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capitolo primo

compito delia teologia:


parlare della grazia
e lasciar parlare la grazia

1. La prospettiva essenziale che la parola grazia traduce

La parola grazia vuole tradurre l ’esperienza cristiana più origi­


naria e originale: da una parte l ’esperienza d i D io, che nutre
profonda simpatia e amore verso l ’uom o, fino al punto d i dare
se stesso e, dall’altra, l’esperienza dell’uom o, capace di lasciarsi
amare da D io e di aprirsi anch’egli all’amore e al dialogo
filiale. Risultato dell’incontro è la bellezza, la dolcezza, la
bontà che si riflette su tutta la creazione, ma specialmente
nell’uom o e nella sua storia. Egli è buono, amabile, grato,
bello, cordiale, m isericordioso perché è stato visitato da D io
misericordioso, cordiale, bello, grato, amabile e buono, che lo
ha reso quello che è. La grazia è la presenza d i D io nel m ondo
e nell’uom o. Quando D io si fa presente, allora ciò che era
malato guarisce, ciò che era decaduto risorge, ciò che era
peccatore diventa giusto, ciò che era m orto ritorna alla vita,
l’oppresso esperimenta la libertà e il disperato gusta il soste­
gno e la consolazióne.
Grazia vuol dire pure apertura dell’uom o a D io; capacità di
misurarsi coll’Infinito e di intavolare un dialogo, che gli con­

li
quista giorno per giorno la sua umanità e lo premia facendolo
io.
Grazia è sempre incontro nel superamento, di D io che si dà e
dell’uom o che si dà. Grazia è, per sua natura, lo spaccarsi dei
m ondi chiusi in se stessi. Grazia è rapporto, è esodo, è
com unione, è incontro, è dialogo, è apertura, è uscire da sé, è
storia d i due libertà, è punto d i fusione d i due amori.
Per questo la grazia parla della riconciliazione del d e lo e della
terra, di D io e d ell’U om o, del tem po e dell’eternità. Grazia è
m olto più del tem po, più dell’uom o, più della storia. È sempre
il « di più » che succede, nella gratuità insperata. Com e
diceva mirabilmente Leonardo Coim bra: « La grazia è sempre
un eccesso oltre l’utilità dell’istante, oltre il lim ite della for­
ma: è l ’eccesso oltre tutto il tem po, tutto lo spazio, tutte le
fórm e e tutte le vite » {A degna, a dor e a graqa, Porto
1916, 173).
D io Padre si autorealizza continuamente e per tutta l’eternità,
com e M istero che dona se stesso com e Figlio e com e Spirito
Santo; prolunga la sua com unione e il suo dono facendosi
m ondo; e questo m ondo lo penetra fino in fon d o, con una
sovrabbondanza inattesa d i Am ore e di Autodonazione, diven­
tando lui stesso M ondo e chiamandosi Gesù C risto.
Gesù Cristo è la grazia che salva tutti gli uom ini (T t 2,11).
E gli è « l ’apparizione della benignità e dell’amore umanitario di
D io, nostro Salvatore» (T t 3 ,4 ). Grazia è il nom e che si
addice a D io , com e Essere che è sempre Com unione, E sodo da
se stesso, A m ore « per » , Simpatia verso altri diversi da lui.
Ciò non è una qualità di D io. È l ’essenza (divinità) di D io
stesso. D io non possiede la grazia. È grazia.
Anche l’uom o, in quanto persona, è sempre costituito per
qualcosa, aperto a un poter essere, strutturato non com e un
essere concluso ma com e « ex-istenza » ; perciò vive sempre un
incontro con il diverso da d ò che lu i è. E gli è sempre un di
più. Q uindi, d ò che lo coinvolge più d i tutto è la grazia, se
grazia significa l’incontro e la dimensione d i d ò che è aperto e
della com unione senza lim iti. L ’uom o vive nell’atmosfera divi­
na, se per divino intendiamo sempre la com unione e il dono di
sé in pienezza. Solo nel divino l’uom o è uom o. Solo nella
grazia, in ciò che è più di lui, l ’uom o diventa uom o. P erdò,
uom o è sempre più d i « uom o » , cioè di d ò che dell’uom o
possiamo dire, raccontare, analizzare, com prendere, inquadrare,
definire e strutturare.
Quando si parla di grazia, si vuole visualizzare questo feno­

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meno che, appena si genera, spezza tutte le barriere che
lim itano le cosiddette realtà, dim ensioni, m ondi. La grazia
istaura un unico m ondo, dove gli opposti si incontrano: D io e
U om o, Creatura e Creatore. Grazia è l ’unità e la riconciliazio­
ne. Perciò grazia è sinonim o di salvezza, di perfetta identità
dell’uom o e di D io.

2. Grazia e disgrazia insieme

Se grazia è incontro, è liberazione, è apertura, è esercizio di


libertà, essa è sempre accompagnata da una minaccia che è la
disgrazia. Può darsi lo scontro, la chiusura, il rifiuto del
dialogo, l ’assolutizzazione in se stesso. Disgrazia e grazia sono
proposte della libertà. È il m istero della creazione. M istero
assoluto, al quale non esiste accesso razionale. Grazia è il
senso assoluto che dà pienezza a tutto. È luce che illumina e fa
capire tutto. Disgrazia è l ’assurdo assoluto. N on possiede nes­
suna luce. È solo tenebra. N on possiede nessuna razionalità.
N on c’è argomento logico per la disgrazia e per il peccato.
Perciò non può essere capito in nessun m odo. Può solo essere
realizzato. È un fatto bruto. Si im pone solo com e assurdo. E
tuttavia esiste, com e fatto e com e esperienza.
La grazia è grazia per l ’essere creato, nella possibilità della
disgrazia. Per questo l ’uom o è sempre un essere m inacciato;
egli può essere disgraziato. La storia, in quanto storia della
colpa e dei meccanismi di distruzione, storia del, brutto, del
male, del violento, del disumano, del crudele, del delitto ecc. è
la storia della disgrazia nel m ondo, il suo prendere corpo nei
meccanismi chiusi e prigionieri di se stessi.
L’uom o concreto vìve il dramma d i essere allo stesso tempo
arricchito dalla grazia e privo di grazia; omnis homo Adam,
omnis homo Christus (S. A gostino En. in Psal. 70,21: PL
36,891); è Cristo e A nticristo; è apertura e chiusura allo
stesso tem po. La sua esperienza concreta è sempre paradossa­
le; esperimenta allo stesso tem po la grazia e la disgrazia.
Il senso delle nostre riflessioni è tematizzare l ’esperienza della
grazia; ma non è escluso che, allo stesso tem po, noi facciamo
anche l ’esperienza della disgrazia, della perdizione e del pecca­
to. Ma tratteremo il tema deila grazia; tenteremo di far
brillare la sua luce sulle tenebre, che popolano anch’esse la
nostra esistenza.

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3. Teologia: parlare della grazia e lasciar parlare
la grazia

A questo punto del nostro trattato sulla grazia, si può proce­


dere in due m odi: si può parlare della grazia, seguendo la
storia del discorso della grazia lungo Pesperienza storica cri­
stiana. In altri term ini: si può parlare della grazia com e ne
parlano i marmali d i teologia nel trattato sulla grazia. N ei
manuali si fa' la storia del trattato fatto dai teologi e dalla
chiesa, confrontandolo con dottrine eterodosse inaccettabili
per la com unità ecclesiale. Nella teologia scolàstica si è crea­
to tutto un sistema sulla grazia, corredato d i un vocabola­
rio specifico e di una dottrina m olto precisa. In questo m odo
tutto si concentra sull’aspetto dottrinale; si parla inforno alla
grazia. Quasi niente appare della grazia in se stessa, della sua
esperienza, della sua presenza nel m ondo. In questo senso la
teologia non ha m olto da dire, essa gestisce un pensiero già
fatto, detto, strutturato e approvato ufficialmente. C iò non è
senza importanza, perché d mettiamo in contatto, a titolo di
inform azione, con Pesperienta della grazia fatta nella storia
della chiesa e con la chiave semantica in cui è stata espressa.
Inoltre, la teologia non è solo in funzione d i un sapere
approvato e sanzionato (il che ha prue il suo valore), ma
svolge un com pito im prescindibile all’interno della com unità di
fede: pensare Pesperienza della grada, che oggi si com pie nel
m ondo e nella chiesa. In questo m odo la teologia prolunga
un’esperienza che sempre esiste nella chiesa e nel m ondo e
crea un linguaggio che esprime e chiarisce questa esperienza.
N e deriva un altro m odo d i affrontare il tema della grazia,
d o è tentando d i articolare Pesperienza che oggi se ne fa, con
parole proprie del nostro tem po e in form a accessibile e
accetta alla com unità dì fede, in m odo thè questa possa
identificarsi con la sua tradizione cristiana e allo stesso tempo
si senta creatrice e continuatrice della tradizione stessa. Perciò
l ’accento non cade sul « parlare della grazia » (ogni discorso è
un discorso su qualche cosa), quanto lasciare che la grazia
parli. In altri term ini: in che m odo creare una riflessione e un
linguaggio che d diano la coscienza della grazia di D io, nella
quale già siamo, e che d aiutino a scoprire la presenza di D io
e del suo amore nel m ondo, indipendentemente dal fatto che
riflettiam o e palliam o di essa. N e parliamo perché esiste anzi­
tutto nella nostra vita. Per questo, forse, facdam o Pesperienza
della vera grazia e della presenza d i D io, senza chiamarla

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grazia e presenza d i D io. La funzione della teologia non
consiste nel creare le realtà d i cui parla. M a parlare delle
realtà con le quali ci si incontra e che già esistono prima d ie
se ne parli, dentro la vita umana.
Siamo già dentro al milieu iivin della grazia. Il problem a della
teologia consiste nel com e teorizzare questa realtà, in m odo da
parlarne con termini che significhino la grazia oggi, affinché
non accada che l’uom o, a causa d i un linguaggio anacronistico
e senza mordente, perda la coscienza e la profondità di d ò che
effettivamente vive, senza neppure accorgersi che lo sta viven­
do. V ive la grazia, ma non lo sa, né riflette su d ò . La teologia
è riflessione sulla realtà della grazia. Si riflette non per m ono­
polizzare la grazia, ma per coscientizzare l ’uom o della grazia,
che visita la sua vita.

4. Il discorso teologico sulla grazia non monopolizza


l'azione delia grazia

Q ui si corre sempre un pericolo sul quale bisogna richiamare


l ’attenzione: parlando della grazia, si può pensare che solo là
dove se ne parla essa si fa presente e operante: possiamo
parlarne solo perché esisteva già prima d i parlarne. M a il
discorso è un m omento specifico della grazia nel corso della
sua manifestazione nell’uom o. In ogni m odo dobbiam o evitare
con ogni mezzo l ’errore frequente nella teologia d i voler
agganciare la grazia alle maglie del linguaggio teologico. Que­
sta illusione si manifesta in espressioni com e: solo attraverso
la chiesa la grazia raggiunge il m ondo, solo attraverso la chiesa
si arriva a C risto; solo attraverso la chiesa ci viene la salvezza.
La chiesa si trasforma in m onopolio d i d ò che non può essere
m onopolizzato. La chiesa non è il contenitore della grazia. La
grazia contiene in sé la chiesa e ogni autentica grazia ha
carattere ecclesiale (tende a manifestarsi visibilm ente e a for­
mare la com unità: questo è il senso). D io, Cristo, la grazia
sono sempre liberi: si manifestano nel m ondo con svariate
m ediazioni, tra le quali c ’è la chiesa in m odo esplid to, cosden-
te e com unitario, ma non esdusivo. D a qui l ’attenzione costan­
te che la teologia deve avere: quando parla della grazia e
quando lascia parlare la grazia non intende mai con d ò limita­
re l ’azione della grazia nei confini del discorso che si fa.
Sarebbe com e fare della grazia un ghetto e ridurla alle dimen­

io
sióm dell’uom o. A llora non sarebbe più grazia divina. Verreb­
be spogliata del suo carattere divino. In quanto divina, la
grazia è presente in tutto e niente sfugge alla sua influenza. La
teologia se lo deve sempre ripetere.
I l nostro com pito di ordine sistematico deve consistere dun­
que: nel riflettere sull’esperienza della grazia, com e si realizza
dentro le condizioni e i lim iti del nostro tem po; partendo da
qui, parlare della grazia in m odo tale che l ’esperienza sia
tradotta con altrettanta chiarezza nella comunità ecclesiale.
Siccom e però siamo esseri storici, siamo inseriti in una corren­
te viva che d viene da un passato e d raggiunge tutti. Siamo
in parte, prodotti del passato. C iò determina già l ’esperienza
stessa della grazia. Dobbiam o rendere cosdente l ’eredità teolo­
gica che abbiamo ricevuto e che è presente nell’inconscio
collettivo della comunità cristiana.
H nostro com pito più importante è fare una rapida revisione
d i d ò che è stato, per acquistare la visione d ’insieme che ne
deriva ed elaborare la prospettiva che urge mettere in atto,
oggi-

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