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CAPITOLO III: IL MONDO CLASSICO

La musica dei greci e dei romani

L'EREDITA' DELLA MUSICA GRECA


La civiltà europea ebbe culla e matrice nella Grecia antica. Un filo continuo che attraversa i secoli lega la
filosofia, la letteratura, le arti figurative nate in Grecia alle espressioni del pensiero, della poesia e dell'arte
delle età successive fino ad oggi. Lo stesso si può affermare della musica, ma con una notevole limitazione.
Infatti, mentre conserviamo e ammiriamo le opere dei filosofi, degli storiografi, degli scrittori di tragedie
e dei poeti; mentre sono sotto gli occhi di tutti i resti di architetture e sculture greche, conosciamo
pochissime musiche dei greci, e queste poche sono frammentarie e risalgono alle età postclassiche.
L'elemento di continuità tra il mondo della civiltà musicale ellenica e quella dell'occidente europeo è
costituito principalmente dal sistema teorico greco, che fu fatto proprio dai romani e da essi trasmesso al
medioevo cristiano. Il sistema diatonico, con le scale di sette suoni e gli intervalli di tono e di semitono,
che sono tuttora base del nostro linguaggio musicale e della nostra teoria, è l'erede e il continuatore del
sistema musicale greco. Altri aspetti comuni alla musica greca e ai canti della liturgia cristiana dei primi
secoli dell'era volgare furono il carattere rigorosamente monodico della musica e la sua stretta unione con
le parole del testo.

IMPORTANZA E LIMITI DELLE FONTI


La nostra conoscenza della civiltà musicale dei greci si basa in larga parte su un'ampia documentazione
di testi lette rari, storici e filosofici e su significative testimonianze iconografiche; minore importanza
rivestono, in questo quadro generale, i trattati di teoria musicale, e quasi nessuna le musiche. Di musica
si parla frequentemente nelle fonti scritte, in prosa e in poesia, perché intensa era l'attività musicale dei
greci. Essa si estendeva a molte forme di vita associata dei cittadini, dalle feste religiose ai giochi agonistici
all'insegnamento, e interessava anche momenti più privati, per esempio i banchetti. Le fonti narrative e
liriche hanno un riscontro illustrativo nelle copiose raffigurazioni di scene musicali, di strumenti, di danze
che decorano anfore, piatti, vasi eccetera e, meno numerose, nelle sculture e nei bassorilievi.

I trattati
I trattati della musica greca non sono trattati di musica secondo il significato che noi diamo oggi al
termine. Essi sviluppavano soprattutto il problema della suddivisione dell'ottava e la teoria degli intervalli.
L'approccio era prevalentemente matematico. Una tradizione millenaria pone all'origine della trattatistica
greca il nome del filosofo e matematico Pitagora di Samo (sec. VI a.C.). Dopo essere stato in Egitto e in
Mesopotamia, si stabilì nella Magna Grecia e a Crotone fondò una scuola filosofica. A lui e ai suoi seguaci
si è fatta risalire l'adozione del monocordo per definire i rapporti degli intervalli consonanti mediante le
suddivisioni d'una corda. Il sistema pitagorico però ci è noto solo indirettamente (Pitagora non lasciò
scritti), attraverso una tradizione che fu formulata in trattati di epoca molto più tarda di Gaudenzio, di
Nicomaco e soprattutto nel «De institutione musica» di Boezio. [Vedi capitolo VII] Storicamente la
trattatistica greca ebbe origine più tarda e se ne considera il più autorevole esponente Aristosseno di
Taranto, discepolo di Aristotele (sec. III a.C.), autore dei fondamentali «Elementa harmonica» ed
«Elementa rhytmica».
La nostra conoscenza della teoria musicale greca si basa soprattutto sull'opera di Aristosseno, ripresa e
integrata dagli apporti dei suoi seguaci, gli "armonisti". Nelle epoche ellenistica e romana i trattatisti
furono nume rosi. Ricordiamo: il matematico Euclide (IV III sec. a.C.); il dialogo «De musica» attribuito
a Plutarco (III sec. d.C.) il geografo alessandrino Claudio Tolomeo (II sec. d.C.) Aristide Quintiliano (II
sec. d.C.), autore di un «De musica», importante per l'approfondita trattazione della materia Alipio (IV
sec. d.C.) la cui «Introduzione alla musica» contiene delle Tavole che hanno fornito la chiave per
trascrivere le musiche greche a noi pervenute.

Le musiche
È stato scritto che le composizioni greche, o le parti superstiti di esse, pervenute fino a noi non
raggiungono, tutte insieme, l'estensione di una Sonata per violino solo di Bach. Sono in tutto una ventina
di brani sparsi, scritti su pietra o su papiro; variamente mutili; la maggior parte di essi è posteriore al III
secolo a.C. Esse sono: un frammento del primo stasimo (canto corale) della tragedia Oreste di Euripide,
su papiro (V sec. a.C.); un frammento, forse di tragedia, su papiro, conservato al Cairo (fine del III sec. a
C.) 2 inni delfici in onore di Apollo, il primo in notazione vocale, il secondo strumentale, appartenenti al
tempio chiamato il Tesoro degli Ateniesi di Delfi, incisi su pietra (ca. 150 a.C.) l'Epitaffio di Sìcilo, inciso
su un cippo funerario scoperto a Tralles, nell'Asia minore (II o I sec. a.C.); Peana sul suicidio di Aiace, su
papiro conservato a Berlino (ca. 160 d.C.); 3 inni alla musa Calliope, al Sole, a Nemesi, di Mesomede di
Creta, musico dell'imperatore Adriano (II sec. d.C. Pubblicati nel «Dialogo della musica antica e della
moderna», 1581, da Vincenzo Galilei, che però non li seppe trascrivere); [Vedi capitolo XIII]. 3 frammenti
vocali e 2 strumentali di Contrapollinopolis (II sec. d.C.).
È probabilmente falso il frammento della prima «Ode pitica» di Pindaro pubblicato nella «Musurgia
universalis» (1650) di padre Attanasio Kircher. Il confronto fra il numero irrilevante di musiche greche
giunte fino a noi con la assai copiosa produzione in versi, di ogni genere letterario e per la maggior parte
destinata non alla lettura ma al canto, conduce ad una probabile spiegazione: la musica veniva trasmessa
oralmente, insieme alle sue parole. Ciò non deve stupire: l'etnomusicologia ci ha insegnato che la
trasmissione orale è l'unico veicolo per la musica delle culture primitive e delle prime civiltà. Lo fu
evidentemente anche per i greci, oltre che per i romani e per i canti dei primi secoli del cristianesimo.
La musica greca delle epoche arcaica e classica (fino al VIV sec.) fu trasmessa oralmente e tramandata
attraverso la memoria. Aveva caratteri di variazioni improvvisate, ma queste si svolgevano rigorosamente
sulla base di nuclei melodici che fungevano da moduli; essi erano noti con il nome di nomos, che
letteralmente significava norma, legge, ma anche melodia tradizionale.
Oltre ai nomoi citarodici e aulodici, cioè per canto accompagnato dalla cetra e dall'aulo (vedi più avanti),
ci furono in seguito nomoi auletici e anche citaristici, per aulo e per cetra sola.

La notazione
L'esistenza della notazione, che risale solo al IV secolo a.C., non contraddice la condizione di documento
orale comune al patrimonio di canti della Grecia antica. La scrittura musicale greca non aveva, si ritiene,
il valore di mezzo di comunicazione che ebbe, a partire dalla fine del primo millennio dell'era volgare, la
notazione neumatica [Vedi capi tolo VI.], ma serviva solo ai musicisti professionisti per loro uso privato.
C'erano due tipi di notazione, chiamati vocale e strumentale. La notazione vocale impiegava, con poche
varianti, i segni dell'alfabeto greco maiuscolo; la notazione strumentale segni derivati forse dall'alfabeto
fenicio e usati diritti, inclinati o capovolti.

[...] SIGNIFICATO DEL NOME "MUSICA".


IL CANTO E GLI STRUMENTI
Il nome "musica" non aveva per i greci il significato che assunse in seguito e che oggi riconosciamo.
Musica era aggettivo derivante da Muse, e conglobava insieme la musica, la poesia e la danza, elementi di
una cultura in prevalenza orale nella quale il canto e il suono, la parola e il gesto erano unificati.
L'aspetto emergente della musica greca era il canto, che poteva essere corale (corodia) o solistico
(monodia). La corodia prevalse tra il VII e il V secolo a.C.; successivamente fu impiegata solo per
cerimonie religiose o celebrative. Forme della lirica corale furono: il peana in onore di Apollo, il ditirambo
in onore di Dioniso, l'imeneo, canto di nozze, il trenos, canto funebre, il partenio eseguito da cori di
fanciulle, gli inni in onore degli dei e degli uomini, le melodie processionali dette prosódia, gli epinici in
onore dei vincitori dei giochi panellenici.
Monodia fu un termine comune alla poesia dorica e ionica (Archiloco, Alceo, Saffo, Anacreonte) e alla
musica che la accompagnava. Monodiche furono anche le intonazioni con cui si declamavano i poemi
omerici e la lirica delle epoche alessandrina e romana.
Il coro greco (di voci bianche o di voci maschili) cantava all'unisono, sostenuto dalla lira o dall'aulo. Era
consentito variare, con voci o strumenti, la melodia contemporanea mente eseguita nel modo tradizionale.
Questo procedimento aveva nome eterofonia.
Gli strumenti usati dai greci erano molti, ma due primeggiavano: la lira e l'aulo. La lira o cetra era ritenuta
di origine ellenica e sacra al culto di Apollo. Era formata da una cassa di risonanza dalle cui estremità
salivano due bracci collegati in alto da un giogo. Tra la cassa e il giogo erano tese le corde: dapprima 4,
poi 7 (secondo la tradizione da Terprando, VII secolo a.C.), poi un numero maggiore. Si suonava
pizzicando le corde con un plettro solitamente d'avorio. Varietà della lira erano la forminx degli aedi, la
pectis lidia, la grande magadis.
L'aulo era uno strumento a fiato ad ancia doppia, simile quindi al nostro oboe. Importato dalla Frigia
asiatica, era sacro al culto di Dionisio.
Nell'uso, più dell'aulo semplice era diffuso l'aulo doppio che l'esecutore imboccava insieme. Una striscia
di cuoio che gli girava intorno al capo lo aiutava a fermare tra le labbra le imboccature dei due strumenti.
Altri strumenti erano la siringa, simile al flauto diritto; il flauto di Pan o policalamo, formato da 7 canne
disposte una vicina all'altra e di altezza degradante; la salpinx o tromba.
Tra gli strumenti a percussione si ricordano i tamburi, i cimbali (piatti), i sistri e i crotali.

LA TEORIA
I. La ritmica
Nella poesia delle lingue moderne la metrica è regolata dal numero di sillabe che compongono ciascun
verso (per esempio: 7 nei settenari, 10 nei decasillabi ecc.) e dalla disposizione degli accenti tonici (metrica
accentuativa). Nella poesia greca e in quella latina, invece, la metrica era governata dalla successione,
secondo schemi prefissati, di sillabe lunghe e di sillabe brevi (metrica quantitativa). Da questi schemi
derivavano le alternanze fra tempi forti e tempi deboli, cioè il ritmo.
La ritmica greca si estendeva all'intera area delle cosiddette "arti del movimento" o "del tempo", e quindi
la musica adottava gli stessi principi metrici che regolavano la poesia. Elemento fondamentale e
indivisibile della metrica greca era considerato il tempo primo, misura della sillaba breve. La breve si
indicava con il segno «U » e corrispondeva alla durata di una croma, mentre la lunga si indicava con il
segno « _ » e corrispondeva alla durata di due brevi UU e quindi di una semiminima. Successivamente
furono impiegate delle lunghe corrispondenti a 3, a 4 e a 5 brevi, che nella notazione ritmica furono
indicate con le figurazioni, , e 4. Il ritmo si produce solo quando ci sono due o più note o sillabe, cioè più
brevi e lunghe; esse si ordinavano in schemi ritmici chiamati piedi. La metrica greca contemplava un
numero considerevolmente alto di piedi differenti (circa 25), costituiti da 2, 3, 4, 5, 6 o 7 tempi primi.
I piedi più comuni erano i seguenti: piedi di 2 tempi primi (= 2/8):
pirrichio = U U piedi di 3 tempi primi (= 3/8): giambo = U _.
trocheo = _ U.
tribraco = U U U piedi di 4 tempi primi (= 2/4):
dattilo = _ U U.
anapesto = U U _.
spondeo = _ _
Nella poesia i piedi si raggruppavano in combinazioni varie a formare i versi, e i versi a formare le strofe.

II. Generi, modi, armonie, sistema perfetto


La base del sistema musicale greco era costituita dal tetracordo, una successione di quattro suoni
discendenti compresi nell'ambito di un intervallo di quarta giusta. I suoni estremi di un tetracordo erano
fissi; quelli interni erano mobili. L'ampiezza degli intervalli di un tetracordo caratterizzava i 3 generi della
musica greca: diatonico, cromatico, enarmonico: [...] Il tetracordo di genere diatonico era costituito da 2
intervalli di tono e uno di semitono; era il genere più antico e diffuso.
Il tetracordo di genere cromatico era costituito da un intervallo di terza minore e 2 intervalli di semitono;
il tetracordo di genere enarmonico era costituito da un intervallo di terza maggiore e 2 microintervalli di
un quarto di tono.
Nei tetracordi di genere diatonico la collocazione dell'unico semitono distingueva i tre modi: dorico, frigio
e lidio: [...] Il tetracordo dorico aveva il semitono al grave. Di origine greca, era il modo nazionale; molto
più di un semplice modo, era la "formatipo del genere diatonico" (C. Sachs).
Il tetracordo frigio aveva il semitono al centro. Era probabilmente di origine orientale, come il tetracordo
lidio in cui il semitono stava all'acuto.
I tetracordi erano di solito accoppiati a due a due; potevano essere disgiunti o congiunti. L'unione di due
tetracordi formava un'armonia: [...] Diazeusi (= disgiunzione) era chiamato il punto di distacco fra due
tetracordi disgiunti; sinafé (= congiunzione) il punto in cui si univano due tetracordi congiunti.
Se in ogni armonia si abbassava di un'ottava il tetracordo superiore, si ottenevano gli ipomodi (ipodorico,
ipofrigio, ipolidio), che erano congiunti; congiunti erano anche gli ipermodi (iperdorico, iperfrigio,
iperlidio), ottenuti alzando di un'ottava il tetracordo inferiore.
Se ad un'armonia dorica disgiunta si aggiungeva un tetracordo congiunto all'acuto, un tetracordo
congiunto al grave e sotto a quest'ultimo una nota (proslambanòmenos), si otteneva il sistema téleion (o
sistema perfetto), che abbracciava l'estensione di due ottave.
Esso fu elaborato nel IV secolo a.C. [...] E importante ricordare che le note indicate negli esempi dei
tetracordi, delle armonie e del sistema perfetto non indica vano l'altezza assoluta dei suoni, ma solo i
rapporti che esistevano fra gli intervalli che li costituivano. Nella pratica si seguiva abitualmente l'uso della
trasposizione tonale, come ci è testimoniato dalle Tavole di Alipio.

LA DOTTRINA DELL'ETHOS E L'EDUCAZIONE


Un tratto comune a molte civiltà musicali dell'antichità (Cina, India, Israele, Islam, Grecia) fu la
convinzione che la musica potesse influire in senso positivo o negativo sul comportamento morale degli
uomini e sui loro costumi. Presso i greci questa concezione psicologica assunse i caratteri di una
particolare dottrina, la dottrina dell'ethos. Essa indicò le relazioni esistenti tra alcuni aspetti del linguaggio
musicale e determinati stati d'animo. Le differenti potenzialità emotive della musica riguardavano
principalmente le armonie, cioè le melodie, ma potevano anche riferirsi ai ritmi e agli strumenti.
La dottrina dell'ethos ebbe la prima elaborazione nell'ambito della scuola pitagorica, ma venne sviluppata
sistematicamente solo a partire dal V secolo a.C. ad opera di Damone di Atene, e successivamente da
Platone e da Aristotele. Il nucleo centrale della dottrina consisteva nel riconoscere che ad ogni armonia
era attribuito un proprio ethos, cioè un carattere o sentimento. Per esempio, secondo Platone (III libro
della «Repubblica»): l'armonia dorica era virile, grave; l'armonia frigia spontanea e dolce; l'armonia lidia
molle e conviviale; l'armonia misolidia lamentosa.
Il pensatore greco che per primo si occupò dell'importanza della musica nell'educazione fu l'ateniese
Damone, contemporaneo e amico di Pericle (V sec. a.C.). Nonostante non ci sia rimasto nessun scritto
di lui, il suo pensiero ci è sufficientemente noto attraverso varie testimonianze. Poiché la musica può
influire sulla formazione del carattere dei giovani, Damone riteneva necessario distinguere le armonie e i
ritmi buoni dai cattivi, e vigilare perché nella scuola si insegnassero e praticassero solo le armonie i ritmi
idonei a formare gli animi alla virtù e al coraggio.
Nella stessa direzione muoveva il pensiero di Platone (427 348 a.C.), in un quadro di riferimento
filosofico e pedagogico più vasto, che egli sviluppò soprattutto in due dialoghi: la «Repubblica» e le
«Leggi».
Nella «Repubblica» egli fece dire a Socrate: "Come sarà dunque questa educazione? Sembra difficile
scoprirne una migliore di quella che era adottata dai nostri vecchi: la ginnastica per il corpo, la musica per
l'anima". Per ginnastica si deve intendere la pratica sportiva (corse, scherma, equitazione, esercitazioni
premilitari), ma anche la danza, inseparabile dall'educazione musicale.
Collateralmente la musica, nel significato di canto e di suono della lira, occupava un posto importante
nell'educazione scolastica come la intendeva il filosofo ateniese.
Un rilievo minore ebbero i problemi educativi nel pensiero di Aristotele (384322 a.C.). In un passo
importante della «Politica» egli si interrogò sui fini della musica nell'educazione: "Le materie di
insegnamento consuete sono quattro: le lettere, la ginnastica, la musica e il disegno. Le lettere e il disegno
sono insegnati per la loro utilità pratica, la ginnastica perché dispone l'animo al coraggio; quanto alla
musica non c'è concordia di opinioni". Ed elenca tre possibilità: per divertimento o riposo? Perché è una
forza che spinge verso la virtù? Perché, mentre contribuisce al riposo, accresce la cultura della mente? I
vantaggi che si ricavano dalla musica erano prodotti, secondo Aristotele, dalla catarsi. Imitando le passioni
che opprimono l'uomo, la musica libera il suo animo dagli affanni.
LA MUSICA DEI ROMANI
Nonostante le testimonianze storiche e letterarie di importanti scrittori (tra i quali Cicerone, Svetonio,
Quintiliano, Sant'Agostino), ignoriamo se a Roma la musica abbia avuto caratteri originali, e la totale
mancanza di musiche non ci aiuta a chiarire la questione. Certamente però dopo la conquista della Grecia
(146 a.C.) la musica occupò un posto di rilievo nella vita pubblica e nei divertimenti del popolo romano.
In precedenza, modesta era stata la presenza della musica, di origini etrusche o italiche, abbinata anche a
spettacoli indigeni quali l'atellana e il fescennino.
Risale a questa prima fase la diffusione di strumenti di metallo di impiego militare: la buccina di forma
circolare, il lituus a canneggio diritto con il padiglione ripiegato all'indietro, la tuba di bronzo a canna
diritta. Di destinazioni pacifiche era invece la tibia, simile all'aulo greco.
L'attività musicale fu molto intensa durante gli ultimi decenni della Repubblica e crebbe nei primi due
secoli dell'Impero. L'imperatore Nerone (3778 d.C.), allievo del greco Terpno, iscritto all'albo dei citaredi,
amava esibirsi in pubblico e partecipare a competizioni citaristiche. Egli fu l'esponente più noto di una
voga che coinvolse anche ragguardevoli personaggi della vita pubblica. Canti monodici e corali di carattere
rituale erano considerati essenziali nelle solennità pubbliche quali i trionfi, nelle feste religiose, nei giochi.
Anche i romani ritenevano che la musica dovesse far parte della formazione scolastica dei giovani
appartenenti ai ceti più elevati.
Dopo l'annessione della Grecia, affluirono a Roma in gran numero cantanti, strumentisti e danzatori,
provenienti dalla Siria e dall'Egitto oltre che dalla Grecia. Crebbe il numero e la richiesta di musicisti
professionisti e aumentò la presenza della musica non solo durante i banchetti e gli spettacoli (mimi,
pantomime), ma anche nei circhi, durante i combattimenti dei gladiatori. Questi aspetti si accentuarono
durante la decadenza della civiltà romana. Poiché la musica era ormai associata solo a riti pagani, a
comportamenti sconvenienti, a spettacoli di sangue, i Padri della nascente Chiesa espressero la loro
avversione e proibirono ai cristiani di partecipare agli spettacoli. Tale atteggiamento riguardò sia le
composizioni vocali sia le strumentali.

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