1. Mi accorgo che in questo commento ricalco concetti applicati alla percezione delle decora-
zioni monumentali nelle chiese medio-bizantine da uno studioso sensibilissimo alla qualificazione
spaziale delle immagini come Otto Demus, precursore in ciò di un filone di studi che sarà incarnato
al massimo livello da John Shearman. Mi riferisco ad un classico della nostra storiografia, in cui
egli sottolinea in tale contesto l’intima relazione, anzi interazione tra il mondo dello spettatore e il
mondo dell’immagine: «while it does not aim at illusion, Byzantine religious art abolishes all clear
distinction between the world of reality and the world of appearance» (Otto Demus, Byzantine Mo-
saic Decoration. Aspect of Monumental Art in Byzantium, London 1947, p. 4). Contrariamente alla
sua schematica e un po’ pregiudiziale contrapposizione tra Eastern Art e Western Art forse qualche
osservazione è valida pure per le decorazioni tardogotiche.
482 Andrea De Marchi
alla meno eroica esibizione del lussuoso banchetto e con essa della prodigalità
del duca. Per intendere questa percezione – mi si perdoni l’audacia – sono d’aiu-
to le parole di Marcel Proust, quando in una pagina memorabile di Du côté de
chez Swann rievoca la lanterne magique nella cameretta d’infanzia a Combray,
con il terribile Golo in corsa incessante verso il castello della povera Geneviève
de Brabant, sì da dissolvere in un gioco cangiante di luci e colori le pareti e gli
oggetti familiari:
à l’instar des premiers architectes et maîtres verriers de l’âge gothique, elle [i.e. la
lanterne magique] substituait à l’opacité des murs d’impalpables irisations, de sur-
naturelles apparitions multicolores, où des légendes étaient dépeintes comme dans
un vitrail vacillant et momentané.
La civiltà pittorica del Trecento vede l’imporsi, nella decorazione parietale
di palazzo, di finte apparecchiature marmoree, che prendono il posto di decori
modulari, geometrico-vegetali, emuli piuttosto di finte stoffe. La Lombardia svol-
se un ruolo centrale nella diffusione della nuova moda, probabilmente per la forza
di impatto rappresentata dall’operosità di Giotto e più ancora dei suoi seguaci alla
corte di Azzone Visconti. Poco più tardi, la decorazione aniconica, incredibil-
mente estensiva, del castello di Pandino, illustrata da Serena Romano e centro di
questo convegno, ne è un esempio massimo, e contrasta in maniera significativa
con le tappezzerie bidimensionali dipinte a profusione negli interni della Verona
di Cangrande e di Mastino, di cui abbiamo numerose sopravvivenze.2 La rivolu-
zione giottesca, a partire dal ciclo della basilica superiore di San Francesco ad
Assisi, aveva proposto un’idea della decorazione parietale come qualificazione
illusionistica organicamente incardinata sulle membrature dell’architettura reale,
che ne risultavano per ciò stesso esaltate e rafforzate, all’opposto della concezio-
ne bizantina che, a partire dai mosaici ravennati e tardo-antichi, giocava invece
sull’annullamento dello spazio misurabile, trapassando da parete a parete, con
figure disinvoltamente debordanti dall’una all’altra, smussando angoli e spigoli
come lo stesso allettamento ininterrotto delle tessere musive comportava.
L’organizzazione strutturata e complessiva della parete come un micro-orga-
nismo architettonico, geniale rielaborazione di una tradizione romana,3 trovava
nella soluzione angolare un punto qualificante. Nelle cappelle giottesche in Santa
Croce finte colonne sono dipinte negli angoli, in connessione con le zoccolature
a crustae marmoree e con i capitelli dei costoloni.4 Taddeo Gaddi nella cappella
Baroncelli amplifica l’illusione dipingendo le paraste dei pilastri angolari e rac-
2. Si veda l’intervento a questo convegno di Fausta Piccoli. Per una campionatura della limi-
trofa val Lagarina: Paola Frattaroli, “Affreschi ornamentali: Trento, Castello di Avio, Castello di
Stenico, Rocca di Riva del Garda”, in Le vie del Gotico. Il Trentino fra Trecento e Quattrocento, a
cura di Laura Dal Prà, Ezio Chini, Marian Botteri Ottaviani, Trento 2002, pp. 183-207.
3. Su questa vasta problematica rimando alla recente rilettura di Serena Romano, La O di
Giotto, Milano 2008, pp. 33-59 (capitolo Ornamento e strumenti retorici nella navata di Assisi).
4. Vedi Andrea De Marchi, “Il progetto di Giotto tra sperimentazione e definizione del canone:
partimenti a finti marmi nelle cappelle del transetto di Santa Croce a Firenze”, in Ricerche di storia
La percezione panottica delle «camerae pictae» profane 483
dell’arte, CII (2010), pp. 13-24 (Santa Croce: origini. Firenze 1300, frammenti di un discorso sugli
ornati e sugli spazi, a cura di Fulvio Cervini e Andrea De Marchi).
5. Vedi Alessandro Prosdocimi, “Osservazioni sulla partitura delle scene affrescate da Giotto
nella cappella degli Scrovegni”, in Giotto e il suo tempo, atti del congresso internazionale per la
celebrazione del 7° centenario della nascita di Giotto (Assisi 1967), Roma 1971, pp. 135-142.
6. Una foto da questa angolazione era stata opportunamente proposta e commentata da Gian-
lorenzo Mellini, Altichiero e Jacopo Avanzi, Milano 1965, p. 52 e fig. 106 («un’alcova genialmente
girata per il lungo, dentro un castello i cui aggetti risolvono l’anomalia delle muraglie da dipin-
gere»). Sono debitore verso Zuleika Murat per la ripresa analoga qui riprodotta (quella pubblicata
da Mellini era peraltro realizzata ad una certa altezza da terra, sì da ottenere un’illusione totale di
assorbimento ottico della risega).
484 Andrea De Marchi
7. Vedi Andrea De Marchi, “Gli affreschi dell’oratorio di San Giovanni presso Sant’Agostino
a Fermo. Un episodio cruciale della pittura tardogotica marchigiana”, in Il Gotico Internazionale a
Fermo e nel Fermano, catalogo della mostra (Fermo, Palazzo dei Priori, 1999), a cura di Germano
Liberati, Livorno 1999, pp. 48-69.
8. Vedi Silvia De Luca, “Nuovi studi sul Tardo Gotico in Umbria: gli affreschi profani della
Rocca Albornoziana di Spoleto”, Commentari, XVI (2010) 45, pp. 23-38 (della stessa è in pubblica-
zione una monografia dedicata a questa decorazione profana: Ead., Gli affreschi della Camera Pinta
a Spoleto. Fonti letterarie e filologia artistica, Perugia 2013).
9. Vedi gli studi raccolti nel volume Il Palazzo Trinci di Foligno, a cura di Giordana Benazzi,
Francesco Federico Mancini, Perugia 2001, ed inoltre Andrea De Marchi, “Gentile da Fabriano e la
sua bottega”, in Gentile da Fabriano. Studi e ricerche, catalogo della mostra (Fabriano, Spedale di
Santa Maria del Buon Gesù, 2006), a cura di Andrea De Marchi, luogo 2006, pp. 9-53, speciatim
18-31; Palazzo Trinci. Nuovi studi sulla pittura tardogotica, a cura di Antonino Caleca, Bruno To-
La percezione panottica delle «camerae pictae» profane 485
scano, Livorno 2009; Dunlop, Painted Palaces. The Rise of Secular Art in Early Renaissance Italy,
University Park (Pa) 2009, pp. 73-87 e 186-209.
10. Si ricordino ad esempio passi come i seguenti: «Il cielo è quella rota che trasmuta / tutte
l’etadi della vita breve / e che la testa bionda fa canuta» (Federico Frizzi, Quadriregio, VI, 121-
123); «Il tempo e ’l ciel, che sopra voi è vòlto, / è una cosa, e, non voltando il cielo, / ciò che da
tempo pende, saria tolto: / fatica, fame, sete, caldo e gelo, / e ciò che segue al moto alternativo, /
morte e vecchiezza col canuto pelo» (ibidem, VI, 136-141).
11. «Figuras vide etiam ut tibi pulcrior appareat hic tractatus quod insimul cum horis repre-
sentantur etates ita etiam per se in ipso officiolo presentabantur ystorie ut in completorio decesserit
486 Andrea De Marchi
palazzo Trinci è collocata come incipit del ciclo e non già come fine, per la corrispon-
denza della Notte con il carro della Luna, principio dei giorni della settimana: tale
scelta strategica permise inoltre di affrontare i due carri della Luna e del Sole e di pro-
porre una sorta di suggestivo enjambement nel volgere circolare delle Età dell’uomo,
dove la Decrepitezza dà la mano all’Infanzia, la Notte all’Aurora. Il continuum della
figurazione, priva di partizioni, era evidentemente congeniale al tema dominante del
tempo.
La disposizione del ciclo subì però alcune correzioni in corso d’opera, fra
sinopia e pittura, che attendono ancora di essere commentate.12 Le tracce di sino-
pia visibili presso i dischi dell’Ora nona/Gioventù e del Vespro/Maturità, ai due
lati di Saturno (fig. 5), mostrano una diversa posizione del sole, corrispondente
all’ora precedente, rispettivamente all’Ora sesta/Adolescenza, col sole allo ze-
nit, e all’Ora nona/Gioventù. Mentre questo secondo disco combacia con quello
dipinto, il precedente era più spostato verso l’angolo della parete. Quest’angolo
meridionale presenta il disco dell’Ora sesta/Adolescenza dipinto a cavallo tra i
due muri, in maniera anomala, non replicata nel corrispondente angolo orientale.
Se la parete breve, sud-orientale, con l’unica finestra affacciata sulla piazza, pre-
sentava nel progetto originale un solo disco, e non pure quello angolare anomalo,
se ne deduce allora che i dischi seguenti slittavano di uno e che la figurazione
astrologica doveva impegnare tutta la parete lunga, sud-occidentale, fino in fondo
(fig. 6). Credo insomma che sotto i troni della Retorica e dell’Aritmetica fosse
prevista la Compieta/Vecchiaia. Dal momento però che ci sono tracce della si-
nopia del carro del Sole, congruenti all’esecuzione,13 si evince che le corrispon-
denze tra i Pianeti e le Ore del giorno/Età dell’uomo erano diverse, slittate di una
unità. In questo modo i due carri del Sole e della Luna sarebbero stati affiancati,
mentre forse non convinceva, sulla parete di fronte, l’improbabile endiadi tra la
Notte/Decrepitezza e Marte, e si preferì cedere il posto a quella tanto più convin-
cente con la Luna.
Una conferma di questa ricostruzione del programma iniziale viene dai resti
di sinopia della parete di testa nord-occidentale, dove ora campeggia la Filosofia,
al centro fra l’Astronomia e la Geometria (fig. 9). Grazie ad una lacuna dell’into-
virgo beata et complete sint etates et completus sit dies et actente quod in matutino non presentatur
etas sed nox, in prima autem etas incipit ut aurora de qua hic mentio adhibetur» (Francesco da
Barberino, Documenti d’amore, 1311-1313 circa, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Barb. Lat.
4076, cc. 76v-77r).
12. Questi pentimenti non sono discussi in nessun punto del volume del 2001 (Il Palazzo Trin-
ci [n. 9]). Li ho segnalati nel mio saggio del 2006 (De Marchi, “Gentile da Fabriano” [n. 9], p. 23),
dove formulavo però un’ipotesi ricostruttiva del progetto originale un po’ diversa da quella che ora
argomento, immaginando che il ciclo dei pianeti iniziasse con due tondi dalla parete sud-orientale
e che le arti liberali dovessero impegnare integralmente le pareti nord-occidentale e nord-orientale.
Vi fa quindi riferimento cursorio Bruno Bruni (“La tecnica esecutiva del cantiere gentiliano di
Palazzo Trinci”, in Palazzo Trinci [n. 9], pp. 133-160, speciatim 136), senza sviluppare nessun
ragionamento.
13. È vero che qui si riscontra una lieve correzione nella posizione della ruota del carro, dise-
gnato un po’ più a destra, ma si tratta di una variante poco significativa.
La percezione panottica delle «camerae pictae» profane 487
naco, nella sinopia si vede un trono lobato più piccolo, spostato verso destra, cui
doveva corrisponderne un altro, in analoga posizione arretrata, a sinistra. Erano
dunque previste quattro cattedre disposte ad esedra, non tre, verosimilmente quel-
le del Quadrivio (Aritmetica, Astronomia, Geometria, Musica), mentre il Trivio
(Retorica, Dialettica, Grammatica) doveva occupare i restanti tre troni, sulla pa-
rete nord-orientale, fino al camino (fig. 8). La compressione del ciclo astrologico
comportò una rivoluzione nella sequenza delle Arti, organizzate attorno alla Filo-
sofia, inizialmente non prevista, e permise anche di far cadere la cesura in corri-
spondenza della porta di accesso dalla Loggia. La soluzione di compromesso fu
quella di porre il disco dell’Ora sesta/Adolescenza a libro, sull’angolo, ma come
abbiamo visto ciò non comprometteva la scansione del ciclo, anzi ne enfatizzava
la circolarità e lo svolgimento inintermesso.
Lo sviluppo di rivestimenti avvolgenti, che negano gli angoli, è comune a
tutte le decorazioni profane tardogotiche. Perfino a Firenze, nella famosa camera
con le storie della Castellana di Vergy, a palazzo Davanzati, le arcate del loggiato
dipinto al vertice delle pareti, cadono a cavaliere degli angoli, a bella posta.14 Ci
concentriamo però su alcuni esempi legati al mondo delle corti dell’Italia supe-
riore. Una delle scoperte più importanti degli ultimi anni riguardo alla pittura
profana di età gotica in Italia settentrionale sono le due camere del palazzo di
Francesco di Marsilio Gonzaga a Mantova, rese note da Vincenzo Gheroldi nel
2009.15 Nonostante la conservazione frammentaria quanto rimane ci restituisce
un’idea molto suggestiva di una decorazione a 360 gradi, che fasciava tutte le
pareti girando sugli angoli, tra i velari appesi in basso e la cornice superiore, in-
cludente anche qui un tralcio di rose e gli stemmi gonzagheschi. La continuità era
assicurata dai fondali fortemente caratterizzanti, come finte stoffe stampigliate e
un tempo punteggiate di rilievi dorati, rossa nella sala dei giochi, blu nella sala
delle caccie. Nella sala rossa i passatempi cortesi, fra cui spicca una coppia se-
duta su una panca intarsiata intenta al gioco degli scacchi, si svolgono contro un
lussureggiante verziere, da cui sbucano frondosi alberi da frutto, che cadenzano
il panopticon, tre sulle pareti lunghe, due su quelle brevi (fig. 10). È come se si
suggerisse il ritmo divagante di una passeggiata, proiettando la vita di società
nella dimensione idealizzata di un viridarium globale. Lo schema è ripetuto nella
sala blu, dove il profilo degli arbusti contro il fondo è più mosso e un balestriere
indirizza la sua freccia contro un uccello nascosto nel folto della chioma di un
albero; al suo fianco una donna dal pittoresco copricapo, vestita coi tre colori
gonzagheschi, rosso verde e bianco, siede a terra, con un ghepardo accoccolato
ai suoi piedi, che si lecca la zampa come un felino domestico, e dall’altra parte
un altro cacciatore chino verso il basso, sta caricando la sua balestra (fig. 11).
14. Vedi Monika Dachs, “Zur ornamentalen Freskendekoration des Florentiner Wohnhauses
im späten 14. Jahrhundert”, Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXXVII
(1993), pp. 73-100.
15. Vincenzo Gheroldi, “Giochi e cacce, per Francesco di Marsilio Gonzaga”, in Una dimora
di Francesco di Marsilio Gonzaga, con testi di Federico Biffi, Andrea De Marchi, Elisabetta Garilli,
Vincenzo Gheroldi e Franco Mondadori, Mantova 2009, pp. 26-53.
488 Andrea De Marchi
16. Pietro Toesca, La pittura e la miniatura nella Lombardia. Dai più antichi monumenti alla
metà del Quattrocento, Milano 1912 (ed. Torino 1987), p. 174, fig. 356. La vicenda critica dell’ope-
ra è ripercorsa da Stefano L’Occaso (Museo di Palazzo Ducale di Mantova. Catalogo generale
delle collezioni inventariate. Dipinti fino al XIX secolo, Mantova 2011, pp. 101-102, cat. 25), che
rimane perplesso di fronte al collegamento con gli affreschi di casa di Francesco di Marsilio Gonza-
ga e propone invece dei rapporti, che non condivido, da una parte con il pavese Maestro dell’ancona
Barbavara, di cultura alla Giovannino de’ Grassi, dall’altra con opere cremonese e bresciane incer-
tamente riferite a Giovanni Bembo, documentato a Mantova nel 1412.
La percezione panottica delle «camerae pictae» profane 489
17. Questo ciclo è riemerso nel 1986. La sala, quasi quadrata, è di modeste dimensioni (5,60
x 6,50 metri, altezza di 3,20 metri). Vedi lo studio di Giovanna degli Avancini, “Il Trentino e la
pittura profana nel Trecento”, in Le vie del Gotico [n. 2], pp. 129-163, speciatim 141-163, e Ead.,
“20. Arco, Castello, Sala degli affreschi”, ibidem, pp. 572-599, che propone una data tra 1364 e
1373 e un collegamento col matrimonio fra Antonio d’Arco e Orsola da Correggio nel 1366, tesi
che contrasta drammaticamente con i dati dello stile e della moda.
18. Vedi in particolare per la «camera d’Amore»: Serenella Castri, “La camera d’Amore: pro-
poste interpretative”, in Castellum Ava. Il Castello di Avio e la sua decorazione pittorica, a cura di
Enrico Castelnuovo, Trento 1987, pp. 199-221; Degli Avancini, “Il Trentino” [n. 17], pp. 130-140,
e Ead., “19.I. Avio, Castello di Sabbionara, Camera di Amore”, in Le vie del Gotico [n. 2], pp. 534-
545; Dunlop, Painted Palaces [n. 9], pp. 123-132. La datazione più probabile sembra quella verso
il 1330, per commissione di Guglielmo III Castelbarco, prima della visita che gli rese il principe
Carlo di Boemia nel 1333.
19. Decisiva è la scoperta del documento del 1397, in cui il capitolo del Duomo cede in affitto
a maestro Venceslao una casa in prossimità di Port’Aquila, su richiesta del vescovo Liechtenstein
(Emanuele Curzel, “Venceslao pittore a Trento. Un nuovo documento per l’attribuzione dei ‘Mesi’
di Torre Aquila?”, in Studi trentini di scienze storiche, LXXIX (2000), 1-2, pp. 5-8).
490 Andrea De Marchi
20. In questi fregi si può verificare la continuità con gli affreschi della cappella del cimitero
di Rifiano, firmati da Venceslao nel 1415, che pur ci mostrano il maestro assai mutato, venti anni
più tardi. Per la filiazione di simili ornati dalla cultura altichieresca del Maestro di San Valentino
a Siusi: Andrea De Marchi, “Illusionismo nordico e spazialità giottesca a Bolzano. L’interferenza
di due culture in un caso esemplare”, in Trecento. Pittori gotici a Bolzano, catalogo della mostra
(Bolzano, Städtisches Museum, 2000), a cura di Andrea De Marchi, Tiziana Franco, Silvia Spada
Pintarelli, Trento 2000, pp. 15-25, speciatim 22-23.
21. Vedi Enrico Castelnuovo, I Mesi di Trento. Gli affreschi di Torre Aquila e il Gotico inter-
nazionale, Trento 1986; Francesca de Gramatica, “21. Trento, Castello del Buonconsiglio, Torre
Aquila”, in Le vie del gotico [n. 2], pp. 600-607.
22. Il palazzo sarebbe stato eretto nel 1391, in seguito al matrimonio della figlia di Cabrino
de’ Roberti, Giovanna, con il marchese Alberto d’Este nel 1388. Cfr. Carlo Ludovico Ragghianti,
Stefano da Ferrara, Firenze 1972, p. 154; Daniele Benati, “Pittura tardogotica nei domini estensi”,
in Il tempo di Niccolò III. Gli affreschi del Castello di Vignola e la pittura tardogotica nei domini
estensi, catalogo della mostra (Vignola, Rocca medievale, 1988), a cura di Daniele Benati, Modena
1988, pp. 43-60: 44-47; Ranieri Varese, “Palazzo Paradiso. Gli affreschi”, in Il Museo Civico in
Ferrara. Donazioni e restauri, catalogo della mostra (Ferrara, Chiesa di San Romano, 1985), a
cura di Elena Bonatti, Firenze 1985, pp. 186-193; Cinzia Fratucello, “Note sull’iconografia degli
affreschi della camera di Ercole nel Palazzo Paradiso a Ferrara”, in Musei ferraresi, XVIII (1999),
pp. 18-39; Chiara Guerzi, Pittori e cantieri della Ferrara tardogotica, da Alberto (1388-1393) a
Nicolò III d’Este (1393-1441), tesi di dottorato, Università di Udine, a.a. 2007/2008, pp. 302-322;
Dunlop, Painted Palaces [n. 9], pp. 43-53.
La percezione panottica delle «camerae pictae» profane 491
intervalli delle travi, che alludeva così a spazi ulteriori e qualificava l’intera com-
plessa apparecchiatura illusionistica come una sorta di corte incantata (fig. 15).
L’idea del continuum narrativo, e non già della scansione di momenti distinti
attraverso partimenti architettonici e riquadrature, governa all’opposto l’inven-
zione suprema della camera arturiana dipinta verso il 1430 o poco dopo da Pi-
sanello per Giovanfrancesco Gonzaga nella sua residenza mantovana (fig. 16).
L’incompiutezza indubbia di questo ciclo pittorico ha fatto molto discutere, ma
può essere meglio compresa se si ragiona sulla percezione prevista per questo
ambiente. Non ci fu infatti un’interruzione improvvisa. La sinopia del Torneo, a
grossi tratti nerastri sull’arriccio, cede il campo sulle altre pareti ad una sinopia
rossa più rifinita e delineata su un intonaco ben levigato e completa anche delle
iscrizioni identificative dei cavalieri erranti. È interessante il fatto che il primo
tipo di sinopia si estenda anche su una porzione delle due pareti limitrofe a quella
del Torneo e l’intonachino sia steso anche su queste, per poi interrompersi, con
un solo punto di contraddizione, in corrispondenza del palco delle donne. Solo
qui, in questo settore alto, l’intonachino si sovrappone sulla sinopia rossa, per
un’evidente correzione in corso d’opera, che voleva rafforzare il raccordo visivo
del palco con la scena del torneo.23 Idea bellissima di Pisanello fu infatti quella
23. Come ben individuato da Tiziana Franco: «Il sovrapporsi della pittura sul disegno in terra
rossa corrispondente alle dame sul palco fu forse compiuto per accentuare questo effetto di dila-
tazione e per equilibrare visivamente la decorazione della parte di fronte dove la descrizione della
selva a fresco e a secco si estende fino alla finestra: di certo è la testimonianza di una correzione in
corso d’opera» (Tiziana Franco, in Pisanello. Una poetica dell’inatteso, a cura di Lionello Puppi,
Cinisello Balsamo 1996, p. 69). A Tiziana Franco (ibidem, pp. 60-71) si deve a mio avviso la sintesi
più equilibrata e condivisibile su questi dibattutissimo ciclo. Richiamo comunque le tesi discordanti
sostenute da Joanna Woods-Marsden, The Gonzaga of Mantua and Pisanello’s Arthurian frescoes,
Princeton 1988 (un libro molto ben documentato e attento agli aspetti tecnici, ma inficiato dalla
datazione insostenibile al tempo di Ludovico Gonzaga, in linea con lo scopritore dei murali, Gio-
vanni Paccagnini, e con la sua spiegazione dell’incompiutezza accidentale; la Woods-Marsden ha
ben argomentato l’importanza dell’accesso dall’angolo nord-occidentale della sala) e Luciano Bel-
losi (“The Chronology of Pisanello’s Mantuan Frescoes Reconsidered”, The Burlington Magazine,
CXXXIV (1992), pp. 657-660). Recente è un saggio di Giuliana Algeri (“Il ciclo pisanelliano”, in
Il Palazzo Ducale di Mantova, a cura di Giuliana Algeri, Mantova 2003, pp. 63-85), che ripropone
una data subito dopo il 1437, per via della concessione in quell’anno dell’onorificenza del collare
del cigno, ipotizzando un’interruzione a causa della precedenza data alle pitture di Pisanello nella
cappella della dimora di Marmirolo. Una data simile cozza con lo stile degli affreschi, precedenti
il San Giorgio Pellegrini (1436 circa) e vicinissimi a mio avviso al frammento con Testa muliebre
del Museo di Palazzo Venezia (per cui cfr. Franco, ibidem, pp. 59-60), che può davvero provenire
dalle perdute Storie di San Giovanni Battista di San Giovanni in Laterano, realizzate fra 1431 e
1432 (non è stato finora notato che dietro alla donna c’è il cinturone di una figura vestita di verde col
tipico gonnellino ampiamente foderato di pelliccia, secondo la moda maschile diffusa fra gli anni
venti e quaranta del Quattrocento, mentre la lamina d’argento sulla sinistra dovrebbe appartenere
al vestito di un’altra figura ancora; sospetto allora che sia un dettaglio dei neofiti che assistono alla
predicazione del Prodromo, in una folla di astanti di ambo i sessi, sontuosamente abbigliati). Per un
riepilogo degli studi vedi inoltre l’ampia scheda di Stefano L’Occaso, in Museo di Palazzo Ducale
[n. 16], pp. 103-108. Sono grato a Stefano L’Occaso che mi ha fornito alcune riprese degli affreschi
mantovani di Pisanello.
492 Andrea De Marchi
24. Contrariamente a quanto talora si afferma (L’Occaso, in Museo di Palazzo Ducale [n. 16],
p. 106: «a uno stadio finito ci rimane solamente la parete del Torneo»).
25. Molto utile è la documentazione raccolta da Marcello Castrichini (Pisanello restauri ed
interpretazioni, Todi 1996), in una pubblicazione che non è stata molto presa in considerazione,
forse per le conclusioni apodittiche e un po’ forzate cui giunge, nel tentativo di accreditare l’idea
di un’interruzione comunque accidentale ed improvvisa. Io credo che l’incompiutezza all’interno
di un’unica giornata, nel palco delle donne, sia intenzionale e risponda ad un calcolo, per graduare
la transizione alla parte seguente lasciata con il disegno a sinopia a vista e abbia una sua logica
per differenziare il lato del palco verso il torneo, più smaltato e luminoso. La tesi poi che i lavori
abbiano preso inizio dalla parete breve nord-orientale non è dimostrabile e non spiega la variante
radicale di sinopia, di altro colore e sull’arriccio, che solo in un secondo momento sarebbe stata
scelta per la parete opposta.
26. In quel frangente Giovanfrancesco Gonzaga ottenne un importante riconoscimento impe-
riale e l’attribuzione del titolo marchionale.
27. L’importanza di questo accesso esterno è ridimensionata da Giuliana Algeri (“Il ciclo”
[n. 23], pp. 65 e 70-72), per via dell’esistenza di altre porte e in particolare di una scala antica nel
luogo dell’attuale scalone delle Duchesse, che però era comunque una scala interna. A suo avviso
l’ingresso principale per gli ospiti sarebbe stato allora dalla porta nell’angolo orientale: entrando
avrebbero dato le spalle al palco delle dame e a gran parte del torneo.
La percezione panottica delle «camerae pictae» profane 493
28. Vedi Marco Folin, “Nei palazzi quattrocenteschi dei Pio: apparati decorativi e organizza-
zione degli spazi di corte”, in Il palazzo dei Pio a Carpi. Sette secoli di architettura e arte, a cura di
Manuela Rossi, Elena Svalduz, Venezia 2008, pp. 51-59; Cristina Deighi, Tania Previdi e Manuela
Rossi, “L’apparato decorativo di palazzo dei Pio”, ibidem, pp. 151-203. Sono grato a Manuela
Rossi, conservatrice del Museo del Palazzo dei Pio, che mi ha generosamente procurato alcune
immagini della camera della Dama.
29. A lui, prima della morte nel 1477, si deve la decorazione delle sale dell’Amore e dei Trion-
fi, intrise di cultura ferrarese vagamente cossesca.
30. C’era poi «Una camera delle ninfe», che però è citata la prima volta solo in un atto del
1468, già al tempo di Leonello.
31. Così è citata rispettivamente in un documento del 1445 e del 1481 (Folin, “Nei palazzi”
[n. 28], p. 52; Dieghi, Previdi e Rossi, L’apparato [n. 28], pp. 157-159). In seguito la camera della
Torre del Passerino venne utilizzata come stanza da letto di Caterina Pico, figlia di Giovanni Pico
della Mirandola, vedova di Leonello e madre di Alberto III. Infondata, per elementari ragioni di
cronologia, è l’idea che la Dama faccia riferimento a lei.
32. Ho sostenuto l’attribuzione a Giovanni da Modena in Andrea De Marchi, “Michele di
Matteo a Venezia e l’eredità lagunare di Gentile da Fabriano”, Prospettiva, LI (1987), pp. 17-36,
speciatim 21, e Id., “Faloppi (Falloppi), Giovanni di Pietro (Giovanni da Modena)”, in Dizionario
biografico degli italiani, vol. 44, Roma 1994, pp. 492-498, speciatim 495 (commentando l’apertura
494 Andrea De Marchi
due angeli, affresco strappato in San Francesco, e a cui si deve anche il cerbiatto
dipinto sotto un arco traforato da archetti, strappato dal muro esterno meridionale
del torrione di Galasso III, successivo al 1443.33 Una data nel cuore degli anni
quaranta sembra probabile anche per le pitture della «camera della Dama», che
presenta la moda borgognona del copricapo a sella della dama, diffusa in quel
decennio. La gracilità nervosa delle figure e degli animali sono del resto in li-
nea con l’ultima evoluzione dell’arte di Giovanni da Modena.34 Coppie di alberi
punteggiano le pareti, a lato della finestra, del camino e della testata dell’alcova,
dove transita una donna a cavallo, additando la coppia dipinta in due mandorle
celesti nella vela soprastante; sull’altra parete, la più sgombra, una donna siede
sotto un aereo baldacchino, con un cagnolino bianco in grembo, simbolo di fe-
deltà, contro un paesaggio con due boschetti ai lati. È come se il verziere, su cui
si affacciava la camera, vi facesse irruzione e la trasfigurasse, grazie all’illusione
di tralci carnosi frastagliati che si espandono lungo i costoloni della volta a cro-
ciera, con invenzione che ha un singolare precedente nella cappella di San Zan
Degolà a Venezia, affrescata alla fine del Duecento dal Maestro del 1324,35 ma
che dialoga in fondo con gli esiti più alti del tardogotico di corte francese, come
la torre di Filippo il Bello a Parigi. Quest’ideale gazebo vegetale doveva stagliarsi
in origine contro fondali azzurri, di cui resta ora il morellone di base, tempestati
di pigne dorate in rilievo.36 Un seguito, ma spalancato su un’illusione di paesaggi
ormai rinascimentali, si avrà poco lontano nella «camera dorata» del castello di
Torchiara presso Parma, affrescata sulla volta e sulle pareti dal cremonese Bene-
detto Bembo, nel 1462.37 Sulla crociera, irrorata contro l’azzurro dal sole e dalle
illusionistica «tutt’intorno verso un unico paesaggio percorso da cavalcate signorili, con un’idea
memore delle potenti scenografie della cappella Bolognini»). In precedenza questi affreschi erano
stati avvicinati al Faloppi da Carlo Volpe (“La pittura gotica. Da Lippo di Dalmasio a Giovanni da
Modena”, in La Basilica di San Petronio in Bologna, Bologna 1983, pp. 213-294, speciatim 292
nota 30), che però li teneva distinti e li connetteva ad un disegno a penna e biacca su carta azzurra
con personaggi a cavallo del Kupferstichkabinett di Dresda (inv. C 150), da ricondurre pure al mo-
denese (cfr. Lorenza Melli, I disegni italiani del Quattrocento nel Kupferstich-Kabinett di Dresda,
Firenze 2006, pp. 30-35, come Giovanni da Modena; avevo già proposto questa attribuzione in
De Marchi, “Michele di Matteo” [n. 32], p. 21). Vicini, ma distinti da Giovanni, sono gli affreschi
carpigiani anche per Daniele Benati (“Pittura tardogotica” [n. 22], p. 56).
33. Vedi Alfonso Garuti, Carpi, Museo Civico “Giulio Ferrari”. I dipinti, Bologna 1990, p. 23.
34. A sostegno dell’attribuzione a Giovanni da Modena si veda ad esempio la caratterizza-
zione del muso del cavallo su cui monta la dama, dai tratti spigolosi e dall’espressione perfida, a
confronto con gli stessi animali, dromedari e asini, del seguito dei magi nella cappella Bolognini.
35. Cfr. Ludovico V. Geymonat, “Stile e contesto: gli affreschi di San Zan Degolà a Venezia”,
in Venezia e Bisanzio, a cura di Clementina Rizzardi, Venezia 2005, pp. 513-579.
36. Questi affreschi sono stati scoperti nel 1920 e negli anni sessanta del secolo scorso sono
stati oggetto di un restauro un po’ invasivo, che ha risarcito ampiamente la stesura del morellone;
sulla parete meridionale, con la Dama a cavallo, e su quella occidentale, con le tracce del camino,
restano lacerti dell’azzurrite sovrammessa.
37. Vedi Joanna Woods-Marsden, “Pictorial legitimation of territorial gains in Emilia. The
iconography of the Camera Peregrina Aurea in the Castle of Torchiara”, in Renaissance Studies
in Honor of Craig Hugh Smyth. 2. Art, architecture, a cura di Andrew Morrogh, Fiorella Superbi
Gioffredi, Florence 1985, pp. 553-570.
La percezione panottica delle «camerae pictae» profane 495
fiamme dorate, gira un panorama a 360 gradi, senza soluzione di continuità tra
costolone e costolone, in cui sono proiettati i colli e i castelli circostanti, dominî
del signore Pier Maria de’ Rossi, riproponendo in maniera più esplicita e didasca-
lica un’idea presente nella camera dei Mesi di Torre Aquila a Trento. Al tempo
stesso la rappresentazione dell’amata, Bianca Pellegrini, peregrinante fra questi
colli per gioco onomastico, suggerisce l’idea di una diacronia ciclica e senza
fine, dilata e traspone i limiti del paesaggio realistico nella dimensione mentale
e sconfinata dell’amore idealizzato, petrarchesco, che abbaglia, sovrasta e tutto
abbraccia.
496 Andrea De Marchi
Fig. 1. Taddeo Gaddi, incorniciature del ciclo di Storie della Vergine. Firenze, Santa Croce, cap-
pella Baroncelli.
La percezione panottica delle «camerae pictae» profane 497
Fig. 2. Pittore italiano attivo ad Avignone verso il 1340, Scene di caccia e di pesca. Avignon, Pa-
lais des Papes, camera della Garde-Robe o del cervo.
498 Andrea De Marchi
Fig. 3. Altichiero, Sogno di Carlo Magno e concilio prima della presa di Pamplona. Padova, Ba-
silica del Santo, cappella di San Giacomo.
Fig. 4. Maestro della Dormitio di Terni, Danza al cospetto di Teseo. Spoleto, Cassero, camera di
Marino Tomacelli.
La percezione panottica delle «camerae pictae» profane 499
Fig. 5. Bottega di Gentile da Fabriano, Saturno tra l’Ora nona (Gioventù) e il Vespro (Maturità).
Foligno, Palazzo Trinci, camera dei pianeti e delle arti.
500 Andrea De Marchi
ARTI
LOGGIA DELLA LIBERALI
FONDAZIONE DI
ROMA
PIANETI PASSAGGIO
PASSAGGIO
ETA’ COPERTO
COPERTO
SALA DEGLI DELL’ NEUF
NEUF
IMPERATORI UOMO, ORE PREUX
PREUX
ETA’
ETA’
DELL’UOMO
DELL’UOMO
ARTI
LOGGIA DELLA LIBERALI
FONDAZIONE DI
ROMA
PIANETI PASSAGGIO
PASSAGGIO
ETA’ COPERTO
COPERTO
SALA DEGLI DELL’ NEUF
NEUF
IMPERATORI UOMO, ORE PREUX
PREUX
ETA’
ETA’
DELL’UOMO
DELL’UOMO
Fig. 6. Foligno, Palazzo Trinci, camera dei pianeti e delle arti, piano iconografico primitivo dei
pianeti.
Fig. 7. Foligno, Palazzo Trinci, camera dei pianeti e delle arti, piano iconografico definitivo dei
pianeti.
La percezione panottica delle «camerae pictae» profane 501
ARTI
LOGGIA DELLA LIBERALI
FONDAZIONE DI
ROMA
PIANETI PASSAGGIO
PASSAGGIO
ETA’ COPERTO
COPERTO
SALA DEGLI DELL’ NEUF
NEUF
IMPERATORI UOMO, ORE PREUX
PREUX
ETA’
ETA’
DELL’UOMO
DELL’UOMO
QUADRIVIUM TRIVIUM
ARTI
LOGGIA DELLA LIBERALI
FONDAZIONE DI
ROMA
PIANETI PASSAGGIO
PASSAGGIO
ETA’ COPERTO
COPERTO
SALA DEGLI DELL’ NEUF
NEUF
IMPERATORI UOMO, ORE PREUX
PREUX
ETA’
ETA’
DELL’UOMO
DELL’UOMO
QUADRIVIUM TRIVIUM
Fig. 8. Foligno, Palazzo Trinci, camera dei pianeti e delle arti, piano iconografico primitivo delle
arti liberali.
Fig. 9. Foligno, Palazzo Trinci, camera dei pianeti e delle arti, piano iconografico definitivo delle
arti liberali.
502 Andrea De Marchi
Fig. 10. Maestro di Francesco di Marsilio Gonzaga, Giochi cortesi. Mantova, casa di Francesco di
Marsilio Gonzaga, sala rossa o dei giochi, visione panottica.
Fig. 11. Maestro di Francesco di Marsilio Gonzaga, Scene di caccia. Mantova, casa di Francesco
di Marsilio Gonzaga, sala blu o delle caccie, visione panottica.
La percezione panottica delle «camerae pictae» profane 503
Fig. 12. Bottega del Maestro del Redentore, Giochi cortesi. Arco, Rocca.
504 Andrea De Marchi
Fig. 13. Pittore veronese circa 1330, velari con Scene cortesi. Sabbionara d’Avio, castello, camera
d’amore.
Fig. 14. Maestro Venceslao, Ciclo dei mesi. Trento, Castello del Buonconsiglio, Torre Aquila.
La percezione panottica delle «camerae pictae» profane 505
Fig. 15. Pittore ferrarese circa 1390-1395, Storie di Ercole. Ferrara, Palazzo del Paradiso, camera
di Ercole.
Fig. 16. Pisanello, Storie arturiane. Mantova, Palazzo ducale.
506 Andrea De Marchi
Fig. 17. Pisanello, Storie arturiane. Preparazione alla grande melée nel castello de la Marche.
Mantova, Palazzo ducale.
La percezione panottica delle «camerae pictae» profane 507
Fig. 18. Pisanello, Storie arturiane. Palco delle donne e preparazione alla grande melée nel ca-
stello de la Marche. Mantova, Palazzo ducale.
508 Andrea De Marchi
Fig. 19. Giovanni da Modena, Allegorie cortesi. Carpi, Castello dei Pio, torre del Passerino, ca-
mera della dama.
Fig. 20. Giovanni da Modena, Allegorie cortesi. Carpi, Castello dei Pio, torre del Passerino, ca-
mera della dama.