I trattati
I trattati della musica greca non sono trattati di musica secondo il significato che noi diamo oggi al
termine. Essi sviluppavano soprattutto il problema della suddivisione dell'ottava e la teoria degli intervalli.
L'approccio era prevalentemente matematico. Una tradizione millenaria pone all'origine della trattatistica
greca il nome del filosofo e matematico Pitagora di Samo (sec. VI a.C.). Dopo essere stato in Egitto e in
Mesopotamia, si stabilì nella Magna Grecia e a Crotone fondò una scuola filosofica. A lui e ai suoi seguaci
si è fatta risalire l'adozione del monocordo per definire i rapporti degli intervalli consonanti mediante le
suddivisioni d'una corda. Il sistema pitagorico però ci è noto solo indirettamente (Pitagora non lasciò
scritti), attraverso una tradizione che fu formulata in trattati di epoca molto più tarda di Gaudenzio, di
Nicomaco e soprattutto nel «De institutione musica» di Boezio. [Vedi capitolo VII] Storicamente la
trattatistica greca ebbe origine più tarda e se ne considera il più autorevole esponente Aristosseno di
Taranto, discepolo di Aristotele (sec. III a.C.), autore dei fondamentali «Elementa harmonica» ed
«Elementa rhytmica».
La nostra conoscenza della teoria musicale greca si basa soprattutto sull'opera di Aristosseno, ripresa e
integrata dagli apporti dei suoi seguaci, gli "armonisti". Nelle epoche ellenistica e romana i trattatisti
furono nume rosi. Ricordiamo: il matematico Euclide (IV III sec. a.C.); il dialogo «De musica» attribuito
a Plutarco (III sec. d.C.) il geografo alessandrino Claudio Tolomeo (II sec. d.C.) Aristide Quintiliano (II
sec. d.C.), autore di un «De musica», importante per l'approfondita trattazione della materia Alipio (IV
sec. d.C.) la cui «Introduzione alla musica» contiene delle Tavole che hanno fornito la chiave per
trascrivere le musiche greche a noi pervenute.
Le musiche
È stato scritto che le composizioni greche, o le parti superstiti di esse, pervenute fino a noi non
raggiungono, tutte insieme, l'estensione di una Sonata per violino solo di Bach. Sono in tutto una ventina
di brani sparsi, scritti su pietra o su papiro; variamente mutili; la maggior parte di essi è posteriore al III
secolo a.C. Esse sono: un frammento del primo stasimo (canto corale) della tragedia Oreste di Euripide,
su papiro (V sec. a.C.); un frammento, forse di tragedia, su papiro, conservato al Cairo (fine del III sec. a
C.) 2 inni delfici in onore di Apollo, il primo in notazione vocale, il secondo strumentale, appartenenti al
tempio chiamato il Tesoro degli Ateniesi di Delfi, incisi su pietra (ca. 150 a.C.) l'Epitaffio di Sìcilo, inciso
su un cippo funerario scoperto a Tralles, nell'Asia minore (II o I sec. a.C.); Peana sul suicidio di Aiace, su
papiro conservato a Berlino (ca. 160 d.C.); 3 inni alla musa Calliope, al Sole, a Nemesi, di Mesomede di
Creta, musico dell'imperatore Adriano (II sec. d.C. Pubblicati nel «Dialogo della musica antica e della
moderna», 1581, da Vincenzo Galilei, che però non li seppe trascrivere); [Vedi capitolo XIII]. 3 frammenti
vocali e 2 strumentali di Contrapollinopolis (II sec. d.C.).
È probabilmente falso il frammento della prima «Ode pitica» di Pindaro pubblicato nella «Musurgia
universalis» (1650) di padre Attanasio Kircher. Il confronto fra il numero irrilevante di musiche greche
giunte fino a noi con la assai copiosa produzione in versi, di ogni genere letterario e per la maggior parte
destinata non alla lettura ma al canto, conduce ad una probabile spiegazione: la musica veniva trasmessa
oralmente, insieme alle sue parole. Ciò non deve stupire: l'etnomusicologia ci ha insegnato che la
trasmissione orale è l'unico veicolo per la musica delle culture primitive e delle prime civiltà. Lo fu
evidentemente anche per i greci, oltre che per i romani e per i canti dei primi secoli del cristianesimo.
La musica greca delle epoche arcaica e classica (fino al VIV sec.) fu trasmessa oralmente e tramandata
attraverso la memoria. Aveva caratteri di variazioni improvvisate, ma queste si svolgevano rigorosamente
sulla base di nuclei melodici che fungevano da moduli; essi erano noti con il nome di nomos, che
letteralmente significava norma, legge, ma anche melodia tradizionale.
Oltre ai nomoi citarodici e aulodici, cioè per canto accompagnato dalla cetra e dall'aulo (vedi più avanti),
ci furono in seguito nomoi auletici e anche citaristici, per aulo e per cetra sola.
La notazione
L'esistenza della notazione, che risale solo al IV secolo a.C., non contraddice la condizione di documento
orale comune al patrimonio di canti della Grecia antica. La scrittura musicale greca non aveva, si ritiene,
il valore di mezzo di comunicazione che ebbe, a partire dalla fine del primo millennio dell'era volgare, la
notazione neumatica [Vedi capi tolo VI.], ma serviva solo ai musicisti professionisti per loro uso privato.
C'erano due tipi di notazione, chiamati vocale e strumentale. La notazione vocale impiegava, con poche
varianti, i segni dell'alfabeto greco maiuscolo; la notazione strumentale segni derivati forse dall'alfabeto
fenicio e usati diritti, inclinati o capovolti.
LA TEORIA
I. La ritmica
Nella poesia delle lingue moderne la metrica è regolata dal numero di sillabe che compongono ciascun
verso (per esempio: 7 nei settenari, 10 nei decasillabi ecc.) e dalla disposizione degli accenti tonici (metrica
accentuativa). Nella poesia greca e in quella latina, invece, la metrica era governata dalla successione,
secondo schemi prefissati, di sillabe lunghe e di sillabe brevi (metrica quantitativa). Da questi schemi
derivavano le alternanze fra tempi forti e tempi deboli, cioè il ritmo.
La ritmica greca si estendeva all'intera area delle cosiddette "arti del movimento" o "del tempo", e quindi
la musica adottava gli stessi principi metrici che regolavano la poesia. Elemento fondamentale e
indivisibile della metrica greca era considerato il tempo primo, misura della sillaba breve. La breve si
indicava con il segno «U » e corrispondeva alla durata di una croma, mentre la lunga si indicava con il
segno « _ » e corrispondeva alla durata di due brevi UU e quindi di una semiminima. Successivamente
furono impiegate delle lunghe corrispondenti a 3, a 4 e a 5 brevi, che nella notazione ritmica furono
indicate con le figurazioni, , e 4. Il ritmo si produce solo quando ci sono due o più note o sillabe, cioè più
brevi e lunghe; esse si ordinavano in schemi ritmici chiamati piedi. La metrica greca contemplava un
numero considerevolmente alto di piedi differenti (circa 25), costituiti da 2, 3, 4, 5, 6 o 7 tempi primi.
I piedi più comuni erano i seguenti: piedi di 2 tempi primi (= 2/8):
pirrichio = U U piedi di 3 tempi primi (= 3/8): giambo = U _.
trocheo = _ U.
tribraco = U U U piedi di 4 tempi primi (= 2/4):
dattilo = _ U U.
anapesto = U U _.
spondeo = _ _
Nella poesia i piedi si raggruppavano in combinazioni varie a formare i versi, e i versi a formare le strofe.