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Clemente Solaro della Margarita

CENNI BIOGRAFICI.

Il conte Clemente Solaro della Margarita nasce a Cuneo il 21 novembre 1792


e muore a Torino il 12 novembre 1869.

Nell’immaginario popolare viene raffigurato con una penna in mano, dedito a


cancellare dall’annuario dei nobili (il Palmaverde) e dal ruolo dei militari,
tutti coloro che avevano servito il regime napoleonico.

È stato certamente un conservatore, strenuo sostenitore dell’assolutismo e


del legittimismo; ma altrettanto certamente questa attività di epurazione non
può ascriversi a sua diretta responsabilità.

Non si può, d’altra parte, sottacere che Napoleone aveva costretto re Vittorio
Emanuele I al forzato esilio in Sardegna e perciò non si poteva umanamente
pretendere che il sovrano, una volta tornato nei suoi pieni poteri,
dimenticasse le umiliazioni subite e che per conseguenza i suoi più stretti
collaboratori non facessero valere la loro fedeltà nei confronti di coloro che si
erano compromessi con il passato regime.
 

LA RESTAURAZIONE

Tuttavia questa sorta di restaurazione trovò applicazione per quanto


concerne gli appartenenti alle forze armate, in quanto i militari di norma
vennero retrocessi di un grado, ma non ebbe quella vasta e generale
applicazione che si mira ad accreditare.

Ad esempio, per limitarci a personalità di elevato rango delle quali solo si


rinvengono testimonianze certe, quando si trattò di realizzare la chiesa della
Gran Madre di Dio, venne chiamato l’architetto Ferdinando Bonsignore che
era stato al servizio dei francesi, accettando tra l’altro, la direzione della
“Scuola di architettura”; il conte Prospero Balbo, che ugualmente era
tacciato di simpatie napoleoniche per aver accettato la carica di Rettore
dell’Università, venne nominato capo del “Magistero della Riforma”; Paolucci,
valoroso ufficiale in Russia al tempo di Napoleone, fu poi nominato
governatore (assimilabile al prefetto) di Genova.

Anche tra i militari, vi furono eccezioni alla degradazione, in quanto i valdesi


che si erano guadagnati i gradi combattendo sotto Napoleone, conservarono
la dignità acquisita.

È vero che fu fatto divieto di fregiarsi dell’onorificenza francese della Legion


d’onore; ma analogo divieto è previsto attualmente anche da noi, in quanto
l’ordinamento repubblicano punisce con sanzioni penali chi fa mostra delle
onorificenze degli ordini sabaudi (1).

D’altra parte, quando circa due secoli e mezzo prima (1559) Emanuele
Filiberto era ritornato nei suoi possedimenti perdonando tutti coloro che si
erano schierati con i Francesi, il suo comportamento, senz’altro saggio, non
venne grandemente apprezzato, perché coloro che gli erano rimasti fedeli (in
verità, non numerosi) si aspettavano di ricevere ampie ricompense, mentre il
Principe distribuiva allo stesso modo ricompense ed onori secondo i servigi
ricevuti (2).

Comunque, ogni motivo di scandalo viene meno solo che si pensi che, a
quasi duecento anni dalla restaurazione, con lo spoils system è stata
addirittura codificata la prassi di dimettere i funzionari di grado elevato
nominati dal precedente governo.
 

LA DEVOZIONE AL RE

Solaro, laureatosi in ambo le leggi nel 1812, si avviò ben presto nella carriera
diplomatica, forte del suo ingegno e della protezione dei suoi parenti; della
carriera diplomatica percorse tutti i gradi fino a diventare Ministro
plenipotenziario presso il regno di Spagna (1826). Il 21 marzo 1835, all’età di
soli quarantatre anni, venne nominato da Carlo Alberto ministro degli esteri.
Durante la sua attività di governo, stipulò numerosi trattati di commercio
con gli altri Stati, si fece promotore dell’abolizione dei diritti di albinaggio
(diritti di origine feudale che attribuivano ai Comuni il possesso dei beni
degli stranieri deceduti nello Stato); istituì nuovi consolati; favorì e protesse
il lavoro dei connazionali all’estero; profuse le sue energie affinché la marina
sarda fosse ovunque rispettata. Tra l’altro, stipulò con l’Austria la
convenzione che porta la data del 10 giugno 1840 per la reciproca protezione
delle opere dell’ingegno e dell’arte; questa convenzione, cui in seguito
aderirono tutti gli stati della penisola eccettuato il regno delle Due Sicilie,
non ebbe solo valore internazionale, ma, in mancanza di leggi speciali,
doveva considerarsi come avente valore di legge interna per ognuno degli
stati che vi avevano aderito ed, in effetti, costituì l’archetipo della disciplina
del diritto d’autore (3).

Quando il re, proseguendo nel suo cammino di riforme (fatto di piccoli passi,
perché i tempi non consentivano ancora innovazioni rivoluzionarie: creazione
del Consiglio di Stato con la prevista aggregazione di due membri “per
ciascheduna riunione di province concernenti una divisione militare”;
emanazione del codice civile e di quello penale; soppressione dei fori
ecclesiastici ed istituzione della Suprema unica corte di cassazione;
perfezionamento della struttura del contenzioso amministrativo nell’ambito
della Camera dei conti; istituzione del Consiglio superiore della sanità;
istituzione del ministero dei lavori pubblici , agricoltura e commercio e di
quello della pubblica istruzione), ritenne di non avvalersi più della
collaborazione del Solaro, questi non domandò congedo al re, come era stato
sollecitato, ed invece richiese l’esonero in forma ufficiale.

Tali rimostranze non erano dettate dalla cupidigia del potere, ma


essenzialmente dalla preoccupazione che il suo allontanamento avrebbe
lasciato il sovrano “sull'orlo del precipizio” (4), in balia dei sostenitori della
sovranità popolare, con prevedibili sciagure per la monarchia e lo Stato.
Al momento del licenziamento (9 ottobre 1847), Carlo Alberto lo nominò
“Grande della Corona”.

Solaro, tuttavia, non conservò rancore o risentimento e restò sempre devoto


al suo sovrano.

Alla morte del re, nell’esilio di Oporto, si espresse con queste parole davvero
nobili: “Se un leggerissimo velo di quella polvere che è inerente agli uomini
ha offuscato qualche nobile sentimento del mio Re, chi vorrà ricordarlo? Io
rammento soltanto che fu il mio Signore, e mi colmò di bontà; e piango. E
quando volgo lo sguardo alla collina di Superga, dove dormono le sue ceneri
auguste, domando a Dio riposo per la sua anima immortale” (5).
Non si tratta di una dichiarazione di convenienza, fatta per la circostanza,
come è dimostrato da altre manifestazioni di lealtà e fedeltà pronunciate
anche in seguito.

Successivamente, invero, con l’autorevolezza che gli proveniva dalla sua


diretta partecipazione alla vita politica del regno sardo, confermerà i suoi
sentimenti di ammirazione e di devozione nei confronti di Carlo Alberto,
affermando che il sovrano ebbe “la gloria di essere stato padre più che
principe del suo popolo, di avere amata la legge di Dio, rispettata la Chiesa
… Per lui mantenne il Piemonte un posto rispettato fra le potenze di Europa,
per lui fiorì il commercio, prospere furono le finanze (6), retta la giustizia, il
nome sardo conosciuto e benedetto, ne’ più remoti lidi … Politica libera da
ogni influenza straniera, attitudine d’indipendenza assoluta …”.

Solaro nutrì grande affetto e stima verso il sovrano, del quale ammirava
l’ingegno, la capacità politica, l’onestà, la giustizia, il cuore, lo spirito
cavalleresco; anche se confessa che “niuno fu più avverso ad alcune sue
idee”, aggiunge tuttavia che “a nessuno credo di essere stato secondo
nell’amarlo; e adesso ancora non posso pensare a Carlo Alberto, senza
sentirmi commosso da tanti affetti di commiserazione, di gratitudine e di
rispetto” (7).

E quando, ormai prossimo alla morte, il Solaro apprese la nascita di Vittorio


Emanuele, figlio del principe Umberto (il futuro Vittorio Emanuele III),
manifestò la sua gioia, profferendo quasi le sue ultime parole: “Sia lodato
Iddio che è nato un principe”; così, nell’ora estrema, univa armonicamente i
concetti di Dio e del Re.

La Gazzetta Piemontese del 13 novembre 1869, nel dare notizia della sua
morte, ha doverosamente riconosciuto in lui “due meriti specialissimi e nel
nostro tempo troppo rari: la costanza nei propositi e la convinzione sincera
nelle sue idee”; l’apprezzamento non era di poco conto, perché proveniva da
avversari decisi.
 

CRITICA DEI GIUDIZI SUL SOLARO

Solaro fu uomo di grande vedute, ma misurava i passi (8).

La letteratura risorgimentale con scarsa generosità lo ha qualifica retrivo e


reazionario, formulando giudizi che non trovano conferma in una serena ed
obiettiva analisi dell’attività svolta dal medesimo Solaro.
Anzitutto, gli fu addebitato di essere austriacante.

L’accusa venne fermamente respinta, quand’era ancora in vita, dallo stesso


interessato che proclamò la sua decisa avversione all’Austria.
Questa presunta simpatia del Solaro è, comunque, contraddetta dalle
pressioni che il Metternich fece presso Carlo Alberto affinché sostituisse il
suo ministro “per i negozi esteri”, perché questi evidentemente auspicava e
lavorava per un regno libero dall’influenza austriaca (9).

Al Solaro venne rimproverata anche una eccessiva religiosità e


accondiscendenza ai voleri del Papa.

Non è stato, tuttavia, in alcun modo dimostrato che la sua religiosità si fosse
manifestata a scapito dello Stato o con effetti negativi sul bilancio statale.

Inoltre, il Solaro ebbe sempre netta la distinzione tra il rispetto dovuto al


Papa, come Capo della Chiesa cattolica, ed i rapporti come sovrano
temporale.

È certo, peraltro, che quando Carlo Alberto si servì dell’opera e dei consigli
del Solaro, le questioni insorte si risolsero in comune accordo delle due
potestà, anche se non sempre con il gradimento dell’autorità ecclesiastica,
come per esempio per la soppressione delle decime al clero in Sardegna e la
riduzione dell’immunità ecclesiastica.

Il Solaro venne frequentemente accusato di conservatorismo e di grettezza


politica.

Anche queste accuse non reggono alla prova dei fatti, perché nel periodo in
cui svolse il suo ufficio numerose furono le riforme ed i miglioramenti
nell’amministrazione, mentre la stima ed il rispetto delle potenze straniere
per il piccolo regno furono accresciuti di ogni misura rispetto ai periodi
precedenti.

Il Solaro venne poi accusato di aver svolto una cattiva influenza sul sovrano
e sui suoi atti: l’accusa, però, non tiene conto che, come emerge anche dalle
lettere a lui dirette dal Sovrano, Carlo Alberto dava il suo consenso solo
quando era convinto di quello che faceva ed era “pur sempre padrone degli
avvenimenti” (10).

Solaro fu eletto deputato nel 1854 e nel 1857; in parlamento, si oppose ai


provvedimenti anticlericali in quel periodo frequenti.

NOTE

1) Giorgio Cansacchi - Mario Gorino Causa, voce Onorificenze, in Novissimo digesto,


XI, Torino, 1965, 953.
2) Maria Josè di Savoia, Emanuele Filiberto di Savoia, Milano, 1994, 175.
3) Tommaso Bruno, voce Diritti d’autore, in Digesto it., IX parte II, Torino 1898-1901,
567.
4) Clemente Solaro della Margarita, Memorandum storico politico, Torino, 1930, 369.
5) Michele Ruggiero, L’ereditˆ di Carlo Alberto, Milano, 1995, 359.
6) Negli anni che vanno dal 1836 al 1846, gli “avanzi” versati nella cassa di riserva
ammontavano a lire 27.659.370; questi avanzi erano indipendenti dai fondi erogati
dalla cassa di riserva e destinati ad opere pubbliche (Federico Sclopis, Storia della
legislazione italiana, III, 331).
Al riguardo, un puntiglioso osservatore faceva notare che a cinquant’anni dalla
promulgazione dello Statuto, ogni italiano nasce con 500 lire di debito e 90 lire di
tasse (P. Ilario Rinieri, Lo Statuto e il giuramento di Carlo Alberto, Roma, 1899, 17).
7) Clemente Solaro della Margarita, Memorandum, cit., 371; P. Ilario Rinieri, Lo
Statuto, cit., 53.
8) Francesco Luigi Berra, voce Solaro della Margarita, in Nuovo digesto italiano,
1940, 548.
9) P. Ilario Rinieri, Lo Statuto, cit., 15.
10) Clemente Solaro della Margarita, Memorandum, cit., 546 seg.; numerose lettere
del Sovrano dirette al Solaro si possono leggere in Carlo Lovera e P. Ilario Rinieri,
Clemente Solaro della Margarita, vol. III, Torino, 1931.
 

Estratti delle opere

LA SPADA DI FUOCO dell'Arcistratega


(Estratto da CLEMENTE SOLARO DELLA MARGARITA, Avvedimenti politici)
Equidem nos vera rerum vocabula amisimus, dirò con le parole di Catone al Senato Romano,
scorgendo quanto stranamente si abusa della parola moderazione. Virtú ella è certamente se
s'intende di quell'atto di volontà per cui vanno moderate le passioni, ma è tutt'altro se si
mostra in un amalgama di virtú e di vizio, donde esce una sordida superfetazione che
conserva molte brutture del secondo, e una veste di apparenza di beltà tolta dalla virtú ad
imprestito. Si abusa egualmente della parola esagerazione quando si suppone che questa possa
sussistere nell'applicazione dei principii di giustizia e di virtú, ed i moderati follemente si
credono essere degli eroi perfetti fra la virtú e il vizio. […] Or la giustizia è tale che non si
può mai troppo amare, né moderare nell'applicazione, se con essa si governa, vi è certezza di
non fallire mai, di non esagerare mai. […]
Il moderantismo è un atto di solenne vigliaccheria; son moderati i pusillanimi che tutto
temono, e tentano salvarsi colle teorie d'una falsa saviezza; gregge servile che non dà aiuto
agli amici, non combatte gli avversarii, non ha il coraggio di forti opinioni, non osa reprimere
i partiti; ne forma un terzo pallido ed impossente al bene; adula i vincitori, accarezza i vinti,
pronto a servire sempre chi prevalga. Non essendo in buona fede mai, i moderati pregiudicano
chi è al potere, e coi loro errori ne preparano la rovina. Si credono abili, perché calcolano tutte
le eventualità di profitto personale, e sono la vera significazione dell'egoismo che sagrifica a
viste private gl'interessi della cosa pubblica. […]
Il moderantismo vorrebbe co' suoi papaveri addormentar perfino la Religione, di cui fa le
viste di temere gli eccessi; a diminuirne perciò la salutare influenza, inceppa l'autorità della
Chiesa. Taluni fra i moderati a scuola di migliori principii devoti, deplorano la perversità delle
massime che all'idea religiosa contrastano, ma credono ormai non potersene evitare la
diffusione e il contagio, né esservi altro rimedio che il secondarle, per impedire che troppo
oltre trascorrano. Questa transazione fra il bene ed il male, non è meno assurda di quello che
lo sarebbe nei medici secondare le infermità anziché guarire chi le soffre, e trattarle in modo
che conducano a morte lenta, ma non men sicura. […]
È tutto proprio dei moderati quel grande sfoggio di sentimenti di umanità che si estendono,
senza cambiarne il nome, perfino alle bestie, compiangendosi le sferzate con cui affliggono i
cavalli dei cocchieri, o i colpi di bastone che riceve l'asino per ispingerlo al molino. Ne
abbiamo l'esempio in Inghilterra: colà, dove il pauperismo si lascia senza pietà al suo
squallore, ove il popolo dell'Irlanda, florida parte del possente Impero, geme nella miseria;
colà, guai che si maltratti un animale! […] È l'istessa umanità, che fa considerare la mendicità
come incomoda ai non caritatevoli moderati, per cui togliendola come si tolgono le
immondizie dalle vie, condannano al carcere ed al lavoro forzato chi ha la disgrazia di nascer
povero.
“[…] I seguaci della giustizia non cercano nelle tenebre il trionfo della sua santa causa; allo
splendore del giorno ne alzano il grido; il solo segreto testimonio che hanno, è la voce di una
coscienza retta che li rinfranca: non si cospira mai per la giustizia. Ma dall’odio dei faziosi per
quelle colleganze che suppongono esistere a loro ostili, s’impari che alle sette rivoluzionarie
non si deve dar tregua mai.
A tanto fine vuolsi in chi governa quella volontà efficace, che non lascia speranza di salute a
chi tant’oltre prevarica. Non propongo mezzi crudeli; abborro la tirannide. Se il medio evo ci
porge esempii di estremo rigore, gli uomini erano allora di un’altra tempra; fiero il loro
carattere, forte il coraggio, né facilmente si domavano, e ciò spiega l’atrocità delle pene. Non
le rendono necessarie i molli costumi della moderna età intenta ai soli piaceri. Gli uomini
d’oggidí possono essere perfidi quanto gli antichi, ma in fermezza di carattere, in coraggio e
nella fede nelle proprie opinioni, sono lontani assai da coloro che affrontavano ogni pericolo
per sostenerle. Adesso non le sostengono che quando hanno quasi certezza di vincere e di
nulla arrischiare; troppo amore al proprio ben essere, troppo affetto alle cose materiali, alla
stessa vita, impediscono sacrificar cosí cari interessi per lo zelo di una causa che in tanto
amano in quanto a quelli serve. Non fa d’uopo per reprimerli grande apparato di pene; minori
assai spaventano: e purché quelle dalle leggi imposte sieno severamente applicate,
quantunque sieno miti, incutono timore, sempreché non abbiano speranza di sottrarvisi”

da (CLEMENTE SOLARO DELLA MARGHERITA, Avvedimenti politici, Torino,


Speirani e Tortone, 1853, pp. 95-102 e pp 190-192).

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