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1)Che cos’è l’UE? Che cos’è il diritto dell’UE?


Il diritto dell'Unione Europea può essere definito come l'insieme di norme che regolano
l’organizzazione e la funzione dell’ordinamento dell’UE nonché i rapporti tra l’UE e gli stati membri
ed anche i rapporti che intercorrono tra le norme dell’UE e quelle interne. In altre parole potremmo
dire l'insieme di norme che regolano tutte le azioni che l'UE può intraprendere nei suoi settori di
competenza.

L’UE era precedentemente conosciuta con il nome di Comunità. Si usa ancora l’espressione Diritto
Comunitario, anche se il Trattato di Lisbona ci dice che l’Unione ha succeduto la Comunità. Il termine
“comunitario” viene usato ancora anche da parte della dottrina, perché si ritiene che il termine
Comunità rispecchi l’essenza stessa dell’esperienza europea. L’unione europea è qualcosa di più, che
non coinvolge solo gli stati, ma anche i popoli dell’unione.

Nel percorso che ha portato all’UE, abbiamo visto la nascita e l’estinzione di diverse comunità.
Percorso graduale di numerosi cambiamenti ed evoluzioni.

Questo percorso ha origine nel secondo dopoguerra. Si afferma il fenomeno delle Organizzazioni
Internazionali per favorire il mantenimento della Pace attraverso la cooperazione (perseguimento di
interessi comuni in un percorso di interdipendenza). Costruire il terreno economico, sociale e culturale
per il mantenimento della pace (condizioni oggettive per la coesistenza pacifica). Quando parliamo di
Organizzazioni Internazionali ne parliamo su due livelli cioè quelle a carattere universale (ONU) e
quelle a carattere regionale (NATO, OSCE, Consiglio d’Europa composto da 47 stati membri ed è
un'organizzazione esterna al quadro giuridico dell'UE ((mentre l’UE ne ha 27 non bisogna
confonderli)). Sotto il profilo giuridico non cambia nulla sotto un profilo pratico cambia che le
organizzazioni internazionali a carattere universale sono forme di cooperazione che tendono a
coinvolgere tutti gli stati del mondo le cui finalità hanno una proiezione universale mentre quelle a
carattere regionale sono una forma di integrazione a carattere regionale cioè fra stati che appartengono
ad una stessa determinata regione. L’UE nella fattispecie è un'organizzazione internazionale
(intergovernativa) a carattere regionale. Il presupposto per l’istituzione di un'organizzazione
internazionale è la presenza di interessi comuni tra gli stati. Le organizzazioni internazionali vengono
istituite attraverso un trattato istitutivo dell’organizzazione internazionale scritto cioè un
incontro tra le volontà di due stati create per perseguire obiettivi comuni che in genere non sono
a carattere generale ma più o meno settoriali che riguardano una determinata materia decidendo così
di sottostare ad obblighi reciproci. In altre parole gli stati creano degli organismi a cui affidano delle
competenze per perseguire determinati obiettivi comuni. Di base negli organi di queste organizzazioni
siedono i rappresentanti degli stati membri. Un trattato internazionale si modifica con un processo
chiamato emendamento.

La prima proposta di Organizzazione Internazionale europea è stata avanzata nel ’30 nell’ambito della
Società delle Nazioni. Aristide Briand propone una forma di rafforzamento dell’integrazione europea
all’interno della società delle nazioni. Facilitare il raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla
società delle nazioni attraverso il rafforzamento della coesione tra stati europei.

Nel corso degli anni sono aumentati i movimenti di pensiero con matrici culturali differenti propensi
ad unificare l’Europa.

Il dibattito sulle idee di Europa nasce negli anni 40. Nel ’41 abbiamo un importante documento del
quale ancora oggi discutiamo, perché uno dei documenti che ha favorito il processo di integrazione.
Manifesto di Ventotene, pensato nel 41 da Spinelli, Rossi e Colorni (comunista, Partito d’Azione e
socialista). Manifesto dei movimenti federalisti. Europa di tipo federale.

Da un punto di vista di soggettività giuridica la peculiarità di un sistema federale è quella di un


governo federale. Cessione della sovranità. Seguire il modello USA. Forma di integrazione stretta, che
porta alla nascita di un unico soggetto internazionale. Molti stati federali sono nati inizialmente come
Confederazione, nella quale lo stato non perde soggettività. L’idea di creare una federazione non è
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facilmente accettabile dagli stati membri. Soprattutto nei casi in cui siano presenti forme
monarchiche.

Si comincia a pensare a forme di cooperazione prima di imbarcarsi in una federazione malvista da


molti. La prima forma di cooperazione è il Piano Marshall. Forma di assistenza economica ai paesi
europei, che però dovevano collaborare per gestire i fondi. Nel ’48, per gestire i fondi, nasce l’OECE
(organizzazione europea per la cooperazione economica). Istituire un quadro istituzionale permanente
per la gestione dei fondi del Piano Marshall (European Recovery Program).

Nel ’48 avviene un altro evento importante nel cammino verso l’integrazione. I diversi movimenti
europeisti cominciano a discutere di quale idea di Europa realizzare. Congresso dell’Aia, presieduto
da Churchill, organizzato dal “Comitato Internazionale dei movimenti per l’UE”. Il Congresso
dell’Aia è la sede in cui emergono in maniera chiara le due differenti idee di Europa:
1) Federalista – guidata dalla Francia. Unione federale, al centro del quale mettere anche i
cittadini europei. Creare organi rappresentativi dei cittadini europei. Gli stati membri
cedevano un’importante parte della propria sovranità. Ruolo centrale dei cittadini europei.
2) Unionista – guidata da UK. Integrazione al centro del quale ci sono gli Stati, che non cedono
la propria sovranità. Guidato dalla volontà degli stati membri. Integrazione intergovernativa.

Le Organizzazioni Internazionali sono organizzazioni di stati, quindi organizzazioni intergovernative.


Il modello prevede organi di rappresentanti degli stati membri. Ad esempio, l’ONU ha l’assemblea
generale con un rappresentante per ciascuno stato membro. Così il consiglio di sicurezza, che ha un
rappresentante per ogni stato membro del consiglio ristretto.
Sempre nel ’48 viene creata la UEO, unione europea occidentale, con il Trattato di Bruxelles, in
ambito militare, in vita fino al 2011 ma rimasta pressoché inattiva fino alla metà degli anni 80.
Missioni internazionali, ma poi l’Unione ha disciplinato materie di Difesa con la Clausola di mutua
difesa, quindi si è rivelata inutile.

2)Il consiglio d’Europa


Nel maggio del ’49 viene creato il Consiglio d’Europa, una Organizzazione Internazionale che ha
funzioni diverse e più ristrette rispetto quelle previste dell’unione europea. L’obiettivo è quello di
creare un'unione più stretta tra gli stati membri per tutelare e promuovere gli ideali e i principi che
hanno in comune. Obiettivi di carattere generale. Il Consiglio d’Europa svolge una funzione
fondamentale nell’ambito dei Diritti Umani.

CEDU, (convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentale).
Trattato fondamentale in materia di diritti umani.

Nell’ambito della CEDU è stata istituita la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con sede a
Strasburgo. Uno dei pochi al quale possono accedervi direttamente gli individui. Anche gli individui
infatti possono presentare ricorso alla corte di Strasburgo.
- Assemblea Parlamentare composta da parlamentari degli stati nazionali, e che ha poteri
consultivi (non ha poteri vincolanti).
- Comitato dei Ministri, organo esecutivo, composto dai rappresentanti dei governi degli stati
membri.

Corte Europea diritti dell’Uomo, giurisdizionale.

Nel 9 Maggio (e anche la festa dell’Europa) ’50 arriva un documento fondamentale. Dichiarazione
Schumann: processo di integrazione europea graduale, per passi. “L’Europa non potrà farsi in una
sola volta, ma sorgerà da realizzazioni concrete che creino soprattutto una solidarietà di fatto”.

Primo passo proposto da Schumann: eliminazione del contrasto secolare tra Francia e Germania.
Mettere insieme la produzione Franco-tedesca di carbone e acciaio sotto una comune alta autorità alla
quale possano aderire anche gli altri stati europei (CECA trattato istitutivo della Comunità europea
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del carbone e dell’acciaio, firmato a Parigi il 18 aprile 1951 da Belgio, Francia, Germania, Italia,
Lussemburgo e Paesi Bassi). Approccio estremamente concreto. Nel 1952 poi fu proposto di istituire
una comunità europea della difesa ovvero la CED che prevedeva la creazione di un esercito comune
europeo sottoposto al controllo di un'assemblea parlamentare e prevedeva un sistema di
partecipazione un pò differenziato tra tutti gli stati membri e la Germania.

Dal fallimento della CED (perché non viene ratificato dalla Francia), si aprì il dibattito su come
rilanciare il processo di integrazione europea? In questa fase un ruolo fondamentale lo ebbe Gaetano
Martini che propose di discutere un nuovo progetto nell’ambito della conferenza di Messina del 1955
in cui appunto si discusse un piano d’azione per la nascita di una comunità economica fondata su un
mercato comune. Questa conferenza portò poi all’adozione dei cosiddetti Trattati di Roma nel 1957
che si affincarono alla CECA:
1) quello istitutivo della Comunità economica europea (CEE)
2) quello della Comunità europea per l’energia atomica (CEEA O EURATOM)

i quali entreranno in vigore il 1 gennaio dell’anno successivo. Attraverso queste 3 Comunità prendeva
forma un disegno unitario volto a dar vita nel territorio dei 6 stati fondatori a un mercato comune
basato sulla libera circolazione delle persone (inizialmente era dei lavoratori), dei beni, dei servizi e
dei capitali e caratterizzato da condizioni di concorrenza non falsate.

3)Qual è la differenza tra CEE, CECA e l’EURATOM, sotto un profilo di impostazione?


Sono tre comunità che hanno natura economica.

Benché tutte le comunità abbiano una natura economica, già dalla denominazione possiamo
rintracciare una differenza. La CECA e l’EURATOM hanno una finalità estremamente settoriale. Una
si occupa di Carbone e Acciaio, l’altra dell’utilizzo pacifico dell’energia atomica.

La CEE invece costituisce un balzo in avanti perché ha natura economica ma non ha un respiro
settoriale, anzi generale. Istituire un’unione doganale implicante l’eliminazione dei dazi doganali,
delle restrizioni quantitative e ogni altro ostacolo agli scambi di merci tra i paesi membri. Inoltre
l’obiettivo era anche quello di creare una politica commerciale comune e la progressiva creazione di
un mercato comune.

Entrare nell’UE vuol dire quindi anche avere un sistema economico che sia in grado di sopravvivere
nel libero mercato. È un sistema che può creare svantaggi, ma al netto di tutto gli Stati, nel momento
in cui partecipano ad un’organizzazione internazionale ponderano i vantaggi e gli svantaggi.

4)CECA e CEE
Se è vero che sono state istituite con trattati autonomi, CECA e CEE hanno degli elementi in comune.
Appartengono complessivamente al progetto di integrazione europea.

Le comunità hanno un’Assemblea Parlamentare comune alla CECA. Hanno anche una Corte di
Giustizia comune ovvero l’organo giurisdizionale. Create con atti giuridici differenti, ma
condividono alcune istituzioni.

Ciascuna ha una sua Commissione (custode dei trattati), un suo Consiglio.

L’impianto resta lo stesso. La commissione ha carattere indipendente (ciò vuol dire che i membri
della commissione non possono essere sfiduciati dagli stati membri quindi possono agire
autonomamente) che rappresenta gli interessi della comunità. Il Consiglio è un’istituzione di natura
intergovernativa costituita da rappresentanti degli stati membri.

Sotto il profilo dell’apparato istituzionale l’importante è che la Commissione non sia condivisa dalle
due comunità. Il consiglio è infatti sempre composto dagli stessi membri dei governi degli stati.
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La caratteristica sotto il profilo funzionale di CEE e CECA è che in questa fase entrambe funzionano
in prevalenza attraverso il metodo intergovernativo, non comunitario. Il metodo intergovernativo
prevede che le decisioni vengano prese dall’istituzione che rappresenta l’interesse degli stati,
all’unanimità. Si chiama intergovernativo perché è un sistema di funzionamento nel quale per
l’adozione di decisioni vincolanti si deve raggiungere il compromesso tra gli stati.

● Nella CECA l’organo detentore in via esclusiva del potere normativo ed esecutivo
dell’ente, era l’Alta Autorità, organo indipendente dai governi e portatore dell’interesse
generale; istituzione intergovernativa, poi c’era un’assemblea comune composta da
membri dei parlamenti nazionali, il Consiglio speciale dei Ministri, si trovava in una
condizione formalmente secondaria, avendo come compiti quello di armonizzare l’azione
dell’Alta Autorità con quella dei Governi nazionali attraverso la formulazione di pareri e
la trasmissione di info sull’attività della stessa Alta Autorità ed infine una corte di
giustizia.
● Nella CEE e nella CEEA, il centro del sistema era rappresentato dal Consiglio, mentre
alla Commissione era riservato un ruolo essenziale di impulso normativo e di controllo,
ma non paragonabile a quello della sua omologa della CECA.

Con la firma dei Trattati di Roma (1957) venne allegata una Convenzione che unificava il Parlamento
EU, la Corte di giustizia ed il Comitato economico e sociale.

Con la conclusione poi del Trattato sulla fusione degli esecutivi firmato a Bruxelles l’8 aprile 1965
ed entrato in vigore il 1 luglio del 1967 che metteva in condivisione anche le altre istituzioni,
soprattutto la Commissione. Primo assetto del processo di integrazione, costituito da tre comunità
differenti, dove il motore sono CECA e soprattutto CEE, avendo obiettivi di carattere generale
(mercato comune). La CECA era stata già originariamente istituita per un periodo di tempo limitato
(50 anni). (Trattato adottato a tempo limitato. Quando il periodo di 50 si è concluso, si è ritenuto non
più necessario rinnovarlo perché le funzioni erano state pienamente assorbite dall’UE).

Una volta che il progetto CEE parte, e finisce il periodo transitorio creandosi il mercato comune, gli
stati discutono sempre su quale deve essere il passo successivo. Sempre seguendo i due fattori
allargamento e approfondimento. Si discute sempre di come promuovere il processo verso una
strada politica. Come uscire dal terreno meramente economico e andare a raggiungere un adeguato
livello di integrazione anche in altri settori a carattere più politico, ad esempio sicurezza e difesa. Oggi
l’UE si occupa di tante questioni non meramente economiche. (Attività che svolge nel settore
dell’immigrazione, mandato d’arresto europeo che prevede l’estradizione automatica tra gli stati
membri).

Furono istituiti un Consiglio e una Commissione unici delle comunità europee, quest’ultima
assorbendo in sé stessa l’alta autorità della CECA, e vennero unificati il sistema di finanziamento
delle attività comunitarie e la struttura di bilancio, basata su un bilancio generale e una procedura di
adozione unica; struttura di bilancio che fu modificata dal trattato di Bruxelles del 1975 che istituì la
Corte dei conti delle comunità europee (CEE e della CECA) e del Revisore dei conti della CECA
in sostituzione dei precedenti analoghi organi delle 3 Comunità.

5)Crisi della Sedia Vuota


Tipicamente le organizzazioni internazionali ricevono fondi dagli stati membri. Nel sistema della CEE
si è cominciato a pensare che il sistema di trasferimento delle risorse dagli stati all’organizzazione
potesse limitare la capacità d’azione della comunità. La comunità potrebbe vivere sotto il ricatto degli
stati membri che potrebbero sempre chiudere i rubinetti in contestazione ad alcune decisioni. Si è
cominciato così a pensare ad un sistema di risorse proprie.
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Nel momento in cui si discusse di attuare questo sistema, ci fu la Crisi della sedia vuota, nel periodo
De Gaulle. La Francia cominciò a disertare le riunioni della CEE, soprattutto quelle del Consiglio.
Questo ha creato un grave problema. Era un contesto storico dove il funzionamento della CEE era
regolato dal metodo intergovernativo. Il potere decisionale è concentrato nel Consiglio, e le procedure
decisionali prevedono votazioni all’unanimità. Se un membro non partecipa, paralizza l’intero
funzionamento dell’organizzazione. Un altro obiettivo che si è tentato di raggiungere è stato quello di
limitare sempre più il sistema intergovernativo:
1) Ampliare le competenze dell’UE
2) Modificare le procedure decisionali passando da meccanismi che prevedono l’unanimità a
meccanismi a maggioranza
3) Rafforzare i poteri del parlamento europeo per includere sempre di più i cittadini nell’ambito
del processo d’integrazione europea.

La crisi della sedia vuota fu superato soltanto con il compromesso di Lussemburgo volto a
rassicurare la Francia.

6)Grande allargamento
A partire dagli anni ‘70 si ha il primo allargamento della comunità infatti il primo gennaio del 1973
avevano aderito Regno Unito, Irlanda e Danimarca, seguiti il primo gennaio 1981 dalla Grecia, il
primo gennaio 1986 da Spagna e Portogallo e il primo gennaio 1995 da Austria, Finlandia e Svezia.
L'allargamento diventa il tema dominante dell’integrazione europea.

Il processo d’integrazione europea conteneva fin dall’inizio i germi di una sua successiva
caratterizzazione politica. L'art. 223 TFUE, prevedeva che si dovesse passare da un Parlamento
europeo composto di rappresentanti dei parlamenti nazionali da questi stessi designati, a un
Parlamento eletto direttamente dai cittadini degli Stati Membri. Grazie all’adozione da parte del
Consiglio dell’Atto relativo all’elezione dei rappresentanti nell’assemblea a Suffragio universale
diretto, tra il 7 e il 10 giugno 1979 si svolgono in effetti le prime elezioni europee. Agli inizi degli
anni ‘80 invece inizia quel processo che porta all’attuale UE. Il primo passo viene compiuto con l’atto
unico europeo del 17-28 febbraio 1986, che dà luogo a una revisione significativa dei Trattati
originari orientata in 3 direzioni:
1) viene semplificata la presa di decisione del Consiglio con un maggior ricorso alla procedura
di voto a maggioranza qualificata,
2) viene riconosciuto al Parlamento europeo un ruolo più incisivo nella formazione degli atti
della comunità,
3) viene introdotta formalmente nel perimetro del processo di integrazione europea, una prima
forma di cooperazione politica in materia di politica estera.

Per quanto riguarda il voto in seno al Consiglio viene sostituita l’unanimità con la maggioranza
qualificata per le sue deliberazioni in alcuni settori particolarmente importanti per lo sviluppo del
processo di integrazione europea. Al ruolo del Parlamento europeo, le modifiche recate dall’Atto
unico ai Trattati originari introdussero da un lato la procedura di cooperazione con il Parlamento che
consentiva a quest’ultimo di aggravare le modalità di voto con cui il Consiglio era chiamato ad
adottare determinati atti e dall’altro lato la procedura di parere conforme in materia di adesione di
nuovi stati membri alla comunità e di conclusione da parte di questa di accordi di associazione con
Stati terzi finiva per dare al Parlamento un ruolo ancora più incisivo prevedendo la necessità di un
suo parere favorevole. Inoltre vengono formalizzate le riunioni dei capi di stato e di governo sotto la
denominazione di consiglio europeo.

Nel 2004 si ha il grande allargamento con l’entrata dell Estonia, Lettonia, Rep. Ceca, Polonia,
Ungheria, Cipro e Malta ovvero tutti quei paesi che avevano cominciato ad avvicinarsi all’UE
all’indomani della caduta del blocco sovietico del 1989. In realtà questo allargamento verrà
completato nel 2007 con l'entrata della Romania e Bulgaria e nel 2013 con l’entrata della Croazia.

Un ulteriore passaggio fondamentale dell’integrazione dell’UE è il Trattato di Maastricht nel


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1992 che entrerà in vigore il primo novembre 1993 dopo che una dichiarazione dei capi di stato o di
governo riuniti in sede di Consiglio Europeo aveva permesso alla Danimarca di ratificarlo. Con
questo trattato entra formalmente nel linguaggio giuridico europeo il termine UNIONE EUROPEA
e la struttura dell’ordinamento giuridico europeo diventa articolata. Nel relativo Trattato viene
inserita per la prima volta la nozione di cittadinanza dell’Unione che si aggiunge alla cittadinanza
nazionale arricchendola di propri specifici diritti.

Questo trattato dà anche luogo a una profonda mutazione della costruzione avviata nel 1957. Questa
viene ricollocata in un edificio nuovo e più grande della quale le comunità europee diventano parte
costituente accanto a due nuovi settori di cooperazione tra gli Stati membri - PESC & GAI –
governati dallo stesso apparato istituzionale creato dai trattati originari ma sulla base di regole e
procedure diverse tra loro e da quelle comunitarie. Il processo di integrazione europea viene così ad
identificarsi con questo nuovo edificio, l’Unione europea, che si regge su 3 pilastri:
- il primo pilastro composto dalle comunità europee,
- il secondo pilastro costituito dalla PESC (politica estera e di sicurezza comune),
- il terzo pilastro formato dalla CGAI (cooperazione in materia di giustizia e affari interni).

Il primo pilastro funziona attraverso il sistema comunitario in cui rientrano le tradizionali materie di
competenza dell’UE ad es mercato interno, tutela dei consumatori ecc. Per tutta una serie di materie
rientranti in questo pilastro viene adottato un sistema decisionale che prende il nome di codecisione
cioè un sistema decisionale dove le decisioni vengono prese da due soggetti che hanno gli stessi poteri
le decisioni non vengono prese all’unanimità e si ha un rafforzamento del parlamento europeo. Gli
altri due pilastri invece sono ancora regolati da unanimità infatti nel sistema europeo così com’era
stato pensato a Maastricht si faceva la differenza tra il pilastro comunitario e pilastri a natura
intergovernativa dove le decisioni vengono prese all’unanimità. Tra il trattato di Maastricht e quello di
Lisbona si è tentato di accrescere il numero di materie che invece di essere regolate dal sistema
intergovernativo fossero regolate dal sistema comunitario in altre parole cercare di comunitarizzare il
secondo e terzo pilastro trasferendo quante più materie possibili dal terzo al primo pilastro allo stesso
tempo rafforzando sempre di più il ruolo del parlamento europeo. Infatti una parte del terzo pilastro
viene comunitarizzata il Trattato di Amsterdam 2 Ottobre 1997, entrato in vigore nel 1999 dove
appunto alcune materie che rientravano nel terzo pilastro vengono trasferite nel primo e nasce lo
spazio di libertà sicurezza e giustizia. Inoltre il trattato introduce tutta una serie di aspetti
costituzionali dell’ordinamento ovvero i valori fondanti dell’UE
Vengono inseriti dei principi che contribuiscono a modificare la natura dell’UE. Principi di
Democrazia, di Libertà, di Tutela dei Diritti Umani, etc

Successivamente al trattato di Amsterdam si ha nel 2001 il Trattato di Nizza entrato in vigore nel
2003. Ad un certo punto si pensa di fare un salto qualitativo e viene adottato un progetto che prende il
nome di costituzione europea cioè un trattato che adotta una costituzione per l’europa che proponeva
di passare da un sistema tripartito in pilastri ad un sistema in cui esisteva solo l’UE ma non è mai
entrato in vigore perché la sua ratifica non è passata al vaglio dei referendum che si sono tenuti in
Francia e Paesi Bassi e dal fallimento di questo nasce il Trattato di Lisbona del 2007 che è l’ultima
tappa con cui sono stati riformati i vecchi trattati. Il Trattato di riforma ha modificato quindi il
Trattato sull'Unione europea (TUE suddiviso in 55 articoli) e il Trattato che istituisce la
Comunità europea (TCE). Il primo ha mantenuto il suo titolo attuale mentre il secondo è stato
denominato "Trattato sul funzionamento dell'Unione europea" (TFUE suddiviso in 358 articoli è
diviso in tutte le materie riguardo le competenze dell’UE e come può fare qualcosa). Non è possibile
leggere le norme contenute in un trattato in maniera isolata senza andare a cercare le norme contenute
nell’altro quindi i due trattati si completano a vicenda in altre parole possiamo dire che uno è servente
l'altro. Il quadro che ne risulta è quello di due Trattati, di uguale valore giuridico, che regolano
congiuntamente un’unica entità giuridica, l’UE, che assorbe in sé la personalità giuridica della
CE succedendole nei rapporti giuridici preesistenti.
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Parte Prima

L’ORDINAMENTO GIURIDICO DELL’UE

1)Trattato di Lisbona
"Figlio" del fallimento del trattato "costituzionale".
Insieme alla costituzione, vengono cancellati termini tabù. Tra il trattato costituzionale e il trattato di
Lisbona è cambiato molto nella forma, poco nella sostanza.

All’inizio c’era tutta una parte dedicata ai diritti fondamentali. L’Art 6 del Trattato di Lisbona TUE
dice: l’unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti; la Carta di Nizza, quindi, diventa
comunque una fonte di diritto primario. Non abbiamo più il titolo iniziale che dava al trattato la
sembianza costituzionale, ma sostanzialmente poco cambia, perché la Carta di Nizza assume
comunque valore giuridico vincolante.

Con il trattato per una Costituzione si usava il termine leggi europee e leggi quadro europee mentre
con il trattato di Lisbona viene sostituito con regolamenti e direttive, ma è un cambio di nome, non di
fatto.

Inoltre venivano introdotte inno, bandiera e giornata europea, poi estromessi nel trattato di Lisbona. È
una modifica simbolica. Averli estromessi poco cambia sotto un profilo giuridico.

TUE.
55 articoli. Molto più snello del TFUE. Natura "costituzionale". Struttura interna semplice. 6 titoli.

Titolo I: Disposizioni comuni. Articoli 1-8.

● Articolo 2: valori fondanti dell’UE. A partire dal 2013, l'UE ha messo in guardia dei paesi,
Polonia e Ungheria, sul rispetto di questi valori; violazione grave ufficiale. L'oggetto sono
alcune riforme giurisdizionali.
● Articolo 3: obiettivi di carattere generale del processo di integrazione europea. Spazio di
libera circolazione, senza frontiere interne, libertà, sicurezza e giustizia.
● Articoli 4 e 5: delimitazione competenze. Principio di attribuzione: l'UE agisce solo in
determinate materie di competenza, che le sono state attribuite dagli stati, mediante i trattati;
che però devono essere esercitate in rispetto dei principi di sussidiarietà e
proporzionalità.(*)*Articolo 3 e 4 TFUE.
● Articolo 6: carta diritti fondamentali dell’UE.
● Articolo 7: rischio di violazione grave dei valori dell'Art 2. Applicati per la prima volta nei
confronti della Polonia e dell’Ungheria.
● Articolo 8: rapporti con vicinato e altri.

(*) Principio di Proporzionalità


Il principio di proporzionalità riguarda l’intensità di azione dell’UE. Anche se alla luce del principio
di sussidiarietà, lo specifico intervento legislativo deve essere volto a raggiungere solo gli obiettivi
prefissati. L’intervento non deve essere sproporzionato, non deve andare oltre gli obiettivi che l’UE si
è prefissata di raggiungere.

Titolo II: Disposizioni relative ai principi democratici. Articoli 9, 10, 11 e 12: Principi
democratici. cittadinanza, democrazia rappresentativa (i cittadini hanno dei propri rappresentanti che
eleggono a suffragio universale diretto) e partecipativa (ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla
vita democratica dell’unione dove le decisioni vengono prese nella maniera più aperta e più vicina ai
cittadini).
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Art. 11 par 4: Democrazia partecipativa. “Cittadini dell'Unione, in numero di almeno un milione,


che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, possono prendere l'iniziativa
d'invitare la Commissione europea, nell'ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta
appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico
dell'Unione ai fini dell'attuazione dei trattati.”

Titolo III: Disposizioni relative alle istituzioni. Articoli 13-19.


● Articolo 13: istituzioni UE: il Parlamento europeo, il Consiglio europeo (entrato progressivo
nell’ambiente giuridico dell’Ue con l’atto unico europeo e solo con il trattato di Lisbona
diventa un'istituzione perché inizialmente era una riunione informale dei capi di stato e
governo in cui discutevano degli impulsi di carattere generale che dovevano dare all’UE) , il
Consiglio, la Commissione europea (in appresso «Commissione»), la Corte di giustizia
dell'Unione europea, la Banca centrale europea, la Corte dei conti.

Spiegano articoli seguenti (fino al 19) le varie funzioni in generale, più nello specifico nel TFUE.

Titolo IV: Disposizioni sulle cooperazioni rafforzate, articolo 20.

Titolo V: Disposizioni generali sull'azione esterna dell'Unione e disposizioni specifiche sulla


politica estera e di sicurezza comune. Quest'ultima costituisce qualcosa di peculiare perché è un
settore che ancora funziona attraverso un sistema intergovernativo quindi all’unanimità. Anche la sua
collocazione nei trattati è un po' anomala. Articoli 21-46 (dedicati alla PESC).

Titolo VI: Disposizioni finali, articoli 47-55.


● Articolo 47: UE ha personalità giuridica.
● Articolo 48: revisione trattati che non devono per forza servire ad accrescere le competenze
ma anche a restringerle.
● Articolo 49: ammissione nuovo Stato.
● Articolo 50: recesso di uno Stato.
● Articolo 55: aspetti linguistici del trattato.

2)I trattati
Sono l'atto istitutivo dell'UE, la fonte primaria.

Modifica delle regole: revisione dei trattati. Art 48 del TUE. E’ un'iniziativa attraverso la quale le
istituzioni vogliono raccogliere una serie di input su possibili modifiche per rilanciare il processo di
integrazione dell’UE. Può essere ordinaria o semplificata. L'articolo per la prima volta specifica che
la procedura di revisione può essere intesa ad accrescere o a ridurre le competenze attribuite
all'Unione dai trattati.
Acquis= insieme del corpo legislativo dei principi e degli obiettivi politici dell'UE.

Procedura ordinaria.
Art 48 par 3: “Qualora il Consiglio europeo, previa consultazione del Parlamento europeo e della
Commissione, adotti a maggioranza semplice una decisione favorevole all'esame delle modifiche
proposte, il presidente del Consiglio europeo convoca una convenzione* composta da rappresentanti
dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e
della Commissione. In caso di modifiche istituzionali nel settore monetario, è consultata anche la
Banca centrale europea. La convenzione esamina i progetti di modifica e adotta per consenso una
raccomandazione che indirizza a una conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri
quale prevista al paragrafo 4.”

1) Il primo passaggio formale quindi è fatto dal Consiglio europeo; in realtà, ancora prima il Consiglio
riceve proposte di revisione dagli stati membri, dalla commissione ecc.
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2) Il secondo passaggio è la consultazione (del Parlamento e della Commissione) è obbligatoria ma


non vincolante attraverso il quale il Consiglio decide di avviare le proposte ricevute.

3)*convenzione= in questo caso sta per conferenza, summit. Non trattato.


A questa partecipano rappresentanti degli stati membri, rappresentanti del parlamento europeo,
rappresentanti della commissione, rappresentanti dei parlamenti nazionali. Si discute quindi delle
singole proposte di modifica che sono state originariamente presentate.

4) Al termine dei lavori della convenzione, quest'ultima adotta un atto finale, sotto forma di
raccomandazione contenente le modifiche, le proposte di revisione.

5) Passo successivo: conferenza dei rappresentanti dei governi degli stati membri. Questa conferenza,
di comune accordo, decide quali delle modifiche proposte adottare.

6) A questo punto, le proposte adottate entrano in vigore solo dopo che tutti gli stati membri le hanno
ratificate secondo le proprie norme costituzionali.

Atto di natura internazionalista perché dipende dagli stati membri.

Procedura semplificata.
Può essere adottata solo relativamente ad alcune materie (quelle che rientrano nella parte terza del
trattato sul funzionamento dell'Unione europea relative alle politiche e azioni interne dell'Unione).

Art 48 par 6: “Il governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono
sottoporre al Consiglio europeo progetti intesi a modificare in tutto o in parte le disposizioni della
parte terza del trattato sul funzionamento dell'Unione europea relative alle politiche e azioni interne
dell'Unione. Il Consiglio europeo può adottare una decisione che modifica in tutto o in parte le
disposizioni della parte terza del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Il Consiglio europeo
delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo, della Commissione e, in caso di
modifiche istituzionali nel settore monetario, della BCE. Tale decisione entra in vigore solo previa
approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali.”

Il limite di questa procedura consiste che nel modificare la parte terza (solo questa parte può
modificare) del trattato non può attribuire nuove competenze all’UE a differenza della procedura
ordinaria che non ha alcun limite nel senso che può riguardare tutte le disposizioni dei trattati quindi
una revisione a larga scala o anche le specifiche, singole disposizioni e può accrescere o diminuire le
competenze dell’UE.

3)Ruolo degli Stati membri. Acquisto e vicende dello status di membro


Fin dalle sue origini il processo d’integrazione EU nasce con la vocazione ad ampliarsi verso tutti gli
Stati EU. Tale vocazione si riflette in una clausola degli originari Trattati istitutivi che fissa la
procedura per l’adesione di nuovi Stati membri. Secondo il TUE, infatti, ogni Stato EU che rispetti i
valori del medesimo Trattato e s’impegni a promuoverli può domandare di diventare membro
dell’UE. Alla luce di tale disposizione, le condizioni per aderire all’UE sono, oltre a quella di essere
uno Stato nel senso del diritto internazionale, l’appartenenza all’Europa e la rispondenza di una
serie di requisiti politici che si ricollegano ai valori su cui la stessa UE è fondata. I cosiddetti
valori fondanti dell’UE (da non confondere con la Carta dei diritti dell’UE) sono riportati all’Art 2
del TUE: “L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della
democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti
delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società
caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla
solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.” Essi possono essere definiti come il nucleo fondante del
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processo di integrazione europea, si tratta di valori che sono in parte desunti dagli ordinamenti
giuridici degli stati membri ed in parte sono propri dell’ordinamento giuridico dell’UE. In realtà
l’Art.2 del TUE è stato introdotto con il trattato di Amsterdam infatti fino al trattato di Maastricht
questi valori venivano definiti principi e non erano contenuti nel corpo del trattato ma erano inseriti
nella fase preambolare. Si tratta di valori che devono essere rispettati sia dagli stati membri sia dalle
istituzioni europee nello svolgimento delle proprie attività.

Ci sono alcuni valori come ad esempio la “dignità umana” che possono essere trovati sia tra i valori
fondanti dell’UE ma anche all’Art.1 della carta dei diritti dell’UE tanto che la dignità può essere
considerata come la base stessa dei diritti fondamentali e con il tattato di Lisbona è stato inserito come
base stessa della tutela dei valori fondanti; proprio per la sua formulazione ampia questo diritto spesso
in fase di applicazione viene ricondotto di volta in volta ad altri diritti tipo “il divieto di tortura” ecc
non avendo così una configurazione autonoma. Seguono valori come libertà, democrazia
rappresentativa e partecipativa, ecc.

Poi abbiamo lo stato di diritto che è composto ad esempio dal principio di legalità, dal principio di
certezza del diritto e divieto di arbitrarietà del potere esecutivo ma soprattutto la corte di giustizia
dell’UE nel pronunciarsi sulla tutela dello stato di diritto un elemento che ha messo fortemente in
rilievo l’ha rintracciato nella presenza del sistema giurisdizionale indipendente ed effettivo.

Un altro aspetto legato alla tutela dei valori fondanti legato al sistema di controllo per monitorare che
gli stati membri rispettino i valori di cui all’Art.2 che sicuramente non può essere a carattere
giurisdizionale ma piuttosto deve essere di carattere politico cioè controllare che una volta che uno
stato membro ha aderito all’UE continui a mantenere un livello di tutela dei valori fondanti adeguato,
in altre parole una valutazione di carattere complessivo cioè se complessivamente le politiche degli
stati membri sono in linea con i valori fondanti dell’UE. Nei trattati proprio per permettere questo
sistema di controllo è prevista una specifica disposizione Art.7 del TUE definito “meccanismo
sanzionatorio” ed è un sistema che è stato introdotto con il trattato di Amsterdam e poi modificato
con il trattato di Lisbona con cui si è cercato di renderlo più flessibile. Questo meccanismo
sanzionatorio viene applicato di fronte a violazioni gravi da parte di uno stato membro non di una
singola norma ma dei valori fondanti di cui all’Art.2 andando a creare appunto un disallineamento con
la tutela di questi.

Passaggi relativi all'attuazione del meccanismo sanzionatorio: Art.7


1) “Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della
Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei 4/5 dei suoi
membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un
evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui
all'articolo 2. Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in
questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura.”
2) “Il Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione
permangono validi.”
3) “Il Consiglio europeo, deliberando all'unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o
della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare
l'esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori
di cui all'articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni.”
4) “Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando a
maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo
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Stato membro in questione dall'applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del
rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. Nell'agire in tal
senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui
diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche.”

Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli
derivano dai trattati cioè continua ad essere una stato membro con delle misure sanzionatorie.

5) “Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può successivamente decidere di


modificare o revocare le misure adottate a norma del paragrafo 3, per rispondere ai
cambiamenti nella situazione che ha portato alla loro imposizione.”

Questo meccanismo è stato applicato due volte sia nei confronti della Polonia su proposta della
Commissione EU che dell’Ungheria su proposta del Parlamento, due casi che sono sotto osservazione
da parte dell'UE ormai da quasi un decennio e ciò ha mostrato la difficile applicazione di questo
meccanismo. Già nel 2013 per certi versi si discusse sulla possibilità innescare il meccanismo
sanzionatorio di cui all'Art.7 però la commissione ritenendola una procedura troppo complessa adottò
una nuova procedura al di fuori di quanto contenuto nei trattati definita “nuovo quadro sullo stato di
diritto” che doveva essere una sorta di meccanismo di pre allarme col quale la commissione stessa
avvia un dialogo con lo stato interessato per tentare di risolvere la situazione in maniera informale
senza dover arrivare formalmente all’attivazione del meccanismo sanzionatorio. Questa nuova
procedura consisteva in una serie di raccomandazioni che la commissione indirizzava allo stato
membro interessato con il quale chiedeva sostanzialmente di modificare alcuni atti legislativi che si
ponevano in contrasto con il principio dello stato di diritto; infatti nei confronti della Polonia sono
state indirizzate circa 4 raccomandazioni che non hanno mai avuto esito positivo fin quando dopo
l’ultima raccomandazione la commissione europea le ha dato un ultimatum la quale nemmeno ha
avuto riscontro positivo e la situazione ungherese si è svolta in maniera piuttosto analoga.

Recentemente è stato adottato un regolamento per cercare di risolvere la situazione definito


“regolamento a tutela del bilancio dell’unione in caso di gravi violazioni dello stato di diritto” e
prevede che possa essere sospesa l’erogazione di fondi nei confronti di uno stato membro qualora
questo compia delle gravi violazioni nei confronti dello stato di diritto enunciati all'Art.2. Questo
regolamento è stato adottato parallelamente a quello che definiamo il “recovery fund” cioè dotare
l’unione di maggiori risorse proprie. La situazione si è però sbloccata solo nel momento in cui il
consiglio europeo ha promesso a Polonia ed Ungheria che il regolamento a tutela del bilancio non
sarebbe stato messo in pratica fin quando la corte di giustizia non si fosse pronunciata sulla legittimità
di questo provvedimento e la commissione non avesse adottato tutta una serie di linee guida per la sua
attuazione.

4)Adesione di uno stato terzo all’UE


Regolata dall’Art.49 del TUE: “Ogni Stato europeo che rispetti i valori di cui all'articolo 2 e si
impegni a promuoverli può domandare di diventare membro dell'Unione. Il Parlamento europeo e i
parlamenti nazionali sono informati di tale domanda. Lo Stato richiedente trasmette la sua domanda al
Consiglio, che si pronuncia all'unanimità, previa consultazione della Commissione e previa
approvazione del Parlamento europeo, che si pronuncia a maggioranza dei membri che lo
compongono. Si tiene conto dei criteri di ammissibilità convenuti dal Consiglio europeo.”
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Tale condizione può ritenersi soddisfatta, ha stabilito il consiglio EU, quando il paese candidato
abbia raggiunto una stabilità istituzionale che garantisca la democrazia, il principio di legalità, i
diritti umani, il rispetto e la protezione delle minoranze. Oltre a precisare tali parametri di
valutazione della condizione politica, il consiglio EU ha convenuto ulteriori criteri d’ammissibilità
alla luce dei quali vanno valutate le candidature all’UE.

Si tratta dei Criteri di Copenaghen:


Nella sua pronuncia il Consiglio tiene conto non solo dei criteri espressamente annunciati all’Art.49,
ma anche ai criteri di ammissibilità convenuti dal Consiglio Europeo di Copenaghen del 1993, i
cosiddetti Criteri di Copenaghen. Criteri di natura giuridica ed economica. Prevedono:
1) la presenza di istituzioni stabili che riesca a garantire la tutela dei valori fondanti di cui
all’art.2;
2) la presenza di un mercato affidabile che permetta allo stato che aderisce all’UE di entrare
all’interno di un sistema basato sul libero mercato, libera concorrenza e libera circolazione di
persone, merci, capitali;
3) avere la capacità di attuare efficacemente l’intero corpus legislativo dell’unione che abbiamo
definito acquis dell’unione

Uno stato che entra in un mercato comune più ampio deve possedere requisiti economici senza creare
un danno al mercato comune nel suo insieme. Da un lato sopportato dallo stato che aderisce, dall’altro
dal mercato comune.

Requisiti giuridici: lo stato membro deve essere in grado di accogliere l’intero, ovvero l’insieme del
quadro giuridico normativo dell’UE. Spesso l’adesione di uno stato viene preceduta da una serie di
passaggi tesi ad avvicinare lo stato al sistema dell’UE, con lo strumento degli Accordi di
Associazione, disciplinati dall’Art. 217 TFUE secondo cui appunto uno stato può concludere accordi
che istituiscono un’associazione caratterizzata da diritti e obblighi reciproci, da azioni in comune e da
procedure particolari. Gli accordi possono essere conclusi anche non ai fini dell’adesione, ma
nell’ambito della politica dell’allargamento sono un utile strumento. Avviano una serie di riforme
economiche e istituzionali utili per il rispetto dei criteri di ammissibilità. Una forma importante di
accordo di associazione è il cosiddetto spazio economico europeo cioè un accordo concluso ai sensi
dell’Art 217 del TFUE con cui si vuole estendere la partecipazione al mercato interno ad alcuni paesi
terzi nelle fattispecie ai paesi che fanno parte dell’associazione di libero scambio ovvero quelli
dell’EFTA (Norvegia, Svizzera, Islanda e Liechtenstein).

Come primo passaggio abbiamo la domanda di adesione che per prima cosa deve essere accettata e
solo quando questa viene accettata abbiamo un paese ufficialmente candidato che avvia il percorso
verso l’adesione all’UE. La domanda di adesione viene presentata dallo stato terzo al Consiglio che
si deve pronunciare all’unanimità e sulla quale chiede alla Commissione di esprimere un parere per
poi decidere, previa approvazione del Parlamento EU, se dichiararne l’ammissibilità. Contestualmente
sono informati della domanda di adesione anche i parlamenti nazionali ed il parlamento europeo. In
caso positivo, la fase istituzionale della procedura si chiude e si apre quella del negoziato di
adesione, che si svolge tra gli Stati membri e il paese candidato. Tale fase può esser preceduta da una
di preparazione alla candidatura, per quei paesi che aspirino a divenire membri, senza ancora essere
in possesso dei necessari standard previsti, e ai quali l’UE offre il proprio sostegno attraverso accordi
bilaterali di stabilizzazione e associazione per consentire un più rapido adeguamento. Il processo che
porta uno stato membro ad aderire all’UE si conclude con un accordo fra quest’ultimo e l’UE definito
accordo di adesione che è sottoposto alla firma di tutti gli Stati contraenti, ed entra in vigore una
volta ratificato da tutti loro secondo le rispettive norme costituzionali. In un accordo ad esso allegato
sono definite le condizioni per l’ammissione e gli adattamenti dei Trattati su cui è fondata l’UE.
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5)Recesso dall’UE
Regolato dall’Art.50 del TUE: par 1 “Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie
norme costituzionali, di recedere dall'Unione.”
par 2 “Lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio europeo. Alla
luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, l'Unione negozia e conclude con tale Stato un
accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con
l'Unione. L'accordo è negoziato conformemente all'articolo 218, paragrafo 3 del trattato sul
funzionamento dell'Unione europea. Esso è concluso a nome dell'Unione dal Consiglio, che delibera a
maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo.”

par 3 “I trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di
entrata in vigore dell'accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la
notifica di cui al paragrafo 2, salvo che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato membro
interessato, decida all'unanimità di prorogare tale termine.”

L’art. disciplina una procedura complessa, la cui prima fase si presenta come una procedura di
recesso negoziato. È previsto che quando uno Stato notifichi al Consiglio la sua intenzione di
lasciare l’UE, si avvia un negoziato tra questo e l’UE per la conclusione di un accordo volto a
definire le modalità del recesso e le future relazioni di quello Stato con l’UE. Dopo due anni
dalla notifica al Consiglio, il recesso diventa effettivo anche senza l’accordo. Inoltre lo stesso art.
aggiunge che il Consiglio, d’intesa con lo Stato interessato, può decidere all’unanimità di prorogare il
termine di due anni, al fine di proseguire il negoziato. Originariamente nei trattati non era prevista una
procedura che regolasse il recesso di uno stato membro dalle comunità e dall’UE. Con il trattato di
Lisbona si è sentita la necessità di regolare in maniera più precisa il fenomeno del recesso dall’UE per
evitare che nel caso in cui uno stato manifestasse questa volontà ciò avvenisse in maniera disordinata.
Ad oggi l’unico recesso che conosciamo è quello del Regno Unito iniziato nel 2016, la negoziazione
tra UE e UK a giugno del 2017 e protrattasi fino al 31 gennaio 2020. La proroga che è stata data al
Regno Unito è condizionata alla regolare organizzazione delle elezioni del parlamento europeo.

Così come è unilaterale la volontà di recedere, dal momento in cui lo stato recedente resta stato
membro a tutti gli effetti fino alla conclusione della procedura unilateralmente può ritirare la propria
notifica di recesso. Il consiglio europeo ha deciso che la commissione europea deve essere composta
da un numero di commissari pari al numero degli stati membri.

6)Integrazione differenziata
E’ il concetto secondo il quale il diritto dell’Ue non si applica sempre integralmente nei confronti di
tutti gli stati membri. Strumento attraverso il quale si tenta di rendere quanto più aperto possibile il
processo di integrazione dell’UE cioè serve a coinvolgere gli stati nel processo di integrazione benché
non condividano a pieno il progetto. Questo perché ci sono degli stati che hanno delle deroghe e nei
loro confronti non si applica il cosiddetto acquis dell’UE.

Rispetto ad essi l’atto di adesione prevede in genere una serie di deroghe a norme e atti dell’UE, che
hanno carattere transitorio, proprio perché dirette a consentire la piena integrazione dei nuovi Stati nel
sistema dell’UE. Per deroga la possiamo intendere come lo stato che aderisce all’UE ma non vuole
essere vincolata da talune parti del diritto dell’UE ad esempio le clausole di “opting out”. Escludere
appunto l’applicazione di alcune norme contenute nei trattati nei confronti di alcuni stati membri.
L’esclusione deve essere prevista e regolata dai trattati, per prevedere come possa incidere sul
funzionamento dell’organizzazione.

Il sistema di integrazione differenziata può avere sia un accezione negativa in quanto esclude
l’applicazione di alcune norme nei confronti di alcuni stati, ma dall altra parte i trattati prevedono però
una forma di integrazione differenziata che per certi aspetti ha un'accezione positiva volta ad
accelerare il processo di integrazione europea, questo strumento è costituito dalle cosiddette
cooperazioni rafforzate Art.20 del TUE: “Le cooperazioni rafforzate sono intese a promuovere la
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realizzazione degli obiettivi dell'Unione, a proteggere i suoi interessi e a rafforzare il suo processo di
integrazione. Sono aperte in qualsiasi momento a tutti gli Stati membri ai sensi dell'articolo 328 del
trattato sul funzionamento dell'Unione europea.”

Introdotte con il trattato di Amsterdam poi modificate con il trattato di Nizza e Lisbona che
consentono a taluni stati membri di realizzare forme più avanzate di integrazione non escludendo però
altri stati membri che eventualmente vogliono partecipare in un secondo momento. L’iniziativa di
instaurare una cooperazione deve esser presa da un numero di almeno 9 Stati e il suo oggetto
deve rientrare nei limiti delle competenze dell’UE, ma non riguardare una competenza esclusiva
di questa e contenere sia motivazioni relativamente agli obiettivi che tale cooperazione intende
raggiungere, che spiegazioni relative all’ambito nel quale viene instaurata. Una volta presentata la
domanda la commissione può presentare al consiglio una proposta al riguardo, in caso contrario
naturalmente deve motivare le ragione che l’hanno indotta a non proseguire nella richiesta presentata
dagli stati membri. A questo punto l’avvio di una cooperazione rafforzata deve essere autorizzata dal
Consiglio a maggioranza qualificata, sulla base di una proposta della Commissione preparata su
richiesta del gruppo di Stati che intendono procedervi, e previa approvazione del Parlamento.
La cooperazione rafforzata può essere istituita come strumento di ultima istanza cioè quando siamo
nell’ambito di una competenza nella quale l’unione è riuscita ad adottare una misura capace di
coinvolgere tutti gli stati membri e quindi un numero ristretto di stati decide di andare avanti in quel
settore autonomamente ma in ogni caso ci deve essere stato lo sforzo da parte dell’UE di adottare
misure che coinvolgessero tutti gli stati. L’obiettivo degli stati che instaurano una cooperazione
rafforzata però deve essere in ogni caso quello di favorire la più ampia adesione possibile da parte
degli stati membri. Come abbiamo detto le cooperazioni rafforzate devono sempre essere aperte a tutti
gli stati membri ma gli stati che non partecipano alla cooperazione, partecipano alle attività
istituzionali che si svolgono nell’ambito della stessa però quando si tratta di adottare misure
nell’ambito di tale cooperativa chi non partecipa non vota.

I trattati prevedono all'Art.42 del TUE una cooperazione rafforzata che ha una natura particolare la
cosiddetta “cooperazione strutturata permanente” che è una forma di cooperazione in materia
militare. Art.42 par 6: “Gli Stati membri che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità
militari e che hanno sottoscritto impegni più vincolanti in materia ai fini delle missioni più
impegnative instaurano una cooperazione strutturata permanente nell'ambito dell'Unione. Detta
cooperazione è disciplinata dall'articolo 46. Essa lascia impregiudicato l'articolo 43.”

Anche in questo caso la cooperazione strutturata può essere instaurata su decisione del consiglio che
delibera a maggioranza qualificata.

7)I Protocolli
I trattati sono completati da una serie di 37 Protocolli, che hanno lo stesso valore giuridico dei trattati
stessi. A cosa servono i protocolli? Perché i redattori dei trattati hanno sentito la necessità di
aggiungere i protocolli e non hanno inglobato le disposizioni degli stessi nei trattati? Innanzitutto per
una ragione di semplificazione. Inglobare tutta la disciplina dei protocolli nei trattati avrebbe
appesantito il contenuto degli stessi. In secondo luogo i protocolli vengono aggiunti in fase
successiva.

Qual è l’obiettivo dei protocolli?


Alcuni hanno il compito di integrare il contenuto e la portata di alcune disposizioni. Dobbiamo quindi
leggere e interpretare in maniera congiunta. Altri protocolli possono avere il compito di precisare il
funzionamento di alcune procedure. Altri ancora servono ad attribuire alcuni status specifici a
determinati stati membri.

Protocollo sul sistema Schengen, che abbatte le frontiere interne. Nato fuori dall’UE attraverso un
trattato internazionale, poi inglobato nel diritto UE in una fase successiva.
Esiste un protocollo che esclude la Danimarca dagli atti relativi alla materia di libertà, sicurezza e
giustizia, che è una materia di competenza dell’UE.
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Quadro istituzionale
L’UE dispone di un quadro istituzionale che mira a promuoverne i valori, perseguirne gli obiettivi,
servire i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini e quelli degli Stati membri, garantire la coerenza,
l’efficacia e la continuità delle sue politiche e delle sue azioni. Di tale quadro fanno parte:
Parlamento EU, Consiglio EU, Consiglio, Commissione EU, Corte di giustizia dell’UE, BCE e
Corte dei Conti. Le altre entità sia che siano previste dai trattati sia che siano istituite con atti di
diritto derivato, non rientrano nel quadro istituzionale ma nel quadro organico dell’UE. Ogni
istituzione è rappresentativa di un interesse differente:
- il parlamento europeo rappresenta gli interessi dei cittadini dell’UE tant’è che è strettamente
collegato allo status di cittadino dell’UE di conseguenza dipende soltanto dalla volontà dei
cittadini;
- il consiglio ed il consiglio europeo sono due istituzioni a carattere intergovernativo cioè sono
rappresentativi degli interessi degli stati membri in forma ovviamente differente perché il
consiglio è composto dai rappresentanti degli stati membri a livello ministeriale mentre il
consiglio europeo è composto dai capi di stato e di governo ma soprattutto anche funzioni
diverse perché uno da un impulso politico (consiglio europeo che ha fatto il suo ingresso nei
trattati gradualmente fino al trattato di Lisbona con il quale è stato inserito anche nel quadro
istituzionale) l'altro invece ha funzione legislativa (funzione attraverso la quale l’attività di
impulso politico viene tradotta in pratica attraverso l’adozione di atti legislativi);
- la commissione europea viene definita “custode dei trattati” e rappresenta l’interesse
generale motivo per cui deve essere composta da membri indipendenti che esercitano le loro
funzioni in ragione delle loro competenze tecniche che però non devono rispondere a nessuno
cioè le loro funzioni non possono essere influenzate dagli stati membri.

Queste sono le istituzioni definite politiche perché appunto corrispondono ad una natura che ha
finalità politica e sono anche quelle con potere decisionale. Gli atti legislativi vengono da loro adottati
nel cui processo svolgono funzioni differenti perché la commissione ha il potere di iniziativa
legislativa mentre il consiglio ed il parlamento sono co-legislativi cioè deliberano.

La corte di giustizia e la corte dei conti svolgono invece in ruolo di controllo ed infine la BCE svolge
un ruolo di natura tecnica nell'ambito della politica monetaria.

Istituzioni: sono quelle espressamente elencate all’Art.13 del TUE: “L'Unione dispone di un quadro
istituzionale che mira a promuoverne i valori, perseguirne gli obiettivi, servire i suoi interessi, quelli
dei suoi cittadini e quelli degli Stati membri, garantire la coerenza, l'efficacia e la continuità delle sue
politiche e delle sue azioni.”

Principi di funzionamento del sistema istituzionale Art.13 del TUE:


● par2 Principio dell'equilibrio istituzionale: “Ciascuna istituzione agisce nei limiti delle
attribuzioni che le sono conferite dai trattati, secondo le procedure, condizioni e finalità da
essi previste. Le istituzioni attuano tra loro una leale cooperazione.” Sostanzialmente ci dice
che i trattati hanno instaurato un sistema di ripartizione delle competenze tra le varie
istituzioni attraverso cui ogni ognuna di essa svolge una specifica funzione ed inoltre che
eserciti le proprie competenze nel rispetto delle altre istituzioni. Un esempio di applicazione
del principio dell’equilibrio istituzionale consiste nella corretta scelta della base giuridica di
un atto dell’unione.
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● par 2 Principio di leale cooperazione: “Ciascuna istituzione agisce nei limiti delle
attribuzioni che le sono conferite dai trattati, secondo le procedure, condizioni e finalità da
essi previste. Le istituzioni attuano tra loro una leale cooperazione.” Principio innovato con il
trattato di Lisbona perché questo principio esisteva sin dai trattati istitutivi e si applicava
solamente nei rapporti tra le istituzioni e gli stati membri poi successivamente è stato oggetto
di una interpretazione estensiva da parte della corte di giustizia la quale ha ritenuto che questo
principio andasse applicato anche nei rapporti tra le istituzioni e tra l’altro la stessa corte di
giustizia ha riconosciuto a tale principio un carattere autonomo ciò vuol dire che nel verificare
di volta in volta la corretta applicazione del principio non si deve andare a fare riferimento ad
altre norme dei trattati ma sostanzialmente la semplice violazione del principio può portare ad
una illegittimità degli atti adottati. Un esempio di applicazione del principio di leale
cooperazione inter istituzionale riguarda le procedure di consultazione tipo quando ad
esempio un atto viene adottato dal consiglio previa consultazione del parlamento europeo.
Quindi la consultazione può essere definita come un passaggio obbligatorio ma non
giuridicamente vincolante.
Art.4 del TUE par 3: “In virtù del principio di leale cooperazione, l'Unione e gli Stati membri
si rispettano e si assistono reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dai trattati”
(dal trattato di Lisbona può essere applicato anche ai rapporti tra istituzioni),
“Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare
l'esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni
dell'Unione” (obbligo di natura positiva),
“Gli Stati membri facilitano all'Unione l'adempimento dei suoi compiti e si astengono da
qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione”
(obbligo di natura negativa).

1)Parlamento europeo
Regolato dall'Art.14 del TUE ed è l’istituzione direttamente rappresentativa degli interessi dei
cittadini europei. Il trattato di Lisbona lo ha definito par 2: “Il Parlamento europeo è composto di
rappresentanti dei cittadini dell'Unione. Il loro numero non può essere superiore a 750, più il
presidente. La rappresentanza dei cittadini è garantita in modo degressivamente proporzionale, con
una soglia minima di sei membri per Stato membro. A nessuno Stato membro sono assegnati più di 96
seggi.”
Art.20 del TFUE par 2 (b): “Il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e
alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiedono, alle stesse condizioni dei cittadini di detto
Stato.

Il Parlamento europeo è l'istituzione attraverso la quale, in via principale, il principio di democrazia


ha modo di esprimersi a livello dell'ordinamento dell'Unione Europea. Esso è composto da
rappresentanti dei cittadini degli Stati membri eletti a suffragio diretto. Nei trattati originari veniva
definito assemblea parlamentare e non era un istituzione eletta a suffragio universale diretto,
originariamente era composta da parlamentari nazionali ovvero il “criterio del doppio mandato” per
cui il parlamento europeo era sì il rappresentante dei cittadini europei ma in forma indiretta, è
divenuto a suffragio universale diretto quando si è riusciti ad adottare nel 1976 il cosiddetto “atto
elettorale europeo” e modificato nel 2012 e 2018 che è basato sull’idea di alcuni principi comuni che
devono essere rispettati ma lasciando di base la competenza ai singoli stati membri. La base giuridica
per modificare questo atto la ritroviamo nell’Art.223 del TFUE: “Il Parlamento europeo elabora un
progetto volto a stabilire le disposizioni necessarie per permettere l'elezione dei suoi membri a
suffragio universale diretto, secondo una procedura uniforme in tutti gli Stati membri o secondo
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principi comuni a tutti gli Stati membri.” Deve poi essere approvato dal consiglio “Il Consiglio,
deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del
Parlamento europeo che si pronuncia alla maggioranza dei membri che lo compongono, stabilisce le
disposizioni necessarie. Tali disposizioni entrano in vigore previa approvazione degli Stati membri
conformemente alle rispettive norme costituzionali.” Come possiamo notare la modifica dell’atto però
non è una procedura molto snella tant’è che gli stati membri hanno avuto sempre una certa difficoltà
nel trovare un accordo su una procedura uniforme in tutti gli stati.

Il parlamento ha una sede dove svolge le sessioni plenarie con sede di Bruxelles e una sede a
Strasburgo dove si svolgono i lavori delle commissioni parlamentari. I membri del parlamento
europeo non siedono in ragione della loro nazionalità ma in ragione della loro appartenenza ad un
determinato gruppo politico quindi può anche capitare che all’interno di uno stesso gruppo ci siano
membri di diversa nazionalità.

Il parlamento europeo ai sensi dei trattati prevede la possibilità di eleggere massimo 750 parlamentari
più il presidente però non è detto che si debba necessariamente raggiungere tale soglia e come devono
essere ripartiti i seggi viene deciso dal Consiglio europeo all’unanimità su iniziativa del parlamento e
con approvazione di quest'ultimo (a differenza della consultazione che è obbligatoria ma non
vincolante giuridicamente l’approvazione è obbligatoria e anche giuridicamente vincolante nel senso
che se la posizione del parlamento europeo è negativa il consiglio europeo non può deliberare). Nella
ripartizione dei seggi però il consiglio non tiene conto solo della soglia massima ma anche del fatto
che a ciascun stato membro può essere assegnato un minimo di 6 seggi ed un massimo di 96 in modo
degressivamente proporzionale. Il criterio di ripartizione è però demografico, nel senso che il
numero dei parlamentari spettanti a ciascun paese è commisurato alla popolazione dello stesso.

Il parlamento europeo lavora in seduta plenaria nell’ambito delle quali si riuniscono tutti i
parlamentari in cui deliberano sugli atti che si devono adottare in parlamento, ma poi si riuniscono
anche nelle commissioni che sono delle formazioni ristrette a cui partecipa un numero ristretto di
parlamentari, servono a facilitare il lavoro del parlamento e sono organizzate per materia. Un atto
prima che arrivi all’assemblea per la delibera finale sostanzialmente viene prima discusso nell’ambito
delle commissioni e quindi ciò permette anche di lavorare in maniera più agile, naturalmente visto che
le commissioni svolgono per certi aspetti un ruolo preliminare rispetto a quello che poi svolgerà
l’assemblea è anche necessario che ciascuna commissione parlamentare abbia una composizione
ristretta che rispecchi gli equilibri presenti nell’assemblea plenaria ciò vuol dire che se nell’assemblea
abbiamo una suddivisione dei seggi tra i vari gruppi politici con determinate proporzioni, queste
ultime devono essere rispettate anche per l’assemblea l’importante però che ci sia almeno un
rappresentante di ogni gruppo politico. Le commissioni possono essere permanenti o temporanee
talvolta vengono istituite con un determinato obiettivo rispetto a delle specifiche materie e una volta
esaurito l'obiettivo assegnatogli si scioglie.

Funzioni del parlamento europeo


Il parlamento europeo svolge essenzialmente due tipi di funzioni:
1) partecipa all’attività legislativa
2) controllo politico

1)Esso non svolge attività di iniziativa legislativa. Il parlamento può in qualche modo stimolare
l’iniziativa della commissione e può proporle di adottare un atto legislativo ma questa non è obbligata
a procedere e nel caso in cui non proceda sussiste un obbligo di motivazione.
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Procedura legislativa ordinaria: necessita dell’iniziativa da parte della commissione che propone
quindi un atto da adottare che deve essere poi approvato dal parlamento e dal consiglio che devono
appunto deliberare in cui possono non solo accettarla o respingerla ma anche modificarla, quindi si
trovano sullo stesso piano infatti si dice che sono co-legislatori.

2)Innanzitutto il parlamento deve essere informato delle attività svolte dalle altre istituzioni ad
esempio la commissione europea ogni anno produce una relazione generale al parlamento europeo che
contiene un po un riassunto di quelle che sono le attività settoriali portate avanti durante l’anno in
riferimento a tutte le materie delle quali il parlamento discute e spesso a seguito di queste discussioni
fa anche delle raccomandazioni esprimendo così la propria posizione. Inoltre il parlamento può
istituire delle commissioni di inchiesta che hanno il compito di esaminare le denunce di infrazione o
di cattiva amministrazione nell’applicazione del diritto dell’UE ed il suo lavoro si conclude con una
relazione finale ma non possono occuparsi di questioni alle quali già è applicato un processo
giurisdizionale. Per quanto riguarda la cattiva amministrazione il parlamento ha il potere di nominare
un organo istituito con il trattato di Maastricht ovvero il “mediatore europeo” che ha il compito di
ricevere da parte dei cittadini o da parte di qualsiasi persona fisica o giuridica che risiede all’interno
dell’UE denunce riguardanti casi di cattiva amministrazione nell’azione delle istituzioni, organi o
organismi dell’UE. Il fatto che esso venga eletto dal parlamento europeo non è detto che esista un
rapporto di dipendenza con il parlamento, perché una volta che viene eletto il parlamento non può
rimuoverlo ma piuttosto deve metterlo nelle condizioni di poter agire autonomamente. Però
probabilmente la più importante funzione di controllo che svolge il parlamento è quella che esercita
nei confronti della commissione europea non solo perché esercita una funzione fondamentale nella
fase di nomina ma anche perché il parlamento può adottare nei confronti di questa una mozione di
censura che può costringere l’intera commissione a dimettersi.

2)Commissione europea
Detiene il potere di iniziativa legislativa che può essere stimolato dai cittadini o anche dal
parlamento. Altrettanto importante sono poi il potere normativo diretto della Commissione ed il
potere di esecuzione del diritto. In terzo luogo, è alla Commissione che spetta la rappresentanza
dell'Unione sulla scena internazionale nei settori diversi dalla PESC, sia sotto il profilo della
negoziazione degli accordi con Stati terzi, che della gestione successiva degli stessi in particolare per
quanto riguarda la presenza dell'Unione negli organismi da essi creati. All’interno del quadro
istituzionale dell’UE la commissione è quell’istituzione che rappresenta l’interesse generale dell’UE e
vigila sull’applicazione dei trattati e sulle misure adottate dall’istituzione in virtù dei trattati; ad
esempio nella procedura di infrazione attraverso la quale la corte di giustizia accerta eventuali
violazioni del diritto dell’UE la commissione europea svolge un ruolo fondamentale, è il motore di
questa procedura cioè l’avvia. Per quanto riguarda la sua composizione il trattato di Lisbona in realtà
conteneva una novità: Art.17 del TUE
- par 4 “La Commissione nominata tra la data di entrata in vigore del trattato di Lisbona e il 31
ottobre 2014 è composta da un cittadino di ciascuno Stato membro, compreso il presidente e l'alto
rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che è uno dei vicepresidenti.”
- par 5 “A decorrere dal 1 novembre 2014, la Commissione è composta da un numero di membri,
compreso il presidente e l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza,
corrispondente ai due terzi del numero degli Stati membri, a meno che il Consiglio europeo,
deliberando all'unanimità, non decida di modificare tale numero.”
Ciò sta a significare che quando è stato adottato il trattato di Lisbona proprio per semplificare la
composizione della commissione nell’ottica secondo cui questa è un'istituzione che rappresenta gli
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interessi generali dell’unione non ha senso allora che all’interno di essa ci debba essere un cittadino di
ogni stato membro soprattutto perché nel frattempo il numero degli stati membri è cresciuto e quindi
si rischiava di intasare il sistema della commissione. Ad oggi il numero di commissari resta sempre di
27 quindi uguale al numero degli stati membri perché così ha deciso all’unanimità il consiglio
europeo e perché i trattati in relazione all’Art.17 par 5 del TUE prevede che il consiglio abbia
effettivamente questo potere di modificare la composizione della commissione europea. Di base i
membri della commissione europea non hanno una natura intergovernativa quindi non sono
rappresentanti degli stati membri ma sono scelti sulla base delle loro competenze generali, del loro
impegno europeo tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza ciò vuol dire che i
membri della commissione europea non possono essere condizionati né sollecitati dagli stati membri
però i commissari dal canto loro non devono svolgere funzioni incompatibili con il loro ruolo di
commissari e nel frattempo non possono svolgere altre attività professionali, talvolta l’incompatibilità
sussiste anche dopo la cessazione del mandato.

Il mandato della commissione europea dura 5 anni.

Procedura di nomina
La procedura di nomina della Commissione è successiva allo svolgimento delle elezioni al
parlamento europeo. Tale procedura, dettata dall’Art.17 del TUE, si articola in tre fasi:
1. nella prima si procede alla designazione del Presidente, il cui nome deve essere proposto a
maggioranza qualificata dal Consiglio europeo al Parlamento europeo, che deve eleggerlo a
maggioranza dei suoi membri. Quando il secondo non approvi la proposta del primo, questo
deve ripresentare una proposta in un mese.

Il presidente definisce gli orientamenti nel cui quadro la commissione esercita i suoi compiti,
decide l'organizzazione interna della commissione ed infine nomina i vicepresidenti ad
eccezione dell’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza il quale è
membro della Commissione, in veste di Vicepresidente. A partire dal trattato di Lisbona il
presidente è anche l'unica persona che può obbligare un singolo commissario alle dimissioni.

Con le lezioni del 2014 era stato sperimentato il sistema tedesco degli spitzenkandidat
secondo cui ciascun partito europeo prima delle elezioni designava quello che era il proprio
candidato a presidente della commissione europea ed una volta concluse le elezioni il
Consiglio europeo teneva conto dei candidati designati ed in base al partito che otteneva più
voti proponeva alla nomina di presidente della commissione il candidato del partito che aveva
ottenuto il maggior numero di voti. Questo sistema era stato fortemente sponsorizzato dal
parlamento europeo infatti prima delle elezioni del 2019 il parlamento adottò una risoluzione
nella quale disse che non avrebbe approvato nessun presidente della commissione che non
fosse uno spitzenkandidat perché secondo il parlamento questo processo serviva anche a
rafforzare la democraticità del processo di nomina della commissione europea. Ma nel 2019
non si è riusciti a confermare il sistema del 2014 perché queste elezioni ci hanno consegnato
una suddivisione dei seggi in parlamento fra i vari gruppi politici più frastagliata rispetto a
quella del passato.
2. La seconda fase è diretta invece all'individuazione dell'intero Collegio dei Commissari:
spetta al Consiglio, in accordo con il Presidente eletto, adottarne l'elenco sulla base delle
proposte presentate dagli Stati membri, tenendo conto dei requisiti di competenza e
indipendenza prescritti dal Trattato.
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3. Infine, si ha la terza fase, che vede la Commissione nella sua interezza sottoporsi
all'approvazione del Parlamento.
4. In caso di voto positivo di questo, dovrà essere formalmente nominata a maggioranza
qualificata dal Consiglio europeo.

Non è detto quindi che la volontà di uno stato sia confermata dal voto parlamentare ed è un passaggio
delicato perché all’approvazione finale davanti al parlamento europeo passa l’intera commissione
quindi il parlamento non esprime un voto per singolo commissario ne segue che prima di presentare la
proposta al parlamento vanno fatte delle valutazioni ben accurate perché magari un singolo
commissario designato non va bene al parlamento europeo però la posizione nei confronti del singolo
è talmente negativa che potrebbe portare il parlamento a respingere l’intera commissione, a questo
punto nella prassi per evitare situazioni del genere si fa un passaggio preliminare cioè nel momento in
cui gli stati propongono ciascuno il proprio commissario ed alla luce di queste proposte il consiglio
predispone una rosa di commissari designati ed affida a ciascuno di essi una materia di competenza, in
base ad essa quest’ultimo va a titolo individuale in audizione presso la commissione parlamentare
competente per quella materia assegnata al commissario designato per avere una valutazione su di
esso.

Possiamo dire quindi che esiste un rapporto di fiducia tra il parlamento e la commissione e questo
rapporto continua anche una volta che la nomina della commissione viene effettuata, cioè la
commissione anche dopo la sua nomina continua a restare responsabile collettivamente dinanzi al
parlamento europeo che formalmente si chiama mozione di censura. Art.17 del TUE par 8: “La
Commissione è responsabile collettivamente dinanzi al Parlamento europeo. Il Parlamento europeo
può votare una mozione di censura della Commissione secondo le modalità di cui all'articolo 234 del
trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Se tale mozione è adottata, i membri della
Commissione si dimettono collettivamente dalle loro funzioni e l'alto rappresentante dell'Unione per
gli affari esteri e la politica di sicurezza si dimette dalle funzioni che esercita in seno alla
Commissione.” La mozione deve essere approvata a maggioranza di 2/3 dei voti espressi nonché a
maggioranza dei membri che lo compongono. Se la commissione si dimette deve esserne nominata
un’altra che però non resta in carica per 5 anni ma per il tempo idoneo a coprire la conclusione del
mandato della precedente commissione o del singolo commissario se si verifica la dimissione del
singolo.

Non è previsto quindi una sfiducia nei confronti del singolo commissario e questo in passato ha creato
dei problemi perché per quanto riguarda il mandato del singolo non è previsto che il parlamento lo
possa sfiduciare però è previsto che qualora un singolo commissario non risponda più alle condizione
necessarie all’esercizio delle proprie funzioni o abbia commesso una colpa grave esso può essere
dichiarato dimissionario dalla corte di giustizia. Ovviamente se si dimette deve essere sostituito da un
commissario della stessa nazionalità per la restante durata del mandato che viene nominato dal
consiglio di comune accordo con il presidente della commissione previa consultazione del parlamento
europeo.

3)Consiglio e consiglio europeo


Hanno natura intergovernativa ciò vuol dire che si tratta di due istituzioni composte da rappresentanti
degli stati membri e quindi rappresentano quelli che sono gli interessi di quest’ultimi. Apparentemente
sono molto simili ma in realtà sono due istituzioni che svolgono funzioni differenti e soprattutto sono
state create in tempi differenti perché il consiglio che in precedenza era chiamato consiglio dei
ministri è quindi sempre esistito al contrario il consiglio europeo è un'istituzione che si è formata nel
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tempo ed il suo processo di formazione è stato progressivo o graduale nel senso che in un primo
momento ha iniziato ad operare come organo informale al di fuori dei trattati poi pian piano con il
trattato di Lisbona è stato ricondotto all’interno del quadro giuridico dell’UE.

1) Consiglio
E’ regolato dall’Art.16 del TUE. La sua funzione principale è esercitare congiuntamente al
parlamento europeo la funzione legislativa quindi adottare atti legislativi che in taluni casi possono
produrre anche effetti diretti nei confronti degli stati membri o del singolo. Inoltre svolge la funzione
di bilancio e funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento alle condizioni stabilite
nei Trattati.

Composizione del consiglio


Ha una composizione cosiddetta variabile cioè non è permanente.
par 2: “Il Consiglio è composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale,
abilitato a impegnare il governo dello Stato membro che rappresenta e ad esercitare il diritto di voto.”
Ha una composizione variabile perché il ministro di uno stato membro quando ci sono le riunioni del
consiglio si reca a Bruxelles, siede all’interno di esso e partecipa alle riunioni in quanto ministro del
suo stato membro ma nel momento in cui le riunioni finiscono tornerà nel suo stato e svolgerà le
funzioni di ministro ne consegue che non svolge funzioni a tempo pieno di membro del consiglio
perché parallelamente svolge le funzioni di ministro nel suo stato e proprio in ragione del fatto che è
ministro che diventa anche membro del consiglio. Ma soprattutto il consiglio non ha una formazione
cosiddetta stabile cioè ciascun governo ha la possibilità di far partecipare alle riunioni del consiglio di
volta in volta il ministro che ritiene più competente nella materia di cui tratterà il consiglio in quella
specifica riunione infatti il consiglio organizza le proprie riunioni per materia, si dice che il consiglio
si riunisce nelle cosiddette formazioni divisioni a livello organizzativo. Queste formazioni non sono
però create di volta in volta ma ne esistono un certo numero prestabilite e sono stabilite dal Consiglio
EU che delibera a maggioranza qualificata.

Esistono però due formazioni del consiglio che sono diversamente regolate dai trattati e non dal
consiglio EU ovvero “Consiglio affari generali” e “Consiglio affari esteri”. Il consiglio affari
generali ha una formazione che assomiglia tantissimo al consiglio EU perché è costituito proprio dai
capi di stato e di governo degli stati membri e svolge una funzione di raccordo fra le varie formazione
del consiglio “Il Consiglio «Affari generali» assicura la coerenza dei lavori delle varie formazioni del
Consiglio. Esso prepara le riunioni del Consiglio europeo e ne assicura il seguito in collegamento con
il presidente del Consiglio europeo e la Commissione.” Mentre “Il Consiglio «Affari esteri» elabora
l'azione esterna dell'Unione secondo le linee strategiche definite dal Consiglio europeo e assicura la
coerenza dell'azione dell'Unione.” Esso ha una peculiarità molto importante riguardo la sua
formazione cioè prevede un'eccezione per quanto riguarda la sua presidenza perché a presiedere le
riunioni è sempre l’Alto rappresentante tra gli affari esteri e la politica di sicurezza.

Esiste poi un organo particolare che a volte viene scambiato con una formazione del consiglio ma in
realtà non lo è pur essendo composto dai ministri delle finanze l'Eurogruppo. Esso è ufficializzato
dal Protocollo n.14 allegato ai Trattati ed è definito come una riunione informale degli stati la cui
moneta è l’euro. Nell’ambito della quale i ministri discutono di questioni attinenti alle responsabilità
da essi condivise in materia di moneta unica. Con il trattato di Lisbona si è poi deciso di regolarlo in
maniera precisa ed è stato appunto inserito con un apposito protocollo nel trattato sull’eurogruppo che
regola la sua composizione e le funzione che svolge. Nel regolamentarlo i trattati hanno anche
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previsto che all'interno di esso veniva nominato un presidente. I trattati però si limitano a prendere
atto dell’esistenza di quest’organo il quale però resta informale che opera fuori dal quadro giuridico
dell’UE.

Sul piano della prassi un ruolo significativo è stato assunto anche dal Consiglio ECOFIN (cui
partecipano i ministri dell’economia e delle finanze).

Un aspetto particolare del Consiglio è costituito dal sistema di presidenza del consiglio perché non
esiste un presidente fisso ma c’è un sistema di rotazione della presidenza ciò vuol dire che la
presidenza del consiglio è assegnata per un periodo di 6 mesi ad uno stato membro e nel proprio
semestre di presidenza materialmente chi svolgerà le riunioni di consiglio sarà il ministro dello stato
membro che detiene la presidenza. All’interno di questi 6 mesi il consiglio si riunirà un tot di volte, ad
esempio quando si riunirà nella sua formazione ECOFIN ciò il semestre di presidenza italiano
materialmente chi svolgerà le riunioni sarà il ministro italiano dell’economia e delle finanze che
parteciperà come rappresentante italiano. Di base ogni stato nel suo semestre di presidenza elabora un
programma di priorità politiche che devono essere seguite nell’ambito di quel semestre dall’UE. In
realtà gli stati che detengono il semestre di presidenza vengono riuniti in gruppi di 3 stati ovvero le
cosiddette terzine e ciascun gruppo di 3 stati detiene la presidenza del consiglio per un periodo
complessivo di 18 mesi all’interno dei quali ciascuno stato esercita a turno la presidenza per 6
mesi con l’assistenza degli altri 2 e sulla base di un programma comune.

Come già è stato detto in precedenza il Consiglio non ha una composizione permanente ed è
impensabile che pur non avendo una continuità svolge comunque una funzione importante quale la
funzione legislativa, per questo per colmare questo vuoto essa è affiancato da un organo COREPER
“Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri” che si riunisce settimanalmente a
Bruxelles ed è formato da rappresentanti degli stati a livello diplomatico. E’ presente a Bruxelles con
un gruppo permanente con una propria rappresentanza e rappresenta lo stato a livello europeo e ne
difende gli interessi. Il capo di ciascuna rappresentanza presso l’UE è l'ambasciatore di un
determinato stato presso l’UE. Questo comitato sostanzialmente prepara i lavori del consiglio. Il
COREPER è assistito a sua volta da gruppi competenti in determinate materie che sono formati da
funzionari delle varie amministrazioni nazionali. Ultimi 3 giorni del consiglio si suddividono in punto
1 e punto 2; sostanzialmente al punto 1 vengono messi tutti quei fascicoli rispetto ai quali nel
COREPER si è raggiunto un compromesso definitivo in cui non è emersa nessuna posizione
contrastante tra i stati membri. Quindi per quelle questione rispetto alle quali sostanzialmente c’è una
piena condivisione già a livello di COREPER e quindi si ritiene che non possa emergere nessun
contrasto tra gli stati membri proprio perché le loro posizioni sono pienamente convergenti il
Consiglio sostanzialmente si limita a deliberare quello che già è stato deciso in sede di COREPER. Al
contrario quelle inserite nel punto 2 sono quelle questioni per le quali ancora non si è raggiunta una
condivisione di idee però si ritiene che debbano ancora essere oggetto di una certa discussione a
livello dei ministri.

Sistema di votazione
Il consiglio può votare in 3 modi:
- all’unanimità ad esempio quando riguarda questioni di politica estera e sicurezza comune;
- a maggioranza semplice che sono una deroga al sistema della maggioranza qualificata;
- di regola però vota a maggioranza qualificata. Anzi secondo quanto previsto dai trattati di
regola delibera a maggioranza qualificata salvo nei casi in cui i trattati dispongano
diversamente.
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Il sistema della maggioranza qualificata è un sistema secondo il quale gli atti possono essere adottati
solo se viene raggiunto un doppio quorum:
● un quorum numerico cioè una votazione alla quale partecipano i 27 stati membri e
serve raggiungere almeno una soglia di stati votanti che corrisponde al 55% degli stati
membri corrispondenti ad almeno 15 stati
● un quorum demografico minimo cioè non basta che almeno il 55% degli stati
membri voti a favore della proposta legislativa ma gli stati se votano a favore di
quella proposta devono rappresentare almeno il 65% della popolazione dell’UE.

Esiste però la minoranza di blocco cioè un numero minoritario di stati particolarmente importante
sotto il profilo demografico che benché sia minoritario può bloccare le votazioni impedendo il
raggiungimento del quorum demografico. Allora i trattati prevedono una sorta di correttivo per cui la
minoranza di blocco debba essere costituita da almeno 4 stati.

2) Consiglio EU
L’ultima delle 4 definite istituzioni politiche. Regolato dall’Art.15 del TUE e 235/236 del TFUE. Il
Consiglio Europeo è l’istituzione probabilmente più giovane perché inizialmente non figurava nel
quadro originale delle comunità ma ha avuto un processo istitutivo che potremmo definire progressivo
o graduale. Inizialmente infatti le riunioni del Consiglio Europeo non erano regolate dai trattati e si
era affermato nella prassi degli stati membri. Il periodo storico in cui collochiamo le prime riunioni è
negli anni ‘60 del 1900, in questo periodo i capi di stato e di governo degli stati membri hanno iniziato
a svolgere una serie di riunioni di carattere informale perché appunto non erano riunioni regolate dai
trattati ma erano riunioni da loro stessi organizzate nell’ambito delle quali discutevano degli
orientamenti politici che dovevano caratterizzare il processo di integrazione europea, naturalmente
parliamo di riunioni a carattere politico che non si traducevano in atti concreti che permettevano di
tradurre quegli obiettivi politici in misure concrete (per farlo dovevano essere accolte in atti adottati
dalle altre istituzioni) ma servivano ad orientare il processo di integrazione europea ed orientare anche
l’attività istituzionale. Inoltre inizialmente non aveva nemmeno una denominazione ben precisa ma le
sue riunioni erano identificate come riunioni di capi di stato e di governo che si riunivano quando
credevano che ci fosse necessità. Fu a partire dal vertice di Parigi del 1974 che si decise di
formalizzare queste riunioni non sotto il profilo giuridico ma di darle semplicemente una forma più
precisa e chiara appunto sotto il nome di Consiglio Europeo e di convocarle almeno 3 volte l’anno.

Anche l'inserimento con l’atto unico del Consiglio Europeo all'interno dei trattati e del quadro
istituzionale deve essere considerato un processo graduale con cui si inizia ad avere un primo
riferimento al Consiglio Europeo ma comunque ancora non configura nella fase preambolare dei
trattati.

Con il trattato di Maastricht il Consiglio Europeo viene indicato in un articolo del trattato ovvero
l’Art.4 del TUE ma ancora non compare come istituzione e quindi era sottratto ad un sistema di
controlli ed ai limiti delle istituzioni, era sottratto alle regole che disciplinano l’azione delle istituzioni
ma ancor più importante le delibere del consiglio europeo non producevano “atti formali” né avevano
una procedura di votazione.

La situazione muta con il Trattato di Lisbona infatti ad oggi il Consiglio Europeo è un'istituzione che
produce atti formali che producono effetti concreti tant’è che oltre ad essere inserito dall'Art.13 del
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TUE, le norme che lo riguardano sono contenute all’interno del Titolo III “Disposizioni relative alle
istituzioni”.

Atti concreti ad esempio: il consiglio deve essere composto da un numero di membri pari ai 2/3 degli
stati membri a meno che il Consiglio Europeo non disponga diversamente deliberando all’unanimità.
Il Consiglio Europeo adotta inoltre atti che producono effetti concreti anche nei confronti degli stati
membri ad esempio nel processo del meccanismo sanzionatorio deve verificare che ci sia una
violazione.

Funzioni del Consiglio EU


All’interno del quadro istituzionale dell’UE è quell’istituzione pensata per dare un impulso necessario
allo sviluppo dell’UE e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali. Non esercita
funzioni legislative, quindi le iniziative adottate dal Consiglio Europeo per poter essere realmente
realizzate necessitano dell’azione legislativa delle altre istituzioni.

Composizione del Consiglio EU


Anche qui il trattato di Lisbona prevede una modifica perché la composizione attuale è:
- capi di stato e di governo;
- presidente della commissione che è a tutti gli effetti un membro del Consiglio EU;
- presidente del Consiglio EU previsto dal trattato di Lisbona, figura appositamente nominata
dagli stessi membri del Consiglio EU per svolgere quella funzione. Viene eletto a
maggioranza qualificata per un termine di 2 anni e mezzo rinnovabile una volta sola. I suoi
compiti:
1) presiede ed anima i lavori del Consiglio UE;
2) assicura la preparazione e la continuità degli stessi;
3) si adopera per facilitare la coesione ed il consenso in seno al Consiglio EU;
4) rappresenta al termine di ogni riunione una relazione al Parlamento EU.

Il presidente del Consiglio europeo non può esercitare un mandato nazionale.

Il trattato di Lisbona prevede anche una regolamentazione chiara per quanto riguarda la periodicità
delle riunioni del Consiglio EU che si riunisce due volte a semestre su convocazione del presidente.
Le riunioni del Consiglio EU prevedono nella loro conclusione l’adozione di un atto denominato
conclusioni del Consiglio EU nell’ambito del quale vengono indicati tutti gli argomenti discussi e
quelli che sono gli orientamenti individuati dal Consiglio EU per ciascuna materia discussa. Le
conclusioni del Consiglio EU però normalmente non producono effetti giuridici vincolanti.

I capi di stato e di governo possono farsi assistere da un ministro così come il presidente della
commissione può farsi assistere da un commissario.

Il Consiglio EU quando svolge la sua attività di promotore delle priorità politiche generali dell’UE
sostanzialmente si pronuncia per consensus a meno che i trattati non dispongano diversamente.

4)L’Alto Rappresentante per gli affari esteri e politica di sicurezza


Regolato dall’Art.18 del TUE. Prima del trattato di Lisbona questa carica era svolta dal segretario
generale del consiglio. Viene eletto dal Consiglio EU a maggioranza qualificata con l’accordo del
presidente della Commissione.
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Esiste un legame di fiducia tra l’Alto rappresentante ed il Consiglio EU perché quest’ultimo può porre
fine al mandato dell’Alto Rappresentante. Quest’ultimo è anche un membro della commissione EU e
svolge il suo ruolo di vicepresidente. Esso ha quindi una procedura di nomina differente dagli altri
membri della Commissione però nel momento in cui viene eletto diventa automaticamente membro
della Commissione. E’ soggetto anch’esso al voto di approvazione del Parlamento EU non
individualmente ma insieme al resto della Commissione EU.

Funzione dell’Alto Rappresentante


Guida la politica estera e di sicurezza comune dell’UE e presiede il Consiglio Affari Esteri.

5)Corte di giustizia dell’UE e Corte dei conti


Rappresentano entrambe istituzioni di controllo.
La CGUE ha il compito di garantire l'osservanza del diritto comunitario nell'interpretazione e
nell'applicazione dei trattati su cui si fonda l'UE.

1) Corte dei conti


È l'istituzione incaricata del controllo esterno sui conti dell'Unione, delle cui istituzioni, organi ed
organismi esamina le entrate e le spese. Essa è composta da un cittadino per ogni Stato membro che
anche se nominato su proposta di questo ne fa parte a titolo personale essendo tenuto ad esercitare le
sue funzioni in piena indipendenza e nell'interesse generale dell'Unione. Oltre ad offrire garanzie di
indipendenza, i membri devono provenire dalle istituzioni di controllo esterno dei rispettivi paesi o
comunque essere dotati di qualificazioni specifiche per la funzione da ricoprire. Essi sono nominati
per 6 anni rinnovabili, dal Consiglio che delibera a maggioranza qualificata previa consultazione del
Parlamento Europeo e sulla base delle proposte presentate da ciascun Stato membro. Il parere del
Parlamento rimane tuttavia non vincolante per il consiglio. Oltre che per decesso la fine anticipata del
mandato può aversi per dimissioni volontarie oppure a seguito di decadenza dichiarata dalla Corte di
Giustizia su richiesta della stessa Corte dei Conti a causa del venir meno dei requisiti necessari o per
la violazione dei propri obblighi istituzionali. Il sostituto è nominato per la parte restante del mandato.

La Corte dei Conti ha sede a Lussemburgo e nomina al suo interno un presidente che resta in carica
per tre anni rinnovabili ed è soggetto all'approvazione a maggioranza qualificata da parte del
Consiglio.

La Corte dei conti svolge la sua missione sulla base di una duplice funzione: di controllo e consultiva.
Per quanto riguarda la prima, la Corte dei conti compie un esame delle entrate e delle spese delle
istituzioni e degli organi ed organismi dell'Unione, che ha ad oggetto sia la legittimità e la regolarità
delle une delle altre, che la sana gestione finanziaria. A tal fine essa può svolgere le indagini
necessarie presso i locali delle altre istituzioni, di qualunque organismo di gestione delle entrate e
delle spese dell'Unione e di qualunque persona fisica o giuridica che riceva contributi a carico del
bilancio della stessa, e tali soggetti, a loro volta, sono tenuti a trasmettere alla stessa Corte ogni
documento o dato utile allo scopo.

Al termine di ciascun esercizio essa redige una relazione annuale sull'esecuzione del bilancio che
include una dichiarazione di affidabilità.

Detta Corte può inoltre presentare in ogni momento le sue osservazioni su problemi particolari sotto
forma di relazioni speciali. La funzione consultiva si nasconde invece nel parere che la Corte dei
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conti può produrre di propria iniziativa o su richiesta di una delle altre istituzioni dell'Unione. In due
casi tale richiesta è obbligatoria, perché espressamente prevista dai Trattati: ciò comporta che la
mancanza del parere, fermo restando il carattere non vincolante, rende illegittimo l'atto per la cui
adozione sia previsto. Come stabilisce il TFUE tale illegittimità può essere fatta valere dinanzi alla
Corte di giustizia dalla stessa Corte dei conti.

6)BCE
All'interno del sistema istituzionale si trovano poi alcuni organismi operanti nei settori monetario
(BCE, istituzione dell’UE) e finanziario (BEI, banca EU per gli investimenti, organo dell’UE). Il
ruolo fondamentale della BCE è quello di gestire le politiche monetarie. E’ stata istituita nel 1998 ed
ha la sua sede a Francoforte. Le sue funzioni consistono nella gestione dell’Euro. Costituisce il nucleo
centrale del Sistema europeo di banche centrali (SEBC), cui è dato l'obiettivo di garantire la stabilità
dei prezzi e di sostenere le politiche economiche generali nell'Unione.

Ha una propria personalità giuridica e carattere per cui organi ed organismi dell’UE rispettano
l’indipendenza di essa, ed è l’istituzione che ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione
dell'Euro. Di base per quelle che sono le sue materie di competenza viene consultata sempre dalle
istituzioni. Allo stesso modo il presidente della BCE è invitato a partecipare alle riunioni del
Consiglio qualora questi discute di argomenti relativi agli obiettivi e compiti della BCE.

Organi della BCE


1) Comitato esecutivo cui competono la gestione corrente della Banca e l'attuazione degli
indirizzi di politica monetaria decisi dal Consiglio direttivo, è organo permanente
composto dal presidente della BCE, vicepresidente e da 4 membri tutti nominati di comune
accordo, per 8 anni non rinnovabili, dal Consiglio EU, che delibera a maggioranza
qualificata;
2) Comitato direttivo definisce le linee generali della politica monetaria dell’UE e svolge le
funzioni consultive che i trattati attribuiscono alla BCE. Esso comprende i membri del
comitato esecutivo e i governatori delle banche centrali degli Stati aderenti all'euro. Ogni
membro del Consiglio dispone di un voto e le decisioni sono prese a maggioranza semplice,
salvo quanto diversamente disposto dallo Statuto.

Banca EU per gli investimenti


E’ un organo che agisce nei mercati finanziari al fine di concedere prestiti e garanzie e progetti diretti
alla valorizzazione delle regioni meno sviluppate.

7)Sistema di finanziamento dell’UE


Quando parliamo di sistema delle risorse dell’UE ci riferiamo alle risorse economiche che l’UE ha a
disposizione per attuare le proprie politiche. Il sistema delle risorse dell’UE ha un sistema un pò
diverso a quello previsto dalle altre istituzioni o almeno inizialmente; in realtà il sistema delle risorse
era stato pensato come un sistema che non differiva dalle altre istituzioni e che consisteva in contributi
versati dagli stati membri.

Fino agli anni ‘70 effettivamente anche questo era il sistema di finanziamento attraverso il quale l’UE
reperiva le proprie risorse e la ripartizione delle risorse tra i vari stati membri era stabilita all'interno di
un articolo del Trattato istitutivo della comunità economica europea e poteva essere modificato solo
dal Consiglio all’unanimità.
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A partire dal 1971 si è deciso di avvalersi di quanto era previsto effettivamente nei trattati e cioè di
istituire un sistema delle risorse proprie alle quali l’organizzazione può attingere automaticamente.
Le risorse sono:
- dazi doganali ed agricoli che sono riscossi in base alla tariffa doganale comune al momento
dell’ingresso di merci da paesi terzi;
- entrate provenienti dall’applicazione di una un'aliquota massima (0.30%) sull’imponibile
IVA di ogni stato membro ;
- risorsa basata su una % fissa del reddito nazionale lordo degli stati membri (RNL).

Di base queste risorse possono essere modificate solo attraverso la decisione all'unanimità del
Consiglio Art.311 del TFUE.

Non bisogna però confondere il sistema delle risorse con il bilancio annuale dell’UE ed il quadro
finanziario pluriennale. Perché sostanzialmente il sistema delle risorse vuol dire quanti soldi ha l’UE
e da quali fonti può attingere mentre il bilancio annuale è una programmazione di come vengono
spese queste risorse. Il bilancio annuale solitamente viene fatto sulla base di un programma di più anni
ovvero il quadro finanziario pluriennale che ha un termine di 7 anni.

Il bilancio annuale è un bilancio generale e unico per tutta l'unione, che oltre a dover essere finanziato
integralmente tramite le risorse proprie, deve dar conto di tutte le entrate e le spese previste per quel
determinato anno, facendo sì che risultino in pareggio. L'adozione del bilancio avviene nel quadro di
una procedura legislativa speciale disciplinata del TFUE. I tempi della procedura sono molto stretti
e regolati da scadenze che se non rispettate comportano un'approvazione tacita da parte dell'istituzione
inerte. I diversi passaggi della procedura sono:
- entro il 1° settembre di ogni anno la Commissione trasmette al Parlamento Europeo e al
Consiglio una proposta di bilancio formulata sulla base degli stati previsionali preparati da
ciascuna istituzione;
- entro il 1° ottobre sulla base di questa proposta, il Consiglio decide a maggioranza qualificata
la propria posizione e la trasmette al Parlamento il quale dispone di 42 giorni per la sua prima
lettura;
- se il Parlamento l’approva o non si pronuncia nei termini, il bilancio si considera adottato; in
caso contrario viene convocato un comitato di conciliazione composto da membri del
Consiglio e rappresentanti del Parlamento che deve elaborare entro 21 giorni un progetto
comune, a meno che entro 10 giorni dalla ricezione degli emendamenti parlamentari il
Consiglio non le approvi. Se entro 14 giorni il progetto comune non viene approvato anche da
una sola delle due istituzioni il bilancio si considera non adottato a meno che il Parlamento
non confermi entro ulteriori 14 giorni a maggioranza dei suoi membri e a 4/5 dei voti espressi
tutti o parte dei suoi emendamenti. In tal caso il bilancio si intende adottato, in caso invece di
esito negativo della procedura la Commissione è tenuta a sottoporre a Parlamento e Consiglio
un nuovo progetto di bilancio.

L'esecuzione del bilancio generale dell'Unione spetta alla Commissione. L'esecuzione data al bilancio
dell'Unione è oggetto di un duplice controllo esterno, contabile e politico. Quello contabile spetta alla
Corte dei Conti e riguarda la legalità e la regolarità delle entrate e delle uscite nel rispetto del principio
di sana gestione finanziaria. Quello politico invece esercitato dal Parlamento Europeo che è chiamato
a dare atto alla Commissione dell'esecuzione del bilancio dopo che la Commissione abbia presentato
allo stesso Parlamento e al Consiglio i conti annuali dell'esercizio trascorso.
28

A tutela delle Finanze dell'Unione, il Trattato prevede l'obbligo sia dell'Unione che degli Stati
membri, in quanto beneficiari diretti o indiretti di fondi europei, di contrastare la frode e le attività
illegali che ledono gli interessi finanziari dell'Unione. A tal fine l'Unione ha creato un apposito
ufficio, l’OLAF ovvero ufficio per la lotta antifrode che opera come organismo indipendente
incaricato appunto di indagare e contrastare ogni attività illegale che rechi pregiudizio alle finanze
dell'Unione. Tale indipendenza è strettamente funzionale al potere attribuito all’OLAF di effettuare
indagini rispetto a qualsiasi istituzione, organo o organismo dell'Unione. Le indagini dell’OLAF
sfociano in un rapporto con osservazione raccomandazione, che viene trasmesso all'istituzione
dell'Unione o allo Stato membro interessato.

Inoltre il TFUE impone agli stati membri di adottare nelle loro attività di contrasto le stesse misure
previste per combattere le frodi e si tratta del principio di assimilazione nella tutela degli interessi
finanziari europei e nazionali. Il principio comporta che le autorità nazionali debbano procedere nei
confronti delle frodi contro le finanze dell'Unione con la stessa diligenza usata nell'esecuzione delle
rispettive legislazioni nazionali.

8)Comitato economico e sociale e Comitato regionale


Compongono i cosiddetti organi consultivi che assistono il Parlamento Europeo, il Consiglio e la
Commissione. A differenza di tutti gli altri organi consultivi la composizione e il funzionamento di
questi due comitati sono direttamente disciplinati nei trattati. Sono i soli a non avere una
composizione prettamente non governativa, i soli a godere di un'effettiva autonomia regolamentare
finanziaria e sono i soli ad avere competenze non limitate ad uno specifico settore di attività
dell'Unione.

1) Comitato economico e sociale


È l'organo consultivo rappresentativo della società civile. Esso riunisce rappresentanti delle
organizzazioni dei datori di lavoro, di lavoratori dipendenti e gli altri attori rappresentativi di quella
società civile. Nel rappresentare tali interessi i componenti del comitato ne fanno parte a titolo
personale. Il Trattato prevede che essi non siano vincolati da alcun mandato essendo chiamati ad
esercitare le loro funzioni in piena indipendenza nell'interesse generale dell'Unione.

Il Trattato fissa in un massimo di 350 attualmente 353 il numero dei membri nominati dal consiglio a
maggioranza qualificata per un mandato di 5 anni rinnovabili. Il Consiglio delibera sulla base delle
proposte formulate dagli Stati membri ed è tenuta a consultare al riguardo solo la commissione il cui
parere seppur obbligatorio non è vincolante.

L'attività del comitato consiste essenzialmente nella formulazione di pareri su proposte di atti specifici
o su tematiche generali di competenza dell'Unione.

2) Comitato delle regioni


Con la sua creazione si è voluto dar voce alle collettività politiche locali, permettendo loro di
rappresentare il loro punto di vista direttamente e senza la mediazione degli Stati. Analogamente al
Comitato economico e sociale il comitato delle regioni conta attualmente 353 membri nominati per 5
anni.

Esso è composto di rappresentanti delle collettività regionali e locali degli Stati membri. Anch'essi
non sono vincolati da alcun mandato e sono chiamati ad esercitare le loro funzioni in piena
29

indipendenza nell'interesse generale dell'Unione sedendo nel comitato a titolo personale. A seguito di
una modifica recata dal Trattato di Nizza i membri del comitato delle regioni devono essere titolari di
un mandato elettorale nell'ambito di una collettività regionale o locale, o politicamente responsabili
dinanzi ad un'assemblea eletta al medesimo livello.

A differenza del comitato economico e sociale i membri del comitato delle regioni si aggregano per
gruppi politici che riflettono i principali orientamenti presenti anche nel Parlamento Europeo. Esso è
consultato dal Parlamento Europeo, dal Consiglio e dalla Commissione nei casi previsti dai Trattati o
ogni volta che le stesse istituzioni lo ritenga opportuno; quando è imposto dai Trattati l'atto adottato
senza richiedere o attendere il parere del comitato è illegittimo a meno che Parlamento, il Consiglio o
la Commissione non abbia imposto un termine di almeno un mese per l'emanazione del parere, il
comitato può infine quando lo ritenga utile formulare pareri di sua iniziativa.

9)Agenzie EU
Il sistema istituzionale dell'Unione si è andato ulteriormente arricchendo nel corso degli anni con
l'affiancamento alle istituzioni e agli organi consultivi di ulteriori organismi di diverso livello nati non
solo sulla base di decisioni prese a livello di Trattati ma anche di decisioni autonome delle stesse
istituzioni dell'Unione. Tra questi un particolare rilievo ha assunto la creazione di agenzie europee,
attraverso atti del Consiglio o del Consiglio e del Parlamento. Queste hanno come tratto comune il
fatto di configurarsi come organismi specializzati dotati di personalità giuridica è di una certa
autonomia organizzativa e finanziaria, incaricati di assicurare una migliore attuazione gli atti
normativi dell'Unione riguardanti materie tecnicamente complesse, fornendo assistenza alle
istituzioni sotto forma di pareri e raccomandazioni o esercitando compiti ispettivi o adottando
decisioni individuali nei confronti dei soggetti dell'ordinamento.

Esse rappresentano nel sistema dell'Unione l'espressione di un decentramento della funzione


amministrativa in capo ad organi tecnici. A parte le poche previste nei trattati come l'europol,
l'ufficio EU o eurojust, all'istituzione di agenzie europee si è proceduto per mezzo di regolamenti del
Consiglio fondati sulla clausola flessibile secondo la quale, quando un'azione delle istituzioni risultava
necessaria per raggiungere uno degli scopi delle comunità, senza che il trattato avesse previsto i poteri
d'azione a tal scopo richiesti il Consiglio, deliberando all'unanimità e dopo aver consultato il
parlamento, poteva prendere le disposizioni del caso.

A partire dal 2000 invece il legislatore dell'Unione ha finito per orientarsi verso una scelta diversa,
Infatti da allora gli atti istitutivi di agenzie europee sono stati costantemente fondati sull'articolo del
TCE riguardo la materia oggetto delle attività delle agenzie da istituire. Negli ultimi anni quindi
sembra prevalsa l'idea che almeno quando le funzioni conferite dall'agenzia non eccedano i poteri
d'azione attribuiti all'istituzione dagli articoli relativi al rispettivo settore, esse possono essere
considerate come semplici strumenti di attuazione della corrispondente politica comune.

Non vanno confuse però con le agenzie esecutive create sulla base del regolamento che le definisce
organismi comunitari investiti in una missione di servizio pubblico e sono incaricate di compiti
legati alla gestione di programmi finanziari operanti, sotto la responsabilità della Commissione,
nelle diverse politiche dell'Unione. Esse sono istituite direttamente dalla Commissione, sotto la
cui autorità agiscono, con decisione presa sulla base di una procedura di comitato, che ne fissa la
durata e ne stabilisce la struttura è l'organizzazione interna in conformità a quanto previsto dal
regolamento. Inoltre la loro sede è obbligatoriamente presso una delle sedi della commissione o di uno
dei suoi servizi.
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10)Apparato amministrativo dell’UE


L'apparato amministrativo attraverso il quale opera il sistema istituzionale dell'Unione è composto da
circa 55mila dipendenti distribuiti tra le varie entità che lo compongono, per un costo complessivo
pari a circa il 6% del bilancio generale dell'Unione. Ben più la metà di questo personale è inquadrato
nei ruoli della commissione europea infatti la Commissione è la vera amministrazione dell'Unione
Europea.

Indipendentemente dall'istituzione a cui è assegnato, il rapporto di lavoro del personale di ruolo


dell'Unione è regolato da uno statuto unico adottato dal Parlamento e dal Consiglio previa
consultazione delle altre istituzioni interessate. Esso prevede che i funzionari debbano essere reclutati
su una base geografica più ampia possibile in modo che all'interno delle istituzioni vengano
rappresentate tutte le nazionalità e culture e che nessun impiego finisca per essere riservato ai cittadini
di un determinato Stato membro. Inoltre esso specifica anche diritti e doveri dei dipendenti delle
istituzioni: vincola i funzionari ad un dovere di indipendenza nei confronti sia degli Stati sia di
interessi privati e di riservatezza rispetto alle informazioni di cui vengono a conoscenza nell'esercizio
delle loro funzioni obblighi che si prolungano anche dopo la cessazione del loro servizio. La
violazione di tali obblighi può dar luogo a sanzioni disciplinari che possono portare fino alla perdita
dei diritti a pensione. Ma d'altra parte i funzionari delle istituzioni sono anche coperti da una serie di
privilegi ed immunità.

I principi cui deve conformarsi l'amministrazione dell'Unione, sono oggi enunciati nella stessa Carta
dei diritti fondamentali, la quale fa del diritto ad una buona amministrazione un diritto di ogni
singola persona che entri in contatto con l'apparato amministrativo dell'Unione.

L'insieme di tutte le figure professionali dell'apparato amministrativo è concentrato nel segretariato


generale al cui vertice amministrativo è posto un segretario generale. I segretariati generali sono
organizzati in direzioni generali e servizi, a loro volta suddivisi in direzioni composte da unità.

I requisiti di base per accedere alla funzione pubblica Europea sono la città di uno Stato membro e la
conoscenza approfondita di una lingua ufficiale e soddisfacente di un'altra nella misura necessaria alle
funzioni che sono chiamati a svolgere.

11)Regime linguistico delle istituzioni


In un sistema come quello dell'Unione Europea il regime linguistico sulla cui base sono chiamate ad
operare le istituzioni riveste un importante particolare. Il funzionamento dell'Unione è formalmente
organizzato intorno ad un generale principio di piena parità delle lingue ufficiali di tutti gli stati
membri, a tutela del quale i trattati hanno posto all'argine del consenso unanime degli stati insieme al
Consiglio quale condizione per eventuali modifiche.

Fino all'origine un articolo dei trattati istitutivi ha stabilito che il testo di questi fa ugualmente fede in
ciascuna di tali lingue; e con le successive adesioni ci si è limitati ad aggiungere a tale articolo le
lingue ufficiali dei nuovi stati fino ad arrivare alle attuali 24 lingue in cui i trattati sono ufficialmente
redatti e ciò vale anche per gli atti presi in applicazione dei trattati.

Per quanto riguarda l'uso delle lingue nelle e da parte delle istituzioni è stato fin da subito costituito
sullo stesso principio. Infatti nella sua versione attuale il regolamento con cui il consiglio esercita la
sua competenza riconosce lingue ufficiali e di lavoro delle istituzioni tutte le 24 lingue. A tal fine oltre
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ad esplicitare l'obbligo di redigere i regolamenti e gli altri testi in tutte le lingue ufficiali, il
regolamento stabilisce che le comunicazioni inviate da uno Stato membro o da una persona soggetta
alla giurisdizione di uno Stato membro alle istituzioni, così come le risposte di queste, debbano essere
scritte nella lingua ufficiale dello Stato o dello Stato alla cui giurisdizione è soggetta tale persona.
Quanto invece all'uso delle lingue all'interno delle istituzioni, il regolamento prevede che le istituzioni
possono determinare rispettive modalità di applicazione del regime linguistico generale.

Fonti

1)Fonti del diritto dell’UE


Le fonti del diritto sono tipicamente definite come “quei fatti o quegli atti cui l’ordinamento
giuridico collega la nascita delle norme”. Nel diritto dell’UE esistono diverse tipologie di norme che
possiamo classificare in due principali categorie es. i trattati classificati come diritto primario perché
sono le fonti alla base dell’ordinamento giuridico EU e sono quelle norme che gli Stati hanno adottato
proprio per istituire l’UE. Parlando di diritto primario ciò ci fa pensare che esiste una gerarchia, ed
infatti la prima categoria di norme che costituiscono l’ordinamento giuridico dell’UE e definite
norme sovraordinate rispetto a tutte le altre norme dell’ordinamento, è caratterizzata dalle cosiddette
norme di diritto primario che per semplificare indichiamo come i Trattati istitutivi dell’UE ma che
in realtà non sono gli unici, ma anche altre norme che hanno lo stesso valore giuridico dei Trattati.
Rientrato in esse:
- i Trattati;
- i Protocolli (servono a disciplinare una specifica materia e serve a snellire la struttura del
Trattato ad es. integrazione differenziata in cui si applicano delle deroghe ad alcuni Stati
membri ed esse sono proprio espressamente previste nei Protocolli);
- i principi generali del diritto che non sono scritte ma sono le norme dei valori
dell’ordinamento giuridico che sono comuni a tutti gli stati;
- la Carta dei diritti fondamentali dell’UE (che con il trattato di Lisbona è divenuta
vincolante ed ha appunto assunto lo stesso valore giuridico dei Trattati).

Oltre al diritto primario, esistono delle norme che ovviamente si trovano ad un gradito al di sotto di
esso cioè le cosiddette norme di diritto derivato che trovano la loro legittimazione in qualche altra
norma dei Trattati però non negli ordinamenti giuridici interni. Per diritto derivato si intende quelle
norme che appunto derivano dal diritto primario. Nel diritto derivato avviene quella produzione
normativa che le istituzioni dell’UE sono competenti a svolgere in virtù di quanto stabilito dai Trattati.
Quindi quali sono le norme del diritto derivato e che effetti giuridici producono è detto nei Trattati. La
derivazione è proprio quella dei Trattati, va da sé quindi che le norme del diritto derivato devono
essere sempre conformi a quanto previsto da essi. Possiamo distinguerle in:
- atti tipici cioè quelli espressamente regolati dai Trattati es. regolamenti, direttive e decisioni
che all’interno delle fonti tipiche sono anche atti a carattere vincolante; e poi raccomandazioni
e pareri che all’interno delle fonti tipiche sono anche atti a carattere non vincolante;
- atti atipici cioè quelli non espressamente regolati dai Trattati a carattere non vincolante
oppure in:
- atti vincolanti
- atti non vincolanti attraverso cui ad esempio le istituzioni esprimono una propria posizione,
indirizzare una raccomandazione

2)Fonti di diritto primario


Al vertice di questo complesso di fonti vi sono i Trattati istitutivi. Il TUE e il TFUE, unitariamente
considerati. I trattati di base sono trattati internazionali e sono stati adottati secondo il modello tipico
dei trattati internazionali, quindi degli strumenti giuridici adottati dagli stati membri su base volontaria
secondo le norme di diritto internazionale.
Però abbiamo visto come la Corte di Giustizia a volte riferendosi sia a Trattati che all’ordinamento
giuridico dell’UE abbia sottolineato come quest’ultimo abbia una natura peculiare, perché secondo
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essa i Trattati hanno istituito a differenza dei comuni trattati internazionali un proprio ordinamento
giuridico integrato nell’ordinamento giuridico degli stati membri e che i giudici nazionali sono tenuti
ad osservare. Quindi sostanzialmente secondo la Corte di Giustizia la peculiarità dei Trattati oltre a
quella di aver creato un ordinamento giuridico proprio è quella secondo cui attraverso i Trattati
istitutivi gli stati membri abbiano deciso di rinunciare ad una parte dei loro poteri sovrani in favore
dell'UE creando così un ordinamento giuridico che ha il primato sull'ordinamento giuridico nazionale.
Proprio per questa sua natura peculiare spesso nel linguaggio della Corte di Giustizia quando si parla
dei Trattati istitutivi fa riferimento ad essi come strumenti di carattere costituzionale infatti definì i
Trattati come la carta costituzionale di base della comunità di allora.

Quando si va ad esaminare la giurisprudenza della Corte di Giustizia, l’UE viene definita come
un’unione basata sullo stato di diritto ai sensi di quella che è la sua Carta costituzionale di base cioè i
Trattati. La principale conseguenza che possiamo trarre da ciò la rileviamo sotto il profilo
interpretativo cioè quando si devono interpretare le norme dei Trattati e nel farlo la Corte di Giustizia
non usa il criterio interpretativo che è tipico dei trattati internazionali ma usa un criterio che è più
riconducibile alle costituzioni ovvero il cosiddetto criterio teleologico cioè per capire il fine di una
norma alla luce dell’intero quadro normativo. Un carattere costituzionale lo possiamo rintracciare nel
fatto che i trattati possono essere modificati solo ed esclusivamente dalle procedure di revisione
previste dai trattati. Ciò vuol dire che gli stati sono sì sempre liberi di modificare i trattati, ma se lo
facessero senza seguire il sistema indicato nei trattati sarebbe una procedura illegittima e quindi la
corte di Giustizia potrebbe sindacare su quella procedura di revisione

3)Carta dei diritti fondamentali dell’UE


Nel maggio del ’49 viene creato il Consiglio d’Europa, una Organizzazione Internazionale che ha
funzioni diverse e più ristrette rispetto quelle previste dell’unione europea. L’obiettivo è quello di
creare un'unione più stretta tra gli stati membri per tutelare e promuovere gli ideali e i principi che
hanno in comune. Obiettivi di carattere generale. Il Consiglio d’Europa svolge una funzione
fondamentale nell’ambito dei Diritti Umani.

CEDU, (convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentale).
Trattato fondamentale in materia di diritti umani.

Nell’ambito della CEDU è stata istituita la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con sede a
Strasburgo. Uno dei pochi al quale possono accedervi direttamente gli individui, infatti anch’essi
possono presentare ricorso alla corte di Strasburgo.

Dopo aver sviluppato il principio del rispetto dei diritti fondamentali attraverso la giurisprudenza della
Corte, l'Unione si è dotata di uno strumento autonomo di rilevazione di quei diritti, adottando nel
2000 una Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Essa costituisce la parte finale di un
lungo processo che all’interno dell’UE è iniziato intorno alla metà degli anni ‘70 del 1900 e già in
quel periodo si discusse sulla necessità di adottare all’interno della comunità una lista di diritti
fondamentali. Naturalmente all’epoca all'interno dei trattati non era fatto alcun riferimento ai diritti
fondamentali cioè quei diritti che fanno capo direttamente agli individui perché originariamente la
comunità economica europea nasceva con un obiettivo ed era un’organizzazione che prevedeva una
cooperazione fra gli stati volta alla realizzazione di un mercato interno e quindi non c’era spazio per i
diritti fondamentali ma essi sono entrati pian piano all'interno dell’ordinamento giuridico dell’UE
attraverso l'attività svolta dalla Corte di Giustizia.

Per dichiarare l'illegittimità di un atto possono essere usati come parametro di illegittimità in quanto
principi generali del diritto che possiamo rintracciare nelle costituzioni degli Stati membri. Quindi i
diritti fondamentali non sono espressamente enunciati nei trattati ma l’UE e le istituzioni nell’agire nei
loro ambiti di competenza devono rispettarli. Infatti ora la Carta è diventata il catalogo dei diritti
fondamentali dell'Unione e quindi il primo documento di riferimento per l'individuazione del
parametro su cui va commisurato l'effettivo rispetto di tali diritti da parte dei soggetti che ne
sono vincolati.
33

Quindi dal momento in cui i diritti umani rientrano nell’ordinamento giuridico attraverso l’attività
svolta dalla Corte si pone il problema di avere un catalogo di riferimento che dia un elenco tipico dei
diritti tutelati dall’UE che sicuramente sarebbe un vantaggio. A partire da questo infatti si sviluppano
sotto il profilo della tutela dei diritti umani due questioni parallele:
- da un lato l'adozione di uno strumento europeo, un catalogo;
- dall’altro lato si apre un dibattito sulla possibile adesione dell’UE alla CEDU.

A partire dagli anni ‘70 infatti vengono promosse tutta una serie di iniziative volte a creare un
catalogo in materia di tutela dei diritti fondamentali. La prima iniziativa volta ad adottare un catalogo
è stata una dichiarazione comune del Parlamento EU, del Consiglio e della Commissione in
materia della tutela dei diritti fondamentali. In realtà questa dichiarazione del 1977 è uno
strumento estremamente semplice non giuridicamente vincolante attraverso cui sostanzialmente le 3
istituzioni dichiarano di dare massima importanza alla tutela dei diritti fondamentali quali risultano in
particolare dalle costituzione degli Stati membri e dalla CEDU e si impegnano nell’esercizio dei loro
poteri a tutelarli. In questa dichiarazione però ancora non era contenuto un espresso richiamo alla
possibilità di adottare uno strumento comunitario in materia di tutela dei diritti fondamentali, ma per
la prima volta una proposta di adozione di questo strumento venne avanzato nell’ambito del
cosiddetto progetto Spinelli nel 1984 che non è mai stato adottato ma era un progetto di trattato
adottato dal Parlamento EU e che appunto essendo stato adottato su impulso di Spinelli era un
progetto con forte vocazione federalista e all’interno di esso era contenuto un apposito articolo ovvero
l’Art.4 che era interamente dedicato alla tutela dei diritti fondamentali, con richiami alla CEDU e con
richiami anche alla carta sociale EU; nella fattispecie l’Art.4 del progetto di Trattato oltre a sancire il
fatto che la comunità rispettava i diritti fondamentali, al par 3 prevedeva espressamente: “Entro un
termine di 5 anni l’UE decide circa la sua adesione alla CEDU e alla Carta sociale europea nonché ai
patti delle Nazioni Unite relativi ai diritti civili e politici e ai diritti economici, sociali e culturali.
Entro lo stesso termine l’UE adotta altresì la propria dichiarazione dei diritti secondo la procedura di
revisione prevista dal trattato”

-Processo di adozione della Carta


Il processo di adozione della Carta dei diritti fondamentali dell’UE inizia in concomitanza con i
50esimo anniversario della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nel 1999 stesso periodo in
cui viene adottato il trattato di Amsterdam ed in questo periodo si tiene un importante consiglio
ovvero il Consiglio EU di Colonia e in esso viene dichiarato da un lato l’importanza di tutelare i
diritti fondamentali dell’UE e poi dichiara “allo stato attuale per lo sviluppo dell’UE è quindi
necessario elaborare una Carta dei diritti al fine di sancire in modo visibile l’importanza capitale e la
portata dei diritti fondamentali per i cittadini dell’UE” e quindi si avvia il processo di adozione della
Carta dei diritti fondamentali che l’UE deve rispettare ai sensi della giurisprudenza della CEDU. Al
fine di elaborare questa Carta dei Diritti il Consiglio EU di Colonia istituisce un organo ad hoc che ha
nominato Convenzione nel 1999 che aveva l’obiettivo di elaborare appunto un progetto di Carta dei
Diritti (strumento giuridico non vincolante) che sostanzialmente prendesse come punto di riferimento
la Convenzione dei Diritti dell’Uomo, i diritti risultanti dalle tradizioni costituzionali degli Stati
membri, i diritti economici e sociali enunciati nella Carta Sociale EU nonché i principi derivanti dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia. L’intenzione che c'era al momento dell’istituzione della
Convenzione per l’elaborazione della Carta dei diritti fondamentali era quello di creare uno strumento
di carattere eterogeneo che includesse sia i diritti civili e politici sia economici, sociali e culturali* e
che comprendesse come modello di riferimento gli strumenti internazionali già esistenti ma che poi
declinasse questi diritti sul modello dell’UE in base a quelle che fossero le sue esigenze. Quindi un
modello di Carta dei diritti che fosse ampio che includesse appunto diritti di diversa natura e che
delimitasse questi diritti secondo quelli che erano gli interessi peculiari dell’UE.

La Convenzione aveva una formazione eterogenea composta da:


- rappresentanti dei capi di Stato e di Governo;
- rappresentanti della Commissione;
- rappresentanti del Parlamento EU;
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- rappresentanti dei Parlamenti nazionali;


- membri osservatori.

L’obiettivo della Convenzione era quello di adottare uno strumento giuridico ma non vincolante,
infatti si dice che ha adottato il progetto finale nell’ottobre del 2000 ed è stata ufficialmente
proclamata il 7 dicembre del 2000 nell’ambito del Consiglio EU di Nizza infatti essa è anche
conosciuta come “Carta di Nizza” da non confondere con il Trattato di Nizza. L’obiettivo poi era
quello di dare un valore giuridico vincolante alla Carta tant’è che nel momento in cui fu istituita la
Convenzione sul futuro dell’EU, organo istituito per elaborare il progetto di Trattato cosiddetto
costituzionale, furono affidate ad essa due questioni rilevanti in materia di tutela dei diritti umani:
1) discutere del valore giuridico della Carta;
2) discutere della possibile adesione dell’UE alla CEDU.

La soluzione che fu trovata nel progetto di Trattato che istituiva una Costituzione per l’EU era uno
spazio per la Carta che infatti era integralmente incorporata nel testo del Trattato. Col Trattato di
Lisbona si decise di adottare una soluzione differente proprio per evitare il rischio di una nuova
bocciatura si disse: il testo della Carta non si deve incorporare nel testo del Trattato ma essa deve
risultare comunque giuridicamente vincolante aggiungendo questa previsione all'interno dell’Art.6 del
TUE: “L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata (cioè che è stata in parte modificata) il 12 dicembre
2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.” “Le disposizioni della Carta non
estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati.” “I diritti fondamentali,
garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del
diritto dell'Unione in quanto principi generali.”

*(Differenza tra diritti civili e politici e diritti economici, sociali e culturali: i primi impongono nei
confronti dello Stato un obbligo cosiddetto di “non facere” mentre i secondi impongono nei confronti
dello Stato un obbligo di “facere”. Ciò vuol dire che sostanzialmente ai fini dell’esercizio dei diritti
civili e politici lo stato deve impegnarsi a non ostacolare l’esercizio di essi da parte dei cittadini;
invece per quanto riguarda i diritti economici, sociali e culturali lo Stato deve adottare dei
comportamenti pro-attivi ovvero obblighi di natura positiva. Inoltre per quanto riguarda gli obblighi
economici, sociali e culturali si ritiene che l'effettivo riconoscimento di questi diritti dipenda anche
dalla situazione soprattutto economica in cui si trova un determinato Stato.)*

La questione della tutela dei diritti fondamentali è sempre legata alla questione del diritto dell’UE, il
problema che ci si è posti inizialmente era che nel momento in cui l’UE ha sancito le proprie
competenze benché non sia espressamente previsto nei Trattati nulla rispetto alla tutela dei diritti
umani ma nel momento in cui l’UE dai tempi della Comunità esercita le proprie competenze è
comunque vincolata dalle norme dei diritti umani? Sostanzialmente la Corte ciò che si chiede è nel
momento in cui l’UE adotta degli atti che riguardano ad esempio la libera circolazione delle merci, la
libera circolazione delle persone, l’instaurazione del mercato interno e così via, la legittimità di questi
atti va valutata solo alla luce delle norme dei Trattati oppure si può valutare anche alla luce delle
norme sulla tutela dei diritti umani anche se non siano espressamente previste nei Trattati? La Corte
ha detto chiaramente che nel valutare la legittimità di un atto si può valutare anche la sua
compatibilità con le norme sui diritti umani perché costituiscono i principi generali del diritto dell’UE.

Diverso è il discorso nell’ambito della CEDU perché nel momento in cui un individuo ricorre dinanzi
alla CEDU (quindi siamo fuori al diritto dell’UE) contesta violazioni subite dei diritti garantiti dalla
CEDU da parte di uno Stato, in altre parole l’individuo contesta il fatto di aver subito una violazione
da parte dello Stato di uno dei diritti che garantisce la CEDU ed in questo caso non mi rivolgo subito
alla CEDU ma prima ai tribunali nazionali e solo nel momento in cui ritengo di non aver ottenuto
soddisfazione a livello nazionale a quel punto posso ricorrere alla CEDU. Il ragionamento invece,
passando all’UE, è lo stesso? Cioè la Corte di Giustizia va a sindacare se gli Stati violino i diritti
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umani? Ha una competenza di carattere generale sui diritti umani? No, perché la sua competenza è
sempre legata al diritto dell’UE.

Nella versione del 2007 sono stati rafforzati i richiami alle cosiddette spiegazioni che sono un
documento adottato insieme alla Carta nel quale viene chiarita la portata e l'ambito di applicazione di
ciascuno dei diritti garantiti nella Carta in altre parole è uno strumento che serve in chiave
interpretativa, infatti il testo attuale della Carta sancisce che il giudice dell'UE ma anche il giudice
degli Stati membri nell’applicare la carta tengono debitamente conto delle spiegazioni. Inoltre nella
versione del 2007 vengono rafforzati anche i richiami agli ordinamenti nazionali e la Carta chiama ad
un più stretto accordo tra l’UE e gli ordinamenti nazionali, infatti esistono diversi riferimenti nella
Carta in cui si dice che “laddove la Carta riconosca diritti fondamentali quali risultano dalle tradizioni
costituzionali comuni agli Stati membri tali diritti sono interpretati in armonia con le dette tradizioni
costituzionali degli Stati membri”

-Contenuto della Carta


La Carta nell’ambito degli strumenti giuridici internazionali in materia dei diritti umani rappresenta
per certi aspetti un modello unico perché comprende al suo interno diritti di natura differente. Questi
diritti sono stati formulati secondo quelle che sono le specificità dell’ordinamento giuridico EU. Al
suo interno i diritti sanciti dalla Carta sono organizzati all’interno dei cosiddetti titoli più precisamente
in 7 titoli:

- Titolo I raggruppa una serie di articoli sotto la denominazione di “dignità” che comprende la
dignità umana, il diritto alla vita, diritto all’integrità della persona, proibizione della tortura e
delle pene o trattamenti inumani o degradanti e proibizione della schiavitù e del lavoro forzato
(solitamente quando si parla di privazione del diritto alla vita si dice che nessuno può essere
intenzionalmente privato della vita salvo che la sentenza capitale venga pronunciata dal
tribunale e solo nel caso in cui i reati siano punibili dalla legge con tale pena. E’ stato inserito
nell’ordinamento EU perché nell’ambito dei paesi dell’UE nessuno Stato ha la pena di morte
e si ritiene che il divieto di pena di morte sia uno dei requisiti per accedere all’UE);
- Titolo II raggruppa una serie di articoli sotto la denominazione di “libertà” che comprende
ad esempio le libertà tipiche dell’ordinamento giuridico EU come la libera circolazione delle
persone e tutta una serie di altre libertà come ad esempio la tutela della vita privata e
familiare, la protezione dei dati di carattere personale, libertà di pensiero, libertà di coscienza
e religione, libertà di espressione, libertà di associazione cioè tutte le libertà tipiche degli
strumenti internazionali; inoltre sono previste norme sul diritto d’asilo, sul divieto di
espulsione;
- Titolo III raggruppa una serie di articoli sotto la denominazione di "uguaglianza" che
comprende uguaglianza dinanzi la legge, non discriminazione, diversità culturale, religiosa e
linguistica, parità tra uomini e donne, diritti dei bambini e degli anziani ed inserimento dei
disabili;
- Titolo IV che raggruppa una serie di articoli sotto la denominazione di "solidarietà" in cui
rientrano anche articoli a carattere sociale come il diritto dei lavoratori all’informazione e alla
consultazione nell’ambito dell’impresa, diritto di negoziazione e di azioni collettive,
protezione della salute, tutela dell’ambiente, protezione dei consumatori ecc;
- Titolo V raggruppa una serie di articoli sotto la denominazione “cittadinanza” che sono
strettamente collegati allo status di cittadino dell’UE come ad esempio il diritto di eleggibilità
alle elezione del Parlamento EU, diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali, diritto
ad una buona amministrazione, diritto d’accesso ai documenti, mediatore (organo
indipendente eletto dal Parlamento EU che è tenuto a ricevere le denunce dei singoli cittadini
per presunti casi di cattiva amministrazione da parte di istituzioni, organi ed organismi
dell’UE che si conclude con un atto cosiddetto raccomandazione perché il mediatore ha poteri
non vincolanti ma le denunce non possono riguardare comportamenti degli Stati membri),
diritto di petizione, libertà di circolazione e di soggiorno e tutela diplomatica e consolare
(diritto di uno Stato di proteggere i propri cittadini all’estero nel caso in cui subiscano dei
torti);
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- Titolo VI raggruppa una serie di articoli sotto la denominazione “giustizia” all’interno del
quale sono contenuti tutti quei diritti riconducibili all’idea di giustizia ad esempio diritto a un
ricorso effettivo e a un giudice imparziale, presunzione di innocenza e diritti della difesa,
principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene, diritto di non essere
giudicato o punito due volte per lo stesso reato;
- Titolo VII raggruppa una serie di articoli sotto la denominazione “disposizioni generali” che
disciplinano l'interpretazione e l’applicazione della Carta, quindi non raggruppa una serie di
diritti in base alla materia trattati da quest’ultimi ma contiene tutta una serie di disposizioni
che si applicano trasversalmente a tutte le disposizioni della Carta. La norma più importante
contenuta nel titolo VII è ambito di applicazione della carta cioè quando si applica la Carta?
In questo caso bisogna distinguere l’ambito di applicazione della Carta relativo alle
istituzioni, organi ed organismi dell’UE e l’ambito di applicazione relativo agli Stati membri,
l’Art.51 infatti dice:
1. Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni e agli organi
dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà come pure agli Stati membri
esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione (cioè ad esempio a questioni
regolate da leggi nazionali non possono essere applicate). Pertanto, i suddetti soggetti
rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le
rispettive competenze.
2. La presente Carta non introduce competenze nuove o compiti nuovi per la Comunità
e per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti dai trattati.

Inoltre il titolo VII disciplina anche la portata dei diritti garantiti:


1. Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente
Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti
diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità*, possono essere
apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a
finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i
diritti e le libertà altrui.

L’Art.52 inoltre contiene una norma cosiddetta di raccordo con le disposizioni contenute nella
CEDU
2. Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla
CEDU, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla
suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto
dell’Unione conceda una protezione più estesa.

*Principio di proporzionalità: tiene conto dell’obiettivo che si intende perseguire e della misura
adottata per perseguire tale obiettivo. Quindi alla luce di questo principio si deve bilanciare l’obiettivo
che si intende perseguire con quella restrizione nell’interesse della tutela generale e la portata di
quella restrizione cioè non si deve trattare di una limitazione sproporzionata rispetto all’interesse
generale che si intende tutelare attraverso quella limitazione. Limitazione ad esempio della libera
circolazione per tutelare la salute umana ad esempio in tempi di pandemia.

4)Adesione dell'UE alla CEDU


Il sistema dell’UE ed il sistema della CEDU sono molto vicini perché i 27 Stati membri sono anche
membri del Consiglio d’Europa e hanno ratificato la CEDU. Questa è una questione che nasce ancor
prima dell’adozione della Carta di cui si inizia a discutere già dagli anni ‘90 cioè ancor prima di
proporre l’adozione di uno strumento EU in materia dei diritti umani si era pensato appunto ma perché
non far aderire l’UE alla CEDU cosicché i diritti garantiti da quest’ultima non solo sono vincolanti ma
abbiamo anche un organo giurisdizionale deputato al loro controllo ovvero la Corte dei diritti
dell’uomo? Visto che i diritti fondamentali costituiscono un parametro di legittimità degli atti dell’UE
e visto che il nostro strumento di riferimento è la CEDU che è anche un sistema di grande successo.
Al netto di ciò si avvia un processo negoziale volto a portare gradualmente all’adesione dell’UE alla
CEDU. Questo processo in realtà viene essenzialmente arrestato nel 1996 da un parere della Corte di
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Giustizia dell’UE perché l’UE per aderire alla CEDU materialmente deve concludere un accordo
internazionale sia per aderire alla CEDU sia per aderire al Consiglio d’Europa e per farlo deve
concludere un accordo di adesione cioè nient’altro che un accordo tra l’UE ed un’altra organizzazione
internazionale e quindi bisogna dare uno sguardo alle regole che riguardano appunto l’adozione di
accordi tra l’UE e Stati terzi o tra l’UE e le organizzazioni internazionali; esse sono regolate
dall’Art.218 del TFUE che prevede diverse fasi:
1. Autorizzazione all’avvio dei negoziati che è un atto del Consiglio che autorizzerà anche la
firma del Trattato e conclude l’accordo. Ma ciò non deve essere per forza svolta in prima
persona dal Consiglio che invece può nominare un negoziatore al quale però impartisce le
direttive per il negoziato.
2. Sempre su proposta del negoziatore poi il Consiglio adotta la decisione con cui autorizza la
firma del Trattato;
3. Successivamente ad essa autorizza anche la decisione relativa alla conclusione dell’accordo.

Per quanto riguarda nello specifico l’adesione dell’UE alla CEDU l’Art.218 del TFUE stabilisce che
la decisione che autorizza la conclusione dell’accordo debba essere adottata previa approvazione del
Parlamento EU, inoltre un'altra eccezione che riguarda quest’adesione concerne il sistema di
votazione adottato in seno al Consiglio cioè solitamente in tutti questi passaggi sopra citati il
Consiglio delibera a maggioranza qualificata.

Nel caso invece della procedura di adesione dell’UE alla CEDU il Consiglio delibera all’unanimità.

Come abbiamo già detto in precedenza il processo di adesione dell'UE alla CEDU è stato in qualche
modo interrotto da un parere della Corte di Giustizia, quest’ultima ha questo potere perché l’Art.218
del TFUE al par.11 stabilisce che “uno Stato membro. il Parlamento UE, il Consiglio o la
Commissione quando c’è una bozza di accordo tra l’UE e uno Stato terzo o con un’organizzazione
internazionale, possono domandare il parere della Corte di Giustizia circa la compatibilità di un
accordo previsto con i Trattati. Nel caso in cui la Corte di Giustizia dia un parere negativo l’accordo in
questione non può entrare in vigore salvo che lo stesso non venga modificato secondo quelle che sono
le indicazioni fornite dalla Corte.” Quindi il parere della Corte non interrompe definitivamente la
procedura di adesione ma in qualche modo la condiziona perché se la Corte rileva delle questioni di
incompatibilità, ai fini dell’entrata in vigore dell’accordo in questione devono essere apportate delle
modifiche richieste dalla stessa. Nel 1996 la Corte ha formulato il proprio parere circa il progetto di
accordo che era stato adottato di adesione dell’UE alla CEDU il cosiddetto parere 2/94 (2= numero
del ricorso, 94= data in cui è stato presentato il ricorso mentre all’inizio possiamo trovare o C se è una
sentenza o l'ordinanza della Corte mentre T se è del Tribunale). Quindi nel 1994 è stato chiesto il
parere e nel 1996 la Corte emette il suo parere che dice “si deve rilevare che secondo costante
giurisprudenza i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali dei diritti dei quali la
corte garantisce l’osservanza, se il rispetto dei diritti dell’uomo costituisce quindi un requisito di
legittimità degli atti comunitari si deve tuttavia rilevare che l’adesione alla Convenzione
determinerebbe una modificazione sostanziale dell’attuale regime comunitario di tutela dei diritti
dell’uomo in quanto comporterebbe l’inserimento della comunità in un sistema internazionale distinto,
nonché l’integrazione del complesso delle disposizioni della CEDU nell'ordinamento giuridico
comunitario.” Vista quindi la rilevanza che comporterebbe l’adesione dell’UE alla CEDU secondo la
Corte “una siffatta modifica del regime della tutela dei diritti dell’uomo nella comunità le cui
implicazioni istituzionali risulterebbero parimenti fondamentali sia per la comunità sia per gli Stati
membri rivestirebbe rilevanza costituzionale, una tale modifica può essere realizzata solo tramite
modifica del Trattato.” Quindi in altre parole l’adesione dell’UE alla CEDU deve trovare una sua base
giuridica nei trattati e sarebbe necessaria anche una modifica sotto il profilo del Consiglio d’Europa
perché in realtà la CEDU era una Convenzione aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio
d’Europa e quindi serviva una modifica per aprirla non solo agli stati del Consiglio d’Europa ma
anche agli Stati membri dell’UE. Questa modifica è stata effettivamente apportata nel 2010 attraverso
il protocollo 14 allegato alla CEDU con cui è stato modificato l’Art.59 della CEDU che sancisce “La
presente Convenzione è aperta alla firma dei membri del Consiglio d’Europa. L’Unione europea può
aderire alla presente Convenzione.” Sotto il profilo dell’UE nei Trattati viene adottata la modifica
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necessaria all’adesione alla CEDU con l’Art.6 del TUE par.2 “L'Unione aderisce alla Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non
modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati.”

La domanda è quindi ad oggi per mezzo di questo art l’UE è un membro della CEDU? No perché la
conclusione di qualsiasi accordo internazionale deve rispettare quelle che sono le regole di
conclusioni degli accordi internazionali da parte dell’UE, la procedura di cui all’Art.218 del TFUE.
Quindi una semplice previsione normativa non comporta automaticamente l’adesione ad un trattato
internazionale perché le regole per l’adesione ad un trattato internazionale le dicono i Trattati in
particolare l’Art.218. Quindi per aderire alla CEDU deve essere completata la procedura di cui
all'Art.218. Al netto di ciò possiamo dire che l’Art.6 può costituire la base giuridica per l’adesione ma
non comporta un’adesione automatica.

Inoltre alla luce di questa formulazione usata nell’Art.6 l’UE è obbligata ad aderire alla CEDU? Una
mancata adesione può comportare una violazione dei Trattati? Verosimilmente non costituisce un
obbligo perché la conclusione di un accordo internazionale è un atto quantomeno bilaterale, quindi il
buon esito della procedura non dipende solo dall’UE.

Con il parere del 1996 dopo la modifica del trattato di Lisbona essendo stata posta la base giuridica
per l’adesione dell’UE alla CEDU ed essendo stata posta anche una porta d’ingresso con la modifica
dell’Art.59 della CEDU, l’UE ha avviato i negoziati per aderire alla CEDU. Sostanzialmente il
Consiglio ha autorizzato l’avvio dei negoziati nel giugno del 2010 con tutta una serie di direttive,
innanzitutto l’accordo non avrebbe dovuto incidere sulle competenze dell’UE né sulle attribuzioni
delle sue istituzioni ma soprattutto sulle competenze della Corte di Giustizia dell’UE. Quindi il
problema principale relativo all’adesione dell’UE alla CEDU il contrasto che si determina con le
disposizioni dei trattati ai sensi delle quali la Corte di Giustizia ha una competenza giurisdizionale
esclusiva nell’ordinamento dell’UE infatti è essa che valuta la legittimità degli atti dell’UE con le
norme sui diritti umani, nel momento in cui l’Ue aderisce ad un’altra organizzazione internazionale
nella quale è presente un organo giurisdizionale internazionale deputato al controllo sulla tutela dei
diritti fondamentali a quel punto la Corte perde la propria esclusività nell’ordinamento giuridico
dell'UE, tant’è che nel parere reso dalla Corte di Giustizia, che ruota sostanzialmente intorno alla
competenza della Corte stessa nel sistema dell’UE, chiesto dalla Commissione EU “il progetto di
accordo sull'adesione dell’UE alla CEDU è compatibile con i trattati? sostanzialmente nel 2014 con
un parere reso ai sensi dell’Art.218 par.11 del TFUE la Corte interrompe di nuovo il processo di
adesione dell’UE alla CEDU, un parere che riguarda sostanzialmente quelli che sarebbero stati i
rapporti fra le due corti quella di Strasburgo e quella di Lussemburgo. In realtà di recente si è tentato
di riavviare questo processo di adesione ma siamo ancora alle fasi preliminari quindi ancora non si sa
come andrà a finire.

5)Fonti di diritto derivato


Le fonti di diritto derivato possiamo classificarle in:
- atti tipici cioè quelli espressamente regolati dai Trattati es. regolamenti, direttive e decisioni
che all’interno delle fonti tipiche sono anche atti a carattere vincolante; e poi raccomandazioni
e pareri che all’interno delle fonti tipiche sono anche atti a carattere non vincolante. Regolati
dall’Art.288 del TFUE che sancisce “per esercitare le competenze dell’UE le istituzioni
adottano due punti: regolamenti, decisioni e direttive e poi raccomandazioni e pareri;
- atti atipici cioè quelli non espressamente regolati dai Trattati a carattere non vincolante
oppure in:
- atti vincolanti
- atti non vincolanti attraverso cui ad esempio le istituzioni esprimono una propria posizione,
indirizzare una raccomandazione.

-Regolamenti
Ciò che conferisce ad un determinato atto la natura di atto legislativo non è tanto la denominazione in
sè di quell’atto ma la procedura attraverso cui lo stesso è stato adottato, non tutti gli atti che si
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chiamano ad esempio regolamenti sono atti legislativi e per capire se un atto abbia o meno natura
legislativa dobbiamo verificare la procedura attraverso cui è stato adottato andando attraverso la base
giuridica. Gli elementi che caratterizzano i regolamenti in quanto atti di natura giuridica sono:
- portata generale che ha a che fare con i destinatari dell’atto e vuol dire che il regolamento
non si rivolge a dei destinatari identificabili ma a categorie astratte di persone;
- obbligatorietà dove innanzitutto va rilevato che il regolamento è un atto obbligatorio in tutti i
suoi elementi cioè non può essere applicato in maniera parziale e tali effetti il regolamento li
produce nei confronti delle istituzioni dell’UE, nei confronti degli Stati membri e anche nei
confronti degli individui;
- diretta applicabilità cioè il regolamento non necessita di alcun atto di recepimento da parte
degli ordinamenti nazionali, in altre parole non è necessario un atto attraverso cui
l’ordinamento nazionale recepisca al proprio interno il regolamento perché esso è idoneo a
produrre effetti giuridici a prescindere dall'adozione di un atto nazionale di adattamento. Il
regolamento conferisce diritti e doveri a prescindere dalla presenza di una misura di
attuazione affinché i diritti previsti dal regolamento possano essere invocati dinanzi un
tribunale nazionale.

-Decisioni
Possono avere diversa forma perché possono essere o a carattere individuale o anche generale. La
decisione in sé può individuare i destinatari dell’atto ed in questo caso parliamo di decisioni
individuali o possiamo parlare di decisioni all’interno delle quali non è espressamente individuato il
destinatario e quindi parliamo di decisioni generali. Per quanto riguarda le decisioni individuali sotto
atti che naturalmente non hanno portata generale perché non sono indirizzati a categorie astratte di
persone ma indirizzati a specifici individui e sono decisioni che per produrre i loro effetti giuridici
devono essere notificate al destinatario.

-Direttive
Sono lo strumento più utilizzato nell’attività legislativa dell’UE. Sono atti che vincolano gli Stati
membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere salvo restando la competenza degli organi
nazionali in merito alla forma ed ai mezzi da adottare per raggiungere quel risultato, in sostanza la
direttiva al contrario del regolamento impone un obbligo in termini di risultato finale, nell’ambito di
una direttiva quindi lo Stato deve raggiungere un risultato ma le forme e i mezzi per farlo vengono
lasciate in mano agli organi nazionali. L'attuazione delle direttive nell'ordinamento interno è quindi
oggetto di un preciso obbligo che gli Stati membri sono tenuti ad adempiere mediante l'emanazione e
la comunicazione alla Commissione, entro il termine che ciascuna direttiva imperativamente
stabilisce, di un atto di recepimento della stessa. Attualmente le direttive sono redatte in maniera
sempre più dettagliate e questo margine di discrezionalità che viene lasciato allo Stato membro in fase
di attuazione è sempre più ridotto allo stretto necessario, la tendenza è quella di adottare direttive che
abbiano un contenuto quanto più dettagliato possibile cioè che siano il più possibile self-executive e
che non abbiano bisogno, per produrre effetti giuridici, azioni di attuazione da parte degli organi
nazionali che devono avvenire ad opera del legislatore.

Visto che le direttive devono essere attuate dagli Stati membri cosa succede se uno Stato non adotta la
direttiva? E’ vero che la direttiva non è direttamente applicabile ma è comunque obbligatoria cioè lo
Stato deve sempre recepire la direttiva entro un determinato termine che è perentorio indicato dalla
direttiva stessa, però lo stato di base deve attuare la direttiva entro i termini previsti e se non lo fa
compie un inadempimento cioè una violazione degli obblighi previsti dai trattati da parte di uno Stato.
Anche all’interno di questi termini, cosiddetto periodo di pendenza del termine di attuazione della
direttiva, cioè anche prima che scada il termine entro il quale lo Stato membro deve attuare la
direttiva, esso non può adottare provvedimenti che vadano in contrasto con quello che è lo scopo. Per
quanto riguarda l’attuazione della direttiva gli strumenti e le forme sono lasciati alla libera scelta dello
Stato membro purché si tratti di strumenti idonei a garantire il raggiungimento degli scopi della
direttiva ad esempio la Corte di giustizia ha rilevato che delle semplici prassi amministrative non sono
gli strumenti adeguati a recepire una direttiva.
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Quali sono gli effetti che produce la direttiva non attuata? Dietro alla mancata attuazione c’è un
inadempimento da parte dello Stato membro quindi una sua responsabilità per cui le direttive
limitatamente alla parti self-executive cioè quelle idonee a produrre effetti giuridici diretti, sono
impugnabili nelle cosiddette controversie a carattere verticale nell’ambito delle quali le parti sono
parti che non si trovano sullo stesso piano, cioè le controversie contrappongono un individuo allo
Stato, se la direttiva crea degli obblighi nei confronti degli individui quest'ultimi possono far valere
questi diritti nei confronti dello Stato perché il presupposto di partenza dice per l'appunto che la
mancata attuazione della direttiva sia dovuta ad una responsabilità statale mentre le direttiva non
attuate non possono essere invocate nelle controversie orizzontali o interindividuali cioè quelle che
contrappongono un individuo ad un altro.

-Elementi comuni delle direttive, regolamenti e decisioni


Di base sono tutti atti giuridici vincolanti ed hanno ciascuno delle proprie caratteristiche:
- i regolamenti hanno portata generale ed obbligatori in tutti i suoi elementi, diretta applicabilità
nonché efficacia diretta;
- la decisione obbligatoria in tutti i suoi elementi che può avere portata generale o individuale;
- la direttiva è un atto vincolante in tutti i suoi elementi, di base ha portata generale e non è
direttamente applicabile ma per produrre i suoi effetti giuridici deve essere applicata dagli
Stati membri ed i termini per applicare la direttiva sono espressamente indicati nella direttiva
stessa, in caso di mancata attuazione della direttiva entro i termini previsti naturalmente lo
Stato compie un inadempimento ma taluni effetti li può produrre soprattutto nelle cosiddette
controversie a carattere verticale.

Di base ciascuno di questi 3 atti è caratterizzato dal fatto di dover essere sempre motivato e nella
prassi recente prima di adottare un atto legislativo la Commissione adotta una valutazione di impatto
nell’ambito del quale giustifica la propria iniziativa. Qualsiasi atto deve contenere una base giuridica
che individua la competenza dell’UE a legiferare in quella specifica materia, la competenza
dell’istituzione e la procedura decisionale da adottare.

-Pareri e raccomandazioni
Atti non vincolanti. Di base le raccomandazioni sono degli atti indirizzati agli Stati membri attraverso
i quali le istituzioni esortano gli Stati membri ad adottare un determinato comportamento e possono
essere indirizzate ad uno o più Stati o possono essere indirizzate in maniera generale a tutti gli Stati
membri. I pareri invece solitamente non sono indirizzati agli Stati membri ma sono atti attraverso i
quali le istituzioni rendono nota la propria posizione su una determinata questione.

Simili sono gli atti non vincolanti, gli atti atipici che possono essere di varia natura ad esempio linee
guida, libri bianchi, libri verdi, le strategie e sono atti attraverso cui o le istituzioni esprimono la loro
posizione su una determinata questione o con cui adottano delle linee guida rispetto a qualcosa o
attraverso cui le istituzioni indicano una strategia

Procedure decisionali
Procedure attraverso le quali le istituzioni adottano gli atti giuridici e quindi manifestano la volontà
dell’UE. Le istituzioni prevalentemente coinvolte sono:
- Consiglio;
- Parlamento EU;
- Commissione.

L’adozione di un atto giuridico non è sempre un processo semplice da concludere perché c’è il
coinvolgimento di 3 istituzioni che sostanzialmente sono rappresentative di interessi differenti e
chiaramente all'interno di ogni procedura legislativa ciascuna di queste 3 porterà quelli che sono i
propri interessi. La Commissione EU essendo un'istituzione a carattere autonomo ed indipendente
dagli Stati membri i cui componenti sono designati solo sulla base delle proprie competenze tecniche,
che darà il proprio apporto tecnico e nel fare le proprie valutazioni all'interno di una procedura
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decisionale non tiene conto di quelli che sono vincoli politici di varia natura che può avere o con i
governi degli Stati membri o un vincolo come quello che esiste nell’ambito del Parlamento EU con gli
elettori. Al contrario Parlamento e Consiglio rispondono ad esigenze di natura differente, il Consiglio
è l’istituzione rappresentativa degli Stati membri nel quale appunto siedono i rappresentanti di
quest’ultimi tipicamente i ministri, mentre nel Parlamento EU c’è un rapporto che lega i singoli
parlamentari con i propri elettori.

Nel Trattato di Lisbona per quanto riguarda le procedure decisionali si distinguono tra:
- procedure legislative;
- procedure non legislative

L’Art. di riferimento è il 289 del TFUE ed al par.3 sancisce “Gli atti giuridici adottati mediante
procedura legislativa sono atti legislativi.” quindi tutti gli atti che non vengono adottati tramite
procedura legislativa sono i cosiddetti atti non legislativi. Mentre ai par.1-2 ci dice che gli atti
legislativi possono essere adottati tramite procedura legislativa ordinaria o tramite procedure
legislative speciali: 1. “La procedura legislativa ordinaria consiste nell'adozione congiunta di un
regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su
proposta della Commissione. Tale procedura è definita all'articolo 294”.
2. “Nei casi specifici previsti dai trattati, l'adozione di un regolamento, di una direttiva o di una
decisione da parte del Parlamento europeo con la partecipazione del Consiglio o da parte di
quest'ultimo con la partecipazione del Parlamento europeo costituisce una procedura legislativa
speciale.”

1)Procedura legislativa ordinaria


La procedura legislativa ordinaria ha assunto un carattere di prevalenza con il Trattato di Lisbona. Il
potere legislativo sin dai trattati originari era sempre ripartito tra le tre istituzioni, ciò che è cambiato
nel tempo è il peso che ciascuna di queste istituzioni ha assunto nell'ambito del processo legislativo.
Originariamente il processo legislativo più che essere un processo che coinvolgeva le 3 istituzioni,
coinvolgeva soprattutto Commissione che proponeva e Consiglio che deliberava mentre il Parlamento
EU interveniva in maniera marginale nell’ambito con funzione sostanzialmente consultiva. Inoltre il
Consiglio deliberava quasi sempre all’unanimità, questo a dimostrazione di come la comunità EU era
a carattere intergovernativo. Negli anni proprio per riuscire a ridurre la natura intergovernativa ed
attribuire una natura più sovranazionale lo sforzo che si è fatti è stato innanzitutto di passare dal
sistema di voto all’unanimità ad un sistema di votazione a maggioranza in seno al Consiglio e d’altro
lato accrescere il peso del Parlamento EU nella procedura decisionale. Il risultato finale di questo
processo evolutivo si è avuto con il Trattato di Lisbona con la cosiddetta procedura legislativa
ordinaria che sostanzialmente prevede quello che nel Trattato di Amsterdam si chiamava procedura di
codecisione cioè nell'ambito della quale queste istituzioni che deliberano si trovano sullo stesso piano
ed hanno sostanzialmente gli stessi poteri non c’è quindi uno squilibrio di potere tra il Parlamento EU
ed il Consiglio.

Di base per poter avviare la procedura legislativa ordinaria è necessaria la proposta della
Commissione. Infatti prima di arrivare alla delibera del Consiglio e del Parlamento è necessario
l’input della Commissione EU che ha il potere di iniziativa ed accompagna ogni proposta legislativa
con un documento definito documento d’impatto nel quale sono contenuti vari elementi:
- motivazioni che hanno portato la Commissione a proporre quello specifico atto legislativo;
- obiettivo che secondo la Commissione si dovrebbe raggiungere con l’adozione di quell’atto;
- spiegazione della portata delle singole disposizioni;
- posizione della Commissione relativamente alla conformità di quella proposta con il principio
di sussidiarietà che regola il sistema di attribuzione delle competenze nell’ambito dell’UE.

Un atto legislativo ai sensi della procedura legislativa ordinaria può essere adottato solo se Parlamento
e Consiglio approvano la proposta nella stessa identica forma. Se la Commissione passa la proposta al
Parlamento EU quest’ultimo ha 3 opzioni:
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1. il Parlamento riceve la proposta della Commissione e disapprova in toto la proposta e la


procedura si conclude;
2. il Parlamento riceve la proposta e non ha nulla da dire quindi l’approva così com’è stata
proposta e passa la palla al Consiglio;
3. il Parlamento riceve la proposta però su alcuni punti intende negoziare proponendo delle
revisioni ed è proprio in questo caso che entrano in gioco i diversi interessi che rappresentano
le varie istituzioni coinvolte nel processo legislativo perché ovviamente ognuno proporrà
delle modifiche in base ai propri interessi

Nel momento in cui il Parlamento approvi o modifichi la proposta, il processo legislativo continua e la
questione passa al Consiglio. A questo punto una volta che il Consiglio riceve la proposta così com’è
stata approvata o modificata dal Parlamento ha gli stessi poteri di quest’ultimo:
1. il Consiglio può disapprovare completamente sia nella versione proposta dalla Commissione
o nella versione modificata dal Parlamento e la procedura si conclude;
2. Il Consiglio può approvare la proposta così com’è gli è pervenuta dal Parlamento;
3. Il Consiglio può approvare l’adozione di un atto legislativo e concordare sugli aspetti
fondamentali dell’atto ma propone ulteriori modifiche rispetto a quelle proposte dal
Parlamento EU.

E’ vero che i codecisori possono modificare la proposta fatta dalla Commissione ma d’altro canto non
possono vanificare il potere di iniziativa di quest’ultima. Ciò concretamente si traduce nel fatto che la
Commissione in qualsiasi momento della procedura legislativa può ritirare l’iniziativa e quindi
bloccare il processo legislativo senza incontrare particolari ostacoli, in altre parole quando la
Commissione decide che le modifiche di cui stanno discutendo Consiglio e Parlamento possano
travolgere la sua iniziativa e quindi di stravolgere gli obiettivi perseguiti dalla proposta può ritirarla.

Nel momento in cui finisce l’esame da parte del Consiglio si conclude la prima lettura cioè quando
entrambe le istituzioni hanno esaminato e si sono espresse sulla proposta legislativa.

Dal momento in cui entrambe le istituzioni di base hanno manifestato interesse ad adottare quell’atto
legislativo ma non hanno trovato un accordo sulle modifiche da apportare e quindi abbiamo la
seconda lettura. E’ in un certo senso la fotocopia della prima lettura in cui si svolgono tutti i passaggi
che si svolgono appunto in quest’ultima. Il Parlamento decide di modificare la proposta e passa la
palla al Consiglio che a sua volta decide di apportare delle modifiche e quindi nuovamente passa la
palla al Parlamento che può dire che non c’è un punto d'incontro e quindi rigetta la proposta e si
conclude. Il Parlamento EU però al contrario può dire che le modifiche apportate dal Consiglio alla
propria versione possono essere accolte e quindi proposta approvata. Ovviamente se il Parlamento
ritiene opportuno apportare delle modifiche allora il Consiglio avrà gli stessi poteri del Parlamento
quindi potrà accettare, rifiutare o apportare ulteriori modifiche.

Ed infine abbiamo il comitato di conciliazione che è uno strumento che i Trattati hanno predisposto
per trovare una soluzione in questi casi. E’ un organismo composto da un numero pari di membri del
Parlamento ed un numero pari di membri del Consiglio ed al quale partecipano anche i rappresentanti
della Commissione, quindi di base i 27 membri del Consiglio + un numero uguale di membri del
Parlamento rappresentativi di tutti i gruppi parlamentari presenti in Parlamento + rappresentanti della
Commissione. Dal momento in cui ciò che ha ostacolato l’adozione di un atto è semplicemente il fatto
di non aver trovato un compromesso sulle modifiche da apportare, le eventuali modifiche da apportare
si studiano insieme. Quindi questo comitato elabora una proposta finale che tiene conto degli interessi
del Consiglio e quelli del Parlamento e quindi si arriva ad un atto di sintesi fra quelle che sono le
posizioni delle due istituzioni. Arrivata questa proposta finale torna alle due istituzioni che possono
approvarla o rigettarla.

In realtà questa è una procedura alquanto complessa che per giungere a compimento richiedeva
diversi anni prima che le istituzioni riuscissero a trovare un compromesso anche perché sono mosse
da interessi diversi non per forza però di natura differente. In passato era molto frequente che le
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procedure legislative si concludessero solo dopo che si arrivava alla fase del comitato di
conciliazione, quindi per velocizzare le procedure legislative ad un certo punto si è pensato di dover
risolvere alcune rigidità attraverso dei processi informali che non sono disciplinati da appositi articoli
del Trattati, che permettessero di raggiungere più facilmente un compromesso tra i due co legislatori
in cui si provava a discutere insieme il contenuto della proposta passata dalla Commissione e provare
a discutere insieme delle modifiche da apportare. Questi momenti informali di incontro tra le
istituzioni si sono in teoria consolidati nel tempo assumendo un nome ben preciso ovvero di triloghi
che sono appunto degli incontri in forma ristretta ai quali partecipano membri del Parlamento EU,
membri del Consiglio e membri della Commissione i quali discutono assieme gli emendamenti da
apportare alla proposta legislativa. Il documento che solitamente adottano nei cosiddetti triloghi viene
definito un documento a quattro colonne:
1. nella prima colonna è contenuta la proposta legislativa così come presentata dalla
Commissione;
2. nella seconda colonna è riportata la posizione del Parlamento EU;
3. nella terza colonna è riportata la posizione del Consiglio;
4. la quarta colonna è riportata la versione della proposta finale che ne risulta ed i negoziali che
sono stati svolti in fase di trilogo.

I triloghi hanno sensibilmente accennato la procedura legislativa.

2)Procedura legislativa speciale


Nei Trattati non è fornita una definizione precisa di procedura legislativa speciale né tantomeno è
previsto un modello standard di questa procedura. Possono assumere per questo varie forme e di base
dovremmo dire che queste procedure sono tutte quelle procedure legislative previste nei Trattati e
diverse dalle procedure legislative ordinarie. Sostanzialmente nelle procedure legislative speciali
viene meno quel concetto di parità tra i due co legislatori, quindi quel perfetto bilanciamento che
abbiamo in termini di competenze tra Parlamento EU e Consiglio nell’ambito della procedura
legislativa ordinaria ed in questo caso il potere deliberativo è sbilanciato verso l’una o l’altra
istituzione, il tutto sancito dall’Art.289 del TFUE par. 2: “Nei casi specifici previsti dai trattati,
l'adozione di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo con
la partecipazione del Consiglio o da parte di quest'ultimo con la partecipazione del Parlamento
europeo costituisce una procedura legislativa speciale.” Anche se la maggior parte dei Trattati
prevedono la decisione del Consiglio con la partecipazione del Parlamento EU.

Le procedure legislative speciali nell’ambito delle quali delibera il Parlamento con la partecipazione
del Consiglio sono solo 3:
1. Art. 228 del TFUE par. 4: “Previo parere della Commissione e con approvazione del
Consiglio, il Parlamento di sua iniziativa deliberando mediante regolamenti secondo una
procedura legislativa speciale fissa lo Statuto e le condizioni generali per l’esercizio delle
funzioni del mediatore EU”.
2. Art. 227 del TFUE: “Previa approvazione del Consiglio, il parlamento EU di sua iniziativa,
deliberando mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale, fissa le
modalità per l’esercizio del diritto d’inchiesta”.
3. Art. 223 del TFUE: “Lo statuto dei membri del Parlamento EU venga adottato dal
Parlamento, deliberando mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale,
previa approvazione del Consiglio”.

In altre parole possiamo dire che non viene esclusa la partecipazione del Parlamento semplicemente
esso partecipa e non avrà gli stessi poteri del Consiglio. La partecipazione dell’altra istituzione si
esprime attraverso 2 forme:
1. consultazione che è un passaggio obbligatorio ma non vincolante ciò significa che ottenuto il
parere del Parlamento il Consiglio non è costretto a conformarsi a quest'ultimo può anche
discostarsi dalla decisione del Parlamento;
2. approvazione che è un passaggio obbligatorio ed anche vincolante giuridicamente.
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3)Atti normativi delegati


Lo stesso nome ci lascia intendere che si tratta di un atto che viene adottato da qualcuno per conto di
qualcun altro. Disciplinati dall’Art.290 del TFUE: “Un atto legislativo può delegare alla Commissione
il potere di adottare atti non legislativi di portata generale che integrano o modificano determinati
elementi non essenziali dell'atto legislativo.”

Nella delega che i co legislatori offrono alla Commissione devono indicare esattamente qual’è il
perimetro d’azione della Commissione EU: “Gli atti legislativi delimitano esplicitamente gli obiettivi,
il contenuto, la portata e la durata della delega di potere. Gli elementi essenziali di un settore sono
riservati all'atto legislativo e non possono pertanto essere oggetto di delega di potere.”

Gli atti legislativi fissano esplicitamente le condizioni cui è soggetta la delega, che possono essere le
seguenti:
a) il Parlamento europeo o il Consiglio possono decidere di revocare la delega;
b) l'atto delegato può entrare in vigore soltanto se, entro il termine fissato dall'atto legislativo, il
Parlamento europeo o il Consiglio non sollevano obiezioni.
Ai fini delle lettere a) e b), il Parlamento europeo delibera a maggioranza dei membri che lo
compongono e il Consiglio delibera a maggioranza qualificata.

4)Atti di esecuzione
Sono sempre atti adottati dalla Commissione EU e sostanzialmente possono essere utili ai fini di
eseguire in maniera uniforme in tutti gli Stati membri gli atti giuridicamente vincolanti dell’UE,
disciplinati dall’Art.291 del TFUE: “Gli Stati membri adottano tutte le misure di diritto interno
necessarie per l'attuazione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione.”

Allorché sono necessarie condizioni uniformi di esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti
dell'Unione, questi conferiscono competenze di esecuzione alla Commissione o, in casi specifici
debitamente motivati e nelle circostanze previste agli articoli 24 e 26 del TUE, al Consiglio.

Ai fini del paragrafo 2, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti


secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono preventivamente le regole e i principi generali
relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell'esercizio delle competenze di
esecuzione attribuite alla Commissione.

Parte seconda

Contenzioso dell’UE

1)Competenza giurisdizionale dell’UE


Per comprendere la competenza giurisdizionale dell’UE, possiamo richiamare una nozione sviluppata
dalla stessa Corte di Giustizia cioè quella dell’UE come comunità fondata sullo stato di diritto
all'interno della quale gli Stati membri, le istituzioni ed anche tutti gli organi ed organismi sono tenuti
a rispettare le norme del diritto dell’UE e per ciò è necessario che siano presenti degli organi
giurisdizionali che hanno il compito di controllare la corretta attuazione del diritto dell’UE da parte di
tutti gli attori coinvolti nel processo d'integrazione.

A livello dell’UE il controllo sulla corretta applicazione del diritto dell’UE è diviso all'interno della
Corte di Giustizia mentre a livello degli Stati membri in tutti i tribunali nazionali. Art. 19 del TUE:
“La Corte di giustizia dell'Unione europea comprende la Corte di giustizia, il Tribunale e i tribunali
specializzati. Assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati.”
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“Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela
giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione.”

Gli obiettivi vengono svolti quindi dalla Corte di Giustizia, che comprende gli organi e le istituzioni a
carattere giudiziario.
Per quanto riguarda gli organi giurisdizionali nazionali svolge una funzione fondamentale lo
strumento del rinvio pregiudiziale.

2)Corte di Giustizia dell’UE


Con questo termine si intendono una serie di organi:
- Corte di Giustizia, composta da un giudice per Stato membro a cui si aggiungono 11
avvocati generali;
- Tribunale composto da almeno un giudice per Stato membro fino a che è esistito il tribunale
per la funzione pubblica, nel momento in cui esso è stato rimosso è stata ampliata la
composizione di esso che infatti al momento prevede due giudici per Stato membro questo
perché il Tribunale ha assorbito le funzioni del tribunale per la funzione pubblica; la cui
nomina è una procedura sostanzialmente intergovernativa quindi nominati di comune accordo
dagli Stati membri e questa procedura in passato è stata oggetto di alcune critiche perché era
ritenuta poco trasparente.

Art.253 del TFUE sancisce: “I giudici e gli avvocati generali della Corte di giustizia, scelti tra
personalità che offrano tutte le garanzie di indipendenza e che riuniscano le condizioni
richieste per l'esercizio, nei rispettivi paesi, delle più alte funzioni giurisdizionali, ovvero che
siano giureconsulti di notoria competenza, sono nominati di comune accordo per sei anni dai
governi degli Stati membri, previa consultazione del comitato consultivo di cui all'articolo
255.” Il comitato consultivo 255 è un organo istituito con il trattato di Lisbona volto a
verificare che le persone designate dagli Stati membri a ricoprire la carica di giudici
effettivamente soddisfino i requisiti previsti all’Art 253 del TFUE. Art.255 del TFUE
sancisce: par 1 ”È istituito un comitato con l'incarico di fornire un parere sull'adeguatezza dei
candidati all'esercizio delle funzioni di giudice e di avvocato generale della Corte di giustizia
e del Tribunale, prima che i governi degli Stati membri procedano alle nomine in conformità
degli articoli 253 e 254.” Ciò è stato fatto per rendere più trasparente la procedura di nomina
dei giudici e per renderla un pò meno intergovernativa. Par 2: “Il comitato è composto da sette
personalità scelte tra ex membri della Corte di giustizia e del Tribunale, membri dei massimi
organi giurisdizionali nazionali e giuristi di notoria competenza, uno dei quali è proposto dal
Parlamento europeo. Il Consiglio adotta una decisione (deliberando a maggioranza
qualificata) che stabilisce le regole di funzionamento di detto comitato e una decisione che ne
designa i membri. Esso delibera su iniziativa del presidente della Corte di giustizia.”. La
carenza di quest'organo è il fatto che si tratti di un organo meramente consultivo, ciò significa
che i candidati devono passare al vaglio del comitato ma anche in caso di parere negativo gli
Stati membri possono comunque nominare la persona che avevano intenzione di nominare.

All’esame del comitato non passano soltanto i giudici della Corte e del Tribunale ma anche gli
avvocati generali. L’avvocato generale all’interno della Corte di Giustizia originariamente
era stato previsto per sopperire ad una carenza del sistema giurisdizionale della Corte cioè
l’assenza del doppio grado di giudizio, quindi essi svolgono una funzione parallela ai giudici
della Corte e per le cause trattate dalla Corte l’avvocato generale esprime una propria
posizione offrendo quindi sostegno alla Corte, che ovviamente non risulterà essere vincolante
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quindi la Corte nell’emettere la propria sentenza può decidere di seguire quello che è il parere
dell’avvocato generale oppure decidere di adottare una posizione completamente differente
- Tribunali specializzati: La possibilità di istituire i tribunali specializzati era stata introdotta
con il Trattato di Nizza. Nel novembre del 2004 il Consiglio aveva deciso di istituire il
Tribunale della Funzione Pubblica, chiamato a svolgere una missione svolta fino ad allora
dal Tribunale: decidere sulle controversie tra l’UE e i suoi agenti. Nel 2015 si è deciso di
avviare un processo che ha portato allo scioglimento del Tribunale della Funzione Pubblica,
perché si è deciso di raddoppiare il numero dei giudici del Tribunale, e reintegrare quindi nel
Tribunale quelle competenze che svolgeva il Tribunale della Funzione Pubblica, sciolto nel
2016 quindi al momento non ve ne sono.

Competenze della Corte di Giustizia


Ai sensi dell’Art.19 del TUE par 3: “La Corte di giustizia dell'Unione europea si pronuncia
conformemente ai trattati:
a) sui ricorsi presentati da uno Stato membro, da un'istituzione o da una persona fisica o giuridica;
b) in via pregiudiziale, su richiesta delle giurisdizioni nazionali, sull'interpretazione del diritto
dell'Unione o sulla validità degli atti adottati dalle istituzioni;
c) negli altri casi previsti dai trattati.”

La Corte di Giustizia esercita due forme di controllo:


1. una forma giurisdizionale di controllo diretto che esercita nel momento in cui si pronuncia
su iniziativa degli stati membri, delle istituzioni o delle singole persone cioè nel momento in
cui qualcuno propone un ricorso che si esaurisce con una pronuncia da parte del giudice
dell’UE;
2. una forma giurisdizionale di controllo indiretto ovvero il cosiddetto rinvio pregiudiziale e
cioè quando la Corte di Giustizia si pronuncia su richiesta di un giudice nazionale. Il rinvio
pregiudiziale è una forma di cooperazione tra il giudice dell’UE ed il giudice nazionale.

Il controllo diretto può essere rivolto a verificare la legittimità degli atti (ad esempio pronunciandosi
sulla nullità di un atto adottato dalle istituzioni perché risulta essere un atto viziato oppure anche su un
omissione da parte delle istituzioni ad esempio il ricorso in carenza cioè i casi in cui le istituzioni
devono adottare un atto ma non lo adottano) e dei comportamenti delle istituzioni, sia sulla corretta
applicazione del diritto dell’UE negli Stati membri.

Le procedure giurisdizionali che possono essere attivate dinanzi alla Corte possono essere classificate
così:
- procedura sul controllo del comportamento degli Stati membri nella cosiddetta
procedura d’infrazione cioè quella procedura atta a verificare un'eventuale violazione del
diritto dell’UE da parte degli Stati membri ad esempio quando non applica una direttiva entro
i termini stabiliti dalla stessa;
- procedura di controllo sulla legittimità degli atti e dei comportamenti delle istituzioni
ovvero azione di annullamento che riguarda un comportamento commissivo da parte delle
istituzioni cioè aver adottato un atto viziato che deve essere quindi annullato e azione in
carenza che riguarda invece un comportamento omissivo da parte delle istituzioni cioè aver
omesso di adottare un atto;
- azione di responsabilità extra contrattuale cosiddetta azione di danni per cui se il
comportamento dell'istruzione o di un funzionario di esse, provoca un danno esso deve essere
riparato.
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3)Procedura d’infrazione
E’ una forma di controllo giurisdizionale riconducibile al ruolo della Commissione EU in quanto
custode dei trattati. Essa si articola in due fasi:
1. una fase pre contenziosa gestita dalla Commissione EU;
2. una fase contenziosa gestita dalla Corte di Giustizia dell’UE.

Di base però il motore della procedura d’infrazione è la Commissione EU ai sensi dell’Art.258 del
TFUE: “La Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a
lui incombenti in virtù dei trattati (in riferimento sia al diritto primario che al diritto derivato), emette
un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato (inteso in tutte le sue articolazioni attraverso
cui esercita il potere pubblico) in condizioni di presentare le sue osservazioni.” “Qualora lo Stato in
causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte di
giustizia dell'Unione europea.” La Commissione ai sensi dell’Art.258 del TFUE è l’unica che può
decidere se sia opportuno o meno rinviare la questione alla Corte di Giustizia.

Di base l'obiettivo della procedura d’infrazione non è tanto quello di condannare lo Stato ma piuttosto
quello di avere degli strumenti attraverso i quali raddrizzare i comportamenti degli Stati che si
pongono in violazione del diritto dell’UE.

-Fase pre contenziosa


La fase pre contenziosa si avvia attraverso la cosiddetta lettera di messa in mora cioè quella fase in
cui la Commissione ritiene che taluni comportamenti degli Stati possano costituire un’infrazione e
quindi rende quest’ultimi partecipi di questa cosa, contattando innanzitutto gli Stati interessati
presentando tutte le ragioni che l’hanno portata ad avviare la procedura d’infrazione e chiedendo
informazioni su come realmente si stanno comportando cercando in qualche modo di rassicurare la
Commissione in merito a ciò. Dopo aver svolto questa fase la Commissione può anche rendersi conto
che non ci sono i presupposti per continuare.

Ma nel momento in cui la Commissione dovesse giungere alla conclusione che esiste una violazione
del diritto dell’UE allora scatta il secondo passaggio della fase pre contenziosa cioè il cosiddetto
parere motivato che è un passaggio molto importante nel quale la Commissione cristallizza la
propria posizione e quindi deve presentare una descrizione completa di quali sono i fatti e quali sono
le possibili violazioni del diritto dell’UE imputate allo Stato membro in questione. A seguito del
parere motivato quindi la Commissione rileva la presenza dell’inadempimento e raccomanda lo Stato
interessato di adottare tutte le misure necessarie per cercare di risolvere la situazione ponendo dei
termini precisi.

Terminata la fase pre contenziosa la Commissione può eventualmente rinviare la questione alla Corte
di Giustizia, in questo passaggio però la Commissione gode di una certa discrezionalità nel senso che
non sono previsti dei termini precisi entro i quali la Commissione deve effettivamente rinviare la
questione alla Corte di Giustizia. Allo stesso modo la Commissione non è obbligata, una volta emesso
il parere motivato, a rinviare la questione dinanzi alla Corte. Nei casi in cui uno Stato entro un certo
termine non si sia ancora conformato al parere motivato, la Commissione può in un certo senso dare
fiducia alla Stato e ritenere che quest’ultimo stia effettivamente provando a conformarsi al parere e
quindi evitando di rinviare subito la questione alla Corte.
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Nel caso in cui si vada dinanzi alla Corte esiste un legame diretto tra quello che è il parere motivato ed
il ricorso dinanzi alla Corte che deve riguardare solo gli addebiti mossi nel parere motivato.

-Fase contenziosa
Art. 260 del TFUE: par 1 “Quando la Corte di giustizia dell'Unione europea riconosca che uno Stato
membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù dei trattati, tale Stato è tenuto a
prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta.” Quindi la sentenza
che emette la Corte nell’ambito di una procedura d'infrazione è la cosiddetta sentenza di
accertamento attraverso cui la Corte accerta che lo Stato sia venuto meno ad uno degli obblighi
imposti dal diritto dell’UE.

Cosa succede se lo Stato non si conforma agli obblighi previsti dalla sentenza? In merito a ciò il
Trattato di Lisbona ha introdotto delle novità cercando di rendere più efficace il sistema di controllo
giurisdizionale della Corte e l’Art.260 par 2 sancisce: “Se ritiene che lo Stato membro in questione
non abbia preso le misure che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta‚ la Commissione,
dopo aver posto tale Stato in condizione di presentare osservazioni, può adire la Corte (questa fase
può essere definita come una nuova procedura d’infrazione in cui lo Stato non ha dato attuazione alla
sentenza della Corte).” Questa specie di seconda procedura d’infrazione nel tempo ha conosciuto un
rafforzamento culminato nella disciplina del trattato di Lisbona; perché originariamente la seconda
procedura d’infrazione era del tutto identica alla prima nel senso che poteva semplicemente portare ad
una nuova sentenza d’infrazione da parte della Corte quindi in altre parole ad un nuovo accertamento
d’infrazione da parte dello Stato, l’unica differenza consisteva nel fatto che questa seconda procedura
consisteva appunto nella mancata attuazione della sentenza. Col trattato di Maastricht è stata
introdotta la possibilità alla Commissione in fase di seconda procedura d’infrazione di combinare
anche una sanzione pecuniaria ed è proprio questa la novità. Di solito le sanzioni in merito a ciò si
compongono di due parti una fissa cioè una somma che lo Stato deve per non essersi conformato alla
sentenza ed una variabile cioè una quota che lo Stato deve dare periodicamente finché non si
conforma alla sentenza. Il trattato di Lisbona ha semplificato questa seconda procedura d’infrazione
perché: “Essa (la Commissione) precisa l'importo della somma forfettaria o della penalità, da versare
da parte dello Stato membro in questione, che essa consideri adeguato alle circostanze”. Quindi la
Commissione può adire la Corte solo dopo aver inviato la lettera di messa in mora ma non è
necessario che adotti un nuovo parere motivato e ciò fa risultare la seconda procedura d’infrazione più
spedita. “La Corte, qualora riconosca che lo Stato membro in questione non si è conformato alla
sentenza da essa pronunciata, può comminargli il pagamento di una somma forfettaria o di una
penalità”.

Un’ulteriore semplificazione è prevista quando l’infrazione da parte dello Stato riguardi la mancata
attuazione di una direttiva perché l’Art.260 par 3 sancisce “La Commissione, quando propone ricorso
dinanzi alla Corte in virtù dell'articolo 258 reputando che lo Stato membro interessato non abbia
adempiuto all'obbligo di comunicare le misure di attuazione di una direttiva adottata secondo una
procedura legislativa, può, se lo ritiene opportuno, indicare l'importo della somma forfettaria o della
penalità da versare da parte di tale Stato che essa consideri adeguato alle circostanze.” Quando ci
troviamo in questo caso specifico, per arrivare alla sanzione non è necessario che si svolgano due
procedure d’infrazione ma già nell’ambito della prima quando la Commissione va ad adire la Corte
può proporre la sanzione.

Quindi al netto di tutto la differenza tra il primo ed il secondo caso che abbiamo analizzato è che nel
primo caso in merito a tutte le situazioni la sanzione può essere applicata solo dopo la seconda
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procedura d’infrazione mentre nel secondo caso quindi quando siamo dinanzi ad una mancata
applicazione di una direttiva la sanzione può essere applicata già alla prima procedura d’infrazione.

Abbiamo quindi visto che la procedura d’infrazione avvenga su iniziativa della Commissione ai sensi
dell’Art.258, ma i Trattati prevedono che la procedura d’infrazione ai sensi dell’Art.259 del TFUE
possa avvenire anche su iniziativa degli Stati membri: par 1 “Ciascuno degli Stati membri può adire la
Corte di giustizia dell'Unione europea quando reputi che un altro Stato membro ha mancato a uno
degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati”. Prima però di presentare il ricorso alla Corte di
Giustizia, lo Stato membro che intende contestare una violazione del diritto dell’UE da parte di un
altro Stato membro deve sempre rivolgersi alla Commissione EU e deve sempre attendere che
quest’ultima svolga la fase pre contenziosa: par 2 “Uno Stato membro, prima di proporre contro un
altro Stato membro un ricorso fondato su una pretesa violazione degli obblighi che a quest'ultimo
incombono in virtù dei trattati, deve rivolgersi alla Commissione”. Par 3: “La Commissione emette un
parere motivato dopo che gli Stati interessati siano posti in condizione di presentare in contraddittorio
le loro osservazioni scritte e orali.” Par 4: “Qualora la Commissione non abbia formulato il parere nel
termine di tre mesi dalla domanda o formulato a favore dello Stato membro accusato, ciò non osta la
facoltà di ricorso alla Corte.”

4)Ricorso per annullamento


A differenza della procedura d’infrazione, l’azione di annullamento è volta ad accertare il
comportamento non degli Stati membri ma delle istituzioni. Attraverso questa procedura viene
impugnato un atto adottato dalle istituzioni, che si ritiene viziato per richiederne l’annullamento.
Quest’azione è il massimo esempio di procedura giurisdizionale attraverso cui si realizza un controllo
sulla legittimità degli atti non solo delle istituzioni ma anche di tutti gli organi ed organismi dell’UE.
Disciplinato dall’Art.263 del TFUE: “La Corte di giustizia dell'Unione europea esercita un controllo
di legittimità sugli atti legislativi, sugli atti del Consiglio, della Commissione e della Banca centrale
europea che non siano raccomandazioni o pareri, nonché sugli atti del Parlamento europeo e del
Consiglio europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi. Esercita inoltre un
controllo di legittimità sugli atti degli organi o organismi dell'Unione destinati a produrre effetti
giuridici nei confronti di terzi.” Quindi gli atti delle istituzioni per essere impugnati davanti alla Corte
di Giustizia devono essere sostanzialmente vincolanti quindi né raccomandazioni né pareri e per poter
appurare che si tratti di un atto vincolante o meno la Corte ha sempre adottato un metodo
interpretativo basato più sulla sostanza che sulla forma ed inoltre si deve trattare di atti definitivi cioè
che esprimono la posizione finale delle istituzioni.

Chi può contestare la legittimità di questi atti dinanzi la Corte di Giustizia? Bisogna fare una
distinzione tra:
- ricorrenti privilegiati cioè coloro che non devono dimostrare di avere un interesse diretto
nella questione. Coloro che possono impugnare l’atto non tanto perché l’atto abbia creato nei
loro confronti un pregiudizio ma semplicemente per tutelare l’interesse generale dell’UE e
sono: gli Stati membri, il Consiglio, la Commissione ed il Parlamento EU;
- ricorrenti non privilegiati cioè coloro che possono impugnare l’atto solo se dimostrano uno
specifico interesse nella questione e sono le persone fisiche e giuridiche Art.263 del TFUE:
“Qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre‚ alle condizioni previste al primo e secondo
comma, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e
individualmente, e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non
comportano alcuna misura d'esecuzione.”
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Il ricorso per annullamento può essere presentato entro 2 mesi a decorrere dalla pubblicazione dell'atto
o alla notifica dell’atto alla persona interessata. Gli atti possono essere annullati dalla Corte solo se
presentano determinati vizi di legittimità Art.263 del TFUE: “La Corte è competente a pronunciarsi
sui ricorsi per incompetenza (si ha nel momento in cui l’istituzione che ha adottato l’atto in realtà non
poteva emanare quell’atto perché la competenza ad emanare quell’atto spettava ad un’altra
istituzione), violazione delle forme sostanziali (si ha nel momento in cui l’atto in questione sia
sprovvisto di quei requisiti formali che deve avere ai sensi dei Trattati, requisiti che possono incidere
sul contenuto stesso dell’atto), violazione dei trattati o di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro
applicazione, ovvero per sviamento di potere (si ha quando l’istituzione ha la competenza ad emanare
un atto ma lo fa perseguendo scopi diversi da quelli per i quali appunto il potere di emanare l’atto le
era stato conferito), proposti da uno Stato membro, dal Parlamento europeo, dal Consiglio o dalla
Commissione. In altre parole atti vincolanti ed atti finali.

Cosa succede se il ricorso per annullamento è fondato? Cioè se nella procedura di annullamento la
Corte ritenga che effettivamente l’atto impugnato sia viziato? Qui interviene l’Art.264 del TFUE che
sancisce: “Se il ricorso è fondato, la Corte di giustizia dell'Unione europea dichiara nullo e non
avvenuto l'atto impugnato”. La nullità di un atto opera ex tunc cioè che è nullo dal principio e ciò
indica la retroattività della nullità quindi come se l’atto non fosse mai stato emanato e ciò opera nei
confronti di tutti. “Tuttavia la Corte, ove lo reputi necessario, precisa gli effetti dell'atto annullato che
devono essere considerati definitivi.”

Art.266: “L'istituzione, l'organo o l'organismo da cui emana l'atto annullato o la cui astensione sia
stata dichiarata contraria ai trattati sono tenuti a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della
sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea comporta.” Si parla sia di atto annullato che di
astensione perché esiste un’altra tipologia di controllo giurisdizionale sulla legittimità dei
comportamenti delle istituzioni ovvero il ricorso in carenza. Se nell’ambito del ricorso per
annullamento l'obiettivo è quello di dimostrare che l’atto sia viziato e quindi da annullare, nel ricorso
in carenza il ricorrente vuole dimostrare che è illegittimo un comportamento delle istituzioni definito
omissivo perché il ricorso in carenza mira ad accertare che l’istituzione nei confronti della quale si
ricorre avrebbe dovuto adottare un atto e non lo ha fatto.

5)Ricorso in carenza
E’ un’altra procedura che mira a controllare il comportamento delle istituzioni ed è diretta ad
accertare eventuali omissioni da parte delle stesse nel senso che ai sensi dei Trattati le istituzioni
avrebbero avuto l’obbligo di adottare un atto ma non lo hanno fatto, si parla infatti di un’illegittimità
dovuta ad una inattività da parte delle istituzioni. Esso è disciplinato all’Art.265 del TFUE: “Qualora,
in violazione dei trattati, il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, il Consiglio, la Commissione o
la Banca centrale europea si astengano dal pronunciarsi, gli Stati membri e le altre istituzioni
dell'Unione possono adire la Corte di giustizia dell'Unione europea per far constatare tale violazione.
Il presente articolo si applica, alle stesse condizioni, agli organi e organismi dell'Unione che si
astengano dal pronunciarsi.” Quindi come possiamo vedere anche dall’Art il primo presupposto per
agire in carenza è l’esistenza di un obbligo di agire da parte delle istituzioni. Per quanto riguarda le
istituzioni nei confronti delle quali è rivolta la forma di controllo in questione vediamo che,
inizialmente l’Art.265 parla di Parlamento EU, Consiglio EU, Consiglio, Commissione e BCE e poi
estende tale forma di controllo a tutti gli organi ed organismi dell’UE.

Al contrario non si può ricorrere in carenza nel caso in cui l’atto di cui si contesta la mancata
attuazione oppure che il comportamento omissivo che si contesta all’istituzione rientri nella
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discrezionalità di quell’istituzione. In altre parole si può ricorrere in carenza solo qualora


effettivamente i Trattati pongano un obbligo d’azione nei confronti dell’istituzione, organo od
organismo dell’UE e quest’ultimi non abbiamo agito e non quando quell’atto che si pretendeva fosse
adottato dall’istituzione in realtà rientrava nella discrezionalità di essi.

A differenza della procedura di annullamento la procedura in carenza ha un elemento simile alla


procedura d’infrazione e cioè anch’essa consiste di una fase precontenziosa ed una fa contenziosa e
questa peculiarità la si riscontra al paragrafo 2 dell’Art.265 del TFUE: “Il ricorso è ricevibile soltanto
quando l'istituzione, l'organo o l'organismo in causa siano stati preventivamente richiesti di agire. Se,
allo scadere di un termine di due mesi da tale richiesta, l'istituzione, l'organo o l'organismo non hanno
preso posizione, il ricorso può essere proposto entro un nuovo termine di due mesi.” Quindi bisogna
sollecitare l’istituzione ad adottare l’atto in questione e questo passaggio si chiama messa in mora
dell’istituzione o diffida quindi il potenziale ricorrente prima di contestare dinanzi alla Corte un
comportamento omissivo da parte di un’istituzione, per prima cosa deve mettere in mora o diffidare
l’istituzione a reagire. Ci sono alcuni requisiti della messa in mora o diffida:
1. essa deve essere presentata dai soggetti legittimati ad agire;
2. dev’essere strutturata come una diffida nei confronti dell’istituzione quindi non strutturata
come una sollecitazione ma deve risultare chiaro all’istituzione che la mancata attuazione di
quell’atto può portarmi a ricorrere in carenza e deve contenere un'indicazione esatta dei
provvedimenti oggetto del ricorso;
3. esistono dei termini infatti l’Art.265 del TFUE dice che “Il ricorso è ricevibile soltanto
quando l'istituzione, l'organo o l'organismo in causa siano stati preventivamente richiesti di
agire. Se, allo scadere di un termine di due mesi da tale richiesta, l'istituzione, l'organo o
l'organismo non hanno preso posizione, il ricorso può essere proposto entro un nuovo termine
di due mesi.”

Anche in questo caso come nel ricorso per annullamento abbiamo due tipologie di ricorrenti:
- ricorrenti privilegiati sono gli stati membri e le istituzioni che posso impugnare qualsiasi
tipo di omissione a prescindere dell’esistenza di un interesse diretto ma piuttosto basta che si
agisca nell’interesse generale dell’UE
- ricorrenti non privilegiati cioè ogni persona fisica o giuridica può adire la Corte alle
condizioni stabilite dai commi precedenti per contestare ad una istituzione, organo o
organismo dell'Unione di avere omesso di emanare nei suoi confronti un atto che non sia una
raccomandazione o un parere. Quindi come possiamo vedere possono agire solo nei casi di
omissione di un atto, che sia idoneo a produrre effetti giuridici, nei loro confronti.

6)Azione di danni
Chiamata anche azione per responsabilità extracontrattuale è anch’essa una forma di tutela nei
confronti degli atti dell’UE. E’ volta a riconoscere un danno al soggetto leso ed in cosa consiste lo
sancisce l’Art.340 del TFUE par.2: “In materia di responsabilità extracontrattuale, l'Unione deve
risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati
dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni.” L’eccezione è la BCE che ha
un’autonomia quindi i danni cagionati dalla BCE non sono imputabili all’UE in quanto tale ma ne
risponde direttamente la BCE.

La finalità di quest'azione è quella di ottenere un risarcimento per dei danni subiti a causa di un atto o
di un'omissione. I presupposti per agire in danni sono:
- le istituzioni abbiano compiuto un comportamento illecito sia commissivo che omissivo;
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- che esista un danno quantificabile;


- un nesso di causalità tra l’azione illecita ed il danno subito.

Il termine di prescrizione è fissato in 5 anni dal momento in cui è stato compiuto l’atto che ha causato
il danno al ricorrente.

7)Rinvio pregiudiziale
E’ una forma di controllo giurisdizionale indiretto esercitato dalla Corte di Giustizia dell’UE e quindi
si sostanzia come una forma di collaborazione tra i giudici nazionali e quelli dell’UE. Nell’ambito del
rinvio pregiudiziale il giudice dell’UE non viene adito da un ricorrente ma viene chiamato in causa dal
giudice nazionale nel momento in cui gli serve il supporto per la risoluzione di una controversia
nazionale. In virtù del principio di supremazia del diritto dell’UE, il giudice nazionale è quello che in
prima battuta è chiamato ad applicare ed interpretare nelle controversie le norme del diritto dell’UE e
la soluzione della controversia può passare pure dall’applicazione di una norma del diritto dell’UE, in
determinate circostanze il giudice nazionale si può trovare nella situazione in cui si pone delle
domande ad esempio su quale possa essere la corretta applicazione di una norma EU che deve
applicare, quindi può sorgere ad esso un dubbio interpretativo relativamente ad una norma dell’UE.
Un’altra questione che può sorgere in capo al giudice nazionale nel momento in cui va ad applicare il
diritto dell’UE è un dubbio relativamente alla validità di una norma EU. Quindi come possiamo notare
le questioni che stanno alla base del rinvio pregiudiziale, nella quale il giudice nazionale invoca
l’intervento della Corte di Giustizia, riguardano problemi interpretativi o di validità delle norme.

Una descrizione di questa competenza la ritroviamo all’Art.267 del TFUE: “La Corte di giustizia
dell'Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale:
a) sull'interpretazione dei trattati, quindi rinvio pregiudiziale di interpretazione attraverso il
quale il giudice nazionale chiede al giudice dell’UE di pronunciarsi su quella che debba essere
l’interpretazione delle norme di diritto dell’UE relativamente ad un determinato caso;
b) sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli
organismi dell'Unione, quindi rinvio pregiudiziale di validità cioè i casi in cui il giudice
nazionale chiami in causa il giudice dell’UE per chiedere a quest’ultimo di pronunciarsi sulla
validità ed interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, organi od organismi dell’UE.”

Art.267 2 comma del TFUE riserva espressamente il potere di promuovere un rinvio pregiudiziale agli
organi giurisdizionali nazionali. Ne consegue la necessità di determinare il contenuto della nozione di
organo “giurisdizionale nazionale”. Per valutare se un organo del rinvio possegga le caratteristiche di
“organo giurisdizionale” ai sensi dell’art.267 TFUE, la corte tiene conto di un insieme di elementi,
quali:
- il fondamento legale dell’organo,
- il suo carattere permanente,
- l’obbligatorietà della sua giurisdizione,
- la natura contraddittoria del procedimento,
- il fatto che l’organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente.

Il fine ultimo del rinvio pregiudiziale è quello di favorire un'interpretazione ed un'applicazione


uniforme del diritto dell’UE in tutti gli Stati membri per evitare che col tempo si arrivasse ad una
nazionalizzazione delle regole comuni e della loro interpretazione da parte delle singole giurisdizioni
nazionali, con conseguente progressiva differenziazione del loro senso e della loro portata da uno
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Stato all'altro. Per favorire quest’uniforme interpretazione ed applicazione i giudici nazionali godono
del supporto dei Giudici dell’UE.

Aspetti procedurali
Il rinvio, è di regola disposto con ordinanza motivata, notificata alla corte a cura del giudice interno.
La Corte tende a non appesantire di formalità la procedura ed anzi cerca di porre in essere tutti gli
strumenti per superare eventuali problemi e favorire la collaborazione tra giudici. In tale prospettiva,
essa si riserva anche la facoltà di esaminare i quesiti in ordine diverso da quello proposto dal giudice;
di riformularli se ciò può giovare ai fini di una risposta utile e ad evitare una dichiarazione di
irricevibilità della domanda pregiudiziale; di dedurre quesiti implicitamente per connessione; e di
individuare, in base all'ordinanza di rinvio, le pertinenti disposizioni di diritto dell'Unione, anche se da
essa non indicate.

Al procedimento che, dopo il rinvio pregiudiziale, si apre innanzi alla Corte sono autorizzati a
partecipare sia le parti del giudizio a quo, sia gli Stati (senza la necessità di allegare la sussistenza di
un interesse ad agire), la Commissione (che interviene in tutti i procedimenti, in funzione del suo
ruolo istituzionale), nonché, quando sono in causa atti da essi adottati, il Parlamento, il Consiglio e la
BCE. Tutte queste parti possono presentare osservazioni scritte entro 2 mesi dalla notifica, che va loro
obbligatoriamente effettuata a cura della Corte, dell'ordinanza di rinvio, o limitarsi ad intervenire nella
fase orale. Ciò a patto che si passi a tale fase, perché la Corte può decidere, a determinate condizioni,
di ometterla per motivi di rapidità processuale. Per gli stessi motivi è istituito, in via eccezionale e in
caso d'urgenza straordinaria, un procedimento accelerato che comporta una rilevante contrazione dei
tempi e dei passaggi processuali. Inoltre vi è la procedura pregiudiziale d'urgenza, per i casi che
interessano questioni legate alla libertà, alla sicurezza e alla giustizia. I rinvii pregiudiziali possono
quindi riguardare situazioni per le quali appare necessaria una sollecitata risposta ai quesiti del giudice
nazionale. La relativa procedura, che può essere attivata su richiesta del giudice di rinvio o d'ufficio
dalla Corte, si articola sulla base di regole speciali e più semplificate. Anche nei giudizi promossi in
via pregiudiziale la Corte può disporre misure istruttorie e chiedere informazioni e chiarimenti alle
parti, all'occorrenza direttamente in udienza. Costituisce una peculiarità del procedimento
pregiudiziale la facoltà concessa alla Corte, sentito l'AG, di chiedere chiarimenti direttamente al
giudice nazionale. La Corte decide di regola con sentenza, ma può anche adottare un'ordinanza
motivata: ad es. nei casi di manifesta incompetenza o irricevibilità del rinvio pregiudiziale, nei casi di
riproposizione di una questione già decisa o la cui soluzione emerge dalla precedente giurisprudenza,
o di ritiro dell'ordinanza. La decisione è notificata al giudice a quo e alle altre parti cui è stata
notificata l'ordinanza di rinvio.

Procedimento accelerato: un procedimento in cui la natura o le circostanze eccezionali della causa


richiedano un suo rapido trattamento.
Procedimento d’urgenza: un procedimento che si applica solamente nei casi che interessano
questioni legate alla libertà, alla sicurezza e alla giustizia. Essa limita in particolare il numero delle
parti autorizzate a deporre osservazioni scritte e permette, in casi di estrema urgenza, di omettere
completamente la fase scritta della procedura davanti alla CGUE.

Chi può disporre del rinvio pregiudiziale? Possono usufruire del rinvio pregiudiziale tutti gli giudici
degli Stati membri di qualsiasi ordine e grado, l’importante che siano organi giurisdizionali che sono
chiamati a decidere l’ambito di procedure giurisdizionali che si risolvono in una pronuncia di carattere
giurisdizionale.
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Facoltà od obbligo?
Il rinvio pregiudiziale è una possibilità di cui dispongono i giudici nazionali, una facoltà o un obbligo?
Esso dipende dalle circostanze perché:
1. può essere una facoltà quando la questione pregiudiziale viene sollevata da un giudice che
sostanzialmente non sia un giudice di ultimo grado, quindi di base è una procedura facoltativa
e l’Art.267 stabilisce che: “Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad una
giurisdizione di uno degli Stati membri, tale giurisdizione può, qualora reputi necessaria per
emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi
sulla questione”;
2. può essere un obbligo ed è sempre sancito dall’Art.267: “Quando una questione del genere è
sollevata in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale, avverso le cui
decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale giurisdizione è
tenuta a rivolgersi alla Corte”, cioè quando i cosiddetti giudici di ultima istanza nutrono un
dubbio rispetto all'interpretazione da applicare ad una determinata norma del diritto dell’UE o
rispetto alla validità di un comportamento delle istituzioni, devono rimettere la questione alla
Corte di Giustizia. Naturalmente nel valutare se sussistano o meno dei dubbi i giudici hanno
una certa discrezionalità cioè ad esempio se la questione sia identica ad una già sollevata e già
decisa in via pregiudiziale dalla Corte, allora quest'ultima può ritenere che non sussiste alcun
dubbio e quindi non c’è necessità di ricorrere in via pregiudiziale oppure un altro caso in cui
non c’è bisogno di ricorrere è quando la corretta applicazione del diritto dell’UE si imponga
con evidenza.

Quali sono gli effetti delle pronunce pregiudiziali?


1. in via interpretativa vincola il giudice che ha disposto il rinvio pregiudiziale in questione,
quindi il giudice nazionale nel momento in cui chiede un chiarimento interpretativo alla Corte
in via pregiudiziale e quest'ultima fornisce questo chiarimento interpretativo, il giudice
nazionale è obbligato a risolvere la controversia nazionale alla luce della pronuncia
pregiudiziale della Corte in altre parole deve interpretare quella norma come ha indicato la
Corte. La pronuncia pregiudiziale interpretativa pone degli obblighi anche erga omnes cioè
quindi anche nei confronti degli altri giudici nazionali che dovranno applicare la norma EU
così come interpretata dalla Corte di Giustizia;
2. nella sentenza di validità se la pronuncia della Corte è nel senso di sancire la validità di
quell’atto, allora l’effetto della pronuncia è limitato alla risoluzione di quel caso. Se invece
nella pronuncia pregiudiziale la Corte si pronuncia per l’invalidità di un atto allora in quel
caso l’invalidità ha effetti erga omnes e gli effetti sono analoghi a quelli di una sentenza di
annullamento.

Sviluppi della competenza pregiudiziale prima del Trattato di Lisbona


Il meccanismo del rinvio pregiudiziale riguarda le questioni relative alle materie di competenza
dell’Unione; ma vi sono altre materie di confine ed altre che, dopo esserne state a lungo fuori, sono
state via via ricondotte alla competenza comunitaria. In relazione a tali evoluzioni, anche il
meccanismo ha subito un’estensione culminata nel Trattato di Lisbona. La competenza pregiudiziale
della Corte discendeva in larga misura dall’articolazione dell’Unione in tra pilastri. Con il Trattato di
Lisbona e la conseguente soppressione di tale articolazione, la situazione è cambiata. Per quanto
attiene alle materie rientranti nel c.d. spazio di libertà, sicurezza e giustizia, la competenza della Corte
è destinata ora ad affermarsi pienamente e secondo le regole comuni. Per la cooperazione giudiziaria
in materia penale e quella di polizia, continuano ad essere escluse dal suo sindacato la validità e la
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proporzionalità di operazioni condotte dalla polizia o da altri servizi incaricati dell’applicazione della
legge di uno Stato o l’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento
dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna.

Attuali limitazioni
Col Trattato di Lisbona e la conseguente soppressione dell'articolazione in pilastri, la situazione è
cambiata. Per quanto attiene alle materie rientranti nello SLSG, la competenza della Corte è destinata
ora ad affermarsi pienamente e secondo le regole comuni. Ciò però con alcune limitazioni: per quanto
riguarda la cooperazione giudiziaria in materia penale e quella di polizia, continueranno a restare
escluse dal sindacato della Corte la validità e la proporzionalità di operazioni condotte dalla
polizia o da altri servizi incaricati dell'applicazione della legge di uno Stato o l'esercizio delle
responsabilità incombenti agli Stati per il mantenimento dell'ordine pubblico e la salvaguardia
della sicurezza interna. Inoltre, è previsto che, per 5 anni dall'entrata in vigore del Trattato di
Lisbona, resta in piedi, per gli atti già adottati in tale materia, la disciplina enunciata dal TUE pre-
Lisbona. La nuova competenza della Corte non opera quindi che per le successive modifiche di detti
atti, e si dispiegherà pienamente una volta decorso il quinquennio. Infine, ai sensi dei Protocolli
allegati al Trattato di Lisbona, UK, Irlanda e Danimarca, non partecipano, salvo loro diversa
decisione da comunicare di volta in volta, alla cooperazione relativa allo SLSG.

8)Competenze minori
La Corte gode a vario titolo di altre competenze che non hanno il medesimo rilievo delle altre.

● Competenza relativa alla funzione pubblica EU


Ai sensi del Trattato la Corte è competente a pronunciarsi su qualsiasi controversia che insorga
tra l'Unione ed i suoi agenti, alle condizioni fissate dall'apposito Statuto dei funzionari. Si tratta
di una competenza che corrisponde strutturalmente e funzionalmente a quelle che attengono al
controllo sulla legittimità degli atti, o delle omissioni, delle autorità investite del potere di nomina
(AIPN), ossia delle istituzioni, o alla responsabilità di queste ultime per i danni provocati ai loro
dipendenti.

La legittimazione attiva si estende a tutti i dipendenti delle istituzioni dell'Unione (salvo gli agenti
locali, le cui controversie sono di competenza dei giudici nazionali), ma anche ai soggetti che aspirano
a quello status e quindi hanno partecipato ad un concorso o anche solo presentano la relativa
domanda. Ma ampia è anche la legittimazione passiva, dato che possono essere convenute sia le
istituzioni dell'Unione, inclusa la stessa Corte, sia tutti gli organi ad essa riconducibili, e quindi
anche quelli ausiliari, la BEI e anche la BCE.

● Potere di pronunciare le dimissioni d’ufficio di membri degli organi dell’Unione


Rientra tra le attribuzioni di natura giurisdizionale la competenza riconosciuta alla Corte di
dimettere d'ufficio (o revocare i loro vantaggi pensionistici, se hanno già lasciato la carica) i membri
della stessa Corte, nonché di quelli della Commissione, della Corte dei conti, del Mediatore EU e
del Comitato esecutivo della BCE, che non rispondano più ai requisiti richiesti per l'esercizio
delle loro funzioni o siano venuti meno agli obblighi derivanti dalla loro carica. L'iniziativa può
essere assunta, secondo i casi, dalle stesse istituzioni di appartenenza per quanto riguarda i membri
della Corte e della Corte dei conti, dal Consiglio e dalla Commissione per i membri di quest'ultima,
dal Parlamento per il Mediatore EU e dal Consiglio direttivo o dal Comitato esecutivo per i membri
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della BCE. La decisione è presa dalla Corte riunita in seduta plenaria. Ad essa partecipano tutti i
giudici, me se il caso riguarda un membro della Corte, alla deliberazione partecipano anche gli AG.

● Competenza in materia contrattuale


Altra particolare competenza della Corte è quella che si definisce di diritto privato, perché ha ad
oggetto le controversie in materia contrattuale che possono insorgere in relazione all'attività negoziale
dell'Unione. Ai sensi del Trattato, infatti, la Corte (ma in primo grado il Tribunale) è competente a
giudicare in virtù di una clausola compromissoria contenuta in un contratto di diritto pubblico o di
diritto privato stipulato dall'Unione o per conto di questa. E’ riconosciuta come una competenza
facoltativa della Corte, ossia una competenza non preordinata né obbligatoria, ma subordinata
all'apposita scelta delle parti; con l'avvertenza però che queste ultime si rivolgono pur sempre ad un
giudice precostituito e dotato di proprie norme di competenza e di procedura; pertanto una volta che la
clausola compromissoria sia stata inserita ed attivata e che la controversia sia stata sottoposta alla
Corte, la questione resta attratta nella giurisdizione di quest'ultima. E ciò vale anche per gli effetti
obbligatori ed esecutivi della pronuncia della Corte, che costituisce una vera sentenza e non un
lodo arbitrale.

● Obbligo degli Stati di risolvere le proprie controversie nell’ambito dell’Unione.


Altra ipotesi di competenza non obbligatoria della Corte è contemplata in relazione ad alcune
controversie tra gli Stati membri. A tal proposito i Trattati si sono preoccupati di predisporre, per le
diverse questioni che fossero insorte nel sistema dell'Unione, un modo di soluzione giudiziario o
interno al sistema stesso, onde rendere quest'ultimo autosufficiente e tendenzialmente completo,
nonché per favorire la piena attuazione del principio dell'unicità della giurisdizione dell'Unione. In
tale prospettiva, essi hanno imposto agli Stati l'obbligo di non sottoporre le loro controversie
sull'interpretazione e sull'applicazione dei Trattati ad un modo di regolamento diverso da quelli
previsti dai Trattati stessi, e di non avvalersi a tal fine di altri testi che eventualmente li vincolassero o
potrebbero vincolarli a risolvere quelle controversie mediante altri procedimenti.

Un simile obbligo mira a tutelare il sistema delle competenze definito dai Trattati e l'autonomia
dell'ordinamento giuridico dell'Unione di cui la Corte deve assicurare il rispetto. Tale giurisdizione ha
carattere obbligatorio solo rispetto ad una parte di alcune controversie, ossia per quelle relative agli
inadempimenti del Trattato da parte di uno Stato. Negli altri casi, l'obbligo resta solo negativo, nel
senso che gli Stati dovranno evitare il ricorso a modi di soluzione della controversia non previsti dal
sistema, ma non sono tenuti a deferire quest'ultimo alla Corte. Anche per tali casi, il Trattato consente
di deferire la controversia alla giurisdizione della Corte, sia pure subordinatamente ad un
compromesso fra le parti. Se poi gli Stati non volessero risolvere la controversia per tale via, essi
potrebbero far ricorso a procedure extragiudiziali.

Quel che resta fermo è che per le controversie giuridiche il divieto imposto agli Stati di ricorrere ai
modi di soluzione della controversia al di fuori del sistema, è assoluto. Anche nel caso in cui la
controversia non si riesca a risolvere coi mezzi predisposti dal sistema, la soluzione del conflitto non
potrà essere trattata con mezzi diversi: l'esperimento di procedure extracomunitarie è vietato, al
contrario il comportamento degli Stati dovrebbe essere ritenuto illecito e potrebbe formare oggetti di
un ricorso alla Corte per violazione del Trattato. Tale competenza della Corte funge da norma di
chiusura per le controversie tra Stati di natura giuridica, relative cioè alle questioni concernenti
l'interpretazione e l'applicazione del diritto dell'Unione, laddove non sia possibile sottoporre tali
controversie alla Corte attraverso la procedura di inadempimento. Ma l'ipotesi di giurisdizione ha una
portata talmente ampia che può essere utilizzata per tutte le controversie connesse con l'oggetto del
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Trattato, e quindi anche per le controversie di natura politica o che vertano su materie che solo
marginalmente incidono rispetto all'azione dell'Unione.

● Funzione consultiva
Tra le competenze non giurisdizionali, rileva la funzione consultiva che i testi attribuiscono alla
Corte in casi limitati. L'ipotesi si verifica in relazione alla procedura di conclusione degli accordi
internazionali dell'Unione, nel corso della quale può essere richiesto alla Corte di formulare un
parere sulla compatibilità dell'accordo in preparazione col Trattato. Ai sensi di questo, infatti, il
Parlamento, il Consiglio, la Commissione o uno Stato possono provocare l'intervento della Corte per
ottenere tale valutazione. Il parere della Corte non lascia le istituzioni libere di reagire a loro
piacimento. Se il parere è negativo, l'accordo potrà validamente entrare in vigore solo se vengono
apportate, con le apposite procedure formali, le modifiche del Trattato rese necessarie dal parere della
Corte. Tuttavia l'eventuale responso negativo indurrà piuttosto ad introdurre modifiche direttamente
nell'accordo in preparazione (se possibile). Resta inteso che se l'accordo dovesse essere concluso in
difformità dal parere della Corte, il relativo atto del Consiglio potrebbe essere impugnato con un
ricorso di annullamento, o essere messo in causa in un'eventuale procedura pregiudiziale. È stato
anche chiarito che l'eventuale parere positivo non preclude la possibilità di riproporre alla Corte, sotto
diverso profilo o sulla base di altri titoli di giurisdizione della stessa, la questione di compatibilità
dell'accordo.

Il parere può riguardare sia la compatibilità, del progettato accordo con le disposizioni del Trattato, sia
la stessa competenza dell'Unione a concluderlo.

La domanda di parere dev'essere notificata a tutti gli Stati, oltre che al Parlamento, al Consiglio e alla
Commissione, ai quali il Presidente della Corte impartisce un termine per la presentazione di
osservazioni scritte. Una volta presentata tale domanda, il Presidente designa il giudice relatore;
mentre il primo AG attribuisce la causa a un AG. Inoltre, la corte può decidere di organizzare
un'udienza di discussione qualora lo ritenga necessario, ma è comunque esplicitamente chiamata a
emettere il parere nel più breve tempo possibile. Infine, è previsto che il parere sia pronunciato in
un’udienza pubblica.

9)Tutela giudiziaria in ambito nazionale


Gli strumenti di tutela giurisdizionale all’interno del sistema dell’Unione non sono esaustivi. Gli stessi
Trattati, nel riservare alla Corte di Giustizia la competenza esclusiva nei casi da essi previsti,
riconoscono che le controversie nelle quali l’Unione sia parte non sono, per questo motivo, sottratte
alla competenza dei giudici nazionali. Oltre alla competenza residuale, i giudici nazionali si sono visti
attribuire un crescente e fondamentale ruolo per la tutela delle situazioni giuridiche individuali
fondate sul diritto dell’Unione. Tale diritto esplica la propria efficacia soprattutto negli ordinamenti
degli Stati membri.

I principi fondamentali del diritto dell’Unione, ed in particolare i principi del primato e della diretta e
immediata applicabilità di detto diritto, devono poter dispiegare pienamente i propri effetti negli
ordinamenti statali e conseguentemente i giudici nazionali hanno il potere/dovere di tutelare le
posizioni giuridiche fondate su quelle norme. La Corte ha potuto affermare il diritto dei privati di
invocare direttamente le disposizioni dell’Unione innanzi ai giudici nazionali, e l’obbligo di tali
giudici di disapplicare le norme interne incompatibili con quelle disposizioni. Impegnandosi a creare
una più ampia ed efficace tutela, la Corte ha sviluppato un corpo originale ed articolato di
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orientamenti giurisprudenziali che hanno finito con l’interferire sullo stesso modo di essere dei sistemi
giudiziari degli Stati membri.

I tre principi
La Corte parte dal presupposto che il principio di tutela giurisdizionale costituisce un principio
generale di diritto dell’Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. La
tutela giudiziaria delle istituzioni giuridiche soggettive garantite dal diritto dell’Unione deve essere
anzitutto assicurata con gli strumenti predisposti dagli e negli Stati membri. Ed allora, in nome del
principio di supremazia del diritto dell’Unione, la Corte ha preteso che lo Stato membro non solo
assicuri la corretta applicazione delle norme dell’Unione, ma appresti e renda operante un sistema di
rimedi giurisdizionali e di procedimenti intesi a garantire in modo pieno ed effettivo la tutela delle
indicate situazioni giuridiche.

In mancanza di una specifica disciplina comunitaria, è l’ordinamento giuridico interno di ciascuno


Stato membro che designa il giudice competente e stabilisce le modalità procedurali delle azioni
giudiziarie intese a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie
aventi efficacia diretta “principio dell’autonomia procedurale”.

Però la libertà così riconosciuta agli Stati membri non può esercitarsi in modo tale da mettere a rischio
l’effettiva e piena tutela dei privati. La Corte chiarisce che, quando si tratta di diritti fondati su norme
dell’Unione, gli ordinamenti nazionali non possono disporre liberamente in ordine alla portata e alle
modalità di detta tutela ed in merito a ciò la giurisprudenza ha sviluppato due principi soprattutto in
vista dell’esigenza di uniformità del livello di tutela nell’UE. Ne è derivato:
● da una parte, il criterio secondo cui la tutela dei diritti attribuiti da norme dell’UE deve essere
almeno pari a quella prevista per i diritti conferiti da norme nazionali “principio di
equivalenza”
● dall’altra parte, il principio che il sistema nazionale di rimedi giurisdizionali deve essere tale
da non rendere praticamente impossibile od eccessivamente gravoso l’esercizio dei diritti
attribuiti al singolo da norme dell’UE “principio di effettività”

Il regime delle sentenze e delle decisioni nazionali definitive


Tale prassi è stata in generale accolta negli ordinamenti nazionali senza particolari resistenze e spesso
anzi senza suscitare la meritata attenzione. Ha invece stimolato vivaci critiche, il recente filone
giurisprudenziale relativo all’incidenza del diritto dell’Unione sugli atti nazionali definitivi, di natura
sia amministrativa che giudiziaria. La Corte ha stabilito che i principi generali del diritto dell’Unione,
ed in particolare la leale collaborazione, impongono di riesaminare una decisione nazionale definitiva
rivelatasi contraria al diritto dell’Unione, seguito da una successiva pronuncia della Corte, implicando
un superamento o almeno un affievolimento del tradizionale e generale principio dell’intangibilità del
giudicato interno. Conformemente ai principi di equivalenza ed effettività, anche qualora venga in
rilievo il principio della res iudicata il diritto dell’Unione deve potere beneficiare dinanzi al giudice
nazionale dei medesimi strumenti processuali eventualmente applicabili in circostanze analoghe a
controversie di natura puramente interna. Niente di meno o di più di quanto già previsto
dall’ordinamento nazionale.

La tutela cautelare
Merita di essere segnalata la posizione della Corte in ordine alla tutela cautelare che gli Stati membri
devono assicurare alle situazioni giuridiche soggettive che derivano da norme dell’Unione. Tale
posizione è stata espressa nella sentenza Factortame, nella quale la Corte, che era stata richiesta in via
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pregiudiziale di pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di una legge britannica,
venne interrogata dal giudice nazionale (nella specie: Camera dei Lords) anche su altro: e cioè in
ordine al potere di tale giudice di sospendere in via provvisoria l’applicazione delle legge controversa,
potere che nella specie non era conferito, ed anzi era escluso, dall’ordinamento nazionale.

Richiamandosi alla propria giurisprudenza, la Corte chiarì che l’effetto utile del TCE (ora art 267
TFUE) e della relativa procedura «sarebbe ridotto se il giudice nazionale che sospende il
procedimento in attesa della pronuncia della Corte sulla sua questione pregiudiziale non potesse
concedere provvedimenti provvisori fino al momento in cui si pronuncia in esito alla soluzione fornita
dalla Corte»; col risultato che il giudice è tenuto a disapplicare la norma di diritto nazionale che sola
osti alla concessione di provvedimenti provvisori». La Corte ha valorizzato il principio in esame
anche in senso rovesciato. Caso Zuckerfabrik, in cui ad essere messo in discussione era un
provvedimento nazionale di attuazione di una normativa dell'Unione di dubbia legittimità. La Corte ha
chiarito che il provvedimento amministrativo nazionale deve essere sospeso in via cautelare per
evitare irreparabili pregiudizi alle posizioni giuridiche dei privati.

Il risarcimento dei danni provocati da violazioni del diritto dell’Unione


Affiorano nella giurisprudenza della Corte ulteriori principi e strumenti di tutela, che hanno trovato la
massima espressione nell'affermazione del principio della responsabilità degli Stati membri per
omessa o incompleta o non corretta esecuzione del diritto dell’Unione. La Corte ha richiamato
ancora una volta all’obbligo di leale cooperazione per cui sarebbe messa a repentaglio la piena
efficacia delle norme comunitarie e sarebbe infirmata la tutela dei diritti da esse riconosciuti se i
singoli non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una
violazione del diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro. La corte ha chiarito che il
principio va applicato indipendentemente dalla natura dell’organo che ha posto in essere l’azione o
l’omissione, sicchè la responsabilità può derivare anche da fatti imputabili al legislatore nazionale, o
anche dai comportamenti e dalle prassi delle giurisdizioni nazionali. Quanto alle condizioni per la
sussistenza della responsabilità dello Stato, la Corte muove dalla premessa che in questa materia la
tutela dei diritti attribuiti ai singoli non può variare in funzione della natura, nazionale o comunitaria,
dell’organo che ha cagionato il danno. Per l’individuazione delle condizioni si deve tener conto di
principi propri dell’ordinamento giuridico dell’Unione che costituiscono il fondamento per la
responsabilità dello Stato, e cioè la piena efficacia delle norme dell’Unione e l’effettività della tutela
dei diritti da esse garantiti, da un lato, e l’obbligo di cooperazione incombente agli Stati membri
dall’altro. La Corte richiede la sussistenza di tre condizioni:
● la norma dell’Unione deve essere preordinata ad attribuire diritti a favore dei singolo;
● deve trattarsi di una violazione grave e manifesta;
● deve esistere un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il
danno subito (la verifica è rimessa al giudice nazionale).

In ogni caso, la violazione del diritto dell’Unione è sicuramente manifesta e grave quando essa
continui nonostante che una sentenza della Corte abbia già accertato che il comportamento dello Stato
costituisce inadempimento di obblighi comunitari. La Corte ritiene sussistente la violazione ove il
giudice di ultima istanza non abbia osservato l’obbligo del rinvio pregiudiziale che gli incombe ai
sensi del Trattato. Tali tre condizioni sono considerate ‘necessarie e sufficienti’ alla sussistenza di un
dolo o di una colpa nella condotta dello Stato. Una volta accertata la violazione sulla base dei
parametri comunitari, dovrà poi farsi riferimento agli ordinamenti giuridici nazionali per individuare
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le condizioni e le modalità dell’azione di danni. Ciò in base al ricordato principio dell’autonomia


procedurale di detti ordinamenti.

Discriminazioni a rovescio
La Corte ha saputo creare intorno alle situazioni giuridiche tutelate dal diritto dell’Unione una solida
rete di protezione. Gli stessi Stati membri non godono più di quella sorta di impunità che la mancanza
di concreti strumenti di tutela aveva loro offerto per lungo tempo. Siffatti comportamenti sono ora
diventati molto poco ‘convenienti’, non solo perché le nuove disposizioni in materia consentono alla
Corte di sanzionare in modo diretto e efficace l’inadempimento, ma perché esce di molto rafforzata la
posizione dei titolari delle situazioni giuridiche lese da tale inadempimento.

Se la violazione riguarda disposizioni dell’Unione direttamente applicabili, quei soggetti potranno far
valere le proprie pretese davanti ai giudici nazionali; essi potranno altresì, anche chiedere il
risarcimento dei danni subiti. Vi sono però talune perplessità. Quella sorta di ombrello volto a tutelare
i privati quando rivendicano diritti fondanti sulle norme dell’Unione, opera all’interno di uno Stato
membro creando situazione di disparità in danno dei soggetti di tale Stato che, pur vantando le
medesime pretese, non abbiano fatto uso delle libertà sancite dai Trattati e che quindi non possono
fruire dei diritti conferiti dalla normativa dell’Unione; col risultato che l’applicazione di quest’ultima
si traduce in simili casi in una discriminazione a vantaggio degli omologhi soggetti stranieri, c.d.
discriminazioni alla rovescia. L’ordinamento dell’Unione non può occuparsi di simili ipotesi, perché
le c.d. ‘situazioni giuridiche puramente interne’, quelle cioè che non hanno dimensione
transfrontaliera perché sorte ed esaurite all’interno di uno stesso Stato membro, vanno valutate
esclusivamente dal giudice nazionale alla luce degli strumenti offerti dal proprio ordinamento. Questo
è in ogni caso quel che è avvenuto per quanto riguarda l’Italia, che sembra ora aver trovato una
soluzione esemplare facendo leva sul principio di uguaglianza sancito dall'art 3 Cost. Il principio della
parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell'Unione
europea residenti o stabiliti nel territorio nazionale.

La qualificazione in Italia delle situazioni giuridiche soggettive fondate su norme


dell’Unione
Un cenno va fatto ad una questione sollevata da un giurista italiano, cioè di valutare se tale
giurisprudenza si rifletta, ed eventualmente in che modo ed in quale misura, sulla tormentata
distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, che è ben nota nel nostro ordinamento, ma
sconosciuta a quello dell’Unione e degli Stati membri. Nella giurisprudenza della Corte si parla
normalmente di <diritti> o al più di <posizioni giuridiche individuali>, mai degli <interessi legittimi>
del nostro ordinamento. Visto che la tutela richiesta dalla Corte si riferisce in modo indistinto a tutte le
posizioni giuridiche dei privati, si è posta la questione se non debba indurre anche il superamento
della dicotomia diritti soggettivi-interessi legittimi, nel senso che anche i secondi dovrebbero essere
valutati come ‘diritti soggettivi' o che tutti debbano confondersi in una nuova e generica: quella dei
‘diritti soggettivi comunitari’. La Corte non hai mai preteso interferire nella qualificazione di nozioni
ed istituti degli ordinamenti interni. Quello che alla Corte interessa è che deve essere garantita per
tutte quelle posizioni giuridiche una piena tutela giurisdizionale: questa potrà variare da un
ordinamento all’altro e in relazione alla natura della specifica posizione giuridica, ma deve essere
comunque adeguata ed effettiva. La tutela risarcitoria degli interessi legittimi si è oggi imposta anche
nell’ordinamento italiano, malgrado la lunga tradizione di segno opposto. Con tale intervento normativo,
si è attribuita al giudice amministrativo la competenza a conoscere anche, nell'ambito della sua giurisdizione, di
tutte le questioni relative all'eventuale risarcimenti del danni e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, e si è
soppressa ogni altra disposizione che prevedeva la devoluzione al giudice ordinario delle controversie sul
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risarcimento del danno conseguente all'annullamento di atti amministrativi. Tuttavia, neppure tali interventi
hanno eliminato le incertezze sulla ripartizione di competenze tra giudici civili ed amministrativi. Comunque
grazie all'impulso della giurisprudenza della Corte, la tutela risarcitorio degli interessi legittimi si è oggi imposta
anche nell'ordinamenti italiano.

Accertamento incidentale della legittimità di un atto


Il sistema delle garanzie giurisdizionali contro gli atti illegittimi dell'Unione non si esaurisce con
l'impugnativa diretta di tali atti, ma è contemplato dall'ulteriore possibilità di un controllo sulla
validità degli stessi in via incidentale. Un controllo che, sia pure a condizioni e con risultati limitati,
consente di mettere in causa la legittimità degli atti a portata generale anche dopo il termine previsto
per la loro impugnabilità, ed attenuare in tal modo gli effetti negativi delle limitazioni poste al ricorso
di annullamento dei privati. Il Trattato prevede, infatti, la possibilità che una parte (o anche la Corte
d'ufficio) eccepisca l'illegittimità di un atto dell'Unione in occasione di un giudizio nel corso del
quale tale atto venga in rilievo, al fine di provocarne, se non l'annullamento, dato il carattere
incidentale dell'accertamento, almeno la disapplicazione nel procedimento in corso. Tale eccezione è
subordinata alla sussistenza di varie condizioni: essa non può essere utilizzata per aggirare il sistema
dei ricorsi di annullamento, e dunque non potrà essere sollevata da un soggetto che, in relazione alla
natura e agli effetti dell'atto, avesse avuto titolo per chiederne direttamente l'annullamento alla Corte.
Occorre inoltre che la controversia oggetto del giudizio metta in causa direttamente l'atto, il che
significa che quest'ultimo deve presentare una rilevanza decisiva e diretta per la soluzione della
questione principale. Per quanto riguarda gli atti di cui si può eccepire in via incidentale
l'illegittimità, il TCE indicava solo quelli di tipo regolamentare, ma la Corte ha provveduto ad
ampliare la sfera di applicazione della norma ritenendola espressione di un principio generale e quindi
riferendola a tutti gli atti che producessero effetti analoghi ai regolamenti. Tale indirizzo
giurisprudenziale è stato poi recepito nel Trattato di Lisbona e generalizzato per tutti gli atti di portata
generale adottati da qualsiasi istituzione, organismo o organo dell'Unione. Nessun limite è invece
posto quanto ai soggetti che possono sollevar l'eccezione, sempre che siano parti nella causa, né
quanto ai motivi invocabili per chiedere l'inapplicabilità dell'atto. Per quel che concerne gli effetti
dell'accertamento incidentale dell'illegittimità di un atto, essi consistono nella mera inapplicabilità
dello stesso nel giudizio in corso, e quindi incidono sull'efficacia dell'atto solo ai fini di quel giudizio
e solo per gli aspetti dell'atto che vengono in rilievo. Dunque la disapplicazione dell'atto non ha
efficacia ex tunc ed erga omnes, ma produce il limitato effetto di operare ex nunc fra le parti in
causa. Per il resto permangono invariati gli effetti già prodotti dall'atto, ma questo, anche se
riconosciuto illegittimo, conserva un'immutata efficacia ai fini delle sue successive applicazioni. In
pratica l'accertamento operato dalla Corte non resta senza conseguenze sull'atto illegittimo: se è vero
che l'istituzione che ha emanato l'atto non ha l'obbligo di revocarlo, è anche vero che tale istituzione
difficilmente potrà ignorare la pronuncia della Corte.

Tutela non giudiziaria. Mediatore EU


Tra gli strumenti di tutela non giudiziaria va segnalata la possibilità offerta ai cittadini dell'Unione di
rivolgere petizioni al Parlamento EU e di provocare anche l'istituzione di una commissione
parlamentare d'inchiesta. Tale possibilità è prevista dal TFUE, ai sensi del quale la commissione
d'inchiesta può entro certi limiti esaminare le denunce d'infrazione o di cattiva amministrazione
nell'applicazione del diritto dell'Unione da parte delle istituzioni e degli Stati. A fini analoghi può
essere utilizzato il ricorso al Mediatore EU. Anche tale organo è competente ad esaminare quel tipo
di denunce, ma solo se indirizzate nei confronti delle istituzioni dell'Unione: anche se non è esclusa
del tutto la possibilità di iniziative nei confronti dei comportamenti abusivi delle autorità nazionali,
ma certo le riduce ad interventi indiretti e mediati. Il Mediatore riceve le denunce (ma può agire
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anche d'ufficio) provenienti da qualunque soggetto che abbia sede in uno Stato membro e
riguardanti casi di cattiva amministrazione non solo delle istituzioni, ma di qualsiasi organo
dell'Unione, ad eccezione di quelli giurisdizionali, e purché esse non riguardino casi che formino
o abbiano formato oggetto di procedure giudiziarie. Si tratta di un organo le cui funzioni mirano,
da un lato ad accertare casi di cattiva amministrazione all'interno dell'Unione, dall'altro ad assicurare
ai soggetti interessati una qualche forma di tutela, ove non sia possibile attivare i più efficaci strumenti
giurisdizionali. Ove il Mediatore accerti un caso di cattiva amministrazione e salvo che non riesca a
trovare una conciliazione amichevole tra il ricorrente e l'istituzione, esso può solo chiedere a
quest'ultima di dare entro 3 mesi un parere sulla denuncia. Successivamente egli può inviare al
Parlamento EU e all'istituzione interessata una relazione corredata di raccomandazioni, cui però né
l'una né l'altra sono tenute a dar seguito, e soprattutto esse non vincolano la Corte. Tra gli strumenti
non giurisdizionali, inoltre, può essere utile ricordare anche che qualsiasi cittadino dell'Unione può
presentare, eventualmente anche in collegamento con altre persone, una petizione al Parlamento
EU su una materia che rientra nel campo di attività dell'Unione e che lo concerna direttamente.
Infine, va segnalata la possibilità per i privati di indirizzare un reclamo alla Commissione per
denunciare violazioni di diritto EU commesse da autorità nazionali. Ciò al fine di indurre
quell'istituzione ad attivare l'apposita procedura di infrazione prevista dai Trattati, procedura che può
sfociare in un'azione davanti alla Corte perché accerti l'eventuale inadempienza.

Tutela giudiziaria. Istituzione di un organo giudiziario ad hoc. Corte di giustizia


Molto più incisivi sono gli strumenti di tutela giurisdizionale, i quali fanno leva sull'apparato
giudiziario di cui l'Unione si è dotata. Per la prima volta, in un ente internazionale, è stato assicurato
l'esercizio della funzione giurisdizionale da parte di un organo ad hoc, che afferma, in termini
esclusivi, la propria competenza obbligatoria sulle questioni rilevanti per la vita dell'ente stesso e
che presenta tutte le caratteristiche di struttura e di funzionamento di un vero organo giurisdizionale.
Gli stessi Trattati, stabilendo che la Corte di giustizia assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione
e nell'applicazione delle loro norme, rivelano come a tale istituzione si sia inteso assegnare un
compito che attiene alle finalità proprie della funzione giurisdizionale, consistenti nel mantenimento
e nell'attuazione dell'ordinamento giuridico: una funzione giurisdizionale in cui l'organo esplica la
propria azione a garanzia del sistema giuridico in cui opera attraverso il controllo sull'interpretazione e
applicazione delle relative norme. Tale organo è stato inserito principalmente con lo scopo di
assicurare l'adempimento degli obblighi degli Stati e di controllare, a garanzia degli stessi, anche le
istituzioni EU, in relazione al corretto esercizio dei poteri attribuiti alle stesse. Tale giudice opera solo
per le Comunità/Unione, assicurando l'unicità della funzione giurisdizionale in seno alle stesse. Ciò
è stato realizzato attribuendo alla Corte un ambito d'azione molto ampio, cui corrisponde una
limitazione, giuridica o di fatto, della giurisdizione dei tribunali internazionali e interni su materie ad
essi tradizionalmente riservate. Con riferimento all'attività istituzionale dell'Unione, la funzione
giurisdizionale è monopolio esclusivo della Corte: e ciò sia all'interno delle stesse organizzazioni, dato
che nessun'altra istituzione partecipa a quella funzione, sia sul piano esterno all'Unione, con la tutela
apprestata a quel monopolio oltre che dallo stesso sistema, anche da espresse disposizioni dei Trattati.
Per quanto concerne gli ordinamenti interni, non solo le norme relative alla Corte, ma anche
specifiche previsioni ne sanciscono con chiarezza la competenza esclusiva nelle materie ad essa
assegnate e l'esclusione della giurisdizione dei giudici nazionali al riguardo. Sul piano
internazionale il monopolio della Corte è garantito attraverso l'imposizione agli Stati dell'obbligo di
non svolgere al di fuori del sistema le controversie eventualmente insorte fra loro circa
l'interpretazione e l'applicazione dei Trattati. In tal modo si è vietato agli Stati di rimettere tali
controversie a un diverso tribunale.
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Parte terza
Sistema delle competenze

Art.5 del TUE par.2: “In virtù del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti
delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da
questi stabiliti (Art.3 del TUE). Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene
agli Stati membri.” L’UE e le sue istituzioni non possono mai agire al di fuori dalla competenze
attribuite dai Trattati. Nell’ambito del diritto dell’UE abbiamo sostanzialmente 3 tipologie di
competenze:
1. talune materie sono definite di competenza esclusiva dell’UE;
2. competenze concorrenti cioè sono materie nell’ambito delle quali possono agire sia l’UE sia
gli Stati membri;
3. competenze di sostegno di completamento o coordinamento cioè quelle materie
nell’ambito delle quali la competenza resta agli Stati membri ma l’UE può adottare delle
iniziative volte a coordinare o sostenere l’azione statale.

Tutte queste competenze sono disciplinate dagli Art.3-4-5-6 del TFUE:


Art.3: 1. L'Unione ha competenza esclusiva nei seguenti settori:
a) unione doganale;
b) definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato
interno;
c) politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l'euro;
d) conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune
della pesca; e) politica commerciale comune.
2. L'Unione ha inoltre competenza esclusiva per la conclusione di accordi internazionali
allorché tale conclusione è prevista in un atto legislativo dell'Unione o è necessaria per
consentirle di esercitare le sue competenze a livello interno o nella misura in cui può incidere
su norme comuni o modificarne la portata.

Art.4: 1. L'Unione ha competenza concorrente con quella degli Stati membri quando i trattati le
attribuiscono una competenza che non rientra nei settori di cui agli articoli 3 e 6.
2. L'Unione ha una competenza concorrente con quella degli Stati membri nei principali seguenti
settori:
a) mercato interno;
b) politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente trattato;
c) coesione economica, sociale e territoriale;
d) agricoltura e pesca, tranne la conservazione delle risorse biologiche del mare;
e) ambiente;
f) protezione dei consumatori;
g) trasporti;
h) reti transeuropee;
i) energia;
j) spazio di libertà, sicurezza e giustizia;
k) problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica, per quanto riguarda gli aspetti
definiti nel presente trattato.
3. Nei settori della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dello spazio, l'Unione ha competenza per
condurre azioni, in particolare la definizione e l'attuazione di programmi, senza che l'esercizio di tale
competenza possa avere per effetto di impedire agli Stati membri di esercitare la loro.
4. Nei settori della cooperazione allo sviluppo e dell'aiuto umanitario, l'Unione ha competenza per
condurre azioni e una politica comune, senza che l'esercizio di tale competenza possa avere per effetto
di impedire agli Stati membri di esercitare la loro.
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Art.5: 1. Gli Stati membri coordinano le loro politiche economiche nell'ambito dell'Unione. A tal
fine il Consiglio adotta delle misure, in particolare gli indirizzi di massima per dette politiche. Agli
Stati membri la cui moneta è l'euro si applicano disposizioni specifiche.
2. L'Unione prende misure per assicurare il coordinamento delle politiche occupazionali degli Stati
membri, in particolare definendo gli orientamenti per dette politiche.
3. L'Unione può prendere iniziative per assicurare il coordinamento delle politiche sociali degli Stati
membri.

Art.6: L'Unione ha competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare
l'azione degli Stati membri. I settori di tali azioni, nella loro finalità europea, sono i seguenti:
a) tutela e miglioramento della salute umana;
b) industria;
c) cultura;
d) turismo;
e) istruzione, formazione professionale, gioventù e sport;
f) protezione civile;
g) cooperazione amministrativa.

1)Principi che regolano il funzionamento delle competenze concorrenti dell’UE


In queste competenze l’UE non ha l’esclusività del potere d’azione, ma sono materie nell'ambito delle
quali può agire sia l’UE sia gli Stati membri. Il fondamentale principio regolatore nell’ambito delle
competenze di natura concorrente è stabilito all’Art.5 del TUE par.3 ovvero il principio di
sussidiarietà: “In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza
esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono
essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e
locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti
meglio a livello di Unione.” Quindi prima di regolare una materia che rientri nelle competenze
concorrenti, le istituzioni devono valutare se gli obiettivi che intendono perseguire attraverso
quell’atto possono essere raggiunti a livello nazionale oppure possono essere raggiunti meglio a
livello dell’UE perché ovviamente raggiunge l’idea che gli obiettivi possono essere raggiunti anche
attraverso interventi nazionali allora devono astenersi dall’agire ma ciò non preclude la possibilità che
l’UE agisca comunque in futuro. La sussidiarietà va intesa quindi come un principio cosiddetto
dinamico.

Il principio di sussidiarietà inoltre non incide solo sull’opportunità dell’UE di adottare un determinato
atto ma anche sulla tipologia dell’atto da adottare naturalmente qualora la base giuridica individuata
dalle istituzioni per legiferare preveda la possibilità di adottare più atti nel senso che alla luce del
principio di sussidiarietà viene valutata in primis l’esistenza del presupposto dell’azione da parte
dell’UE cioè valutare se sia opportuno o meno il proprio intervento in una determinata materia, dopo
che magari sono giunti alla conclusione che esistano dei presupposti per intervenire, ovviamente solo
nel momento in cui l’intervento dell’UE risulti più efficace, arrivati a questo punto il principio di
sussidiarietà può dare alle istituzioni delle indicazioni inerenti alla tipologia da adottare. Infatti ci sono
alcuni articoli dei trattati che indicano alle istituzioni la tipologia dell’atto da adottare ma esistono
anche degli articoli che lasciano libera scelta ad esse. Questa valutazione sul tipo di atto da adottare,
limitatamente ai casi in cui la base giuridica individuata lasci libertà di scelta, essa deve essere svolta
anche alla luce del principio di sussidiarietà ad esempio in taluni casi una direttiva potrebbe essere
sufficiente per raggiungere determinati obiettivi e quindi l’uso di essa potrebbe essere conforme al
principio di sussidiarietà, invece il regolamento potrebbe rivelarsi non conforme al principio di
sussidiarietà.

Di base quindi il principio di sussidiarietà è quel principio che regola l’intervento dell’UE nelle
materie di competenza concorrente e ci indica sostanzialmente se esista o meno il presupposto
dell’intervento da parte dell’UE nella misura in cui l’UE può agire solo se determinati obiettivi
possono essere raggiunti in maniera più efficace attraverso l’intervento dell’UE piuttosto che
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attraverso l’intervento degli Stati membri. Inoltre è un principio rilevante anche nella scelta della
tipologia dell’atto da adottare. In taluni casi eccezionali le istituzioni potrebbero giungere alla
conclusione che un'azione legislativa in una determinata materia sia conforme al principio di
sussidiarietà solo se l’intervento dell'UE avvenga attraverso determinati atti ad esempio attraverso
direttive piuttosto che attraverso dei regolamenti.

-Applicazione del principio di sussidiarietà


Al principio di sussidiarietà è dedicato un apposito protocollo allegato ai Trattati e tra l’altro è uno di
quegli ambiti in cui intervengono in maniera incisiva i Parlamenti nazionali le cui funzioni sono
regolate dall’Art.12 del TUE: “I parlamenti nazionali contribuiscono attivamente al buon
funzionamento dell'Unione:
a) venendo informati dalle istituzioni dell'Unione e ricevendo i progetti di atti legislativi
dell'Unione in conformità del protocollo sul ruolo dei parlamenti nazionali nell'Unione
europea;
b) vigilando sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo le procedure previste dal
protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità;
c) partecipando, nell'ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ai meccanismi di
valutazione ai fini dell'attuazione delle politiche dell'Unione in tale settore, in conformità
dell'articolo 70 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ed essendo associati al
controllo politico di Europol e alla valutazione delle attività di Eurojust, in conformità degli
articoli 88 e 85 di detto trattato;
d) partecipando alle procedure di revisione dei trattati in conformità dell'articolo 48 del presente
trattato;
e) venendo informati delle domande di adesione all'Unione in conformità dell'articolo 49 del
presente trattato;
f) partecipando alla cooperazione interparlamentare tra parlamenti nazionali e con il Parlamento
europeo in conformità del protocollo sul ruolo dei parlamenti nazionali nell'Unione europea.

Quindi il principio di sussidiarietà è il maggior ambito in cui intervengono i Parlamenti nazionali


perché essi vengono chiamati ad esprimere un loro parere sulla conformità o meno di un atto con il
principio di sussidiarietà e tutto ciò è descritto dal protocollo n°2:
1) Art.2: “Prima di proporre un atto legislativo la Commissione effettua ampie consultazioni.
Tali consultazioni devono tener conto, se del caso, della dimensione regionale e locale delle
azioni previste. Nei casi di straordinaria urgenza, la Commissione non procede a dette
consultazioni. Essa motiva la decisione nella proposta.” Quindi in altre parole prima di
procedere all’adozione di una proposta legislativa la Commissione deve svolgere tutte quelle
attività preliminari che le servono per farsi essa stessa un idea sull'opportunità del suo
intervento e quindi potremmo dire sulla possibile conformità di una proposta legislativa con il
principio di sussidiarietà.
2) Art.3: “Ai fini del presente protocollo, per "progetto di atto legislativo" si intende la proposta
della Commissione, l'iniziativa di un gruppo di Stati membri, l'iniziativa del Parlamento
europeo, la richiesta della Corte di giustizia, la raccomandazione della Banca centrale europea
e la richiesta della Banca europea per gli investimenti, intese all'adozione di un atto
legislativo.” Cioè la Commissione nel momento in cui adotta una proposta di atto legislativo
la trasmette alle istituzioni al fine di portare avanti il processo legislativo, perché quest’ultime
una volta che ricevono la proposta presentata dalla Commissione svolgono dei passaggi in
base al fatto che si tratti di una procedura legislativa ordinaria o speciale.
3) Art.4: “La Commissione trasmette i progetti di atti legislativi e i progetti modificati ai
parlamenti nazionali nello stesso momento in cui li trasmette al legislatore dell'Unione.”
Parallelamente alle istituzioni la Commissione trasmette questo progetto anche ai Parlamenti
nazionali. Nel trasmettere una proposta ai Parlamenti nazionali ma anche ai co legislatori, ad
essa viene allegata una relazione nell’ambito della quale sono anche contenute delle
motivazioni relativamente alla conformità della proposta con il principio di sussidiarietà e
proporzionalità.
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-Il potere dei Parlamenti nazionali nel valutare la conformità di una proposta legislativa
con il principio di sussidiarietà
Art. 6 del Protocollo n°2: “Ciascuno dei parlamenti nazionali (monocamerali) o ciascuna camera
(bicamerali in cui si esprimono nella forma di entrambe le camere di ogni parlamento) di uno di questi
parlamenti può, entro un termine di otto settimane a decorrere dalla data di trasmissione di un progetto
di atto legislativo nelle lingue ufficiali dell'Unione, inviare ai presidenti del Parlamento europeo, del
Consiglio e della Commissione un parere motivato che espone le ragioni per le quali ritiene che il
progetto in causa non sia conforme al principio di sussidiarietà. Spetta a ciascun parlamento nazionale
o a ciascuna camera dei parlamenti nazionali consultare all'occorrenza i parlamenti regionali con
poteri legislativi.” In questo caso i Parlamenti nazionali hanno il potere di esprimere quelli che in
gergo vengono chiamati “cartellino giallo” e “cartellino arancione”
Art.7: 1. “Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione e, se del caso, il gruppo di Stati
membri, la Corte di giustizia, la Banca centrale europea o la Banca europea per gli investimenti, ove il
progetto di atto legislativo sia stato presentato da essi, tengono conto dei pareri motivati trasmessi dai
parlamenti nazionali o da ciascuna camera di uno di tali parlamenti.” “Ciascun parlamento nazionale
dispone di due voti, ripartiti in funzione del sistema parlamentare nazionale. In un sistema
parlamentare nazionale bicamerale, ciascuna delle due camere dispone di un voto.” Quindi ciascuna
camera può arrivare a delle conclusioni che non devono coincidere con quelle dell’altra camera.
2. “Qualora i pareri motivati sul mancato rispetto del principio di sussidiarietà da parte di un progetto
di atto legislativo rappresentino almeno un terzo dell'insieme dei voti attribuiti ai parlamenti nazionali
conformemente al paragrafo 1, secondo comma, il progetto deve essere riesaminato. Tale soglia è pari
a un quarto qualora si tratti di un progetto di atto legislativo presentato sulla base dell'articolo 76 del
trattato sul funzionamento dell'Unione europea riguardante lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia.”

Quindi se la proposta legislativa riceve più di 18 pareri negativi in merito alla conformità di quella
proposta con il principio di sussidiarietà essa deve essere riesaminata, quindi la Commissione deve
riprendere in mano la proposta legislativa e valutare se effettivamente le obiezioni sollevate dai
Parlamenti nazionali siano ragionevoli, questo è il cosiddetto cartellino giallo cioè un ammonimento
che però non va a bloccare la procedura legislativa. Al termine di tale riesame, la Commissione può
decidere se mantenere o meno la proposta, quindi un eventuale cartellino giallo impone solo alle
istituzione che ha il potere d’iniziativa cioè la Commissione l’obbligo di rivalutare la propria
posizione in merito al principio di sussidiarietà mentre le altre due istituzioni, Parlamento EU e
Consiglio, non vengono investite dagli effetti del cartellino giallo. Nello svolgere questo esame la
Commissione mantiene un ampio potere discrezionale, cioè alla fine del riesame può giungere alla
conclusione che la sua proposta sia realmente conforme al principio di sussidiarietà e che le
preoccupazioni dei Parlamenti nazionali non siano fondate e quindi non ci sono presupposti per
bloccare l'iniziativa legislativa e nel momento in cui giunge a questa conclusione deve motivare la
propria decisione. Però un eventuale posizione negativa da parte dei Parlamenti nazionali rispetto al
principio di sussidiarietà può essere indirizzata non per forza a tutta la proposta legislativa ma anche
solamente in riferimento a singole disposizioni.

Poi c’è il cosiddetto cartellino arancione Art.3 protocollo n°2: “Qualora i pareri motivati sul mancato
rispetto del principio di sussidiarietà da parte di una proposta di atto legislativo rappresentino almeno
la maggioranza semplice dei voti attribuiti ai parlamenti nazionali 28 cioè la metà +1 conformemente
al paragrafo 1, secondo comma, la proposta è riesaminata. Al termine di tale riesame, la Commissione
può decidere di mantenere la proposta, di modificarla o di ritirarla.” “Qualora scelga di mantenerla, la
Commissione spiega, in un parere motivato, perché ritiene la proposta conforme al principio di
sussidiarietà. Tale parere motivato e i pareri motivati dei parlamenti nazionali sono sottoposti al
legislatore dell'Unione affinché ne tenga conto nella procedura:
a) prima della conclusione della prima lettura, il legislatore (Parlamento europeo e Consiglio)
esamina la compatibilità della proposta legislativa con il principio di sussidiarietà, tenendo
particolarmente conto delle ragioni espresse e condivise dalla maggioranza dei parlamenti
nazionali, nonché del parere motivato della Commissione;
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b) se, a maggioranza del 55% dei membri del Consiglio o a maggioranza dei voti espressi in
sede di Parlamento europeo, il legislatore ritiene che la proposta non sia compatibile con il
principio di sussidiarietà, la proposta legislativa non forma oggetto di ulteriore esame.”

2)Clausola di flessibilità
Siamo nell’ambito delle competenze ed è una disposizione volta a conferire alle istituzioni una
certa flessibilità nel principio di attribuzione delle competenze. Regolata dall’Art.352 del
TFUE: “Se un'azione dell'Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai
trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano
previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta
della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni
appropriate. Allorché adotta le disposizioni in questione secondo una procedura legislativa
speciale, il Consiglio delibera altresì all'unanimità su proposta della Commissione e previa
approvazione del Parlamento europeo.” Una clausola che dà alle istituzioni la possibilità di
acquisire poteri non espressamente previsti dai Trattati con il limite però che non si vada al di
fuori delle competenze dell’UE e naturalmente rispettando sempre il principio di sussidiarietà,
infatti il Protocollo n°2 stabilisce che i Parlamenti nazionali devono prestare attenzione alla
corretta applicazione del principio di sussidiarietà relativamente agli atti adottati ai sensi
dell’Art.352 del TFUE.

Sotto il profilo delle politiche dell’UE la clausola di flessibilità conosce un limite relativamente
alla politica estera e di sicurezza comune, infatti l’Art.352 stabilisce che: “La clausola di
flessibilità non può servire di base per il conseguimento di obiettivi riguardanti la politica estera
e di sicurezza comune e qualsiasi atto adottato a norma del presente articolo rispetta i limiti
previsti nell'articolo 40, secondo comma, del trattato sull'Unione europea.”

3)Cittadinanza dell’UE
La cittadinanza EU è contenuta in un apposito titolo del TFUE pt.2 “NON
DISCRIMINAZIONE E CITTADINANZA DELL'UNIONE” in particolare la norma di
riferimento è l’Art.20: “È istituita una cittadinanza dell'Unione. È cittadino dell'Unione
chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell'Unione si aggiunge
alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce.”

L’idea che gli individui debbano acquisire una posizione giuridica particolare all’interno
dell’ordinamento giuridico dell’UE risale probabilmente a tutta quella giurisprudenza che
abbiamo esaminato che a partire dagli anni ‘60 ha provato a definire con maggior chiarezza la
natura giuridica della propria comunità. Nel 1963 si disse che la Comunità EU costituisce un
ordinamento di nuovo genere nel panorama delle organizzazioni internazionali la cui peculiarità
è proprio costituita innanzitutto dal fatto che gli Stati nel partecipare alla Comunità abbiano
deciso di limitare parte della propria sovranità ed in secondo luogo i soggetti di questa
Comunità non sono solo gli Stati ma anche i loro cittadini. Concetto che poi è stato ribadito nel
1968 in cui la Corte sottolineò come la Comunità è una Comunità basata sullo stato di diritto e
come sostanzialmente il diritto dell’UE non è rivolto solo agli Stati ma anche ai loro cittadini
rispetto ai quali il diritto dell’UE offre delle forme di protezione “i cittadini degli Stati membri
devono avere il diritto di far valere i propri diritti, di cui godono ai sensi del diritto dell’UE,
davanti ai giudici nazionali”

Per la prima volta il concetto di cittadino EU viene utilizzato in un famoso rapporto che si
chiama ”rapporto del comitato Adonnino” perché prendeva il nome dal presidente di quel
comitato ovvero Pietro Adonnino che non era altro che un membro del Parlamento EU. Questo
comitato fu istituito nel 1984 in occasione del Consiglio EU a Fontainebleau, che appunto aveva
il compito di elaborare un rapporto anche in prospettiva di quella che sarebbe stata la conferenza
intergovernativa che avrebbe portato al Trattato di Maastricht. In questo rapporto per la prima
volta, benché non si proponga esplicitamente di istituire una cittadinanza EU, ma per la prima
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volta invece di far riferimento agli individui come cittadini degli Stati membri si fa riferimento
ad essi come cittadini EU.

L’idea di istituire la cittadinanza dell’UE è stata per la prima volta proposta in sede di
conferenza intergovernativa del 1990 che portò poi all’adozione del Trattato di Maastricht, e
nell’ambito di essa a proporre l'istituzione della cittadinanza EU fu il primo ministro spagnolo
Felipe Gonzales che fu accolta senza molte difficoltà infatti, l’Art.8 del Trattato di Maastricht
prevedeva appunto: “è istituita una cittadinanza dell’UE, qualsiasi persona che detiene la
cittadinanza di uno Stato membro sarà anche cittadino dell’UE ed i cittadini godranno dei diritti
conferiti dai Trattati e saranno soggetti agli obblighi imposti dagli stessi”. Diciamo che questa
formula utilizzata nel Trattato è parzialmente differente a quella utilizzata nel Trattato di
Lisbona nella quale viene aggiunto un chiarimento “la cittadinanza dell’UE si aggiunge alla
cittadinanza nazionale e non la sostituisce” Ciò fa capire che la cittadinanza EU ha una funzione
sussidiaria rispetto a quella nazionale. La cittadinanza EU però poi sarà destinata a diventare lo
status giuridico fondamentale dei cittadini degli Stati membri. Essa produce degli effetti
giuridici.
Con l’intento di rimarcare il carattere sussidiario della cittadinanza EU è stata allegata ai Trattati
una dichiarazione n°2 sul possesso della cittadinanza di uno Stato membro. In questa
dichiarazione, gli Stati che hanno partecipato alla conferenza intergovernativa, specificando “i
requisiti per il possesso e la regola della cittadinanza restano di competenza esclusiva degli Stati
membri”. Quindi il Trattato di Maastricht istituisce una cittadinanza dell’UE come conseguenza
del possesso di cittadinanza di uno Stato membro, ma allo stesso tempo è uno status che non
intende limitare le competenze degli Stati membri in materia di regole sull’acquisto e la perdita
della cittadinanza nazionale. Le istituzioni non hanno il potere di armonizzare le legislazioni
nazionali in materia di cittadinanza ma devono accettare quelle che sono le singole legislazioni
nazionali.

Gli effetti che può produrre la cittadinanza dell’UE li ritroviamo nella “sentenza Rottmann”
del 2010 che riguarda un cittadino austriaco che andò in Germania acquisendo quindi anche la
cittadinanza tedesca e ad un certo punto in ragione della questione della cittadinanza tedesca e
della legislazione austriaca, perse la cittadinanza austriaca fin quando per tutta una serie di
questioni si trovò nella condizione di perdere anche quella tedesca. Alla Corte di Giustizia
nell’ambito di questa controversia venne chiesto se fosse contrario al diritto dell’UE il fatto che
la perdita di cittadinanza (nazionale) potesse determinare una condizione di apolidia; la Corte
rispose che il semplice fatto che una competenza sia degli stati membri non vuol dire che
nell'esercizio di questa competenza non debbano tener conto del diritto dell’UE, quindi devono
fare una valutazione di proporzionalità per cui nel decidere se sia legittima o meno la regola
della cittadinanza devono tener conto del diritto dell'UE.

-L'acquisto della cittadinanza


Comporta l’acquisto di tutta una serie di diritti che sono strettamente collegati allo status di
cittadino dell’UE elencati sia all’Art.20 del TFUE: “I cittadini dell'Unione godono dei diritti e
sono soggetti ai doveri previsti nei trattati. Essi hanno, tra l'altro:
a) il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri;
b) il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni
comunali nello Stato membro in cui risiedono, alle stesse condizioni dei cittadini di
detto Stato; C 326/56 IT Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 26.10.2012
c) il diritto di godere, nel territorio di un paese terzo nel quale lo Stato membro di cui
hanno la cittadinanza non è rappresentato, della tutela delle autorità diplomatiche e
consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato;
d) il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo, di ricorrere al Mediatore
europeo, di rivolgersi alle istituzioni e agli organi consultivi dell'Unione in una delle
lingue dei trattati e di ricevere una risposta nella stessa lingua.”
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Sia all’Art.7 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE nella sezione dedicata appunto alla
cittadinanza.

-Diritti di cittadinanza
Libera circolazione delle persone, diritto di elettorato attivo e passivo al Parlamento EU e
alle elezioni comunali alla stesse condizioni dei cittadini di detto Stato, diritto alla tutela
diplomatica e consolare di qualsiasi Stato alle stesse condizioni di detto Stato che rientra
quindi nei diritti dello Stato ovvero quello di proteggere e tutelare i propri cittadini all’estero,
diritto di presentare petizioni al Parlamento EU.

- Libera circolazione delle persone


E’ una libertà che appunto si è devoluta nel corso del processo d’integrazione EU e la sua
evoluzione per certi aspetti è anche frutto dell’istituzione della cittadinanza dell’UE. L’UE così
come la conosciamo oggi è frutto di un'evoluzione graduale che nasce da un'unione fra Stati
soprattutto in ambito di mercato, ed il concetto di libera circolazione delle persone
originariamente rispecchiava quella che era la natura dell’allora Comunità economica EU e
quindi un concetto che sostanzialmente era legato alla creazione del mercato comune tant’è che
quando si leggono i Trattati originali quando si parla di libera circolazione non si faceva
riferimento ad essa in termini generici ma era ristretta alla circolazione delle persone attive cioè
dei lavoratori quindi persone che si spostavano per determinate finalità ad esempio svolgere
un’attività in un’altro Stato membro. Pian piano poi la nozione di libera circolazione si è
ampliata è la prima a fornire una definizione è stata la Corte di giustizia a partire dagli anni ‘80.
Il ragionamento della Corte è “se una persona ha il diritto di andare in un altro stato membro per
esercitare una professione in merito a ciò deve essere riconosciuto anche il corrispettivo opposto
cioè una persona deve potersi spostare in un altro Stato membro per ricevere un servizio ad
esempio come il medico deve avere la possibilità di muoversi per lavoro in un altro Stato
membro così anche un paziente deve avere la possibilità di poter andare a curarsi in un altro
Stato membro. Ed è proprio attraverso quest’approccio che la Corte di Giustizia promuove
l’estensione della portata della libera circolazione delle persone. Quest’approccio la Corte di
Giustizia lo assume attraverso tutta una serie di materie ad es. turismo, trattamenti medici,
formazione (studenti).

L’orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia viene recepito per la prima volta
nell’atto unico EU del 1986, in esso infatti si trova la disposizione che sancisce “il mercato
interno comprenderà uno spazio interno privo di frontiere nell’ambito del quale è garantita la
libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali"

A partire quindi dall’atto unico EU, le istituzioni iniziano ad adottare tutta una serie di atti di
diritto derivato attraverso i quali disciplinano nello specifico tale libertà di circolazione delle
persone in tutta una seri di ambiti. Il primo ambito è sicuramente la libera circolazione degli
studenti nel 1990 che sancisce “gli Stati membri devono garantire il diritto di residenza di
qualsiasi studente che sia cittadino di uno Stato membro e che non gode di tale diritto di
residenza alla luce di altre norme dei Trattati” e ciò è esteso anche ai coniugi ed ai figli degli
studenti. Naturalmente la libertà di soggiorno in un altro Stato membro ai sensi della direttiva
conosce delle condizioni “Tale diritto di libertà di soggiornare in un altro Stato membro per
studio è condizionato dal fatto che lo studente in questione assicuri attraverso una dichiarazione
di disporre di sufficienti risorse che gli permettono sostanzialmente di non gravare sul sistema
sociale dello Stato ospitante”

La direttiva più importante adottata in questo periodo è la cosiddetta “direttiva 364 del 1990
sul diritto di residenza” che prevede uno standard di prova più rigido e la persona che si sposta
in un altro Stato membro non deve anche in questo caso gravare sul sistema sociale dello stato
membro ospitante e a tal fine la direttiva sancisce “l’individuo in questione deve presentare
delle prove che dimostrino la sua autosufficienza sotto il profilo economico”. Questa differenza
di regime è stata giustificata dalla Corte alla luce del fatto della natura peculiare che assume la
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libera circolazione degli studenti cioè in una sentenza del 2000 si afferma "nell'ambito della
libera circolazione degli studenti è richiesto uno standard di prova meno rigido perché per sua
natura la libera circolazione degli studenti è un'attività che ha un carattere temporaneo” quindi il
rischio che lo studente possa diventare un peso per lo stato sociale è più basso rispetto ai casi
disciplinati dalla direttiva 364.

Con il Trattato di Maastricht il concetto di libera circolazione conosce un'ulteriore evoluzione


perché essa diventa a tutti gli effetti un diritto garantito a tutti i cittadini dell’UE tant’è che la
ritroviamo anche nella Carta dei diritti fondamentali. Il Trattato di Schengen ha la funzione di
facilitare la libera circolazione delle persone all’interno dell’UE perché abolisce le cosiddette
frontiere interne creando appunto una sorta di unificazione delle frontiere esterne.

Ad oggi la direttiva che regola la libera circolazione delle persone è la n°38 del 2004 con la
quale si compiono dei passi in avanti rispetto al precedente approccio legislativo in materia di
libera circolazione delle persone perché in passato si era adottato un approccio potremmo dire
prevalentemente settoriale, cioè venivano adottati alcuni atti di diritto derivato che riguardavano
alcuni aspetti della libera circolazione, mentre la direttiva 38 del 2004 adotta un approccio di
carattere generico ed il suo obiettivo è quello di facilitare la libera circolazione delle persone
all'interno del territorio dell’UE e l’Art dice “la direttiva determina le modalità di esercizio del
diritto di libera circolazione e soggiorno da parte dei cittadini dell’UE” nella fattispecie “la
libera circolazione è il diritto di spostarsi nel territorio degli Stati membri” mentre “la libertà di
soggiorno è la libertà di rimanere all'interno del territorio di un determinato Stato membro”

Per quanto riguarda la libertà di soggiorno la direttiva fa una distinzione in base ai termini della
durata del soggiorno anche per il diritto di soggiorno permanente. Inoltre definisce anche quelli
che sono i limiti dell’esercizio della libera circolazione delle persone. I beneficiari della direttiva
sono:
- tutti i cittadini EU che decidono di spostarsi in un altro Stato membro;
- familiari che accompagnano tali cittadini (soprattutto coloro che non hanno cittadinanza
EU) tra cui i coniugi e la Corte di Giustizia ha sottolineato come nella direttiva
Hamilton C-673/16 la definizione di coniuge sia una definizione neutra e da ciò ne ha
ricavato che ai fini della libera circolazione delle persone, per coniugi devono essere
intesi anche i coniugi dello stesso sesso. Oltre al coniuge tra i familiari rientra anche il
partner che ha contratto con il cittadino dell’UE un'unione registrata sulla base della
legislazione dello Stato membro al punto che sia equiparata ad un matrimonio e che sia
nel rispetto delle condizioni dello Stato membro ospitante. Inoltre i discendenti diretti di
età inferiore ai 31 anni.

-I diritti garantiti dalla direttiva:


- diritto di uscita cioè l’uscita da uno Stato membro non può essere soggetto al rilascio
di alcun visto o di altre formalità procedurali, l'unico limite può essere quello del
possesso di un documento d’identità valido;
- diritto d’ingresso per cui gli stati membri ammettono nel proprio territorio il cittadino
dell’UE munito di carta d'identità o passaporto ma un cittadino che si sposta da uno
Stato membro all’altro non è soggetto a visti o ad altre formalità;
- diritto di soggiorno di cui bisogna fare la differenza se inferiore o superiore ai 3 mesi
perché di base la libertà di soggiorno incondizionata è la libertà di soggiorno fino a 3
mesi. La direttiva sancisce che i cittadini dell’UE hanno il diritto di soggiornare nel
territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore ai 3 mesi senza alcuna
condizione o formalità ovvero carta d’identità e passaporto. Invece perperiodi
superiori ai 3 mesi il diritto di soggiornare è soggetto ad alcune condizioni:
1. essere un lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante;
2. se non si è un lavoratore subordinato o autonomo ma che si disponga per sé
stessi e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti affinché non si
divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante.
71

Per il soggiorno di oltre 3 mesi possono essere chieste delle formalità amministrative come ad
esempio iscrizione presso le autorità competenti. Inoltre la direttiva disciplina anche quello
definito soggiorno permanente può essere riconosciuto nel momento in cui è stato esercitato il
diritto di soggiorno legalmente in via continuativa per un periodo di 5 anni nello Stato membro
ospitante. Ed è previsto, dalla stessa dir., il rilascio sia al cittadino EU che ai suoi familiari la
carta del soggiorno permanente, attestante il possesso del relativo diritto.

Oltre alla situazione economica che deve essere controllata da parte dello Stato possono
comportare l’adozione nei confronti di un cittadino EU di un provvedimento limitativo della sua
libertà di circolazione e soggiorno anche motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità
pubblica. I limiti dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica vanno interpretati
restrittivamente, la giurisprudenza ha precisato chetali limiti possono essere invocati dallo Stato
solo in relazione al comportamento personale dell'interessato e alla sua effettiva pericolosità, nel
momento in cui se ne limita la libertà di circolazione, per l'ordine pubblico e la sicurezza
pubblica dello Stato che se ne avvale. La Corte ha inoltre affermato che un provvedimento
restrittivo del diritto di libera circolazione può essere giustificato solo se rispetta il principio di
proporzionalità, nel senso che lo stesso dev'essere idoneo a garantire la realizzazione dello
scopo perseguito e non deve eccedere quanto necessario per raggiungerlo; e non può essere
motivato da un comportamento, che ove sia posto in essere dai suoi propri cittadini, non dà
luogo a misure repressive o ad altri provvedimenti concreti ed effettivi volti a combatterlo.

- Diritto di esercitare l’elettorato attivo e passivo alle elezioni comunali e del


Parlamento EU
L'elettorato attivo e passivo del cittadino EU nello Stato di residenza è stato introdotto nei Trattati,
dove è ora disciplinato dal TFUE (art. 22), insieme all'istituzione della cittadinanza EU. Mentre la
partecipazione alle elezioni comunali, e quindi alla vicenda politica locale, è finalizzata ad una
maggiore integrazione dell'individuo nella collettività di residenza quale completamento della libertà
di circolazione, la possibilità di votare e di essere eletto alle elezioni EU nel paese di residenza investe
il rapporto politico del cittadino con l'Unione. L'elettorato attivo e passivo nello Stato di residenza è
riconosciuto al cittadino EU dal TFUE come diritto di immediata applicazione. È infatti stabilito, per
entrambi gli ambiti elettorali, che tale diritto sarà esercitato con riserva delle modalità che il Consiglio
adotta, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del
Parlamento; tali modalità possono comportare disposizioni derogatorie ove problemi specifici di uno
Stato lo giustifichino. L'effettivo esercizio di diritti elettorali richiede la previa definizione di alcuni
aspetti essenziali dello stesso, tra i quali le eventuali deroghe giustificate da un'elevata presenza di
cittadini dell'Unione non nazionali in alcuni o in alcune parti di taluni Stati. Il Consiglio ha
provveduto a dare attuazione a tale normativa con due dir. rispettivamente per le elezioni EU e per
quelle comunali:
● Per quel che concerne le elezioni comunali, la seconda delle dir. provvede a precisare, a fronte
della varietà dei sistemi di governo locale dei diversi Stati, l'esatta portata della nozione di
elezioni comunali. Essa le definisce come le elezioni a suffragio universale diretto e volto a
designare i membri dell'organo rappresentativo e, se del caso, a norma della legislazione di
ciascuno Stato, il capo e i membri dell'organo esecutivo dell'ente locale di base. Il principio
di equiparazione subisce alcune deroghe nella dir., a partire dal criterio di una durata minima
di residenza per l'esercizio dei diritti elettorali in un determinato comune. È infatti previsto
che un criterio di tal genere possa essere imposto ai soli cittadini degli altri Stati in quei
comuni dove la percentuale di quelli residenti superi il 20% del totale degli elettori. Inoltre è
consentito agli Stati di escludere l'eleggibilità dei cittadini EU a determinati incarichi di
governo degli enti locali. Il diritto di voto attivo e passivo alle elezioni comunali del comune
di residenza non fa venir meno l'elettorato nel comune d'origine del cittadino EU, laddove la
legislazione dello Stato di cittadinanza lo consenta indipendentemente dalla residenza.
● Ciò non è così per il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni EU, dato che già nell'Atto che
ha disciplinato l'elezione diretta del Parlamento è stato stabilito che ciascun elettore può
votare una sola volta. La dir. riferita a tale materia, ha fissato le modalità di esercizio
dell'elettorato attivo e passivo dei cittadini EU nello Stato di residenza, ribadendo il divieto di
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voto in più di un paese, lasciando all'interessato la scelta dello Stato, tra quello di residenza e
quello d'origine, in cui esercitarlo. Essa esplicita anche in termini formali del principio per
l'elettorato passivo: nessuno può presentarsi come candidato in più di uno Stato nel corso
delle stesse elezioni. Per il resto la disciplina di tale diritto ricalca quella delle elezioni
comunali. Da un lato si conferma la piena equiparazione dei cittadini EU ai cittadini nazionali
per quel che riguarda le condizioni e i requisiti di voto e di eleggibilità. Dall'altro invece c’è
possibilità per lo Stato in cui sia presente una percentuale superiore al 20% di cittadini
dell'Unione residenti, di condizionare l'esercizio da parte loro dei diritti elettorali a un periodo
minimo di residenza di non più di 5 anni per l'elettorato attivo, e non più di 10 anni per quello
passivo.

- Diritto alla protezione diplomatica e consolare nei paesi terzi


Ciascun cittadino dell’UE gode, nel territorio di un paese terzo nel quale lo Stato membro di cui ha la
cittadinanza non è rappresentato, della tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di
qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato. La norma dunque prevede
un meccanismo di assistenza diplomatica e consolare reciproca. Esso è destinato solo a permettere che
le autorità diplomatiche e consolari di ciascuno Stato possano assicurare le loro tradizionali attività di
assistenza e protezione in territorio straniero anche ai cittadini degli altri Stati. Esso va assicurato ai
cittadini di altri paesi membri alle stesse condizioni con cui lo è ai propri. L'art. 23 prevede che gli
Stati membri adottano le disposizioni necessarie e avviano i negoziati internazionali richiesti per
garantire tale tutela ai cittadini dell'Unione. Esso fornisce inoltre, dopo il Trattato di Lisbona, la base
giuridica per l'adozione da parte del Consiglio, secondo una procedura legislativa speciale e previa
consultazione del Parlamento, di direttive volte a stabilire misure di coordinamento necessarie per
facilitare tale tutela. È stabilito che la tutela prevista comprende l'assistenza in caso di arresto, di
incidente o malattia, di atti di violenza e di decesso, nonché in ogni altro caso in cui il cittadino EU lo
richieda (difficoltà economiche, urgenza di rimpatrio, ecc.). Sono inoltre regolati gli aspetti relativi
all'onere economico che può derivare da questi obblighi di assistenza. Con atto separato è stato creato
un documento di viaggio provvisorio di modello uniforme da rilasciare ai cittadini EU nel territorio di
paesi in cui lo Stato membro d'origine di questi non dispone di rappresentanza diplomatica o
consolare permanente.

- Diritto di presentare petizioni al Parlamento


L'elenco dei diritti del cittadino EU è completato da alcuni diritti che presentano la comune
caratteristica, da un lato di operare nei confronti dell'Unione stessa e non degli Stati, e dall'altro di
essere non esclusivi del cittadino dell'Unione, ma condivisi con qualsiasi persona fisica o giuridica
che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro. Tali diritti sono ribaditi in un apposito art.
della parte del TFUE dedicata alla cittadinanza dell'Unione (l'art. 24), il quale non aggiunge nulla a
quanto detto dall'art. 20 TFUE. Tanto il diritto di presentare petizioni al Parlamento, che quello di
rivolgersi al Mediatore EU, il TFUE si limita ad operare un rinvio ad altri artt. dello stesso, che
rappresentano gli strumenti di tutela non giudiziaria del cittadino dell'Unione. Attraverso il diritto di
petizione il cittadino può sottoporre al Parlamento, affinché questo si pronunci, in merito ad una
questione che rientri nel campo di attività dell'Unione e che lo concerna direttamente. Al Mediatore,
invece, il cittadino può rivolgersi per denunciare casi di cattiva amministrazione nell'azione delle
istituzioni, degli organi o organismi dell'Unione, su cui il Mediatore potrà avviare un'indagine. Come
ha osservato il Tribunale, il Mediatore EU ha sia il compito di ricercare una soluzione conforme allo
specifico interesse del cittadino di cui si tratta, sia di cercare di eliminare i casi di cattiva
amministrazione nell'interesse generale. In tal senso i Trattati costruiscono un ulteriore diritto dei
cittadini EU, ugualmente riconducibile a quello di una buona amministrazione: quello di accedere ai
documenti delle istituzioni, organi e organismi dell'Unione. Il TFUE lo disciplina come diritto
operante rispetto all'amministrazione dell'Unione nel suo complesso, di cui gode ogni cittadino EU e
qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro. Il
medesimo art. (15) lascia ai successivi regolamenti del Parlamento e del Consiglio il compito di
definire i principi generali e le limitazioni a tutela degli interessi pubblici e privati applicabili a tale
diritto. Essi hanno provveduto già prima del Trattato di Lisbona, adottando un reg. relativo all'accesso
del pubblico ai documenti del Parlamento, del Consiglio e della Commissione. Fin dalla loro
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introduzione nei Trattati le norme sulla cittadinanza dell'Unione sono completate da una clausola
evolutiva, diretta a consentire un'integrazione dei diritti per mezzo di una procedura semplificata di
revisione dei Trattati. Sulla base delle risultanze della relazione che ogni 3 anni la Commissione deve
presentare al Parlamento, al Consiglio e al Comitato economico e sociale, il Consiglio, deliberando
all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento, può
adottare disposizioni a tal fine, le quali entreranno in vigore solo una volta approvate dagli Stati
membri secondo le rispettive norme costituzionali.

3)Valori ed obiettivi dell’UE


Insieme con l'estensione delle competenze e delle politiche dell'Unione, col tempo si è anche
arricchito e precisato il fondamento politico e ideale del processo d'integrazione e dei suoi obiettivi, in
coincidenza con la maturazione dello stesso e con la più solida configurazione che l'Unione ha
assunto. Tali sviluppi sono andati di pari passo, perché l'ampliamento delle attribuzioni dell'Unione
richiedeva che questa si ancorasse in maniere più esplicita ai principi dei moderni ordinamenti
democratici, e aggiornasse le proprie prospettive fissando obiettivi più ambiziosi e più attuali della
superata finalità di assicurare la pace tra gli antichi nemici del continente.

4)Principi e valori
Diversamente dai primi trattati comunitari, che erano molto sommari o tacevano del tutto al riguardo,
a partire dall'AUE sono stati inseriti nei testi richiami più puntuali ai principi e ai valori sui quali si
fonda l'Unione. Oggi i valori dell'Unione sono enunciati in modo esplicito, già nei "Considerando"
del preambolo del TUE e nei suoi primi artt. Qui viene proclamato infatti che l'Unione si fonda sui
valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello
Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a
minoranze, valori che sono assunti in quanto comuni agli Stati membri in una società caratterizzata
dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla
parità tra uomini e donne. Tale disposizione non è l'unica rilevante per la definizione del quadro dei
valori fondanti dell'Unione, ma assumono rilevanza altre disposizioni dei Trattati e dei Protocolli ad
essi allegati, sebbene i principi e i valori in esse enunciati non siano in larga misura che dei corollari o
proiezioni degli altri. Ciò può dirsi per quanto riguarda i principi di trasparenza e prossimità, il valore
della pace e del benessere dei popoli, il rispetto dell'uguaglianza degli Stati, della loro identità
nazionale e delle loro funzioni essenziali, il principio di leale cooperazione tra Stati e tra questi e
l'Unione, i principi di attribuzione, sussidiarietà e proporzionalità, la tutela dei diritti fondamentali, la
connotazione dei diritti legati alla cittadinanza EU, i principi della democrazia rappresentativa, nonché
la proiezione degli stessi sulle relazioni esterne dell'Unione e sulle varie politiche dell'Unione. Tali
valori dell'Unione non costituiscono mere enunciazioni ideali e politiche, perché il loro mancato
rispetto produce conseguenze giuridiche per le istituzioni dell'Unione e per gli Stati. Per quanto
riguarda questi ultimi, tale eventualità può determinare l'imposizione di importanti sanzioni a carico
dello Stato interessato che possono comportare anche la perdita del diritto di voto in seno al
Consiglio. Ma riflessi possono aversi anche nei rapporti con gli Stati terzi: a tal proposito il fatto che
uno Stato rispetti quei valori e si impegni a promuoverli costituisce una imprescindibile condizione
per l'eventuale adesione di tale Stato all'Unione. In secondo luogo, la violazione di tali valori può
riflettersi negativamente sulle relazioni di uno Stato terzo con l'Unione, visto che tali relazioni devono
svolgersi nel rispetto dei predetti valori. Ciò vale in specie per gli accordi che prevedono la
cooperazione economica, l'assistenza o gli aiuti allo Stato terzo da parte dell'Unione, dato che, in base
alla regola della condizionalità, l'accordo può essere sospeso o denunciato in caso di violazione dei
valori in questione da parte dello Stato contraente.

5)Obiettivi
I Trattati non lasciano all'Unione la libertà di definire i propri obiettivi, ma provvedono essi stessi ad
elencarli e quindi a determinarli, in conformità al principio delle competenze di attribuzione. A ciò
provvede l'art. 3 TUE, che ha sostituito analoghe disposizioni dei testi pre-Lisbona, confrontandole
alla diversa situazione delineata dal nuovo Trattato, e specie all'abbandono della struttura a pilastri in
favore di una struttura unitaria. La norma enuncia quindi tutti gli obiettivi dell'Unione, anche se poi a
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svolgerli e a specificarlo provvederanno, in piccola parte, le successive disposizioni del TUE, e in


massima parte le norme del TFUE. Emerge così una vasta gamma di obiettivi che restano eterogenei,
anche se devono essere perseguiti con coerenza, ma che vengono elencati in termini meno
approssimativi e disordinati. Non è fissata alcuna gerarchia tra di essi, anche se non sempre risulti
facile conciliarli. Spetta al legislatore dell'Unione, come alla Corte, trovare l'appropriato equilibrio al
riguardo. Secondo l'art. 3 TFUE, gli obiettivi includono:
1. la promozione della pace, dei valori dell'Unione e del benessere dei popoli;
2. la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia
assicurata la libera circolazione delle persone e l'adozione di misure appropriate in relazione
ai controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la
lotta contro questa;
3. l'installazione di un mercato interno, nel quale sia assicurati uno sviluppo sostenibile, basato
su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di
mercato competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale e su un elevato
livello di tutela e di miglioramenti della qualità dell'ambiente, e la promozione del progresso
scientifico e tecnologico. In tale contesto, l'Unione deve combattere le esclusioni sociali e le
discriminazioni e promuovere la giustizia e la protezione sociali, la parità tra uomini e donne,
la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti dei minori; promuovere la coesione
economica, sociale e territoriale, nonché la solidarietà tra gli Stati; rispettare la ricchezza della
sua diversità culturale e linguistica e vigilare sulla salvaguardia e sullo sviluppo del
patrimonio culturale EU;
4. l'istituzione di un'unione economica e monetaria, che abbia come moneta unica l'€;
5. nelle relazioni internazionali, l'affermazione è la promozione dei propri valori e interessi,
contribuendo alla protezione dei cittadini EU, anche al di fuori dei suoi confini. In conformità
a tali valori, l'Unione contribuisce a promuovere e garantire la pace e la sicurezza
internazionale, così come garantisce l'osservanza e lo sviluppo del diritto internazionale, a
cominciare dalla Carta delle Nazioni Unite.

L'enunciazione di tali obiettivi dell'Unione non implica che questa sia libera di adottare qualsiasi
misura volta a perseguirli. È nelle disposizioni dei Trattati che andranno ricercate le coordinate degli
effettivi poteri di cui le istituzioni dispongono per il concreto perseguimento di ciascuno di essi.
Tuttavia, l'enunciazione assume rilievo per quanto attiene alla verifica della competenza delle
istituzioni EU, perché queste possono agire solo ai fini del perseguimento di detti obiettivi, così come
è solo a questi fini che si può fare ricorso alla clausola di flessibilità. La specifica indicazione degli
obiettivi dell'Unione non può far nascere in capo ai singoli un diritto alla loro realizzazione,
direttamente invocabile dinanzi ad un giudice nazionale. Così come essa non si presta a
produrre obblighi giuridici a carico degli Stati, anche se può costituire un limite alla loro azione,
dal momento che detti Stati sono obbligati ad astenersi da qualsiasi misura che possa mettere in
pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione.

Parte sesta

Diritto dell’UE negli ordinamenti degli Stati membri

1)Rapporto tra diritto dell’UE e diritto degli Stati membri


La caratteristica principale dell'ordinamento giuridico dell'Unione europea è quella di avere a propri
soggetti non solo gli Stati membri, ma anche i loro cittadini. I Trattati sono andati infatti al di là di un
accordo che si limitasse a creare degli obblighi reciproci fra gli Stati contraenti, ma hanno anche
portato all'instaurazione di organi dotati di poteri sovrani da esercitarsi nei confronti degli Stati e dei
loro cittadini. Ne deriva che le norme dell'Unione svolgono i loro effetti direttamente in capo a
soggetti che, benché interni agli Stati, sono anche, nei limiti della sfera di competenza dell'Unione.
Dal punto di vista del diritto dell'Unione non si pone, affinché le sue norme raggiungano i loro
destinatari disciplinando fattispecie interne, la necessità di un intervento dei singoli ordinamenti
nazionali che, a seconda delle preferenze teoriche, trasformi, recepisca o dia efficacia a quelle norme,
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in quanto norme estranee; e ciò anche nei casi in cui un intervento normativo interno non è escluso o è
imposto dallo stesso diritto dell'Unione. Dal punto di vista del diritto dell'Unione, tale intervento è
espressione solo di un particolare modo di operare dell'atto utilizzato, in cui si riflette un
funzionamento decentrato dei poteri delle istituzioni, e non di un'idoneità in quanto tale della fonte
dell'Unione a operare all'interno degli Stati.

Come ha sottolineato la Corte di giustizia, i due ordinamenti vivono in un rapporto d'integrazione,


che vede l'ordinamento dell'Unione, a causa della sua parzialità, avvalersi di quello che gli Stati
per molti aspetti del suo funzionamento; col risultato di una situazione d'interferenza e di
potenziale conflitto, tra le rispettive norme. Il punto è stato affrontato dalla Corte, sulla base
dell'affermazione del principio della supremazia del diritto dell'Unione. La stessa sentenza ricorda
come l'ordinamento dell'Unione sia integrato nell'ordinamento giuridico degli Stati all'atto dell'entrata
in vigore del Trattato di Lisbona e che i giudici nazionali sono tenuti ad osservare tale integrazione nel
diritto di ciascuno Stato di norme che promanano da fonti comunitarie, e, lo spirito e i termini del
Trattato, hanno per corollario l'impossibilità per gli Stati di fare prevalere, contro un ordinamento
giuridico da esse accettato a condizione di reciprocità, un provvedimento unilaterale ulteriore;
tuttavia, scaturito da una fonte autonoma, il diritto nato dal Trattato non potrebbe, in ragione della sua
natura, trovare un limite in qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere
comunitario e senza che ne risultasse scosso il fondamento giuridico dell'Unione.

Dunque, il ragionamento si fonda, non su di una prevalenza tra norme, ma sulla considerazione delle
rispettive sfere d'azione dell'ordinamento dell'Unione e di quello nazionale: infatti la Corte afferma
che il trasferimento, effettuato dagli Stati a favore dell'ordinamento giuridico comunitario, dei diritti e
degli obblighi corrispondenti alle disposizioni del Trattato implica una limitazione definitiva dei loro
diritti sovrani, di fronte alla quale un atto unilaterale ulteriore, incompatibile col sistema della
Comunità, sarebbe del tutto privo di efficacia. Inoltre la Corte ha affermato che gli atti legislativi
nazionali che invadano sfere di competenza dell'Unione vanno considerati privi di qualsiasi
efficacia giuridica, dato che il corretto esercizio della competenza normativa delle istituzioni EU,
quando si traduca in atti direttamente applicabili, ha l'effetto di impedire la valida formazione
di atti legislativi nazionali. Ciò comporta che qualsiasi giudice nazionale, adito nell'ambito della sua
competenza, ha l'obbligo di applicare integralmente il diritto dell'Unione e di tutelare i diritti che
questo attribuisce ai singoli, disapplicando le disposizioni eventualmente contrastanti della legge
interna, sia anteriore che successiva. In tale prospettiva vanno inquadrati alcuni ulteriori svolgimenti
della giurisprudenza della Corte che, partendo dal principio di preminenza del diritto comunitario,
hanno portato all'affermazione dell'obbligo dei giudici nazionali di non applicare norme dello Stato
che, pur senza risultare direttamente in contrasto con la norma EU applicabile alla fattispecie, né
impediscano l'effettiva applicazione.

Come ulteriore conseguenza di tale principio la Corte ha affermato l'obbligo di non tener conto di una
disposizione nazionale che sancisce il principio dell'autorità della cosa giudicata, nei limiti in cui
l'applicazione di tale disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il
diritto dell'Unione e la cui incompatibilità è stata dichiarata con decisione della Commissione
divenuta definitiva. In tali casi l'argomento pare ricavato dal principio della preminenza del diritto
dell'Unione, inteso nel senso dell'incompatibilità con le esigenze inerenti alla natura stessa di tale
diritto di qualsiasi disposizione facente parte dell'ordinamento giuridico di uno Stato membro o
qualsiasi prassi legislativa, amministrativa o giudiziaria, la quale porti ad una riduzione della corretta
efficacia del diritto comunitario.

2)Diritto dell’UE di diritto interno in Italia: giurisprudenza costituzionale


Inoltre la Corte costituzionale ha dovuto anche pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della
partecipazione italiana al processo d'integrazione EU. Infatti, in linea con la prassi corrente in materia
di accordi internazionali, l'adesione sia ai Trattati istitutivi originari, che a quelli modificativi o
integrativi degli stessi, è sempre stata autorizzata e resa esecutiva in Italia mediante legge
ordinaria.
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Le leggi ordinarie di esecuzione in Italia di quegli atti trovano sicuro fondamento di legittimità
nella disposizione dell'art. 11 Cost., in base al quale l'Italia consente, in condizioni di parità con gli
altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia
fra le nazioni, e quindi promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo: ciò
significa che, quando ne ricordano i presupposti, è possibile stipulare Trattati i quali comportino
limitazione della sovranità, ed è consentito darvi esecuzione con legge ordinaria. Sulla disposizione
dell'art. 11 Cost. la Corte costituzionale ha successivamente basato anche la soluzione del
problema del rapporto che intercorre tra le norme dell'Unione e quelle poste da leggi dello Stato. La
Corte costituzionale si è allineata alle conclusioni della Corte di giustizia in materia di supremazia
delle norme EU sulle norme nazionali contrastanti. Anche in tal senso la Corte di giustizia aveva
concluso che qualsiasi giudice nazionale, adito nell’ambito della sua competenza, ha l’obbligo di
applicare integralmente il diritto comunitario e di tutelare i diritti che questo attribuisce ai singoli,
disapplicando le disposizioni eventualmente contrastanti della legge interna, sia anteriore che
successiva. Nel nostro sistema costituzionale tale possibilità appariva preclusa al giudice, essendo lo
stesso tenuto, di fronte al contrasto di una norma di legge con la Costituzione, a sollevare il relativo
incidente di fronte alla Corte costituzionale.

Nell'opinione della Corte, l'impossibilità di non applicare la legge interna in contrasto con una
direttiva comunitaria non munita di efficacia diretta non significa tuttavia che la prima sia immune dal
controllo di conformità al diritto comunitario, che spetta a questa Corte, davanti alla quale il giudice
può sollevare questione di legittimità costituzionale; anche se essa ha comunque precisato che, prima
di rimetterle tale questione, il giudice comune deve valutare la possibilità di interpretazione della
disposizione censurata conforme al parametro di costituzionalità. Il mancato previo assolvimento
dell'obbligo di interpretazione conforme ha costituito motivo di dichiarazione di inammissibilità di
questioni di legittimità costituzionale relative a casi di contrasto con norme dell'Unione prive di effetti
diretti. Rimane ferma la competenza della Corte costituzionale a pronunciarsi sulla compatibilità di
norme interne con il diritto dell'Unione, quando la questione venga sollevata nel quadro di un ricorso
in via principale, come un es. avviene su ricorso del Governo contro una delibera del Consiglio
regionale.

A seguito della riforma dell'art. 127 Cost., il contenzioso in via principale davanti alla Corte
costituzionale in caso di violazione di norme europee da parte delle Regioni è aumentato in modo
consistente. In base al nuovo testo di questa disposizione, il Governo quando ritenga che una legge
regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità
costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro 60 giorni dalla sua pubblicazione. La Corte
costituzionale ha ritenuto che la violazione di norme dell'Unione costituisca violazione, per norma
interposta, dell'art. 117 Cost.

La prevalenza del diritto dell'Unione è affermata con riferimento all'ordinamento giuridico di questa
nel suo complesso, quale sistema autonomo e distinto al cui pieno funzionamento la potestà legislativa
dello Stato non può frapporre ostacoli. Nel distribuire la funzione legislativa tra Stato e regioni nel
quadro di una riforma federalista dello Stato italiano, una legge del 2001, recante modifiche alla
Costituzione, ha modificato l'art. 117 Cost., iscrivendovi il principio che la potestà legislativa è
esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei valori derivanti
dall'ordinamento comunitario dagli obblighi internazionali.

Un'ultima ipotesi in cui il sindacato di legittimità costituzionale collegato al rispetto dell'art. 11 Cost.
rimane riservato alla Corte costituzionale, è quella che ad essere messa in discussione non sia la
compatibilità col diritto dell'Unione di norme nazionali, ma il contrasto di norme di quel diritto coi
principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e coi diritti fondamentali della
persona umana.

3)Prassi degli altri Stati membri


Con l'adesione al processo d'integrazione EU, tutti gli Stati sono stati posti dinanzi all'esigenza di
individuare un esplicito fondamento normativo per le limitazioni della sovranità statale che
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scaturivano da tale processo. Molti Stati hanno deciso di inserire all'interno delle proprie costituzioni
una clausola di cessione di sovranità o di attribuzione dell'esercizio di competenze a favore
dell'Unione pur mantenendo un controllo attraverso la previsione procedure di approvazione di atti
normativi dell'Unione e di procedure di revisione semplificata dei Trattati (es. Francia, Germania,
Cipro, Estonia, Irlanda, Portogallo, Slovacchia, Svezia e Ungheria). Talvolta la revisione
costituzionale è stata finalizzata più che a fondare le limitazioni di sovranità provenienti dai Trattati, a
disciplinare modalità di partecipazione dello Stato all'Unione (es. Austria , la cui adesione all'Unione
ha comportato l'inserimento nella Costituzione di 6 artt., concernenti il riparto di competenze tra
Federazione e Länder nei rapporti con Bruxelles). Gli altri Stati (Belgio, Bulgaria, Danimarca,
Estonia, Finlandia, Grecia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Repubblica Ceca,
Spagna, Romania e Slovenia) non hanno adottato disposizioni ad hoc per l'adesione al processo
d'integrazione EU, rispetto al quale trovano comunque applicazione le norme istituzionali di carattere
generale relative ai Trattati internazionali e alla partecipazione ad organizzazioni internazionali. Nel
UK la ratifica dei Trattati internazionali è un privilegio della Corona esercitato dal Governo.
L'approvazione parlamentare è però necessaria affinché un Trattato acquisti forza di legge e possa
essere applicato dal giudice.

Organizzazioni e procedure

Con la l. (153/87) recante il coordinamento delle politiche riguardanti l'appartenenza dell'Italia


alle Comunità EU e l'adeguamento dell'ordinamento interno agli atti normativi comunitari, si
aprì la stagione degli interventi legislativi volti ad avviare e poi migliorare la disciplina della materia.
Altrettanto rilevante è la l. (400/88) recante la disciplina dell'attività di Governo e l'ordinamento
della Presidenza del Consiglio dei ministri, che attribuiva al Presidente del Consiglio o al Ministro
da lui delegato competenze, anche di coordinamento, in materia di attuazione delle politiche
comunitarie, di adempimento dei relativi obblighi, e di informazione del Parlamento.

La vera svolta fu segnata dall'applicazione della c.d legge La Pergola, che costituì la prima legge ad
hoc emanata da uno Stato m. per disciplinare in modo organico le modalità di partecipazione al quel
processo. Tale l. si concentrava solo su una parte dei profili di cui si compone la partecipazione di uno
Stato al processo d'integrazione EU. Essa disciplinava la fase di attuazione da parte dello Stato degli
obblighi derivanti dall'appartenenza alle Comunità EU. Solo marginalmente erano toccati i temi della
fase attraverso cui lo Stato provvede a definire la posizione nazionale da sostenere a Bruxelles nel
quadro del negoziato sui differenti dossier EU.

Il vero contributo alla definizione degli strumenti e delle modalità di gestione dei rapporti dell'Italia
con le istituzioni di Bruxelles è arrivato dalle successive modifiche alla l. La Pergola. Alcune si
limitarono ad interventi su sue disp.; altre sono state il frutto di revisioni complessive della disciplina
in essa contenuta. Tra queste spicca la c.d l. Buttiglione, che, abrogando la l. La Pergola, ne confermò
l'impianto originario, di cui assorbì, con opportune modifiche, le principali disp., e vi apportò una
corposa integrazione in materia di fase ascendente, colmando la lacuna di quella prima. Col Trattato di
Lisbona, il processo riformatore si è completato con l'approvazione di una l. di revisione
complessiva della l. Buttiglione (l. 234/12), che ne risulta integralmente abrogata. Anche in tal caso
la revisione non ha portato ad uno sconvolgimento radicale di quella l., dato che molte delle sue disp.
si ritrovano nella nuova. Comunque le novità sono numerose e in taluni casi di rilievo. Oltre a recepire
quelle dovute al Trattato di Lisbona, essa da un lato rivede il rapporto delle Camere col Governo nella
gestione della politica EU del paese e, dall'altro, cerca di imprimere una maggior efficacia ai
meccanismi di adeguamento dell'ordinamento nazionale agli obblighi EU.

1)C.d. fase ascendente. In generale. Organizzazione centrale. Dipartimento per le


politiche EU
Quanto alla fase ascendente, in Italia la gestione della partecipazione dello Stato alla formazione
delle politiche e dei diversi tipi di atti adottati dalle istituzioni dell'Unione è stata a lungo rimessa alle
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competenti autorità centrali: in primis alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero degli
affari esteri, nonché, settorialmente, ai singoli Ministri competenti per materia. Mancava però una
specifica sede istituzionale di coordinamento. Una svolta è stata avviata con l'istituzione del
Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie e con l'attribuzione al Comitato
interministeriale per la programmazione economica (CIPE) competenze di armonizzazione tra la
politica nazionale e quelle comunitarie, che aprì la via ad una riforma del sistema, che la prassi
successiva si è incaricata di sviluppare ulteriormente. A detto Dipartimento (ora denominato
Dipartimento per le politiche EU), che fa capo alla Presidenza del Consiglio sotto la direzione di un
Ministro per gli affari EU appositamente delegato dal Presidente del Consiglio, sono state conferite
competenze di coordinamento tra le amministrazioni interessate sia ai fini negoziali, sia ai fini
dell'attuazione della normativa dell'Unione. Col tempo le attribuzioni del Dipartimento si sono estese,
insieme col suo crescente ruolo complessivo, che ne fa oggi il punto di riferimento per il
coordinamento della politica italiana rispetto agli adempimenti EU, e ciò con riguardo ai diversi attori
nazionali: dalle Camere, cui esso deve garantire l'informazione sulla partecipazione al progetto
decisionale dell'Unione; alle Regioni e agli enti locali, per la consultazione e il coinvolgimento agli
stessi fini; alle categorie socio-economiche interessate, ecc. Tutto ciò, fermo restando che, per la
proiezione esterna di tali attività, il Dipartimento si coordina, oltre che con la Presidenza del
Consiglio, cui fa formalmente capo, col Ministero degli affari esteri, che svolge un ruolo importante
nel complessivo negoziato EU, grazie al suo essenziale ufficio che è la Rappresentanza permanente
d'Italia presso l'UE a Bruxelles, attraverso cui passa l'insieme dei rapporti tra il ns Governo e le
istituzioni dell'Unione.

2)Ruolo del Parlamento


La l. 234/12 si preoccupa di incidere sulla qualità e portata dell'informazione che il Governo deve
fornire alle Camere in ordine alla partecipazione dell'Italia all'Unione, e deve assicurare un maggiore
ed efficace coinvolgimento delle stesse nella fase di formazione degli atti dell'Unione. Per il primo
aspetto, il Governo, fin dal '65, era tenuto a presentare al Parlamento entro il 31/12 di ogni anno, una
relazione sulle Comunità EU. Si trattava però di un'informazione limitata e generica, che non era
idonea ad assicurare quel flusso d'informazione necessario per un serio controllo parlamentare. I
successivi interventi legislativi hanno ampliato e precisato la portata dell'obbligo del Governo in
materia. Oggi le disp. della l. 234/12 impongono al Governo, e specie al Presidente del Consiglio o al
Ministro per gli affari EU, una serie di obblighi informativi finalizzati ad un coinvolgimento del
Parlamento nella definizione della politica EU dell'Italia e nel processo di formazione degli atti
dell'Unione. Tali obblighi sono assolti talvolta attraverso una partecipazione diretta del Governo ai
lavori parlamentari, tra l’altro con una trasmissione documentale.

Per i progetti di atti legislativi è richiesta un'ulteriore relazione con il parere del Governo circa la
conformità di ciascun progetto ai principi di attribuzione, di sussidiarietà e di proporzionalità, nonché
circa la sua rispondenza o meno all'interesse nazionale e all'impatto finanziario e giuridico sulle
competenze regionali e delle autonomie locali, l'organizzazione delle P.A. e le attività dei cittadini e
delle imprese.

3)Coordinamento a livello governativo. CIAE


Spetta al Governo definire, sulla base delle valutazioni espresse da tutte le amministrazioni
competenti e degli altri soggetti interessati, la posizione che l'Italia sosterrà attraverso lo stesso
Governo, in sede EU. Ai fini di tale coordinamento un ruolo di primo piano è svolto dal Ministro
per gli affari EU attraverso il Dipartimento per le politiche EU. Esso si esercita per mezzo di un
organismo, il Comitato interministeriale per gli affari EU (CIAE), che costituisce una sorta di
Gabinetto degli affari EU col compito di concordare a livello politico nel rispetto delle competenze
attribuite dalla Cost. e dalla legge al Parlamento, al Consiglio dei ministri e alla Conferenza
permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano (c.d Conferenza
Stato-Regioni), le linee politiche del Governo nel processo di formazione della posizione italiana da
esprimere nella fase di predisposizione degli atti dell'Unione, nonché di consentire l'adempimento
degli altri compiti previsti dalla stessa legge.
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Il Comitato è convocato e presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro per gli
affari EU. Ne sono parte il Ministro per gli affari esteri, il Ministro dell'economia e finanze, il
Ministro per gli affari regionali, il Ministro per la coesione territoriale e gli altri Ministri aventi
competenza nella materie oggetto dei provvedimenti e delle tematiche inseriti all'ordine del giorno
nella riunione: ma possono chiedere di parteciparvi, quando si trattano questioni che interessano anche
le Regioni e le Province autonome, il Presidente della Conferenza dei presidenti delle Regioni e
Province autonome o uno di questi da lui delegato e, per gli ambiti di competenza degli enti locali, i
presidenti delle associazioni rappresentative degli enti locali.

La l. 234/12 stabilisce che per la preparazione delle proprie riunioni il CIAE si avvale di un Comitato
tecnico di valutazione degli atti dell'Ue (Comitato tecnico permanente), istituito presso il
Dipartimento per le politiche EU e coordinato e presieduto dal direttore della Segreteria del CIAE,
ufficio che integra l'organigramma del Dipartimento per le politiche EU. Il Comitato tecnico, che è
composto da un rappresentante di ogni Ministro, ha il compito di coordinare al suo livello, nel quadro
degli indirizzi del Governo, la predisposizione della posizione italiana nella fase di formazione degli
atti dell'Ue, raccogliendo le istanze provenienti dalle diverse amministrazioni e definendo quella
posizione, salvo a rimetterla, quando necessario, a una deliberazione del CIAE. Qualora si trattino
questioni che interessano anche le Regioni e le Province autonome, il Comitato tecnico è integrato da
un rappresentante per ogni Regione e Provincia autonoma e, per gli ambiti di competenza degli enti
locali, da un rappresentante delle associazioni rappresentative di questi.

4)Partecipazione delle Regioni


Riprendendo e ampliando le previsioni della l. La Pergola, la vigente normativa definisce un quadro
più organico e adeguato della materia. Alcuni artt. della l. 234/12 impongono al Governo di
rispettare a favore di quegli enti, e limitatamente alle materie di loro competenza, obblighi
corrispondenti a quelli delle Camere (info, riserva di esame, ecc.). Le medesime disp. prevedono,
sempre per le materie di loro competenza, la partecipazione degli stessi enti alla formazione degli
atti dell'Unione, sia con l'invio di osservazioni sui progetti in corso, sia prevedendo la
convocazione allo scopo della Conferenza Stato-Regioni o della Conferenza Stato-città ed
autonomie locali. È inoltre stabilito che le assemblee e i consigli regionali possano far pervenire alle
Camere, di propria iniziativa o su consultazione di queste, proprie osservazioni ai fini della verifica
del principio di sussidiarietà, che le Camere possono esercitare nel quadro di quanto disposto dal
Protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità. Una forma di
coinvolgimento, sia pur più limitata, è prevista anche a favore delle parti sociali e delle categorie
produttive, per il tramite del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL).

Oltre a tale forma di partecipazione indiretta al processo di formazione degli atti dell'Ue, è previsto
che le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano possano concorrere direttamente a
tale processo nelle materie di loro competenza legislativa.

L'intesa raggiunta in seno alla Conferenza Stato-Regioni prevede che anche nelle materie che
spettano alle Regioni ai sensi della Cost., la funzione di capo della delegazione italiana in seno al
Consiglio è attribuita al rappresentante del Governo, salva diversa determinazione assunta su
istanza delle Regioni e Province autonome, mediante apposita intesa col Governo da raggiungersi in
sede di Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome.

5)C.d. fase discendente. Origini ed evoluzione della pertinente disciplina


A partire dalla l. La Pergola, il sistema italiano di attuazione della normativa dell'Unione si è
incentrato su uno strumento legislativo annuale, consistente nella c.d legge comunitaria, diretta a
raccogliere in un unico provvedimento le norme di legge necessarie ad assicurare l'adempimento di
più atti od obblighi posti dalle norme EU in capo all'Italia.

Ogni anno il Governo, dopo una verifica dello stato di conformità dell'ordinamento italiano agli
obblighi derivanti dagli atti delle istituzioni dell'Ue, era tenuto a predisporre, entro il 31/01, un
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disegno di legge, che assumeva la denominazione di disegno di legge comunitaria per l'anno di
riferimento, anno che andava a completare l'intitolazione. Nella l. comunitaria trovavano posto le disp.
volte a modificare o ad abrogare norme interne incompatibili con quegli obblighi e le disp. necessarie
a dare attuazione diretta ai nuovi atti normativi della Comunità. Per quanto riguardava le direttive, la
cui trasposizione costituiva gran parte del contenuto di ciascuna l. comunitaria, questa non
provvedeva direttamente a tale trasposizione, ma l'affidava al Governo conferendogli la delega
legislativa ad adottare i provvedimenti di recepimento di un insieme di direttive sulla base di principi
e criteri direttivi, indicati, nella maggior parte dei casi, in maniera generale e generica.

L'utilizzazione della l. comunitaria ha vissuto vicende alterne, un primo passo fu quello di far
coincidere, a partire dalla l. comunitaria per il 2007, il termine per l'esercizio della delega al
Governo con quello previsto da ciascuna dir. per il suo recepimento. Più rilevante è stato il passo
compiuto con la l. 234/12. Modificando il sistema introdotto fin dalla l. La Pergola, la nuova legge ha
disposto lo sdoppiamento dell'unica l. comunitaria annuale in due leggi EU, l'una, la l. di
delegazione EU, finalizzata solo al conferimento di deleghe al Governo per il recepimento di dir. o
per l'attuazione di altri obblighi EU, l'altra, la l. EU, destinata a contenere norme di attuazione di
quegli obblighi.

6)Legge di delegazione EU e recepimento delle direttive


Mentre per il disegno di l. EU la l. 234/12 non indica un termine di adozione da parte del Governo,
quello di delegazione EU dev'essere presentato alle Camere entro il 28/02 di ogni anno, dopo una
verifica dello stato di conformità dell'ordinamento italiano agli obblighi derivanti dagli atti delle
istituzioni dell'Unione. La l. 234/12 semplifica il conferimento delle deleghe da disporre attraverso la
l. di delegazione EU. Sia la l. La Pergola, che quella successiva del 2005, lasciavano alle singole leggi
comunitarie il compito di definire le procedure per l'esercizio delle deleghe e i principi e i criteri
direttivi generali di delega.

Questi, ormai consolidatisi nel tempo, sono ora riportati nei artt. della l. 234/12, così da consentire alle
singole leggi di delegazione EU di limitarsi ad un rinvio a quegli artt. Questi riproducono la prassi
legislativa precedente. La sola innovazione è anch'essa finalizzata a velocizzare i tempi del
recepimento delle diret. Il termine di esercizio delle deleghe viene anticipato a 2 mesi antecedenti
a quello di recepimento indicato in ciascuna delle dir., fermo restando che per le dir. già scadute
o in scadenza nei 3 mesi dall'entrata in vigore della legge di delegazione EU quel termine rimane
stabilito in 3 mesi da tale entrata in vigore. Per il resto è previsto che gli schemi di d.lgs. di
recepimento, in cui si concretizza l'esercizio di ciascuna delega, sono proposti al Consiglio dei
ministri dal Presidente del Consiglio o dal Ministro per gli affari EU di concerto o coi ministri con
competenza prevalente nella materia, cui spetta anche redigere una tabella di concordanza tra le
disposizioni del singolo d.lgs. e quelle della dir. da recepire. Dopo l'approvazione preliminare da parte
del Consiglio dei ministri, il provvedimento è sottoposto alle Camere per il parere di competenza, nei
casi in cui esso è richiesto. L'approvazione definitiva interviene solo dopo il recepimento nel testo
delle osservazioni eventualmente formulate dalle commissioni parlamentari competenti.

A seconda se l'emanazione del relativo d.lgs. debba avvenire o meno previo parere delle competenti
commissioni parlamentari, le dir. la cui attuazione è oggetto di delega al Governo sono elencate in due
diversi allegati (Allegato A e Allegato B) alla l. di delegazione. In un terzo allegato sono inserite,
quando ve ne siano da recepire, quelle dir. che incidono su materie già disciplinate con l., ma non
riservate alla legge, per le quali, in base alla l. 234/12, la l. di delegazione può disporre un
meccanismo di delegificazione, consistente nell'autorizzare il Governo ad attuare tali dir. mediante
reg. da adottare con le procedure previste dalla l. sul funzionamento della Presidenza del Consiglio.

In casi di particolare importanza politica, economica e sociale, il Governo decida di proporre al


Parlamento un apposito disegno di l. recante le disp. occorrenti per dare attuazione o assicurare
l'applicazione di un atto normativo emanato dagli organi dell'Unione riguardante materie di
competenza legislativa statale. Il recepimento delle diret. EU non richiede in ogni caso il ricorso allo
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strumento legislativo, diretto o delegato. In taluni casi, esso può avvenire anche per via
amministrativa, mediante reg. o altri atti amministrativi generali.

7)Ruolo delle Regioni


Le l. La Pergola e Buttiglione, prima, e la l. 234/12, dopo, hanno dettato nuove disposizioni anche
nella materia dei rapporti tra Stato e Regioni per quanto riguarda l'attuazione degli obblighi EU che
incidono su materie di competenza regionale. Inizialmente lo schema dei rapporti Stato-Regioni in
materia si era assestato in tal modo: ferma restando la competenza delle Regioni ad esercitare, senza
necessità di previ atti statali, le funzioni connesse all'applicazione dei reg. comunitari e all'attuazione
in via amministrativa delle dir. che non riguardassero materie già disciplinare in legge o coperte da
riserva di legge, per le altre dir. si prevedeva una diversa soluzione a secondo che si trattasse di
Regioni ordinarie o a statuto speciale (e Province autonome). Per le seconde si era stabilito che nelle
materie di competenza esclusiva esse potessero dare immediata attuazione alle dir., salvo adeguarsi
alle successive leggi dello Stato nei limiti previsti dalla Costituzione e dai relativi statuti speciali. Per
le altre Regioni (e per quelle speciali nelle materie loro non riservate), l'attuazione era subordinata al
previo recepimento delle stesse con legge dello Stato.

la l. La Pergola aveva modificato tale disciplina, ma ancor di più quelle successive, le quali, oltre ad
aggiornare quella l., hanno dovuto anche confermarne le disp. alla modifica del Titolo V della Cost. e
alla conseguente l. di applicazione. Il nuovo art. 117 Cost. ha sancito a livello costituzionale il
principio dell'attuazione diretta degli atti dell'Unione, stabilendo che le Regioni e le Province
autonome, nelle materie di loro competenza, provvedono all'attuazione ed esecuzione degli atti
dell'Unione, nel rispetto delle norme di procedura stabilite dalla legge dello Stato, che disciplina
le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza. Tale potere sostitutivo trova
un'ulteriore menzione a livello costituzionale, nella previsione (secondo cui il Governo può sostituirsi
a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato
rispetto della normativa comunitaria) che affida alla legge il compito di definire le procedure atte a
garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e di leale
collaborazione.

Per le materie di competenza concorrente, possono ugualmente provvedere le Regioni e le Province


autonome, ma la legge di delegazione EU è chiamata a indicare i principi fondamentali nel rispetto dei
quali quegli enti possono esercitare la propria competenza normativa, lo Stato può anticipare
l'intervento delle Regioni e Province autonome adottando disp. attuative degli obblighi EU anche in
materie rientranti nelle competenze di quegli enti. Ciò con l'intesa che esse non saranno applicabili
che a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l'attuazione di detti obblighi e lo saranno solo
per le Regioni e Province autonome che non abbiano tempestivamente adottato la propria normativa
di attuazione. In ogni caso esso perderanno efficacia dalla data di entrata in vigore dei provvedimenti
di attuazione di ciascuna Regione e Provincia autonoma, dovendo recare l'esplicita indicazione della
natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disp. in esse contenute.

Disposizioni dello stesso genere possono essere contenute anche nella l. di delegazione EU; o nei reg.
volti a recepire, attraverso un intervento di delegificazione, dir. che incidono su materie non coperte
da riserva di legge; o nei d. ministeriali attraverso cui è data attuazione ad atti dell'Unione
d'esecuzione di dir. già recepite. In tutti i casi, tale interferenza dello Stato nelle competenze regionali
e provinciali è giustificata come esercizio in via meramente preventiva del potere sostitutivo dello
Stato, allo scopo di evitare qualsiasi rischio che un ritardo nell'emanazione dei necessari
provvedimenti da parte anche di una sola delle Regioni o Province autonome o un contenuto
incompleto degli stessi possa determinare una situazione d'inadempimento dello Stato nei confronti
dell'Unione. Analogo meccanismo di sostituzione dell'azione normativa o amministrativa dello Stato a
quella delle Regioni e Province autonome è previsto dalla legge. 234/12 per l'eventualità che si tratti
di adempiere con carattere d'urgenza ad atti delle istituzioni o a sentenze dei giudici dell'Unione che
riguardino materie di competenza regionale e provinciale. Con la differenza che qui l'esercizio del
potere sostitutivo non assume carattere preventivo, ma può esplicarsi solo in caso di mancato
tempestivo adeguamento da parte di una Regione o Provincia autonoma, e una volta che la stessa sia
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stata preliminarmente invitata a provvedervi entro un termine fissato dal Presidente del Consiglio dei
ministri o dal Ministro per gli affari EU.

Solo nei casi di assoluta urgenza, qualora l'intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza
mettere in pericolo le finalità tutelate dall'art. 120 Cost., il Governo potrà adottare senza previa messa
in mora dell'ente interessato i provvedimenti necessari; essi dovranno però essere immediatamente
comunicati alla Conferenza Stato-Regioni, che potrà chiederne il riesame. Un'apposita disp. della l.
234/12, consente allo Stato di rivalersi nei confronti di Regioni o di altri enti pubblici delle somme
che esso sia stato costretto a pagare a titolo di sanzione a seguito di una sentenza di condanna
pronunciata dalla Corte per una violazione del diritto dell'Unione ad essi imputabile

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