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Sintagmi
-l’analisi in costituenti individua tre diversi sottolivelli di analisi sintattica: sottolivello delle frasi, dei sintagmi, delle singole entrate lessicali
(=parole)
-il più importante è il livello dei sintagmi
-un sintagma è definibile come la minima combinazione di parole che funzioni come un’unità della struttura frasale
-i sintagmi sono costruiti attorno a una testa: testa è la classe di parole che rappresenta il minimo elemento che da solo possa costituire
sintagma,
funzionare da un determinato sintagma
-se si elimina l’elemento che fa da testa, il gruppo di parole considerato viene a perdere la natura di sintagma di quel tipo
-un sintagma nominale è costruito attorno a un nome: N è la testa di SN; testa di SV è V; testa di SPrep è Prep
Funzioni sintattiche
-ai sintagmi che riempiono le posizioni strutturali di un indicatore sintagmatico vengono assegnati diversi valori; la categoria formale di sintagma
assume determinati valori funzionali richiesti e necessari per l’interpretazione semantica delle frasi
-occorre distinguere 3 ordini o classi di principi che intervengono nel determinare il funzionamento della sintassi
-la prima classe è interna alla sintassi stessa, dipende dalle reggenze del verbo: si tratta delle funzioni sintattiche; esse riguardano il ruolo che i
sintagmi assumono nella struttura sintattica della frase, in cui i sintagmi nominali possono valere da soggetto o complemento oggetto, i sintagmi
preposizionali possono valere da oggetto indiretto o da complemento, i sintagmi verbali possono valere da predicato
-soggetto, predicato e oggetto sono le tre funzioni sintattiche fondamentali
Schemi valenziali
-le funzioni sintattiche vengono assegnate a partire da schemi valenziali che costituiscono l’embrione iniziale della strutturazione delle frasi e ne
configurano il quadro minimale
-quando dobbiamo enunciare qualcosa sotto forma di frase, è ragionevole pensare che partiamo dalla selezione di un verbo; questo verbo è
associato a delle valenze (o argomenti)
-da questo punto di vista i verbi sono monovalenti, bivalenti o trivalenti
-“camminare” o “piangere” sono verbi monovalenti, o a un solo argomento, implicano solamente un’unità ovvero qualcuno che cammini o che
pianga
-“lodare” e “interrogare” sono verbi bivalenti, implicano qualcuno che lodi o interroghi e qualcuno che venga lodato o interrogato
-“dare” e “spedire” sono verbi trivalenti, implicano qualcuno che dia o spedisca, qualcosa che sia dato o spedito, e qualcuno o qualcosa a cui si
dia
o si spedisca
-esistono anche verbi zerovalenti o avalenti: si tratta di verbi metereologici o atmosferici, che non hanno alcuna valenza
-esistono verbi tetravalenti, con quattro valenze, come “spostare” (qualcuno sposta qualcosa da un luogo a un altro), “tradurre” (qualcuno
traduce
qualcosa da una lingua a un’altra)
-le valenze costituiscono con il verbo gli elementi nucleari essenziali delle frasi
-sulla base degli elementi valenziali, il soggetto si potrebbe definire come la prima valenza di ogni verbo; la seconda valenza coincide con la
funzione sintattica di oggetto
-in una frase si possono trovare anche costituenti che realizzano altri elementi, che non fanno parte dello schema valenziale; questi sono detti
“circostanziali”, non essendo direttamente implicati dal significato del verbo non rientrano nelle configurazioni di valenza dei predicati verbali e
quindi non fanno parte delle funzioni sintattiche fondamentali; svolgono comunque una funzione semantica importante, in quanto
appartenendo
alla cornice degli eventi o specificandone le caratteristiche di svolgimento, aggiungono informazioni
Ruoli semantici
-un altro ordine di principi che intervengono nella costruzione ed interpretazione di una frase è dato da principi semantici che concernono il
modo
in cui il referente di ogni sintagma contribuisce e partecipa all’evento rappresentato dalla frase
-per individuare tali funzioni, chiamate ruoli semantici, occorre guardare la frase come rappresentazione di una scena o un evento, in cui i diversi
elementi presenti hanno una certa relazione gli uni con gli altri in termini di che cosa succede nella scena
-la frase è vista dalla prospettiva del significato
-“agente” è il ruolo semantico dell’entità animata, che nell’evento o scena rappresentato dalla frase, si fa intenzionalmente parte attiva che
provoca ciò che accade: Gianni mangia una mela.
-“paziente” è il ruolo semantico dell’entità che è coinvolta senza intervento attivo, in quanto subisce: Gianni mangia una mela.
-“sperimentatore” è il ruolo semantico dell’entità toccata da un certo stato o processo psicologici: A Luisa piacciono i gelati.
-“beneficiario” è il ruolo semantico dell’entità che trae beneficio dell’azione: Gianni regala un libro a Luisa.
-“strumento” è il ruolo semantico dell’entità inanimata mediante la quale avviene ciò che accade: Gianni taglia la mela col coltello.
-“destinazione” è il ruolo semantico dell’entità verso la quale si dirige l’attività espressa dal predicato o che costituisce l’obiettivo o la meta di
uno spostamento: Luisa parte per le vacanze.
-“località” è il ruolo semantico dell’entità cui sono situati spazialmente l’azione, lo stato, il processo: Gianni abita in campagna.
-“provenienza” è il ruolo semantico dell’entità dalla quale un’entità si muove in relazione all’attività espressa dal predicato: Luisa preleva i soldi
dal conto.
-“dimensione” è il ruolo semantico dell’entità che indica una determinata estensione nel tempo, nello spazio, nella massa: Luisa pesa 60 chili.
-“comitativo” è il ruolo semantico dell’entità che partecipa all’attività svolta dall’agente: Luisa ha discusso la tesi col professore.
Struttura pragmatico-informativa
-una frase collega la rappresentazione di un evento o stato di cose del mondo esterno, la realtà effettiva o immaginata com’è filtrata
dall’intelletto
umano a una catena fonica, costituita dai suoni del linguaggio
-nel governare la strutturazione del prodotto finale della sintassi, le frasi, vi è oltre all’intervento delle valenze, dei ruoli semantici e delle funzioni
sintattiche, ancora un altro piano, quello dell’organizzazione pragmatico-informativa
-dal punto di vista del valore con cui le frasi nel loro complesso possono essere usate nella comunicazione, e di ciò che il parlante vuol fare
producendole; si distinguono cinque tipi di frase: dichiarative, interrogative, esclamative, imperative e ottative
-dal punto di vista della strutturazione dell’informazione veicolata, una frase può essere vista come un’affermazione fatta attorno a qualche cosa
-di qui, un’importante distinzione fra la parte della frase che identifica e isola il qualcosa sul quale verte l’affermazione e la parte della frase che
rappresenta l’affermazione fatta, l’informazione propriamente fornita: cioè fra “tema” e “rema”
-il tema è ciò su cui si fa un’affermazione, l’entità attorno a cui si predica qualcosa; il rema è la predicazione che viene fatta, l’informazione che
viene fornita a proposito del tema
-un’opposizione che spesso viene considerata corrispondente a tema/rema, è quella fra “dato” e “nuovo”; dato è l’elemento della frase da
considerare noto o precedentemente introdotto nel discorso, nuovo è l’elemento portato come informazione non nota
-la distinzione fra tema/rema e dato/nuovo riflette due aspetti diversi del processo di elaborazione concettuale che porta alla produzione di una
frase: da un lato si sceglie ciò di cui si vuol parlare (tema) e si afferma qualcosa a proposito di questo (rema), dall’altro si tiene conto della
differenza fra informazione già conosciuta (dato) e informazione che si ritiene non nota (nuovo)
-nelle frasi normali, soggetto, agente e tema tendono spesso a coincidere sullo stesso costituente frasale, quello in prima posizione; così in “un
gatto insegue il topo” (che ha un ordine lineare SVO), “un gatto” è contemporaneamente soggetto, agente, tema e “il topo” oggetto, paziente,
e parte del rema
-le lingue però possiedono dispositivi per separare le tre funzioni e mutare o invertire l’ordine non marcato dei costituenti; in italiano per
esempio
possono svolgere tale compito le costruzioni note come “dislocazioni a sinistra”, che spostano davanti alla frase, cioè alla sua sinistra, uno degli
elementi che la costituiscono
-con la dislocazione a sinistra si può mandare nella posizione di tema che l’oggetto o un altro complemento rematico, e mandare a rema il
soggetto:
“il topo lo (O – tema) insegue (V - rema) un gatto (S – rema)”
-due altri tipi di frasi marcate per spostamento di costituenti sono la “dislocazione a destra”, che consiste nell’isolare sulla destra un costituente,
(lo vuole un caffè?) e la frase scissa che consiste nello spezzare una frase in due parti, portando all’inizio della frase, introdotto dal verbo
“essere”,
un costituente e facendolo seguire da una frase (è il gatto che insegue il topo)
-la frase scissa serve per evidenziare un elemento della frase dotato del maggior carico informativo; tale elemento svolge un’altra funzione,
quella
di focus
-per focus si intende il punto di maggior salienza comunicativa della frase; in genere il focus fa parte del rema
-in conclusione possiamo analizzare sintatticamente una frase secondo 4 diverse prospettive, quattro punti di vista che interagiscono fra loro e
ci permettono di comprendere appieno, in tutti i suoi aspetti, la struttura della frase:
1. La prospettiva configurazionale, relativa alla struttura in costituenti
2. La prospettiva sintattica propriamente detta, relativa alle funzioni sintattiche
3. La prospettiva semantica, relativa ai ruoli semantici
4. La prospettiva pragmatico-informativa, relativa all’articolazione in tema/rema
Frasi complesse
-spesso le frasi non vengono realizzate come unità isolate, ma si combinano in sequenze strutturate anche lunghe, frasi complesse o periodi: la
sintassi del periodo è un ulteriore sottolivello di analisi del sistema linguistico
-la coordinazione si ha quando diverse proposizioni vengono accostate l’una all’altra senza che si ponga tra esse un rapporto di dipendenza
-si ha subordinazione quando vi è un rapporto di dipendenza tra le proposizioni, in quanto una si presenta come gerarchicamente inferiore ad
un’altra e la presuppone
-gli elementi che realizzano i rapporti di coordinazione o subordinazione tra le frasi sono chiamati connettivi o connettori
-la coordinazione è realizzata con congiunzioni coordinanti come “e”, “o”, “ma”… o anche attraverso la giustapposizione di proposizioni: “Luisa
legge e Gianni scrive” oppure “Luisa legge, Gianni scrive”
-la subordinazione è realizzata con congiunzioni subordinanti come “che”, “perché”, “quando”, “mentre”, “benchè”, “affinchè” o mediante modi
verbali non finiti (“ti chiedo di andare”)
-le subordinate si dicono esplicite quando il loro verbo è di modo finito, e implicite quando il loro verbo è all’infinito, al gerundio o al participio
-le frasi subordinate si possono distinguere in tre principali categorie a seconda del modo strutturale in cui si agganciano alla frase principale:
sono
“avverbiali”, “completive”, “relative”
-le frasi avverbiali (dette anche circostanziali, perché svolgono funzione analoga a quella che nella sintassi di frase hanno sintagmi preposizionali,
o anche nominali, che non facciano parte dello schema valenziale dei predicati) sono frasi subordinate che modificano l’intera frase da cui
dipendono: “esco, benchè piova”
-le completive sono subordinate che sostituiscono un costituente nominale maggiore (cioè il soggetto o l’oggetto, o anche il predicato nominale
o l’oggetto indiretto) della frase; o meglio, riempiono una valenza o argomento del predicato verbale: “sembra che faccia bel tempo”
-le relative sono frasi subordinate che modificano un costituente nominale della frase, hanno sempre un nome o pronome come testa: “non ho
più visto lo studente a cui ho dato il libro”
-l’unione di una frase o proposizione principale con una frase o subordinata dà luogo a una frase complessa
Testi
-al di sopra dell’unità frase bisogna riconoscere un altro livello di analisi della sintassi, il livello dei testi
-dal punto di vista linguistico, un testo è definibile come una combinazione di frasi (costituita quindi da almeno una frase) più il contesto in cui
essa
funziona da unità comunicativa
-per contesto si deve intendere sia il contesto linguistico, vale a dire la parte di comunicazione verbale che precede e che eventualmente segue il
testo in oggetto, sia il contesto extralinguistico, la situazione specifica in cui la combinazione di frasi è prodotta
-il contesto linguistico è spesso chiamato più tecnicamente “cotesto”
-entriamo qui nell’ambito della linguistica testuale e della pragmatica linguistica
-fenomeni di questo genere, vale a dire la presenza di elementi per la cui interpretazione è necessario far riferimento al contesto linguistico
precedente, si chiamano tecnicamente “anafore”; il fenomeno simmetrico e contrario, per cui occorra far riferimento al contesto linguistico
seguente si chiama “catafora”
-le anafore e catafore individuano elementi coreferenti, cioè che rimandano a un’identica entità designata
-i pronomi hanno o valore anaforico o cataforico come nel caso precedente, o deittico quando per la loro interpretazione occorra far riferimento
al contesto situazionale: col termine “deissi” si designa la proprietà di una parte dei segni linguistici di indicare, o far riferimento a, cose o
elementi
presenti nella situazione extralinguistica e in particolare nello spazio o nel tempo in cui essa si situa, in maniera tale che l’interpretazione
specifica
di ciò a cui il segno si riferisce dipende interamente dalla situazione di enunciazione
-vi sono tre tipi principali di deissi: personale, spaziale e temporale
-la deissi personale codifica il riferimento al parlante, all’interlocutore e alle terze persone e che ha come centro il parlante stesso, chi dice “io” in
una determinata situazione; esprimono deissi personale i pronomi personali (io, tu, lui…), le persone verbali, i possessivi
-la deissi spaziale codifica le posizioni delle entità chiamate in causa rispetto al luogo in cui si trovano i partecipanti all’interazione; esprimono
deissi spaziali i dimostrativi (questo, quello), avverbi di luogo (qui, qua, là), verbi come andare e venire, espressioni come “a destra”
-fra i deittici spaziali si possono distinguere le due sottoclassi dei deittici prossimali, che indicano prossimità, vicinanza rispetto all’origine del
riferimento spaziale, cioè chi sta parlando (questo, qui); e dei deittici distali, che indicano invece distanza, lontananza (quello, là)
-la deissi temporale codifica e specifica la localizzazione degli eventi nel tempo rispetto al momento dell’enunciazione; è espressa da avverbi
come
“oggi”, “ieri”, “subito”, dai tempi verbali e sintagmi come “dieci anni”, “fra tre settimane”
-si parla di estensione anche di deissi sociale per designare gli elementi allocutivi, usati per codificare le relazioni sociali dei partecipanti
all’interazione
-un altro fenomeno che può essere tipicamente spiegato solo superando i confini delle singole frasi è la cosiddetta “ellissi”, consistente nella
mancanza od omissione, in una frase, di elementi che sarebbero indispensabili per dare luogo a una struttura frasale completa, e che sono
ricuperabili, per l’interpretazione della frase, dal contesto linguistico; è il caso di coppie domanda-risposta, in cui la risposta solitamente è
ellittica, data l’immediata ricuperabilità degli elementi omessi come in: “dove vai?” “a casa”, dove il frammento “a casa” è automaticamente
integrato nella struttura frasale fornita dalla frase precedente
-un ruolo rilevante nella strutturazione dei testi e non riportabile alla sintassi frasale è ricoperto dai “segnali discorsivi”, quegli elementi estranei
alla strutturazione sintattica della frase che svolgono il compito di esplicitare l’articolazione interna al discorso come: allora, senti, guardi, no?,
insomma, sai, anzitutto, in primo luogo, scusa…
-meccanismi anaforici e segnali discorsivi contribuiscono a conferire coesione al testo, istituendovi una rete di collegamenti al di là dei confini
delle
singole frasi
Capitolo 5 Semantica, lessico e pragmatica
Il significato
-la parte della linguistica che si occupa del piano del significato è la semantica
-il primo problema con cui si scontra la semantica è la definizione stessa di che cosa sia il significato: esso non è visibile, è il punto di sutura fra la
lingua, la mente e il mondo esterno
-dall’altro lato ci sono strutture di carattere cognitivista che vedono il significato come struttura cognitiva basata sul complesso dell’esperienza
umana, con particolare riguardo ai suoi aspetti fisico-percettivi
-possiamo dire che esistono due modi di concepirlo; c’è una concezione referenziale, o concettuale del significato: il significato è visto come un
concetto, un’immagine mentale, un’idea o operazione creata dalla nostra mente, corrispondente a qualcosa che esiste al di fuori della lingua
-in un’altra prospettiva, vi è una concezione operazionale del significato, secondo cui esso è funzione dell’uso che si fa dei segni, vale a dire ciò
che
accomuna i contesti d’impiego di un segno e ne permette l’uso appropriato
-il significato come “l’informazione veicolata da un segno o elemento linguistico”
-significato denotativo (detto anche concettuale, referenziale) e connotativo (detto anche associativo, espressivo)
-il significato denotativo è quello inteso nel senso oggettivo, di ciò che il segno descrive e rappresenta; corrisponde cioè al valore di
identificazione
di un elemento della realtà esterna
-il significato connotativo è invece il significato indotto, soggettivo, connesso alle sensazioni suscitate da un segno e alle associazioni a cui esso dà
luogo; non ha valore di identificazione di referenti
-“gatto” ha come significato denotativo “felino domestico di piccole dimensioni” e come significati connotativi “animale grazioso, furbo, pigro,
che
può graffiare”
-un’altra distinzione è quella fra significato “linguistico” e “sociale”: mentre il significato linguistico è il significato che un termine ha in quanto
elemento di un sistema linguistico codificante una rappresentazione mentale, il significato sociale è il significato che un segno può avere in
relazione ai rapporti fra i parlanti
-“buongiorno” ha come significato linguistico “auguro una buona giornata” ma ha come significato sociale “riconosco colui, colei o coloro a cui
indirizzo il saluto come persona; instauro un’atmosfera cooperativa di possibile interazione”
-un’altra distinzione è quella fra significato “lessicale” e “grammaticale”; hanno significato lessicale i termini che rappresentano oggetti concreti o
astratti, entità, fatti o concetti del mondo esterno (gatto, buono, lavoro, idea); hanno significato grammaticale i termini che rappresentano
concetti o rapporti interni al sistema linguistico (benchè=congiunzione concessiva)
-i termini dal significato lessicale vengono chiamati “parole piene”, quelli dal significato grammaticale “parole vuote”
-un’altra distinzione è quella fra significato e senso
-per “senso” si intende il significato contestuale, vale a dire la specificazione e concretizzazione che il contenuto di un termine assume ogni volta
che viene usato in una produzione linguistica in un certo contesto: “finestra” ha come significato “apertura in una parete”, ma viene usato sia
per
designare le aperture verso l’esterno sulle pareti di un edificio per dare luce, sia per designare i riquadri che si aprono sulla parete rappresentata
da uno schermo di computer
-a un significato possono corrispondere diversi sensi, la questione è pertanto connessa con quella della polisemia
-i nomi propri sono etichette, termini a referente unico, che designano un individuo e non una classe e che hanno solo estensione e non
intensione
-intensione ed estensione valgono l’insieme delle proprietà che costituiscono il concetto designato da un termine e l’insieme degli individui
(oggetti) a cui il termine si può applicare
Il lessico
-anche per il livello semantico il linguista pone un’unità d’analisi basilare: il lessema
-un lessema corrisponde a una parola considerata dal punto di vista del significato
-l’insieme dei lessemi di una lingua costituisce il suo lessico; lo studio dei vari aspetti del lessico è compito della lessicologia, che si pone fra
semantica e morfologia derivazionale
-da un lato, il lessico è uno dei due componenti essenziali di una lingua; senza lessico non esisterebbe una lingua
-allo stesso tempo però il lessico è lo strato più esterno e superficiale di un sistema linguistico, più esposta alle varie circostanze extralinguistiche
-il lessico è inoltre lo strato della lingua più ampio, comprendente un inventario più numeroso di elementi
-è inoltre la parte aperta e fluttuante del sistema
Omonimia e polisemia
-una prima nozione che si incontra è quella di “omonimia”; sono omonimi lessemi che abbiano lo stesso significante ma a cui corrispondano
significati diversi, non imparentati fra di loro e non derivabili l’uno dall’altro: “riso”=l’atto di ridere/cereale
-a seconda che l’omonimia concerna solo la grafia oppure la pronuncia; possiamo distinguere fra termini omografi (“pesca”=atto di
pescare/frutto)
e i termini omofoni (“pianta”=albero/mappa)
-se i diversi significati associati a uno stesso significante sono imparentati fra loro e derivati l’uno dall’altro, abbiamo la polisemia: “corno”=
protuberanza del capo di molti animali/strumento musicale a fiato/cima aguzza di una montagna
-un caso speciale della polisemia è dato dall’enantiosemia, che si ha quando significati diversi dello stesso termine sono tra di loro in un rapporto
di opposizione: “tirare” può avere i due sensi di “lanciare” e di “trarre, attrarre verso di se”
Rapporti di similarità
-alcuni rapporti sono basati sulla compatibilità o somiglianza semantica fra lessemi
-il primo di questi è la sinonimia: sono sinonimi lessemi diversi aventi lo stesso significato: pietra/sasso, iniziare/cominciare, cortese/gentile
-spesso la sostituzione di un termine con il suo sinonimo crea delle sfumature diverse di significato, aggiungendo valori connotativi
-un altro importante rapporto di somiglianza semantica è quello noto come iponimia: si tratta di una relazione di inclusione semantica; il
significato
di un lessema rientra in un significato più ampio e generico rappresentato da un altro lessema
-si ha iponimia fra due lessemi x e y quando “tutti gli x sono y ma non tutti gli y sono x”; in questo caso x è l’iponimo di y, il quale è iperonimo
-“armadio” è iponimo di “mobile”, che è iperonimo di rispetto ad armadio
-l’iponimo ha un’intensione più ampia (il suo significato contiene più proprietà) ma, proprio per questo, un’estensione minore che il suo
iperonimo
-non va confusa con l’iponimia la relazione semantica basata sul rapporto fra la parte e il tutto, detta meronimia; è il rapporto che si ha fra i
termini
che designano una parte specifica di un tutto unico e il termine che designa il tutto: braccio, testa, piede sono meronimi di corpo umano
-mentre la sinonimia e l’iponimia sono rapporti di carattere paradigmatico, esistono anche rapporti di compatibilità semantica sull’asse
sintagmatico; uno di questi è la solidarietà semantica, basata sulla cooccorrenza obbligatoria di un lessema con un altro, nel senso che la
selezione
dell’un termine è dipendente dall’altro
-il significato di un lessema risulta predeterminato dall’altro, dato che il lessema in questione può riferirsi nel discorso solo a questo secondo
Significato: miagolare/gatto, raffermo/pane
-rapporti fra lessemi fondati su cooccorrenze regolari nel discorso, ma meno semanticamente determinante che non nel caso delle solidarietà,
si hanno anche in quelle che sono chiamate collocazioni, come bandiere/concorso, porta/scorrevole
Rapporti di opposizione
-mentre nelle relazioni paradigmatiche di compatibilità un lessema è sostituibile nel discorso dal lessema con cui instaura la data relazione,
esistono
relazioni semantiche in cui ciò non può avvenire
-fra i rapporti di incompatibilità semantica va menzionata l’antonimia: sono antonimi due lessemi di significato contrario nel senso che designano
i poli opposti di una scala, i due estremi di una dimensione graduale
-il criterio per stabilire che due termini siano antonimi si può formulare così: x è antonimo di y se x implica non-y, ma non-y non implica x;
ad esempio alto/basso, essere alto implica non essere basso, ma non essere basso non implica essere alto
-due altre relazioni di incompatibilità sono la complementarità e l’inversione
-sono complementari due lessemi di cui uno è la negazione dell’altro: x implica non-y e non-y implica x (vivo/morto, maschio/femmina)
-sono inversi due lessemi di significato relazionale che esprimono la stessa relazione semantica vista da due direzioni opposte, secondo la
prospettiva dell’una o dell’altra parte: dare/ricevere, comprare/vendere (se x dà y a z, è anche che z riceve y da x)
Insiemi lessicali
-è possibile individuare insiemi o sottoinsiemi lessicali, gruppi di lessemi che costituiscano complessi organizzati, in cui ogni elemento è unito agli
altri da rapporti di significato
-il concetto più noto e più usato è quello di campo semantico; esso è un termine polisemico, usato a volte con valori diversi rispetto a quello più
tecnico che stiamo definendo: per esempio si può trovare “campo semantico” per indicare l’insieme dei significati che un certo lessema può
assumere
-un campo semantico è comunque l’insieme dei lessemi che coprono le diverse sezioni di un determinato spazio semantico, le partizioni
codificate
di una data sostanza di significato: ogni termine corrisponde a una delle sezioni in cui lo spazio semantico in oggetto è suddiviso in una data
lingua
-con maggiore precisione tecnica si può definire un campo semantico come l’insieme di coiponimi diretti di uno stesso sovraordinato, vale a dire
l’insieme dei lessemi che hanno tutti uno stesso iperonimo immediato: ad esempio gli aggettivi di età, i termini di colore, i termini di parentela, i
nomi di felini, i verbi di movimento
-una nozione più generica rispetto a quella di campo semantico è quella di sfera semantica, termine con il quale si può designare ogni insieme di
lessemi che abbiano in comune il riferimento a un certo ambito semantico: ad esempio l’insieme delle parole della moda o della musica
-le sfere semantiche per la loro natura sono in parziale sovrapposizione fra loro, e contengono sempre numerosissimi termini
-una famiglia semantica è un insieme di lessemi imparentati nel significato e imparentati nel significante; si tratta dell’insieme delle parole
derivate da una stessa radice lessicale
-una gerarchia semantica è invece costituita da un insieme in cui ogni termine è una parte determinata di un termine che nell’insieme lo segue in
una certa scala di misura: i nomi delle unità di misura del tempo (secondi, minuti, ore)
-il rapporto semantico che sta alla base di questo tipo di sottosistema lessicale è quello della parte al tutto, cioè la meronimia
-molti lessemi sono suscettibili di assumere significati traslati che si allontanano dal normale significato primario; i processi su cui si basano tali
spostamenti di significato sono la metafora, fondata sulla somiglianza concettuale: “coniglio” per indicare una persona molto paurosa; e la
metonimia, fondata sulla contiguità concettuale: “bottiglia” come liquido contenuto in una bottiglia
Cenni di semantica frasale
-un enunciato è una frase considerata dal punto di vista del suo concreto impiego in una situazione comunicativa, come segmento di discorso in
atto; è dunque il corrispettivo nel quadro dell’uso della lingua, della frase, unità del sistema linguistico
-elementi cruciali per l’interpretazione del valore degli enunciati sono i connettivi, come molte congiunzioni coordinanti e subordinanti che
hanno
spesso il valore di operatori logici: “e” è operatore di congiunzione, “o” di disgiunzione
-così, funzionano da operatori logici i quantificatori (tutti, nessuno, ogni, qualche) e la negazione
-ricerche di semantica hanno messo in evidenza la questione della composizionalità del significato, vale a dire dell’importanza dell’interazione fra
i significati e le proprietà semantiche dei singoli lessemi negli enunciati
-Pustejovsky un autore che esamina il significato lessicale secondo una prospettiva generativista, mirata a prevedere in maniera dinamica le
modifiche che un significato di base di un lessema può assumere nel contesto linguistico in cui è attivato, ha individuato 4 principi
-il primo principio è la composizione: il significato della frase è la somma dei significati di base di ogni singolo elemento (Gianni mangia una
mela=
Gianni + mangia + una + mela)
-il secondo principio è la co-composizione, in base a cui il significato degli argomenti di un verbo contribuisce a definire il significato del verbo: in
“Gianni ha cotto la carne” e “Gianni ha cotto il pane”, “cuocere” indica rispettivamente un’attività che porta a un cambiamento di stato e
un’attività che porta alla produzione di qualcosa
-il terzo principio è chiamato coercizione e riguarda i casi in cui è il significato del verbo a condizionare il significato di un suo argomento: in “ho
comprato un nuovo libro” e “ho iniziato un nuovo libro”, libro assume rispettivamente il significato di oggetto fisico e di testo scritto
-abbiamo infine il legamento selettivo, in cui un nome seleziona e determina il valore di un aggettivo dal significato non specifico: in “un treno
veloce” veloce significa “che va velocemente”, mentre in “un lavoro veloce” significa “che si esegue rapidamente”
Elementi di pragmatica
-il significato pragmatico riguarda che cosa si fa, con la produzione di un enunciato, e chiama in causa l’intenzionalità del parlante
-in questa visuale, la lingua è studiata come modo d’agire e non come sistema di comunicazione: il criterio di analisi è “che cosa si fa, che azione
si
compie quando si dice qualcosa?”
-gli enunciati prodotti nella normale interazione verbale costituiscono, da questo punto di vista, degli atti linguistici
-un atto linguistico è l’unità di base dell’analisi pragmatica, e consta di tre distinti livelli o componenti
-produrre un enunciato equivale a fare contemporaneamente tre cose distinte, a compiere tre atti in uno:
1. Un atto locutivo, che consiste nel formare una frase in una data lingua, una proposizione con la sua struttura fonetica, grammaticale,
lessicale: “Gianni scappa” come struttura SN + SV costituita da due parole fatte di certi fonemi, e con un suo significato denotativo, ecc
2. Un atto illocutivo che consiste nell’intenzione con la quale e per la quale si produce la frase, nell’azione che si intende compiere
proferendo quell’enunciato: “Gianni scappa” nel suo valore di “dare un’informazione, descrivere, fare un’affermazione”
3. Un atto perlocutivo che consiste nell’effetto che si vuol provocare nel destinatario del messaggio, nel risultato concreto effettivamente
ottenibile da un enunciato prodotto in una determinata situazione: “Gianni scappa” può avere l’effetto di “allarme alla polizia”,
“chiamata di soccorso”
Capitolo 6 Le lingue del mondo
Le lingue del mondo
-numero minimo di 2200 lingue storico-naturali, a un numero più che triplo
-il sito “Languages of the world” del Summer Institute of Linguistics di Dallas, censisce a settembre 2016 più di 7000 lingue
-è tutt’altro che semplice stabilire se diverse parlate tra loro simili sono da considerare varietà o dialetti di una stessa lingua, oppure sono lingue
a
sè stanti
-bisogna tenere conto non solo della lingua nazionale comune, ma anche delle lingue delle minoranze parlate da gruppi più o meno consistenti di
parlanti in alcune aree o areole del paese
-in Italia è dubbio lo statuto dei vari dialetti italiani, che avrebbero le carte in regola per essere considerati sistemi linguistici a sé stanti, autonomi
rispetto all’italiano e non sue semplici varietà
-se li calcoliamo ciascuno come lingua a sé, arriviamo ad almeno una trentina di lingue indigene presenti in Italia
-anche le lingue romanze o neolatine, derivate dal latino, vengono considerate ciascuna una lingua a sé stante, mentre in altri gruppi linguistici
sistemi con una distanza strutturale del tutto analoga a quella fra le diverse lingue romanze vengono a volte considerati varietà della stessa
lingua
-le lingue del mondo sono alcune migliaia; la maniera principale per mettere ordine in questo coacervo di sistemi linguistici consiste nel
raggrupparli
in famiglie secondo criteri di parentela genealogica, che si basano sulla possibilità di riportare le lingue ad un antenato comune
-un metodo semplice è quello basato sul cosiddetto lessico fondamentale: un insieme di circa 200 termini designanti nozioni comuni da
considerare
non esposti a interferenze fra le lingue e quindi diagnostici per il lessico ereditario indigeno
-l’assunzione di base è che se per questi termini troviamo lo stesso o simile significante vorrà dire che questo rimanda a una forma originaria
condivisa, e che quindi le lingue che le presentano hanno un antenato comune
-la ricostruzione linguistica (la descrizione di stadi precedenti di una lingua non documentati), la comparazione fra le lingue e il riconoscimento di
parentele più o meno strette rappresentano un compito assai più complesso, basato non solo sulle somiglianze dei significanti, ma anche su
affinità e differenze lessicali, morfologiche e sintattiche
-si deve tenere conto anche delle culture che le lingue rappresentano
-un ruolo importante nella linguistica comparata e ricostruttiva e per il riconoscimento delle famiglie linguistiche e delle loro articolazioni interne
è svolto dalle leggi fonetiche
-l’italiano ha stretti rapporti di parentela con tutte le lingue provenienti dalla comune base del latino, e costituisce assieme a queste il ramo delle
lingue romanze (o neolatine) che comprende: italiano, francese, spagnolo castigliano, portoghese, romeno e altre lingue minori come gallego,
catalano, provenzale… nonché svariate varietà dialettali
-il ramo romanzo, assieme ad altri rami con cui le lingue romanze hanno una parentela come le lingue germaniche (tedesco, inglese,
neerlandese,
svedese, norvegese, danese), le lingue slave (russo, polacco, serbo-croato, sloveno, ucraino, ceco, bulgaro, macedone), le lingue baltiche
(lituano,
lettone), le lingue celtiche (bretone, gaelico, gallese), le lingue indoarie (hindi, bengali, singalese, nepali), le lingue iraniche (persiano, curdo) e
tre
lingue isolate (il neo greco, l’albanese e l’armeno), forma la grande famiglia delle lingue indoeuropee
-il livello della famiglia rappresenta il più alto livello di parentela ricostruibile con i mezzi della linguistica storico-comparativa
-all’interno di una famiglia di lingue si possono riconoscere dei rami o sottofamiglie, che a loro volta si possono dividere in gruppi a seconda del
grado sempre più stretto di parentela fra le lingue
-l’italiano si può classificare come una lingua del sottogruppo italo-romanzo del gruppo occidentale
-la linguistica comparativa riconosce oggi fino a un massimo di 18 famiglie linguistiche, più alcune lingue singole isolate, di cui non si è riusciti a
provare la parentela con altre lingue
-a queste andrebbero aggiunte alcune decine di lingue pidgin e creole, nate dall’incontro e mescolanza in situazioni particolari di lingue per lo più
tra loro assai diverse e distanti
-un pidgin, sistema linguistico semplificato che non ha parlanti nativi, si sviluppa in un creolo quando diventa lingua materna in una comunità; fra
i pidgin più noti vi sono il tok pisin (parlato in Papua Nuova Guinea), il WAPE (West African Pidgin English, parlato in Nigeria, Camerun, Ghana), il
Chinese Pidgin English (parlato un tempo in località della Cina meridionale), il russenorsk (parlato sulle coste del Mare Artico), il fanakalo o
fanagalò
(parlato in Sudafrica, Namibia, Zimbawe)
-fra i creoli: lo sranan (Suriname), il krio (Sierra Leone), il giamaicano (Giamaica), il creolo haitiano (Haiti), il mauriziano (isola di Maurituis), il
seicellese (isole Seychelles)
-delle migliaia di lingue esistenti, soltanto alcune decine possono essere considerate grandi lingue, con un numero sostanzioso di parlanti
-secondo stime relative al 2003, risultavano esserci al mondo 64 lingue con più di 10 milioni di parlanti nativi, e 125 con più di 3 milioni
-per parlanti nativi di una lingua si intendono i parlanti di una lingua che hanno imparato quella lingua nella socializzazione primaria e quindi la
possiedono come lingua materna
-molte lingue si stanno estinguendo: si calcola che a inizio del terzo millennio circa il 20% delle lingue esistenti al mondo siano in imminente
pericolo
di scomparsa
-occorre tener conto che il dato demografico, il numero dei parlanti, è solo uno dei criteri coi quali giudicare dell’importanza delle lingue: sono
forse più rilevanti criteri come: il numero di paesi e nazioni in cui una lingua è lingua ufficiale; l’impiego della lingua nei rapporti internazionali,
nella scienza, nella tecnica, nel commercio; l’importanza politica e il peso economico dei paesi dove la lingua è parlata; la tradizione letteraria e
culturale e il relativo prestigio di cui gode la lingua; l’insegnamento della lingua nella scuola come lingua straniera
-dal punto di vista demografico ha molto peso anche il numero dei parlanti non nativi, che parlano una certa lingua come lingua seconda o
straniera
-in Europa sono tradizionalmente parlate lingue di 5 diverse famiglie linguistiche: oltre alle lingue indoeuropee, troviamo: lingue uraliche del
ramo
ugrofinnico (l’ungherese, il finlandese, l’estone, il lappone, il mordvino); lingue altaiche (il turco, il tataro); lingue caucasiche (il georgiano, il
ceceno); lingue semitiche (ramo della famiglia afro-asiatica: il maltese, che ha grammatica semitica ma parte del lessico di provenienza italo-
siciliana); oltre a una lingua isolata, il basco
Tipologia linguistica
-più interessante è la classificazione delle lingue secondo una prospettiva tipologica
-la tipologia linguistica si occupa di individuare che cosa c’è di uguale e che cosa c’è di differente nel modo in cui, a partire dai princìpi generali
che
governano le lingue possibili, le diverse lingue storico-naturali sono organizzate e strutturate
-la tipologia è connessa con lo studio degli universali linguistici, proprietà ricorrenti nella struttura delle lingue sia sottoforma di invarianti
possedute dalle lingue in quanto tali sia sotto forma di un repertorio di possibilità a cui le lingue si rifanno in maniera diversa l’una dall’altra
-un universale può trovare il suo fondamento nelle proprietà che caratterizzano il linguaggio verbale umano come sistema semiotico o nelle
restrizioni connesse alla base materiale, fisica del linguaggio, ma anche essere frutto dell’osservazione empirica
-nel primo caso, un universale dipende dall’assioma “non può esistere una lingua senza X”, nel secondo caso un universale discende dalla
constatazione “tutte le lingue note possiedono X”
-sulla base di tratti strutturali comuni si possono classificare le lingue dal punto di vista della loro appartenenza a tipi diversi e della somiglianza
relativa della loro organizzazione strutturale
-un tipo linguistico si può definire come un insieme di tratti strutturali correlati gli uni con gli altri; in concreto equivale a un raggruppamento di
sistemi linguistici aventi molti caratteri comuni
-“tipo” è un concetto molto idealizzato, a un livello più alto di astrazione che non “sistema”: una singola lingua non corrisponde mai totalmente a
un tipo particolare e in genere in una lingua determinata si trovano assieme a caratteristiche tipologiche prevalenti di un tipo, anche caratteri
propri di altri tipi
-un sistema linguistico realizza un certo tipo linguistico, mescolando a questo caratteri di altri tipo linguistici ideali
Tipologia morfologica
-un primo modo di individuare tipi linguistici diversi e di classificare tipologicamente le lingue è basato sulla morfologia, e più precisamente sulla
struttura della parola
-a seconda di com’è fatta una parola in una data lingua, del rapporto che c’è fra parole e morfemi e del tipo e natura dei morfemi che
costituiscono
le parole, si distinguono 4 tipi morfologici fondamentali di lingua
-un primo tipo morfologico è dato dalle lingue isolanti; è isolante una lingua in cui la struttura della parola è la più semplice possibile: ogni parola
è tendenzialmente costituita da un solo morfema (la radice lessicale), e dunque il rapporto morfemi-parole (detto indice di sintesi) è
generalmente
1:1
-l’indice di sintesi, che rappresenta il numero di morfemi per parola, si ottiene dividendo in un dato testo il numero dei morfemi per il numero
delle parole; più basso è tale indice in un qualunque testo in quella lingua, e più quindi il numero dei morfemi tende a coincidere con quello
delle
parole, più la lingua è detta analitica; al contrario, più è alto l’indice, più la lingua è sintetica
-il nome isolanti si giustifica col fatto che, approssimativamente, tali lingue non solo isolano in blocchi unitari inscindibili le singole parole, ma
anche esprimono spesso significanti complessi scindendoli, isolandoli, in lessemi semplici giustapposti
-le lingue isolanti non presentano tendenzialmente morfologia flessionale, e hanno poca o nulla morfologia derivazionale
-i significati e valori di varia natura codificanti nelle lingue di altro tipo dalla morfologia sono, nelle lingue isolanti, affidati al lessico
-nel tipo isolante le parole sono anche spesso monosillabiche
-sono riportabili a questo tipo e vengono classificate come lingue isolanti: il vietnamita, il cinese, il thailandese, l’hawaiano…
-l’inglese presenta alcuni caratteri di lingua isolante, grazie soprattutto alla morfologia flessionale assai ridotta che possiede; i morfemi flessionali
dell’inglese non raggiungono propriamente la decina: il suffisso del plurale dei sostantivi, i suffissi del comparativo di maggioranza e del
superlativo
relativo, la terza persona del presente, le marcature (mediante suffissi o modifiche della radice) del passato e del participio passato, il suffisso
del
participio presente -ing…
-un secondo tipo morfologico è dato dalle lingue agglutinanti; è agglutinante una lingua in cui le parole hanno una struttura complessa, sono
formate dalla giustapposizione di più morfemi, che danno luogo a una catena di morfemi anche lunga; tali lingue presentano un alto indice di
sintesi, spesso attorno o superiore a 3:1
-inoltre, nelle lingue agglutinanti i morfemi di solito hanno un valore univoco e una sola funzione: ogni affisso marca biunivocamente solo una
categoria grammaticale
-sono lingue agglutinanti: il turco, l’ungherese, il finlandese, il basco, il giapponese…
-in una lingua agglutinante le parole possono essere anche molto lunghe e sono costituite da una radice lessicale
-un terzo tipo morfologico è dato dalle lingue flessive (o fusive); sono flessive le lingue che presentano parole internamente abbastanza
complesse,
costituite da una base lessicale semplice (una radice) o derivata e da uno o anche più affissi flessionali che spesso sono morfemi cumulativi,
veicolando ciascuno più valori grammaticali assieme e assommando diverse funzioni
-rispetto alle lingue agglutinanti, hanno un indice di sintesi minore; le parole hanno una struttura meno complessa e sono composte da una
catena meno lunga di morfemi; ma per converso vi sono molti fenomeni di allomorfia e di fusione, che amalgamano spesso i singoli morfemi e li
rendono non ben separati e identificabili con qualche difficoltà
-l’analisi morfematica delle lingue flessive è resa a volte disagevole dal fatto che non sono rari fenomeni di omonimia, sinonimia e polisemia di
morfemi: nel complesso, la morfologia di queste lingue presenta molte irregolarità e idiosincrasie
-proprio per la caratteristica di riunire più significati su un solo morfema flessionale e di fondere assieme i morfemi rendendo spesso poco
trasparente la struttura interna della parxola, tali lingue vengono anche chiamate fusive; mentre il termine flessive si riferisce alla presenza in
esse
di molta morfologia flessionale che da luogo a più forme flesse della stessa parola: le parole si presentano nelle frasi tipicamente in una forma
flessa, che modula in un certo senso la radice lessicale
-sono lingue flessive in genere le lingue indoeuropee, quindi le principali lingue parlate in Europa
-nel tipo morfologico flessivo si distingue un sottotipo introflessivo, caratterizzato dal fatto che i fenomeni di flessione avvengono anche dentro la
radice lessicale: i morfemi flessionali ed eventualmente derivazionali sono in parte dei transfissi vocalici che si inseriscono all’interno di una base
discontinua triconsonantica, intercalandosi fra le consonanti di questa; esempio tipico di lingua introflessiva è l’arabo
-il quarto tipo morfologico, quello polisintetico; le lingue polisintetiche sono quelle che hanno la struttura della parola più complessa
-come le lingue agglutinanti, hanno la parola formata da più morfemi attaccati assieme, ma presentano la peculiarità che in una stessa parola
compaiono due o più radici lessicali, morfemi pieni
-le parole di queste lingue tendono a corrispondere spesso a ciò che nelle altre lingue sarebbero delle frasi intere: all’opposto delle lingue
isolanti,
le lingue polisintetiche realizzano nella morfologia valori semantici che di solito sono affidati al lessico
-l’indice di sintesi medio nelle lingue polisintetiche è 4:1 o superiore
-rispetto alle lingue agglutinanti, le lingue polisintetiche presentano fenomeni di fusione che rendono poco trasparente la struttura della parola,
come nel tipo flessivo
-sono lingue polisintetiche molte lingue amerinde (le lingue del gruppo eschimese), quelle della famiglia paleosiberiana, molte lingue australiane
-poiché in molte di queste lingue si vengono ad avere parole nella cui struttura si trovano una radice verbale e la radice nominale che in una
proposizione rappresenterebbe il complemento oggetto o un complemento diretto di questa, le lingue polisintetiche sono a volte anche
chiamate
incorporanti
-passando dal tipo linguistico isolante a quello polisintetico vi è un progressivo complicarsi della struttura della parola: le lingue isolanti sono
lingue
tipicamente analitiche (che spezzano il contenuto da codificare e trasmettere in blocchi unitari semplici), le lingue agglutinanti e ancora più le
lingue polisintetiche sono lingue sintetiche (che sintetizzano assieme più blocchi di contenuto, ottenendo entità complesse)
-il tipo flessivo o fusivo occupa da questo punto di vista una posizione intermedia tra l’analiticità e la sinteticità
-l’italiano è una lingua flessiva; in certi settori della formazione delle parole troviamo la presenza di fenomeni o meccanismi degli altri tipi
morfologici: isolante, come in auto civetta; agglutinante, come nei cumuli di suffissi e/o prefissi: ristrutturazione, probabilisticamente;
polisintetico: capostazione, retrocederemmo
Tipologia sintattica
-un secondo criterio per classificare le lingue è basato sulla sintassi e sull’ordine basico dei costituenti principali della frase, quello che si ha nelle
frasi dichiarative canoniche
-i costituenti sintattici fondamentali della classificazione tipologica sono quelli che realizzano il soggetto, il verbo o predicato verbale e il
complemento oggetto o complemento diretto
-dal punto di vista delle possibilità teoriche di combinazione, sono possibili sei ordini diversi: SVO, SOV, VSO, VOS, OVS, OSV
-l’italiano, come tutte le altre lingue romanze, è lingua SVO
Capitolo 7 Mutamento e variazione nelle lingue
-La lingua lungo l’asse del tempo
Il mutamento linguistico
-una proprietà empiricamente molto evidente delle lingue quando le si considera come entità calate negli usi di una concreta comunità sociale, è
costituita dalla variazione
-una lingua si presenta sotto forme diverse e mostra sempre un rilevante ammontare di possibilità e modi diversi di realizzazione delle unità del
sistema
-tale differenziazione che si manifesta in ogni lingua è visibile lungo l’asse del tempo, nella diacronia
-ogni lingua conosce cambiamenti nel suo lessico e nelle sue strutture in relazione al passare del tempo e alle modificazioni che parallelamente
avvengono nella storia della cultura e della società; le strutture e i paradigmi si modificano
-all’insieme di tali cambiamenti si dà il nome di mutamento linguistico e il settore della linguistica che si occupa del mutamento è la linguistica
storica
-un mutamento per essere completamente avvenuto richiede lo spazio di più di una generazione
-cambiamenti locali multipli in parti diverse del sistema possono sommarsi e ingrandire le differenze fra uno stato di lingua e l’altro, al punto tale
che ad un certo momento, quando uno stato di lingua risulti così cambiato rispetto ai precedenti da non essere più riconoscibile dai parlanti, si è
in presenza di una nuova lingua
-il meccanismo dei mutamenti segue una trafila che inizia con un’innovazione e prosegue con una fase in cui l’innovazione si diffonde e
l’elemento
innovante coesiste nel sistema con l’elemento preesistente
-l’innovazione può essere accettata dalla comunità parlante ed avere successo fino a soppiantare totalmente l’elemento vecchio
-ogni cambiamento significativo nell’ambiente, nell’evoluzione economica, nello sviluppo socioculturale può essere un fattore extralinguistico,
una
causa esterna scatenante di mutamenti linguistici, comprese la decadenza, estinzione o morte di una lingua
-una lingua muore quando non ha più parlanti e nell’uso di una comunità viene sostituita totalmente da un’altra lingua
-spesso la lingua che si estingue lascia tracce sulla lingua che subentra: si tratta di fenomeni di sostrato; sostrato è il termine che si impiega per
indicare l’influenza di una lingua precedente sulla lingua successiva in una comunità parlante
-fattori interni del mutamento linguistico sono sia le tendenze del sistema a regolarizzare, acquistare coerenza e simmetria, ottimizzare le
strutture,
sia le operazioni inconsce del parlante volte a semplificare, sia nella produzione, sia nella ricezione le strutture della lingua
-l’economia del sistema e l’agevolezza di processazione da parte del parlante si ritrovano in molti dei fenomeni concreti del mutamento
linguistico
-i singoli mutamenti che avvengono sembrano seguire una logica interna, un percorso dinamico che collega i vari mutamenti nei diversi settori
della lingua
-tale direzione tendenziale del mutamento linguistico è stata chiamata deriva (drift)
Fenomeni del mutamento
-i simboli > e < valgono in linguistica storica a “diventa/dà luogo a” e “proviene da”
-la forma che sta dal lato aperto della freccia è l’etimo, vale a dire la forma originaria più antica da cui la forma attuale o più recente proviene
-nel mutamento fonetico, sono molto frequenti fenomeni di assimilazione: due foni articolatoriamente diversi nel corpo della parola tendono a
diventare simili o uguali mediante l’acquisizione da parte di uno dei foni o di uno o più tratti comuni con l’altro fono
-l’assimilazione avviene frequentemente nei nessi consonantici: lat. nocte(m) > ital. notte
-è un caso di assimilazione anche la cosiddetta palatizzazione delle consonanti velari davanti a vocali anteriori: la consonante velare si sposta
avanti
nello spazio articolatorio acquisendo il tratto di anteriorità della vocale che la segue (lat. gente(m) [‘gente] > ital. gente [‘dȝente]
-l’assimilazione può avvenire anche tra foni non contigui nella catena parlata, come nella metafonia, termine che indica la modificazione del
timbro
di una vocale interna per effetto della vocale finale
-esiste anche il fenomeno contrario all’assimilazione, la dissimilazione, differenziazione tra foni che si ha quando due foni simili o uguali non
contigui in una parola diventano diversi: lat. venenu(m) > ital. veleno, con dissimilazione regressiva delle due [n] dell’etimo latino;
-altri fenomeni di mutamento fonetico, frequenti anche nel passaggio dal latino alle lingue romanze sono:
1. la metatesi, spostamento dell’ordine dei foni di una parola: spag. peligro “pericolo” < lat. periculu(m) con inversione della posizione di r e l
2. la soppressione o caduta di foni, in particolare di vocali, in una parola; queste possono avvenire in posizione interna, le aferesi: lat.
apotheca(m)
> ital. bottega; in posizione interna, sincope: lat. domina(m) > ital. donna; in posizione finale, apocope: lat- civitate(m) > ital. città
3. l’inserzione o aggiunta di foni: epentesi, nel copro di una parola (lat. baptismum > ital. battesimo); protesi, all’inizio (lat. statum > spag.
estado);
epitesi, alla fine (lat. cor > ital. cuore)
-in linguistica storica hanno avuto molta importanza le leggi fonetiche, su cui si è basata la linguistica di fine 800 per ricostruire nei dettagli, le
parentele fra le lingue e la loro classificazione in famiglie, rami, gruppi
-per leggi fonetiche si intendono mutamenti fonetici regolari che nell’evoluzione delle lingue toccano intere serie di parole, nelle quali un fono si
trasforma sistematicamente in un altro fono
-i mutamenti fonetici-fonologici possono anche consistere in spostamenti a catena, che coinvolgono intere serie di foni o fonemi; fra gli esempi
più noti di mutamento a catena vi sono le cosiddette rotazioni consonantiche
-la prima di queste (nota come legge di Grimm) riguarda il passaggio delle occlusive sorde a fricative sorde, delle occlusive sonore a occlusive
sorde
e delle occlusive sonore aspirate a occlusive o fricative sonore, e caratterizza il ramo germanico delle lingue indoeuropee rispetto agli altri rami
-la seconda rotazione consonantica caratterizza l’evoluzione del tedesco fra le lingue germaniche: le occlusive sorde p, t, k diventano affricate in
inizio parola e in posizione postconsonantica (“zehn”, “Herz” rispetto a “ten”, “heart” dell’inglese), e fricative in posizione postvocalica
(“Wasser”
contro “water”)
-i fenomeni più rilevanti nel mutamento sintattico concernono di solito l’ordine dei costituenti; il mutamento sintattico coincide quindi spesso
con
un mutamento tipologico
-nella semantica lessicale, il mutamento si manifesta in primo luogo come arricchimento del lessico, vale a dire con l’ingresso nell’inventario dei
lessemi di una lingua di nuove unità (neologismi); l’arricchimento del lessico può avvenire con materiali e mezzi interni alla lingua, utilizzando
meccanismi di formazione di parola a partire da lessemi già esistenti
-spesso quello che cambia è l’area semantica coperta da una parola, così si hanno estensioni o generalizzazioni (lat. domina “signora, padrona di
casa” > ital. donna), o al contrario restringimenti (lat. domus “casa” > ital. duomo)
-ci sono anche mutamenti semantici per tabuizzazione che riguardano l’interdizione di parole relative a determinate sfere semantiche e ai
concetti
a esse attinenti, che vengono sostituite da altre parole di significato non diretto (dette eufemismi)
La variazione sincronica
-la proprietà di variare insita nella lingua è altrettanto evidente in sincronia, in un dato periodo temporale
-la lingua si adatta a tutti i vari contesti e permette di esprimere anche significati sociali e valore simbolici di varia natura
-la ragione ultima della variazione linguistica sta quindi nel suo essere funzionale ai diversi bisogni comunicativi e più ampiamente sociali a cui
per
i suoi parlanti una lingua deve rispondere in un certo periodo storico in una certa comunità
-la variazione interna della lingua è il campo specifico di azione della sociolinguistica; la sociolinguistica, che presuppone la descrizione del
sistema
linguistico fornita dalla linguistica generale, studia che cosa accade quando un sistema linguistico è calato nella realtà concreta degli usi che ne
fanno i parlanti nelle loro interazioni verbali
-varietà di lingua è un concetto essenziale nella prospettiva sociolinguistica: una lingua si presenta o manifesta sempre, nei concreti usi
comunicativi in una certa comunità sociale, sotto forma di una determinata varietà
-dal punto di vista sociolinguistico una lingua va considerata come una somma di varietà
-dal punto di vista strettamente linguistico, una varietà di lingua è costituita da un insieme di varianti tra loro solidali (dotate dello stesso grado e
natura di marcatezza sociolinguistica, in quanto tendono a comparire assieme in contesti simili)
-una variabile sociolinguistica è un punto o un’unità del sistema linguistico che ammette realizzazioni diverse equipollenti (cioè che non mutano il
valore di quell’unità del sistema e non ne cambiano il significato) ciascuna delle quali è in correlazione con qualche fatto extralinguistico
-le differenti realizzazioni regionali di certi fonemi dell’italiano sono tutti esempi di variabili sociolinguistiche a livello fonologico
-a livello morfologico è una variabile sociolinguistica la forma del pronome clitico di terza persona obliquo (dativo): al singolare “gli” maschile,
“le”
femminile in italiano standard, “ci” in varietà non colte di italiano
-a livello lessicale possono essere considerate variabili sociolinguistiche le coppie o serie di lessemi sinonimici per quanto riguardo il significato
denotativo ma collegati a diversi ambiti di uso della lingua: per designare il significato denotativo “genitore di sesso maschile” si possono trovare
padre/papà/babbo; padre è formale e neutro, papà è di usi informali e affettivi, babbo è dell’italiano di Toscana e in parte Emilia
Repertori linguistici
-l’insieme delle varietà di lingua presenti presso una certa comunità sociale costituisce il repertorio linguistico di quella comunità
-le varietà che formano il repertorio possono essere varietà della stessa lingua, o varietà di più lingue diverse: si hanno quindi repertori
monolingui
e repertori plurilingui
-una lingua standard è una lingua codificata, dotata di una norma prescrittiva, con un repertorio di manuali di riferimento
-dialetto è un concetto meno univoco; il termine viene utilizzato per designare casi di almeno due tipi diversi
-possono essere dialetti sistemi linguistici strettamente imparentati con la lingua standard, ma aventi una loro struttura e storia autonoma: è il
caso dei dialetti italiani che non sono propriamente varietà diatopiche dell’italiano, ma sono per così dire lingue sorelle dell’italiano
-possono ugualmente essere dialetti varietà risultanti dalla diversificazione su base territoriale di una certa lingua dopo che questa si è diffusa in
un paese (è il caso dei dialetti inglesi d’America)
-in un repertorio spesso vi sono anche lingue di minoranza: queste sono per lo più varietà di lingua non imparentate con la lingua standard e
rappresentanti una cultura e una tradizione etnica diverse da quella ridotta rispetto al resto della popolazione del paese, che costituiscono
minoranze linguistiche
-in Italia esistono tre minoranze linguistiche ufficialmente riconosciute fin dalla fine della seconda guerra mondiale: tedescofona in Alto Adige/
Sudtirol; francofona in Valle d’Aosta; slovena in provincia di Trieste e Gorizia
Il contatto linguistico
-fra i principali fenomeni e conseguenze del contatto linguistico vanno menzionati l’interferenza e i prestiti
-la nozione di interferenza riguarda l’influenza e l’azione che un sistema linguistico può avere su un altro; consiste nel trasporto di materiali
linguistici (elementi, parole, regole, tratti, costrutti, categorie) da una lingua ad un’altra
-quando ciò che viaggia da una lingua a un’altra è materiale linguistico di superficie (fonemi, morfemi, parole, locuzioni) e in particolare quando
si
tratta di elementi lessicale, si parla di prestito
-l’uso dei prestiti, elementi del lessico presi da un’altra lingua, non necessariamente implica il bilinguismo dei parlanti
-i prestiti subiscono quasi sempre un adattamento nella fonetica e non raramente nella morfologia e nel significato, diventando così integrati
nella
lingua che li accoglie
-quando ciò che passa da una lingua a un’altra non è una parola o espressione nei suoi aspetti formali, ma il suo significato, o la sua struttura
interna, resi con mezzi propri della lingua ricevente, si parla di calchi: ferrovia riproduce il tedesco “Eisenbahn” letteralmente “strada di ferro”,
grattacielo dall’inglese “sky-scraper” letteralmente “raschiatore del cielo”