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L’epistemologia si occupa dei problemi del sapere scientifico sia nel suo procedere logico sia nei metodi di
verifica.
In condizioni ideali l’errore casuale è nullo. In quelle reali ha sempre un suo peso.
Se potessimo fare infinite misurazioni di una stessa variabile, la sommatoria degli errori
casuali dovrebbe essere zero, così come la loro media, e il punteggio vero V diverrebbe la
media degli infiniti punteggi osservati X5.
L’attendibilità di uno strumento di misura viene definita come il rapporto tra la varianza
della parte vera e la varianza osservata o totale.
Dove ∂2 (X) è la varianza del punteggio osservato, ∂2 (V) la varianza del punteggio vero e
∂2 (E) la varianza dell’errore.
Tale formula esprime il coefficiente di attendibilità, che di fatto è una proporzione. Il limite
minimo dell’attendibilità è 0, il massimo 1.
Quindi l’attendibilità finisce per essere la proporzione di varianza vera rispetto alla varianza
standard totale prodotta dallo strumento di valutazione.
c. Il rapporto tra attendibilità e validità:
Attendibilità e validità sono due componenti fondamentali per eseguire una componente
adeguata. Tuttavia, esse non si collocano sullo stesso livello. L’attendibilità ci assicura che le
diverse misure siano coerenti tra loro, la validità che riflettano adeguatamente il costrutto
che volevamo misurare.
L’attendibilità è considerata la base della validità: senza attendibilità una misura non può
essere valida.
d. Diverse applicazioni dell’attendibilità:
Il concetto di attendibilità della teoria classica è un concetto generale sotto le cui ali
possono trovarsi notevoli applicazioni.
- L’attendibilità test-retest: misura la stabilità nel tempo delle risposte dei soggetti o i
cambiamenti nelle situazioni sperimentali;
- Le forme parallele o equivalenti: consiste nel somministrare agli stessi partecipanti nello
stesso momento due forme diverse dello strumento che misurano lo stesso costrutto.
- Consistenza interna e “split-half” di una scala o di un test: due metodi diversi per vedere
se i molteplici item sono correlati tra di loro mostrando maggiore o minore eterogeneità
nel contenuto.
- Consistenza interna di due o più osservatori, valutatori, giudici: misura l’accordo o il
disaccordo tra loro in ciascuna codifica eseguita. Questa consistenza interna viene detta
calibrazione.
e. L’”α” di Cronbach di una scala di misura:
È uno degli indici più utilizzati all’interno della psicologia sociale perché è un indice chiaro e
comprensibile per molti aspetti.
Supponiamo di avere una scala composta da 8 item, 4 da un lato e 4 dall’altro, calcoliamo
poi i punteggi totali di ciascun gruppo di item per ciascun soggetto e quindi correliamo
queste due misure. Abbiamo un primo coefficiente di correlazione. Poi dividiamo ancora gli
8 item in altri due gruppi della stessa numerosità, diversi dai precedenti e calcoliamo anche
qui la correlazione. Il processo procede nella stessa maniera fin quando non è stato
calcolato un coefficiente di correlazione per tutte le possibili suddivisioni a metà degli 8
item. Il coefficiente di α di Cronbach è dato dalla media di tutte le correlazioni. Viene infatti
definito come la media delle intercorrelazioni tra tutte le possibili divisioni a metà del test.
La ripetizione di Item simili è spesso in contrasto con le esigenze di brevità di una scala.
Inoltre scale simili possono nuocere alla validità nella misura in cui una parte del costrutto
viene iper-rappresentata a spese di altre parti importanti del costrutto. Questi problemi
sono correlati a due fenomeni conosciuti come:
- Paradosso dell’attenuazione: indica che l’incrementare oltre un limite la consistenza
interna di un test non aumenta necessariamente la validità di costrutto.
- Il dilemma della larghezza della banda: si riferisce al fatto che l’eccessivo restringimento
del contenuto della scala, non correla con nient’altro di interesse o rilevanza psicologica.
Invece l’eccessivo allargamento del contenuto ha un grosso potere predittivo rispetto ai
costrutti psicologicamente rilevanti, a spese però di comportamenti specifici.
f. Il “K” di Cohen di una griglia di osservazione:
È un coefficiente di attendibilità utilizzato principalmente quando ci sono due o più
valutatori che eseguono una stessa misurazione in genere basata su una forma di codifica o
classificazione nominale o ordinale.
supponiamo che un ricercatore voglia analizzare l’interazione in gruppi di persone
impegnate in un compito di problem solving. A tal fine utilizza una griglia di codifica.
Dopo aver registrato ogni seduta di interazione ed addestrato alcuni osservatori all’uso
dell’IPA, gli osservatori codificano ciascun evento interattivo di interesse di ciascuna seduta
sulla base delle categorie della griglia stessa. La principale fonte di errore è l’osservatore
stesso.
Perciò il concetto di base di attendibilità relativa ad un sistema di codifica è quello di
accordo: se due osservatori che osservano lo stesso materiale vanno d’accordo, allora il
sistema può dirsi attendibile.
La procedura per calcolare il K di Cohen è il seguente:
1. Addestrare i due osservatori all’uso della griglia;
2. Fargli codificare il materiale indipendentemente l’uno dall’altro;
3. Costruire la matrice di confusione che riporta in riga tutte le categorie del sistema di
riferimento al primo osservatore mentre in colonna quelle del secondo (O1 e O2) e nelle
celle la frequenza riferibile all’accordo tra i due osservatori rispetto a ciascuna categoria. La
matrice è costruita in modo che maggiore è l’accordo tra i due osservatori, maggiore sarà la
frequenza in celle in diagonale rispetto a quelle fuori dalla diagonale.
La soluzione tradizionale è la proporzione di accordo che consiste nel rapporto tra tutti gli
accordi e la somma degli accordi più i disaccordi. Si tratta di sommare le frequenze nelle
celle in diagonale e dividerle per le frequenze totali della matrice di confusione. Questo
indice varia tra 0 e 1 indicando con 0 assenza totale di accordo e con 1 il massimo accordo.
2. Validità:
a. Validità di contenuto:
La validità di contenuto è un aspetto della validità alquanto controverso. Viene stabilita
dimostrando che gli item utilizzati per la misurazione sono un campione rappresentativo
dell’universo del contenuto degli item rilevanti per quel costrutto.
Può essere definita come il grado in cui gli item che fanno parte dello strumento
costituiscono un campione rappresentativo dell’universo dei comportamenti possibili
relativi al costrutto che si vuole misurare.
Secondo alcuni, pur essendo un aspetto centrale nella misurazione, non dovrebbe essere
considerata validità di costrutto perché una definizione effettiva di costrutto implica un
dominio di contenuto.
Ogni ricercatore deve soppesare la presenta rappresentatività di un item rispetto
all’universo immaginabile.
Un ultimo aspetto che a volte viene fatto rientrare nella validità di contenuto riguarda la
validità di facciata, cioè il grado in cui gli item utilizzati appaiono ragionevoli o sensibili,
come indicatori di costrutto che si vuole misurare alle persone a cui è diretto quel test o
anche a quelle che lo usano.
b. Validità di criterio o esterna:
È il grado di corrispondenza tra la misura e una variabile esterna, diversa dal costrutto
originario, che si assume come criterio di riferimento.
Quando il criterio è concomitante con il costrutto di cui si vuole stabilire la validità di
criterio, si parla di validità concorrente, quando il criterio è differito nel tempo si parla
validità predittiva.
Procedura per determinare la validità di criterio: si usano tre metodi:
1) si usa spesso per stabilire la validità concorrente e consiste nell’eseguire una
correlazione tra il test e il criterio;
2) Si usa invece per stabilire la validità predittiva e consiste nell’applicare tecniche di
regressione al criterio;
3) Si applica a entrambi e consiste nel verificare se il test discrimina tra due o più gruppi di
soggetti che sulla base delle proprie caratteristiche dovrebbero differenziarsi per la
caratteristica misurata.
c. Validità di costrutto:
Viene definita come il grado in cui uno strumento misura ciò che intende misurare.
Secondo l’approccio più diffuso, una misurazione ha validità di costrutto quando essa
correla con misurazioni dello stesso costrutto fatte con metodi diversi e non correla invece
con misurazioni di costrutti diversi. Perciò essa è composta da due aspetti:
1. Validità convergente: il grado di accordo tra due misurazioni dello stesso costrutto fatte
con metodi diversi.
2. Validità divergente: il grado di discriminazione tra due misure di costrutti diversi. Questo
approccio è stato il primo che ha formalizzato queste definizioni all’interno di un approccio
sistematico che incrocia misure di diversi costrutti eseguite con metodi differenti, detto
metodo della matrice multi tratto-multi metodo (MTMM).
La validità di costrutto di uno strumento di misura è alta quando questo strumento riesce a
misurare il costrutto in modo che tale strumento utilizzato non è essenziale nella
misurazione del costrutto stesso e quando lo strumento misura quel costrutto in modo tale
che esso sia non correlato con costrutti diversi.
d. Validità nomologica:
Gli autori che sostengono una concezione integrata della validità di costrutto l’hanno
definita in questo modo, ovvero come il grado in cui il costrutto che vogliamo misurare si
inserisce in una serie di relazioni, predittive, positive o negative o nulle, tra costrutti e
criteri appositamente definiti. In questo caso non c’è un solo criterio ma molte misure
all’interno di una rete nomologica o di relazioni tra costrutti.
𝑇2 + 𝑇5 𝑇4 + 𝑇6
−
2 2
Questa è chiamata anche effetto principale del fattore sperimentale perché misura l’effetto del solo trattamento.
2. Permette di verificare se la presenza della prova preliminare produce qualche
effetto sul rendimento dei soggetti.
𝑇2 + 𝑇4 𝑇5 + 𝑇6
−
2 2
Se questa differenza risulta positiva e statisticamente significativa, si deve dire che è presente l’effetto principale della pro
3. Consente anche di controllare se esiste una integrazione tra prova preliminare e trattamento.
𝑇2 + 𝑇6 𝑇5 + 𝑇4
−
2 2
La validità offerta da questo disegno è quindi assai interessante, in quanto permette il controllo e la misura sia degli effett
− test, sia degli effetti di interazione tra pre − test e trattamento.
b. Piani entro i gruppi con una sola variabile indipendente:
I disegni entro i gruppi, comportano che tutti i soggetti siano sottoposti a tutte le condizioni
sperimentali.
i. Disegno a misure ripetute semplice:
a) Ogni soggetto è sottoposto a tutti i livelli della variabile indipendente; perciò i
punteggi di ogni condizione sono correlati tra loro;
b) Ogni soggetto viene valutato più di una volta sulla variabile dipendente;
c) il confronto critico consiste nel calcolare la differenza dei punteggi ottenuti dai
soggetti nelle due o più condizioni sperimentali.
Quando viene usato in modo appropriato, il disegno entro i soggetti presenta i
seguenti vantaggi:
1. Garantisce l’equivalenza dei gruppi rispetto a variabili importanti nelle varie
condizioni prima dell’esperimento.
2. È molto sensibile agli effetti della variabile indipendente rispetto ai disegni tra
gruppi.
3. L’attuazione corretta di questo piano comporta un numero di soggetti minore di
un disegno tra gruppi.
4. L’efficacia di questo disegno è aumentata dal fatto che non è necessario
impartire le istruzioni più volte perché ad essere sottoposti a più condizioni sono gli
stessi soggetti.
Il disegno entro i soggetti comporta anche dei limiti non trascurabili, primo fra tutti
l’effetto dell’ordine e della sequenza.
ii. Disegno controbilanciato entro i soggetti:
Viene adoperato quando ci si trova di fronte alle seguenti situazioni:
a) Non è possibile assegnare casualmente i soggetti ai vari livelli del trattamento
perché i gruppi devono rimanere intatti.
b) I livelli della variabile indipendente sono più di uno;
c) Il numero dei soggetti è limitato;
d) Non c’è la possibilità di applicare il pre-test;
Procedura:
1. Ogni gruppo di soggetti viene sottoposto ad ogni variazione della variabile
indipendente. Ogni gruppo è sottoposto a un livello per volta, ogni condizione di
trattamento precede e segue ogni altra condizione in eguale numero di volte.
2. Quando sono terminate tutte le sessioni, viene calcolata la media di ogni
variazione di X per ciascuna colonna. Il risultato è il punteggio medio di tutti i
gruppi che sono stati sottoposti alla particolare condizione del trattamento indicata
in testa alla rispettiva colonna.
a) il disegno controbilanciato elimina le differenze dovute al fatto che i gruppi
possono non essere equivalenti, poiché sottopone tutti i soggetti a tutte le
condizioni del trattamento.
b) Non controlla eventuali effetti di interazione;
c) Non controlla gli effetti di sequenza. Se questi esistono, si deve interporre una
certa pausa tra una prova e l’altra, in modo da consentire la dissoluzione di tale
influenza.
4. Disegni con più variabili indipendenti o disegni fattoriali:
Nella ricerca psicologica molto spesso è necessario analizzare l’effetto combinato di due o più
variabili indipendenti. In tal caso ci si trova di fronte ai cosiddetti disegni fattoriali. In un disegno
fattoriale la variabile dipendente è sempre quantitativa. E la tecnica statistica adeguata per tali
disegni è detta analisi della varianza o anche analisi della varianza fattoriale.
a. Caratteristiche dei disegni fattoriali:
I disegni fattoriali si caratterizzano:
1. Per la presenza di due o più variabili indipendenti, fattori, ciascun fattore è composto da
due o più livelli, uno dei quali è di controllo, l’altro prevedono il trattamento.
2. Per la presenza dell’effetto esclusivo di ciascuna variabile indipendente sulla variabile
dipendente. Effetto principale di ciascun fattore.
3. Per la presenza dell’effetto dovuto contemporaneamente alle due o più variabili
indipendenti. Effetto di interazione dei fattori.
Per verificare la supposizione che vi sia anche un effetto di interazione tra le due variabili
indipendenti il nostro ricercatore dopo aver trovato il modo di misurare la paura del
bambino, procede nel manipolare le due variabili differenti. Il fattore buio può essere
variato in due modi. Buio, luce e immagini può essere presentato a due livelli differenti:
immagini di paura e neutre. Ambedue le variabili indipendenti hanno due livelli e
combinandoli insieme, si otterrà una matrice a celle con quattro combinazioni di
trattamento. Il risultato sarà perciò un disegno fattoriale 2x2.
Le due variabili indipendenti, possono essere differenziate a più livelli, così il fattore A può
essere portato a tre livelli diversi: buio, luce debole e luce piena. E il fattore B anche:
immagini paurose, immagini neutre, immagini divertenti. Questa suddivisione dà luogo ad
un disegno fattoriale 3x3 che produce una matrice di nove celle.
b. Effetti principali e interazioni:
In metodologia si parla di interazione tra variabili quando l’effetto di una variabile
indipendente risulta diverso nei differenti livelli dell’altra variabile indipendente.
Lo sperimentatore estrae e assegna casualmente i soggetti alle quattro combinazioni delle
due condizioni per ciascun fattore.
- Effetto interattivo: si verifica tutte le volte che il risultato è diverso dalla somma degli
effetti principali, non solo più grande.
c. Possibili esiti di un disegno fattoriale:
Poiché l’azione di un effetto non esclude la possibilità che qualsiasi altro effetto agisca, i
possibili esiti di questo disegno fattoriale sono otto.
d. Progettazione di un disegno fattoriale:
La progettazione di un esperimento fattoriale a quella dei disegni con una singola variabile.
- Stabilire il problema;
- Definire le variabili operazionalmente;
- Sviluppare e definire le ipotesi di ricerca;
- Assegnare in modo randomizzato i soggetti alle condizioni;
- Determinare le misure dipendenti;
- Scegliere con cura i metodi statistici per misurare le risposte dei soggetti;
Lo scopo è di verificare una o più ipotesi casuali. Tuttavia i disegni fattoriali sono più
complicati dei disegni con una sola variabile indipendente.
Il disegno fattoriale 2x2 poiché ha due variabili indipendenti che devono essere manipolate,
ha una validità interna più fragile di un disegno con una sola variabile indipendente.
inoltre, poiché è essenzialmente un disegno composto da due disegni, contiene più di una
ipotesi nulla.
Ad esempio, in un disegno fattoriale 2x2, vi sono tre ipotesi nulle per ogni misura
dipendente.
a) nessuna differenza tra i livelli del fattore A;
b) nessuna differenza tra i livelli del fattore B;
c) nessuna interazione significativa tra i fattori A e B;
Con disegni fattoriali più complessi, si dovranno verificare più ipotesi nulle.
Lo si fa ricorrendo all’analisi della varianza.
5. Alcuni disegni fattoriali:
a. Disegno fattoriale completamente randomizzato:
Si parla di disegno fattoriale completamente randomizzato quando sono presenti
contemporaneamente:
a) due o più variabili indipendenti manipolate, con due o più livelli per ciascuna di esse;
b) quando ogni variabile indipendente è completamente incrociata con ogni altra variabile
indipendente, cosa che comporta che ogni livello di una variabile indipendente sia
combinata con ogni livello dell’altro fattore;
c) quando i soggetti sono assegnati in modo randomizzato ad ogni gruppo;
d) quando ogni gruppo è sottoposto solamente a una combinazione delle variabili
indipendenti.
b. Disegno fattoriale entro i soggetti (o a misure ripetute):
Oltre i disegni fattoriali tra soggetti esistono anche i disegni fattoriali entro i soggetti,
chiamati anche disegni fattoriali a misure ripetute. I gruppi sono sottoposti a tutte le
combinazioni dei fattori invece che a uno di essi.
Rispetto al disegno tra i soggetti, quello entro i soggetti comporta degli svantaggi che
derivano dal fatto che ogni soggetto è sottoposto ad ogni condizione. Questo può
consentire la presenza di effetti dovuti all’ordine e alla sequenza.
se gli effetti dell’ordine e della sequenza sono tenuti sotto controllo, allora i piani fattoriali
entro i soggetti offrono notevoli vantaggi. Questi sono:
a) Una maggiore sensibilità agli effetti della variabile indipendente;
b) L’equivalenza dei gruppi all’inizio e durante l’esperimento;
c) L’esigenza di un minor numero di soggetti;
d) Una migliore efficienza;
c. Disegni misti:
Alle volte le due o più variabili indipendenti che costituiscono un disegno fattoriale possono
essere di tipo diverso. Ad esempio, una tra i soggetti e uno entro i soggetti, oppure una
manipolabile e l’altra no. Questi piani vengono chiamati disegni misti. Tale termine è usato
in due modi differenti:
a) Nel primo significato indica un piano che include una variabile indipendente tra i soggetti
ed una entro i soggetti;
b) Nel secondo significato si intende un disegno fattoriale che comprende un fattore
manipolato ed uno non manipolato;
i. Disegno misto con fattori tra i soggetti ed entro i soggetti:
Tale disegno non presenta nulla di nuovo rispetto alle finalità descritte per i
precedenti disegni fattoriali, ad eccezione del fatto che nella scelta delle formule
dell’analisi della varianza si dovrà tener conto di questa combinazione.
La forma più semplice di un disegno del genere implica una situazione in cui due
variabili indipendenti variano in due maniere diverse. Uno dei fattori richiede tanti
gruppi di soggetti quanti sono i suoi livelli di variazione e l’altro fattore comporta
che tutti i soggetti siano sottoposti a tutti i livelli.
Questo disegno consente di verificare gli effetti principali di ciascun fattore, come
pure l’effetto di interazione tra le due variabili indipendenti. Tale verifica è attuata
con un minor numero di soggetti rispetto al disegno fattoriale completamente
randomizzato.
ii. Disegno misto con fattori manipolati e non manipolati:
il secondo tipo di disegni misti è composto da fattori manipolati e fattori non
manipolati, ed i soggetti sono assegnati in modo randomizzato alle condizioni della
variabile manipolata, mentre ai livelli del fattore non manipolato vengono
assegnati sulla base delle caratteristiche preesistenti.
Il problema presentato da questo disegno riguarda quello dell’interpretazione dei
risulatti, perché le variabili non manipolate comportano sempre degli effetti di
confusione, per cui è difficile fare inferenze causali basate sull’analisi degli effetti
principali delle variabili indipendenti.