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(Il Diritto d'Autore nel Web 2.0)
docente: Marco Scialdone
Nel corso degli ultimi anni l'opera di studiosi come Lawrence Lessig 1 ha
portato all'attenzione di un pubblico più ampio rispetto a quello tradizionale degli
“addetti ai lavori” quale intrinseco legame sussista tra la regolamentazione
giuridica della creatività e il grado di libertà culturale di un popolo.
Una simile relazione potrebbe apparire a prima vista forzata, finanche
eccessiva. Nel prosieguo della trattazione si cercherà di dimostrare che essa esiste
e non è affatto aleatoria.
Nella prefazione del volume “Cultural Environmentalism @ 10”2 Lessig
prende le mosse dal film/documentario di Al Gore 3, “Una Scomoda Verità
(Unconvinienth Truth)” nel cui incipit viene svolta un'argomentazione che se
riconosciuta come vera conduce la maggior parte di noi a ritenere che il
riscaldamento globale non possa essere un problema che origina da responsabilità
umane.
L’affermazione è che siamo troppo piccoli rispetto all’intero globo
terrestre perché gli uomini possano davvero avere a che fare con il cambiamento
climatico. Sicuramente Los Angeles potrà soffrire per lo smog delle sue troppe
automobili, ma siamo seri, guardiamo una qualsiasi cartina geografica… Los
Angeles è soltanto un punto infinitesimale in uno spazio enorme!
Nel corso del film fatti, dati, ricerche dimostrano che questa affermazione
è erronea. Una volta che ci si sia resi conto di ciò non è possibile non pensare di
dover cambiare il proprio comportamento.
Lessig ricorda come dieci anni fa un gruppo di studiosi, tra cui James
Boyle, concentrò la propria attenzione su un concetto parallelo a quello enunciato
da Gore. Il loro punto di attenzione non era rappresentato però dall’ambiente
fisico ma da quello culturale. Molti non riuscivano allora a vedere come un angolo
tradizionalmente angusto del diritto chiamato “intellectual property” potesse
influenzare in maniera significativa la cultura e la diffusione della conoscenza.
Esattamente come è accaduto per l’inquinamento ambientale, un numero
sempre crescente di individui si rende conto del fatto che le modalità con cui la
circolazione delle informazioni è regolata influisce sul grado di libertà culturale di
una nazione e sulla sua libertà di espressione.
Naturalmente, dice Lessig, non si vuole sostenere che la regolamentazione
giuridica della creatività sia sbagliata. Non si tratta di incitare
all’anarchia/pirateria. Non c’è nessun dubbio che una certa regolamentazione
imposta dal diritto d’autore sia una cosa buona. Ma il fatto che la presenza di
1 Lawrence Lessig (South Dakota, 3 giugno 1961) è un giurista statunitense. È professore di legge alla Stanford Law
School e fondatore dello Stanford Center for Internet and Society (Centro per Internet e la società). È fondatore e
amministratore delegato di Creative Commons, nonché membro del consiglio direttivo della Electronic Frontier
Foundation e di quello del Software Freedom Law Center, costituito nel Febbraio 2005. È noto soprattutto come
sostenitore della riduzione delle restrizioni legali sul diritto d'autore, sui marchi commerciali (trademark) e sullo
spettro delle frequenze radio, in particolare nelle applicazioni tecnologiche. (fonte WIKIPEDIA)
2 AA.VV., Cultural Environmentalism @ 10, disponibile al seguente indirizzo
http://www.law.duke.edu/journals/lcp/lcptoc70spring2007
3 Al Gore - all'anagrafe Albert Arnold Gore, Jr. - (Washington, 31 marzo 1948) è un politico statunitense. È stato il
45° Vicepresidente degli Stati Uniti d'America (1993-2001) durante la presidenza di Bill Clinton. Gore ha ottenuto il
Premio Nobel per la pace 2007 (assegnatogli il 12 ottobre), per il suo impegno in difesa dell'ambiente. (fonte
WIKIPEDIA)
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alcune regole sia una cosa buona non significa che più regole migliorino la
situazione.
Torniamo indietro nel tempo. Guardiamo alla storia del diritto d’autore. Se
quest'ultima fosse una canzone il suo refrain sarebbe sicuramente “ricreare la
scarsità”.
A fronte di una “nuova tecnologia” in grado di rendere agevole la
produzione di copie a partire dall'originale, si è chiesto al legislatore di ricreare
quella scarsità della risorsa che, altrimenti, sarebbe andata irrimediabilmente
persa, con conseguente decremento del suo valore di mercato.
Rispetto, infatti, alla normale evoluzione del diritto, che comincia a
formarsi più di duemila anni fa, il diritto d'autore affonda le sue radici nell'età
moderna, allorquando con l’invenzione della stampa e con la conseguente crescita
dell’attività editoriale si determina il prodursi di forti interessi economici legati
alla circolazione di un elevato numero di esemplari stampati. Può ben dirsi, a tal
proposito, che la regolamentazione della riproduzione e della circolazione delle
opere ha preceduto il formarsi di un complesso normativo organico preposto alla
tutela delle opere dell'ingegno. L'importanza della stampa fu tale che per lungo
tempo l'evoluzione del diritto d'autore coincise con quella dei cosiddetti “privilegi
librari” predecessori dell'attuale diritto di riproduzione4.
Non mancano, ad onor del vero, esempi di proprietà letteraria presso
popoli primitivi: tra i Boscimani è possibile rinvenire delle iscrizioni rupestri che
sanciscono la regola per la quale “nessuno può toccare una pittura rupestre sin
quando l'autore o la sua famiglia siano ancora in vita”5.
Nell'Antica Grecia non erano previste forme di tutela nei confronti della
proprietà intellettuale. Mancava, in verità, finanche una nozione specifica di
proprietà tout court, che è conquista della giurisprudenza romana: la proprietà era
concepita come un possesso momentaneamente libero da pretese altrui6.
Le opere erano così trascritte, manipolate, adattate, in un processo di
continua evoluzione che, tuttavia, non era considerato illecito giacché consentiva
di conservare il ricordo delle gesta ivi narrate. Per gli antichi Greci l'immortalità
era correlata al ricordo, ossia al fatto che le future generazioni potessero
continuare a conoscere ed emozionarsi nell'ascolto dell'opera, a prescindere dal
fatto che la stessa fosse stata alterata rispetto alla sua originaria formulazione.
Tuttavia il plagio, la copia pedissequa, l'appropriarsi dell'opera altrui
spacciandola per propria non era tollerato: emblematico è il caso del concorso
letterario tenutosi al tempo dei Tolomei in onore di Apollo e le Muse7.
Sette letterati, tra cui Aristofane il grammatico, erano stati chiamati a far
parte della giuria. Nel valutare le poesie ascoltate, sei dei letterati avevano deciso
di premiare i poeti che avessero riscosso i più lunghi applausi da parte del
pubblico intervenuto. Solo Aristofane si discostò da quel giudizio, sostenendo che
le poesie recitate appartenevano ad altri autori.
Dal raffronto con le opere contenute in alcuni volumi delle celebre
biblioteca di Alessandria risultò evidente il plagio e i poeti incriminati furono
obbligati ad abbandonare la città.
Nell'antica Roma agli autori non erano riconosciuti necessariamente i
4 Carretta P., Di Cicco V., Succi T., Il diritto d'autore: tutela penale e amministrativa, Experta Edizioni 2006, p. 53
5 Mancini L., Alle origini del diritto d'autore, in Il Diritto D'Autore, n. 3/2008, pag. 426
6 Paoli, La difesa del possesso in diritto attico, Studi Albertoni, Padova 1937, pag 311
7 L'episodio è riportato da Mancini L., in op. cit. pag 427
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diritti patrimoniali dell'opera, dato che, una volta pubblicata, l'opera si identificava
con il suo supporto materiale, cosicché i diritti patrimoniali venivano riconosciuti
a chi avesse acquistato quest'ultimo. Già Seneca, ad esempio, notava come il
libraio Doro parlasse dei libri di Cicerone come se fossero suoi, e sottolineava
come fosse nel vero sia il libraio sia coloro che attribuivano i libri all’autore.
Nonostante la mancanza di specifici precetti legislativi, numerosi sono i
casi che dimostrano come l’opera dell’ingegno fosse in grado di recare un
beneficio pecuniario al suo autore. Svetonio ricavò seicento sesterzi della vendita
della sua opera principale, “Analisi critica degli annali di Ennio”; Maziale
racconta di come il suo primo libro di Epigrammi fosse in vendita per sei sesterzi,
sia pur lamentandosi che l’editore trattenesse per sé buona parte del guadagno8.
Nel medioevo la cultura abita nei chiostri dei monasteri. La riproduzione
delle opere è arte laboriosa e costosa. Ogni manoscritto ha colori, ghirigori, e tutta
una particolare creatività artistica. Grazie all’estro e alla fantasia del monaco ogni
libro diventa un’opera unica. Il mercato poi, è molto limitato. Per queste ragioni le
questioni relative ad eventuali copie abusive non si pongono. Pirati sono
considerati solo quelli che solcano i mari, e non, per esempio, quelli che ricopiano
le opere del Filosofo Aristotele. Con la nascita delle università e la diffusione
della cultura laica, aumenta la richiesta di amanuensi e spuntano vere e proprie
officine scrittorie.
Un barlume di tutela viene quindi a svilupparsi solo nella tarda metà del
quindicesimo secolo a Venezia con i primi privilegi concessi dal governo
repubblicano ad autori e librai.
D’altro canto nella prima metà del 1400 l’invenzione della stampa a
caratteri mobili ha consentito l’avvio dell’industria libraria: le dimensioni
dell’èlite alfabetizzata dell’occidente ed il suo benessere economico e livello
culturale sono ormai cresciuti al punto da garantire ad autori e librai un sufficiente
mercato di sbocco, assai più ampio di quello precedentemente affidato
all’economia curtense e al mecenatismo.
Il privilegium impressionis operum concede la libertà di stampare un'opera
in esclusiva per un periodo di tempo limitato, dunque esonerando
temporaneamente il singolo stampatore dalla concorrenza cui sarebbe stato
naturalmente esposto in assenza di coperture legislative9.
Il privilegio è, dunque, vincolato alla pubblicazione dell'opera e la
protegge solo nella misura in cui essa è resa disponibile per il pubblico: il diritto
non sussiste sull'opera in quanto tale, ma in quanto pubblicata. E' questa la ragione
per cui, in molti casi, il privilegio decadeva laddove la pubblicazione tardasse a
venire oppure allorquando l'opera fosse, in un secondo momento, ritirata dal
commercio10.
conservatorio potrai rilasciare copia a chichessia senza il consenso scritto degli autori, in seguito del quale il
Ministro ne abbia rilasciato le licenze.
8. Una compagnia o un impresario che voglia rappresentare o far rappresentare la prosa o la musica, dee
giustificare presso il soprintendente de’ teatri, o presso l’intendente della provincia ove la rappresentazione vuol
farsi, che ne abbia ottenuto il consenso dagli autori suddetti. Nel caso che costoro pretendano per tale consenso un
premio esorbitante, il Ministro dell’interno, udita la commissione degli spettacoli, potrà ridurlo al giusto.
L’inosservanza di questo articolo dà diritto agli autori di domandare in giudizio le indennizzazioni per abuso della
proprietà altrui.
21 Una disposizione simile si rinviene anche nel Decreto sovrano 22 dicembre 1840 n. 240 del Ducato di Parma, Pia-
cenza e Guastalla, riguardante la proprietà delle opere scientifiche, letterarie ed artistiche, il cui articolo 21 così recita -
va: “Quando le riduzioni per diversi stromenti, gli estratti od altri adattamenti di composizioni musicali potranno ri-
guardarsi come produzioni dell’ingegno, non verranno considerate come contraffazione”.
Link Campus University – Prof. Avv. Marco Scialdone 2011
che altro scopo non abbiano se non quello di conservare il presente senza porsi il
problema di pensare e progettare il futuro.
Se innegabile è un’esigenza di tutela dell’opera, al fine di promuovere
l’attività creativa in tutte le sue forme, e quindi la necessità di un’attività
repressiva del mercato della contraffazione, altrettanto innegabile è che tale tutela
non può tramutarsi in una difesa ad oltranza e dissennata dei diritti economici a
scapito di una fruizione il più possibile diffusa dell’opera.
Le nuove tecnologie hanno abilitato nuove concezioni del diritto d’autore:
non prenderne atto sarebbe come ostinarsi a far indossare un vestito, sia pur di
pregevole fattura, cucito per una persona di modesta altezza ad una di altezza
elevata. Quest’ultima risulterebbe inevitabilmente goffa. Ed è così che il diritto
d’autore appare in questa fase storica: goffo, giacché lontano dalle tecnologie che
su quella normativa vanno ad inferire.
I file musicali mp3, i file video DivX, le reti P2P, il mondo del codice
aperto, di GNU/LINUX e dell’open source, il mondo delle licenze Creative
Commons e dell’open access stanno contribuendo a delineare un nuovo diritto
d’autore, basato sulle idee di condivisione e di collaborazione di massa.
Si può, in conclusione, notare come la battaglia che in questi anni si sta
giocando sul terreno del diritto d’autore, per renderlo compatibile con la natura
geneticamente anarchica di internet, non riguarda solo le prerogative degli autori o
dei titolari dei diritti, né riguarda soltanto l’individuazione delle regole giuridiche
migliori per incoraggiare la creatività. Si tratta anche e soprattutto di una battaglia
per la salvaguardia di nuovi linguaggi abilitati dalle tecnologie informatiche e,
dunque, in ultima istanza si tratta del rapporto tra diritto d’autore e libertà di
manifestazione del pensiero.