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- L’arrivo a Londra, o di come un gilet giallo

divenne verde con grande insoddisfazione del suo


possessore

Arivato a Londra alle 17.34 di un pomeriggio di luglio


con l’afa che lottava con l’aria stagnante del Tamigi
per avere la primazia del disagio maggiore da
infliggere agli esseri umani, Thomas Thunderbolt III
detto il re dei gilet, possedendone in numero superiore
ai 1700 e inferiore ai 1870 venne colto dal timore che
coglie sempre il viaggiatore poco attento, si era
portato appresso tutto quello che era necessario per il
soggiorno o mancava qualcosa? Dopo essere sceso da
cavallo con la grazia di un toro e dopo avere litigato
per qualche minuto col piede destro infilato nella
staffa, si rivolse a Tommolo de Tommolis, il suo
aiutante veneto, ex duca di Treviso caduto in
disgrazia per una complicata questione di donne, di
giochi di carte e di vini importati illegalmente dal
Portogallo.
“Tommolo, senti, ho bisogno di sapere subito una
cosa, prima di partire hai messo tutti i miei gilet da
viaggio nella borsa verde? Quella con le aperture a
soffietto?”
“Abbiamo una borsa verde? Da quando? A me
sembrano tutte nere o al massimo marroni, di verde
non ricordo di avere mai visto niente. Ti sei accorto di
avere una chiazza di merda di piccione sulla spalla
destra? I piccioni di Londra mi sembrano abilissimi
evacuatori di feci, perdianissima”
“Spalla destra, per tutti gli asini strabici che abbia mai
visto è vero, una cagata pivionica estrema” e mentre
lo diceva Thomas, brandendo la spada che aveva
estratto dalla sella, stava cercando di togliere la
macchia con un colpo netto, rischiando di decapitarsi.
“Una idea malsana, una idea che potrebbe venire solo
a te: preferisci avere la giacca sporca di merda di
piccione con la possibilità, di facilissima realizzazione,
di cambiarla con una delle altre 35 che hai sepolto in
qualche baule, restando con la testa attaccata al collo,
o preferisci pulire malamente questa prima di renderla
estranea al tuo collo?” disse Tommolo, il tutto
guardando con interesse la parte posteriore,
ondeggiante con sinuosa incertezza sotto una vasta
gonna color indaco, di una signorina dai lunghi capelli
rossi e dalle lunghe ciglia arrotate che stava passando
proprio davanti a loro.
“Meglio evitare, cambierò giacca, soluzione migliore.
Nel mare di idiozie nel quale nuotano sempre i tuoi
pensieri, Tommolo, ogni tanto trovo degli scogli di
saggezza. Scarichiamo tutti i bagagli e andiamo alla
locanda, ho bisogno di un bagno, di un cambio
d’abito e di un pasticcio di selvaggina, non
necessariamente in quest’ordine.”
E così fecero, attraversando la strada con la serena
consapevolezza dei giusti che non li esentò, tuttavia,
dal mettere i loro stivali in due enormi merde di
cavallo dalla singolare forma di anemoni.
“Era quello che penso?”
“Se hai pensato quello che ho pensato io, sì”
Dopo questo intenso scambio di pensieri sul mondo e
sulle deiezioni equine che in quel momento erano il
perimetro del loro mondo, Tommolo e Thunderbolt
entrarono nella locanda, preceduti e accompagnati dal
fantasma di due cavalli diarroici, che aleggiava tra i
loro stivali. La locanda era graziosa, non troppo
grande e nemmeno troppo piccola, con un corridoio
piuttosto ampio lungo il quale erano allineate alcune
sedute di cuoio, con i segni di innumerevoli glutei già
passati di lì, alcuni quadri che avrebbero dovuto
illustrare alcune scene di caccia ma che erano
purtroppo talmente sporchi da lasciare
nell’osservatore non pochi dubbi sul tipo di scene
ritratte, alcuni candelabri spenti, un mantello rosso
fuoco disinvoltamente appoggiato sulla poltrona più
grande e meno logora, un mantello che Tommolo
identificò subito come orpello tissutale muliebre, ossia
da donna.
“Quella stoffa copre spalle femminili, e non solo le
spalle” disse non appena lo notò, ancora impegnato
nel tentare di staccare dalla suola degli stivali quello
che restava dello sfogo equino di cui sopra.
“stoffa? Quale stoffa? Il mantello? Rosso? Per me
potrebbe essere anche di un ussaro, di un dragone, di
un commerciante, di uno calvo o con tanti capelli, la
cosa mi lascia del tutto indifferente, io voglio la nostra
camera, e non vedo nessuno che sia in grado di
dircelo, a meno che tu non sia in grado di parlare con
dei mantelli e farti dare delle risposte” disse, già
irritato e copiosamente sudato Thunderbolt: una cosa,
infatti, va premessa, che come Tommolo era in grado
di rimanere elegante e vaporoso anche con un etto di
cacca equina sotto gli stivali Thomas Thunderbolt III,
malato di eleganza, collezionista di gilet e stivali e
tenute ereditate da un congruo numero di zie morte
anzitempo era in grado di essere disordinato e caotico
anche indossando alcuni degli abiti più eleganti delle
terre emerse, oltre a sudare come un orango e a
gestire fallimentarmente la imbarazzante quantità di
capelli che gli pascolavano in testa.
“Posso arguire, io arguisco spesso quando sono a
stomaco vuoto, che quel mantello rosso sia collegato
alla presenza di chi deve indicarci la camera, ne sono
quasi convinto” disse Tommolo, socchiudendo gli
occhi come era solito fare quando la sua mente
ondivaga si avvicinava, anche solo idealmente, alla
possibilità di avere a che fare con un esponente del
sesso opposto al suo, una donna, quindi.
“signori scusatemi moltissimo, ero nelle cucine,
benvenuti!”
Queste parole galleggiarono nell’aria per un
momento, andarono a sbattere contro le pareti che
ospitavano i quadri con le presunte scene di caccia,
scesero sui tappeti, si fermarono per un po’ sul tavolo
rotondo vicino all’ingresso, e si materializzarono
davanti ai due uomini insieme a chi le aveva
pronunciate, nella persona, e che persona, della
proprietaria della locanda. Una donna giovane, alta,
con una massa imponente di capelli corvini trattenuti
a stento da un nastro rosso, una gonna rossa anch’essa
che sottolineava dei fianchi perfetti, una camicia
bianca con jabots anch’essi rossi che in quel momento
agiva come un mantice, sotto la quale si nascondeva a
fatica un seno imperioso, alto, di sodezza inusitata: in
pratica una epifania di bellezza e desiderio: Tommolo
rischiò di svenire, e dovette appoggiarsi alla parete,
mentre Thunderbolt rimase più o meno immobile,
essendo abbastanza impermeabile alla bellezza
femminile, anche se venne colpito dai colori non
propriamente londinesi sia dell’abito che di chi lo
indossava.

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