo sfintere della
pupilla e dal muscolo ciliare, che ricevono un’innervazione viscero-effettrice,
ma si possono ugualmente considerare intrinseci poiché hanno origini
inserziose.
Per quanto riguarda la muscolatura estrinseca, questa è rappresentata dai
muscoli oculo-motori, che sono rappresentati dai 4 retti (superiore, inferiore,
mediale e laterale) e dai 2 obliqui (inferiore e superiore) che vengono
innervati dall’oculo-motore (3° paio di nervi cranici), ad eccezione del retto
laterale (innervato dal 6° paio di nervi cranici) e dell’obliquo superiore
(innervato dal 4° paio di nervi cranici). Questi muscoli sono considerati
estrinseci anche perché hanno un’estremità che si inserisce nella sclera e,
quindi, nelle strutture ossee (all’apice dell’orbita).
Successivamente, si può analizzare il muscolo elevatore della palpebra
superiore, che è l’unico a non avere un’inserzione diretta sulla sclera, bensì
sul tarso palpebrale.
Per quanto riguarda gli spazi interni del bulbo oculare, abbiamo camera
anteriore (più ampia rispetto alla posteriore, rivestita da endotelio, interposta
tra faccia posteriore della cornea e faccia anteriore dell’iride), camera
posteriore (interposta tra faccia posteriore dell’iride e legamento sospensore
del cristallino, che attraverso il foro pupillare comunica con la camera
anteriore) e camera vitreale (posteriore al cristallino), all’interno delle quali vi
sono i mezzi diottrici (tra i quali bisogna sempre considerare la cornea)
dell’occhio, in particolare, umore acqueo prodotto a livello di processi ciliari
che attraversa la posteriore e l’anteriore, e corpo vitreo che attraversa la
vitreale.
La cornea è da considerarsi tra i mezzi diottrici dell’occhio, per le sue
caratteristiche di trasparenza, dovuta ad assenza di vasi sanguigni, indice di
rifrazione delle sue componenti e organizzazione ordinata delle fibre
collagene.
L’umore acqueo ha determinate caratteristiche: trasparenza (incolore), peso
specifico (1600) e pH circa 7  è regolato dal sistema trabecolare, che in
caso di mal funzionamente provoca un accumulo di umore acqueo e un
aumento di pressione intraoculare (normalmente 14-20mmHg) che è alla
base del glaucoma (patologia che consiste nella compressione del nervo
ottico).
Per quanto riguarda il corpo vitreo, comprende una depressione all’interno
della quale si trova la faccia posteriore del cristallino, che viene chiamata
fossa ialoidea (il nome è dovuto all’arrivo di un’arteria presente solo nei
neonati che va ad innervare il cristallino); l’umore vitreo è più consistente
rispetto all’umore acqueo, poiché contiene più acido ialuronico, materiale che
conferisce un aspetto gelatinoso consistente, ma è sempre trasparente;
risulta in contatto con la retina; per quanto riguarda le sue funzioni, a parte
consentire il passaggio di raggi luminosi senza deviazioni grazie alla sua
trasparenza, interviene nella protezione, ammortizzando gli urti del bulbo
oculare e della retina, e in funzioni meccaniche di sostegno.
Il cristallino, oltre a svolgere funzioni come mezzo diottrico, è in grado di
intervenire nella messa a fuoco degli oggetti. Da un punto di vista strutturale,
è costituito da cellule epiteliali; isolatamente il cristallino ha un aspetto
piuttosto radiato, dovuto alla disposizione delle cellule (nel bambino si
possono individuare 3 raggi che convergono a livello del foro, nell’adulto il
numero di raggi aumenta, in virtù della fusione di dette fibre ad opera del
materiale cementante). Esternamente si trova una capsula piuttosto sottile, le
fibre (cellule epiteliali allungate, voluminose e cementate) sono disposte a
lamelle (come in una cipolla) e costituiscono lo stroma; il diametro del
cristallino è di circa 1 cm, il polo posteriore è convesso rispetto al polo
anteriore; le due facce transitano in corrispondenza dell’equatore del
cristallino, punto in cui si inseriscono le fibre zonulari; la struttura del
cristallino può essere divisa in 3 parti, la capsula (membrana sottilissima
esterna, ridotta ad una pellicola, con un certo grado di elasticità), l’epitelio
(evidente nella porzione anteriore dove le fibre verso l’equatore si allungano
sempre di più e vanno a costituire la tipica forma raggiata), la sostanza
(costituita da lamine di cellule epiteliali impacchettate che sono coese dal
materiale glicoproteico cementante). Caratteristica particolare del cristallino è
il fatto di poter aumentare la sua convessità, per azione dell’apparato
sospensore del cristallino (costituito da 3 gruppi di fibre, equatoriali, pre-
equatoriali e post-equatoriali), e in questa maniera gli oggetti possono essere
messi a fuoco (grazie al riflesso di miosi-accomodazione, che a volte è
concomitante ad una convergenza degli occhi in un punto). Patologie legate
al cristallino possono essere la presbiopia o la cataratta.
Per quanto riguarda la muscolatura, gli occhi possono volgersi in 6 diverse
direzioni: durante l’azione di un muscolo (ad esempio verso destra),
l’antagonista viene inibito (ad esempio verso sinistra), quindi i muscoli devono
agire sinergicamente; se questo non avviene, si può avere strabismo o
displopia (sdoppiamento dell’immagine che non riesce a cadere nei punti
retinici corrispondenti) o difetti di rotazione; altri deficit, come la ptosi
palpebrale (abbassamento della palpebra, legato alla paralisi del nervo
oculomotore che innerva il muscolo elevatore della palpebra superiore),
vanno a colpire singoli nervi.

SISTEMA PROTETTORE
Ha la funzione di preservare le tonache fibrose del bulbo oculare,
rappresentate dalle palpebre (superiore e inferiore), dalla congiuntiva e
dall’apparato lacrimali.
Le palpebre
Sono due (superiore e inferiore), hanno un’impalcatura fibromuscolare, sono
rivestite da fibre esternamente e da mucosa congiuntivale internamente (che
rivesta anche la sclera e si arresta in corrispondenza del limbus); delimitano
la rima palpebrale e vengono in contatto a livello delle commessure palpebrali
(dove si assiste alla riflessione dalla cute alla mucosa, questo punto viene
definito fornice); sui margini liberi delle palpebre si inseriscono 2-3 file di ciglia
e verso la commessura mediale, vi sono dei rilievi, ovvero delle papille che
contengono i punti lacrimali, da cui hanno origine i condotti lacrimali.
Nello strato palpebrale intermedio, si trova una porzione fibrosa che prende il
norme di tarso (piuttosto spesso), struttura costituita da connettivo denso, che
in periferia verso la parte orbitale della palpebra si congiunge con il setto
orbitale (è la continuazione del tarso, che è invece visibile nella parte libera),
al cui interno si trovano le ghiandole tarsali di Meibomio: queste hanno la
caratteristica di produrre un materiale sebaceo, che viene depositato sulla
rima palpebrale in maniera tale che il secreto (una sorta di film impermeabile)
defluisca in direzione dei punti lacrimali. Nella regione del tarso, oltre al
muscolo elevatore della palpebra superiore, si trova anche il muscolo tarsale,
un muscolo liscio che viene innervato da fibre ortosimpatiche e ha il compito
di contribuire al tono della palpebra. A livello del muscolo tarsale, si può
avere la patologia di Horner (il sistema nervoso ortosimpatico non riesce a
controbilanciare il parasimpatico), i cui sintomi sono restringimento della rima
palpebrale superiore, enoftalmo (rientro dell’occhio nell’orbita) e miosi
(restringimento della pupilla).
La congiuntiva
Il sacco congiuntivale è visibile quando le due palpebre sono a contatto tra di
loro, poiché si viene a creare una concamerazione interna delimitata dalla
mucosa congiuntivale; è uno spazio che si trova in corrispondenza della
faccia posteriore della palpebra che si riflette sulla sclera e va ad arrestarsi a
livello dell’angolo sclero-corneale.

Apparato lacrimale
Questo è rappresentato dalle ghiandole lacrimali e dalla vie lacrimali. La
produzione da parte delle ghiandole del secreto è molto importante per
mantenere idratate le strutture esposte all’ambiente esterno. La ghiandola
lacrimale si trova adagiata nella fossa corrispondente, si divide in due
porzioni, la porzione orbitale (sempre presente) e la parte palpebrale (a volte
manca), che sono divise da un setto connettivale. Il secreto è sieroso,
costituito da lisozima che ha funzioni battericide; viene riversato nel fornice
congiuntivale, per poi procedere in direzione della rima palpebrale, fino ai
punti lacrimali, dove inizia il deflusso. I due condotti lacrimali sono canalicoli
diretti più o meno orizzontalmente in direzione della faccia mediale della
cavità orbitaria, dove si trova il cosiddetto sacco lacrimale, accolto nella fossa
del sacco lacrimale; successivamente si continuano con il condotto naso-
lacrimale, che si apre nel meato nasale inferiore delle cavità nasali.
TESSUTO EMATICO
Il sangue è considerato tessuto connettivo specializzato, che, attraverso i vasi
sanguigni, raggiunge tutti i distretti del corpo ed è fondamentale per il
mantenimento dell’omeostasi.
È implicato in: trasporto di gas (O 2 e CO2), sostanze nutritive e prodotti di
degradazione (CO2), trasporto di ormoni, protezione dell’organismo da
infezioni, formazione dei coaguli e mantenimento costante della temperatura
corporea. Le due componenti del sangue sono per il 55% matrice
extracellulare (liquida), ovvero il plasma, costituito da proteine disciolte e per
il 45% frazione corpuscolata, costituita da frammenti di cellule (globuli rossi e
globuli bianchi) e piastrine. La quantità di sangue è piuttosto elevata: 5-6 L
nell’uomo, 4-5 L nella donna. Il plasma ha pH=7,4 ed è costituito per il 91%
da acqua e per il resto al suo interno si trovano proteine plasmatiche
sintetizzate a livello epatico e altri soluti (sostanze nutritive, cataboliti, ormoni
e ioni). A proposito delle proteine plasmatiche, le principali sono l’albumina
(60%), prodotta nel fegato, le globuline (36%,  e  prodotte nel fegato, 
prodotte nel tessuto linfatico) e il fibrinogeno (4%), prodotto nel fegato e molto
importante nella coagulazione (il sangue privo di fibrinogeno viene definito
siero).

Globuli rossi (eritrociti o emazie)


Nell’uomo ve ne sono circa 5,4 10 6/mm3 di sangue, mentre nella donna circa
4,8 106/mm3. Sono caratterizzati dall’assenza di nucleo, mitocondri o organuli
citoplasmatici e dalla presenza di proteine scheletriche, acqua ed
emoglobina (gruppo EME + globina); la loro funzione principale è di
trasportare ossigeno e anidride carbonica; hanno una vita media intorno ai
120 giorni; hanno una forma biconcava che assicura la diffusione dei gas e
che consente loro di adattarsi con facilità agli stretti vasi sanguigni che
percorrono; la maggior parte (95%) delle loro componenti è rappresentata
dall’emoglobina, che si presenta come un insieme di quattro catene di
polipeptidi (2  e 2 ), che legano il gruppo EME, contenente il ferro, che
nella sua forma bivalente lega l’ossigeno, trasformando così l’emoglobina in
ossiemoglobina.
L’ematocrito è un valore che viene utilizzato per indicare il volume occupato
dai globuli rossi nel sangue: nella donna è 40-44%, nell’uomo è 43-47%. Se
questo valore diminuisce, si parla di anemia. Vi sono diverse forme di
anemia: l’anemia falciforme, ad esempio, è causata da una mutazione
puntiforme del gene della catena  dell’emoglobina (l’uracile sostituisce
l’adenina GAG/GUG, importante nella sintesi di glutammato in posizione 6,
sostituito da una valina) ed è caratterizzata dalla precipitazione
dell’emoglobina con formazione di fibrille nei globuli rossi e dalla falcizzazione
dell’eritrocita (la capacità di legare ossigeno si riduce); in generale l’anemia è
comunque caratterizzata da un basso valore di ematocrito e da scarse
concentrazioni di emoglobina e le sue principali conseguenze sono
affaticamento muscolare, debolezza, letargia generale (sonnolenza) e
carenza di energia.
Per quanto riguarda i gruppi sanguigni, questi sono distinti in base agli
antigeni (agglutinogeni) e agli anticorpi (agglutinine) presenti: nel tipo A, vi
sono l’agglutinogeno A e le agglutinine anti-B; nel tipo B, vi sono
l’agglutinogeno B e le agglutinine anti-A; nel tipo AB, vi sono gli agglutinogeni
AB e nessuna agglutinina (può ricevere da tutti); nel tipo 0, vi sono le
agglutinine anti-A e anti-B e nessun agglutinogeno (può donare a tutti).
Infine, la distruzione dei globuli rossi (processo di emocateresi) si compie ad
opera di particolari cellule, i macrofagi, che agiscono a livello della milza, del
fegato e del midollo osseo: questi scindono l’emoglobina in EME, globina e
ferro, in maniera tale da riutilizzare il ferro (si lega a due proteine, la ferritina e
la emosiderina, e viene immagazzinato nei macrofagi a funzione marziale)
mentre i residui emoglobinici fungono da pigmenti biliari, ovvero sono
utilizzati dal fegato per produrre la bile.

Globuli bianchi (leucociti)


Sono circa 9000/mm3 di sangue.
Si distinguono leucociti granulari (neutrofili, eosinofili e basofili), che si
occupano di una difesa aspecifica (immunità naturale) e agranulari (linfociti e
monociti), che si occupano di una difesa specifica.
La formula leucocitaria prevede: neutrofili (60-70%), eosinofili (2-4%,
aumentano in condizioni parassitarie), basofili (1%, aumentano in reazioni
allergiche), linfociti (20-25%) e monociti (4-8%, sono i precursori dei
macrofagi).
LEUCOCITI GRANULARI
neutrofili: sono detti leucociti polimorfi nucleati, hanno un’intensa attività
fagocitaria (inglobano materiale estraneo all’interno di un fagosoma);
contengono granuli primari (detti azzurrofili, perché legano l’azzurro di
metile), che sono lisosomi ad alto contenuto di idrolasi e proteasi, in grado di
degradare i microorganismi fagocitati e contengono perossidasi, e granuli
secondari o specifici ad azione antibatterica, che contengono lisozima e
fosfatasi.
eosinofili: hanno affinità per l’eosina (colore rosso-arancio), sono detti
acidofili granuli rossastri, fagocitano agenti estranei rivestiti da anticorpi
(parassiti); hanno un nucleo pluriloboato di minor grado, contengono granuli
ad alto contenuto di proteine basiche, fosfatasi e perossidasi.
basofili: sono ricchi di eparina (anticoagulante, ovvero aumenta la fluidità
del sangue) e istamina (ha un’azione vasodilatatrice, ovvero aumenta la
permeabilità vasale); presentano un nucleo ad S o con 2 lobi e granuli.

LEUCOCITI AGRANULARI
monociti: sono i leucociti più voluminosi, sono capaci di diapedesi, ovvero,
in seguito a stimoli chemiotattici ed infiammatori, la cellula attraversa la
parete dei vasi e raggiunge i tessuti connettivi, dove matura in macrofago.
linfociti: sono caratterizzati dalla presenza di un nucleo che occupa quasi
tutto il volume cellulare, sono in grado di debellare in maniera definitiva uno
specifico antigene e intervengono nelle difese del sistema immunitario. Sono
distinti, in base alla loro funzione, in linfociti B e linfociti T, così chiamati per il
sito anatomico in cui acquistano l’immunocompetenza, rispettivamente la
borsa di Fabrizio negli uccelli (l’equivalente del midollo osseo nei mammiferi),
e il timo; i primi si occupano delle risposte umorali, mediate delle
immunoglobuline, e i secondi sono responsabili dell’immunità cellulare,
agendo direttamente uccidendo il bersaglio cellulare o coadiuvando le
risposte umorali (sono essenziali per la produzione di anticorpi da parte dei
linfociti B). Questi si trovano nella linfa, che ha determinate caratteristiche:
può coagulare come il sangue, in quanto tra i suoi costituenti c’è il
fibrinogeno, oltre a colesterolo, grassi (accumulati soprattutto nel distretto
intestinale, dove i vasi linfatici vengono chiamati vasi chiliferi da qui in poi la
linfa viene definita chilo, perché ricca di chilomicroni, ovvero particelle di
grasso che vengono assorbite a livello intestinale), proteine, cataboliti e
antigeni; la sua funzione fondamentale è di intervenire nella difesa
immunitaria (per la presenza dei linfociti), ma regola anche le masse liquide
corporee, in quanto la linfa viene drenata a livello dei tessuti connettivi (infatti,
se il drenaggio linfatico viene ostacolato, compare edema, ovvero accumulo
di liquidi nei tessuti).

Piastrine
Sono presenti nel sangue, sono frammenti cellulari derivanti da cellule più
grandi presenti nel midollo osseo, interagiscono con filamenti di fibrina
partecipando al processo di coagulazione (collaborano alla costituzione del
tappo emostatico). Hanno vita molto breve in quanto non contengono
neanche un nucleo. La funzione principale di questi elementi è l’emostasi,
quindi partecipano a processi coagulativi, soprattutto nel meccanismo di
prevenzione delle emorragie in caso di lesione dei vasi: si forma un tappo,
costituito dalle piastrine aggregate in una rete di fibrina (deriva dal
fibrinogeno) e consolidato proprio dai filamenti di fibrina; vengono liberati dei
fattori contenuti nel plasma, come serotonina e fibrinogeno, che hanno il
compito di far arretrare la rete di fibrina; dopo l’arretramento del coagulo e la
separazione del siero, vi è la riparazione del vaso lesionato, ad opera dei
fibroblasti (attivati per risintetizzare le parti lese). I principali elementi che
intervengono nella coagulazione sono: il fibrinogeno che si trasforma in
fibrina, ad opera dell’enzima trombina, sempre presente in forma inattiva
(protrombina), trasformata in trombina dalla tromboplastina, intrinseca
(ematica) o estrinseca (tissutale).
La coagulazione è un processo fisiologico e non si attiva solo in caso di
lesione di vasi ma, può essere attivato anche a livello interno, quando si
formano dei coaguli all’interno dei vasi sanguigni, provocando un’ischemia
(che può portare all’ipossia, assenza di ossigeno, e alla necrosi).

APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO
Le arterie, polmonare ed aortica, sono vasi in partenza dal cuore (che vanno
dal cuore alla periferia) e trasportano sangue ossigenato, mentre le vene,
cave e polmonari, sono vasi in arrivo al cuore (dalla periferia al cuore) che
trasportano sangue privo di ossigeno.
Sulla grande circolazione si inserisce il circolo portale, che trasporta,
attraverso la vena porta, il sangue proveniente dagli organi dell’apparato
digerente al fegato.
Il circolo cardiaco è dato dall’alternanza tra sistole e diastole: contrazione e
rilassamento del tessuto muscolare cardiaco.
Il flusso ematico, in condizioni fisiologiche, è unidirezionale, ovvero il sangue
viene portato dalle vene (polmonari a sinistra e cave a destra) e inviato agli
atri, si sposta verso il basso per la gravità, quindi nei ventricoli, e, infine, nelle
arterie polmonari (piccola circolazione) e aortica (grande circolazione).
Il cuore è collocato nel mediastino, cavità toracica interposta tra le due facce
mediali dei polmoni, con cui il cuore è in rapporto, poggia posteriormente sul
centro frenico del diaframma (centro tendineo che rappresenta il punto di
convergenza delle varie parti del diaframma), ha un orientamento obliquo,
una forma conica e un apice rivolto verso il basso, a sinistra e in avanti,
mentre la base è diretta vero l’alto, a destra e indietro; è rivestito da una
doppia membrana, una esterna fibrosa, pericardio fibroso, (sacco contenitivo
connettivale che ha il compito di evitare l'eccessiva dilatazione -cosa che
potrebbe accadere senza il pericardio a causa della forte spinta durante la
sistole -) e una interna sierosa, pericardio sieroso, (costituito da un doppio
strato, di cui il foglietto interno, l'epicardio, è in contatto con il miocardio).
Alla base del cuore emergono i grossi vasi, come la vena cava inferiore, che
trasporta sangue refluo proveniente dalle regioni sovradiaframmatiche verso
l'atrio destro.
La superficie del cuore, privata degli involucri fibro-sierosi, appare percorsa
da una serie di solchi:
il solco coronario è un solco orizzontale, in cui si inseriscono le arterie
coronarie (che vascolarizzano il miocardio), che rappresenta la linea di
separazione tra gli atri e i ventricoli e che presenta delle estroflessioni, dette
auricole atriali, che "abbracciano" l'emergenza delle arterie.
il solco interventricolare anteriore è un solco verticale, che separa tra loro i
due ventricoli, che è percorso da vasi sanguigni (contiene materiale adiposo)
e che si porta verso l'apice del cuore.
il solco interatriale separa tra loro i due atri.
L'atrio sinistro presenta lo sbocco di 4 vene, due a sinistra e due a destra, le
vene polmonari (due per ciascun polmone), che chiudono la piccola
circolazione e trasportano sangue ricco di ossigeno. L'atrio destro, invece,
presenta lo sbocco delle due vene cave (superiore ed inferiore), che
trasportano sangue ricco di anidride carbonica e privo di ossigeno e che
chiudono la grande circolazione. Vi è un altro vaso, con decorso orizzontale
nel solco coronario posteriore, il seno coronario, che fa parte della
circolazione cardiaca, raccoglie il sangue refluo dalle pareti del miocardio e,
dopo un breve tragitto nel solco coronario, sbocca nell'atrio destro.
Per quanto riguarda le arterie, inferiormente vi è l'arteria polmonare e
superiormente l'aorta, ed entrambe derivano dai ventricoli. La faccia
diaframmatica è più estesa, presenta il setto interventricolare posteriore, che,
come quello anteriore, separa i due ventricoli, e all'interno del quale decorre
un ramo dell'arteria coronaria, che porta sangue ossigenato al cuore.

Il cuore presenta 4 cavità, collegate dai sistemi valvolari, i quali assicurano


l'unidirezionalità del flusso ematico. Le due cavità superiori atriali sono
separate tra loro dal setto interatriale (pervio per la presenza del forame di
Botallo, che è presente solo nel cuore fetale e che permette ai due atri di
comunicare, ovvero al sangue refluo e al sangue ossigenato di mischiarsi, ma
che si chiude definitivamente pochi giorni dopo la nascita); la muscolatura
degli atri, soprattutto a livello delle auricole, presenta delle formazioni, definiti
muscoli pettinati, ad andamento parallelo.
Le due cavità inferiori ventricolari sono separate tra loro dal setto
interventricolare (che non permette mai la comunicazione tra i due ventricoli),
sono spesse (in quanto il ventricolo deve fornire una spinta molto forte al
sangue durante la cosiddetta gittata cardiaca, con una pressione di 120-125
mmHg, verso l'arteria polmonare e l'aorta) e presentano delle trabecole
carnee, rilievi muscolari del miocardio (alcuni dei quali formano i cosiddetti
muscoli papillari, coinvolti nel funzionamento delle valvole cardiache).
I sistemi valvolari mettono in comunicazione gli atri con i ventricoli, grazie ad
orifizi che sono aperti in diastole e chiusi in sistole, per garantire
l'unidirezionalità del sangue (che deve andare da ventricoli verso le arterie
senza tornare agli atri). Questi orifizi sono dotati di valvole, dette cuspidi
(formate da lamine triangolari di natura connettivale), in particolare la valvola
tra atrio e ventricolo a destra è formata da tre cuspidi (definita, per questo,
tricuspide), mentre a sinistra è formata da due cuspidi (definita, per questo,
bicuspide o mitrale). Oltre a questi, vi sono degli altri orifizi, che mettono in
comunicazione i ventricoli e le arterie, anch'essi dotati di valvole, definite
semilunari, in particolare la valvola semilunare aortica mette in
comunicazione ventricolo sinistro e arteria aortica, mentre la valvola
semilunare polmonare mette in comunicazione ventricolo destro e tronco
polmonare; hanno forma di tasche a nido di rondine e hanno sempre il
compito di assicurare l'unidirezionalità del sangue (che dalle arterie non deve
tornare indietro ai ventricoli).

Queste ultime sono caratterizzate dalla presenza di tre lamine, che quando si
riempiono di sangue si aprono, chiudendo l’accesso all’arteria; nelle valvole
atrio-ventricolari, invece, vi sono delle cuspidi (di forma triangolare) che
vengono mantenute in posizione orizzontale, impedendo il reflusso del
sangue, grazie alla presenza delle corde tendinee: queste sono dei filamenti
fibrosi che hanno un’estremità sul margine della cuspide e l’altra sull’apice dei
muscoli papillari (durante la sistole, i muscoli papillari si contraggono, le corde
tendinee si tendono verso il basso e viene così evitato il ribaltamento del
sangue verso l’atrio). A carico delle corde tendinee, possono esserci
patologie: ad esempio, se queste sono più corte o più lunghe del normale,
può presentarsi un prolasso (il più pericoloso è a carico della valvola mitrale),
con un conseguente rigurgito (il sangue dal ventricolo torna all’atrio in piccola
parte). Altre alterazioni valvolari possono essere rappresentate da
insufficienza, incontinenza e stenosi e, in questo caso, si procede con la
sostituzione della valvola in un trapianto.
Sempre a livello degli orifizi, sono presenti delle fibre connettivali che
rappresentano il punto di ancoraggio per le lamine connettivali e il punto di
inserzione per la muscolatura del miocardio (nel ventricolo che ha una
muscolatura leggermente più spessa, le fibre si dispongono a formare dei
coni, in fasci propri e fasci comuni, nell’atrio invece la muscolatura è per lo
più trasversale e non presenta coni).
In generale, il muscolo cardiaco è in grado di autogenerare l’impulso, non ha
bisogno di innervazione somato-motrice, infatti riceve solo un’innervazione
vegetativa, responsabile della regolazione del ritmo cardiaco: questa
regolazione è dovuta all’azione sinergica delle fibre postgangliari
parasimpatiche che rallentano il ritmo, provocando bradicardia, e delle fibre
postgangliari simpatiche che aumentano il ritmo, provocando tachicardia;
inoltre, il ritmo cambia per via riflesse anche in relazione a ciò che rilevano i
recettori (sia chemiocettori sia barocettori) in corrispondenza dell’aorta e
dell’arteria carotide comune.
Oltre al miocardio comune (costituito da fibrocellule muscolari), si può
descrivere un sistema di conduzione del cuore, detto anche del miocardio
specifico, che si divide in 3 componenti, che corrispondono a quei punti in cui
agisce l’impulso elettrico, che si propaga prima agli atri e poi ai ventricoli: il
seno atriale, vicino allo sbocco della vena cava inferiore, il nodo
atrioventricolare e il fascio comune di His, costituito dalle fibre di Purkinje
sono tutti e tre costituiti da fibrocellule muscolari modificate, in grado di
depolarizzarsi, definite cellule pacemaker, generatori del ritmo (qui parte il
primo vero impulso).
L’impulso quindi si diffonde dalle fibrocellule muscolari del miocardio comune
al nodo atrioventricolare e di conseguenza ai due ventricoli nel setto
ventricolare, passando per il fascio di His, da cui poi l’impulso si sdoppia in
due branche e successivamente si disperde nel miocardio comune.
Se vi è qualche problema a carico di questo sistema, viene inserito un
pacemaker, strumento a batterie che genera l’impulso elettrico al posto delle
cellule pacemaker.

Partendo convenzionalmente da una condizione di diastole completa (che


non si verifica mai poiché se gli atri sono in diastole, i ventricoli sono in sistole
e viceversa), il circolo cardiaco prevede:
-valvole atrioventricolari aperte, il sangue fluisce quindi dai sistemi venosi
verso l’atrio gli altri si riempiono di sangue, questo scende per gravità nei
sottostante ventricolo (quindi i ventricoli si riempiono passivamente)
-quando i ventricoli contengono i 2/3 del sangue, insorge la sistole atriale, che
determina la spinta della restante parte di sangue nei ventricoli quando
questi sono pieni al massimo, le valvole atrioventricolari si chiudono
-l’aumento di pressione all’interno del ventricolo porta alla contrazione
ventricolare si aprono le valvole semilunari e i ventricoli pian piano si
svuotano, poiché il sangue si dirige verso l’aorta e il tronco polmonare
-il ventricolo si rilassa, le valvole semilunari si chiudono, le valvole
atrioventricolari si riaprono e il ciclo ricomincia.
Quindi, il ciclo cardiaco, che dura 8 secondi circa, è dato da un’alternanza di
sistole e diastole degli atri e dei ventricoli: ciascuna fase è rilevabile
nell’elettrocardiogramma ponendo gli elettrodi in determinati punti (nell’area
polmonare dove si trova la valvola semilunare polmonare, nell’area aortica e
in corrispondenza delle valvole atrioventricolari destra e sinistra).
Se l’impulso supera un determinato valore soglia, si parla di extrasistole, che
è una sistole aggiuntiva anomala tra due sistoli fisiologiche.
Tramite auscultazione, è possibile sentire i rumori cardiaci valvolari, che, se
anomali, possono essere indice di problemi di meccanica cardiaca: questi
rumori sono rilevabili in due toni, il primo è dato dalla chiusura delle valvole
atrioventricolari ed è più prolungato, mentre il secondo è dato dalla chiusura
delle valvole semilunari ed è più secco.
Le arterie sono i vasi i partenza dal cuore, hanno pareti più spesse rispetto
alle vene, in quanto in queste circola il sangue a pressione maggiore (120
mmHg); pulsano in sincronia con il cuore e se lesionate provocano emorragie
fatali; le loro pareti presentano tonaca intima, media ed avventizia e sono tali
da permettere la trasformazione del sangue da intermittente a uniforme (a
corrente continua), forma in cui esso può scorrere anche nei capillari, vasi a
calibro minore; man mano che si procede verso la periferia, diminuisce il
calibro ma aumenta il numero di questi vasi.
Le vene sono i vasi di ritorno al cuore, hanno pareti più sottili, collabiscono al
taglio (emorragie meno gravi), aumentano di calibro dalla periferia al cuore,
sono più numerose delle arterie e sono anastomizzate (due vene satelliti per
ogni arteria); presentano valvole a nido di rondine per garantire
l'unidirezionalità del flusso sanguigno e sono ricoperte da tre tonache (intima,
media ed avventizia) meno distinte e più sottili rispetto alle arterie.
I capillari possono avere anche andamento tortuoso e vengono definiti
sinusoidi, poiché si insinuano negli spazi interstiziali; costituiscono delle
cosiddette reti mirabili che possono essere arteriose, se interposte tra due
arteriole (come ad esempio il glomerulo renale), o venose, se interposte tra
due venule (come ad esempio il lobulo epatico). In assenza di capillari, si
parla di anastomosi artero-venose, ponti tra arterie e vene, che si trovano, ad
esempio, a livello dei polpastrelli a funzione termoregolatrice o dei glomi
aortici e carotidei, recettori che hanno il compito di percepire la variazione di
pH.

PICCOLA CIRCOLAZIONE
La piccola circolazione parte dal ventricolo destro, da cui il sangue arriva al
tronco polmonare (si suddivide successivamente nelle due arterie polmonari)
e, infine, negli alveoli polmonari, dove avverrà lo scambio dei due gas (viene
ceduta anidride carbonica e viene acquisito ossigeno); il sangue ricco di
ossigeno ritorna al cuore, tramite il sistema venoso polmonare, rappresentato
dalle 4 vene polmonari che sfociano nell’atrio sinistro, chiudendo la piccola
circolazione.
Dall’atrio sinistro, il sangue ossigenato passa nel ventricolo e da qui inizia la
grande circolazione, passando per l’aorta. Il sangue da quest’arteria torna
indietro verso il cuore attraverso le due vene cave che si aprono nell’atrio
destro, chiudendo la grande circolazione (su questa si inserisce anche il
sistema portale, in cui la vena porta trasporta il sangue proveniente
dall’addome al fegato, qui viene elaborato e attraverso le vene sovra epatiche
arriva poi alla vena cava inferiore).

GRANDE CIRCOLAZIONE: circolo arterioso


Inizia con l'aorta (si diparte dal ventricolo sinistro), che si porta verso l'alto e,
dopo aver individuato la posizione delle valvole semilunari, si incontrano i
primi collaterali, le arterie coronarie, arterie di tipo terminale che, se occluse,
si collocano nel solco anonimo e provocano infarto del miocardio e
distruzione del tessuto, a cui l'arteria è collegato. Per completare il circolo, il
sangue refluo viene raccolto dalle vene cardiache, affluenti del seno
coronario, che sfocia nell'atrio destro. Problemi cardiaci possono essere
causati, oltre che dal malfunzionamento delle valvole, anche dalla presenza
di trombi, che determina la cosiddetta trombosi coronarica. Le coronaropatie
sono patologie che presentano cambiamenti degenerativi del circolo
coronarico, che possono manifestarsi come ischemie coronariche (il cui
principale sintomo è l'angina pectoris, dolore cardiaco retro-sternale, causato
dalla presenza di acido lattico nelle cellule cardiache) e che possono essere
trattate con farmaci vasodilatatori. Alcune patologie cardiache possono
essere causate dalla presenza di placche lipidiche, che possono essere
rimosse chirurgicamente in un'angioplastica, mediante tecniche di imaging;
se, invece, queste placche provocano un'ostruzione del vaso, si inserisce un
bypass coronarico.

L’aorta presenta dei rami di divisione: in primis, l’arco aortico, che, dopo aver
scavalcato il cuore, si porta in alto per 5 cm, scavalcando anche le arterie
polmonari e arriva alla faccia posteriore; nell’antimero destro, si trova l’arteria
anonima (o arteria brachio-cefalica), che si porta verso l’alto per 3 cm e poi si
biforca in due rami, di cui uno, l’arteria carotide comune di destra, si porta
verso l’alto, e l’altro, l’arteria succlavia di destra, si porta verso l’esterno; in
posizione intermedia, si trova l’arteria carotide comune di sinistra e, infine,
sulla sinistra si trova l’arteria succlavia di sinistra.
L’arteria succlavia, che vascolarizza l’arto superiore, presenta su un ramo,
l’arteria vertebrale, che vascolarizza l’encefalo e va verso la scatola cranica,
passando per i fori trasversi delle vertebre cervicali. Le due arterie vertebrali
(una per la succlavia di destra e una per quella sinistra) si fondono, formando
l’arteria basilare, che arriva alla scatola cranica attraverso il solco basilare del
ponte: l’arteria basilare fornisce il dispositivo arterioso definito poligono di
Willis, che ha il compito di evitare sbalzi di pressione che potrebbero causare
danni alle strutture nervose, che circonda l’ipofisi e il chiasma ottico (ovvero
la sella turcica dello sfenoide) e che vascolarizza l’encefalo insieme all’arteria
carotide interna (quindi, l’encefalo è vascolarizzato dalla succlavia e dalla
carotide interna, in maniera tale che se si occlude una, l’altra assicura il
circolo arterioso).
Nel collo, all’altezza della laringe (cartilagine tiroidea), la carotide comune si
divide in due rami, la carotide interna, che si porta all’interno della cavità
cranica passando per il canale tiroideo (nel temporale), e quella esterna, che
vascolarizza la muscolatura della testa.
L’arteria succlavia va a vascolarizzare il braccio: dopo aver scavalcato la
prima costa, va verso il cavo ascellare e si definisce arteria ascellare;
successivamente entra in contatto con l’omero e viene definita arteria
omerale; giunge in corrispondenza del gomito e si divide in arteria radiale
esternamente e arteria ulnare medialmente.
L’arco aortico arriva nel torace, dove l’aorta viene definita toracica: cede rami
parietali (arterie intercostali e arterie freniche superiori, destinate alla
muscolatura del torace) e rami viscerali (arterie esofagee, arterie pericardiche
e arterie brachiali, quest’ultime importanti perché vascolarizzano i bronchi e
costituiscono i rami nutritivi dei polmoni).
Successivamente l’aorta si porta nell’addome (dove viene definita aorta
addominale), attraversa il diaframma, lo iato aortico a ridosso della colonna
vertebrale e termina a livello della 4-5 vertebra lombare, da cui si divide in
due rami di terminazione, le arterie iliache comuni (oltre a queste, sulla
traiettoria dell’aorta si trova un altro ramo di divisione, l’arteria sacrale media):
queste arterie giungono all’articolazione sacro-iliaca e si dividono in arteria
ipogastrica o iliaca interna, che si ferma e vascolarizza il bacino, e arteria
iliaca esterna, che va verso l’arto inferiore e, a livello della coscia diventa
arteria femorale, la quale ha decorso superficiale (si lesiona facilmente
causando gravi emorragie) e termina in corrispondenza della faccia
posteriore del ginocchio con due rami, arteria tibiale e arteria peroneale.
Anche nella cavità addominale, l’aorta presenza dei rami parietali (arterie
lombari, destinate alla muscolatura addominale, e arterie freniche inferiori,
destinate alla faccia inferiore del diaframma), dei rami viscerali pari (arterie
renali, arterie surrenali medie e arterie spermatiche o ovariche) e dei rami
viscerali impari (arteria celiaca o tripode celiaco, costituita da tre arterie,
arteria gastrica sinistra, arteria epatica e arteria splenica o lienale per
stomaco, fegato e milza, arteria mesenterica superiore, da cui si dipartono
arcate anastomotiche, le quali vascolarizzano l’intestino tenue e la parte
iniziale dell’intestino crasso, e arteria mesenterica inferiore, le cui arcate
anastomotiche vascolarizzano la restante parte dell’intestino crasso e
presenta un’anastomosi, un collegamento con la mesenterica superiore
grazie all’arcata di Riolano).

GRANDE CIRCOLAZIONE: circolo venoso


Il circolo venoso è rappresentato dallo sbocco delle vene cave superiore ed
inferiore.
• La vena cava superiore (lunga circa 7-8 cm) è il risultato della confluenza
delle due vene anonime o brachio-cefaliche (di destra e di sinistra), ciascuna
delle quali è formata dalla confluenza della vena giugulare interna e della
vena succlavia (la prima, insieme alla carotide e alle fibre del nervo vago,
costituisce il fascio vascolo-nervoso del collo e rappresenta la prosecuzione
del seno sigmoideo, il quale raccoglie il sangue refluo proveniente dai seni
della dura madre).
• La vena cava inferiore (lunga circa 25 cm) è costituita dalla confluenza
delle due vene iliache comuni, si porta verso l’alto, attraversa l’orifizio
diaframmatico e sbocca nell’atro destro. Questa riceve le vene lombari, le
vene renali, le vene spermatiche ed ovariche, le vene sovra epatiche e le
vene freniche inferiori, ma non ha rapporti diretti con l’apparato digerente, il
cui sangue refluo, invece, viene trasportato dalla vena porta: i suoi affluenti
sono la vena splenica o lienale, la vena mesenterica superiore, che raccoglie
il sangue refluo dall’intestino tenue e dalla prima porzione dell’intestino
crasso, e la vena mesenterica inferiore, che raccoglie il sangue refluo dalla
restante parte dell’intestino; dalla vena porta il sangue giunge nel fegato,
dove viene elaborato e, attraverso le vene sovra epatiche, termina nelle vene
epatiche.
Le vene azygos rappresentano un sistema di collegamento tra la vena cava
superiore e la vena cava inferiore e ricevono il sangue refluo dalla cavità
toracica (compreso dalle vene intercostali).
Mentre a destra, la vena azygos collega semplicemente le due vene cave,
terminando nella vena lombare ascendente, a sinistra vi sono due vene
azygos (definite emiazygos), una, definita accessoria, per la parte superiore,
che raccoglie il sangue dai primi 6 spazi intercostali, e una definita sinistra
per la parte inferiore, che raccoglie il sangue dagli ultimi 6 spazi intercostali.
Per patologie epatiche, potrebbero verificarsi problemi nel sistema portale: in
questi casi, il sangue, anche se in quantità ridotta, ha due sistemi alternativi
per arrivare al cuore, rappresentati dal plesso esofageo e dal plesso
emorroidario. Il primo è collegato allo stomaco, quindi il sangue delle vene
gastriche va verso le vene esofagee, tributarie della vena cava superiore; il
plesso emorroidario si sviluppa intorno al retto ed è interposto tra vena
mesenterica inferiore e vena ipogastrica, tributaria della vena iliaca comune,
quindi il sangue dalla vena ipogastrica, arriva alla vena iliaca e da questa alla
vena cava inferiore.

CIRCOLAZIONE PRENATALE
Nella circolazione fetale, non funzionano né il sistema portale (in quanto non
funziona l’apparato digerente) né il circolo polmonare (poiché i polmoni non
sono attivi) e, per questa ragione, vi sono tre elementi che svolgono funzioni
simili e che, subito dopo la nascita, scompaiono: il foro di Botallo (che mette
in comunicazione i due atri), il dotto arterioso di Botallo (che rappresenta un
ponte di collegamento tra le due arterie, in maniera tale che l’arteria
polmonare possa portare il sangue all’arco aortico, rimpiazzando il circolo
polmonare) e il dotto venoso di Aranzio (che rappresenta un ponte di
collegamento tra la vena cava inferiore e la vena ombelicale, in maniera tale
da bypassare il sistema portale).
Nel circolo fetale, alla placenta arriva il sangue refluo dai rami dell’arteria
ombelicale e da questa il sangue ossigenato si porta alla vena ombelicale,
per poi giungere alla vena cava inferiore; a questo punto il sangue assume un
colore violetto, dato dall’unione di sangue ricco di O 2 e sangue ricco di CO2 (in
quantità minime, tali da consentire comunque lo svolgimento delle attività
metaboliche del feto); dall’atrio destro, il sangue può andare o nell’atrio
sinistro attraverso il foro di Botallo o nel ventricolo destro da cui, dopo aver
superato il tronco polmonare, attraverso il dotto di Botallo, giunge all’aorta.
Quando alla nascita viene tagliata la vena ombelicale, il sangue risulta molto
ricco di CO2 e questo rende possibile il primo atto respiratorio, ovvero, inizia
per via riflessa l’attività polmonare, che porta immediatamente alla chiusura
del dotto arterioso di Botallo e del foro di Botallo.

SISTEMA LINFATICO
Il sistema linfatico è rappresentato da una rete composta da linfonodi, da
organi emolinfopoietici (ovvero midollo osseo, milza, timo e tessuto linfoide
associato alle mucose) e dai vasi linfatici.
Questo drena dai tessuti la linfa riversandola nel circolo venoso ed è un
importante componente del sistema immunitario. Le sue funzioni principali
sono: rimozione dei fluidi in eccesso dai tessuti (se si accumulassero si
formerebbe un edema), assorbimento di molecole lipidiche, soprattutto a
livello dell’intestino, e trasporto di grasso (punto da cui la linfa prende il nome
di chilo) verso il sistema circolatorio, produzione di cellule immunitarie
(linfociti) e produzione di anticorpi.
I vasi linfatici sono rappresentati da:
capillari linfatici, che sono a decorso sinusoidale e, via via che aumentano
di dimensioni, presentano una parete simile a quella venosa, in cui le tonache
sono meno distinte
precollettori, che presentano una parete ricca di fibre muscolari lisce e
spiraliformi e sul loro decorso si trovano i primi linfonosi
collettori, che hanno dimensioni maggiori e presentano lungo le loro pareti
delle valvole a nido di rondine, che impediscono i l reflusso della linfa
dotti linfatici, che presentano diversificazioni tra i due antimeri (destro e
sinistro): il dotto linfatico destro inizia in corrispondenza del punto di inizio
della vena anonima, riceve tronco giugulare destro, tronco succlavio destro e
tronco bronco-mediastinico destro, e raccoglie la linfa di tutta la parte destra
del corpo (testa, arto superiore e torace); il dotto linfatico sinistro inizia a
livello della cisterna di Pecquet (all’altezza della seconda lombare), sale
verso l’alto, riceve i due tronchi linfatici lombari, che raccolgono la linfa dagli
arti inferiori, e il tronco intestinale, che drena la linfa dall’intestino, raggiunge il
punto di confluenza della vena giugulare interna e della succlavia, e infine
riceve il tronco giugulare sinistro, che raccoglie la linfa della metà sinistra
della testa, il tronco succlavio sinistro, che raccoglie la linfa dall’arto
superiore, e il tronco bronco-mediastinico sinistro, che raccoglie la linfa dalla
metà sinistra del torace.

La linfa è tessuto connettivo liquido chiaro, trasparente, incolore, a pH


debolmente alcalino, costituito da acqua, proteine, elettroliti, grassi e linfociti
come elementi figurati. Sebbene non vi sia un organo propulsore della linfa, il
suo movimento è assicurato dall’attività della muscolatura liscia presente
nelle pareti dei vasi linfatici, dalla contrazione dei muscoli scheletrici, dalla
pulsazione dei vasi sanguigni, dalla pressione negativa intratoracica e dalla
contrazione del diaframma. Come il sangue, per la presenza di fibrinogeno,
anche la linfa coagula se estratta dai vasi linfatici.

Gli organi del sistema linfatico sono distinti in primari (midollo osseo e timo),
che intervengono nella maturazione, con la presenza di un recettore
specifico, e secondari (milza, linfonodi e tessuto linfoide mucoso – MALT – ),
che ricevono linfociti maturi che colonizzano aree B e T dipendenti.

MIDOLLO OSSEO
Si trova nel tessuto osseo spugnoso ed è preposto alla sintesi di linfociti B e
delle cellule corpuscolate; si distingue in rosso (funzionalmente attivo,
costituito da tessuto mieloide, unica forma alla nascita, presente nella ossa
piatte come bacino, sterno, cranio, coste, vertebre e scapole, nel tessuto
osseo spugnonso e nelle epifisi delle ossa lunghe come omero e femore) e
giallo (non funzionalmente attivo, compare con la crescita e si trova
principalmente nelle diafisi delle ossa lunghe).
Il midollo osseo è un organo linfoide primario, fornisce linfociti B maturi alle
aree B-dipendenti, origina i precursori dei linfociti T, che poi vanno a
maturare, ovvero ad acquisire i recettori specifici, nel timo; dà origine ai
precursori dei mieloidi, che forniscono gli elementi corpuscolati del sangue, i
precursori dei mastociti (che insieme ai macrofagi si trovano nei tessuti), i
precursori delle piastrine (i megacariociti) e i precursori degli eritrociti (gli
eritroblasti). Attività molto importante del midollo osseo, soprattutto quando
viene asportata la milza, è quella eritrocateretica, che prevede la distruzione
degli eritrociti invecchiati ad opera dei macrofagi, che distruggono i nuclei
degli eritroblasti ma che funzionano anche come deposito di ferro (attività
marziale).
LINFONODI
I linfonodi hanno forma di fagiolo (con un margine concavo e un margine
convesso) e possono essere grandi da pochi millimetri fino a 1-2 centimetri.
Ogni linfonodo è circondato da una capsula dove si trovano i canali di
ingresso per il sangue e la linfa; presenta uno stroma (costituito da tessuto
connettivo reticolare) e un parenchima di tessuto linfoide. Si distinguono 3
aree e per funzione: una esterna, corticale, presenta follicoli primari, ovvero
noduli linfatici costituiti da linfociti B quiescenti, e follicoli secondari, strutture
ad anello dotate di centri germinativi (per questo appaiono chiari al centro e
più scuri intorno), che aumentano con l’età (in quanto forniscono cellule della
memoria, importanti per una risposta immunitaria più rapida); una intermedia,
paracorticale, che contiene linfociti T; una interna, midollare, che contiene
linfociti B e plasmacellule.
Infine, è presente un ilo, che rappresenta l’entrata o l’uscita delle arterie e
delle vene del grande circolo e dei vasi linfatici.

MILZA
La milza nel circolo fetale è considerato un organo primario, mentre
nell’adulto un organo secondario; sebbene non presenti vasi linfatici, viene
comunque annoverato nel sistema linfatico, in quanto contiene aree B e T
dipendenti.
La milza è situata nell’ipocondrio sinistro (in posizione sottodiaframmatica,
nella loggia lienale), ha una forma a spicchio di arancia, infatti presenta una
faccia convessa diaframmatica, in rapporto con il diaframma e, medialmente
ed inferiormente, una faccia viscerale, suddivisa dall’ilo in due parti (anteriore,
gastrica, in rapporto con lo stomaco, e posteriore, renale, in rapporto con i
reni). Più in basso rispetto all’ilo, vi è un’impronta colica, data dalla fessura
colica, che fa comunicare colon trasverso e colon discendente. La milza è
riccamente vascolarizzata ed è considerata un serbatoio di sangue. In
corrispondenza dell’ilo, si vede l’ingresso dell’arteria lienale (ramo dell’arteria
celiaca) e la fuoriuscita della vena lienale (tributaria della vena porta). Sulla
superficie, l’organo presenta due foglietti viscerali, un anteriore ed uno
posteriore, che si accollano formando un collegamento gastro-lienale.
La milza è rivestita da sierosa e, al di sotto di questo rivestimento, vi è una
capsula fibrosa, che circonda l’organo e da cui partono i tralci connettivali che
poi vanno a costituire lo stroma (reticolare).
In seguito a splenectomia totale, un bambino presenta una rallentata risposta
immunitaria che persiste per tutta la vita e, in virtù di questo, si è pensato che
la milza produca fattori, che nel midollo osseo e nel timo stimolano la
maturazione delle cellule immunitarie, almeno nei primi anni di vita; l’adulto
invece, dopo una splenectomia, non presenta problemi nella risposta
immunitaria, ma una leucocitosi (ovvero un incremento dei leucociti nel
sangue).
Per quanto riguarda la struttura, la milza presenta delle trabecole connettivali
che formano una rete strutturale di supporto e il parenchima suddiviso in due
componenti (polpa bianca e polpa rossa che hanno caratteristiche morfo-
funzionali differenti).
L’arteria lienale entra nell’ilo e si suddivide in due rami, seguendo le trabecole
connettivali (infatti, i rami vengono definiti arteriole trabecolari); questi, a loro
volta, si ramificano e vanno a formare le arteriole follicolari, avvolte dai
corpuscoli o follicoli di Malpighi, manicotti che costituiscono la polpa bianca e
che contengono linfociti T più vicini alle arteriole e più distalmente linfociti B,
ovvero centri germinativi follicolari che innescano la risposta immunitaria
(riconoscono antigeni di tipo ematico); da un’ulteriore divisione, derivano le
arteriole penicilllari (di dimensioni sempre più ridotte), che terminano con i
capillari (spesso dotati di un guscio a proprietà contrattili). Questi capillari si
organizzano alla periferia capsulare con i seni venosi (capillari venosi), i quali
tornano indietro seguendo lo stesso percorso delle arterie (venule follicolari,
venule trabecolari, fino a confluire nella vena lienale). La polpa rossa
presenta una complessa architettura in quanto comprende cordoni splenici,
capillari splenici e seni venosi. I cordoni sono costituiti da macrofagi e da un
reticolo di fibre collagene e fibroblasti di forma stellata; tra le maglie di questo
reticolo, oltre ai macrofagi dei cordoni, scorrono i capillari splenici e i seni
venosi, entrambi con morfologia sinusoidale. Il circolo splenico prevede che
l’arteria trabecolare si continui con le arterie follicolari (dotate dei corpuscoli di
Malpighi), che poi proseguono con i penicilli arteriosi (dotati del manicotto
cellulare) e terminano con i capillari della polpa rossa. Da qui il sangue può
fuoriuscire in micro-lacune interstiziali (completando la cosiddetta circolazione
aperta) o incanalarsi nei seni venosi (completando la cosiddetta circolazione
chiusa).
La milza svolge diverse funzioni: attività emolinfopoietica (tra il terzo e il
quarto mese di vita fetale), attività marziale (il ferro viene immagazzinato nei
macrofagi legato alla ferritina e all’emiosiderina), deposito di sangue
(contiene, infatti, il 30-40% degli eritrociti circolanti), attività immunitaria
(contiene linfociti B e T nella polpa bianca) e attività emocateretica (che
prevede l’eliminazione di eritrociti e la scomposizione dell’emoglobina in
amminoacidi, che saranno riutilizzati, e in bilirubina, che verrà inviata al
fegato per la sintesi di bile e successivamente eliminata).

TIMO
Il timo è posizionato nel mediastino, è a contatto con il cuore e con i polmoni
ed ha un colore giallastro. È un organo linfoepiteliale transitorio, le cui
funzioni iniziano durante la vita fetale e si esauriscono nella pubertà, in
quanto subisce una regressione fibrosa (ovvero una trasformazione del
tessuto). I precursori provenienti dal midollo osseo si dirigono al timo, dove
maturano (il processo maturativo prevede la separazione delle competenze
funzionali dei vari linfociti e il riarrangiamento del veri recettori, in maniera tale
che possano riconoscere gli svariati antigeni) e poi vanno a colonizzare le
aree T dipendenti negli organi linfoidi periferici. Come tutti gli organi pieni,
presenta una capsula fibrosa, uno stroma reticolare e un parechima, che ha
una struttura lobulare: le cellule formano dei lobuli delimitati da tessuto
connettivo, in ciascuno dei quali si descrivono una corticale esterna ed una
midollare interna. Il timo presenta una composizione cellulare ben definita: i
linfociti sono più numerosi nella corticale e sono disposti in maniera ordinata,
secondo un gradiente maturativo, con i più maturi verso la midollare; le
cellule epiteliali sono più numerose nella midollare e producono ormoni timici,
come timosina, timopoietina e fattore timico sierico; i macrofagi hanno il
compito di distruggere i cloni linfocitari autoreattivi (linfociti che potrebbero
scatenare reazioni autoimmuni, ovvero riconoscere come estranei antigeni
self, propri dell’individuo).
La regressione del timo inizia dal quinto mese di vita fetale, quando
compaiono i corpuscoli di Hassal, formazioni tondeggianti di cellule epiteliali
presenti nella midollare: creano delle lamine concentriche e vanno a
trasformare l’epitelio in tessuto fibroso cicatriziale; aumentano di numero e di
dimensione man mano che il processo di involuzione va avanti e finiscono
per invadere del tutto la midollare.
Sempre nella midollare si trovano numerosi capillari sanguigni, che entrano in
contatto con le cellule epiteliali e formano una membrana selettiva, la barriera
emato-timica, che lascia passare i linfociti che, man mano, maturano, ma non
tutti gli antigeni (proteine ad alto peso molecolare): in questa fase, si sviluppa
una tolleranza immunitaria, fenomeno senza cui un clone linfocitario con
specificità verso un antigene self potrebbe scatenare una risposta
immunitaria contro quell’antigene provocando danno all’individuo.
SISTEMA RESPIRATORIO
Il sistema respiratorio è composto da: naso (è responsabile del
riscaldamento, della filtrazione e dell'umidificazione dell'aria), faringe
(permette il passaggio di aria ed è un organo in comune con il digerente),
laringe (è responsabile della fonazione, produzione del suono), trachea
(continua il trasferimento di aria), bronchi (trasportano aria ai polmoni) e
polmoni (rappresentano la ramificazione terminale dei bronchi). Negli alveoli
avviene la respirazione esterna aria-sangue, attraverso la barriera aria-
sangue: consiste nella diffusione dei due gas per effetto della differenza delle
pressioni parziali, dal gas a pressione maggiore a quello a pressione minore
(in questo caso dall'ossigeno all'anidride carbonica)  il circolo che si crea
nell'alveolo è il risultato della ramificazione dell'arteria polmonare (che
interviene nell'ossigenazione del sangue). A livello del liquido interstiziale
avviene la respirazione interna: l'ossigeno passa dal versante arterioso
capillare nell'ambiente interstiziale, facendo ossigenare il tessuto, mentre
l'anidride carbonica derivante dal metabolismo cellulare va in direzione del
versante venoso capillare, riprendendo il circolo sistemico.

Il naso esterno ha un'impalcatura in parte scheletrica e in parte ossea (molto


limitata, rappresentata dalle due ossa nasali dello splancnocranio, articolate
mediante suture e distalmente presentano le cartilagini alari, espansioni
cartilaginee terminali, che vanno poi a delimitare l'apertura inferiore delle
cavità nasali, le narici). Il naso interno presenta: una parete mediale liscia
(costituita da una lamina perpendicolare dell'etmoide e vomere
prossimalmente, cartilagine del setto distalmente); una parete laterale
tortuosa (andamento che rende possibile far stazionare l'aria più a lungo e
trattenerla), per effetto della presenza dei turbinati, con un pavimento
costituito da pre essi palatini del mascellare e le ossa palatine condivise con
la cavità orale e una volta costituita dalla lamina cribrosa dell'etmoide (che si
unisce con sfenoide e frontale). Per quanto riguarda i rivestimenti, vi è un
rivestimento di cute (che tappezza anche lo sbocco esterno delle cavità
nasali in corrispondenza delle narici), che poi attraversa la mucosa
respiratoria riccamente vascolarizzata, costituita da un epitelio ciliato, ha il
compito di riscaldare l'aria, che viene umidificata per effetto della secrezione
ghiandolare (il passaggio di aria viene garantito dalle coame, aperture
posteriori che arrivano nella rinofaringe). Le cavità nasali ossee sono
costituite dai seni frontali, mascellari, sfenoidali e dalle cavità etmoidali, che
hanno un andamento tortuoso ma sono comunicanti e tappezzate dalla
mucosa respiratoria: hanno la funzione di contribuire alle stesse funzioni delle
cavità nasali e di costituite delle casse di risonanza per l'articolazione dei
suoni. Nella parte del setto in cui la cute attraversa la mucosa, si trova la
zona di Valsalvia, spesso sede di emorragie (epistassi). Fra gli annessi
cutanei, si trovano delle formazioni pilifere, che hanno la funzione di filtrare
l'aria inspirata.
[La mucosa è costituita da un epitelio di rivestimento ciliato, pseudostratificato
(a più fila di nuclei) e cilindrico e da una tonaca propria che contiene
ghiandole a secreto mucoso e sieroso, possiede attività antibatterica ed è
riccamente vascolarizzata]
Le vie respiratorie craniali si incrociano a livello del collo con le vie digerenti
inferiormente: se non viene chiuso il cosiddetto adito laringeo (il punto di
incrocio, è simile ad un binario che deve incanalare il materiale alimentare
nella giusta direzione, ovvero verso l'esofago) da una cartilagine costitutiva
della laringe, l'epiglottide, potrebbero esserci problemi.

La faringe è un tubo fibro-muscolare che si trova nella parte posteriore della


gola e costituisce un passaggio per il cibo e per l’aria; essendo un organo
cavo, presenta un rivestimento interno, la mucosa respiratoria, dotata di un
epitelio di rivestimento ciliato e di ghiandole accessorie a secrezione sierosa
e mucosa, che hanno il compito di lubrificare il canale.
Per quanto riguarda la muscolatura, questa è striata, perché questa regione è
sotto il controllo volontaria (come durante la deglutizione) ed ha
un’innervazione da fibre somato-motrici; esternamente, invece, si trova una
tonaca avventizia.
La parte superiore della faringe presenta dei collegamenti con l’orecchio
medio, tramite la tuba di Eustachio che consente il bilanciamento della
pressione dell’aria.

Seguendo il percorso delle vie respiratorie, successivamente si trova la


laringe, localizzata nella loggia dei visceri cervicali; è un organo piuttosto
mobile, costituito da uno scheletro cartilagineo e questo rende possibile il suo
funzionamento (la laringe, infatti, oltre a far passare l’aria, è impegnata nella
fonazione). Queste cartilagini sono articolate tra di loro: anteriormente a
forma di libro aperto si trova la cartilagine tiroidea (in rapporto con i lobi della
tiroide, le cui lamine destra e sinistra si incontrano nella linea mediana,
formando il pomo d’Adamo), mantenuta in sede grazie alla membrana
tiroidea, ancorata all’osso ioide; posteriormente si trova la cartilagine cricoide,
a forma di un anello con sigillo; oltre a queste, vi sono altre due cartilagini di
forma prismatica, le aritenoidi, e, infine, un’altra a forma di foglia con picciolo,
l’epiglottide (sollevata in fase di deglutizione). La cavità interna della laringe
ha forma simile ad una clessidra: superiormente si trova il vestibolo,
inferiormente si trova la cavità sottoglottica e in posizione intermedia vi è la
parte più ristretta, definita rima della glottide, una fessura triangolare che
contiene le cosiddette corde vere, tese tra le cartilagini tiro-aritenoide, che
contengono il muscolo vocale, e le cosiddette corde false, contenute nelle
pieghe della mucosa. La rima viene ristretta e allargata in successione per
azione dei muscolo crico-aritenoidei (innervati dai nervi laringei, collaterali del
nervo vago, che in caso di lesione, potrebbero provocare soffocamento – le
vie sensitive hanno funzione di protezione da oggetti estranei, mediante il
colpo di tosse –). L’aria emessa dai polmoni vibra e mette in vibrazione anche
le corde vere, che producono un suono inarticolato (detto suono glottico),
mentre all’articolazione di tale suono e alla fonazione intervengono labbra,
denti, lingua, palato e cavità nasali.

Successivamente, dopo la laringe, si trova la trachea, struttura metamerica,


formata da 16-18 anelli cartilaginei incompleti, intervallati da strutture fibrose;
posteriormente, infatti, si trova un’interruzione su ciascun anello, in
corrispondenza della quale si trova una struttura membranosa costituita da
tessuto connettivale (la parete membranacea consente la dilatazione
dell’esofago durante la peristalsi). Dopo 14-15 cm, in corrispondenza della 4°
vertebra toracica, la trachea si divide e nel punto di divisione, vi è un
ispessimento cartilagineo, definito carena (simile alla carena della nave), da
cui partono i due bronchi principali destro e sinistro.

I due bronchi non sono simmetrici: il bronco di destra è più largo, più corto e
si estende più in verticale e da questo si dipartono 3 bronchi secondari, per
ciascun lobo polmonare, il lobare superiore, il lobare medio e il lobare
inferiore; il bronco di sinistra è più lungo e si estende più in orizzontale (per
lasciare spazio al cuore) e da questo si dipartono 2 bronchi secondari, il
lobare superiore ed inferiore.
Da qui si può parlare di albero bronchiale e la ramificazione porta alla
formazione del parenchima polmonare.
La struttura dei bronchi ricalca quella della trachea, metamerica, con anelli
cartilaginei incompleti e parete membranacea posteriormente. La parete
interna è formata da tessuto muscolare e cartilagineo; l’epitelio è cilindrico,
pseudo stratificato e ciliato, che comprende cellule secernenti, calciformi,
ghiandolari, della sottomucosa, di Clara, neuroendocrine e dendritiche.
La ramificazione continua attraversando i bronchi zonali, fino ad arrivare ai
bronchioli, caratterizzati dall’assenza di cartilagine: si distinguono i bronchioli
terminali, che non presentano strutture alveolari, e bronchioli respiratori, che
invece presentano strutture alveolari in numero sempre maggiore man mano
che si procede verso la periferia.
Questi alveoli rappresentano la sede degli scambi gassosi all’interno dei
polmoni e formano dei grappoli; sono formati da due tipi di cellule epiteliari,
pneumociti di I tipo, che sono costituiti da giunzioni strette per prevenire lo
stravaso del liquido nell’alveolo, e pneumociti di II tipo, caratterizzate da
granuli, i “corpi lamellari”, che producono il “surfactante”, un detergente che
mantiene gli alveoli dilatati, in maniera tale da consentire gli scambi gassosi.
La muscolatura bronchiale subisce effetti dall’ortosimpatico, che agisce sulla
bronco-dilatazione, e dal parasimpatico, che agisce sulla bronco-costrizione.
Una costrizione eccessiva provoca asma, edema ed infiammazione dei
condotti respiratori e quindi respirazione difficoltosa.

Il polmone è il risultato della ramificazione dell’albero bronchiale, la cui unità


funzionale è rappresentata dal lobulo, costituito da bronchiolo terminale e
acino (costituito a sua volta da bronchiolo respiratorio e sacco alveolare).
I polmoni sono localizzati nelle due logge sierose pleuropolmonari all’interno
della cavità toracica (costituite da un doppio foglietto, parietale e viscerale) e
non sono perfettamente uguali tra loro, in quanto, per via della posizione del
cuore, il polmone destro è notevolmente più grande rispetto al sinistro. Oltre
alla differenza di dimensione, i polmoni hanno anche un numero diverso di
incisure sulla superficie: due sul polmone destro, una orizzontale e una
obliqua e una sola, obliqua, sul polmone sinistro.
I polmoni hanno forma conica, con la base concava rivolta verso il basso che
poggia sul diaframma (questa viene infatti definita faccia diaframmatica) e un
apice a forma di cupola che supera di qualche centimetro la clavicola; si
possono descrivere, oltre alla diaframmatica, una faccia costale, rivolta verso
le costole, e una faccia mediale, detta mediastinica, rivolta verso il cuore.
Su quest’ultima si può evidenziare la presenza dell’ilo, a livello del quale si
descrive il cosiddetto peduncolo polmonare, insieme di tutte le strutture in
entrata e in uscita dai polmoni (come ad esempio il tronco polmonare che
successivamente si divide in arteria polmonare destra e sinistra).
Sempre a livello dell’ilo, si trovano delle piccole formazioni rotonde, i linfonodi
mediastinici, definiti ilari.
Importante è la barriera aria-sangue costituita dalla parete alveolare e, a
livello microscopico, formata da epitelio alveolare, lamina basale dell’epitelio
e dell’endotelio ed endotelio del capillare sanguigno, oltre che, a volte, i
macrofagi alveolari, o della polvere (che hanno il compito di inglobare
particelle estranee, come i cosiddetti deposti antracotici, dovuti all’accumulo
di pulviscolo). Per quanto riguarda la meccanica respiratoria, si distinguono
inspirazione ed espirazione:
durante l’inspirazione, il torace si allarga e si innalza per contrazione dei
muscoli intercostali e del diaframma (che contraendosi si abbassa); i polmoni
si espandono; l’aria dall’esterno entra per differenza di pressione, passa
attraverso trachea e bronchi e giunge negli alveoli; è un fenomeno attivo con
consumo di energia; si distinguono inspirazione tranquilla (la pressione da -
2,5 mmHg scende a -6 mmHg, obbligando i polmoni ad espandersi; la
pressione nelle vie aeree diventa negativa e l’aria entra nei polmoni) e
inspirazione forzata (la pressione può scendere anche fino a -30 mmHg).
durante l’espirazione, il torace si riduce di volume per rilasciamento dei
muscoli intercostali e del diaframma (che rilasciandosi si innalza); i polmoni
tornano alle loro dimensioni originarie; l’aria viene spinta verso l’esterno; è un
fenomeno passivo da ritorno elastico del polmone.

La respirazione è un fenomeno involontario, sebbene la frequenza o


l’ampiezza del respiro possano essere controllate, per il resto essa è
controllata dai centri del respiro, formazioni del tronco encefalico, che
mandano impulsi nervosi ai polmoni, al diaframma e alla muscolatura
intercostale: questo garantisce il continuo funzionamento anche quanto parte
del cervello è a riposo, come ad esempio durante il sonno.
Gli atti respiratori sono regolati da strutture nervose centrali e periferiche:
quelle centrali determinano la ritmicità del respiro e sono rappresentati dal
centro respiratorio bulbare (situato al di sotto del pavimento del IV ventricolo,
che è la principale struttura deputata alla generazione del ritmo respiratorio),
dal centro pneumotassico (sede pontina rostralmente ad azione inibitoria) e
dal centro apneustico (formazione reticolare del ponte ad azione eccitatoria);
quelle periferiche inviano alle strutture centrali segnali di natura meccanica e
chimica e sono rappresentate dai chemiocettori periferici, come l’arco aortico
e il glomo carotideo (che possono causare ipossia, ipercapnia e acidosi) e dai
chemiocettori centrali, posti nella regione ventro-laterale del bulbo e
rispondono principalmente alla concentrazione idrogenionica e all’ipercapnia
(accumulo di CO2 nel sangue).

APPARATO URINARIO
L’apparato urinario è costituito da reni (formati da calici minori e maggiori e
pelvi, o bacinetti) e vie urinarie (ureteri, vescica e uretra).
I reni sono collocati nelle logge renali (costituite da materiale adipodo, un
denso tessuto connettivo che tiene ancorati i reni e le ghiandole surrenali alle
strutture circostanti), sono a significato connettivale, in quanto sono organi
retro peritoneali e vengono in rapporto solo con il foglietto parietale (che
tappezza la parete addominale). Questi organi si estendono per 12 cm di
lunghezza circa, tra la 12° vertebra toracica e la 2° lombare, hanno la forma
di un fagiolo, con un due poli smussati (uno superiore incappucciato poiché in
stretto rapporto anatomico con le ghiandole surrenali, e uno inferiore), un
margine laterale convesso, un margine mediale convesso all’estremità e una
porzione intermedia concava, in cui si trova l’ilo (punto di ingresso e di uscita
di arterie renali, vene renali e vie urinarie).
Il rene destro è spostato più in basso rispetto al sinistro, per via del rapporto
con il fegato superiormente (che occupa gran parte dell’ipocondrio destro) ed
è anche in rapporto con il colon ascendente e il duodeno più in basso e
posteriormente con la muscolatura addominale (muscolo quadrato dei lombi
e grande psoas); mentre il rene sinistro è in rapporto con il diaframma, con la
coda del pancreas, con la milza e con lo stomaco.
I reni risultano rivestiti da una capsula fibrosa esternamente e dal
parenchima.
Il parenchima interno presenta una corticale ed una midollare: la corticale è
più esterna, al di sotto della capsula, presenta i cosiddetti raggi midollari
(segni della vascolarizzazione); la seconda è più interna, presenta nell’aria
centrale (definita seno renale) le cosiddette piramidi renali, con l’apice rivolto
verso il centro (cribrato, ovvero pieno di fori, i tubuli renali, da cui fuoriesce
l’urina.
L’unità funzionale del rene prende il nome nefrone (vi sono in totale 2 milioni
di nefroni): è costituito dal corpuscolo di Malpighi e dal tubulo renale. Il
corpuscolo di Malpighi è costituito a sua volta da glomerulo renale (la
componente vascolare, attraversato dai vasi sanguigni, ovvero arteriola
afferente, rete mirabile ed arteriola efferente) e capsula di Bowmann (la
componente epiteliale, che incapsula la rete capillare ed è costituita da un
doppio foglietto epiteliale, il parietale più esterno e il viscerale più interno, tra i
quali vi è lo spazio di Bowmann). Dal polo opposto rispetto al corpuscolo di
Malpighi, si trova il polo urinifero, da cui parte il tubulo renale: questo è
costituito dal tubulo contorto prossimale (presenta anse e circonvoluzioni),
dall’ansa di Henle (di forma simile ad una forcina) e dal tubulo contorto
distale; i tubuli renali provenienti dai vari nefroni vanno poi a confluire nel
tubulo collettore, che raccoglie, quindi, l’urina proveniente da tutte le strutture
microscopiche.
L’ansa di Henle è costituita da un ramo discendente, che fa seguito al tubulo
contorto prossimale, dall’ansa vera e propria e da un ramo ascendente, che
si continua con il tubulo contorto distale.
Si distinguono due tipi di nefroni, per posizione e morfologia: i corticali sono
periferici e corti, si trovano in prossimità della superficie del rene e hanno le
anse di Henle molto corte, che penetrano solo per un breve tratto nella zona
esterna della midollare; gli juxtamidollari sono localizzati nella corticale in
vicinanza della midollare, hanno anse di Henle molto lunghe e sottili che
penetrano nella zona interna della midollare.
L’apparato juxtaglomerulare è localizzato tra le arteriole afferente ed efferente
e il tubulo contorto distale (nel polo vascolare); è costituito da macula densa,
cellule iuxtaglomerulari e cellule ilari.
La macula densa contiene cellule del tubulo distale, più dense rispetto alle
altre, si trova nell’angolo tra le due arteriole, si mette in rapporto diretto con
ciascuna di essa; le sue cellule secernono sostanze in direzione delle
arteriole, con funzione di comunicazione cellulare sulla composizione di sodio
dell’urina.
Le cellule iuxtaglomerulari sono localizzate laddove l’arteriola afferente entra
in contatto con la macula densa, si presentano rigonfie e contengono granuli
scuri costituiti principalmente da renina inattiva; si comportano da
pressocettori, ovvero quando la pressione sanguigna si riduce, esse
immettendo in circolo la renina, riportano la pressione a livelli normali; la
renina agisce a livello dell’angiotensinogeno (prodotto dal fegato), che con la
renina si trasforma in angiotensina I, ancora inattiva, che nei polmoni viene
convertita enzimaticamente a formare l’angiotensina II che determina
vasocostrizione periferica, che comporta aumento della pressione sanguigna
(l’angiotensina II agisce anche sulla corticale del surrene, in quanto stimola la
produzione di aldosterone, che induce il riassorbimento di acqua e sodio).
Le cellule ilari (o mesangio) sono poste nell’angolo tra le due arteriole ed
intervengono nel trasferimento di informazioni tra cellule della macula densa
e cellule iuxtaglomerulari.
I reni adempiono in modo determinante al mantenimento della costanza dei
caratteri chimico-fisici del cosiddetto mezzo interno (plasma e liquido
interstiziale). Le principali funzioni sono: eliminazione dei prodotti finali del
catabolismo azotato (urea, acido urico, creatinina, solfati, ecc); regolazione
del volume del liquido extracellulare e del contenuto idrico dell’organismo;
regolazione della pressione osmotica del liquido extracellulare, tramite il
riassorbimento di sodio e acqua; regolazione del pH ematico entro limiti
ristretti, tramite il riassorbimento e la produzione di ioni bicarbonati;
regolazione della concentrazione ematica di importanti metaboliti e ioni
(sodio, potassio, calcio e cloro), mantenendola in ambiti normali;
detossificazione dell’organismo da composti tossici, per poi eliminarli.

La formazione dell’urina prevede 3 momenti distinti: ultrafiltrazione


glomerulare, riassorbimento tubulare con passaggio selettivo di sostanze utili
(come acqua ed elettroliti) dall’ultrafiltrato di sangue e secrezione tubulare
con passaggio di sostanze del sangue nell’ultrafiltrato.
Nei vari tratti del tubulo renale, avviene un riassorbimento diversificato di
sostanze: nel tubulo contorto prossimale, formato da cellule epiteliali, vi è un
assorbimento passivo di acqua e cloro e un trasporto attivo di potassio,
calcio, bicarbonato, solfato e fosfato; nell’ansa di Henle, avviene un
riassorbimento di sodio, cloro e acqua; infine, nel tubulo contorto distale,
avviene un riassorbimento di acqua, sodio e cloro e la secrezione di sodio e
calcio (allo scopo di regolare la concentrazione di sodio anche a livello
ematico). Quindi, la secrezione tubulare consiste in un trasposto passivo di
acido urico, ammoniaca, ioni potassio e idrogenio, e in un trasporto attivo di
penicillina, sulfamidici e istamina.
L’urina è quindi costituita al 96% da acqua, in cui vi è un 2% di creatinina
(proveniente dal metabolismo muscolare), urea (proveniente dal metabolismo
proteico) e acido urico (proveniente dal metabolismo di acidi nucleici) e un
2% di solfati, fosfati e cloruri; il pH risultante è intorno a 6, leggermente acida,
e il peso specifico è intorno a 1; è sterile, non vi sono né batteri, né eritrociti.
Per quanto riguarda l’omeostasi, i fluidi corporei sono rappresentati da liquido
intracellulare (i 2/3 dei fluidi corporei) e liquidi extracellulare (il restante 1/3),
localizzato nel liquidi interstiziale (tessuto connettivo). L’equilibrio dei fluidi
corporei è molto importante, per non andare incontro a perdita di acqua (se
notevole, si parla di disidratazione): questo equilibrio è controllato dal centro
della sete, un’area dell’ipotalamo che regola l’impulso di bere.
I principali soluti nell’urina sono: ioni sodio, potassio, calcio, cloro,
bicarbonato e fosfato.
La quantità di cloruro di sodio eliminato con l’urina è il fattore principale che
determina ipovolemia, ovvero una riduzione del volume dei fluidi (un’elevata
perdita urinaria di ioni sodio e cloro determina la cosiddetta natriuresi).
Gli ioni sodio sono abbondanti nel liquido extracellulare, intervengono nella
generazione e nella conduzione dei potenziali d’azione nei neuroni e nelle
fibre muscolari.
Gli ioni potassio sono abbondanti nel liquido intracellulare, sono fondamentali
nella conduzione nervosa e contribuiscono alla regolazione del pH dei fluidi,
grazie allo scambio con idrogenioni.
Gli ioni calcio si trovano nei fluidi corporei extracellulari, svolgono un ruolo
primario nella coagulazione del sangue, nel rilascio di neurotrasmettitori, nel
mantenimento del tono muscolare, nell’eccitabilità del sistema nervoso e
nella contrazione muscolare.
I fluidi corporei hanno un pH pressoché neutro, anche grazie ai tamponi
acido-base, quali il tampone proteico, il tampone fosfato e il tampone acido
carbonico-bicarbonato (che agiscono sempre nel rene).
L’integrità del filtro renale è fondamentale perché non si presentino
determinate malattie, che sono causate dalla presenza di glucosio (diabete
pancreatico), albumina (malattie renali o epatiche), bilirubina (ittero) o
eritrociti (glomerulo-nefriti).
I reni svolgono anche delle funzioni endocrine, come la secrezione di ormoni,
quali renina (importante per la regolazione della pressione arteriosa
sistemica), eritropoietina (principale regolatore dell’eritropoiesi) e idrossilasi
(che attiva la vitaina D sintetizzata dalla pelle, per convertirla in calcitriolo, il
quale regola il metabolismo del calcio).
Le vie urinarie intrarenali iniziano in corrispondenza delle piramidi di Malpighi
e sono accolte in una depressione; innanzitutto, si trovano i calici minori, che
confluiscono nei tre calici maggiori, da qui si passa alla pelvi o bacinetto
renale, che si porta verso l’ilo (ha forma di imbuto) e che presenta una
strozzatura, che corrisponde all’uretere (lungo circa 28-30 cm).
L’uretere presenta 3 tratti, un segmento addominale più lungo, un segmento
iliaco e uno pelvico (nel bacino); ha un calibro costante, dopo l’istmo (punto
iniziale) presenta una parte più slargata, il fuso lombare, che è piuttosto
rettilineo (decorre ai lati della colonna vertebrale) e che passa medialmente
rispetto alle arterie e alle vene iliache (descrivendo un segmento iliaco,
definito ginocchio, perché incontra medialmente questi vasi); nel terzo tratto,
in cui il calibro aumenta nuovamente descrivendo il fuso pelvico, l’uretere si
porta sempre più medialmente per poi raggiungere la vescica (organo impari
che si trova nella regione ipogastrica).
L’ultimo tratto intramurale, chiamato segmento interstiziale, attraversa per un
paio di centimetri la parete superiore della vescica, aprendosi con il meato
ureterale, che contiene una piega della mucosa, la valvola ureterale, la quale
ha il compito di impedire il reflusso di urina dalla vescica verso l’uretere.
Gli organi delle vie urinarie sono cavi e, come tali, presentano la
stratificazione di tonache, mucosa, sottomucosa, muscolare ed avventizia. Le
vie urinarie (per lo più la vescica) sono tappezzate da un particolare epitelio,
l’epitelio di transizione, che riesce ad adattarsi ai cambiamenti volumetrici
dell’rogano che riveste.
L’unico riferimento funzionale che si può fare a proposito degli ureteri è che,
in virtù dei restringimenti (uno all’inizio e uno in corrispondenza del segmento
iliaco), possono esserci depositi di aggregati cellulari o di materiale
inorganico, per esempio calcoli per l’accumulo di sali di calcio o acido urico, o
sabbia renale, per residui cellulari , coaguli o raggruppamenti di lipidi, che
possono portare ad un’ostruzione urinaria (la cui diretta conseguenza è
l’insorgenza di violenti spasmi).
La vescica urinaria è un organo sotto-peritoneale, è localizzata nella piccola
pelvi, rappresenta un serbatoio per l’urina (fino a un massimo di 500-500 l),
che mentre si riempie, tende a sollevarsi verso l’alto, andandosi a trovare
nella grande pelvi, entrando in contatto con le anse intestinali.
Per quanto riguarda i rapporti anatomici, quando la vescica non è piena, si
può vedere anteriormente un apice, in rapporto con la sinfisi pubica;
superiormente vi sono le anse intestinali; man mano che la superficie
superiore viene ricoperta dal peritoneo, si forma un recesso, che nel maschio
va a delimitare il cavo retto-vescicale, mentre nella femmina, va a delimitare il
cavo vescico-uterino (appunto per l’interposizione dell’utero); inferiormente,
nel maschio si trova la prostata, mentre nella femmina il fornice vaginale.
Inferiormente nella cavità vescicale, vi sono delle pieghe della mucosa, che
scompaiono man mano che la vescica si riempie. Sia a vescica piena, sia a
vescica vuota, si può descrivere una struttura triangolare, i cui apici formano il
cosiddetto trigono vescicale, rivestito da muscolatura liscia, e rappresenta i
punti di sbocco degli ureteri (i due apici superiori) e il punto in cui inizia
l’uretra (apice inferiore), ultimo tratto delle vie urinarie.
La muscolatura liscia della vescica presenta 3 strati, due longitudinali (interno
ed esterno), tra i quali vi è uno circolare e questi formano il muscolo
detersore, la cui contrazione determina lo svuotamento della vescica (l’orifizio
uretrale sarà quindi rilassato).
L’uretra maschile è più lunga (circa 18-20 cm) anche per la presenza degli
organi genitali esterni; vi è un’uretra prostatica, che attraversa la prostata,
un’uretra membranosa che attraversa il diaframma pelvico (o urogenitale) e si
correda dell’orifizio uretrale esterno, lo sfintere striato, e un’uretra cavernosa,
che attraversa il pene.
L’uretra femminile, invece, è più corta (circa 3-4 cm) e attraversa il diaframma
pelvico, aprendosi, successivamente nel fornice vaginale.
Quindi l’uretra è dotata di due orifizi, quello a monte, liscio e quello a valle,
striato, che si acquisisce con l’attraversamento del pavimento pelvico (in
entrambi i sessi).
Il riflesso della minzione è sotto il controllo del parasimpatico sacrale, le cui
fibre afferenti (localizzate nei gangli del midollo spinale) generano una
risposta viscero-effettrice, per la contrazione del detersore e per il
rilassamento dello sfintere interno, e una risposta somato-motrice per il
rilassamento dello sfintere esterno.

SISTEMA DIGERENTE
L’apparato digerente è responsabile dell’introduzione, della pro cessazione,
della digestione e dell’assimilazione di cibo, quindi decorre dall’estremità
della bocca fino al retto, passando per torace, addome, pelvi e perineo.
Il canale alimentare, o tubo digerente, lungo 11 cm, presenta delle ghiandole,
le salivari maggiori, rappresentate dalle parotidi (le più grandi, si trovano ai
lati della mandibola, al di sotto del padiglione auricolare e se infiammate
determinano la parotite), dalle sotto-mandibolari e dalle sotto-linguali, che si
trovano nelle relative logge queste ghiandole sono deputate alla
produzione della saliva, che ha numerose funzioni, quali permettere di
impastare il bolo alimentare, per consentirne la deglutizione (che nello
stomaco diventa chimo) e di lubrificare le prime vie digerenti (cavità orale e
orofaringe) con la produzione di muco.
Nell’addome vi è l’intestino tenue, diviso in duodeno e tenue mesenteriale, a
sua volta divido in digiuno e ileo; l’intestino crasso è diviso in cieco (con
l’appendice), colon (ascendente, trasverso, discendente e sigmoideo) e retto;
il fegato che svolge importanti funzioni, come la produzione di bile (che
scompone i grassi), la regolazione della glicemia, la detossificazione di
farmaci e la sintesi di proteine plasmatiche; il pancreas, divido in componente
esocrina (deputata alla digestione, con la produzione del succo pancreatico,
contenente enzimi litici) e componente endocrina (produce insulina e
glucagone per la regolazione della glicemia).
La cavità orale comunica con l’esterno, è rivestita internamente dalla mucosa
orale, contiene l’organo della masticazione, rappresentato da labbra, denti e
lingua, interviene nella secrezione di enzimi digestivi (per esempio la ptialina,
della famiglia delle amilasi, che inizia a digerire carboidrati) e ha anche
funzione battericida (per la presenza di lisozima).
A livello della bocca, si distinguono la cavità orale propriamente detta (si trova
posteriormente alle arcate gengivo-dentali) e il vestibolo (fessura interposta
tra labbra e arcate dentali). La cavità orale svolge numerose funzioni:
fonazione, masticazione, digestione, respirazione e difesa immunitaria.
Le labbra sono due organi ad impalcatura fibro-muscolare, rivestite
internamente da mucosa ed esternamente da cute (simili alle palpebre); ai lati
si possono descrivere le due commessure, punti in cui le labbra entrano in
contatto e che delimitano la rima bucale; ciascuna delle due labbra lungo la
linea mediale possiede il cossi detto frenulo, piega della mucosa che collega
l’arcata dentaria con il rispettivo labbro.
La cavità orale presenta 3 pareti, superiore, laterale ed inferiore. Nella parete
inferiore (pavimento), si può descrivere un solco (visibile se la lingua è
sollevata) sottolinguale, al di dietro del quale vi è il pavimento occupato dalla
lingua; la lingua, infatti, non è attaccata, ma collegata mediante un frenulo al
pavimento. Inferiormente, se la lingua è sollevata, è possibile osservare il
solco sottolinguale, dietro il quale vi è il pavimento linguale; superiormente la
volta è occupata dal palato; lateralmente vi sono le pareti delle guance.
L’innervazione di questa zona è ad opera del nervo faciale (X paio di nervi
cranici), mentre l’impalcatura muscolare si basa sul muscolo orbicolare della
bocca, che determina apertura e chiusura delle labbra, mentre la lingua è
innervata dal nervo ipoglosso (XII).
A carico di questa zona, come patologie possono esserci infezioni, tumori
(labbra oblunga) o labbro leporino (malformazione congenita, ovvero la
mancata chiusura delle ossa del palato –processi palatini del
mascellare e ossa palatine –).

La cavità orale si continua con l’istmo delle fauci e successivamente con


l’orofaringe, tratto in comune con l’apparato respiratorio. Dopo la faringe, vi è
l’incrocio tra vie respiratorie che passano in avanti, e vie digerenti, che
continuano posteriormente con l’esofago.
L’esofago presenta diversi segmenti, ha una lunghezza di circa 25 cm,
decorre subito dopo la laringe (da C6 a C10): decorre posteriormente rispetto
alla trachea, entra in rapporto con l’arco aortico, con i bronchi e
successivamente con il diaframma. In virtù di questi rapporti anatomici,
l’esofago presenta dei restringimenti in corrispondenza della cartilagine
cricoide, dell’arco aortico, del bronco sinistro e dell’orifizio esofageo
diaframmatico; tra un restringimento e il successivo, vi è una parte più
dilatata, definita fuso, quindi vi sono il fuso crico-aortico, il fuso bronco-
diaframatico e l’imbuto precordiale. La struttura dell’esofago è tipica degli
organi cavi, con una stratificazione di tonache, con tonaca mucosa, tonaca
sottomucosa, tonaca muscolare (striata e liscia) e tonaca avventizia (nella
porzione addominale vi è un rivestimento sieroso).
Lo stomaco interviene nella digestione grazie alla produzione della pepsina,
enzima proteolitico, molto forte, principale costituente del succo gastrico. È
localizzato nell’ipocondrio sinistro e nell’epigastrio, è in rapporto anatomico
con la milza (ipocondrio destro), con il diaframma, con il fegato, con il colon
trasverso, con la cosa del pancreas e con il rene. La forma complessiva è di
una cornamusa, anche se, in realtà, dipende dal riempimento (quando è
vuoto ha un volume di circa ½ litro); è un organo totalmente intraperitoneale,
a forma di cupola, in rapporto con il diaframma, una porzione distale più
ristretta, la regione pilorica, due margini, uno laterale maggiore, detto grande
curvatura, e uno mediale concavo, detto piccola curvatura, da cui partono i
cosiddetti omenti (collegamenti sierosi tesi tra due organi contigui): dalla
grande curvatura, si fora il grande omento, costituito dal legamento gastro-
lienale e dal legamento tra grande curvatura e colon trasverso; dalla piccola
curvatura, invece, si fora il piccolo omento, costituito dal legaento epato-
gastrico e dal legamento gastro-duodenale.
Nello stomaco si distinguono 3 sezioni: subito dopo il cardias (parte superiore
situata vicino al cuore che circonda l’apertura dell’esofago), fondo
(superiormente), corpo e una parte più distale, divisa in antro e canale
pilorico, che mettono in comunicazione stomaco e duodeno.
A livello microscopico, lo stomaco presenta una stratificazione di tonache:
tonaca mucosa (costituita da epitelio batiprismatico e da muscolaris
mucosae), tonaca sottomucosa (ricca di fibre del sistema nervoso autonomo,
che formano il plesso sottomucoso), tonaca muscolare (con le fibre disposte
in 3 strati per facilitare movimenti peristaltici e peristolici) e tonaca sierosa
(omenti).
La tonaca mucosa ospita numerose ghiandole intramurali, come ghiandole
cardiali e piloriche a secrezione mucosa neutra a funzione protettiva. Oltre a
queste, vi sono anche ghiandole gastriche di tipo tubulare, soprattutto nel
corpo e nel fondo: a livello cellulare, nella parte apicale, si trovano cellule del
colletto, a secrezione mucosa acida, nella parte intermedia si trovano le
cellule di rivestimento acidofile, secernenti acido cloridrico, nella parte del
fondo si trovano le cellule principali, secernenti pepsinogeno (forma inattiva
della pepsina).
Quando lo stomaco è vuoto vi sono delle pieghe, che scompaiono quando lo
stomaco è pieno e si vengono a formare le cosiddette aureole, pressoché
esagonali, nel cui centro si aprono le ghiandole (fossette gastriche).
Vi sono, infine, cellule a secrezione endocrine, sono sparse per tutto il canale
alimentare, servono ad autoregolare l’attività gastro-intestinale e
comprendono cellule argentaffini che producono serotonina, cellule a
secrezione endocrina diffusa che producono altre sostanze come la gastrina
che aumenta la produzione di acido cloridrico.

L’intestino tenue è la parte più lunga del canale alimentare (7m) ed è divido in
duodeno, digiuno (chiamato così perché nel cadavere è vuoto) e ileo.
Il duodeno si chiama così perché è lungo 12 pollici (circa 30 cm), riceve il
chimo che, a livello intestinale, si trasforma in chilo, e due importanti condotti,
il coledoco e i dotti pancreatici (in maniera tale che in questa zona si riversino
bile e succhi pancreatici); se si uniscono dotti pancreatici e coledoco si forma
all’interno della papilla una cavità definita ampolla duodenale di Vater.
Ha forma di C aperta superiormente, per accogliere la cosa del pancreas e
presenta diversi segmenti: una parte iniziale che fa seguito allo sfintere
pilorico, detta ampolla o bulbo duodenale (circa 5 cm, unica porzione
intraperitoneale), la parte discendente che si trova al di sotto del fegato, nel
fianco destro (circa 8 cm), la parte orizzontale lunga circa 6 cm, la parte
ascendente lunga circa 6 cm e, infine, il duodeno piega bruscamente in
avanti, a costituire il duodeno digiunale (a livello della L2 che si continua con
il digiuno).
Nella parete mediale della parte discendente vi sono due rilievi: la papilla
minore, sbocco del dotto pancreatico minore o di Santorini, e la papilla
maggiore, sbocco del dotto pancreatico maggiore o di Wirsung.
Per quanto riguarda la mucosa vi sono le cosiddette ghiandole di Plunner
(ghiandole duodenali specifiche), a secrezione mucosa di tipo neutro, per
proteggere il duodeno dai succhi gastrici acidi.
I rapporti anatomici che presenta il duodeno si instaurano con fegato, rene,
pancreas e colon.
Internamente, la struttura presenta delle pieghe della sottomucosa, definite
valvole conniventi o pieghe circolari (o semicircolari): queste presentano i
cosiddetti villi intestinali (1 mm), che sono sollevamenti della sottomucosa;
infine, sui villi, vi sono i microvilli, estroflessioni degli enterociti (cellule
epiteliali dell’intestino tenue).
Quindi, la parete interna dell’intestino tenue presenta pieghe, villi e microvilli,
allo scopo di aumentare la superficie assorbente, per permettere
l’assorbimento di nutrienti (infatti è riccamente vascolarizzata).
Nella tonaca mucosa, oltre ai villi intestinali, si trovano le ghiandole di
Galeazzi (costituite da eitrociti e cellule di Paneth, secretorie che producono
lisozima) e le cellule enterocromaffini, che producono serotonina (agisce sulla
mobilità intestinale), secretina e pancreozimina (attivano il pancreas
esocrino).

L’intestino crasso è lungo circa 1,5 m ed è costituito da cieco, colon e rettto;


in quest’area avviene il riassorbimento di acqua, il consolidamento delle feci e
una parziale digestione della cellulosa: non vi sono né villi né valvolne ma
solo cellule dotate di microvilli.
Il colon può essere diviso in 5 porzioni: colon destro (cieco e colon
ascendente), colon trasverso, colon sinistro o discendente, colon sigmoideo o
sigma e retto; in parte il colon è intraperitoneale, in parte retroperitoneale.
Il cieco si trova subito dopo l’immissione dell’ileo intestinale nel crasso, si
localizza nella fossa iliaca destra (ileo-inguinale); a questo livello, si può
trovare una valvolare che ha il compito di impedire il reflusso del materiale.
Il cieco si continua con il colon ascendente, sempre nell’ipocondrio destro, a
contatto con il fegato (si viene a definire la fessura epatica, impronta del
colon sul fegato).
Nel tratto orizzontale, il colon passa sulla sinistra ed entra in contatto con la
milza, formando la fessura splenica; successivamente, si porta in basso fino
a raggiungere la fossa iliaca sinistra, da cui si continua con il colon sigmoideo
(forma una curva simile al ); in questo tratto, si porta verso l’ipogastrio,
verso la piccola pelvi e, dopo circa 40 cm, si continua con il retto per circa 15
cm.
I vari tratti del colon hanno rapporti anatomici diversi con il peritoneo: sono
extraperitoneali colon ascendente e discendente, che entrano in rapporto con
il peritoneo parietale, mentre sono intraperitoneali cieco, colon trasverso e
sigmoideo (il retto è sottoperitoneale).
Il colon trasverso è collegato alla parete addominale posteriore con il
mesocolon e allo stomaco con il grande omento.
La superficie del colon presenta delle pieghe, delle “gobbe”, che spariscono
se si tagliano le cosiddette “tenie”, formate da fibro-cellule muscolari lisce,
poiché sono date dalla differenza di lunghezza tra lo strato muscolare e
l’intestino vero e proprio.
Il cieco è importante anche dal punto di vista medico, in quanto nel punto di
Mc Burney (tra regione ombelicale e spina iliaca antero-superiore) presenta
l’appendice vermiforme, o tonsilla addominale, ricca di tessuto linfoide (circa
1-2 cm), rivestita da sierosa, che va spesso incontro ad infiammazione e
viene asportata.
L’intestino è rivestito da un epitelio dotato di un orletto a spazzola, che
presenta cellule colonnari (impegnate nel riassorbimento di acqua) e cellule
caliciformi (impegnate nella produzione di una gran quantità di muco, per
facilitare il transito intestinale dei rifiuti alimentari).
L’intestino retto è l’ultimo tratto del canale alimentare, è un organo
sottoperitoneale, lungo 15 cm e diviso in due regioni, una prossimale più
dilatata, l’ampolla rettale, e una distale più ristretta, il canale rettale (che
presenta esternamente i muscoli elevatori dell’ano e attraversa il diaframma
pelvico, acquistano lo sfintere striato). Il retto è localizzato nell’ipogastrio,
internamente presenta nell’ampolla 3 pieghe, definite valvole semilunari
(superiore, media e inferiore), mentre nel canale si trovano delle colonne
verticali, dette del Morgagni, intorno alle quali si trova il pelsso emorroidario
(venoso, interposto tra il sistema della vena porta e quello della vena
mesenterica inferiore).
Per quanto riguarda i rapporti anatomici, posteriormente si trova il sacro,
mentre anteriormente nel maschio si trova il cavo retto-vescicale, nella donna
il cavo utero-vescicale.

Vi sono importanti ghiandole associate al canale alimentare: fegato e


pancreas.

Il fegato è un organo parenchimatoso di tipo epiteliale, ha capacità


rigenerativa, è una grossa ghiandola, riccamente vascolarizzata (raccoglie
tutto il sangue del canale alimentare) e si trova in ipocondrio destro,
ipocondrio sinistro ed epigastrio; la forma complessiva è di un ovoide
incompleto; presenta 2 lobi, destro e sinistro, divisi dal legamento falciforme
(risultato delle lamine destra e sinistra del peritoneo); all’interno contiene il
legamento rotondo, residuo della vena ombelicale (presenta nella vita fetale).
Le funzioni principali del fegato sono: produrre bile, intervenire nel
metabolismo dei carboidrati, regolando la trasformazione del glucosio in
glicogeno (riserva energetica), nella sintesi delle proteine plasmatiche, nella
detossificazione.
L’unità funzionale è l’epatocito, la cellule epatica: in teoria basterebbe anche
una sola cellula per continuare l’attività del fegato.
La faccia inferiore del fegato ha forma di H, presenta 3 segmenti, due
sagittali, destro e sinistro, e uno trasversale, e 4 lobi, destro, sinistro,
quadrato anteriormente e caudato posteriormente.
A destra, posteriormente si trova la fossa della vena cava inferiore, che riceve
le vene epatiche e che si continua anteriormente con la fossa cistica, la quale
contiene la cistifellea o colecisti, serbatoio di bile.
Il segmento trasversale corrisponde all’ilo, attraverso cui passano arteria
epatica, vena porta e dotti epatici destro e sinistro.
A sinistra, si trovano i residui di ciò che permette nella vita fetale di bypassare
il circolo portale, ovvero posteriormente il dotto di Aranzio e anteriormente la
vena ombelicale.
La faccia inferiore presenta anche delle impronte dovute ai rapporti
anatomici: a destra impronta renale e colica, medialmente impronta
duodenale, a sinistra impronta gastrica ed esofagea.
La parte posteriore del fegato presenta un’area libera, con un rivestimento
capsulare (capsula di Glisson), priva del rivestimento peritoneale, in quanto in
questa zona il peritoneo va ad avvolgere il diaframma.
L’unità morfo-funzionale del fegato è il lobulo epatico, struttura esagonale,
che nella parte centrale presenta la vena centro-lobulare e nella periferia
presenta la triade portale e questo è un esempio di rete mirabile venosa,
poiché dei capillari sanguigni sono interposti tra due vene, la centro-lobulare
e dei rami della vena porta: le triadi sono costituite da tre elementi, un ramo
dell’arteria epatica, un ramo della vena porta e un condotto biliare; dalla
triade il sangue prende la via dei cosiddetti sinusoidi epatici (capillari
sanguigni intervallati ai cordoni di epatociti) verso la vena centro-lobulare (da
qui poi si passa alle vene epatiche e alla vena cava inferiore).
Nel parenchima epatico, si trovano diversi tipi di cellule: oltre agli epatociti, le
cellule di Kupffer, che svolgono funzione macrofagica, e le cellule di ito o
lipociti, la cui funzione non è chiara, ma sembrano essere coinvolte nella
sintesi di materiale fibroso (soprattutto fibre collagene).
Il fegato presenta poli vascolari e poli biliari: i primi contengono i sinusoidi,
pieni di sangue che deve essere trasformato e rimesso in circolo; gli altri
devono far defluire la bile prodotta dagli epatociti e rappresentano le prime
vie biliari.
Le vie biliari sono costituite da capillari (costituti dagli epatociti), canalicoli
biliari (alla periferia del lobulo), canali di Hering (hanno parete propria), canali
biliari intraepatici e vie biliari extraepatiche (che emergono dall’organo). I dotti
extraepatici emergono dal lobo destro e dal lobo sinistro, si uniscono e
formano il dotto epatico comune, che prosegue verso il basso per 3-4 cm e
riceve il dotto cistico (proviene dalla cistifellea): dall’incontro di questi due
dotti si forma il coledoco, che si porta nella parete mediale della parte
discendente del duodeno. La produzione di bile è un processo continuativo,
al contrario della sua immissione nel duodeno: infatti nel punto di
convergenza di duodeno e coledoco, è presente il cosiddetto sfintere di Oddi
(muscolatura liscia), che si chiude in condizioni di digiuno, in maniera tale che
la bile risalga in maniera retrograda attraverso il coledoco e venga
immagazzinata nella cistifellea.
La bile contiene pigmenti come bilirubina (si può trovare in due forme, quella
libera, legata all’albumina, e quella diretta, legata all’acido glucuronico) e
biliverdina, che le conferiscono un colore giallo-verdastro, e sali (tensioattivi),
come taolocolato e glicocolato di sodio, che riducono la tensione superficiale
delle molecole lipidiche (vengono scomposte e poi assorbite dall’intestino);
quindi il principale compito della bile è scomporre i grassi, che possono
essere digeriti; viene poi eliminata con le feci (come stercobilirogeno) o con
l’urina (come urobilirogeno).
Il pancreas è un organo retro peritoneale, è molto vicino al duodeno, è in
rapporto con lo stomaco e la milza ed è diviso in due componenti.
La componente endocrina è riferita alla produzione di 3 ormoni, che regolano
la quantità di glucosio nel sangue, ovvero la glicemia, da parte delle 3 isole di
Langerhans: l’ produce glicagone (iperglicemizzante), la  produce insulina
(che se viene a mancare causa il diabete, in quanto il glucosio nel sangue è
inutilizzabile) e la  produce somatostatina (che regola l’equilibrio tra
glucagone e insulina).
La componente esocrina, invece, dipende dall’attività delle ghiandole tubulo-
cinose, che secernono succo pancreatico che viene riversato nel dotto
pancreatico maggiore (attraverso il pancreas in tutta la sua lunghezza) e nel
dotto pancreatico minore (condotto più piccolo); questi vengono poi riversati
nel duodeno. Il succo pancreatico è alcàlino, deve impedire l’attivazione di
enzimi litici per proteine, zuccheri, lipidi e acidi nucleici; quando si mescola
nel duodeno con il chimo, subisce una variazione di pH, tale da permettere
l’attivazione degli enzimi litici e determinare l’assimilazione intestinale delle
molecole, fase successiva alla digestione.

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