Lezione 2
Lo spazio delle disuguaglianze globali: gli squilibri territoriali
Avviene in 2 fasi:
- Mondializzazione: creazione di reti globali di comunicazione (reti di informazione:
televisione e telefono; Internet)
- Globalizzazione (conseguenza della 1° fase): standardizzazione dei beni e diffusione a scala
globale. Utilizzo di strategie di persuasione globali.
Globalizzazione vs sviluppo
L’obiettivo teorico della globalizzazione è quello di portare sviluppo su scala globale. Tuttavia, si
assiste ad effetti evidenti negativi.
Lo studio dello sviluppo è interrelato allo studio della globalizzazione.
A partire dal secondo dopoguerra sono stati creati diversi modelli spaziali che descrivevano le
relazioni tra Paesi (sviluppati e arretrati). Si tratta però di modelli che sono stati fortemente
criticati, poiché modelli statici che non erano in grado di adeguarsi ai continui cambiamenti nella
relazione tra le aree del pianeta.
Alcune caratteristiche:
Bassa qualità della vita, elevata pressione demografica e dipendenza economica, diffusa
disoccupazione e bassa produttività delle risorse, debolezza istituzionale e carenza di capitali, di
risparmio ed investimenti.
Molti di questi Paesi rientrano nella categoria dei Heavily Indebted Poor Countries (Paesi Poveri
Altamente Indebitati: debito estero).
Modelli più recenti
Un mondo policentrico
• BRIC (Brasile, Russia, India e Cina): termine coniato all’inizio del 2000 per indicare un gruppo di
Paesi che sta vivendo un’ascesa politico-economica.
• G20: nato nel 1999, è un organismo composto dai Paesi più industrializzati che rappresentano
l’80% del PIL mondiale. Ne fanno parte anche Paesi che nei modelli antichi rientravano nel Sud del
Mondo (Cina, India e Sudafrica).
Il settore terziario nei Paesi poveri è molto sviluppato, ma è un settore che prevede attività molto
spesso svolte nell’illegalità.
Debito estero
È il debito contratto dai Paesi in via di sviluppo nei confronti degli enti internazionali e dei Paesi
esteri per realizzare politiche di sviluppo locale.
Infatti, a partire dagli anni ’70 (boom dei prezzi del petrolio) le Banche concedono prestiti ai PVS
per finanziare politiche di sviluppo locali.
All’inizio degli anni ’80, vi è un calo dell’importazione di materie prime da parte dei Paesi sviluppati
ed un aumento dei tassi di interesse. Questo porta ad un aumento generale dei debiti.
Nel 1982 il Messico sospende il pagamento del debito, perché privo di fondi.
La PAC è ancora attiva: nel 2008 la Grecia ha dovuto accettare queste condizioni.
Ad oggi, 36 Paesi (di cui 30 in Africa) sono risultati idonei alla riduzione totale del debito estero.
Proposte alternative:
- Azione locale bottom-up vs top-down policies
- Microcredito: strumento di sviluppo economico che permette l’accesso ai servizi finanziari
alle persone in condizioni di povertà ed emarginazione.
- Smantellamento del concetto di sviluppo
- Decrescita
- Potenziamento dell’economia informale
- Movimenti ambientalisti
- Transition Movement
Lezione 3: la Geografia della popolazione
3.1 Indicatori e strumenti per l’analisi demografica territoriale
L’indice di Fertilità calcola il numero di bambini nati in un anno da donne in età feconda (15-49
anni).
Si distingue in 3 gruppi: fecondità alta (> 5 bambini per donna; tipica di Paesi arretrati), fecondità
media (tra 2,1 e 5 bambini per donne; tipica di Paesi in corso di industrializzazione), fecondità
bassa (< 2,1 bambini per donna; tipica di Paesi evoluti demograficamente).
La speranza di vita alla nascita (Life expectancy at birth): numero di anni che un individuo può
sperare di vivere in media
È condizionato da diversi fattori: sesso, aspetti medico-sanitari del Paese ed aspetti socio-
economici personali.
Esiste anche una 5° fase: calo demografico. La mortalità viene contenuta e la popolazione vive più
a lungo, contemporaneamente diminuiscono le nascite. Ad esempio, quando le donne scelgono la
carriera e non fanno figli (perché le donne lavoratrici non sono tutelate a sufficienza).
L’Italia si trova in questa fase.
Le piramidi dell’età (MODELLO)
È una rappresentazione grafica della distribuzione della popolazione per fasce di età, che permette
di analizzare l’andamento demografico di una popolazione.
Quanti siamo sul pianeta? Nel 2020 siamo circa 7,8 miliardi, di cui 1 miliardo collocato nelle aree
più sviluppato del mondo e i restanti 8 miliardi nelle aree meno sviluppate.
Si stima che nel 2050 saremo 9,2 miliardi.
La metà dell’attuale crescita demografica annuale è dovuta a 6 Paesi: India, Cina, Pakistan, Nigeria,
Bangladesh e Indonesia.
I 44 Paesi più industrializzati hanno tassi di fertilità inferiori al 2,1%.
Il problema dell’invecchiamento
Nei PVS: aumento di bambini; nei Paesi sviluppati si assiste invece ad un aumento di anziani e
diminuzione di giovani.
Questione della dipendenza demografica: la crescente popolazione anziana nei Paesi sviluppati si
trova a dipendere economicamente da una sempre più ridotta popolazione giovane.
Teorie neomalthusiane
Propone l’idea della limitatezza delle risorse che accompagna la nostra epoca, alcuni anni prima
della 1° crisi energetica del petrolio del 1973.
Ammonisce sulla necessità di usare in modo diverso capitali e impegno umano per affrontare i
limiti ecologici durante il XXI secolo.
Lezione 3.2
Indicatori e strumenti per l’analisi territoriale delle migrazioni
La geografia e le migrazioni
Le migrazioni
• “Spostamento, permanente o a lungo termine, del luogo di residenza e dello spazio di
attività di un individuo”
• Elemento costante della storia umana, ma dagli ultimi decenni motivo di preoccupazioni
politiche, economiche e sociali a causa dell’alto numero di movimenti
Alcuni indicatori
• Tasso di immigrazione N° Immigrati x 1000/Pop Tot
• Tasso di emigrazione N° Emigrati x 1000/Pop Tot
• Saldo migratorio Immigrati-Emigrati
! • Saldo demografico (Nati-Morti) + (Immigrati-Emigrati)
Modelli migratori
Massa/per infiltrazione
• Storicamente le migrazioni di massa coincidevano con invasioni o fughe da situazioni
politiche o economiche devastanti (es: padri pellegrini sulla Mayflower, 1620; irlandesi a metà
del 1800)
• Migrazioni per infiltrazione: Europei verso i nuovi continenti nel periodo delle scoperte
(pochi e solo uomini)
Migrazioni stagionali
Pendolarismo
È una forma di migrazione quotidiana, figlia della società moderna, legata all’industria o al
terziario e a fenomeni urbani:
• Decentramento dei luoghi di lavoro
• Decentramento dei luoghi abitativi
È fortemente influenzato dal progresso nei trasporti.
- Migrazioni interne (o domestiche) sono sempre state frequenti nel nostro Paese:
questione meridionale dall’Unità d’Italia, spostamenti da sud a nord per ricerca di
maggiore benessere ed opportunità.
Ma anche spostamenti dalle campagne alle città nel XXesimo secolo questo
fenomeno ha portato alla formazione delle bidonevilles (o favelas)
Abbandono delle montagne grande investimento per il ripopolamento di queste zone
Spostamento verso zone climatiche favorevoli fenomeno recente; es: pensionati
degli Stati Uniti che si spostano verso la Florida; Inghilterra, da nord a sud (in
Cornovaglia c’è un clima più mite); in Italia, da nord a sud + Cinque Terre in Liguria
- Migrazioni internazionali: dal 16° secolo la colonizzazione in seguito alla scoperta delle
Americhe.
Non si tratta solo di rifugiati, ma anche all’interno dell’Unione Europea per obiettivi di
carriera
Sfollati = rifugiati
Un tempo si era meno portati a migrare in zone più vicine alla propria, perché vi erano meno
strumenti per conoscere la cultura e le condizioni di vita del posto.
Regola classica della geografia del rapporto inverso tra distanza e consistenza di flussi: oggi è
venuta a cadere grazie all’accesso a internet e all’accessibilità alle informazioni.
Caso dell’Italia
(transazione demografica: recupera appunti o registrazione)
L’Italia si trova in una quinta fase, una fase di calo demografico tipico in Paesi ad economia
molto avanzata nei quali non sono attivi degli strumenti di welfare state: sicurezza sociale che
agevola le coppie che vogliono avere figli. Esempio di walfare state è la Francia e i Paesi
nordici.
L’Italia sta vivendo un calo demografico, perché il numero di nuovi nati è inferiore al numero
di popolazione che muore. Il numero di nascite è inferiore rispetto al numero di morti.
Alcuni dati -0,3% di residenti (cioè -551 mila in 5 anni), -4,5% di nascite (record negativo
dall’Unità d’Italia), 126 mila italiani rimpatriati.
Tabelle
La maggioranza di cittadini stranieri si è andata a stabilire nel Nord-Ovest del Paese.
Prime dieci nazionalità per numero di provvedimenti di espulsione in Italia: altra tabella che
misura l’impatto del Decreto sicurezza di Salvini. Aumento rispetto agli anni precedenti delle
espulsioni.
Minori stranieri non accompagnati: la maggioranza si concentra in Sicilia e provengono da
Albania, Egitto e Pakistan.
Alunni con cittadinanza straniera e alunni con cittadinanza non italiana nati in Italia (principali
Paese di origine: Romania, Albania e Marocco).
Si tratta di un fenomeno complesso che prende in considerazione una quantità ingente di dati:
ha implicazioni sia nel Paese di origine che nel Paese di accoglienza, coinvolge il processo di
integrazione, del lavoro e dello sfruttamento dello stesso.
Non è possibile fare un discorso semplicistico sulle migrazioni: fenomeni che si intrecciano fra
di loro e che producono scenari geopolitici estremamente complessi.
Questo è il concetto di complessità.
Tipologie di stranieri in Italia
L’ingresso di cittadini stranieri in Italia è regolato dall’Accordo di Schengen (1985 e 1990) e da
accordi con i singoli Paesi. Chi entra in Italia senza aver adempiuto ai dettami del trattato di
Schengen o degli altri accordi internazionali lo fa illegalmente, senza rispettare la legge.
Distinguiamo quindi tra clandestini e irregolari. Non sono sinonimi.
I clandestini sono gli stranieri entrati in Italia senza regolare visto di ingresso: coloro che
valicano i confini senza permesso. Attualmente i confini del nostro Paese non sono granché
controllati. I clandestini entrano nel Paese senza aver soddisfatto i requisiti dell’Accordo di
Schengen.
Sono irregolari gli stranieri che hanno perduto i requisiti necessari per la permanenza sul
territorio nazionale (es: permesso di soggiorno scaduto e non rinnovato/visto), di cui erano
però in possesso all’ingresso in Italia. Molti irregolari non riescono a
rinnovare il proprio permesso di soggiorno in tempi utili a causa dei tempi burocratici del
nostro Paese. Non tutti gli irregolari rimangono in Italia per delinquere.
Gli extracomunitari sono gli immigrati che provengono da Paesi fuori dall’Unione Europea.
Anche un cittadino svizzero che si trasferisce in Italia è un extracomunitario.
(Molti italiani sono migrati in Argentina e hanno avuto la possibilità di avere la doppia
cittadinanza)
I richiedenti asilo
Possono chiedere asilo nel nostro Paese i perseguitati per motivi di razza, religione,
nazionalità, appartenenza ad un gruppo sociale e per le proprie opinioni politiche.
I richiedenti asilo sono coloro che, trovandosi fuori dal Paese in cui hanno residenza abituale,
non possono o non vogliono tornarvi per il timore di essere perseguitati per i motivi
sopracitati. Possono richiedere asilo nel nostro Paese presentando una domanda di
riconoscimento dello “status di rifugiato”.
Nel 2007 l’Italia riconosce oltre allo status di rifugiato anche quello di protezione sussidiaria.
Tale status veniva riconosciuto a quegli individui che, pur non possedendo i requisiti per
ottenere lo status di rifugiato, non possono essere coscientemente rinviati nel Paese di origine
oppure per chi è apolide, in quanto sussiste il timore che possa subire un danno alla sua vita o
incolumità. Status di protezione sussidiaria.
Il Fondo Europeo per i Rifugiati promuove migliori passi nell’ambito delle politiche e dei
sistemi dell’asilo degli Stati membri, al fine di creare un sistema unico di asilo, improntato al
principio della parità di trattamento che garantisca alle persone effettivamente bisognose un
livello elevato di protezione, alle stesse condizioni in tutti gli Stati membri.
In passato, l’Italia stabiliva ogni anno quote di migranti economici da accogliere per
compensare quei settori del lavoro che avrebbero beneficiato di manodopera straniera.
Tuttavia, a causa degli afflussi massici dei migranti della direttrice sud (Africa) e sud-est
(Balcani), l’Italia ha smesso di stabilire queste quote di migranti. Di conseguenza, tutti coloro
che prima facevano richiesta di entrare come migranti economici (e quindi facevano richiesta
solamente dopo avere la garanzia di un contratto di lavoro), oggi si mettono in viaggio anche
in maniera organizzata e ad arrivano in Italia rifugiati che si fingono migranti economici,
perché non trovano altra maniera per poter entrare nel nostro Paese.
Accesso ai porti alle navi delle ONG che soccorrono i migranti in mare
Con il Decreto sicurezza di Salvini si era deciso di chiudere alcuni porti.
Ad oggi, rimane in piedi il principio secondo cui il ministro dell’interno, in accordo con il
ministro della difesa e dei trasporti, può vietare l’ingresso ed il transito in acque italiane a navi
non militari. Tuttavia, se queste navi hanno effettuato soccorsi seguendo le convenzioni
internazionali ed hanno comunicato le operazioni alle autorità competenti, non è possibile
chiudere loro i porti.
Viene ripristinato il sistema di accoglienza gestito dai comuni (sprar) e data la possibilità ai
richiedenti asilo di accedervi e non solo ai casi più vulnerabili (minori).
Lunedì 19/10/2020
Lezione 4.1
Sviluppo e sottosviluppo: indicatori
Cos’è la povertà?
Non è solo mancanza di beni e servizi (cioè condizione economica), ma è anche una questione
di possibilità.
La definizione di povertà riconosciuta dagli organismi internazionali è una mancanza di
opportunità (ad esempio: studiare).
Mancanza di possibilità ed opportunità.
Mancanza della possibilità di esprimere la propria opinione.
La definizione di povertà delle Nazioni Unite (1998) come una negazione delle scelte e
opportunità; una violazione della dignità umana.
La povertà in Italia
• Rapporto 2020 sulla povertà ed esclusione sociale in Italia redatto dalla Caritas.
Aumento dei “nuovi poveri”: salita al 45%, probabilmente a causa del COVID e della mancanza
di guadagni durante il lockdown.
• Calata la grave marginalità, cioè la povertà estrema.
Popolazione senza accesso ad acqua potabile e servizi sanitari, soprattutto in Africa, dove
mancano investimenti in pozzi di acqua pulita (acqua non potabile ha una forte carica
batterica).
Stima per il futuro per la fine del secolo la media dei figli sotto 2 figli per coppia (con Africa
subsahariana sopra la media, con 2,1]
Questo dato ci mostra un calo demografico generalizzato sul pianeta
• fame acuta: sporadica (ad esempio, catastrofi ambientali critiche che portano alla perdita
del raccolto)
Un episodio saltuario al quale si pone fine attraverso politiche di aiuti internazionali: ad
esempio per porre fine ad una carestia o ad una siccità
Il PIL e PIL Pro capite non sono indicatori adatti ad analizzare il concetto di sviluppo! Per la
prima volta a partire dagli anni ’90 non vengono ritenuti adatti.
A partire dagli anni ’90 sono introdotti 3 nuovi indicatori all’interno del Rapporto sullo
sviluppo umano:
• Indice di sviluppo umano
• Indice di povertà multidimensionale
• 2 indicatori di genere che analizzano il ruolo della donna nella società Indice di sviluppo di
genere ed Indice di equità di genere
Giovedì 22/10/2020
Confronto tra la situazione nel 1990 e 2014. Notiamo miglioramenti in Africa e nel sud-est asiatico.
Prendendo come riferimento l'Indice di sviluppo umano del 2019, i Paesi con HDI più alto sono
Paesi principalmente dell'Europa: Norvegia, Svizzera, Irlanda, Germania, Hong Kong, Australia,
Islanda, Svezia, Singapore, Paesi Bassi. I Paesi con HDI più basso sono Mozambico (posizione 180),
Sierra Leone, Burkina Faso, Eritrea, Mali, Burundi, Sud Sudan, Ciad, Repubblica Centro Africana,
Niger. Paesi del continente africano.
L'Italia è 29esima e peggiora di una posizione ogni anno.
Dall'analisi di 91 Paesi è emerso che circa 1,3 miliardi di persone sono colpite da almeno 2 tipologie
di carenza indicate dall'Indice di Povertà Multidimensionale. Si tratta del doppio delle persone che
vivono con meno di 1,90$ al giorno.
Questo indicatore va ad indagare la situazione di povertà estrema in cui vivono molti Paesi del sud
del mondo.
Dalla carta emerge che la maggior parte dei Paesi che vivono in condizioni di estrema povertà si
colloca nel continente africano. Sono Paesi che sperimentano povertà multidimensionale.
Di fianco a questi indicatori alternativi rispetto al PIL, esistono ulteriori indicatori che sono
veramente alternativi. Perché per quanto alternativo, l'Indice di Sviluppo Umano è comunque un
indicatore calcolato e riconosciuto da un'agenzia delle Nazioni Unite.
Indicatori che non hanno un riconoscimento istituzionale, ma sono proposti da gruppi di ricerca.
Un indice alternativo: la FIL
È l'Indice di felicità interna lorda, che in inglese prende il nome di gross national happiness (GNH),
al posto di gross national product (GNP = Prodotto Interno Lordo, PIL).
Indice di felicità.
Si tratta di un indicatore che vuole trovare una via alternativa per descrivere lo standard di vita
delle popolazioni. Propone una lettura degli aspetti sociali delle società del pianeta completamente
diverso rispetto agli altri indicatori.
Questo indicatore nasce negli anni Settanta dal re del Bhutan, che all'epoca era impegnato a
costruire un'economia moderna ma in linea con la cultura tradizionale del Paese sui valori spirituali
del buddhismo.
Nonostante nasca quasi come concetto filosofico, nel primo decennio del 2000 si è proposto un
approccio più econometrico alla FIL che ha permesso di individuare alcuni indicatori: benessere
economico (distribuzione del reddito), ambientale (inquinamento, rumore, traffico), fisico
(distribuzione di malatti gravi), mentale (uso di antidepressivi e aumento di pazienti in
psicoterapia), lavorativo (disoccupazione), sociale (discrminazione, sicurezza, crimini) e politico
(qualità della democrazia, libertà individuale e conflitti).
Nel 2011 le Nazioni Uniti hanno fatto un tentativo di istituzionalizzare questo indicatore, invitando
i Paesi ad avviare una misurazione della felicità dei propri cittadini ed è infatti stato lanciato il
World Happiness Report.
Tabelle: 25 Paesi più felici; Paesi che stavano diventando più felici (getting happier) e infelici
(getting more miserable).
GPI vs PIL
Mentre il PIL globale è andato crescendo, il GPI per alcuni Paesi ha mostrato una decrescita.
Almeno 11 Paesi hanno ricalcolato il loro PIL usando il GIP. I dati, per i Paesi UE e USA, mostrano
che mentre il PIL è cresciuto negli ultimi decenni, il GPI è aumentato solo fino ai primi anni 70,
dopodiché ha iniziato a decrescere.
Ciò indica fondamentalmente come benessere economico e psicofisico non sempre vadano di pari
passo: il benessere economico può aumentare (PIL) a discapito di quello fisico e mentale (GPI).
Lezione 4.2
Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio e i nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile
Nasce la Dichiarazione del Millennio, vale a dire una sorta di piano di sviluppo globale adottata
dalle Nazioni Unite nel Settembre 2000 da realizzare entro il 2015.
Le Nazioni Unite, come ente sovranazionale, dà linee guida a tutti i Paesi del mondo con l'obiettivo
di migliorare le condizioni di sviluppo umano.
La Dichiarazione del Millennio era suddivisa in 8 obiettivi (i cosiddetti Obiettivi del Millennio),
sviluppati in 18 traguardi.
Si stima che il costo di questa operazione ammonti ad una cifra compresa tra 40 e 70 miliardi di $
ogni anno.
Il piano globale era da realizzare entro il 2015, ma alcuni obiettivi erano stabiliti per il 2005.
Tutto questo era possibile grazie ad un massiccio flusso di denaro verso i Paesi con economie e
Indice di Sviluppo Umano più arretrato. I soldi vengono da aiuti internazionali: i Paesi più avanzati
economicamente, sottoscrivendo questo impegno globale, donavano una quota del loro PIL per
realizzare azioni di aiuto verso i Paesi più poveri.
Questi ultimi si impegnavano ad attuare strategie nazionali volte alla riduzione della povertà e
quindi al raggiungimento degli Obiettivi.
Persone: mettere al centro le persone povere con l’obiettivo di porre fine alla povertà e alla fame,
e di assicurare che tutti gli esseri umani possano realizzare il proprio potenziale con dignità ed
uguaglianza in un ambiente sano.
Pianeta: proteggere il pianeta dalla degradazione, attraverso un consumo ed una produzione
consapevoli, gestendo le sue risorse naturali in maniera sostenibile e adottando misure urgenti
riguardo il cambiamento climatico.
Prosperità: assicurare che tutti gli esseri umani possano godere di vite prosperose e soddisfacenti e
che il progresso economico, sociale e tecnologico avvenga in armonia con la natura.
Pace: promuovere società pacifiche, giuste ed inclusive che siano libere dalla paura e dalla
violenza.
Se la Dichiarazione del millennio era affidata a report annuali, l’Agenda 2030 viene sottoposta
anch’essa a report annuali, ma ad una più intensa azione di monitoraggio.
Infatti, nel 2016 stato infatti approvato un sistema di 240 indicatori statistici sulla base dei quali
viene monitorato il processo di avvicinamento agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile per ogni Paese.
Annualmente vengono valutato i progressi, i risultati e le sfide rilevanti per tutti i Paesi. Ogni anno
viene redatto un Rapporto sull’andamento degli obiettivi.
Il Rapporto annuale dal 2016 ad oggi fotografa una situazione pressoché immutata nel tempo.
Sono rapporti abbastanza ripetitivi.
Povertà e conflitti
La povertà e la mancanza di accesso al cibo incidono sulle situazioni di conflitti e guerriglie interni.
Nel rapporto del 2015 ci si soffermava sulla questione dei rifugiati che fuggivano dal proprio Paese.
Due cartine: rifugiati per Paese di origine nel 2017 e rifugiati per Paese ospitante nel 2017.
Donne e impiego
La maggior parte delle donne povere trova impiego nel settore agricolo. Nel 2015% si è registrato
un aumento del 41% delle donne impiegate globalmente al di fuori del settore agricolo.
In alcune regioni la situazione è ancora molto a favore degli uomini.
La crisi ha inoltre fatto aumentare il lavoro informale, come conseguenza della perdita di posti nel
settore formale: in alcuni Paesi l’80% dei lavoratori ha un impiego informale: tra questi le donne
sono la maggioranza.
Grafico che riporta la conoscenza di uomini e donne su come si diffonde il contagio di HIV. Donne e
uomini (15-24 anni) con corretta e completa comprensione di come si trasmette l’HIV.
% di uomini e donne (15-24 anni) che utilizza sistemi contraccettivi nell’Africa subsahariana.
Bisogna considerare anche il tabù culturale che fa sì che l’utilizzo di protezioni nell’atto sessuale
vada contro le pratiche religiose.
Numero di bambini che hanno perso uno o entrambi i genitori come conseguenza dell’AIDS
nell’Africa subsahariana.
• Raggiungere accesso universale al trattamento contro HIV e AIDS
Il problema principale dei Paesi più poveri è la mancanza di cure antiretrovirali: non esiste un
sistema sanitario nazionale e inoltre queste cure sono molto costose. Ciò incide sul numero di
morti per AIDS nell’Africa subsahariana. Per questo motivo, diverse ONG hanno cominciato ad
implementare dei progetti di screening e prescrizione di questi farmaci a persone infette.
• Fermare malaria e altre malattie entro 2015
Altre malattie sono malaria e tubercolosi. Tendenzialmente la malaria non conduce alla morte, ma
ad un forte indebolimento della persona a causa delle frequenti febbri, rendendola inadatta ad
una vita lavorativa proficua. Molti Paesi stanno finanziando strategie di lotta alla malaria e
consentono la distribuzione gratuita di farmaci e di zanzariere alle famiglie più povere.
In molti Paesi del sud del mondo la tubercolosi è la seconda causa di morte, dopo l’HIV.
La povertà è una condizione di estrema complessità, che come abbiamo visto va analizzata
prendendo in considerazione tutta una serie di fattori e condizioni.
Lezione 5
Teorie sullo sviluppo
Cos’è lo sviluppo?
È la condizione propria dei Paesi che presentano indicatori positivi negli ambiti dello sviluppo
umano.
Questo termine ha una storia. Il concetto di sviluppo è divenuto ciò che abbiamo visto
recentemente, ossia a partire dal 1990.
Prima era una condizione economica, ma non solo.
La retorica dello sviluppo identificava questo concetto nella supposta superiorità economica e
sociale dell’Occidente, soprattutto dell’Europa.
Per molto tempo il termine “sviluppo” è stato concepito in maniera del tutto acritica. Inizialmente
il significato che si dava a questo termine era quello del progresso tecnologico che aveva
caratterizzato l’Europa dalla seconda rivoluzione industriale in poi (cioè dalla seconda metà del
Settecento). Questa idea di progresso tecnologico si è associata all’imperialismo: l’idea di sviluppo
è stata portata avanti nell’ambito delle dinamiche delle colonizzazioni. Colonizzazione interpretata
come un’azione benefica delle potenze coloniali che portavano ai popoli “primitivi” le loro
innovazioni ed avanzamenti tecnologici e sociali propri dell’Europa post-illuministica.
Questa è una visione estremamente eurocentrica del concetto di sviluppo, che ha dominato
l’economia dall’epoca dell’Illuminismo sino alle lotte per la dipendenza dalle ex colonie.
Dominio occidentale ed imposizione di un pensiero occidentale sul resto de mondo, mascherata
come un’azione benefica di portare benefici in termini economici e conoscitivi a popoli ritenuti
inferiori tecnologicamente, culturalmente e talvolta intellettualmente. Le popolazioni che
venivano assoggettate erano rappresentate come selvaggi o bambini che non avevano ancora
raggiunto la maturità intellettuale.
Cos’è il sottosviluppo?
Utilizzando una parola in contrapposizione con il concetto di sviluppo in accezione negativa diamo
per scontato che sia necessario che si debba seguire una sola ed unica strada, vale a dire quella
dello sviluppo.
La parola “sottosviluppo” viene utilizzata per la prima volta in un articolo pubblicato nel secondo
dopoguerra (1942) come condizione nella quale si collocano i Paesi che non hanno le
caratteristiche per essere considerate sviluppate. Nel 1949 si ottiene la consacrazione nazionale
del termine, quando il presidente americano Truman afferma che è responsabilità dei Paesi più
sviluppati quella nell’aiutare i Paesi più poveri affinché anch’essi possano raggiungere un livello di
sviluppo adeguato.
Nasce ufficialmente il termine sottosviluppo.
Teorizzare lo sviluppo
Le teorie dello sviluppo si riconducono in 2 macro-sfere. Una che vede lo sviluppo come una
componente della storia naturale dei popoli: vede lo sviluppo come qualcosa di naturale, quindi
una sorta di progresso da un organismo unicellulare ad un essere umano completo. In questo
ambito, un mancato sviluppo è conseguenza di mancanza di capacità di compiere appieno la
trasformazione. All’interno di questo discorso si riconosce che è la capacità di pensiero e
sviluppare tecnologia propria degli esseri umani il vero motore dello sviluppo.
Il secondo approccio invece non parte dall’idea che lo sviluppo sia qualcosa di naturale, ma
riconosce invece che lo sviluppo è un processo umano. È un processo evolutivo ed economico, non
biologico, ed è costruito dagli esseri umani. Lo sviluppo è un processo di
trasformazione economica che può avvenire sia all’interno del mondo liberista che mondo
socialista e che questo processo economico (originato in Europa dalle classi capitaliste) ha
colonizzato l’intero pianeta (all’inizio attraverso il colonialismo storico, poi attraverso il
neocolonialismo economico). Tutta la critica marxista si concentra su questo secondo approccio: lo
sviluppo e il sottosviluppo sono una conseguenza delle politiche e delle trasformazioni della
società dettate fondamentalmente dal capitale.
A questo punto, data la sfiducia per il paradigma modernista nasce una nuova visione critica di
stampo marxista.
La teoria della dipendenza (o dependencia, perché nasce in America Latina)
Si diffonde intorno agli anni 70 e pone la sua attenzione sullo sfruttamento delle ex colonie da
parte delle madrepatrie. Il motivo che loro vedono dietro il mancato sviluppo è il legame con l’ex
madrepatria che li continua a mantenere soggiogati dentro regole troppo restrittive. Le potenze
coloniali non hanno realmente contribuito a sviluppare una classe culturalmente preparata a
guidare il Paese nella fase post decolonizzazione.
Tra i teorici della dipendenza troviamo Samir Amin che ritiene che l’unico modo per slegare dai
lacci delle ex colonie sia quello di attuare il delinking, eliminando qualsiasi tipo di rapporto
economico con i Paesi ex madrepatrie, i quali continuerebbero ad essere responsabili della
condizione di povertà delle ex colonie.
Questa visione è stata nel corso degli anni 80 sconfessata dalla crescita economica dei NIC: Newly
Industrialized Countries. Paesi del sud-est asiatico (Singapore, Malesia, Hong Kong e Taiwan), che
legandosi sempre di più al mondo tecnologico delle economie più avanzate hanno visto un’enorme
crescita economica. Si tratta di un chiaro esempio di confutazione della teoria della dipendenza.
Le teorie neoclassiche
Si affermano negli anni ’80 e ’90. Sono le teorie all’interno delle quali si sviluppano le teorie di
aggiustamento strutturale (per il debito estero).
Riconoscono come principale problematica la corruzione e l’esistenza di un apparato statale
eccessivo, che deve essere smantellato. Ci sono studiosi che promuovono l’idea della
privatizzazione. Sono teorie che hanno trovato grandissimo seguito e che sono ancora oggi le
teorie dominanti, perché tutte le politiche di aiuto internazionale si inquadrano dentro le politiche
di sviluppo neoliberiste, ossia neoclassiche (taglio delle spese statali, privatizzazione, investimento
statale nelle politiche di riduzione della povertà, prestiti internazionali).
Lunedì 26/10/2020
(Nel manuale di Grandi la suddivisione delle teorie dello sviluppo è leggermente diversa: teorie
mainstream, teorie alternative e teorie post-sviluppiste. Alcuni autori includono le teorie post-
sviluppiste nelle teorie alternative.)
Le teorie alternative
Durante gli anni ’90 sono emerse nuove riflessioni sulle teorie dello sviluppo, a seguito
dell’evidenza dell’incapacità delle teorie mainstream di spiegare il sottosviluppo e di proporre
soluzioni concrete.
Sono teorie molto diversificate tra di loro che prendono in considerazione temi diversi e
discordanti: il ruolo della società civile e delle ONG (Associazioni Non Governative); la giustizia e la
democrazia; l’ambiente; lo sviluppo locale (bottom-up: partenza dal basso, ossia inclusione delle
popolazioni locali; i movimenti dal basso possono divenire strumenti che vanno ad impattare le
scelte dei governi. Il bottom-up nasce come teoria alternativa, ma ad oggi ha un’importanza
dominante all’interno delle politiche di sviluppo.) e le comunità locali; sviluppo sostenibile (che
oggi è diventato mainstream).
Tutti questi temi confluiscono nel gruppo delle teorie alternative, molte delle quali non hanno
grande seguito nel mondo accademico e tuttavia stanno conoscendo grande attenzione da parte
dell’opinione pubblica.
Un’utopia concreta
La sua teoria ha subito grandi critiche.
Latouche non propone di smettere di produrre o tornare indietro ad una vita agreste; propone di
rallentare, di concentrarsi sulla produzione di beni utili, di strumenti tecnologici sempre più
avanzati che possano ridurre la pressione del lavoro sulle popolazioni. Ha un concetto di sviluppo
legato alla gestione del tempo del lavoro.
Abbassare il prelievo di risorse.
Latouche chiama questo suo mondo un’utopia concreta: proposta utopica, ma realizzabile.
Questo suo progetto di sviluppo non si è mai tradotto in un progetto politico.
Lo shock che si prevede per il futuro è quello della fine del petrolio.
Hopkins professore insieme ai suoi studenti comincia a studiare i possibili scenari che si verranno a
creare una volta terminato il petrolio.
È una strategia di progressivo adattamento e di una progressiva resilienza, perché è certo che in un
momento del futuro il petrolio cesserà di essere disponibile sul pianeta.
Concetti chiave:
Petrolio: sostanza biologica depositata sui fondali oceanici tra 150 e 90 milioni di anni fa. Deriva
dallo zooplancton e dalle alghe preistoriche (micro organismi animali e vegetali). Questo materiale
viene sottoposto a pressioni talmente elevate da trasformarsi in petrolio. Circa 4 litri di petrolio
contiene l’equivalente di 98 tonnellate di materiale organico originale.
Intervallo petrolifero: estensione temporale durante la quale la società umana ha scoperto il
petrolio e l’ha introdotto nei propri sistemi di produzione. È un periodo di circa 200 anni.
Picco di petrolio: il momento in cui si raggiungerà la massima estrazione di petrolio a scala globale.
È un momento impreciso, perché non possiamo sapere con esattezza quando verrà raggiunto. Si sa
che in un determinato momento (del passato o del futuro) verrà estratta dalla Terra la maggior
quantità di petrolio. Dopo questo picco si avrà una discesa nei processi estrattivi, cioè la società si
avvierà verso un declino nell’accessibilità e disponibilità del petrolio.
Il professore Hopkins e i suoi studenti vogliono creare consapevolezza tra la popolazione del
cambiamento climatico e della scarsità di petrolio come fattori che domineranno la vita della città
nel breve-medio termine. Per questo motivo pensano che se si comincerà a costruire una società
senza petrolio solo nel momento in cui il petrolio sarà finito, ci troveremo in una società
completamente disagiata. Preparare la società ad un mondo senza petrolio, ma
contemporaneamente è un progetto che cerca di cambiare culturalmente il tipo di società
costruita dopo la Seconda guerra mondiale (società neoliberista, dei consumi) per introdurre una
società in cui i consumi vengono ridotti e vengono riscoperti valori propri della vita contadina.
La soluzione è costruire fin da ora processi per aiutare le popolazioni a vivere in una società che
vedrà mancanza di petrolio.
Questa è l’idea su cui si base la teoria della transizione, che si basa sulla decarbonizzazione totale
della società non attraverso l’uso di tasse, ma del cambiamento radicale del comportamento
radicale.
Questo progetto si base sul concetto di governance e comunitarismo: avviene ad una scala
territoriale piccola ed è portato avanti da piccole e grandi cittadine, dove si formano gruppi di
sensibilizzazione che progressivamente si allargano finché l’amministrazione comunale,
provinciale, regionale non comincia ad introdurre strumenti legislativi e istituzionali che vadano in
questa direzione.
Le azioni che vengono realizzato dalle città in transizione sono fortemente correlate con l’idea di
comunitarismo, acquisendo una forte connotazione ambientale.
Tra le strategie: consumare cibo prodotto localmente, creare orti cittadini, creare monete locali,
ridurre il consumo energetico e introdurre nuove forme energetiche, realizzare azioni di buona
vicinanza (es: banca del tempo, GAS…).
In parte combacia con il concetto di Latouche di acrescita.
Lo sviluppo sostenibile
Nasce come teoria alternativa, ma è diventata oggigiorno una parte fondamentale anche delle
politiche neoliberiste mainstream.
Latouche critica la parola “sostenibile”, che sarebbe diventata una parola di cui si è appropriato il
capitale.
• Fisiocratici (Francia)
Percepiscono la natura come qualcosa a disposizione delle comunità umane: una madre
amorevole. Si riconosce l’importanza della natura, ma non la finitezza delle sue risorse.
Cos’è la sostenibilità?
• È un paradigma di sviluppo, un’ideologia, che integra aspetti economici, sociali e ambientali.
• Obiettivi:
- Miglioramento condizioni di vita delle popolazioni
- Mantenimento degli ecosistemi
• Aspirazione globale
Anni ’70: due avvenimenti importanti che hanno contribuito all’istituzione del concetto di Sviluppo
Sostenibile.
• Viene redatto il rapporto “I limiti dello sviluppo”, che è stato redatto dall’MIT di Boston su
richiesta del Club di Roma (associazione costituita da scienziati, politici, ecc) che osservano le
problematiche ambientali e commissionano un rapporto che studiasse la relazione tra risorse
naturali e benessere della società.
In questo rapporto si applicano per la prima volta delle teorie neo-malthusiane. L’idea di base è
che le risorse naturali sono finite e che la crescita demografica inciderà negativamente sul loro
consumo.
Nonostante un potere di calcolo altamente avanzato per l’epoca, questo rapporto si è dimostrato
fasullo, perché non è avvenuto realmente quanto si era predetto (vale a dire il momento in cui
sarebbero finite le risorse naturali), perché non avevano inserito all’interno dell’algoritmo la
possibilità di rinvenire nuovi giacimenti e nuove disponibilità di risorse, ma si sono basati
esclusivamente sulla quantità disponibile all’epoca.
Si tratta di un rapporto importantissimo, che per la prima volta ha posto agli scienziati la questione
della relazione della crescita demografica e della disponibilità di petrolio.
Anni ’80
Nel 1980 viene pubblicato il World Conservation Strategy che unisce gli obiettivi per la gestione
sostenibile del pianeta ad una definizione di sviluppo.
Nel 1983 l’ONU predispone la nascita di una commissione (la World Commission on Environment
and Development) presieduta dalla prima ministra della Norvegia, con il compito di studiare la
relazione tra deterioramento dell’ambiente e delle risorse naturali e le conseguenze sullo sviluppo
economico e sociale.
Nel 1987 questa stessa commissione pubblica il Rapporto Brundtland (dal nome della prima
ministra norvegese) “Our Common Future”, in cui per la prima volta si dà una definizione di cosa
sia lo sviluppo sostenibile. Si parla anche degli obiettivi dello sviluppo sostenibile e degli ostacoli
alla sua realizzazione.
Lo sviluppo sostenibile è un tipo di sviluppo che soddisfi i bisogni del presente, senza
compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri.
Concetti di equità inter e intra generazionale.
Questo rapporto riconosce anche tre ostacoli principali alla realizzazione dello sviluppo sostenibile
a scala globale:
dipendenza dai combustibili fossili
esplosione demografica dei Paesi del Terzo Mondo (dove non c’è un controllo sulle nascite; in
futuro la popolazione attuale raggiungerà i 9 miliardi di individui, 8 miliardi dei quali si troverà nei
Paesi meno avanzati economicamente)
inadeguatezza istituzionali: mancanza di un organismo sovranazionale che monitorasse
l’avanzamento delle politiche di sviluppo sostenibile e la loro applicazione nei vari Paesi
Giovedì 05/11/2020
Anni ’90
Oltre alla pubblicazione di una strategia per la salvaguardia della natura, i veri momenti fondativi
sono due:
• Nel 1992 si tiene a Rio de Janeiro (città di un PVS) la seconda conferenza mondiale su uomo e
ambiente. La prima è stata a Stoccolma nel 1972.
Vengono redatti 5 documenti:
Dichiarazione di Rio su Ambiente e Sviluppo
Agenda 21
Dichiarazione sulla Biodiversità: ha l’obiettivo di sviluppare strategie nazionali per la conservazione
e l’utilizzo sostenibile della diversità biologica.
I Principi sulle Foreste per la salvaguardia del patrimonio forestale.
L’idea originaria era quella di firmare una Convenzione che, una volta firmata, avrebbe impegnato i
Paesi ad attuare delle leggi finalizzate a tutelare le foreste. Tuttavia, due Paesi si sono opposti a
questa convenzione, in quanto fortemente dipendenti dalle risorse forestali per il proprio sviluppo
economico: Brasile ed Indonesia.
Data questa opposizione, è nato un testo di intenti che riconosceva l’importanza di tutelare le
foreste, ma che non ha alcun valore legale. Esempio di fallimento della governance ambientale
globale, dovuta al peso politico che questi due Paesi hanno avuto all’interno di una discussione
globale.
La Conferenza di Rio
Riemerge il tema del rapporto problematico tra ambiente e sviluppo.
L’obiettivo è affrontare la risoluzione delle questioni ambientali più importanti, quali esaurimento
delle risorse, riscaldamento globale, lotta all’inquinamento, protezione del patrimonio forestale,
del patrimonio marino e della biodiversità naturale.
172 nazioni presero parte a questa conferenza, che ebbe una forte risonanza mediatica. Per la
prima volta i media furono abbondantemente presenti nel testimoniare che il problema non
riguardava più solamente una piccola parte di esperti in campo, ma l’intera popolazione mondiale.
Ciò che emerse da questa conferenza è che solo una trasformazione degli atteggiamenti e dei
comportamenti dell’umanità può produrre i cambiamenti necessari a limitare i danni ambientali.
Interazione e cooperazione fra diversi governi.
Dichiarazione di Rio sull’ambiente e sullo sviluppo: dichiarazione di intenti firmata dai Paesi
partecipanti basato su 27 principi.
Agenda 21
(Approccio olistico ai problemi ambientali: gestione dei problemi ambientali che non si concentri
su un singolo problema, ma che inserisca la singola problematica all’interno di un quadro più
ampio. Riconosce l’interdipendenza e la complessità di un fenomeno.
Esempio della correlazione tra Coronavirus ed inquinamento: gli abitanti delle zone più inquinate
hanno un sistema respiratorio più debole.
Inoltre, le zone più inquinate sono anche le zone ad insediamento più denso).
Anni 2000
• Nel 2000 nasce la Dichiarazione del Millennio e Obiettivi del Millennio per lo sviluppo
• Nel 2001 l’UNESCO firma l’Universal Declaration on Cultural Diversity grazie al quale la diversità
culturale viene per la prima volta considerata un importante fattore di sviluppo.
• Nel 2002 viene indetta una nuova conferenza a Johannesburg (Rio + 10)
I temi chiave sono l’acqua, sanità e igiene per tutti, energia, salute, protezione dell’ambiente
naturale, gestire la globalizzazione, modelli di produzione e di consumo (!), l’Africa.
• Nel 2012 abbiamo un’altra conferenza a Rio: The future we want (Rio + 20)
Queste conferenze hanno avuto una grandissima attenzione mediatica, grazie ad internet e ai
social media.
Temi principali: rinnovare l’impegno allo sviluppo sostenibile, valutazione delle lacune, riconoscere
e affrontare le nuove sfide.
• Nel 2015 è stata avviata l’Agenda 2030 come nuovo piano di sviluppo globale.
(Movimento grass-root: movimento dal basso, che muove grandi masse di popolazione sopratutto
grazie all’uso di social media. Un esempio è il movimento Friday for Future di Greta Thunberg).
Lezione 6.1
Uomo, ambiente e sviluppo
Parte 1: Risorse naturali
Alcune definizioni
Ambiente è l’insieme di elementi naturali caratterizzato da 2 componenti: una vivente, (biotica) ed
una non vivente (abiotica), formata da elementi solidi (litosfera, cioè il suolo), gassosi (atmosfera)
e liquidi (idrosfera).
Ecosistema: insieme degli organismi viventi e dei fattori abiotici presenti in un dato ambiente, e
delle relazioni che legano tali elementi. Fa riferimento allo scambio tra questi elementi: è un
concetto più ampio rispetto a quello di ambiente.
Biodiversità: caratteristica data dalla ricchezza della componente biotica. Varietà di specie,
ecosistemi e geni. La varietà genetica è fondamentale per il benessere di un ecosistema, perché in
assenza di essa una specie non è più in grado di riprodursi.
Capacità di carico: numero massimo di individui di una specie o di organismi che un ecosistema
può sostenere senza essere distrutto. Ogni ecosistema ha una certa capacità di carico che gli
consente di garantire la sopravvivenza ad un certo numero di individui per ogni specie. Se questo
numero viene superato, l’ecosistema si degrada e di conseguenza questo peggiora la qualità di vita
delle specie.
Preservazione: severa protezione di un’area e della sua flora e fauna. L’approccio di preservazione
impedisce l’intervento dell’uomo e alcun uso delle risorse naturali.
Conservazione: un ecosistema viene protetto senza allontanare l’uomo, ma integrando l’esistenza
degli esseri umani all’interno dell’ecosistema. Le attività umani sono permesse purché avvengano
in misura sostenibile. Si pone quindi maggiore attenzione alle necessità umane: è concesso un
utilizzo sostenibile delle risorse per assicurare il benessere presente e futuro dell’uomo.
Perché produce risorse naturali utili all’uomo (cibo, medicine, vestiti…), alcune delle quali ancora
non conosciamo. Quindi ci fornisce di risorse di base.
Accoglie i nostri rifiuti, benché con limiti (capacità di carico dell’ecosistema).
Ci consente di ricrearci e svagarci.
È un bene estetico (paesaggio) per tutta l’umanità, anche in chiave turistica e di promozione del
territorio.
• Valore d’uso, ossia un valore economico. Esso può essere legato ad uno sfruttamento diretto
(tradizionale come agricoltura, pastorizia, estrazione di risorse e non tradizionale, come il turismo)
o indiretto.
L’uso indiretto è legato al valore potenziale delle risorse naturali: preservare la natura per uno
sfruttamento futuro. Ad esempio, perché al momento l’uomo non è in grado di sfruttarle a causa di
mancanza di tecnologia (es: petrolio in zone difficili da trivellare).
È legato all’importanza di riconoscere che ci sono risorse naturali che potenzialmente possono
essere molto importanti per la società, anche se al momento attuale non siamo in grado di
sfruttarle. Quando si parla di tutela dell’ambiente questo è un aspetto fondamentale, perché
significa lasciare zone naturali incontaminate per preservare piante che in un futuro potrebbero
darci risorse preziose.
• Valore di non uso, legato al valore culturale e spirituale, che lega una comunità al proprio
territorio. In società poco avanzate economicamente questo aspetto è ancora radicato (es: foreste
sacre): non è un valore monetario, ma rappresenta l’identità comune.
(Vento e Sole sono esempi di risorse energetiche rinnovabili: non implicano utilizzo di combustibili
fossili e si riproducono.
Le risorse energetiche non rinnovabili sono quelle legate ai combustibili fossili).
• Risorse rinnovabili: risorse naturali (materie ed energie) che vengono reintegrate naturalmente
in un periodo di tempo relativamente breve: per caratteristiche naturali o per effetto della
coltivazione dell’uomo (es: piantare alberi), si rinnovano nel tempo e risultano disponibili per la
sopravvivenza umana pressoché indefinitamente.
La vegetazione (foreste, piante, alghe), il suolo e l’acqua sono risorse potenzialmente rinnovabili.
Bisogna però fare alcune considerazioni.
Lo sfruttamento intensivo del suolo sul lungo termine lo rende sterile e lo impoverisce, con
conseguenza di dover introdurre l’uso di fertilizzanti chimici per garantirne la fertilità.
Anche l’acqua, secondo il proprio ciclo vitale (evaporazione e ricostituzione sottoforma di acqua), è
una risorsa rinnovabile. Tuttavia, la disponibilità di quantità di acqua potabile rischia di diminuire, a
causa della contaminazione di acqua dolce da parte di attività industriali ed agricole.
Concludiamo che lo sfruttamento eccessivo da parte dell’uomo delle risorse rinnovabili potrebbe
renderle non rinnovabili con il passare del tempo.
• Risorse non rinnovabili: risorse naturali (materie ed energie) che derivano da risorse che tendono
ad esaurirsi sulla scala dei tempi umani, diventando troppo costose o troppo inquinanti per
l’ambiente.
Fossile: non rinnovabili e sottoposte alla preoccupazione delle prospettive di esaurimento dei
giacimenti e del grande dispendio energetico necessario all’estrazione. Attualmente l’80% di
energia prodotta globalmente proviene da fonti non rinnovabili.
Nucleare: potrebbe essere una soluzione al problema energetico mondiale, ma presenta anche
aspetti negativi, quali costo e smaltimento delle scorie. Attualmente fornisce circa il 6%
dell’energia usata globalmente. Lo classifichiamo come energia non rinnovabile.
Rinnovabile: sorgente energetica alternativa pulita ed inesauribile.
Attualmente fornisce circa il 13% di energia.
Energia nucleare
PRO CONTRO
Piccole quantità di combustibili sono in Costi di realizzazione e payback time, ossia
grado di produrre grandi quantità di il tempo in cui l’investimento iniziale viene
energia. ammortizzato. Si tratta di un tempo molto
(Il materiale che serve per produrre energia lungo: le centrali nucleari hanno costi di
nucleare, ossia l’uranio, viene estratto dal realizzazione molto elevati e il payback time
suolo. Ha perciò anch’esso una quantità può arrivare fino a 40 anni
finita. Il motivo per cui viene spesso inserito
tra le risorse rinnovabili è che è necessaria
una piccola quantità di materia prima per
produrre grande quantità di energia. Si
pensa perciò che l’uranio disponibile sul
pianeta potrà bastare all’uomo per il
futuro.)
Mappa che indica dove si collocano le principali riserve di petrolio sul pianeta: zone che sono (o
sono state) al centro di conflitti armati.
Le risorse energetiche rinnovabili devono prendere il posto di carbone, nucleare, gas e petrolio per
evitare l’aggravarsi del riscaldamento globale e l’inasprirsi di conflitti geopolitici per il controllo
delle scorte rimaste di combustibili fossili.
I biocarburanti
C’è inoltre un interesse globale verso le questioni ambientali: diminuire l’uso di combustibili fossili
riduce le emissioni di gas serra. I biocarburanti, provenendo da fonti rinnovabili, sembrano
provocare un minor impatto sull’ambiente.
Sebbene anche le piante emettano anidride carbonica quando vengono tagliate e bruciate per
ottenere biocarburante, esse compensano queste emissioni con il fatto che durante la loro vita
vegetativa come piante hanno catturato anidride carbonica e prodotto ossigeno (fotosintesi
clorofilliana). È stato stimato che la quantità di anidride carbonica che le piante emettono in fase di
combustione è equivalente alla quantità di ossigeno che ogni pianta emette nell’atmosfera
durante la propria fase vegetativa.
Biocombustibili in Africa
Come conseguenza a tutto ciò, molte multinazionali e investitori stranieri hanno iniziato a ricercare
vasti territori dove coltivare le materie prime necessarie per la produzione di biocarburanti (canna
da zucchero, mais, patate, colza, soia).
Il continente che ha suscitato maggior interesse per condizioni climatiche favorevoli e grande
disponibilità di terreno (a basso costo) è l’Africa.
Il territorio africano possiede vasti terreni che non sono ancora stati destinati alla produzione
agricola e questo attira ulteriormente l’attenzione delle multinazionali straniere, che si
appropriano dei territori utilizzando spesso forme di inganno.
Acquistano terreni da contadini poveri, spesso analfabeti, che vengono di fatto espropriati dal
proprio terreno.
Questo fenomeno negativo prende il nome di Land grabbing.
Land grabbing
La presenza di multinazionali sul territorio africano può avere effetti positivi sulla vita delle
popolazioni locali dell’Africa sub-sahariana, sopratutto grazie alla creazione di nuovi posti di lavoro.
Tuttavia, non sempre le popolazioni locali sono adeguatamente informate sui progetti che le
compagnie private intendono compiere e l’acquisizione delle terre può avvenire senza il loro
consenso: stavolta, i piccoli proprietari terrieri (contadini analfabeti) vengono forzatamente
sfrattati, trovandosi costretti a cercare altre terre in cui vivere.
I governi dei PVS sono favorevoli all’appropriazione di terreno da parte di queste multinazionali,
dietro pagamento di una tassa. Tuttavia, spesso le multinazionali riescono a contrattare con i
governi.
La conversione di suoli agricoli in grandi monocolture indebolisce il suolo, l’economia nazionale e
la capacità delle popolazioni più povere di sfamarsi.
Impatto politico
L’uso del suolo per produrre carburanti innesca una questione di grande rilevanza: l’uso delle
produzioni agricole come arma politica.
La conversione di suoli agricoli in suoli per la produzione di biocarburanti fa ridurre la quantità di
cibo disponibile, che di conseguenza vede aumentare il suo costo.
Conseguenze ambientali:
• Perdita di biodiversità
Il grande consumo di fertilizzanti e concimi riduce biodiversità di specie di animali e insetti e porta
a deforestazione. Infatti, per ottenere grandi aree di terreno si bruciano spesso intere foreste (es.
America Latina).
Lunedì 09/11/2020
L’impronta ecologica
Questo concetto nasce agli inizi del 2000 e fa riferimento all’area biologicamente produttiva di
terra o di acqua necessaria per produrre le risorse richieste da un individuo, un Paese o un’attività
e contemporaneamente smaltire i rifiuti che questo genera.
È quindi la quantità di terra e di acqua che ciascuno di noi come individuo necessita per soddisfare
i propri bisogni quotidiani (lavarci, vestirci, ecc..).
Questo termine deve essere associato a quello di “biocapacità”, ossia la quantità di terra e acqua
che ciascun individuo (o Paese o azienda) ha realmente a disposizione. Si può dire che l’impronta
ecologica rappresenta il lato della domanda di risorse naturali (le risorse richieste), mentre la
biocapacità indica l’offerta (la disponibilità di risorse per ogni individuo).
È un concetto problematico: la biocapacità è data dal totale delle terre fertili e delle acque
disponibili diviso il totale della popolazione mondiale. Quando aumenta la popolazione mondiale o
le acque e suolo diminuiscono (ad es. perché vengono inquinanti), ovviamente la biocapacità
diminuisce.
È stato calcolato che attualmente la biocapacità totale del pianeta è di 1,65 ettari l’anno, cioè ogni
anno ciascun individuo ha a disposizione 1,65 di terra e acqua.
Tuttavia, il consumo reale è di 2,65 ettari per individuo. Ciò significa che consumiamo più risorse di
quante ne avremmo realmente disponibili.
All’attuale tasso di utilizzo delle risorse servirebbero 1,6 pianeti affinché l’umanità possa
mantenere inalterato il proprio stile di vita medio, considerando che il maggiore impatto sulle
risorse naturali è causato dalle abitudini delle popolazioni dei Paesi più sviluppati
economicamente.
Questo eccessivo consumo di risorse e di territorio da parte delle popolazioni dei Paesi più
industrializzati deriva sia dalla mancanza di informazione e di consapevolezza sia dalla mancanza di
linee guida concrete di gestione ambientale che integrino la conservazione degli habitat, della
diverta biologica e della resilienza.
Questo discorso si collega al concetto di acrescita di Latouche: bisogna ridurre il consumo delle
risorse per riportare ciascun Paese entro la propria capacità di carico, vale a dire per riallineare la
propria impronta ecologica e biocapacità.
Infografica: la Cina consuma 2,5 volte risorse in più rispetto alla propria capacità.
Il Giappone consuma 7 volte di più e l’Italia 4.
Possiamo concludere che il nostro pianeta non è sufficiente: per sostenere la
Il World Overshoot Day è il giorno in cui il pianeta supera l’utilizzo delle risorse disponibili per
quell’anno, andando ad intaccare ed utilizzare le risorse dell’anno seguente.
A partire dal 1970, il World Overshoot Day viene anticipato ogni anno sempre di più. Nel 2018 il
World Overshoot day è stato ad agosto.
Andamento impronta ecologica a scala mondiale: a partire dagli anni ’80 abbiamo iniziato a
consumare più risorse di quante abbiamo realmente a disposizione. È quindi subentrato il concetto
di Overshoot: sorpasso.
Carta
Rosso e arancione: Paesi che hanno un’impronta superiore alla loro biocapacità.
Verde: Paesi che hanno un’impronta inferiore alla loro biocapacità.
Risulta evidente che i Paesi più poveri contribuiscono meno al consumo di risorse e vengono
quindi sfruttati dai Paesi più ricchi.
Lo squilibrio ecologico che emerge da questa carta è il riflesso di uno squilibrio di potere
economico e politico.
Soluzioni globali:
Controllare e ridurre la produzione ed il consumo di energia
Produrre energia in maniera più efficiente e da fonti rinnovabili
Ridurre/controllare la crescita della popolazione
Soluzioni individuali:
Riciclare
Risparmiare energia per riscaldare e raffreddare la casa
Utilizzare lampadine a basso consumo
Sostituire l’automobile con il trasporto pubblico
Usare automobili che inquinano meno
Utilizzare meno acqua calda
Non utilizzare sacchetti di plastica
Spegnere gli elettrodomestici
Lezione 6.2
Uomo, ambiente e sviluppo
Parte 2: Inquinamento e degrado ambientale
Tipi di inquinamento
Inquinamento del suolo
Inquinamento idrico (fluviale e marino)
Inquinamento atmosferico
piogge acide
buco nell’ozono
effetto serra
acustico, luminoso, olfattivo (?)
Gli effetti sono la perdita di biodiversità e del valore potenziale delle risorse forestali, l’immissione
in atmosfera di grosse quantità di CO2. (Gli alberi sono i principali produttori di ossigeno sul
pianeta e quando vengono tagliati diminuisce la quantità totale di anidride carbonica che viene
immagazzinata e la quantità di ossigeno liberata nell’atmosfera; in più, molto spesso anche
durante al taglio industriale degli alberi si assiste ad un enorme processo di incendi del sottobosco,
con lo scopo di ripulire ingenti estensioni forestali. Questi roghi immettono nell’atmosfera grande
quantità di anidride carbonica).
Inoltre, avremo generale destabilizzazione degli ecosistemi e perdita di culture associate agli
ecosistemi forestali. Come conseguenza si ha un’apertura all’antropizzazione.
Desertificazione
Nella Convenzione per combattere la Desertificazione del 1994 è stata messa a punto la seguente
definizione: degrado del suolo in aree aride, semi aride e aride-semi umide, causato da attività
umane e da variazioni climatiche.
La desertificazione è un processo che colpisce tutti i Paesi del mondo. Anche i Paesi più sviluppati
ne sono interessati: l’Italia stessa è un Paese ad alto rischio di desertificazione, soprattutto nelle
aree mediterranee (Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna sono regioni con territori già semi-aridi).
È particolarmente grave in Africa (dove il 66% di tutti i terreni è arido o semi arido) e nei PVS in
Asia, America Latina e Caraibi.
Il 39% circa della superficie terrestre è colpita, con più di 100 Paesi interessati: 250 milioni di
persone vivono in regioni aride.
Questa condizione ha anche importanti conseguenze economiche: perdita di reddito, circa 45
miliardi di dollari ogni anno.
Inoltre, la desertificazione impoverisce la biodiversità.
Giovedì 12/11/2020
Le cause sono associate alla perdita di vaste estensioni territoriali, che vengono cementificate o
deforestate (e di conseguenza desertificate). (Distruzione habitat: deforestazione inquinamento)
È legata ad uno sfruttamento insostenibile delle specie vegetali, caccia illegale e commercio
internazionale di specie protette.
Mancate politiche di tutela.
Il valore della biodiversità è estetico, commerciale e potenziale.
Ad oggi non è chiaro quante specie di organismi viventi ci siano. Non sappiamo neanche l’ordine di
grandezza, si stima tra i 10 e i 100 milioni di specie.
Molte specie non sono state neppure catalogate.
Animali estinti per l’azione dell’uomo: dodo, quagga, tigre della Tasmania
La scomparsa della biodiversità è associata alla scomparsa delle culture e delle lingue. Una branca
della linguistica studia la scomparsa delle lingue, studiando la relazione tra diversità linguistica e
diversità biologica. È stato osservato che le comunità che vivono nelle aree più remote del pianeta
parlanti lingue a rischio di estinzione sono lingue
Quando questi territori vengono distrutti, queste comunità sono costrette a fuggire e si rifugiano
nelle città più vicine, dove nel corso del tempo si integrano alla vita urbana e perdono la propria
cultura. Con la scomparsa della loro cultura scompare molto spesso anche la loro lingua. Con la
scomparsa della loro lingua scompaiono anche termini propri della loro cultura che indicavano
animali o piante proprie dell’ambiente in cui la comunità viveva tradizionalmente. Molto spesso
queste comunità avevano un bagaglio di conoscenze specifiche sull’uso che si può fare di
determinate specie (es. uso medicinale di piante).
Far scomparire un pezzo di ambiente naturale ha svariate conseguenze: scomparsa di cultura,
lingua e conoscenze che il popolo possedeva sul loro ambiente naturale tradizionale.
È importante preservare le aree forestali dei tropici perché potrebbero essere una sorta di banca
di varietà genetica che potrà risultare fondamentale per le società umane globali del futuro.
Da un punto di vista linguistico, le lingue parlate dalle popolazioni che vivono nelle zone più
remote del pianeta sono delle botaniche verbali.
La questione della biodiversità si lega al benessere della popolazione futura.
È una convenzione che vincola i Paesi firmatari ad attuare sul proprio territorio nazionale delle
misure per contenere la perdita di biodiversità.
La conservazione può essere fatta in due modi: in-situ, ossia presso il Paese di cui la specie è
originaria, attraverso l’istituzione di parchi o aree protette; oppure ex-situ, portando la specie in
pericolo presso un altro Paese in modo tale da garantire la salvaguardia di alcuni individui della
specie.
A questa strategia va affiancato un uso sostenibile delle risorse, cooperazione tra Paesi e ricerca.
In Italia i due organi incaricati di verificare l’attuazione della CITES nei Paesi firmatari sono la
Guardia di Finanza ed il Corpo forestale.
In molti aeroporti sono presenti cartelli promozionali che spiegano cosa sia la CITES.
Altri accordi a tutela delle risorse del pianeta: sfruttamento insostenibile di risorse
Convenzione ONU sul diritto internazionale del mare, che riguarda lo sfruttamento delle risorse dei
fondali.
Trattato Antartico, un accordo internazionale con il quale è stato stabilito che l’Antartide non può
essere utilizzata per finalità commerciale o bellico, ma esclusivamente per utilizzo di tipo
scientifico.
Trattato sullo spazio extra-atmosferico, la Luna e gli altri corpi celesti, con il quale si è stabilito che
il cosmo, i pianeti e la Luna non possono essere utilizzati per sviluppare tattiche militari o fare test
di armi.
L’inquinamento
L’inquinamento idrico
Marino, che può avere cause dirette (scarichi urbani o di navi in mare; incidenti navali e delle
petroliere) o indirette (inquinamento portato al mare dai fiumi; scarichi dei fiumi)
Fluviale (inquinamento di acqua dolce), provocato da scarichi industriali, agricoli, urbani ed alte
temperature
L’inquinamento atmosferico
Può essere di origine antropica (provocato dall’uomo) o naturale (ad esempio: eruzione vulcaniche
che immettono nell’atmosfera grandi quantità di gas).
Esistono due tipi di inquinanti:
Primari, liberati nell’atmosfera come conseguenza di attività umane (biossido di zolfo, monossido
di azoto)
Secondari, che si formano successivamente in atmosfera attraverso reazioni con gas già presenti
(acido solforico)
Fonti di inquinamento antropogenico (cioè causato dall’uomo):
grandi sorgenti fisse (industrie)
piccole sorgenti fisse (riscaldamento domestico)
sorgenti mobili (traffico veicolare)
Il buco nell’ozono
(Il buco nell’ozono e l’effetto serra sono due fenomeni naturali divenuti causa di una crisi
ambientale perché, come conseguenza di attività antropiche, la dimensione del fenomeno naturale
è divenuta molto più consistente, facendo sì che fosse necessaria l’azione di una politica globale
per poter porre un freno ai meccanismi innescati)
L’ozono è un gas che fa da barriera protettiva contro le radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole.
Questo tipo di radiazioni sono quelle responsabili dell’abbronzatura.
(L’effetto serra è associato alle radiazioni infrarosse, responsabili della percezione del calore).
Il buco nell’ozono si trova sopra l’Antartide e nasce come un fenomeno naturale: ogni anno si apre
un buco nello strato protettivo, come reazione alla presenza di radiazioni massicce provenienti dal
Sole. (Quando nell’emisfero australe è estate il buco si apre, quando è inverno si richiude).
Dagli anni Ottanta gli scienziati hanno cominciato ad osservare che questo buco si allargava
sempre di più e non si richiudeva, a causa dell’azione dell’uomo (cause antropiche).
La causa dell’allargamento di questo buco è la presenza in atmosfera di composti chimici in grado
di attaccare l’ozono: Clorofluorocarburi, Idroclorofluorocarburi e Bromofluorocarburi. La presenza
di questi gas, immessi nell’atmosfera dalle attività umane, porta le molecole di ozono a scindersi.
In questo modo lo strato protettivo di ozono si indebolisce e le radiazioni ultraviolette riescono a
raggiungere la superficie della Terra.
L’inquinamento arriva al Polo sud per via della rotazione terrestre e delle correnti aeree.
Nel 1997 è stato firmato il Protocollo di Montreal, con il quale si limitava la produzione e l’uso di
diversi CFC e gas Halon, sostituendoli con gas non dannosi per l’atmosfera.
Questo Protocollo viene considerato il primo esempio positivo di accordo globale finalizzato a
trovare una soluzione alla crisi ambientale. (Molto spesso si dice che il Protocollo di Kyoto è stato
un fallimento, mentre quello di Montreal è stato un successo).
Dopo l’istituzione di questo protocollo ci sono stati effetti positivi nella riduzione del buco
nell’ozono, ma non solo: eliminando la produzione e l’utilizzo di CFC, il Protocollo di Montreal ha
portato beneficio anche al problema legato all’effetto serra.
(Attenzione! Buco nell’ozono ed effetto serra non sono la stessa cosa, benché condividano alcune
delle loro cause).
Il Protocollo di Montreal è entrato in vigore nel 1987 ed è stato poi aggiornato nel 1997. Le
ricadute positive dell’implementazioni di questo accordo sono state molto lente: sono stati
necessari decenni per vedere risultati positivi nella riduzione del buco nell’ozono.
Le piogge acide
Le piogge acide sono l’effetto della ricaduta dall’atmosfera di particelle, gas e precipitazioni acide.
Alcuni gas inquinanti presenti nell’atmosfera (come conseguenza dell’attività antropica,
prevalentemente attività industriali), ossia ossidi di zolfo e ossidi d’azoto, entrano a contatto con
l’acqua atmosferica e originano acido solforico e nitrico.
Per gli esseri umani, le piogge acide non costituiscono direttamente un problema (alla pelle o
salute dell’uomo), ma esse portano ad un’acidificazione di laghi e corsi d’acqua, danni alla
vegetazione e suoli forestali e danni ai materiali di costruzione e alle vernici.
Nonostante non si tratti di un fenomeno che esercita dirette conseguenze sulla salute dell’uomo,
esso rimane un fenomeno di rilevanza per la sua persistenza nell’atmosfera.
Questi due gas inquinanti, ossido di zolfo e ossido d’azoto, hanno una diversa permanenza
nell’atmosfera.
• L’ossido di zolfo rimane nell’atmosfera 2-4 giorni, per poi ricadere sulla Terra sottoforma di
pioggia acida. Vi è una ricaduta vicino al luogo di emissione dell’inquinante/alla fonte.
Prendiamo come esempio una fabbrica, che immette nell’atmosfera ossido di zolfo. Questo gas
inquinante, incontrando molecole di acqua, forma pioggia acida che ricade direttamente su quel
territorio.
• L’ossido di azoto, invece, ha una permanenza nell’atmosfera più lunga (anche qualche
settimana), con il risultato che, per effetti di venti e correnti, questo gas può essere trasportato
anche molto lontano. Di conseguenza può provocare piogge acide in zone lontane dal luogo di
emissione.
Quando parliamo di inquinamento non bisogna dimenticare la relazione tra locale e globale. Le
forme di inquinamento hanno difficilmente un mero impatto locale, ma molto più spesso hanno
una ricaduta a scala globale.
L’inquinamento è un fenomeno che è l’esempio perfetto di relazione tra locale e globale: data la
natura globale dell’inquinamento è necessario che le misure di intervento siano anch’esse globali
(Protocollo di Kyoto).
Immagine che indica l’estensione del buco dell’ozono dal 1979 al 2019.
All’inizio degli anni 2000 il buco dell’ozono aveva raggiunto la sua estensione massima, poi con le
implementazioni del protocollo di Monreal il buco è andato restringendosi. Tra gli anni 2019 e
2020 il buco si sta restringendo.
Nella politica internazionale, il protocollo di Montreal rappresenta un successo positivo.
Entrato in vigore nel 1987 e aggiornato nel 1997. Le ricadute positive dell’implementazione di
questo accordo sono state molto lente: sono stati necessari decenni per vedere effetti positivi.
Allo stesso modo, se aspettiamo per agire sull’effetto serra, probabilmente gli effetti positivi li
vedremo fra molto tempo.
L’effetto serra
È un fenomeno naturale, proprio come il buco nell’ozono, che riguarda l’atmosfera terrestre.
L’atmosfera è formata da gas e circonda il nostro pianeta. È composta per il 78% da azoto, 21%
ossigeno e 1% miscela di gas responsabili dell’effetto serra, tra cui vapore acqueo, anidride
carbonica, metano e ozono. Questi gas sono molto importanti perché responsabili del fenomeno
dell’effetto serra, che garantisce una temperatura media piuttosto elevata sul pianeta.
L’effetto serra è un fenomeno naturale che regola la temperatura terrestre: è stato calcolato che
senza l’effetto serra la temperatura media del nostro pianeta sarebbe di -18°. L’effetto serra
permette di mantenerla a +15°.
Come funziona:
I raggi solari attraversano l’atmosfera e riscaldano la superficie terrestre. Dalla superficie terrestre,
il calore s’irradia nell’atmosfera sottoforma di radiazioni infrarosse (si tratta di quelle radiazioni il
cui compito è di riscaldare, non sono le radiazioni responsabili del buco nell’ozono). Il 30% circa
della radiazione infrarossa si perde nello spazio. In condizioni naturali, il 70% circa della radiazione
infrarossa è assorbito dai gas serra presenti nell’atmosfera che lo riflettono nuovamente sulla
superficie terrestre.
La quantità di radiazioni infrarosse intrappolate nell’atmosfera è aumentata progressivamente a
partire dalla rivoluzione industriale. A partire da quel momento sono stati immessi all’interno
dell’atmosfera una quantità sempre crescente di gas ad effetto serra.
Questi gas fanno diminuire la percentuale di gas trattenuti nell’atmosfera e come conseguenza la
temperatura aumenta.
Alcuni dati
• Immissione nell’atmosfera di gas che provengono da attività industriali. La concentrazione di
anidride carbonica nell’atmosfera è aumentata di 50 ppm (parti per milione) tra il 1750 ed il 1970 e
di 60 ppm nei soli ultimi 40 anni (dal 1970 al 2010).
• Questo aumento è dovuto alla combustione di combustibili fossili come petrolio e carbone,
mentre la seconda causa è la deforestazione.
• Nel corso degli ultimi 150 anni, la temperatura media è aumentata di quasi 0,8°C a livello globale
e di circa 1°C in Europa.
Grafico che mette in relazione la concentrazione di anidride carbonica e la
temperatura dell’atmosfera negli ultimi 400 mila anni.
Come ricavare la concentrazione di anidride carbonica: analisi dei ghiacci nell’Antartide; per
ricavare la temperatura, si osservano i cerchi degli alberi.
All’aumento di concentrazione di anidride carbonica aumenta anche la temperatura.
Altra considerazione: nel corso degli ultimi 400 mila anni ci sono stati innalzamenti nella
temperatura. Questi picchi erano probabilmente dovuti a fenomeni naturali (chiaramente 400 mila
anni fa non c’erano attività umane: probabilmente grandi eruzioni vulcaniche che portavano
nell’atmosfera grandi quantità di anidride carbonica).
Oggi siamo a più di 400 ppm.
Fino ad ora non c’erano mai stati esseri umani che avevano interessi a preservare la vita sul
pianeta. Vivevano sulla terra organismi monocellulari che non avevano gli strumenti per
comprendere ciò che stava accadendo e per frenare questo fenomeno.
Oggi noi avremmo le potenzialità tecnologiche per ridurlo, ma il problema è che realmente non ci
stiamo impegnando per farlo.
Aumento di temperatura previsto tra il 2020 ed il 2099 nel caso in cui non vengano imposti
limiti all’azione dell’uomo: la prima immagine ritrae il cambiamento di temperatura che potrebbe
verificarsi tra l’anno 2020 ed il 2029 agendo ora; la seconda, l’incredibile innalzamento che
potrebbe accadere tra il 2090 ed il 2099.
Le zone che andranno incontro al più forte innalzamento delle temperature sono quelle dell’Artico,
perché il bianco del ghiaccio ha una grande capacità riflettente (effetto albedo). Questo effetto fa
sì che il bianco sia in grado di riflettere le radiazioni infrarosse. Tuttavia, se la
temperatura aumenta, i ghiacci cominciano a sciogliersi, questo significa che ci saranno meno
superfici bianche che riflettono le radiazioni infrarosse. Progressivamente, con la scomparsa dei
ghiacci non ci sarà più ghiaccio, ma acqua marina, che con un colore più scuro assorbe le radiazioni
infrarosse invece di rifletterle.
L’acqua marina si riscalda, facendo sciogliere sempre di più il ghiaccio. Per questo motivo l’artico
sarà la zona con il maggiore aumento di temperatura a scala globale. Come conseguenza i ghiacci
si sciolgono, il livello dei mari aumentano. Questo è lo scenario drammatico che rappresenta una
situazione in cui non vengono prese azioni per contrastare questa emergenza. Sperabilmente, non
si verificherà mai.
Le zone che soffriranno maggiormente l’aumento di temperature sono chiamate Hotspot climatici
(Artico, zone dove si collocano i deserti e zone tendenzialmente tropicali).
Effetti dell’effetto serra (hanno natura diversificata a seconda dei territori)
Nel 1992 durante la Conferenza di Rio de Janeiro è stata indetta una Commissione Quadro sui
Cambiamenti Climatici: esperti climatici riuniti per trovare una soluzione a questo problema.
Nasce quindi il Protocollo di Kyoto: accordo sulla riduzione delle emissioni di gas serra di natura
globale. Questo accordo viene riconosciuto durante la conferenza del 1997 a Kyoto (in Giappone).
L’obiettivo è ottenere la stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera ad un
livello che non diventino mai pericolose per il sistema climatico.
L’obiettivo è quello di ridurre le emissioni globali di gas serra ad un livello inferiore rispetto a
quello del 1990. Il 1990 è l’anno di riferimento: all’interno del protocollo di Kyoto tutti i Paesi del
mondo si impegnano a ridurre le emissioni entro il 2012.
Questo accordo globale avrebbe potuto portare risultati positivi come il protocollo di Montreal,
ma questo non è avvenuto perché alcuni Paesi (in particolare gli Stati Uniti) si sono ritirati dagli
impegni presi. Nel 1997, sotto la presidenza di Bill Clinton gli Stati Uniti firmano il Protocollo, ma 3
anni dopo con la vittoria di George Bush, come prima azione politica gli USA si ritirano dall’accordo
di Kyoto per non ridurre la crescita economica del Paese.
Strategie
I Paesi in via di sviluppo non erano vincolati dal protocollo di Kyoto a ridurre le proprie emissioni e
hanno quindi potuto continuare la propria ascesa economica senza limitazioni che avrebbero
rallentato la loro crescita.
Questo è il principio etico che ha consentito a Cina e India di svilupparsi enormemente tra gli anni
90 e primo decennio del 2000 senza particolari preoccupazioni rispetto alle emissioni di gas serra.
Bush motiva la decisione di ritirarsi dal Protocollo di Kyoto dicendo che se gli Stati Uniti avessero
aderito, avrebbero perso rispetto alla concorrenza (ritenuta sleale) della Cina. A quell’epoca la Cina
era un PVS e per questo motivo non era obbligata ad aderire al Protocollo di Kyoto. Gli USA non
aderiscono perché non vogliono assistere ad un crollo dell’economia e ad un conseguente
sorpasso cinese in termini di crescita economica.
I ruoli delle parti: all’interno del protocollo di Kyoto è stata fatta una divisione di tutti i Paesi del
mondo in 3 liste.
• Annesso I: include tutti i Paesi industrializzati che hanno contribuito in misura massiccia
all’inquinamento globale. Questi Paesi hanno concordato di ridurre del 5% le emissioni dei loro gas
serra entro il 2012 rispetto al 1990. Di questa lista fa parte anche l’Italia.
• Annesso II: Paesi industrializzati che si sono resi disponibili a concedere risorse finanziarie
e tecnologiche ai Paesi i via di sviluppo, al fine di aiutarli nella loro transizione verso un’economia
sostenibile e con minore impatto di emissioni di gas serra. (Italia)
• Annesso III: Paesi in via di sviluppo, ai quali è permesso di aderire al protocollo di Kyoto, ma non
sono di fatto obbligati ad attuare alcuna riduzione. A loro è concesso di progredire nel loro diritto
all’industrializzazione. Possono iniziare ad introdurre nella loro economia delle tecnologie per la
riduzione delle emissioni.
La Convenzione Quadro, nota col nome di Protocollo di Kyoto, viene fermata nel 1997.
Il trattato prevedeva di essere firmato e ratificato da almeno 55 Paesi (1) che dovevano essere i
responsabili di non meno del 55% delle emissioni di anidride carbonica immesse nel 1990.
Sono quindi state calcolate le emissioni di tutti i Paesi del mondo degli anni Novanta.
Queste due condizioni vengono raggiunte solamente nel 2004.
• Nel marzo del 2002 si raggiungono i 55 Paesi grazie alla firma e ratifica dell’Islanda, ma non si era
ancora raggiunto il 55%.
• Nel novembre del 2004, con la ratifica della Russia, si raggiunge il 55%.
Come previsto, il Protocollo di Kyoto entra in vigore 90 giorni dopo il raggiungimento di questi due
obiettivi, il 16 Febbraio 2005.
L’Italia e il Protocollo
La situazione dell’Italia è stata descritta di successo rispetto ai risultati del Protocollo di Kyoto. Il
nostro Paese ha raggiunto l’obiettivo di Kyoto, riducendo le sue emissioni di gas serra del 6.5%
rispetto al 1990, tra il 2008 ed il 2012.
Tuttavia, come emerge dai dati del 2013 è anche una situazione in cui i risultati erano stati ottenuti
anche grazie alla crisi economica del 2008, che aveva impoverito una fetta consistente della
popolazione, la quale non ha più fatto uso di combustibili fossili per i propri mezzi di trasporto e
molto spesso anche per riscaldare la casa.
Si può quindi fare una considerazione amara dei risultati positivi ottenuti dall’Italia. Vediamo una
situazione simile oggi: durante il lockdown si parlava ovunque della diminuzione di inquinamento,
ma è triste pensare che questo risultato si sia ottenuto perché le persone sono state costrette a
rimanere chiuse in casa durante una pandemia globale e non per un reale sforzo ed impegno
collettivo.
Il post-Kyoto (per individuare meccanismi volti a portare i Paesi a ridurre le proprie emissioni)
A partire dal 2007 è nata una discussione volta a cambiare l’impegno a livello globale, in termini di
riduzione delle emissioni inquinanti. Nel corso della conferenza del 2007 che si è tenuta a Bali, è
stata stabilita la “Road map”, ossia un piano per avviare le negoziazioni per un accordo successivo
al protocollo di Kyoto. Essa prevedeva di individuare i meccanismi per portare i Paesi a ridurre le
proprie emissioni, attraverso l’appoggio tecnologico ed economico dei Paesi sviluppati verso i Paesi
in via di sviluppo (PVS). Si tratta di un sostegno decisivo per ridurre le emissioni di gas serra.
Alla “Road map” hanno aderito anche gli Stati Uniti ed i Paesi ad economia emergente quali Cina
ed India.
Uno degli aspetti più critici emerso durante la conferenza di Copenhagen è che l’accordo di Kyoto
ha fallito perché non aveva previsto una progressiva inclusione dei Paesi in via di sviluppo.
Cina, Brasile, Sudafrica, India ecc. sono Paesi che agli inizi dei negoziati di Kyoto figuravano come
Paesi in via di sviluppo, ma durante la fase Kyoto (inizio nuovo millennio), alcuni di essi hanno
conosciuto un’importante crescita economica. Sono i Paesi che conosciamo con l’acronimo BRICS:
Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Attualmente invece sono Paesi importanti nella scena
economica globale, che nel corso degli anni hanno contribuito all’emissione di gas serra.
Nel corso della conferenza di Copenhagen la Cina propone di tagliare le emissioni su base
procapite.
Secondo l’accordo di Kyoto, la riduzione delle emissioni avveniva su calcolo a base nazionale:
venivano calcolate le emissioni di tutti i Paesi aderenti, per poi stabilire quote di riduzione (o
aumento, perché alcuni Paesi nel 1990 inquinavano molto poco, per cui veniva concesso loro di
continuare la loro crescita senza alcuna imposizione di restrizioni).
La proposta di ridurre le emissioni su base procapite viene dalla Cina, che cercava di tutelare la
propria posizione all’interno del protocollo di Kyoto, ossia continuare la crescita economica senza
doversi curare delle emissioni e senza obbligo di riduzione.
Dalla Cina viene dunque la proposta di conteggiare la riduzione di emissioni a livello procapite: in
questo modo non figura tra i 10 Paesi più responsabili di produrre emissioni, perché la quantità di
emissioni di gas serra che la Cina produce a livello nazionale è spalmata in maniera molto
disuniforme all’interno del Paese. (Una fetta di popolazione più piccola, vale a dire quella che vive
prevalentemente nelle aree urbanizzate ed industriali contribuisce maggiormente, mentre una
massa molto più consistente di popolazione al contrario contribuisce in maniera limitata
all’emissione di gas).
Gli Stati Uniti, insieme a molti altri Paesi avanzati economicamente, si sono opposti a questa
proposta: questa soluzione peserebbe maggiormente sugli USA e poco sulla Cina, entrambe tra i
maggiori emettitori di gas serra.
Durante la Conferenza di Copenhagen, i Paesi più sviluppati hanno deciso di creare un fondo di 100
miliardi di $ annuali, volto ad aiutare i Paesi arretrati economicamente e tecnologicamente a
sviluppare i propri settori economici in maniera compatibile rispetto alla riduzione di gas serra.
Questa promessa non verrà mantenuta.
Ciò è stato reso possibile grazie alla donazione di aiuti internazionali da parte di economie ricche.
Questa decisione è stata presa a Copenhagen ed è stata confermata nel corso della Conferenza di
Cancun (Messico), durante la quale è stato effettivamente istituito il Fondo per il Clima, con
l’obiettivo di aiutare le nazioni in via di sviluppo ad adattarsi ai cambiamenti climatici.
Il momento successivo più rilevante è nel 2014, quando è stato raggiunto un accordo per la fase
post-Kyoto, che sarebbe stato firmato l’anno successivo a Parigi (2015), con l’intenzione di entrare
in vigore nel 2020.
• Gli impegni di riduzione presi da ciascun Paese attraverso gli INDC non sono obblighi vincolanti,
legati a sanzioni nel caso non vengano rispettati.
• Mancanza di un organismo sovranazionale che monitori, ma soprattutto punisca i Paesi che non
adempiono ai loro doveri: non sono previste forme di controllo, ma solo verifiche quinquennali
effettuate da parte degli Stati stessi.
• Infine, nell’accordo di Parigi si fa solo un vago accenno alla necessità di raggiungere il picco delle
emissioni di gas serra quanto prima, così da poter iniziare a beneficiare rapidamente delle azioni di
mitigazione individuate negli INDC.
Il picco di emissioni verrà quindi posticipato.
La cessazione di emissioni non è un processo immediato: anche se eliminassimo qualsiasi forma di
immissione di gas serra in questo istante, la concentrazione rimarrebbe comunque alta per un
periodo relativamente lungo.
Differenza tra emissioni e concentrazione di gas serra. Paragone con vasca piena di acqua.
La Conferenza di Parigi è stata firmata da Obama nel 2015, ma a partire dal 2017 il presidente
Trump ha dichiarato che gli Stati Uniti sarebbero usciti dall’accordo di Parigi.
Attualmente, il nuovo presidente americano Joe Biden ha dichiarato che gli USA rientreranno in
questo accordo.
Lezione 7
Popolazione, alimentazione e risorse in un pianeta finito
Crescita demografica
Nel 2020 siamo 7,8 miliardi e cresciamo di circa 80 milioni all’anno.
Nel 2050 saremo verosimilmente 9,2 miliardi (di cui 8 miliardi nei Paesi di sviluppo e 1 miliardo nei
Paesi sviluppati). Nel 2100 saremo circa 11 miliardi.
L’enorme crescita demografica che il pianeta sta conoscendo (soprattutto nelle aree più povere)
porta inevitabilmente molte preoccupazioni: sarà possibile sfamare tutta questa popolazione?
Come sfamare la popolazione del futuro? Ogm, agricoltura biologica, alimentazione vegetariana e
vegana, agricoltura alternativa (sistema idroponico)?
Il pianeta è sufficiente? Impronta ecologica!
L’impatto dell’agricoltura
L’agricoltura si estende sul 10% della superficie terrestre (circa 15 milioni di Km 2).
È un’attività in forte calo nei Paesi sviluppati: in Italia, riguarda solo il 3,5% degli occupati; è ancora
molto forte nei PSV per contributo al PIL e per numero di occupati (90% di occupati in Burkina
Faso).
Vi è una grande differenza tra le diverse tipologie di agricoltura praticate nel mondo.
Carta che indica dove l’agricoltura contribuisce in misura più consistente al PIL (continente
africano).
Carta che mostra la % di impiegati nel settore agricolo. Notiamo un’alta % nel continente africano.
Agricoltura di sussistenza
Agricoltura di mercato
Questo sistema è caratterizzato da una forte specializzazione, vendita esterna e interdipendenza di
produttori e acquirenti (mercato). Sistema agroindustriale.
Il campo viene equiparato alla fabbrica sia nella gestione che nella produzione e
commercializzazione.
• Estensiva: si stende su vaste aree e ha rese basse, associate a bassi investimenti. È associata a
grandi fattorie commerciali o grandi allevamenti allo stato bravo (America meridionale).
• Intensiva: si concentra sulla massimizzazione della resa (alta resa e basso impiego di
manodopera), ottenuta attraverso la meccanizzazione, uso di prodotti chimici, irrigazione e
selezione delle sementi (esempio dei Belts in USA).
Agricoltura di piantagione
Si tratta di una tipologia di agricoltura adottata prevalentemente nei Paesi in via di sviluppo, a
causa del clima e dell’economia facilmente manipolabile.
Monocoltura speculativa praticata in aree climatiche favorevoli alla coltivazione di prodotti
tropicali (ananas, banane, tè, caffè, cacao…). È una forma di agricoltura fortemente specializzata:
questo tipo di produzione è adibita totalmente all’esportazione (proprietà di multinazionali,
vicinanza a vie di trasporto).
La forza lavoro è locale e sottopagata (contadini analfabeti).
Sovranità alimentare: integra aspetti legali con aspetti di sicurezza e qualità del cibo, ma anche
aspetti sociopolitici che riguardano non solo i diritti ad avere cibo (equa distribuzione) e la sua
qualità, ma anche il diritto dei popoli di scegliere quale tipo di produzione agricola vogliono
portare avanti, che tipo di cibo.
È il diritto di ogni popolo di poter definire il propri sistema agricolo.
Prende in considerazione anche un’alimentazione vegetariana e vegana.
(In)sicurezza alimentare
Ciò che emerge da alcuni dati della FAO è che nei continenti più economicamente arretrati
coesistono all’incirca la stessa quantità di bambini sottonutriti e sovrappeso.
• Nel 2018 più di 820 milioni di persone erano sottonutrite (nel 2015 erano 784 milioni: la
riduzione delle terre coltivabili avrà un’enorme conseguenza sulle popolazioni povere che non
potranno procurarsi cibo).
• Circa 2 miliardi di persone conoscono una qualche forma di insicurezza alimentare.
• L’Africa è la regione con la maggiore incidenza di persone sottoalimentate: 20% della
popolazione.
• Nel 2018, 49,5 milioni di bambini sotto i 5 anni erano affetti da forme di malnutrizione severa o
rachitismo, mentre circa 40,1 milioni erano sovrappeso.
• Asia e Africa contano circa ¾ di tutti i bambini sovrappeso: 46,9% in Asia e 23,8% in Africa.
Sovrappeso causato da cibi processati e confezionati, ricchi di zuccheri e grassi.
Bambine vengono fatte ingrassare per renderle più appetibili per il matrimonio.
I cambiamenti climatici hanno inciso negativamente sulla sicurezza alimentare: peggiore resa
agricola a causa di fenomeni quali siccità, inondazioni, cicloni. La minore produttività porterà ad un
progressivo aumento del costo del cibo.
Impatti sempre crescenti sul suolo, sulla fertilità e produttività agricola: i poveri saranno sempre
più colpiti nel futuro.
Carta tematica che rappresenta gli impatti previsti dei cambiamenti climatici sulla resa agricola.
Verde: aree favorite dai cambiamenti climatici nella produzione agricola (es: penisola scandinava,
generalmente molto fredda, avrà un clima più mite e quindi più favorevole); rosso: aree che si
troveranno in grossa difficoltà (maggiore siccità, con conseguente perdita di fertilità. Es: Australia).
Notiamo come la maggior parte delle aree verdi si trovino nel Nord del mondo, già oggi favorito
nella distribuzione alimentare.
Nel futuro, le aree oggi più povere subiranno un declino nella resa agricola.
Si stima che gli impatti saranno negativi soprattutto nei Paesi con un Indice di Sviluppo Umano
basso. Vulnerabilità delle popolazioni più povere del pianeta.
Anche emergenza sanitaria che stiamo vivendo oggi: ad esempio, vengono aumentati posti in
terapia intensiva, comprate
Vulnerabilità climatica: si stima che l’Africa soffrirà i peggiori impatti dei cambiamenti climatici, pur
avendo contribuito in misura irrilevante all’emissione di CO2. Ingiustizia climatica: i popoli che
subiranno maggiormente gli effetti dei cambiamenti climatici, sono quelli che meno hanno
contribuito all’emissione di gas inquinanti nell’atmosfera.
(Il fatto che questi Paesi avessero contribuito di meno all’emissione di anidride carbonica è
diventato il principio etico per cui secondo il Protocollo di Kyoto questi Paesi potevano inquinare,
perché dovevano completare la propria crescita economica).
(Come il turismo toglie accesso alle risorse fondamentali e viene visto in maniera negativa dalle
popolazioni locali).
Come aumentare la disponibilità di cibo?
La “rivoluzione verde”
Avviata dagli anni ’70 del ‘900, fa riferimento all’introduzione di fertilizzanti chimici (a base di
fosforo e azoto, sintetizzati chimicamente per la prima volta nel 1842) e ad un miglioramento
progressivo delle sementi (/semi, attraverso una selezione di varietà più produttive o resistenti) e
della gestione (irrigazione, uso di fertilizzanti e pesticidi…)
Ciò ha portato ad una semplificazione della produzione del cibo in tutto il mondo e ad un aumento
nella produzione agricola mondiale.
Bisogna però ricordare che la rivoluzione verde non si è ancora estesa a tutto il pianeta. Infatti,
molte aree dei Paesi in via di sviluppo son ancora molto arretrate dal punto di vista della
tecnologia agricola.
È stato calcolato che ogni anno vengono utilizzati 2 milioni di tonnellate di presticidi. Essi sono
fondamentali per semplificare il lavoro degli agricoltori, ma hanno anche un forte impatto
sull’ambiente (perdita di humus, inquinamento suoli e falde acquifere, moria delle api,…) e sulla
salute dei consumatori.
Cos’è un OGM
È un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo
diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale.
(Tutte quelle forme di modificazione genetica che vengono fatte attraverso un meccanismo di
riproduzione naturale non vengono riconosciute come OGM.
La modificazione genetica delle specie vegetali e animali avviene da secoli, ma non rientra nella
definizione di OGM: tutto ciò che viene invece ottenuto con programmi di miglioramento genetico
convenzionale è escluso dalla definizione di OGM, pur comportando modificazioni del genoma.
Le piante OGM sono piante in cui una sequenza genetica viene presa e sostituita con la medesima
sequenza genetica di un’altra specie. Ciò permette a quella pianta di acquisire delle caratteristiche
non proprie).
Altri OGM
OGM arricchiti di nutrienti che scarseggiano nella dieta di determinati popoli, ad esempio il Golden
Rice, addizionato con pro-vitamina A, capace di risolvere il problema della carenza da vitamina A
nel Sud-Est Asiatico.
L’UE ha rifiutato per lungo tempo l’accesso degli OGM alla produzione agricola sul territorio,
perché non era chiaro il loro impatto sulla salute dell’uomo.
Principio di precauzione: quando ci si trova di fronte ad una scelta di cui non si conoscono bene i
risultati, è meglio scegliere la via della prudenza ed attendere studi e testimonianze ufficiali.
Da numerosi studi emerge che gli OGM fino ad oggi autorizzati non manifestano un
comportamento diverso da quello delle colture tradizionali.
Regolamentazione UE e dibattito
Opposizione di alcuni Stati membri di introdurre gli OGM, in particolare la Francia (per
salvaguardare le peculiarità alimentari del proprio Paese).
Un altro motivo di questa opposizione è fondamentalmente quello di bloccare le importazioni di
OGM dagli Stati Uniti, che è il maggior produttore.
Fino al 2013 nessun OGM è stato autorizzato nell’Unione Europea, creando una crisi diplomatica
con gli Stati Uniti, che ritenevano che l’operazione dell’Europa fosse quella di mettere un veto alla
commercializzazione di prodotti americani su suolo europeo.
Possibilità di immettere sul mercato prodotti che contengono quote pari a 0,9% di presenza
accidentale di OGM; fino ad arrivare al 2015, quando la Commissione Europea ha dato il via libera
alla commercializzazione di 19 nuovi OGM, che si sono uniti ai 58 già autorizzati dal 2013 al 2015.
Lunedì 23/11/2020
(Nei Paesi estremamente poveri c’è molto interesse negli OGM Bt perché ridurrebbero le perdite
del raccolto. Nei Paesi sviluppati le aziende hanno fatto una scelta strategica: produrre OGM che
dessero vantaggi immediati agli agricoltori per mantenere la loro presenza sul mercato.)
Chi ci guadagna? I produttori che vendono i semi, gli agricoltori che possono avere rese maggiori e
minori costi di produzione ed i consumatori che trovano dei prezzi bassi, in quanto i costi di
gestione sono diminuiti.
• OGM e diritti intellettuali: brevetto che implica un pagamento per lo sfruttamento dei diritti
• Grande Distribuzione Organizzata (GDO) che ha introdotto il problema del packaging (e l’utilizzo
di grandi quantità di plastica) vs Consumo locale
• Packaging: produzione di rifiuti
• Ortaggi sempre più piccoli e colorati: abituati a pensare che gli ortaggi devono essere belli.
Meccanismo di selezione di specie che favorisce le specie che hanno una massimizzazione della
resa > impoverimento genetico
• Consumo del terreno, di acqua, di petrolio e di concimi chimici (inquinamento da composti
azotati), emissione di gas serra (deforestazione, allevamento bestiame: per ottenere 1 kg di carne
bovina servono tra i 700 e i 15'000 litri di acqua e vengono prodotti 16 kg di CO2).
• Politiche agricole incomprensibili (es: quote latte e set aside policy)
Allevatori ed agricoltori gettano parte del loro raccolto perché non possono metterlo in vendita sul
mercato: hanno grosse perdite perché non hanno una vendita garantita (es: contadini sardi).
• Sfruttamento di manodopera non qualificata (caporalato)
• Fame VS sovralimentazione: fenomeni che coesistono
Lezione 8
Turismo e sviluppo
Fattori di attrazione:
Accessibilità fisica (possibilità reale di raggiungere una destinazione) e psicologica
(disponibilità di recarsi di un luogo altro rispetto al quale provengono)
Immagine turistica: potente strumento di attrazione
Fattori esogeni: guerre e situazioni di instabilità politica, tassi di cambio, sicurezza, salute
Dinamiche sociali e demografiche globali
Trasporti
I bisogni dei turisti: la piramide dei bisogni Maslow
Bisogni primari (fisiologia e sicurezza), bisogni sociali (appartenenza e stima), bisogni del sé (auto-
realizzazione). Tutti questi bisogni concorrono anche a creare le aspettative turistiche.
Oggi il turista ha esigenze sempre più sofisticate e la vacanza deve soddisfare prevalentemente il
bisogno di autorealizzazione e, di conseguenza, tutti i livelli di questa scala di bisogni.
Turismo e trasporti
I luoghi della terra diventano turistici nel momento in cui diventano accessibili per uno
sfruttamento turistico.
I trasporti hanno avuto e hanno tutt’ora un ruolo primario nello sviluppo turistico, ma anche nella
percezione dello spazio.
Fasi del turismo e mezzi di trasporto: età della ferrovia (da metà 1800 sino ad oggi)), età
dell’automobile (a fine del 1800; ha permesso l’allargamento dei flussi turistici del weekend e degli
escursionisti), età dell’aereo (dagli anni ’30; aeroporti internazionali).