CENNI BIOGRAFICI.
Non si può, d’altra parte, sottacere che Napoleone aveva costretto re Vittorio
Emanuele I al forzato esilio in Sardegna e perciò non si poteva umanamente
pretendere che il sovrano, una volta tornato nei suoi pieni poteri,
dimenticasse le umiliazioni subite e che per conseguenza i suoi più stretti
collaboratori non facessero valere la loro fedeltà nei confronti di coloro che si
erano compromessi con il passato regime.
LA RESTAURAZIONE
D’altra parte, quando circa due secoli e mezzo prima (1559) Emanuele
Filiberto era ritornato nei suoi possedimenti perdonando tutti coloro che si
erano schierati con i Francesi, il suo comportamento, senz’altro saggio, non
venne grandemente apprezzato, perché coloro che gli erano rimasti fedeli (in
verità, non numerosi) si aspettavano di ricevere ampie ricompense, mentre il
Principe distribuiva allo stesso modo ricompense ed onori secondo i servigi
ricevuti (2).
Comunque, ogni motivo di scandalo viene meno solo che si pensi che, a
quasi duecento anni dalla restaurazione, con lo spoils system è stata
addirittura codificata la prassi di dimettere i funzionari di grado elevato
nominati dal precedente governo.
LA DEVOZIONE AL RE
Solaro, laureatosi in ambo le leggi nel 1812, si avviò ben presto nella carriera
diplomatica, forte del suo ingegno e della protezione dei suoi parenti; della
carriera diplomatica percorse tutti i gradi fino a diventare Ministro
plenipotenziario presso il regno di Spagna (1826). Il 21 marzo 1835, all’età di
soli quarantatre anni, venne nominato da Carlo Alberto ministro degli esteri.
Durante la sua attività di governo, stipulò numerosi trattati di commercio
con gli altri Stati, si fece promotore dell’abolizione dei diritti di albinaggio
(diritti di origine feudale che attribuivano ai Comuni il possesso dei beni
degli stranieri deceduti nello Stato); istituì nuovi consolati; favorì e protesse
il lavoro dei connazionali all’estero; profuse le sue energie affinché la marina
sarda fosse ovunque rispettata. Tra l’altro, stipulò con l’Austria la
convenzione che porta la data del 10 giugno 1840 per la reciproca protezione
delle opere dell’ingegno e dell’arte; questa convenzione, cui in seguito
aderirono tutti gli stati della penisola eccettuato il regno delle Due Sicilie,
non ebbe solo valore internazionale, ma, in mancanza di leggi speciali,
doveva considerarsi come avente valore di legge interna per ognuno degli
stati che vi avevano aderito ed, in effetti, costituì l’archetipo della disciplina
del diritto d’autore (3).
Quando il re, proseguendo nel suo cammino di riforme (fatto di piccoli passi,
perché i tempi non consentivano ancora innovazioni rivoluzionarie: creazione
del Consiglio di Stato con la prevista aggregazione di due membri “per
ciascheduna riunione di province concernenti una divisione militare”;
emanazione del codice civile e di quello penale; soppressione dei fori
ecclesiastici ed istituzione della Suprema unica corte di cassazione;
perfezionamento della struttura del contenzioso amministrativo nell’ambito
della Camera dei conti; istituzione del Consiglio superiore della sanità;
istituzione del ministero dei lavori pubblici , agricoltura e commercio e di
quello della pubblica istruzione), ritenne di non avvalersi più della
collaborazione del Solaro, questi non domandò congedo al re, come era stato
sollecitato, ed invece richiese l’esonero in forma ufficiale.
Alla morte del re, nell’esilio di Oporto, si espresse con queste parole davvero
nobili: “Se un leggerissimo velo di quella polvere che è inerente agli uomini
ha offuscato qualche nobile sentimento del mio Re, chi vorrà ricordarlo? Io
rammento soltanto che fu il mio Signore, e mi colmò di bontà; e piango. E
quando volgo lo sguardo alla collina di Superga, dove dormono le sue ceneri
auguste, domando a Dio riposo per la sua anima immortale” (5).
Non si tratta di una dichiarazione di convenienza, fatta per la circostanza,
come è dimostrato da altre manifestazioni di lealtà e fedeltà pronunciate
anche in seguito.
Solaro nutrì grande affetto e stima verso il sovrano, del quale ammirava
l’ingegno, la capacità politica, l’onestà, la giustizia, il cuore, lo spirito
cavalleresco; anche se confessa che “niuno fu più avverso ad alcune sue
idee”, aggiunge tuttavia che “a nessuno credo di essere stato secondo
nell’amarlo; e adesso ancora non posso pensare a Carlo Alberto, senza
sentirmi commosso da tanti affetti di commiserazione, di gratitudine e di
rispetto” (7).
La Gazzetta Piemontese del 13 novembre 1869, nel dare notizia della sua
morte, ha doverosamente riconosciuto in lui “due meriti specialissimi e nel
nostro tempo troppo rari: la costanza nei propositi e la convinzione sincera
nelle sue idee”; l’apprezzamento non era di poco conto, perché proveniva da
avversari decisi.
Non è stato, tuttavia, in alcun modo dimostrato che la sua religiosità si fosse
manifestata a scapito dello Stato o con effetti negativi sul bilancio statale.
È certo, peraltro, che quando Carlo Alberto si servì dell’opera e dei consigli
del Solaro, le questioni insorte si risolsero in comune accordo delle due
potestà, anche se non sempre con il gradimento dell’autorità ecclesiastica,
come per esempio per la soppressione delle decime al clero in Sardegna e la
riduzione dell’immunità ecclesiastica.
Anche queste accuse non reggono alla prova dei fatti, perché nel periodo in
cui svolse il suo ufficio numerose furono le riforme ed i miglioramenti
nell’amministrazione, mentre la stima ed il rispetto delle potenze straniere
per il piccolo regno furono accresciuti di ogni misura rispetto ai periodi
precedenti.
Il Solaro venne poi accusato di aver svolto una cattiva influenza sul sovrano
e sui suoi atti: l’accusa, però, non tiene conto che, come emerge anche dalle
lettere a lui dirette dal Sovrano, Carlo Alberto dava il suo consenso solo
quando era convinto di quello che faceva ed era “pur sempre padrone degli
avvenimenti” (10).
NOTE