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Clinica Medica-Oncologia Medica, Prof.

Maio
03 marzo 2020, lezione n°2

Sbobinatore: Andrea Menon, Arianna Calonaci


Revisionatore: Vanessa Casandra, Gaia Dini

Oggi verrà introdotta in linea generale la terapia medica nel paziente oncologico. Si partirà analizzando i
settings clinici di trattamento, il paziente deve essere infatti inquadrato per poter scegliere la terapia
adeguata. Analizzeremo poi la chemioterapia, l’ormonoterapia, la target therapy e l’immunoterapia come
macroesempi di strategie terapeutiche del cancro soffermandoci su quella che è stata la loro evoluzione nella
storia della medicina.
È utile riprendere il concetto della classificazione TNM (vedi lezione precedente) importante perché
permette di uniformare le informazioni in merito ad un determinato pz, si rende così univoca la lettura
dell’estensione della malattia a livello internazionale.
Abbiamo svariate opzioni terapeutiche che possono essere prese in considerazione per il trattamento del
cancro; queste sono:
● hormone therapy
● chirurgia
● trapianto di midollo osseo
● chemioterapia
● targeted therapy
● radioterapia
● immunoterapia
Le possibilità di trattamento sono quindi svariate.
In prima analisi è fondamentale l’analisi del TNM e della condizione clinica complessiva del pz (es. un
soggetto di trent’anni è diverso da uno di ottanta, il trattamento deve considerare questi aspetti) valutando
anche lo stato emotivo del pz (esistono pz che rifiutano trattamento medico, pz complianti e pz che vogliono
essere informati delle scelte terapeutiche, ‘’atteggiamento anglosassone’’), da analizzare poi è l’istotipo
tumorale.
Circa il 30% dei pz che si incontrano nell’attività medica sono pz tumorali, bisogna sapere quindi valutare il
setting clinico indipendentemente dal fatto che si faccia gli oncologi o altre specialità; dire che un pz
presenta un k senza contestualizzarlo nel setting clinico del pz non ha alcun valore.
Nella valutazione del setting clinico del paziente acquisiscono molta importanza le seguenti scale che ci
consentono di comprenderne le condizioni cliniche:

1) Karnofsky performance status

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2) Ecog performance status

La scala Ecog è più utilizzata in Europa rispetto alla scala Karnofsky.


Assegnare un valore attraverso l’utilizzo di queste scale cliniche al pz in analisi è fondamentale nella
comunicazione con i colleghi, nella scelta del trattamento terapeutico più adatto al pz stesso. Due pz che
presentano la stessa patologia per caratteristiche istotipiche e biomolecolari possono necessitare di interventi
terapeutici differenti per i diversi settings clinici.
How many settings?
- Terapia neoadiuvante: trattamento dato come primo step per favorire il downstaging tumorale prima
dell’intervento chirurgico, che rende anche più conservativo l’intervento chirurgico stesso; prima
dell’intervento chirurgico si valuta se il tumore in analisi risponda bene e sia quindi sensibile ad un
intervento medico e così si opta o meno per il trattamento medico pre-intervento. Per trattamento
neoadiuvante non si intende solo la chemioterapia, ma anche la radioterapia, l’ormonoterapia la targeted
therapy.
Es. Per il trattamento di un K pancreas la terapia neoadiuvante non è funzionale in quanto il k pancreatico
spesso è resistente al trattamento chemioterapico

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-Terapia adiuvante: trattamento medico dato dopo un intervento chirurgico radicale per diminuire il rischio
di recidive della patologia tumorale, per aumentare l’intervallo libero di malattia, ed in ultima analisi per
aumentare la sopravvivenza del pz stesso.
Es. terapia spesso utilizzata dopo rimozione k colon
-Terapia palliativa: cura offerta al pz per diminuire sintomatologia e migliorare la qualità della vita nel
momento in cui la malattia è ormai incontrollabile. L’obbiettivo delle cure palliative è quello di prevenire o
trattare i sintomi correlati alla patologia, gli effetti collaterali del trattamento in corso e i problemi sociali,
psicologici e spirituali collegati alla malattia stessa. Entra in atto quando l’oncologo non ha più spazio di
manovra; è un intervento che non compete all’oncologo, in quanto si configura quando il pz ha fatto il suo
percorso terapeutico e non si possono più offrire cure per trattare la patologia tumorale, spetta quindi al
medico che si interessa di cure palliative. Assegnare questa tipologia di cure all’oncologo significherebbe
snaturare l’azione dell’oncologo stesso togliendogli tempo da dedicare a pazienti che necessitano invece di
cure oncologiche vere.
Treatment goals with line of therapy:

Nel trattamento di prima linea siamo nella fase in cui si può incidere di più sulla malattia, è la fase in cui
bisogna ‘’sparare tutte le cartucce’’, in cui il setting clinico del pz è migliore e bisogna cercare di fare il
massimo. È logico investire di più in termini economici in questa fase. È quindi la fase in cui vi è la più
importante risposta del tumore al trattamento.
Ad esempio nel k del pancreas dopo che si fallisce il trattamento di prima linea vi è il deserto, ovvero non ci
sono altre opzioni terapeutiche in grado di modificare la storia naturale della malattia, bisogna quindi
giocarsi tutto subito.
Evoluzione del trattamento tumorale
Prima tappa cardine nel trattamento del cancro è la chirurgia, fino al 1900 unica tecnica disponibile. Spesso
si ricorreva ad interventi radicali (es. amputazione degli arti in pz con melanoma) che non risultavano però
incidere nella storia naturale del pz.
Nel 1903 il radio, scoperto dai coniugi Curie, si dimostra efficace nella terapia tumorale: è la nascita della
radioterapia
Negli anni ’40 vi è poi la chemioterapia. La chemioterapia nasce in Italia, in quegli anni c’era
FARMITALIA viene sintetizzata l’adriamicina tra i primi farmaci chemioterapici; la chemioterapia si rivela
molto utile contro i k solidi e ancor di più nelle neoplasie ematologiche; con l’avvento della chemioterapia la
mortalità della LAL cala infatti drasticamente.

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Vengono quindi introdotti i primi protocolli polichemioterapici nel trattamento dei linfomi, che non hanno
subito importanti modifiche dagli schemi iniziali.
Negli anni ’80 la comprensione delle alterazioni dei meccanismi molecolari nella cellula neoplastica è alla
base di una nuova strategia terapeutica, la targeted therapy. Questi farmaci hanno come targets pathway
molecolari che non sono necessariamente presenti in tutti i tumori (es. nel k del polmone possono essere
utilizzati farmaci che agiscono contro ALK e ROS, le mutazioni di ALK sono però presenti solo nel 3-4%
dei pz con k polmonare), si individuano così solo dei sottogruppi su cui il trattamento è efficace. È l’inizio
della medicina personalizzata. La caratterizzazione molecolare del k consente quindi una terapia mirata ad
un bersaglio specifico.
Di ultima scoperta infine, nel 2010, è l’immunoterapia. Essa usa farmaci che hanno come bersaglio il sistema
immunitario del pz, hanno come target terapeutico il sistema immunitario che viene stimolato per
potenziarne la capacità di riconoscere e distruggere le cellule tumorali. Sono farmaci ad altissimo potenziale
e costo. L’immunoterapia è l’ultima frontiera del trattamento contro il cancro. Si è visto come questi farmaci
possano avare la capacità di modificare la storia naturale del pz oncologico aumentandone la sopravvivenza.
Ad esempio nel k del polmone, eccezion fatta per i tumori ALK+, i diversi trattamenti scoperti nel corso
della ricerca clinica fino a fino 7/8 anni fa non avevano portato a grandi cambiamenti nella storia naturale del
pz e della sua sopravvivenza. Con l’avvento dell’immunoterapia come poi analizzeremo questo è in parte
cambiato.
Le tecniche terapeutiche spesso si intrecciano, ad esempio la radioterapia raramente viene utilizzata da sola
spesso è invece post-surgery, le diverse tecniche possono essere usate quindi in sequenza o in combinazione.
Il ragionamento terapeutico non deve essere visto solo come una cosa monolitica ma spesso c’è la possibilità
di combinare tecniche (es. chemio + immunoterapia). Il ragionamento complessivo prevede quindi l’analisi
di diversi fattori prima di decidere qual è la migliore strategia terapeutica per pz in analisi.
Si decide quindi in funzione dell’estensione della malattia, delle caratteristiche biomolecolari del k, del
setting clinico pz e di ciò che si può immaginare come strategia di seconda e terza linea. Bisogna avere molto
chiaro l’algoritmo terapeutico per sapere come agire e informare lo stesso pz, bisogna vagliare con il pz il
percorso terapeutico nelle sue svariate opzioni; il pz oncologico è un pz che si rivede, bisogna ‘’fidelizzarlo’’
al nostro ragionamento, deve avere chiaro l’iter che si affronterà passo per passo, solo così ci sarà
accettazione e adesione alla terapia.
Panoramica dei trattamenti clinici
Bisogna avere bene in testa tutte le diverse opzioni terapeutiche e le loro differenze che si sia oncologi o
meno. Un concetto fondamentale è che mentre la chemioterapia e la target therapy agiscono direttamente sul
tumore, effetto di danno cellulare sulla cellula tumorale, l’immunoterapia invece ha un meccanismo più
lento, indiretto agisce infatti attraverso una stimolazione del sistema immunitario, a seconda poi del livello
sui cui agisce il farmaco immunoterapico necessiterà di più o meno tempo.
Questo ci fa capire perché abbiamo risposte al trattamento e tossicità diverse a seconda dei diversi
trattamenti.

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Ripartiamo in questa
panoramica dalla
chemioterapia; essa viene
oggigiorno utilizzata anche
se sempre di meno come
trattamento standard di
alcuni tumori. Ha un effetto
diretto citotossico. Le vie di
somministrazione
chemioterapiche sono
diverse:
● somministrazione
endovenosa: la forma più
comune
● somministrazione
orale
● HIPEC ( Hyperthermic Intraoperative Peritoneal Chemotherapy) usata per trattare tumori con
diffusione intraperitoneale ( k ovaio, k stomaco) . L’ HIPEC rilascia direttamente il chemioterapico
nella cavità addominale dopo l’intervento chirurgico. Nella pratica non è molto utilizzata in quanto
non porta a grandi cambiamenti nella sopravvivenza del pz.
I farmaci chemioterapici possono essere così classificati:

Si individuano i seguenti meccanismi d’azione:


(La professoressa ricorda il ruolo di:
1. agenti alchilanti: queste molecole agiscono inserendo dei gruppi alchilici fra i due filamenti
che costituiscono la doppia elica di DNA. In questo modo, impediscono la replicazione del
DNA e, secondariamente, inducono un'alterazione nella trascrizione di RNA.
2. inibitori della topoisomerasi sono composti chimici che bloccano l'azione della topoisomerasi,
enzimi che mantengono la conformazione a doppia elica del DNA.)

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Ci sono dosaggi e schemi ben
standardizzati di questi farmaci, a seconda
delle caratteristiche farmacocinetiche e
tossicologiche.
Si ricorda il ruolo ancora cardine delle
antracicline nel trattamento del k
mammario e del fluorouracile in ev nel k
del colon, oggi superato dalla
somministrazione orali di capecitabina.
Side effects della chemioterapia:
● stanchezza
● rischio infettivo
● febbre
● nausea e vomito
● perdita di appetito
● tossicità midollare
● irritazione o ulcere buccali (mucosite)
● diarrea o costipazione
● perdita di capelli e peli
● oligomenorrea o amenorrea
● difficoltà nella concentrazione o perdita memoria breve termine
Un’altra grossa categoria di farmaci è riferibile alla terapia ormonale, Strategia terapeutica specifica per
alcuni tipi di k ormonosensibili in cui la deprivazione ormonale ha un forte impatto. Abbiamo ad esempio i
farmaci antiestrogeni che nel k mammario sono utili come terapia adiuvante in quei tumori ormonosensibili
per ridurre significativamente il rischio di ricorrenza.
Gli inibitori dell’aromatasi invece agendo a livello periferico (tessuto adiposo, tessuto muscolare) vanno ad
inibire l’attività di questo enzima, che consiste nell’aromatizzazione degli androgeni in estrogeni; come
conseguenza avremo una sensibile riduzione nella produzione di questi ultimi. Possono trovare impiego nel
trattamento del k mammario per esempio. Vengono somministrati rigorosamente in post-menopausa
Si ricordano poi i farmaci che inibiscono rilascio gonadotropine.
Side effects della terapia ormonale:
In termini di tossicità sono molto meno impattanti rispetto ai farmaci chemioterapici. Interferiscono
comunque nella sfera sessuale, da tenere particolarmente in considerazione nel pz giovane.
● aumento peso corporeo
● vampate di calore
● nausea
● infertilità
Nelle donne
● assenza o ciclo mestruale irregolare
● Secchezza vaginale
Nell’uomo
● impotenza
● diminuzione del desiderio sessuale
● ginecomastia

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Analizziamo ora la targeted theraphy: l’aver identificato le caratteristiche biomolecolari tumorali consente
un'altra grossa strategia terapeutica basata sul bersaglio molecolare. La Targeted theraphy è già inserita nella
pratica clinica come trattamento standard di molti k solidi
Si possono identificare due grosse categorie:
- Small molecule drugs: sono molecole talmente piccole da poter entrare facilmente all’interno della
cellula, vengono quindi utilizzate per targets intracellulari. Sono prevalentemente inibitori tirosin-
chinasici, quindi inibitori di pathway importanti per la proliferazione.
- monoclonal antibodies: sono proteine che agiscono su specifici targets delle cellule tumorali:
agiscono sul segnale di trasduzione, sull’angiogenesi, come modulatori dell’espressione genica. Si
vedranno nello specifico affrontando le singole patologie.
Esempi di targeted therapy sono:
Il Trastuzumab, farmaco approvato nel 1998, ha come bersaglio molecolare HER2 specifico per i k
mammari ma anche per alcuni k gastrici.
Il Rituximab anticorpo monoclonale anti CD20.
Quando si parla di targeted therapy è da tener presente la farmaco resistenza che si può venir a manifestare.
La cellula neoplastica infatti, nel corso della terapia, a seguito del blocco farmacologico di un determinato
pathway cerca di sviluppare altre vie metaboliche.
Side effects della targeted therapy:
1. diarrea e mucositi
2. epatiti ed alterazione dei valori degli enzimi epatici
3. alterazioni cutanee (rash acneiforme, secchezza della cute, depigmentazione e diradamento dei
capelli, fotosensibilità, ipercheratosi)
4. alterazione della coagulazione
5. ipertensione
Siccome questo tipo di strategia terapeutica prevede un trattamento cronico, risulta fondamentale preservare
la qualità della vita, cercando di gestire al meglio gli effetti indesiderati di questi farmaci.
Viene riportato un esempio di un pz con melanoma divenuto fotosensibile a seguito di un trattamento con
vemurafenib (inibitore di BRAF)
I trattamenti chemioterapici hanno come grosso limite che dopo 6 8 10 cicli a seconda del trattamento in
considerazione si è forzati a interrompere la terapia per i sides effects. La chemioterapia è quindi
tossicolimitante. Questo non avviene con la targeted theraphy che può essere somministrata per anni.
Un limite invece della targeted therapy è che agendo su pathway se interrotta il k recidiva, questo non si
verifica nell’immunoterapia grazie alla memoria immunologica.

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In questa ultima ora discuteremo di quello che è il
presente e certamente il futuro.
Queste sono le varie strategie che abbiamo a disposizione:
abbiamo detto chirurgia, radioterapia, chemioterapia,
target therapy e immunoterapia.
L'immunoterapia ad oggi non è più solo una strategia
promettente ma per alcuni tipi di tumore è il trattamento di
prima linea. Permette inoltre di incidere sulla malattia
anche in termini di possibilità economiche, di costo dei
farmaci.

Questo è il cancer immunity cycle, quindi come


sostanzialmente funziona l’interazione fra il tumore e il
sistema immunitario del paziente. Le cellule tumorali sono
in grado di rilasciare degli antigeni che sono proteine molte volte estranee all’organismo: queste vengono
prese dal sistema immunitario, dalle antigen presenting cells che sono cellule dendritiche. A livello del
linfonodo si ha un priming da parte di queste cellule sui linfociti del paziente e questi ultimi iniziano a
riconoscere gli antigeni tumorali (e quindi ciò che è espresso sulla cellula tumorale): tramite un’interazione
antigene specifica fra cellule T effettrici e cellule del sistema immunitario si riescono così ad uccidere le
cellule tumorali. Per ciascuno di questi step della risposta immunitaria sono stati sviluppati dei farmaci che
hanno la capacità di potenziare questi meccanismi. Negli ultimi 30 anni sono infatti stati utilizzati
nell’immunoterapia del cancro, numerosi farmaci, con maggiore o minore fortuna, per cercare di stimolare in
maniera specifica il sistema immunitario del paziente così che questo possa riconoscere e distruggere le
cellule tumorali.

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Nella tabella sono riportati i meccanismi target di questi farmaci.

Quello su cui vale la pena focalizzarsi sono i cancer vaccines: sono stati la strategia più utilizzata negli anni
80-90, non per prevenire il cancro, ma come terapia; sono infatti definiti vaccini terapeutici, somministrati
quando il cancro già c’è.
Quando negli anni 90 è stato clonato il primo antigene tumorale associato (MAGE1) da cellule di melanoma,
si è pensato di usarlo come vaccino terapeutico su pazienti che avevano già sviluppato melanoma: questa
strategia non funzionò per molte ragioni. Nonostante tutto questi fallimenti hanno comunque permesso, nel
frattempo, di comprendere quali siano le caratteristiche immunologiche e immunobiologiche delle cellule
tumorali e come queste interagiscano col sistema immunitario del paziente. Tramite tutte queste informazioni
siamo riusciti a migliorare le strategie terapeutiche e l’immunoterapia perché da un lato abbiamo compreso
quali sono le caratteristiche immunologiche delle cellule tumorali, di molto tipi di tumori (es. le leucemie che
sono più semplici da studiare anche per la facilità di accesso alle cellule tumorali). Queste conoscenze si
sono poi spostate su altri tipi di tumori come il melanoma superficiale, anch’esso facilmente accessibile
tramite biopsia.
Nel 2011 è stato approvato un primo farmaco immunoterapico (ipilimumab) che ha iniziato a dimostrare un
importante efficacia nel trattamento nel melanoma: questo farmaco ha come bersaglio il CTLA-4. Ma la cosa
più importante è che ha aperto il campo a farmaci immunoterapici di seconda generazione che sono anticorpi
monoclonali privi della capacità di legarsi al tumore e che agiscono sulle cellule immunitarie.
Esempio di altri farmaci approvati in anni successivi all’ipilimumab:
● Anti-PD-1/-PD-L1 for metastatic melanoma, NSCLC, RCC, Bladder, HNSCC, Hodgkin, Merkel.,
MSI-H.
● Ipilimumab in adjuvant melanoma. Nivolumab + ipilimumab, T-VEC in melanoma
Storia: alla fine dell’800 dove non si sapeva bene cosa fosse un tumore, tranne che era qualcosa che cresceva
ma non doveva esserc,i privo quindi di qualsiasi caratterizzazione istologica, biologica, immuniologica etc.
Al tempo non si sapeva nemmeno cos’era il sistema immunitario, questa entità presente nell’organismo
dotata di questa capacità di generare una serie di reazioni. Se vogliamo la prima evidenza di questo è
registrata da un chirurgo di New York che iniettando, in un paziente italiano con sarcoma, una tossina
batterica, determinava una regressione della malattia. Da questo la deduzione è stata che c’è qualcosa
all’interno dell'organismo che può essere stimolata da un agente estraneo e che mi aiuta a tenere sotto
controllo la malattia. Questa osservazione, assolutamente empirica, dimostra che il sistema immunitario può
essere manipolato per ottenere una risposta anti-cancro.

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Il melanoma è stato il modello di sperimentazione clinica, un po’ l’equivalente alle leucemie, semplicemente
perché
● si può facilmente ottenere una biopsia del tessuto
● Adaptable to tissue culture
● Amenable to testing of novel therapies
Permette quindi di studiare le caratteristiche con cui le cellule di tumori solidi possono interagire col sistema
immunitario del paziente stesso.
L'utilizzo del melanoma come modello di tumore solido su cui sperimentare i farmaci dipende anche dal
fatto che fino a 7-8 anni fa non c’era nessun farmaco capace di impattare sulla sopravvivenza del melanoma
metastatico, si poteva solo usare la chemioterapia ma con scarsi risultati. Nel frattempo anche l’età in cui si
presenta il melanoma si è abbassata, perciò è diventato il tumore su cui si poteva fare molta sperimentazione
soprattutto di tipo biologico, utilizzando non chemioterapici, ma alti tipi di terapia: molto terapia target,
moltissima immunoterapia.

Gli Hallmarks1 del cancro sono almeno raddoppiati in 10 anni: cioè si sono evidenziati ulteriori meccanismi
che caratterizzano le cellule tumorali che sono potenziali bersagli di nuove strategie terapeutiche. Fra queste
certamente c’è questa nuova categoria di farmaci: gli anticorpi monoclonali 2. Da qui è partito un nuovo
concetto: io posso utilizzare una molecola sintetizzata in laboratorio che abbia un unico bersaglio terapeutico
a mia scelta.
Differenza immunità innata e immunità adattativa:

1
meccanismi del cancro
2
César Milstein nel 1974 ha clonato in laboratorio il primo anticorpo monoclonale

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● Immunità innata: è un concetto ancestrale, una immunità di tipo non specifico presente sin dalla
nascita, composta da cellule che riescono ad eliminare un agente estraneo indipendentemente dalla
presenza di un antigene specifico, sia esso tumorale o batterico.
È composta da cellule dendritiche, granulociti e macrofagi.
● Immunità adattativa: il sistema immunitario è in grado di evolvere e di riconoscere ciò che è
estraneo ed eliminarlo in maniera fisiologica. È composta da linfociti T e B. Questa è anche
un'immunità che si può manipolare, cercando di indurre, ad esempio tramite i vaccini terapeutici,
un'immunità specifica verso un antigene tumore-associato presente su un tumore di un determinato
istotipo, in un determinato paziente. Ovviamente ci possono essere anche dei fallimenti come con i
vaccini terapeutici.

Esistendo quindi un sistema fisiologico di processamento degli antigeni estranei, quando voi entrate in
contatto col coronavirus, il vostro sistema immunitario lo riconosce e lo elimina, quindi genera dei linfociti T
che eliminano il virus e poi crea una memoria immunologica di cui si vanno a guardare gli anticorpi diretti
ad esempio verso il coronavirus.

Il nostro sistema immunitario nel


corso della nostra vita è in grado di
identificare e distruggere le cellule
che sono andate incontro a
trasformazione tumorale. Noi non ce
ne accorgiamo, ma ciò è stato
dimostrato in modelli murini e
quant’altro. Quello che può accadere
è che queste cellule tumorali inizino
a cambiare (immunoediting) le loro
caratteristiche molecolari,
immunologiche e biologiche ma che
siano comunque tenute sotto
controllo, in una fase di equilibrio,
dal sistema immunitario. Non c’è
quindi evidenza clinica di malattia.
Questa fase viene definita Tumor
Dormancy.
L’editing, il rimaneggiamento, delle
cellule tumorali fa sì che queste
possano andare verso questa fase
(fase di escape) in cui le loro
caratteristiche sono tali per cui non
vengono più riconosciute dal sistema
immunitario: il tumore cresce incontrollato e c’è evidenza clinica di malattia.
E’ certo che questo processo di editing è fondamentale per poter arrivare alla fase in cui il tumore sfugge al
controllo. Ad esempio è cruciale la perdita degli antigeni HLA di classe 1: senza di questi il tumore diventa
completamente invisibile al sistema immunitario, ma questi stessi antigeni sono cruciali anche nel
riconoscimento dei virus, nel funzionamento del nostro sistema immunitario; sono delle molecole di
riconoscimento e di funzionamento del nostro sistema immunitario.
Quindi quando noi usiamo l’immunoterapia oggi la usiamo in questa fase (fase di escape), nella fase più
svantaggiata in cui possiamo agire, cioè quando il sistema immunitario è fuori gioco e non è più capace di

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riconoscere le cellule tumorali. È quindi una malattia che progredisce senza che si possa sperare che il
sistema immunitario del paziente sia in grado di tenerla sotto controllo.
Ci sono peraltro tantissimi meccanismi di resistenza all’azione del sistema immunitario che possono essere
sia di tipo spontaneo, messi in campo dal tumore autonomamente, ma anche insorti sotto la pressione
selettiva del sistema immunitario: quando si usa l’immunoterapia, e quindi si riesce a distruggere il 99%
delle cellule tumorali, si va anche ad isolare all’interno del tumore quelle cellule che hanno acquisito
caratteristiche tali da sfuggire al sistema immunitario.
L’immunoterapia è una disciplina sostanzialmente nuova in termini di efficacia.
Nel 2018 il Nobel per la medicina è andato a due dottori che hanno scoperto che il nostro sistema
immunitario e l’interazione funzionale fra le cellule del nostro sistema immunitario, passa attraverso una
serie di molecole, antigeni di superficie, che sono espresse sulle cellule del sistema immunitario. Sono i
cosiddetti checkpoint immunologici: senza di essi il nostro sistema immunitario non funzionerebbe.
Ad esempio, se prendiamo l’influenza tramite l’immunità adattiva si attivano i linfociti T che eliminano il
virus ma ad un certo punto non servono più a niente e devono quindi ridursi come numero.
Allora esistono dei circuiti di tipo inibitori che bloccano o down-regolano l’azione del sistema immunitario
in maniera totalmente fisiologica. Queste molecole presenti sulla superficie delle cellule immuni sono in
grado, agendo tramite i loro contro-recettori, di spegnere la risposta immune verso il virus dell’influenza; al
contrario esistono altre molecole sempre espresse sui nostri linfociti in fasi diverse della risposta
immunitaria che svolgono un ruolo di tipo attivatorio: una volta che incontrano il proprio contro-recettore
sono capaci di dare un boost all’attivazione del sistema immunitario.
I due dottori premi
Nobel non avevano
alcun interesse a
studiare il cancro ma
cercavano di capire
come funziona il
sistema immunitario:
sostanzialmente hanno
scoperto queste due
molecole (CTLA-4 e
PD-1). Hanno scoperto
dei circuiti regolatori
negativi del
funzionamento del
nostro sistema
immunitario. Da questa
evidenza, e dal fatto di
aver scoperto quali sono alcune di queste regole che regolano in maniera negativa il funzionamento del
nostro sistema immunitario (poiché spengono l’attivazione), si è pensato di usare degli anticorpi monoclonali
diretti contro queste molecole per mantenere un'attivazione del sistema immunitario nel paziente oncologico
che può poi essermi utile da un punto di vista terapeutico.
Quello che si è iniziato a vedere è che se voi prendete dei pazienti con melanoma metastatico, i pazienti che
ricevevano un anticorpo diretto contro il CTLA-4 rispetto a quelli che non lo ricevevano, sopravvivevano in
maniera significativa. Questo ha permesso di dimostrare che più del doppio dei pazienti che facevano
immunoterapia traevano un vantaggio a lunghissimo termine in termini di sopravvivenza rispetto a chi
faceva la chemioterapia tradizionale.
Questa è stata la prima osservazione che ha dimostrato che agendo sul sistema immunitario, invece che sul
tumore tramite anticorpi monoclonali che legano checkpoint immunologici, questa strategia terapeutica
poteva funzionare avendo un impatto positivo sulla sopravvivenza dei pazienti. Si è anche capito che nelle

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fasi iniziali del trattamento la terapia
ha poca efficacia (le curve di
sopravvivenza fra immuno e chemio
terapia sono infatti quasi sovrapposte
inizialmente). Si è anche scoperto
che quando questi pazienti, che
proma sopravvivevano 2-3 anni
adesso sono diventati lungo-viventi.
Il trattamento è molto empirico, e
anche per la durata del trattamento
non ci sono dati univoci. Non è
facile da identificare perché il
sistema immunitario di ognuno di
noi, per quanto molto simile per
funzionamento, è anche altrettanto
diverso: c’è una sensibilità
funzionale molto diversa fra soggetto e soggetto, perciò non sappiamo per quanto sia necessario mantenere
sotto pressione il sistema immunitario di un soggetto rispetto ad un altro.
Questo farmaco che blocca i circuiti negativi, in particolare CTLA-4, è stato un farmaco “sfortunato” perché
nel mentre se ne valutava l’efficacia terapeutica, si sono iniziati a sperimentare ulteriori anticorpi
monoclonali verso l’altra molecola, il PD-1: per quando entrambi agiscano su circuiti regolatori negativi,
sono completamente diversi fra loro. Il meccanismo d'azione è lo stesso per l'anticorpo che deve raggiungere
il sistema immunitario ma mentre per l’ipilimumab il blocco di questa molecola agisce prevalentemente nella
fase iniziale della risposta immunitaria (nella fase di priming), il nivolumab agisce quando la risposta
antitumorale in qualche maniera c’è già stata. Quindi è chiaro che il meccanismo d'azione del nivolumab è
più lento perché qui agisco su un sistema immunitario che ha già visto il tumore e non agisco in una fase
precoce di attivazione del sistema immunitario.
Ad oggi questi sono i nuovi farmaci disponibili, anticorpi diretti contro CTLA-4 e farmaci diretti contro PD-
1 o contro il suo recettore; sono gli unici farmaci approvati in Italia e nel mondo.

Va da sé che se utilizzo la chemioterapia o la terapia target i risultati sono più veloci.


Con l’immunoterapia il concetto è molto diverso, e un aspetto molto importante è la necessità di educare il
paziente al fatto che pochi mesi possono non essere sufficienti per vedere riduzioni effettive del tumore: anzi
talvolta è possibile assistere ad una crescita (pseudoprogression). Ciononostante si deve proseguire con la
terapia.
Quindi una differenza fondamentale, in termini di cinetica di risposta, è che questa si sta modificando in
maniera significativa, tant’è che l'immunoterapia ci ha insegnato che esistono le cosiddette risposte cliniche
non convenzionali: queste come nei vaccini terapeutici sono molto frequenti, poiché richiedono moltissimo
tempo per funzionare (se funzionano). Ad esempio può accadere questo: paziente donna che nell’agosto
dell’99 aveva una serie di localizzazioni sottocutanee da melanoma. Inserita in uno studio con vaccino
terapeutico si rileva un aumento delle dimensioni delle lesioni, ma ciononostante ha continuato la terapia:
lentamente le lesioni si sono appiattite fino ad andare incontro ad una risposta completa con scomparsa delle
lesioni; è stata comunque trattata anche dopo aver ottenuto una risposta completa patologica che significa

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togliere uno di questi noduli e mandarlo ad un patologo che lo definisce negativo per tumore. Questa
paziente è rimasta in risposta completa fino al 2015.

Questo per dire che con i vaccini terapeutici questo tipo di andamento clinico è totalmente fisiologico: ci
sono studi che hanno dimostrato che il
50% dei pazienti che hanno ottenuto
una risposta obiettiva al trattamento
con vaccini sono passati per una
prima fase di progressione. Il famoso
fallimento dei vaccini terapeutici è
stato causato all’utilizzo dei criteri di
risposta della chemioterapia, quindi
dopo due tre cicli se non risponde è
un fallimento, mentre per
l’immunoterapia non è così. Di fatto
avevamo bisogno di criteri di risposta
specifici per l’immunoterapia.
Quando noi usiamo blocchiamo un
checkpoint immunologico, queste
risposte non convenzionali si iniziano
a ridurre in maniera significativa.
Per esempio: paziente affetto da mesotelioma pleurico. Aveva fatto chemio di prima linea, in seconda linea
una sperimentazione attiva con un anticorpo contro CTLA-4. Dopo due sole somministrazioni nella TC si
vede una progressione dimensionale per estensione della malattia. Siccome però gli studi erano già andati
avanti, chiaramente il concetto di continuare il trattamento era già previsto e codificato nel trial clinico,
quindi continuando la sua terapia mentre qui c’era una progressione di malattia clinicamente e
strumentalmente elevata, si inizia ad avere una risposta parziale che continua dopo un ulteriore
somministrazione.
Questo cosa ci implica? Implica che se lo stimolo al sistema immunitario è più forte, ho sempre delle risposte
non convenzionali, che significa progressione di malattia prima della risposta vera e propria ma queste si
riducono di numero rispetto ai vaccini. Vi ho anche detto che gli anticorpi diretti contro CTLA-4 sono state
molecole sfortunate perché mentre generavamo i dati nel frattempo si è iniziato a lavorare su anticorpi diretti
contro PD-1 con cui agiamo sulla fase effettrice del sistema immunitario, cioè quando una risposta è già stata
anamnesticamente recepita dal sistema immunitario.
Quando usiamo questi farmaci le risposte non convenzionali sono notevolmente ridotte, tant’è vero che i
pazienti che rispondono alla terapia rispondono dopo 12 settimane, stesso periodo in cui si valuta la risposta
dei farmaci chemioterapici. Iniziamo quindi a ridurre la differenza temporale fra trattamento immunologico e
chemioterapico.
Ciononostante una quota di pazienti trattati con questi farmaci hanno una progressione iniziale di malattia: se
non usiamo questi farmaci in maniera adeguata, cioè interrompendo il trattamento dopo una progressione
iniziale di malattia, si causa anche un danno al sistema sanitario nazionale per il costo della terapia stessa,
oltre che al paziente perché interrompiamo una potenziale strategia terapeutica.
Se poi noi combiniamo questi farmaci, cioè diretti contro CTLA-4 e diretti contro PD-1, queste risposte non
convenzionali si riducono notevolmente perché noi usiamo una specie di “bomba” per il sistema
immunitario. In termini di effetti collaterali avremo degli effetti collaterali importanti. Ciò che possiamo
ottenere è questo: paziente con malattia esplosiva, trattata un mese prima con dissezione laterocervicale e
libera da malattia, dopo un mese si presente con una massa di 15 cm. Avendo attiva una sperimentazione

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clinica3 che combinava il trattamento con anti CTLA-4 e anti PD-1, la paziente vi viene inserita: dopo tre
settimane la malattia è quasi scomparsa non solo dal punto di vista clinico ma anche dal punto di vista
radiologico. La cosa interessante è che pur essendo stata eliminata dallo studio, per aver sviluppato una
neurotossicità, dopo solo una singola somministrazione si è avuta una risposta completa che si è mantenuta
fino a 20 settimane dopo, nonostante fosse una paziente rapid progressor, in cui la malattia progrediva
rapidamente. Ovviamente non tutti i pazienti rispondono così rapidamente dopo una sola somministrazione,
ma questa paziente aveva delle caratteristiche tali da indurre una rapida risposta.
È certo che usando una combinazione di questi farmaci le risposte sono molto più veloci: la mediana della
risposta si ha ad 8 settimane quindi addirittura prima del trattamento chemioterapico.

Take home message: se alla prima rivalutazione strumentale troviamo una progressione di malattia
non è necessariamente un fallimento della terapia quando usiamo questo tipo di farmaci.

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Per sperimentazione clinica si intende qualsiasi studio sull’uomo finalizzato a scoprire o verificare gli
effetti di un nuovo farmaco o di un farmaco già esistente testato per nuove modalità di impiego terapeutico,
con l’obiettivo di accertarne la sicurezza o l’efficacia.

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