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STORIA DELL’ARTE

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Introduzione storica generale - dalla fine del III al VI secolo

Poderosa cinta muraria torno a Roma +


Clima di incertezza Aureliano
Ricostruzione di un certo ordine nell’impero

Diocleziano Suddivide l’impero in quattro aree ciascuno della propria amministrazione

Potere gestito da quattro sovrani

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Tetrarchia 2 Augusti

2 Cesari
Affiancata da nuove capitali:
- Roma perde il primato amministrativo giuridico
- Diocleziano conservatore religioso perseguita i cristiani
- L’antica aristocrazia si sgretola
- Il potere in mano a pochissime famiglie

Editto di Milano Costantino sancisce la libertà di culto per i fedeli di ogni religione

Capitale spostata a Bisanzio (Costantinopoli)

FINO ALL'

Editto di Tessalonica Teodosio I , fa del cristianesimo la religione di Stato

Conseguente persecuzione dei pagani e proibizione dei santuari,


preghiere e soprattutto idolatria delle divinità pagane

Nel 402 l’imperatore Onorio trasferisce la propria corte da Milano a Ravenna, per proteggersi dalla
minaccia dei Visigoti

Sacco di Roma

Galla Placidia

Dopo alcuni anni di prigionia nelle mani dei Visigoti, ed alcuni matrimoni, prende in
mano le sorti dell’impero

Secondo saccheggio a Roma dai Vandali


476 - Viene deposto l’ultimo imperatore d’Occidente, Romolo Augusto e il potere passa ad Odoacre, re barbaro

Fine dell’impero romano d’Occidente

Dopo 10 anni

Teodorico, re degli Ostrogoti

Varca le Alpi e instaura un regno romano barbarico ma con una preservazione


del sistema amministrativo e legislativo dell’impero romano

In Oriente

A seguito della morte di Teodorico, Giustiniano si insedia come imperatore


.

Inizia così un’epoca d’oro per la storia dell’arte

- diverse costruzioni civili e religiose e promosse dall’imperatore


- riordinamento dell’insieme delle leggi

Giustiniano si trovo a dover fronteggiare anche diversi conflitti interni come la “Rivolta di Nika”

Le prime Architetture dell’Islam


-

Religione fondata da Maometto, fondata a Gerusalemme

I primi esempi di santuari musulmani


I tetrarchi

I tetrarchi, un esempio dell’arte tardo antica, situati nella Basilica di San Marco a
Venezia risalenti al III-IV, il gruppo in porfido rosso - materiale raro e difficile da
lavorare, tradizionalmente associato alla dignità istituzionale - oggi murato nella
facciata meridionale della basilica, rappresenta un vero manifesto del nuovo assetto
imperiale. A Venezia il gruppo giunse solo nel medioevo, starappati a Costantinopoli,
durante la quarta crociata come bottino. Recuperati esattamente dal monumento di
Philadelphion dove sono presenti due colonne con due coppie di tetrarchi
Venezia , Basilica di San Marco , Tetrarchi

I tetrarchi sono disposti a coppie: ciascuno dei due Augusti più anziani e autorevoli
(riconoscibili per via della barba), cinge il proprio Cesare in un abbraccio
cerimoniale . Tutti e 4 condividono l’espressione intensa e indossano lo stesso ^

abbigliamento militare, composto da corazza, mantello e compri capo pannonico. Nel


medesimo gesto i sovrani impugnano una lunga spada con l’elsa in forma di testa di
aquila, dispiegando all’unisono tutta la fermezza miltare di Roma

In queste sculture come in molta (forse tutta) la cultura tetrarchica sono riconoscibili 130
delle specifiche caratteristiche di essenzialità e di rottura con l’arte greca e romana,
il messaggio di unità delle società tetrarchiche, l’assenza di dettaglio e
l’accentuazione del senso di unità e solidità del nuovo assetto imperiale

Il gruppo oltre che essere posto come simbologia della tetrarchia stessa, è
considerato un opera fondamentale per comprendere le caratteristiche formali e
stilistiche dei manufatti tetrarchici 79 >

- Uno studioso guido Tiger definito indubbiamente la connotazione originaria purpurea


del porfido rosso, posizione legata al valore semantico della materia in questione.
- Un frammento (presente a Istambul, 1925) rappresentante parte di un piede e il
basamento su cui questo è poggiato, conferma la provenienza dell’opera
- inoltre è da sottolineare che le opere possono essere attribuite agli egizi poiché le
uniche cave di porfido rosso erano situate in quelle aree

La cura del paesaggio monumentale di Roma rimase una La Roma tardo antica era ormai un museo a
priorità per le figure che si approdarono il trono. cielo aperto, fatto di monumenti nuovi e antichi

Segnata ma non vinta dalle difficoltà politiche dai rovesci militari.

Anche lo stesso Costantino quando nel 357 visitò roma rimase colpito dalla quantità di meravigliose opere d’arte
Arte tardo antica

L’arte del periodo compreso tra la fine della dinastia dei Severi e l’avvento di Costantino, riflette cambiamenti radicali
nella concezione della regalità e nei modi della comunicazione pubblica, così come l’architettura, trasmettitrice di un
messaggio rassenerante di solidità e compattezza, ed anche senza dubbio l’imperatore, espressione della dimensione
sacrale ed eterna del proprio potere
Si recupera la cosiddetta “arte plebea”, dove la semplificazione complessiva e stilistica si traduce nella propensione di
sequenze ordinate di figure, volumi massicci e netti passaggi chiaroscurali
Il cuore politico dell’impero non guarda più esclusivamente Roma ma segue le migrazioni della corte imperiale, anche se
Roma mantiene il proprio ruolo di campitale ideale simbolica e monumentale, ineluttabile, tant’è che le terme più grandiose
di Roma, la basilica più imponente e l’arco più maestoso furono costruiti proprio in quest’epoca di incertezze

Paragone tra Marco Aurelio e Galerio


È evidente che le due statue tra loro si differenziano in quanto Marco
Aurelio si prospetta con un carattere descrittivo e realista ed barba
poeta e ben definita mentre nel ritratto dell’imperatore galerio di
origini tetrarchiche, vi è una tendenza all’attrazione espressa dalla
fissità dello sguardo, peraltro la barba a differenza della precedente
scultura, è corta e poco definita, accennata con dei punti

Paragone tra il busto di Commodo e Galerio

Anche tra il busto di Commodo ed il ritratto dell’imperatore sono


riconoscibili delle differenze, come quella che vede Commodo
intento nel farsi riconoscere come imperatore , in contrapposizione
al imperatore tetrarchiano che in età Costantiniana non sente più
la necessità di allusioni a divinità come copricapi o oggetti ritenuti
divini perchè egli stesso si immedesima nella divinità stessa

Arco di Galerio
Galerio stesso riuscì ad avvviare la costruzione di un grande palazzo di cui ora ci rimane solo un arco, la cui decorazione
classica scultorea è visibile nelle pareti basse dell’arco, che viste frontalmente presentano appunto un fregio che
commemora le vittorie contro i persiani di Galerio

Sono riconoscibili delle caratteristiche particolari, come la mancanza di incorniciature delle scene, e la presenza dei vinti
nella parte superiore mentre gli sconfitti bassa, ma anche il fatto che si tratta di un rilievo molto alto quasi una scultura
a tutto tondo. In questi 4 personaggi sono state riconosciute le figure dei tetrarchi, che si distaccano fortemente dalla
rappresentazione dei tetrarchi veneziani o dello stesso presumibile imperatore Galerio
Premessa
4
Le residenze degli imperatori e della potente classe senatoria riflettono i profondi cambiamenti politici e istituzionali che
attraversano questo periodo. Se in passato la dimora dell’imperatore dominava il centro monumentale di Roma o prendeva le forme
di una straordinaria villa a padiglioni nella campagna laziale, ora il palazzo si sposta lontano dalla capitale assume la fisionomia
della cittadella fortificata. Anche le vile dei ricchi proprietari terrieri si presentano in piccole città, autonomi nella produzione di
beni alimentari attrezzata svolgimento delle funzioni pubbliche del proprietario. (Quindi si ampliano e diventano più fornite)
/,

Palazzo di Diocleziano a Spalato

Il palazzo fatto costruire da Diocleziano nei primi anni del IV secolo d.C. sulla costa adriatica dell’Illiria (regione natale) è
uno dei più impressionanti monumenti della Tetrarchia. - Il palazzo è protetto da una poderosa cinta di mura, con torri
laterali su tutti i fronti, nel cuore della cittadina croata di spalato. Si tratta di una struttura ibrida, che fonde l’antico
modello della villa fortificata tardo repubblicana e quello degli accampamenti militari romani.
Il recinto delle mura, alto ben 18 m, era scandito da torri quadrangolari, agli angoli del perimetro e alla metà di ciascun
settore, e ottagonali in corrispondenza delle porte urbani che, solo sul lato meridionale, affacciato sul mare, le mura
lanciavano un posto alloggiato.

porta aurea - via di accesso porta ferrea - porta principale porta argentea - retro ? porta anea - porta fronte mare

Dalle quattro porte si dipartivano due strade perpendicolari, (sul modello delle fastose vie colonnate tipiche delle città
orientali). Intersecandosi al centro della cittadella, queste strade creavano quattro settori: i quartieri a nord, più lontani
dal mare articolato intorno a vasti cortili, che fornivano alloggio alla guarigione e al personale; le zone meridionali
destinate alla residenza imperiale alle attività di culto e rappresentanza; gli appartamenti di Diocleziano, posti nella fascia
prospiciente il mare; ed infine sul retro, il tempio di Giove il mausoleo ottagonale (poi diventata la cattedrale della città)
destinato ospitare il sarcofago dell’imperatore.

Le Terme di Diocleziano

L’intesa attività edilizia che investì Roma tra la fine del III e gli inizi del IV secolo d.C.
non riguardò solo l’apparato difensivo, infatti Dioclezaiano, salito al trono dopo la morte di
Aureliano, si dedicò alla costruzione del pià grandioso impianto termale mai esistito. Eretto
tra il 298 e il 306 il complesso occupava una superficie pari a ben 13 ettari, in una zona
di Roma densamente popolata, nei pressi dell’odierna stazione di Termini, da cui viene
proprio il nome.

Il cuore del complesso era la vasta sala del frigidarium, fulcro della consueta sequenza di natatio (piscina), a fianco al
quale, su un asse perpendicolare a quello del percorso termale, una sequenza di ambienti minori conduceva a due ampie
palestre. I resti di questo complesso sono visibili nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, realizzata da
Michelangelo sulle rovine delle terme (piazza della repubblica), oltre che nelle Grandi Aule a essa adiacenti oggi parte del
Museo Nazionale Romano.
Le nuove capitali

Tra il terzo e V secolo Roma perde gradualmente il proprio peso politico ma rimane capitale religiosa.

Con la tetrarchia di Diocleziano le sedi imperiali si erano moltiplicate e ognuno dei quattro sovrani aveva stabilito la
propria sede nel luogo più funzionale al controllo del territorio lui ha segnato,

Diocleziano (Augusto d’oriente) a Nicomedia, attuale Turchia Massimiano (Augusto d’Occidente) a Milano

Galerio (Cesare d’oriente) a Sirmione, oggi Serbia Costanzo cloro (Cesare d’Occidente) a Treviri in Germania

Nel corso della tarda antichità, gli imperatori scesero sempre più spesso di risiedere in città diversa da Roma è la capitale
dello Stato segui gli spostamenti della corte come d’altronde dice il principio secondo cui “dove l’imperatore, lì a Roma”

A Occidente Mediolanum (Milano) viene scelta come sede del tetrarca Massimiano nel 286

Destinata a rimanere il principale centro amministrativo

FINO

L’invasione dei Goti di Alarico nel 401

La corte si trasferisce a Ravenna, città con un eccellente posizione strategica, più vicino all’Oriente e meglio difendibile

La Mediolanum nel IV secolo fu ben collegata grandi centri dell’Europa settentrionale orientale come Treviri Aquileia i Simo,
ed un importante crocevia di uomini e merci e cultura
Crisi delle città e latifondo

Passaggio della tarda antichità segnato da un repentino calo demografico,


precarietà politico amministrativa

la diminuzione delle risorse economiche stato di guerra permanente


della manodopera disponibile

le comunità faticano ad assicurare la regolare


manutenzione di infrastrutture un tempo centrali nella
vita del mondo romano (strade, ponti e acquedotti)

Con la crisi delle città e lo spopolamento delle campagne si impongono quindi nelle mani di pochissimi individui
nuove strutture di gestione del territorio basate su una concentrazione della
proprietà agricole
latifondo

Nelle sontuose ville perfettamente attrezzate e circondate da vastissimi latifondi, i signori alternavano le proprie
funzioni pubbliche allo ozium (lasso di tempo, in cui non viene svolta nessuna attività utile), mentre una moltitudine di
collaboratori, assicurava la comunità la piena autosufficienza autosufficienza

Basilica di Massenzio
Una delle più imponenti tra le basiliche civili di Roma, iniziata da Massenzio nel 308 d.C. in un area
adiacente al foro Romano (poi completata dal successore Costantino) proprio come per le terme di VOLTE

1- Crociera
VOLTE A

Botte

Diocleziano l’enormità delle dimensioni si coniuga al rispetto della tipologia architettonica


tradizionale. L’interno è suddiviso il 3 navate da una fila di poderosi pilastri, la navata centrale, più
ampia e più alta (25 m di altezza e 35 m di lunghezza) era coperta da 3 volte a crociera e
terminava con un absid, destinata ad ospitare un’assenza tatua colossale di Massenzio. Anche le
navate laterali erano ripartite in 3 settori, comperati da volte a botte ornate da cassettoni ottagonali.

Il progetto originario prevedeva l’ingresso sul lato breve a est verso il Colosseo, sotto Costantino però si optò per
l’accesso a sud, verso la via Sacra e il Foro. Venne però mantenuta la tripartizione interna: in asse con l’entrata si apre
una seconda abside, al centro della navata settentrionale. Di questo edificio, sopravvive il solo scheletro della navata
settentrionale, una seconda abside. In origine la struttura era interamente rivestita di marmi, in parte provenienti da
edifici più antichi

Nel 312 Massenzio e Costantino combattono la Battaglia di Ponte Milvio, in cui ha la meglio Costantino, poi sovrano

La statua colossale di Costantino


Proprio nella basilica di Massenzio dominava la colossale testa dove si riconosce la figura di Costantino. Probabilmente si
tratta di una scultura rilavorata e che forse originariamente riproduceva il viso di un altro personaggio, forse lo stesso
Massenzio, sconfitto. La statua era stata realizzata con la tecnica dell’acrolito (dal greco “dalle estremità in pietra”); solo
la testa e le parti scoperte del corpo erano scolpite in marmo, mentre per il resto della figura erano utilizzati materiali
meno pregiati, come stucco e tessuti sostenuti da un intelatura in legno. Costantino era seduto in trono, con uno scettro
nella destra e il globo, simbolo di potere imperiale, nella sinistra. Il volto, dai tratti rigidi, è dominato da occhi enormi e
spalancati, con le pupille dilatate e rivolte verso l’alto. Lo sguardo intenso pare scruti un orizzonte lontano mentre la
mente è assorta in pensieri imperturbabili, nonostante l’apparente calma imperturbabile
L’Arco di Costantino
L’ultimo dei grandi archi onorari di Roma ed il più grande è sopravvissuto fino ai giorni nostri, l’arco di Costantino, eretto
appunto da Costantino, in memoria della vittoria conseguita nel 312 d.C. contro Massenzio a ponte Milvio, viene inaugurato
nel 315 d.C. con i suoi quasi 26 m di ampiezza 21 di altezza. I rilievi e le statue che decorano le facciate articolano un
ambizioso messaggio politico nel segno della continuità e del buon governo degli abili imperatori che l’hanno preceduto.

Nell’attico vi è un iscrizione, fatta incidere da Costantino, da cui abbiamo delle importanti testimonianze, che dice:

All'imperatore Cesare Flavio Costantino Massimo, Pio, Felice Augusto, il Senato e il popolo romano, poiché per ispirazione della divinità
e per la grandezza dello spirito con il suo esercito tanto dal tiranno quanto da ogni sua fazione allo stesso tempo vendicò con giuste
armi lo Stato, dedicarono un arco insigne per trionfi.

Quindi si tratta di un arco trionfale che gli dedica il senato, con una trascrizione - cod insictus divinitatus - con cui si
parla gia di una conversione di costantino al cristianesimo, in linea temporale con l’editto di costantino del 313 che
riconosce il Cristianesimo come religione di stato

L’arco è costituito da tre fornici, che al tempo rappresentava il punto di passaggio dei cortei trionfali, ha l’arcata centrale
di maggiore di ampiezza e larghezza rispetto a quelle laterali
Le colonne, sia quelle sulla facciata frontale e sul lato opposto sono elementi di reimpiegò della fine del II secolo, con
diverse decorazioni (foglie d’acanto caulicoli) tipiche dell’età romana, così come tutta la trabeazione costituita da grandi
ovoli e dentelli che vengono utilizzati come elementi di decoro dell’arco.

In questo schema vediamo, con colori diversi le aree riferite ad ogni


rispettivo imperatore romano tra Traiano, nelle statue dei Daci e nei rilievi
sui lati laterali superiori, Adriano, nei tondi sopra le arcate laterali, di
diametro di quasi 2 metri, Marco Aurelio, nelle formelle rettangolari a
coppie ai lati dell’iscrizione e riportano le gesta di Marco Aurelio, ed
infine Costantino, con appunto le decorazioni di età costantiniana

Nord e sud Est e ovest

Rilievi delle gesta di Traiano

Nell’arco vi sono diversi elementi sottratti a monumenti di grandi


imperatori del passato, e così le otto statue di prigionieri daci
che scandiscono l’attico, realizzati in pavonazzetto, (marmo con
venature violacee) provenienti probabilmente da un monumento
di Traiano, forse il suo stesso foro.

Sull’attico, i rilievi delle gesta di Traiano sui lati brevi dell’attico


si possono congiungere fra loro fino a formare una lunga linea
almeno 18 metri che rappresentano degli episodi delle campagne
di Traiano in dacia, che culminano con il rientro trionfale a Roma
dell’imperatore.

In un fregio vi è la figura di Traiano seduto in groppa al proprio cavallo metre


carica i daci
Mentre al lato opposto sono rappresentati i siniferi con il capo coperto da una
pelle felina, in cui Traiano irrompe - probabilmente brandendo una lancia (ora
perduta) - al galoppo contro la massa dei daci, rappresentati piegati alla forza
d’urto dell’esercito imperiale, con immagini anche dettagli cruenti come le teste
dei Daci decapitati

Le gesta di età traiana furono un imitazione di fatti classici romani, infatti vennero imitati personaggi principali tipo traiano.
Rilievi dell’età di Adriano

Sul fronte possiamo riconoscere 8 rilievi circolari, 4 su ogni fronte, (alti più
di 2 metri) murati in età costantiniana, in cui vi sono rappresentate le caccie
dell’imperatore Adriano, con scene di sacrificio agli dei pagani e di caccia al
leone, all’orso e al cinghiale

La precedente appartenenza a tale manufatto è sconosciuta anche se


sappiamo che è di età Adriana e ricostruito in età costantiniana la stessa
figura di Adriano infatti è stata trasformata in quella di Costantino in una
rilavorazione del volto ed el capo, su cui vi è per altro una leggera aureola,
che evidentemente gia in età neroniana viene utilizzata come prerogativa
dell’imperatore e lo identifica come di divinità che l’arte cristiana poi
trasformato in un simbolo di santità.

In questo particolare tondo dell’altezza di più di 2 metri, nel gretto di un


ruscello, pare che Adriano/Costantino bandisca una lancia con cui infilza un
cinghiale, rappresentato affianco a lui (nella visione priva di prospettiva, sotto
di lui). - ricostruzione filologica -

Adriano/Costantino quindi indossa delle forte bracche, una tunica, un mantello


posto sulle spalle e dietro di lui vi sono rappresentate due figure, forse Antino
ed un altro ancora non identificato.

Le caccie dell’imperatore Adriano, in diversi momenti dell’azione, riprendono ancora diversi motivi classici di tipo
sentimentale, racchiuso in un’ eleganza e misura muntano spesso in una rigida compostezza, individuabile appunto in questo
personaggio, infatti uno degli artisti che ha lavorato a questo manufatto sembra rivivere il mondo classico con un certo
distacco quasi malinconico

Attico
In un’analisi più approfondita dell’attico nell’arco di Costantino, nella facciata centrale riscontriamo che al centro vi è
l’iscrizione dedicatorie, fiancheggiata da due figure di barbari sottomessi, provenienti da un monumento di Traiano e da
quattro pannelli a rilievo dedicato in origine all’impresa di Marco Aurelio.

Rilievi delle gesta di Marco Aurelio

Sull’attico, invece, ai lati dell’iscrizioni dedicatorie che campeggiano su entrambe le facciate principali, sono murati otto
rilievi dedicati alle imprese di Marco Aurelio contro i Quadi e i Marcomanni, due tribù dell’Europa centrale.
I pannelli in particolare, da destra a sinistra, raffigurano:
- La resa di un capo barbaro a Marco Aurelio (clementia);
- La distribuzione dei doni al popolo (liberalitas);
- La partenza dell’imperatore (profectio);
- Il rientro dell’imperatore a Roma (adventus);

Particolare di uno dei rilievi, quello della partenza dell’imperatore da


Roma probabilmente per una campagna militare (profectio), in cui è
riconoscibile la figura di Aurelio nella figura in piedi, dietro cui vi è un
genio del senato e di fronte i Legionari che aspettano la partenza del
sovrano, ed in basso a destra invece è scolpito un personaggio che delinea
la personificazione delle strade di Roma.
Le espressioni stupefatte dei soldati, con gli occhi volti al cielo e le
bocche dischiuse, sono caratteristiche della ritrattistica romana del II sec
Risalenti invece all’eà costantiniana si possono individuare le decorazioni della
parte del fornice centrale, nei triangoli che occupano gli spazi di risulta
dell’ingresso, che vedono rappresentate una vittoria alata che regge in mano un
trofeo, con un cappello sulla punta, tipiche costantiniane. Poi sempre dedicate a
costantino in particolare sono i rilievi sui basamenti delle otto colonne dell’intero
arco, ed il lungo fregio sui fornici minori suddiviso in 6 diverse parti, con diverse
scene

Il lungo fregio al di sopra dei fornici minori

Tale fregio mette in scena gli episodi salienti della guerra combattuta da Costantino contro Massenzio, dalla partenza
dell’esercito da Milano, all’ingresso a Roma, fino al discorso dell’imperatore della tribuna dei Rostri nel Foro Romano e
l’elargizione di doni al popolo, segno tangibile della sua liberalità.
Lo stile è profondamente diverso dai rilievi recuperati dei monumenti del II secolo d.C. riflette una nuova sensibilità,
ormai lontana dalla ricerca naturalistica, con un estrema semplicità di impianto e alla resa delle singole figure.

Partenza dell’esercito Da Milano - Profectio - lato corto est

Costantino che vince l’esercito nemico capeggiato da Massenzio, entro a Milano nel 312
Si può osservare che le truppe stanno uscendo ordinatamente da una delle porte della città, a sinistra vi è un carro con i
rifornimenti dell’esercito (viveri e armi) su cui stanno seduti due ufficiali affiancati da veterani dotati di barba e berretto,

Da una delle porte della città, due ufficiali stanno seduti su un carro, a seguire vi sono dei veterani ed un dromedrario,
Ogni rappresentazione individua un particolare personaggio, e un particolare rango dell’esercito di Costantino
Più avanti vi sono un cavallo e un dromedario, probabilmente appartenuto alle truppe di Massenzio poi possiate a
Costantino
A destra si individuano invece dei militari romani, signifieri che portano i segni della Victoria e del sol invictus = gli ordini
impartiti da questi in maniera orale con delle lunghe trombe ricurve
Ancora sulla destra procedendo verso il centro vi sono altri militari
L’esercito di Costantino era formato soprattutto da truppe provenienti dalla Gallia
Si puo’ notare come lo scultore abbia cercato di non sovrapporre i personaggi realizzando una composizione “paratattica”,
ottenuta tramite una tecnica che consiste l’accostamento dei personaggi per leggere nel dettaglio e capire i semplici
accostamenti dei personaggi

Immagine manufatto
Conquista di Verona: - obsidio-

È riconoscibile nella terza figura da sinistra la figura di Costantino (statua acefala) che appoggia la mano sinistra su un
grande scudo ovale, poi vi posta in orizzontale vi è la rappresentazione della “vitttoria alata” che sovrasta i personaggi,
incoronando l’imperatore, attorniato dalle guardie mentre la città risulta ancora assediata
Al margine sinistro è individuabile un cavallo riconoscibile nel cavallo dell’imperatore, nella parte centrale vi sono le
truppe di soldati che assediano Verona
Nella parte soprastante nelle mura della città di Verona, si riconoscono i soldati sconfitti che cadono dalle mura, tra cui
uno che precipita
Un altro personaggio intanto aggira la città, a simboleggiare tutta l’esercito che aggira la città, vi è quindi una
semplificazione narrativa e ed efficacia comunicativa impressionante, in un immagine dell’imperatore incoronato dalla
vittoria mentre la città risulta ancora assediata
La rappresentazione risulta sempre paratattica, si evitano le sovrapposizioni, in una semplificazione narrativa dove i
personaggi vengono posti uno affianco all’altro.

Immagine manufatto

Costantino avanza su Roma battendo Massenzio nella battaglia di ponte milvio - proelium -

Nella scena, la la terza figura a sinistra vede la rappresentazione sebbene poco leggibile dell’imperatore Costantino sopra
una barca sul Tevere, da cui possiamo individuare abilmente prua e poppa. È evidente come viene raccontato un fatto
realmente accaduto. Alla destra dell’imperatore, in piedi, è raffigurata una Vittoria alata, in grave sotto di conservazione
Sulla sinistra invece vi è un personaggio con elmo increspato che sta a rappresentare la personificazione di Roma
In basso a sinistra giace un vecchio sdraiato che rappresenta la personificazione fiume Tevere
Durante battaglia contro le truppe di Massenzio, i vincitori sono in posizione predominante mentre i soldati di Massenzio
chiedono pietà
All’estrema destra si scorgono altri soldati di Massenzio che chiedono pietà alle truppe di Costantino, affianco a cui si sta
concludendo la battaglia e due soldati suonano la tromba e la corna mentre cantano vittoria
Anche in questo caso troviamo una composizione a file sovrapposte con i vincitori in alto e gli sconfitti in basso

Immagine manufatto
Ingresso di costantino a Roma

In tale raffigurazione vi è rappresentato Costantino nel suo ingresso a Roma, dalla porta flalminia, su una decorata
carrozza trainata da ben 4 cavalli, con indosso una preziosa tunica, dotata di mantello, mentre tiene nella mano sinistra un
rotolo. La mano destra insieme alla testa sono andate perdute. Il carro è guidato dalla vittoria alata, davanti all’imperatore
che si dirige verso roma, marciano i fanti con elmo crespato, lancia e scudo, che occupano buona parte dell’immagine

Immagine manufatto

Distribuzione del denaro al popolo - liberalitas -

In questa scena tornano la frontalità e la centralità dell’imperatore, (statua acefala), è infatti posto al centro ed in trono,
su un alto podio, con indosso un importante toga, con una lunga fascia, contabulata, la veste civile di un senatore, in una
posizione quindi, che lo avvicina alla divinità, mentre nella mano destra cinge una tavoletta e fa cadere delle monete sul
grembo di un senatore.
Questa raffigurazione, che era una consuetudine imperiale dell’elargizioni di denaro, e che costantino fece nel foro quando
assunse il consolato nel 313, quindi rappresenta un preciso momento storico della vita pubblica, fotografato in questi fregi.

Costantino sovrasta i dignitari, che come lui sono di dimensioni assai maggiori rispetto alla massa anonima del popolo, che
tende le mani in trepida attesa. In una serie di logge sopraelevate, i funzionari sovraintendono alla distribuzione dei doni.
Su un piano più alto, altri senatori, dalle loggia osservano la scena, ai cui lati più estremi, si individuano due inservienti
che reggono un cielo, per la santa figura dell’imperatore che si identifica con la divinità. Poi ci sono da una parte e
dall’altra bambini, uomini del popolo che salgono via via le loggia per raccogliere il denaro dai funzionari.
La rappresentazione è sempre paratattica, con un accentuata semplificazione delle figura, senza sovrapposizioni tra i
personaggi disposti in una rigida e frontale gerarchia, anche nelle dimensioni, dove l’imperatore teoricamente sarebbe
attorniato dai propri dignitari e di fronte alla massa di sudditi, la quale disposizione e ripetizione uno dietro l’altro è quella
che ha individuato l’arte plebea di questo dipinto.

y
I luoghi di fede

Inizialmente il culto cristiano è tacitamente tollerato o severamente represso

Le comunità si riuniscono in residenze private o in vasti cimiteri sotterranei, le catacombe

La promulgazione dell’Editto di Milano apre la strada alla

costruzione di monumentali edifici di culto specificicatamente cristiani

Alla committenza imperiale di Costantino si trovano le prime grandi basiliche di Roma

o
San Pietro
Siamo negli anni della nascita di Costantinopoli

Con Teodosio invece il cristianesimo diventa l’unica religione dell’impero, i riti pagani vengono proibiti i templi
demoliti ricavarne elementi architettonici da destinare alle chiese cristiane

Vengono interrotti i giochi olimpici ma continuano essere permessi giochi del circo, amati della popolazione

La nuova fede porta con sé un radicale cambiamento nella fisionomia dei luoghi di culto

I primi cristiani rifiutano la tipologia del tempio pagano legata alle ideologie dell’antica religione di Stato

accogliendo invece modelli privi di connotazione religiosa

L’editto di Milano porta a crearsi di due tipologie principali di basilica:

la forma basilicale per l’assemblea della comunità pianta centrale per i battisteri
La basilica cattedrale e cimiteriale
Il modello della basilica cristiana raggiunge una piena definizione nell’età di Costantino, dopo l’editto di Milan9, che
riconoscerà il cristianesimo come una religione di culto, cio darà l’avvio infatti, ad una a nuova fase di Costruzioni di
imponenti edifici di culto, chiamate “domus ecclesiale” (termine usato per identificare casa e comunità), commissionati dallo
stesso Costantino a Roma, per ospitare le comunità cristiane.

Domus Ecclesiae Dura Europos, sorta sulle rive dell’Eufrate (tra Siria e Iraq) poi distrutta e scomparsa fino alla sua
riscoperta negli anni 20, era una domus dove si riuniva probabilmente una comunità cristiana
I catecumeni (non battezzati) non potevano entrare nello spazio sacro (al centro) dove avveniva la liturgia.

A seconda della sua funzione la basilica può essere:


cattedrale, se a celebrarvi le funzioni vi è il vescovo, oppure cimiteriale, se è destinata alla commemorazione di santi e
martiri o testimoni della fede colpiti da persecuzioni.

La pianta più comune è quella longitudinale, secondo la tradizione della basilica civile romana. Si tratta di una vasta
aula rettangolare, con copertura a falde inclinate sorrette da travi, ovvero capriate. L’ambiente è ripartito nel senso della
lunghezza da due o più colonnati, che individuano tre o cinque navate. La navata centrale a dimensioni maggiori rispetto a
quelle laterali.

Nelle immagini che riproducono l’antica basilica di San Pietro, Eretta durante il pontificato di Silvestro I per inglobare
l’edicola che mancava la tomba dell’apostolo, è leggibile la struttura originale a cinque navate, separate da colonne
coperte da capriate a vista. Il punto focale dell’edificio e lo spazio al termine della navata centrale, semicircolare e dotato
di una copertura calotta, chiamata presbiterio, riservato a sacerdote, che vi officia il rito.

La pianta a croce latina è una (variante) di questa forma: sul corpo longitudinale a tre quarti nella lunghezza, finestra
perpendicolarmente braccio, che prende il nome di transetto. A Roma la pianta a croce latina fu sperimentata nella basilica
di San Giovanni Laterano (fatta costruire da Costantino di domani della battaglia di ponte Milvio).

Il braccio trasversale pur non costituendo un vero e proprio transetto, segna l’interruzione tra lo spazio della nuova per
quello dell’altare, punto focale dell’insieme. Il sistema di copertura, semplice e lineare, imprime uniformità lo spazio,
dominato dalla sola traiettoria che conduce dall’ingresso al luogo della celebrazione.

Un altro celebre esempio di basilica della pianta longitudinale a croce latina è la basilica di Santa Maria maggiore a
Roma, fatta costruire da Papa Sisto III circa un secolo dopo la basilica lateranense. Più raramente si impiega per le
basiliche la pianta centrale, in quanto prevede la disposizione di tutte le parti dell’edificio intorno a un centro.

La principale tipologia di pianta centrale invece è quella rotonda utilizzata non solo per la basilica ma anche per
l’architettura funeraria, come nel caso del mausoleo di Costantina, meglio conosciuto come mausoleo di Santa Costanza,
originariamente un sepolcro per la figlia di Costantino ed in seguito mutato in un battistero per l’adiacente basilica di
Sant’Agnese fuori dalle mura. La rotonda centrale coperta da una cupola poggiante su 12 colonne binate (Accoppiate),
intorno alle quali corre un deambulatorio, c’è un corridoio anulare.

Oltre alla rotonda per le basiliche si utilizzavano altre tipologie a pianta centrale, come quella croce greca, formata cioè
da una navata e un transetto di pari dimensioni che si intersecano in centro; oppure quella tetraconca, con quattro esedra
(struttura a pianta semicircolare) sui lati. L’esempio più noto di una chiesa a pianta tetra conca e la basilica di San Lorenzo
a Milano che, come vedremo, Fu edificata durante l’episcopato di Ambrogio.
L’immagine di Cristo

Sono state trovate delle traccie affrescate riferibili al culto cristiano, come, il “buon pastore” (personaggio che richiama ai
testi sacri in cui cristo si identifica), manufatto rimasto interrato per diversi secoli, dove si riconosce un personaggio
maschile, riconosciuto come Cristo, rappresentato come buon pastore, con un animale sulle spalle e un gregge che lo
segue, sul fondo due personaggi più piccoli che nascondono le budella e sono riconosciuti come Adamo ed Eva.

L'iconografia del Buon Pastore


affonda le radici nella tradizione classica, dove il motivo dell'uomo che porta un animale sulle spalle, detto moscoforo,
cioè “portatore di vitello"
Nel mondo ellenistico e soprattutto romano, le immagini di pastori e greggi evocavano una dimensione bucolica di serenità,
di distacco dalle preoccupazioni quotidiane e dal trambusto della città. Nell'incontro con la fede cristiana, questo soggetto
trova un riscontro nella celebre parabola della pecorella smarrita e nelle parole che il Vangelo di Giovanni attribuisce allo
stesso Gesù :

«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io
conosco il Padre; e offro la vita per le pecore»

Nasce così un'immagine che allude alla missione di Cristo come pastore di anime, vigile e sollecito nella cura della sua
Chiesa. Per l'immagine di Cristo si esplora una varietà di schemi, sia nella resa del corpo (un imberbe giovane divino,
oppure un uomo barbato come un filosofo), sia nella posa, non di rado desunti dal repertorio pagano.

Nelle catacombe cristiane di San Calisto a Roma, degli ambienti ipogei, sotterranei, scelti dalle comunità per la sepoltura
dei defunti (che riposavano in attesa del giudizio universale) sono state trovate varie rappresentazioni del cristo come
buon pastore, come la scultura a tutto tondo del buon pastore conservata nel museo pio Cristiano a Roma realizzata
appunto intorno al III - IV sec

Nella finissima statuetta del Museo Pio Cristiano, il Buon Pastore è un giovinetto
imberbe, dalla lunga chioma riccia, vestito di una tunica senza maniche che lascia
scoperta la spalla destra. Sulle sue spalle, l'agnello, mansueto, richiama il tema del
sacrificio, veicolo di salvezza e conquista della vita eterna. Una caratteristica
fondamentale per la scultura di questo tempo è l’utilizzo del trapano

Oltre al Buon Pastore, gode di notevole fortuna lo schema del Cristo Docente:
un maestro nell'atto di spiegare il contenuto della dottrina cristiana (la
catechesi). Un'altra raffinata statuetta oggi al Museo Nazionale Romano
raffigura Cristo assiso su un elaborato sedile con alto schienale e gambe
terminanti in zampe di leone 21. I riccioli voluminosi creano una fitta trama
di chiaroscuri intorno al viso liscio, dal modellato morbido.
Le labbra dischiuse e le pupille incise conferiscono al volto un' espressione
intensa e ispirata. Cristo regge un rotolo nella mano sinistra, mentre il braccio
destro è teso, nel gesto di rivolgersi a un pubblico di discepoli.
Battistero di San Giovanni (San Giovanni in laterano)

Inaugurata nel 318, ristrutturata nel 600, si compone di una struttura costituita
da un quadriportico e un nartecee da qui si accede all’interno della fabbrica,
con navata centrale e una doppia coppia di navate laterali, suddivise da una
serie di colonne chiamate setti divisori ed il corpo trasversale, il transetto che
suddivide la zona presbiterale (probabilmente edificato successivamente al 318)

Venne realizzato in soli 5 anni con delle soluzioni architettoniche piuttosto


semplici, sopratutto per la copertura
Le mura perimetrali non molto spesse quindi non potevano sorreggere forti
carichi (come volte a crociera o volte a botte), il cui carico era costituito da una
copertura lignea dotata di una serie di capriate, la cui struttura triangolare era
stabilizzata da una componente architettonico chiamato monaco

Spesso le navate erano decorate da vesti o pendagli, con decorazioni varie e che
potevano facilmente andare a fuoco a causa appunto dei tanti elementi presenti nelle
chiese del tempo, che potevano scatenare gli incendi come candele e celi
Annesso alla cattedrale vi era un battistero a pianta ottagonale in riferimento alla
resurrezione di cristo avvenuta proprio l’ottavo giorno (restauro sotto sisto VI sec)

L’architettura nel IV si manifesta nelle tombe monumentali, come nel mausoleo di elena (madre di costantino), dove
possiamo notare la tecnica edificatoria di matrice romana, ampio uso di laterizio e sopratutto per quanto riguarda la parte
sommitale che era la cupola si possono notare le tracce di queste grandi anfore che andavano a formare parte della
cupola

L’esegesi di questo manufatto con un forte richiamo ai motivi classici (ghirlande sopra) ha portato a ricondurlo
all’appartenenza di un personaggio della corte imperiale maschile
All’età costantiniana si puo’ ricondurre anche:

La Chiesa di Santa Costanza (mausoleo Costantiniano) figlia dell’imperatore costantino

Un altra tipologia di basilica, che a differenza delle basiliche cristiane dei primi secoli ha una copertura “basilica a cielo
aperto” basilica circiforme (a forma di circo) dalle dimensioni monumentali a cui era annesso il mausoleo
La pianta è centrale e con una struttura a doppio involucro con copertura a volte a botte che sulla volta anulare presenta
una decorazione che denota una grande abilità dai mosaicisti

Affresco chiesa di Santa Costanza

Cristo vestito come un sacerdote, con la grande crocie che lo definisce specificatamente come Cristo assiso in trono
ninbato nella figura del buon pastore, in questa composizione si evidenzia in forte radicamento degli artisti che
lavoravano nel mausoleo alla tradizione classica e naturalistica
Si cerca di riprodurre uno spazio tridimensionale grazie alla figura delle gregi/degli animanli alludendo ad un senso
intuitivo della prospettiva
Vi sono delle tessere musive Giustapposte in un lavoro che prevedeva il sovrapporsi di piu strati
Le tessere non venivano messe solo parallele all’intonachino ma anche inclinate per ottenere orristi i per riflettere
anche la luce in maniera funzionale al disegno, per dare un effetto visivo di statue che si trovano ad un certo livello di
altezza

ALcune sculture (crocifissi) lignee, venivano sistemate nella parte più alta dell’edificio (arco
trionfale della fabbrica)
- vediamone uno: Cristo vivo, occhi aperti ed apertura delle braccia fuori dai bracci delle croci
(erano molto grandi) procedimento molto probabilmente fatto non a caso, ma nell’intento di
“imbrogliare” l’occhio di chi guarda assecondando le variazioni prospettiche dell’occhio, si
trovavano infatti a diversi metri di altezza, ragion per cui la deformazione non era percepibile,
bensì risultavano normali (viste dal basso)
La grande abilità quindi sta proprio nel concepire e realizzare le opere per gli spazi e i modi in
cui dovevano essere esposte
L'iconografia cristiana
Catacombe e Necropoli
Nel corso del III secolo, quando la nuova fede è ancora clandestina, va formandosi un vero e proprio repertorio di
soggetti cristiani. Il luogo di elaborazione di questo linguaggio sono le catacombe, aree cimiteriali ipogee (cioè
sotterranee) destinate alla sepoltura di poche famiglie o intere comunità Infatti ritroviamo una testimonianza che
afferma che si procedeva adagio, un passo dietro l'altro, completamente avvolti nel buio.

Affreschi delle pareti ipogee


Nelle catacombe, lo spartito decorativo è semplice: le pareti, a fondo bianco, sono ripartite in settori da linee di diverso
colore e ravvivate da scenette dallo stile sommario, composte da figure rigidamente frontali, con uno scarso interesse per
i valori di volumetria e profondità. Dominano alcuni soggetti molto diffusi e immediatamente riconoscibili per i fedeli,
come l'Orante, un personaggio in preghiera con le mani levate, la Vergine Maria con il Bambino, o il Buon Pastore, al-
lusione a Cristo, guida e custode del gregge dei fedeli.

Il sarcofago di Giunio Basso


Scolpito nel 359 d.C. per un funzionario cristiano della capitale,
ospita su due registri dieci scene del Vecchio e del Nuovo Testamento,
inquadrate da colonne con scanalature a spirale. Nel registro
superiore vediamo, da sinistra, il Sacrificio di Isacco, la Cattura di
Pietro, la Consegna della Legge (in latino, la Traditio Legis, con Gesù
al centro, che porge un rotolo a Pietro e Paolo), la Cattura di Gesù,
il Giudizio di Pilato.

Sotto, compaiono da sinistra Giobbe sul Letamaio (personaggio simbolo di pazienza, che pur colpito da piaghe e allontanato
da casa non rinnega Dio), il Peccato Originale, Gesù che entra a Gerusalemme, Daniele tra i leoni, San Paolo condotto al
Supplizio. I temi dominanti sono il sacrificio, il riscatto dal peccato, il trionfo di Gesù e della sua Parola.

I mosaici parietali
Con l’affermazione del cristianesimo come religione vera e propria, vi è l’aumento della produzione statuaria di pregio
che produce un ovvia innovazione del linguaggio dell’arte cristiana. Quindi nei nuovi e sontuosi edifici di culto si
impongono sistemi decorativi che nell’immediatezza espressiva della pittura parietale, vanno in qualche modo a sostituire
simbologie complesse e materiali preziosi.
Solitamente le absidi dell prime basiliche cristiane erano impreziosite da ampi mosaici, legati alla tradizione ellenistica e
romana dei quadri a mosaico, con un largo uso di colori brillanti e della foglia d’oro.

Il battistero
Dal IV secolo in avanti si sviluppò anche, come edificio autonomo,
la tipologia architettonica del battistero, sede deputata al
sacramento del battesimo. Edificio a pianta centrale (circolare o
poligonale), coperto da una cupola e separato dal corpo principale
della chiesa. Al centro poi è collocata la vasca battesimale.

Per i battisteri è particolarmente diffusa inoltre la pianta


ottagonale, inaugurata nel battistero di San Giovanni Laterano.
Nella simbologia cristiana, L’ottagono ho del resto un significato
complesso radicata nella tradizione dell’antico testamento, che
allude al giorno della risurrezione e attraverso essa fa la
rigenerazione del mondo di Cristo
Basilica di Aquileia

Quindi, in un momento di transizione fondamentale per la produzione architettonica della committenza cristiana, il vescovo
Teodoro, dopo L’editto di Milano del 313 commisssiona una cattedrale (luogo dove risiede il vescovo) che può essere
considerata il monumento di passaggio della basilica ecclesia alla basilica attuale, di cui non rimangono solo alcune
ricostruzioni ma la cui struttura sappiamo che ha le seguenti caratteristiche

- Basilica doppia con battistero interposto


- Dimensioni monumentali
- grandi finestrate, per l’ingresso di tanta luce
- 2 blocchi
- fonte battesimale
- pavimento decorato con raffigurazione antropomorfe, zoomorfe
che riconducono alle prime forme cristiane
- fabbrica atta ad ospitare tanta gente
- Plutei - che dividono i fedeli dal sacerdote/vescovo
- area decorata con mosaici del testamento

- i plutei erano un recinto presbiteriano che divideva i civili dal


vescovo e dal resto del clero, l’area e decorata da mossici che
richiamano il vecchio testamento (momento di transizione)

La decorazione musiva affonda le radici nella tradizione romana e


si può facilmente leggere le storie del profeta Giona che vengono
riprodotte nel pavimento della zona presbiteriale

Decorazione musiva di Giona


posta sulla pavimentazione nella zona presbiterale, si possono
leggere le storie del poeta giona riprodotte nel pavimento
mosaicato della zona presbiterale dove vi sono raffigurate le scene
della disobbedienza di giona, buttato in mare e mangiato da una
balena

La decorazione musiva affonda le proprie radi ci nella tradizione


romana che prevede la realizzazione prima di tutto di un disegno
preparatorio e poi di almeno strati, almeno 2 strati di arriccio,
tenuti da chiodi e poi uno strato più raffinato con l’utilizzo di
polvere di marmo dove vengono applicate le tessere musive, prima
di cui viene realizzato un disegno preparatorio

Quindi cio’ che rimane della basilica di Aquileia sono solo un edificio con la pavimentazione musiva, gli alzati di una
fabbrica ormai diversa già romanica con una navata centrale che si chiude nella conca absidale laddove vi è il presbiterio
e le navate laterali
Nel IV sec Teodoresio di cesarea scrittore vescovo e consigliere di Costantino, registrava nella sua opera historia
ecclesiastica qui menzionata l’euforia dei cristiana quando Costantino emana l’editto di tolleranza
Basilica di San Lorenzo a Milano
Edificata tra l’ultimo decennio del IV e i primi del V secolo d.C. la
basilica sorgeva fuori dalla cinta muraria, non lontani
dall’anfiteatro, dal circo e dal palazzo imperiale.

La fabbrica è di pianta centrale, presenta una struttura a doppio


involucro trattenuta da 4 torrioni che contrastano le spinte della
cupola crollata nell’epoca medievale (303).

L’ingresso, riconducibile all’età moderna, è scandito da una fila di


maestose colonne ottenute da un precedente edificio, e che
portano ad un arioso cortile porticato che immette attraverso 3
portali, alla basilica vera e propria.

Il corpo principale del complesso è costituito da un aula tetraconca, in cui sui lati del quadrato di base si aprono
altrettante “conche” o esedre, scandite all’interno da 4 colonne più piccole.
Le colonne formano un corridorio interno, o deambulatorio e sono organizzate su due piani, così da ottenere un loggiato, in
cui l’alternanza si linee rette e curve crea vivi contrasti tra la zona luminosa centrale e la penombra dei corridoi.

Di fronte all’ingresso sull’aula s’innesta una cappella a croce greca iscritta entro un perimetero ottagonale.
L’esedra sud, sulla destra dell’ingrasso immette in un atrio che conduce in un edificio ottagonale coperto da una cupola
emisferica, oggi

Cappella di Sant’Aquilino, caratterizzata all’esterno, come la basilica,


da una sagoma austera e dei volumi compatti, che lasciano spazio,
all’interno, a superfici mosse e forti contrasti chiaroscurali. L’oro dei
mosaici poi, evidenzia gli effetti avvolgenti della luce, che attornia la
scena in che vede Cristo assiso tra i suoi discepoli, che si rivolge come un
filosofo ai suoi allievi, con la mano destra alzata ad attirare la loro
attenzione e quella sinistra V che invece reca il rotolo semiaperto che
contiene i sacri insegnamenti; ai suoi piedi infine è posato un contenitore
cilindrico con numerosi altri rotoli.

Il reimpiego dei materiali antichi


Il riuso di elementi architettonici, rilievi e statue di edifici più antichi è un tratto caratteristico del paesaggio tardoantico,
ed è utilizzato sia per una necessità imposta dalle continue distruzioni dell’impero, sia dalla minore accessibilità dei
materiali da costruzione, il cui trasporto era vietato.

Smantellare costruzioni in rovina e reimpiegarne gli elementi non è un operazione semplice, i Romani, essendo consapevoli
del valore che il paesaggio monumentale rivestisse nel definire e caratterizzare la città, fin dall’età repubblicana e con
una frequenza sempre maggiore, si fecero promotori di numerose leggi che regolavano l’uso degli spazi pubblici, il
restauro e l’uso degli spazi urbani, con leggi che col tempo divennero sempre più precise e restrittive, fino a
caratterizzare uno dei processi di trasformazione urbanistica che investì tutte le città dell’impero, con leggi non solo per
il divieto di alterare il paesaggio urbano, ma che impongono anche la manutenzione e il restauro dei monumenti in rovina.

Peraltro vi erano decisioni difficili da prendere a riguardo, come quali monumenti antichi salvare e quali destinare al
restauro, perchè non necessari: a questo si trovo la soluzione di utilizzare i monumenti destinati alla distruzione, come
quelli pagani, come edifici di culto disponibili per un corretto reimpiego in linea con la nuova fede e distaccamento da
quella vecchia
Chiesa di Santa Sabina
Commissionata da Papa celestino I intorno al 422 - 432, si tratta di una
basilica a pianta longitudinale, la cui copertura a cassettoni va a
sostituire la copertura originaria in capriate lignee, le 3 navate poi sono
divise dai setti divisori decorati con le vele, spazi di risulta tra i due archi
che connettono una colonna all’altra, colonne scanalate e rudentate
Sia nella conca absidale sia nella navata vi è un notevole utilizzo della
luce grazie alle grandi finestre, utilizzato in quanto, al tempo più
l’ambiente è illluminato più ha un rilievo per la cristianità e risulta
importante
In controfacciata vi è un iscrizione mosaicata dove viene riportata ai lati
la chiesa ebraica e la chiesa delle genti, la chiesa cristiana

Porta lignea di Santa sabina un importante testimonianza della produzione e


dell’intaglio del legno, di una delle poche porte lignee sopravvissute a causa della sua
poca reperibilità e mantenibiltà, essendo molto soggetto anche alle variazioni
climatiche e di umidità.
Realizzata in legno di cipresso (una delle poche) testimonianza importante, unica tra
le poche ancora esistenti. Quelli che sono i 24 pannelli realizzati nelle nude ante
della porta rinconosciamo scende dell’antico e nuovo testamento, vediamo che in
alcune di queste vi sono due bottegehe che lavorano e intagliano su questa porta,
una che richiama allo stile ellenistico romano ed un altra che rimanda alla cosiddetta
arte plebea, in una delle raffigurazioni troviamo una delle primissime
rappresentazioni della crocifissione di Gesù cristo. Da notare degli importanti aspetti,
la figura centrale di cristo risulta piu grande di quelle dei due ladroni crocifissi posti
ai suoi fianchi, quasi il doppio, ovvuiamente qui con una opposizione gerarchica ben
marcata, anche se però troviamo che tutti dotati di un perizoma che cinge i fianchi.
Siamo in un periodo in cui non rimangono molte testimoniaze di decorazioni musive di
età paleocristiana riconducibili alla committenza cristiana

Mosaico di Cristo in trono tra gli apostoli - Santa Pudenziana

Il mosaico nell'abside della Basilica di Santa Pudenziana,


commissionata da Innocenzo primo tra il 401 e 417 quindi
all'indomani del sacco dei barbari di Alarico, articola un complesso
messaggio di fede e potere, mettendo in scena le ambizioni
universali della Chiesa di Roma. Cristo, dalla lunga barba castana,
siede tra gli apostoli su un trono monumentale.
Il braccio destro è aperto, come ad abbracciare il gruppo dei suoi
discepoli. Il gesto della mano, con due dita tese, è quello della
benedizione o dell'eloquenza.

Rispettivamente alla destra e alla sinistra di Cristo vi sono Pietro e Paolo, incoronati di alloro da due figure femminili,
personificazioni di Ebraismo e Cristianesimo, raffigurate proprio come due Vittorie in un trionfo pagano. Sullo sfondo
campeggia la collina del Gölgota, dove ebbe luogo la Passione di Cristo, sormontata dalla croce e circondata dal paesaggio
architettonico di Gerusalemme. In cielo, tra le nubi, emergono i tetramorfi (simboli) dei quattro evangelisti durante l-
apocalisse: da sinistra, l'angelo (o uomo) di Matteo, il leone di Marco, il toro di Luca e l'aquila di Giovanni. La città di Dio, la
Gerusalemme celeste dai tetti d'oro, si sostituisce alla capitale degli uomini, Roma, ormai in declino: Cristo, in trono, ne è
l'imperatore, assistito dai suoi discepoli abbigliati come senatori.
Nella cura formale, nell'attenzione per i dettagli naturalistici e per la profondità, vi sono personaggi ed edifici disposti su
diversi piani e figure avvolte in voluminosi panneggi.
Le tessere musive sulla superficie sono sistemate con attenzione all’inclinazione perchè la luce si disponga omogeneamente
Questo ciclo musivo è di straordinaria importanza, non solo perchè risulta il piu antico in epoca cristiana ma anche
l’iconografia complessa e articolata richiama la cultura romano ellenistica radicata nell’urbe
Santa Maria Maggiore

La Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, voluta da papa Sisto III, intorno alla met’ del IV secolo,
ha un corpo longitudinale, suddiviso in tre navate da file di colonne di spoglio (provenienti da edifici di
epoca precedente) un transetto che taglia perpendicolarmente la zona del presbiterio.

La navata centrale fu decorata con pannelli a mosaico, che


come veri e propri quadri mettono in scena un lungo ciclo di
storie del Vecchio Testamento: sul lato sinistro corrono episodi
della vita dei patriarchi Abramo, Giacobbe e Isacco, sul lato
destro episodi dei profeti Mosè e Giosuè. Altrettanto fastosa è
la decorazione a mosaico del cosiddetto “arco trionfale", cioè il
grande arco che separa il transetto dalla navata centrale

È proprio dopo il concilio di Efeso del 431, quando Maria viene


riconosciuta come madre di dio che aumentano anche le
rappresentazioni della stessa in maniera più regale e con una
maggiore importanza:
come nei quattro registri, degli episodi dell'infanzia di Cristo, dove in alto a sinistra compare una duplice Annunciazione, a
Maria e a Giuseppe, dove la vergine viene rappresentata assisa in trono con abiti sontuosi proprio come una regina,
mentre tesse un velo di porpora destinato al tempio, la circondano alcuni angeli mentre su di lei vola una colomba, simbolo
dello Spirito Santo. Anche il promesso sposo Giuseppe, sulla destra della scena, riceve la notizia dell'imminente nascita
divina nei pressi della propria abitazione.

Sopra di loro, fitte nubi si tingono di riflessi infuocati. La narrazione prosegue con l'Adorazione dei Magi, la Presentazione
di Gesù al Tempio, la Strage degli Innocenti e la Fuga in Egitto. Al centro dell'arco troviamo il nome del pontefice, "Sisto
vescovo del popolo di Dio", sormontato da un tondo con il trono vuoto su cui Cristo prenderà posto alla fine dei tempi, nel
giorno del Giudizio. Accanto al trono vi sono i santi Pietro e Paolo e i simboli degli evangelisti.

Santo Stefano rotondo


Chiesa simpliciana a metà del V secolo, pianta centrale e che richiama
i modelli costantiniani ma con un clima classicheggiante individuabile
all’interno dentro la pianta centrale, nelle colonne ioniche, punta/bruta
trabeazione che unisce una colonna ad un altra (riferimenti con Santa
Maria maggiore)

In seguito all’espansione della città, avvenuta dopo essere diventaata


capitale, la maggior parte degli edifici vennero edificati più a nord
(Mausoleon di Galla Placidia e San Vitale) e ad est (Battistero degli
Ariani e Sant’Apolinare Nuovo) della città quadrata, in cui sorsero il
battistero e la cattedrale

Alcuni chilometri a sud della città invece si trovava la civilitas classis,


sede del porto, (indicata in un mosaico di Sant’Apollinare Nuovo) la cui
importanza è confermata in diversi edifici sacri
Il Mausoleo di Galla Placidia
Ravenna possiede oggi un notevole numero di edifici databili alla fase finale dell-impero romano d’Occidente, il primo tra
questi è sicuramente il Mausoleo di Galla Placidia, piccolo edificio cruciforme, che prende il nome dall’imperatrice, la
figura di maggior spicco della corte ravennate agli inizi del V secolo.

Il mausoleo arriva fino a noi abbastanza intatto, anche se sono scomparse diverse
altre opere commissionate dall’imperatrice. Il piccolo edificio a pianta cruciforme oggi
è isolato e una strada lo separa dalla chiesa di Santa Croce, (fondata anch’essa da
Galla Placidia) a cui originariamente era connessa tramite un nartecee/ardica.
Anche se saldato alla chiesa il mausoleo mantenne la propria autonomia come spazio
sacro, a cui tra l’altro probabilmente la principessa aveva pensato come il proprio
luogo di sepoltura, decisione che spiegherebbe la moltitudine di mosaici all’interno.

La struttura esternamente è sobria e disadorna, costituita da semplici mattoni in laterizio, con lesene e arcate cieche con
delle strette feritoie, sopra cui vi è una parte sopraelevata chiamata tiburio e anch’essa dotato di finestrelle che
consentono l’ingresso della luce. Questo caratteristica essenzialità sarà poi frequente anche nei successivi edifici sacri di
Ravenna, fortemente in contrasto con il fasto all’interno.

L’edificio si compone di una pianta a crociera greca quindi con i bracci della stessa lunghezza (tranne quello traverso che
si univa al nartece/abdica) sormontata da coperture a volte a botte
All’interno appare come uno spazio che rifulge di luce grazie all’utilizzo delle tessere musive policromate, tessere vitree
che consentono un maggiore riverbero della luce degli altri materiali
In particolare mentre la zona inferiore delle pareti è rivestita da pregiati marmi gialli , le lunette dei 4 bracci della
croce , le volte e la cupola sono interamente rivestite da mosaici a fondo blu. I sottoarchi e le volte sono rivestiti da una
serie di motivi decorativi, elaborate variazioni di forme vegetali e geometriche, molto raramente raffigurate nel mondo
antico

San Lorenzo si avvia al martirio


Nella lunetta di fronte all’ingresso vi è un affresco di San Lorenzo, con una
toga, che si dirige verso una graticola (lo strumento con cui viene
martirizzato) e dalla parte opposta un armadio che lascia intravedere in
prospettiva, i libri dei 4 vangeli. Vi sono delle scene anche nelle altre lunette,
sopra l’entrata è rappresentato Gesù, nelle vesti del buon pastore, con l’abito
delle cerimonie di corte, seduto tra alcune pecore. Nei bracci laterali invece,
entro ornati vegetali a foglie d-acanto, vi sono due cervi che si abbeverano.

Buon Pastore
Rappresentazione di Cristo assiso in una roccia attorniata dalle pecore con un
equilibrio compositiva che denota una grande abilita delle botteghe che hanno
lavorato in questo edificio, legate fortemente alla tradizione figurativa romano
ellenistica. In alto vi sono i 4 evangelisti rappresentati nei penagìchhi che
vanno a sostenere la cupa in forme tertramorfe. L’adorazione della croce poi
è ovviamente il fulcro centrale di tutta la decorazione

La decorazione del buon pastore, al di fuori della cornice ha sfondo blu su una sequenza di pattern (motivi decorativi
replicati che ricordano la forma dei cristalli di neve). L’ornamentazione tardoantica tendente all’astrazione, qui convive
con quella di tradizione classica, legata alle forme della natura

La lettura in chiave cristiana del mosaico è evidente, come il committente fortemente legato alla tradizione ellenistica,
dove ci sono dei richiami alla gestualità dei personaggi, come questo gesto della mano destra rivolta in alto verso lo
spettatore, che riprende il gesto degli imperatori o è nello’arco di costantino come il gesto dei generali romani simile a
quello di costantino nell’arco di costantino
San Giovanni Evangelista Pulvino

costruita per volontà di galla placidia, tra il 424 e il 434 nasce come ex voto del
padrone dei naviganti, propone l’impianto a due fasi edificatorie riconoscibili:
- l’impianto basilicale paleocristiano, in cui vi sono degli elementi propri
dell’architettura bizantina. Vi è poi quest’atrio porticato che si chiama nartecee
oppure questi elementi che potrebbero essere sagrestie chiamate pastoforie che
racchiudono la conca absidale.

Le caratteristiche che passano subito all’occhio sono sicuramente il materiale il


laterizio, fortemente praticato nella tradizione costruttiva romana. L’uso del
laterizio indica la zona di realizzazione, in quanto a Ravenna vi è una grande
disponibilità di pietre che da anche una connotazione mitologica all’edificio

L’edificio è a pianta basilicale con la navata centrale quasi il doppio di quelle laterali, suddivise da setti divisori
(costituiti da una serie colonne poste una dietro l’altra)
Dei particolari che possiamo sottolineare rispetto all’architettura ravennate ma che si ripresenteranno anche
nell’architettura che si innalzerà anche nei secoli successivi solo le caratteristiche finestre tipiche dell’architettura
paleocristiana dove la luce aveva un forte valore simbolico legato alla figura di cristo e di dio vengono ampiamente
utilizzate e inondano l’interno dell’edificio sacro liturgico, lo stesso discorso viene fatto nella conca absidale le cui
caratteristiche sono individuabili non sol in questi grandi finestroni suddivisi da una semplice colonna (ampio utilizzo della
luce) ma sopratutto nell’estradosso dell’abside (parte esterna) poligonale (non semicircolare come di norma)

Un altra evidente connotazione dell’architettura ravennate è l’ultilizzo di un nuovo elemento architettonico, in questo caso
posto sopra la colonna, il pulvino, un elemento architettonico che servirà a dare un forte slancio verso l’alto verticale delle
architetture, e che sarà poi presente nelle colonne che costituiscono il setto divisorio, innalzavate da questo elementerò
architettonico.

L’arte ravennate si farà innovatrice di molte decorazioni con l’utilizzo sia dell’intagloio della pietra con lo scalpello sia con
stucchi straordinari

Crollato l’Impero Romano d’Occidente, anche Teodorico, re degli Ostrogoti, scelse Ravenna come capitale, promuovendone
un’ intensa attività edilizia con costruzioni che nella struttura e nella decorazion, adottavano un linguaggio del tutto in
linea con la tradizione artistica tardoantica

Il Battistero degli Ariani

Il battistero ha una pianta ottagonale dotata di piccole absidiole, con


caratteristiche dell’architettura paleocristiana che si trascinano nella cultura
architettura tardoantica come il grande utilizzo della luce per accentuare il valore
simbolico tramandato dalla cultura pagana dai cristiani, e particolarmente
recepibile nella decorazione che si pone nell’intradosso della cupola illuminata da
queste grandi finestre dove è illustrata il battesimo di Gesù nel fiume giordano:

Nell’iconografia del mosaico, Giovanni battista battezza la figura di cristo immerso


nelle acque del fiume giornano, rappresentato nella sua persnificazione. Tutto in
torno alla scena centrale i 12 apostoli in toga stringono nelle mani una corona,
simbolo di vita eterna, ed eterna presenza di dio, ed il trionfo sulla morte
rappresentato anche dalla croce rappresentata sopra il trono

Battistero degli ortodossi

Annesso alla cattedrale ariana (la cattedrale di Santo Spirito), costruito dal
vescovo Orso e decorato su commissione del vescovo Leone. La pianta è
ottagonale con 4 absidiole, e la navata centrale è suddivisa da setti divisori

All’interno dell’intradosso della cupola (tondo centrale) troviamo una straordinaria


decorazione musiva, (legata agli schemi romano ellenistici) rappresentativa del
battesimo di Cristo, dove San Giovanni Battista battezza Cristo con lo spirito santo e la
personificazione del fiume giordano, in un tutt’uno che si lega alla tradizione romana,
(personificazione del Tevere nell’arco di Costantino) Gli apostoli sono divisi in questa
sorta di candelabri vegetali che nascono da foglie d’acanto. Tutta la raffigurazione è
arricchita da girali che decorano gli spazio di risulta di queste arcate che si spiegano
all’interno del battistero.
Staccata dal battistero, vi è poi una base campanaria a base circolare, realizzata con una tecnica comune tra architetti e
ingegneri che prevede di alleggerire le pareti man mano che si va verso l’alto. Questa torre campanaria è caratterizzata
da delle monofore, delle piccole finestre che consentono l’ingresso della luce all’interno del piccolo vano dove
presumibilmente vi è una scala che permette di salire fino a piano più alto

Il pulvino da cui parte un arcata a tutto sesto che consente la connessione tra una colonna e l’altra fino alla zona
presbiterale, fino alla conca absidale,
Va a coprire la mensa d’altare moderna anche se più antica costituita da 4 colonne che un tempo sostenevano una
copertura forse piramidale chiamata ciborio, un elemento architettonico di arredo liturgico, di cui però ci sono rimaste
soltanto le 4 colonne

Il distacco dalla tradizione classica e naturalistica ellenistico romana è riconoscibile anche osservando i dettagli di alcuni
capitelli, i cui esiti decorativi e formali come lo spigolo vivo in una tendenza all’astrazione, sono caratteristiche che ormai
verranno documentate anche in seguito

Alla decorazione Teodoriciana si sovrappone la decorazione Giustinianea, di fatto osservabile sopratutto dall’esame della
decorazione musiva apposta nel primo ordine di palette decorata,
l’Obelisco di Teodosio, un maestoso obelisco egizio, segno del rango imperiale della città e del suo controllo sulle risorse
del Mediterraneo; voluto in parallelo al circo di Roma, la stele si trova sulla spina dell’ippodromo, posta sopra un corpo
cubico decorato sulle quattro facce, su cui è riconoscibile l’arte plebea applicata a un monumento pubblico e imperiale.

Decorazione: è rappresentata la corte imperiale e lo stesso imperatore Teodosio che,


affiancato da figli e dignitari di corte, si affaccia dal catisma (la tribuna imperiale) pronto
ad offrire la corona al vincitore. Una balaustra lo separa dalla folla degli spettatori,
rappresentati come file di teste sovrapposte. La cerimonia è poi allietata da musicisti e
danzatori , relegati al registro inferiore. La rappresentazione è paratattica e l’imperatore
viene volutamente raffigurato con dimensioni maggiori rispetto agli altri personaggi.

La sezione inferiore del piedistallo ospita scene legate alla storia dell’obelisco, in cui
questo viene faticosamente eretto nell’ippodromo mentre il popolo si intrattiene con i
giochi, dalla sezione superiore, sopra, l’imperatore osserva lo spettacolo sullo sfondo
di un paesaggio urbano scandito da arcate.

Il linguaggio formale è molto simile a quello dei rilievi scolpiti per l'Arco di Costantino, basato sulla frontalità,
sull'organizzazione paratattica, cioè su una successione di figure lungo semplici file ordinate, oltre che su una rigida
gerarchia. I personaggi principali dominano l'immagine, a figura intera, mentre quelli secondari sono sistemati nei registri
inferiori o, addirittura, ridotti a una fila di generiche teste.

Il mausoleo di Teodorico

Si conclude l’età teodoriciana con la tomba monumentale di Teodorico, dedicato al


sarcofago del re degli ostrogoti, costituito in porfido. Un edificio ancora ben conservato,
situato poco fuori Ravenna, con un raffinato paramento in grandi blocchi di pietra
proveniente da cave della Dalmazia, disposto su due piani e a pianta decagonale,
centrale, che piano superiore, al centro ricava un spazio cruciforme (con i bracci della
stessa lunghezza) che viene illuminato da delle strettissime monofore, feritorie che si
allargano verso l’interno per consentire un ampio ingresso di luce.

Il Mausoleo, si differenzia non solo per la sua funzione di contenitore delle spoglie ma
anche per il materiale con il quale è realizzato, pietra bianca mistrea, usato solo per
questo monumento in questo periodo. (come anche i cocci squadrati)

La struttura e le tecniche costruttive sono fondamentalmente romane, l’unico elemento riferibile alle forme artistiche
Gote è il fregio “a tenaglia” posto sulla cornice, strettamente legata alla tradizione sia romana sia barbarica, che segue
tutta la circonferenza che sostiene la cupola monolitica, alta circa 9 metri, con una posa imprecisa che ha causato un
inclinazione recepibile dall’intradosso dello stesso.

Vi sono decorazioni nei 12 apostoli sistemati su questa decorazione ad angolo retto che pare una sorta di corona posta
sulla parte sommitale dell’edificio
Fenditura ampiamente visibile all’interno, con una penombra che ci consente di vedere il sarcofago di teoderico, su cui
sono tracciate delle forme che richiamano la tradizione romana, in porfido rosso
Sant’Apolinare Nuovo

Teodorico fece anche erigere una cappella di palazzo, oggi Sant’Apolinare


Nuovo. La chiesa, a pianta basilicale, conserva i mosaici del tempo di Teodorico
e dell’epoca della successiva riconquista bizantina.

Nella parte superiore della navata centrale, una serie di


scene tratte dai vangeli costituisce il più antico ciclo
monumentale con le storie di Gesù arrivato fino a noi,
dove troviamo alcune tra le più antiche attestazioni del
volto di Cristo con barba e capelli, immagine destinata a
imporsi definitivamente nell’arte a soggetto cristiano, ma
che convive anche con quella del giovane imberbe.

Più in basso all’inizio della navata, un mosaico mostra la reggia, palatium, come nell’iscrizione.
Ed un altro dalla parte opposta, descrive il porto e il centro abitato di Classe, insieme ai
simboli del potere politico, militare ed economico di Teodorico.

Dopo che i Goti vennero sconfitti dall’esercito bizantino, il mosaico con


palatium subì una modifica, data dalla distruzione delle figure di Teodorico e
dei suoi dignitari in piedi sotto le arcate del palazzo, sostitute da delle tende
bianche, tutto ciò’ è deducibile dalle piccole mani che ancora si scorgono sud
alcune colonnine della reggia, traccie che i mosaicisti lasciato in quanto ben
poco visibili dal basso

Vi sono delle tracce di personaggi cancellati che secondo una teoria potrebbero essere stati martiri diretti verso la figura
di Cristo assiso in trono attorniato da arcangeli, queste decorazioni musive
Un altra teoria di vergini che giungono verso la figura della vergine in trono che si dirigono verso il porto di classe, che si
trova dalla parte opposta, si tratta del porto di Ravenna che costeggiava sul mare adriatico
Sul porto di classe giravano le teorie dei santi martiri diretti verso il porto e le vergini verso il palazzo imperiale
È importante osservare comes ancora una volta la traduzione figurativa t’andrò romana/ paleocristiana dove l’imperatore si
identificava con la divinità ed in particolare con le caratteristiche fisionomiche e ben definite
Nel IV secolo, durante il regno giustinianeo, a Ravenna vi è la realizzazione di nuovi edifici: tra cui

La Basilica di San Vitale

Realizzata in seguito alla morte di Teodorico, e poco prima della riconquista


giustinianea di Ravenna, tra il 540 e il 560, commissionata dal vescovo
Ecclesio. in cui si ricorse all’uso di mattoni lunghi e stretti legati da uno
strato di calce, una tecnica edilizia sopratutto orientale.
L’edificio, a pianta ottagonale è preceduto da un lungo atrio, un nartecee,
appoggiato a uno degli angoli del poligono, realizzato nel tentativo di ricavare
lo spazio tra il nartecee e il corpo della chiesa , due piccole torri che
contengono le scale per salire ai matronei. La struttura è a doppio involucro
con un deambulatorio che consente il camminamento attorno al nucleo
centrale, posto come nucleo generatore della struttura costituita da grandi esedre
(diaframma che consentono l’ingresso della luce e la dilatazione dello spazio).

L’interno, come accade negli edifici a pianta centrica, suggerisce una pluralità di punti di vista,
accentuata dalla presenza di due accessi possibili all’interno dell’edificio sacro, uno a nord, ed uno
più a sud, che rendono appunto percezioni diverse della stessa fabbrica.

L’ingresso a nord fa percepire lo spazio come uno spazio basilicale la cui direttrice conduce alla zona più importante
dell’edificio, la conca absidale, mentre quello a su, superata L’ardica si ha una percezione di uno spazio a pianta centrale e
molto dilatato, la cui percezione è favorita dalle grandi esedre, così come gli ambienti che si sperimentano negli edifici
giustinianei (come la fase di San Salvatore in cova o San Sergio e Bacco) osservando dai matronei verso la conca absidale
è apprezzabile l’opulenza decorativa nella tecnica a mosaico di diverse botteghe notevolmente abili.
A comporre uno spazio animato e multiforme sono, la luce proveniente dalla cupola in alto, il rivestimento di marmi delle
venature colorate sulle pareti, gli stucchi di volte e sottoarchi le transenne trasformate e i mosaici ovviamente.

I capitelli del periodo di costantino invece, sono caratterizzati dal raffinatissimo traforo
che ricorda un tessuto lavorato a merletto ed è la conferma di una visione artistica
che predilige la bidimensionalità e la leggerezza delle forme, quasi a voler annullare la
consistenza del marmo, in un totale distacco dal naturalismo e tendenza all’astrazione
(comune in età placidiana). Nei dettagli dei capitelli si puo’ individuare la tecnica della
policromia e l’utilizzo della decorazione a stucco policromata, alcuni di questi capitelli e
materiali provengono direttamente da Costantinopoli, l’attuale Istambul.

I mosaici
Tutte le pareti attorno all'altare, la volta sovrastante e l'abside sono rivestite di mosaici 27: i colori squillanti e
l'abbondanza dei motivi decorativi servivano a suggerire al fedele di allora un ambiente paradisiaco; nel frattempo, un
organico programma iconografico connetteva l'Antico Testamento e i Vangeli, la vita ecclesiastica ravennate e il potere
imperiale. I mosaici accanto all'altare si incentrano infatti su scene di sacrificio dell'Antico Testamento: l'ospitalità di
Abramo e il sacrificio di Isacco da un lato, i sacrifici di Abele e Melchisedec dall'altro. La morte di Gesù, commemorata
sull'altare, veniva così identificata con il sacrificio per eccellenza e si inseriva nella lunga sequenza di offerte sacre
tributate a Dio dall'inizio della storia dell'umanità.

Nella conca absidale, il martire a cui è dedicata la chiesa, viene presentato da


un angelo a Gesù, il quale, giovanile e imberbe, siede su un globo azzurro
rappresentante l'universo; dalle rocce più sotto escono i quattro fiumi del
Paradiso descritti nella Genesi, il primo libro della Bibbia. Gesù allunga la
mano per consegnare a san Vitale una corona: è un simbolo della vita eterna,
come aveva scritto san Paolo nella Seconda lettera a Timoteo. A destra, un
altro angelo presenta a Gesù Ecclesio, che era il vescovo in carica all'inizio
dei lavori e che per questo tiene in mano una chiesa in miniatura, come
segno di offerta a Dio.
Affresco Giustiniano

Nel riquadro con l'imperatore vediamo a sinistra cinque soldati della “guardia del corpo” - ben visibile il monogramma
di Cristo (crísmon) sui loro scudi -

Procedendo verso destra, due dignitari che indossano una clamide bianca
e bruna (mantello lungo fino ai piedi), al centro poi Giustiniano in uno
sfarzoso abito da cerimonia con una grande coppa d'oro nelle mani, forse
un dono che porta all’altare; il diadema, la fibula sulla spalla e persino i
calzari sono trapunti di gemme
Come accade anche per l'immagine della moglie, il cerchio dorato che fa
da contorno alla testa dell'imperatore è un motivo glorificante che era
già stato adottato per gli imperatori e nel Medioevo diventerà attributo
tipico dei santi ("nimbo" o "aureola").

Accanto a Giustiniano c'è un altro dignitario, e a seguire tre membri del clero: tra cui spicca il vescovo Massimiano, l'unico
indicato da un iscrizione in quanto primo a Ravenna a fregiarsi del titolo di arcivescovo, che lo innalzava quasi al rango dei
papi; guindi un diacono che tiene in mano un libro dei Vangeli con la copertina rivestita di gemme e un altro diacono che
regge il turibolo in cui veniva bruciato l'incenso (un profumo che da secoli si usa nelle cerimonie delle chiese cristiane)

Affresco Teodora

Dalla parte opposta, sempre parte della corte imperiale, seguita da sette
dame riccamente vestite al suo seguito, vi è Teodora, moglie
dell’imperatore, che ha sul capo il camaleuco, un copricapo a forma di
cesta con gioielli e perle per trattenere in modo ordinato i capelli in una
tipica acconciatura, affiancata dai lunghi orecchini, replicati
nell’iconografia bizantina, e parte del paramento, anch’ella porta in
mano dei doni ed è diretta verso l’uscita del luogo sacro.
Questo corteo, che ha perso oramai nella sua rappresentazione quelle
che sono le caratteristiche naturalistiche, replica quelle che sono le
processioni sacre

Sul manto sono ricamate le figure dei Magi in un evidente parallelismo: come i re Magi in corteo offrirono doni a Gesù
bambino, così fanno ora, in un nuovo corteo, i due imperatori. Infatti Teodora ha in mano un calice tempestato di gemme e
sembra dirigersi verso due dignitari, uno dei quali sta scostando una tenda.
Proprio questo gesto, come la direzione delle braccia di Teodora, indica che il gruppo si sta muovendo; la presenza della
fontanella rende certi che i dieci personaggi non sono ancora in chiesa ma nell'atrio antistante.

I due mosaici mostrano dunque la doppia processione che, nella liturgia bizantina del tempo, costituiva il cosiddetto "Primo
Ingresso": i fedeli entravano in chiesa seguendo solennemente i sacerdoti con il libro sacro e a questo punto iniziava la
messa.
La singolarità di questi due mosaici non sta quindi nel soggetto, del tutto coerente con il cerimoniale dell'epoca, ma nel
fatto che gli artisti hanno voluto descrivere una processione quasi disinteressandosi dell'effetto di movimento: i
personaggi, che peraltro paiono sospesi in aria sono girati verso lo spettatore e, fissandolo, gli comunicano il proprio grado
attraverso gli abiti, i volti, la rispettiva posizione nell'ordine del corteo. In questo spettacolo del potere diventa
secondaria la descrizione dei dettagli e persino la rappresentazione dello spazio: siamo solo noi, abituati alla resa
prospettica dal Quattrocento in poi, ad avvertire come “sbagliate" le figure che sembrano pestarsi i piedi una con l'altra.

Il meccanismo reale della processione nella propria importanza è sovrastato dalla grandissima attenzione data invece dai
mosaicisti ai volti dell'imperatore e dei personaggi che lo circondano: raramente possiamo osservare ritratti di questa
intensità tra l'età tardoantica e il Medioevo. Questi mosaici ravennati, che forse ci sembrano lontani dall'attuale gusto
artistico, hanno esercitato un notevole fascino sulla cultura del 900
Sant’Apollinare in Classe
Poco a sud di Ravenna sorge la Basilica di Sant'Apollinare in Classe, consacrata dal vescovo Massimiano nel 549, con una
lunghezza di ben 55,5 metri, preceduta da un atrio e costruita con i mattoni stretti e lunghi che lulianus argentarius
(usati anche per San Vitale). I setti divisori che spartiscono le navate godono di una decorazione oramai distaccata dalla
tradizione ellenistico romana e il naturalismo è praticamente impercettibile se non in una lieve tendenza (nelle foglie
metalliche che si avvicinano all’astrazione)
Accanto alla chiesa sorge il campanile cilindrico, realizzato forse nel X secolo con mattoni in gran parte di reimpiego.
Come per altre torri campanarie medievali. la dimensione delle aperture aumenta man mano che si sale verso l'alto sia
per alleggerire il peso delle strutture, sia per offrire meno resistenza ai venti. All'interno, la navata maggiore è larga il
doppio delle due laterali, con 24 colonne di marmo greco dalle grandi venature grigio azzurre; i capitelli, dello stesso
materiale, hanno foglie d'acanto mosse e ripiegate su se stesse. Anche i capitelli giunsero a Ravenna dalle cave in Asia
Minore già lavorati e decorati, come accadde per altri edifici sacri della città e come dovette essere pratica abituale nel
VI secolo. La conca absidale viene affiancata dagli ambienti chiamati pastoforia che hanno una connessione diretta con la
zona dell’abside.

All’interno della navata centrale domina il mosaico realizzato attorno


alla zona all'altare, nel catino absidale, dove troviamo due scene
contigue, ma ben distinte: in basso sant'Apollinare è raffigurato in
piedi, vestito degli abiti sacerdotali e nell'atto di pregare con le
braccia aperte, come si faceva nel mondo pagano e nella prima Età
cristiana. Si dirigono verso di lui da una parte e dall'altra, dodici
pecorelle, simbolo dei fedeli affidati al vescovo come a un pastore.

Il prato verde e fiorito in cui si trovano le pecore prosegue alle spalle del santo vescovo e fa da sfondo alla scena della
Trasfigurazione, narrata nei Vangeli, in cui Pietro, Giacomo e Giovanni, qui simboleggiati da tre pecorelle, accompagnano
Gesù su un monte, dove accade un evento miracoloso: Gesù muta il proprio aspetto in una risplendendo di luce, in questo
modo si introduceva un particolare assente nel passo evangelico (la croce), ma del tutto coerente con la celebrazione della
morte di Gesù a cui erano destinati l'altare sottostante e l'area del presbiterio.
I mosaicisti hanno raccordato la scena evangelica e la celebrazione del vescovo Apollinare adottando uno stesso linguaggio
fortemente simbolico, pur mantenendo la continuità del paesaggio, costituito da giardini rocciosi, alberi, cespugli e fiori,
estremamente precisi e accurati nei dettagli, uno per uno.

Infine poi vi sono Mosè e Elia agli estremi opposti della croce gemmata che trionfa sulla morte attorniata da canmpitura
di stelle su sfondo blu.

L’impero di Giustiniano coincideva dal punto di vista geografico con tutti i territori dominati dall’ ecumene cristiano.

Monastero di Santa Caterina del Sinai


Di fondazione costantiniana ma successivi interventi in età giustinianea, si conservano importanti testimonianze artistiche
come l’icona di cristo: realizzata ad encausto, una delle poche testimonianze di questa tipologia di manufatti giunti a noi.
Questi sono conservati anche nella chiesa di Santa Maria Antiqua a Roma.
Costantinopoli viene inaugurata come nuova capitale dell’impero bizantino nel 330. Tra il VI e VII secolo si può parlare di
periodo paleo bizantino (dalla fondazione della città fino all’epoca giustinianea): si può dire che sia un periodo di
decadenza rispetto alla produzione e le commissioni di Giustiniano del VII secolo.
Nell’ VIII secolo la produzione artistica conosce un vero e proprio periodo di crisi legato all’ iconoclastia: forte condanna
alle immagini sacre giudicate come idolatre
Tra IX e XII secolo possiamo parlare di periodo medio bizantino. Nel 1204 con la quarta crociata la Città di Costantinopoli
viene devastata e vengono razziati una serie di edifici e opere d’arte.
Il periodo tardo bizantino è riconducibile tra il XIII e XV secolo.
Costantinopoli in una posizione strategica per il controllo dei traffici tra Oriente e Occidente. Si può parlare di una città
che cresce su sé stessa con stratificazioni storiche che hanno condizionato l’architettura. In età costantiniana la città
vede un importante sviluppo verso l’interno.
Apostoleion
La chiesa dedicata ai santi apostoli dove Costantino si identificava come tredicesimo apostolo.
L’edificio non è ricostruibile se non dalle fonti, andato distrutto in età
ottomana. Quello di cui oggi si può avere una ricostruzione è l’edificio di
età giustinianea. Pianta a croce greca, all’incrocio dei bracci e nelle
testate vediamo la presenza di cupole emisferiche. Oggi possono essere
apprezzate ancora integre, dopo una serie di restauri, le mura della
città: sono dotate di un sistema di fortificazione piuttosto complesso, con
torri a terra. L’ingresso principale era la porta d’oro che dava sulla via
Egnazia (conduceva da Oriente a Occidente). La maggior parte
dell’architettura vede l’uso del laterizio..

Acquedotto romano costruito da Valente


La città ha problemi di approvvigionamento idrico, per questo vengono costruite una serie di cisterne. L’acquedotto in
questione vede il riutilizzo delle colonne, soprattutto dei capitelli con le teste di medusa.
Il grande palazzo dotato di un ippodromo dotato di un carceres (la partenza), una spina e la curva. Questo era un luogo
dove si presentava l’imperatore al popolo.
Di quest’area palaziale rimane ben poco, dei mosaici ora musealizzati.
Nella zona che suddivide la pista dallo stesso circo vi sono una serie di colonne e monumenti.

Tripode delfico
Portato nel 324 a Costantinopoli. Probabilmente aveva un braciere nella parte soprastante sorretto da tre teste
serpentine, bronzeo.
L’ippodromo era attaccato all’area del palazzo imperiale il cui accesso avveniva dalla porta chalke:

Palazzo imperiale: si conserva pochissimo solo dei mosaici musealizzati realizzati nel peristilio di quest’ambiente.
Rappresentazioni figurative che sono state ricondotte all’età giustinianea; posizioni critiche le vedono collocate in un
periodo successivo o precedente.
Tessitura musiva pavimentale che si ispira a modelli ellenistici classici con il coinvolgimento di 12 botteghe che hanno
lavorato su questo manufatto. Scene riferite al gioco, animali mitologici. Il paino di fondo realizzato con la tecnica a pelte
(ventagli che si sovrappongono).
Vicino al palazzo imperiale si trova la chiesa di santa Sofia di epoca giustinianea.

Chiesa dedicata ai santi Sergio e Bacco


Fabbrica a doppio involucro a pianta centrale, il nucleo dilatato dalle esedre. Edificio sormontato da
una cupola emisferica. All’interno matronei e il deambulatorio che percorre tutta l’area
perimetrale. Materiale utilizzato: laterizio
L’arte bizantina e la fioritura dell’arte o islamica

Santa Sofia a Costantinopoli

Vi sono 3 fasi principali della chiesa di Santa Sofia:


- la prima vede la realizzazione della chiesa più antica, ad inizio
V secolo, distrutta dalla “rivolta di Nika” nel 532 e ricostruita
nello stessso anno da Giustiniano, con protagonisti Isidoro di
Mileto, il Vecchio ed il matematico e scienziato Antemio di Tralles,
autore di un trattato con un capitolo dedicato agli specchi, prova
delle sue abili capacità nel rendere la luce protagonista, in questa
fabbrica soprattutto.
Tale ricostruzione venne conclusa in soli 5 anni, una rapidità molto probabilmente all’origine
dell’irregolarità e disomogeneità nella struttura dell’edificio e probabilmente anche nella debolezza
della cupola che infatti crollo nel 558;

- La cui ricostruzione (seconda fase) spettò questa volta ad Isidoro il Giovane, che ne modificò il profilo alzandola di circa
6 metri, con cui si ottenne una cupola che esternamente appare come elemento dominante di tutto l’edificio e visibilmente
sostenuto dal resto della massiccia struttura circostante.
Tale compito di sostenimento è affidato sopratutto ai quattro enormi pilastri che occupano lo spazio centrale del
rettangolo, costituente il perimetro della chiesa.

In seguito alla conquista da parte dei turchi nel 1453, (terza fase) la Chiesa venne trasformata in moschea, quindi i
mosaici vennero ricoperti da intonaci e sulle pareti furono collocati quattro enormi scudi con versi del Corano

La basilica, di pianta centrale affiancata da due navate laterali di dimensioni ridotte, è dotata di quadriportico con due
spazi diaframma, il nartecee e l’endonartecee, sopra cui vi è una conca centrale con una grande esedra.
Inoltre è anche provvista di un propileo (scala monumentale). L’estradosso delle absidi è poligonale (caratteristica tipica
dell’architettura ravennate)
Nell’architrave si riconoscono le pecore che richiamano quel tipo di decorazione legata all’immagine dei 12 apostoli.

Riguardo poi agli effetti visivi, partendo dal presupposto che il peso della cupola è sorretto da pilastri costruiti in pietra
e non in mattoni, si ha l’impressione che lo sforzo sia compiuto dai pennacchi - triangoli curvilinei che alla base della
cupola vanno assottigliandosi verso il basso - dando l’effetto della cupola sospesa in aria

I 4 grandi pilastri su cui poggi la cupola sono collegati tra loro con il resto dell’edificio da un elaborato sistema di
colonnati esedre e volte, facendo così che lo spazio interno più unitario sotto la cupola vada a scomporsi e complicarsi
man mano che ci si allontana da esso, e da cui suoi portiere una visione che - come nota lo scrittore Procopio di Cesarea
- muta di continuo ed Einaudi un armonia talmente vasta e avrai ci si perde e non si riesce ad avere una visione unica e
focalizzare lo sguardo sui dettagli . Questo affascinante effetto id instabilità viene accentuato anche dalla luce e dalle
sue direzioni, che vibra sulle superfici multicolore di mosaici e materiali d’arredo vari come sul verde del marmo
serpentino della Tessaglia usato per le colonne della navata, sul rosso del porfido delle colonne nelle esedre, o ancora sulle
sfumature grigio/azzurre
La cupola della Roccia a Gerusalemme

La cupola della roccia è il primo edificio sorto sulla Spinata per


iniziativa del califfo degli Omàyyadi, un edificio a pianta centrale
che , nonostante le trasformazioni subite nei secoli, conserva ancora
la struttura originaria. Una cupola sovrasta il rilievo roccioso, sacro
per gli ebrei, cristiani e musulmani; luogo del sacrificio di Abramo e
anch edell’ascesa al cielo di Maometto
La cupola poggia su una serie di pilastri alternati a 3 colonne; segue
poi un ambulacro a pianta ottagonale a sua volta costituito da pilastri
e coppie di colonne. Il ricorso all’ottagono e alla cupola è la prova
che i modelli di riferimento furono quelli tardoantichi/bizantini

Con ogni probabilità gli artisti dei mosaici interni all’edificio provenivano da Costantinopoli, considerata l’iconografia e lo
stile dei mosaici all’interno dell’edificio, che vedono uno sfondo totalmente d’oro su cui si sviluppano elaborati di tipo
vegetale su cui si innestano corone, gioielli e scritte coronariche

L’interpretazione dell’antico testamento favorisce la corrente iconoclasta e questo rappresenta un problema per la
conservazione di molte immagini. Solo con il secondo concilio di Nicea 787 si consente nuovamente di rappresentare
immagini sacre. In questi decenni andate distrutte tantissime opere d’arte. Si conservano in luoghi come il monastero di
santa Caterina del Sinai e a Roma dove la corrente iconoclasta trova un’opposizione e una resistenza.
Tra VI e VIII secolo a Roma giungono una serie di funzionari, ufficiai, religiosi che provengono sia da Costantinopoli che
da altri luoghi dell’impero di cultura greco-bizantina, di conseguenza la città si trova condizionata per quanto riguarda la
produzione delle opere d’arte.

Chiesa di santi Cosma e Damiano


Tra 526-530: un esempio di rappresentazione feliciana→papa Felice VI.
Roma ha un carattere conservatore nella sua produzione artistica: la tradizione del mosaico che passa dalla decorazione
musiva pavimentale, alla parete, alla decorazione della conca absidale.
Rappresentazione complessa e articolata: alla base si riconoscono delle pecore (riferibili all’immagine dei santi apostoli), le
figure dei due martiri che vengono presentati da due personaggi vestiti di bianco, Pietro e Paolo e la figura del
committente→il suo riconoscimento è dato dal fatto che la figura dona il modellino dell’edificio che lui stesso commissiona;
sulla destra si riconosce san Teodoro. La figura di cristo rappresentata in modo diverso rispetto alla tradizione classica e la
rappresentazione del fiume giordano le cui sponde si riconoscono le foglie di palma.

Chiesa sant’Agnese
Sotto papa Onorio I, anche in questo caso il committente ha in mano un modellino dell’edificio (costante iconografica) e
sant’Agnese vestita come una basilissa, con vesti ricoperte di gemme riferibili alle vesti costantinopolitane. Distacco dal
naturalismo.
Santa Maria Antiqua
A causa dello spopolamento di Roma e del progressivo abbandono dei templi pagani, nel 609 uno dei più importanti templi
della Roma imperiale, il Pantheon, viene trasformato in chiesa cristiana, chiamata da li in poi Santa Maria ad Martyres. Il
fenomeno della cristianizzazione dei templi pagani e in generale dei monumenti della città antica era iniziato
precedentemente, infatti per ospitare la chiesa di Santa Maria Antiqua nel Foro romano, erano stati modificati e adattati
alcuni ambienti anche se poi l’edificio poi venne abbandonato verso metà secolo. Una ricca serie di affreschi fa di Santa
Maria Antiqua uno dei più importanti monumenti dell’Alto Medioevo: tra il VI e il XI secolo, difatti i dipinti si succedono
sulle parti interne con un ritmo molto incalzante

La parete palinsesto
Accanto all’abside, la rete detta “palinsesto” presenta addirittura 7 strati uno
sull’altro - di cui solo 5 dipinti - che vanno dall’età tardo antica al VIII secolo.
“Palinsesto” è infatti il nome che si da ai manoscritti in pergamena il cui testo
originale rimane leggibile pur essendo stato raschiato per far posto a un nuovo
scritto. Nel terzo strato della parete, che dovrebbe risalire al VI secolo, resta
un frammento del volto della Vergine con una corona sul capo è una delle più
antiche attestazioni dell'iconografia di Maria come Regina. Nel quarto strato
spicca il volto di un angelo molto probabilmente parte di un'Annunciazione
databile forse entro la prima metà del VII secolo, segno della grande influenza
che la pittura bizantina di tradizione ellenistica aveva in quel momento sulla
cultura artistica romana.
Nel sesto strato troviamo invece figure frammentarie di san Giovanni e san
Basilio; sui cartelli che tengono in mano vengono citati brani dei loro scritti
discussi nel Concilio lateranense del 649, in cui si stabilì la doppia natura,
umana e divina, di Cristo. Del settimo strato, ci restano invece tracce della
figura di un Padre della Chiesa,

Scene della navata destra Tra le altre scene nella navata destra spiccano i protagonisti di un episodio narrato nella Bibbia nel
Secondo libro dei Maccabei, sette fratelli destinati al martirio assieme alla loro madre Solomone e a Eleazarga.
Nonostante la precaria conservazione dell'affresco, riusciamo a riconoscere un pittore capace di descrivere spazio e volumi, grazie
al trattamento sapiente delle gradazioni del colore e a delicate lumeggiature;

La cappella di Teodoto I due spazi a sinistra e a destra dell'abside ripropongono forma e dimensioni dei pastophória, gli
ambienti destinati alla preparazione della liturgia che caratterizzano le più antiche chiese bizantine. In quello di sinistra 7
un'iscrizione rivela il nome di chi offrì gli affreschi: Teodoto, un alto funzionario della Chiesa romana

L'affresco meglio conservato della cappella è quello della Crocifissione, sulla parete di fondo 8:
sotto la croce vi sono Maria, san Giovanni e, in secondo piano, il centurione Longino con un altro
soldato; Gesù veste il colobium, la tunica dei monaci e dei
membri del clero, e tiene aperti gli occhi. Il legamecon la tradizione bizantina è evidente
dall'impaginazione generale della scena, ma anche da dettagli come la fila di irregolari gradini
rocciosi, che fanno apparire i personaggi come disposti su una sorta di palco. Una soluzione molto
simile era già stata adottata nellaffunetta con il Buon Pastore nel Mausoleo di Galla Placidia a
Ravenna
Il succedersi di affreschi in quasi tutte le pareti interne e talora uno sopra l'altro conferma
l'importanza che la chiesa di Santa Maria Antiqua ebbe tra VI e VIII secolo, un luogo che diversi
papi considerarono una specie di cappella di palazzo; ecco perché nell'edificio 'intrecciano
ripetutamente la committenza papale e quella di personaggi di alto rango come Teodoto

Lo straordinario affollarsi di dipinti in Santa Maria Antiqua conferma il valore attribuito alle immagini sacre durante i
primi secoli del Medioevo: da una parte il loro compito è rendere visibili i programmi religiosi dei pontefici, proponendo al
pubblico dei fedeli gli argomenti dottrinali di volta in volta dibattuti all'interno della Chiesa; dall'altra parte, le immagini
diventano un mezzo per esprimere pubblicamente la propria fede e la propria devozione, come fece l'aristocratico Teodoto.
Nonostante le numerose ridipinture e i danni del tempo, questi delicatissimi dipinti su tavola costituiscono una pagina
fondamentale della storia delle immagini sacre.
Tipi di iconografie di Maria Vergine
Tra la fine del mondo antico e gli inizi dell'Alto Medioevo, le icone maggiormente venerate erano quelle della Vergine. Data
fondamentale in tal senso fu quella del Concilio di Efeso (431), quando la Vergine venne proclamata «madre di Dio»; da
quel momento aumentò il numero delle chiese dedicate a Maria e delle immagini riservate a lei e al Bambino.
Tra le icone mariane, alcune erano attribuite alla mano di san Luca evangelista, altre erano rite nute addirittura
"acheropite" (cioè non eseguite da mano umana, ma di origine divina), altre ancora erano considerate miracolose. La fama
di queste immagini fu così grande che esse furono replicate per secoli secondo lo stesso schema, in modo da conser vanne
gli eftetti miracolosi; gli originali, invece, con l'andar del tempo si rovinarono e andarono perduti.
L'immagine della Vergine, specialmente nelle aree dominate da Bisanzio, segui perciò dei tipi iconografici precisi, che
pittori adottarono di volta in volta come fossero formule fisse.

Un altro tipo iconografico, quello della Vergine Blacherniotissa, prende il nome da un quartiere di Costantinopoli, quello
delle Blacherne. Oui si trovava una chiesa dedicata a Maria in cui veniva venerata una sua immagine nell'atteggiamento di
orante: la Vergi ne è in piedi con le braccia-alzate e aperte in quello che era il gesto della preghiera degli antichi e dei
primi cristiani.
Il tipo della Haghiosoritissa prende il nome dall'icona venerata nella cappella della Haghía Sorós (Santo reliquiario/Santa
cassa) a Costantinopoli, in cui era conservata anche la reliquia della cintura della Vergine. Qui la Vergine è raffigurata a
mezzo busto e parzialmente di profilo nell'atto della preghiera, come si vede nella Madonna già nel Monasterium
Tempuli e oggi in Santa Maria del Rosario a Roma 12.
C'è infine, il tipo di Maria Regina, ben rappresentato a Roma dalla cosiddetta Madonna della Clemenza in Santa Maria in
Trastevere II; per lungo tempo si è pensato che fosse una variante locale, ma ora gli studiosi non escludono che questo
tipo iconografico, in cui Maria appare con l'abbigliamento di una sovrana orientale, sia anch'esso di origine
costantinopolitana.

Madonna della Clemenza in Santa Maria in Trastevere


Attribuibile probabilmente a circa un secolo dopo quella del Pantheon e di committenza
papale, la Vergine col Bambino è assisa in trono, vestita come una basilissa, tra due
arcangeli vestiti con tuniche bianche; in basso si scorge la figura di un papa inginocchiato
e in atteggiamento di supplica.
La corona sul capo identifica la Vergine come Regina, proprio come in uno dei più antichi
affreschi della parete "palinsesto" di Santa Maria Antiqua

La madonna Hodighitrìa del Pantheon (Santa Maria ad Martyres)


Una delle più importanti è certamente l'icona della Vergine conservata da secoli nel
Pantheon, la chiesa di Santa Maria ad Martyres, probabilmente uno dei doni
dell’imperatore alla chiesa dopo la trasformazione del Pantheon in chiesa dedicata a
Maria (dopo la cessione dell’edificio a Papa Bonifacio IV)
L'iconografia della Madonna è quella che, con una parola greca, si chiamava Hodighìtria
("colei che indica la via"); la Vergine, cioè, con il braccio sinistro tiene il Bambino, mentre
con la mano destra richiama l'attenzione dello spettatore su Gesù. Il volto del Bambino,
una delle zone meglio conservate del dipinto, è certamente accostabile agli affreschi
"ellenistici" di Santa Maria Antiqua.

Le Catacombe di Napoli
Insieme a Ravenìna, Roma è il centro urbano più importante nel passaggio tra Tardoantico e Alto Medioevo, ma anche
altre città presentano testimonianze di questa fase storica: a Napoli, le catacombe di San Gennaro ospitano preziosi dipinti
risalenti alla fine del V e agli inizi del VI secolo. Tra essi Spicca l'affresco di un arcosolio E3: affiancati da due coppie di
ceri accesi, due coniugi - Theotecnus e Ilaritas - vengono raffigurati a mezzo busto e nell'atteggiamento che distingueva
i fedeli anche nelle catacombe romane, la preghiera a braccia aperte. Tra loro, anch'essa nel gesto dell'orante, la figlia
Nonnosa, morta - come indica l'iscrizione - a quasi tre anni, la corona con gemme che pende sul suo capo, i diademi che
l'abbelliscono, come gli abiti dei due genitori, confermano l'appartenenza a una classe sociale elevata.
Vengono in mente i gioielli e gli abiti dei mosaici di San Vitale a Ravenna del resto, nella frontalità e nell'intensità di
questi tre ritratti è facile riconoscere l'impatto dei modelli tigurativi bizantini.
Intorno al 568 un nuovo popolo varcò le alpi: I Longobardi

Questi non riuscirono a unificare il territorio della penisola e


Ravenna rimase bizantina fino al 751 con il re longobardo liutprando

Per un certo periodo Romani e Longobardi vissero vicini nelle campagne e nelle città, proprio in una sorta di convivenza

I Longobardi infatti si convertirono alla fede cristiana e sebbene maturarono in una natura semi-nomade,
sorse presto il desiderio di assorbimento della cultura del popolo romano

I longobardi furono poi scalzati da un altra popolazione di origine germanica e proveniente da nord ovest

I Franchi, guidati da Carlo Magno

Sconfissero Bavari e Sassoni, ed in seguito i Longobardi

Carlo magno si fa riconoscere con la coniazione delle proprie monete, incise dalla scritta:
“Nostro signore Carlo, augusto imperatore e re dei Franchi e Longobardi”

Il nuovo impero nasce sotto il segno della fede

Risorgeva così , almeno nelle intenzioni, l’impero Romano d’occidente

Carlo Magno poi tentò di collegare la propria politica con la memoria di Roma, anche se i suoi sforzi non furono sufficienti ad
assicurare una lunga stabilità, e con la morte di Carlo il Grosso iniziò la dissoluzione dell’impero carolingio

Alla fine del IX secolo e l’inizio del X gli Ungari occuparono l’Italia settentrionale con assalti, saccheggi e distruzioni

Incursioni normanne e arabe in Sicilia

Il ruolo del vescovo si spinge ben oltre a quello di guida spirituale delle diocesi, difatti avevano sia poteri di mediazione nelle
cittadine e nei monasteri, sia ruoli politici, potendo vantare peraltro prestigio e autorità, riflesse poi sulle opere che
commissionavano per le chiese delle proprie diocesi

inoltre i vescovi diventarono promotori della vita culturale delle città (come l’insegnamento scolastico)
Alla fine dell’impero romano d’occidente quello che era stato l’impero di Roma era ricchissimo di straordinari edifici e
infrastrutture pubbliche mai viste prima anche necropoli, appena in periferia da cui si poteva ammirare i nuovi monumenti urbani

Edifici e infrastrutture che però erano spesso abbandonati ed in rovina, difatti al tempo divenne frequente il fenomeno del
reimpiegò dei manufatti antichi, per cui Roma fu una vera e propria minera di materiali

a Roma inoltre molti edifici cambiarono funzione, soprattutto dopo l’Editto di Milano, altri rimangono i medesimi nonostante i
tanti cambiamenti. Il volto delle antiche città Romane cambiò, sia per l’abbandono e poi la restaurazione di alcuni edifici, sia
per il loro mantenimento alle strutture originarie.

Il ruolo delle mura rimaneva strategico, rimaneva un elemento di separazione tra la vita della campagna e quella urbana,
ma anche di comunicazione, tramite porte ubriache, sorvegliate da uomini e fortificazioni, da cui si entrava e usciva

Foreste e boschi caratterizzavano sempre di più il paesaggio medievale, ma in alcuni territori rimase
anche l’assetto romano con grandi vie casolari di cui tutt’ora ci rimane il tracciato originario

L’incastellamento

Con l’arrivo dei Longobardi si accentuò anche un fenomeno gia avviato in età tardoantica, quello della militarizzazione
della società, che conseguentemente porto ad una frammentazione del potere, e quindi anche un crescente bisogno di
sicurezza e controllo dei territori che porto al fenomeno dell’incastellamento che porto ad
occupare edifici di altura, che poi diventarono sedi di contingenti (sinonimo) militari
Oppure Lia fortificazione di edifici già esistenti: monasteri, chiese, borghi, villaggi.

I monasteri

Durante l’età cardoantica esistevano varie forme di vita monastica: Gli eremiti, monaci che vivevano isolati in piena solitudine o in piccoli
gruppi; i cenobi, associati a comunità; ed anche i “clerici vaganti” (monaci nomadi)

Tra le comunità monastiche si impose lentamente il modello sperimentato da san Benedetto da Norcia nel Monastero di Montecassino. Il
santo aveva tradotto la propria esperienza nella Regola, un testo che tentava di programmare la vita dei monaci in
ogni momento della giornata. La vita monastica rappresentava la forma perfetta di vita cristiana.

Nel corso dell'Alto Medioevo la vita monastica acquistò prestigio e importanza sempre maggiori, e le abbazie rurali, fondate nelle
campagne anche a una certa distanza dalle città, ebbero un'importanza sempre crescente
Gli ultimi secoli dell’impero vedono delle forti e continue tensioni dalla presenza di diverse popolazioni di varia origine
stanziale, che influenzò la produzione artistica tra il VIII e il IX secolo, caratterizzata da oggetti mobili che fanno parte
del corredo funerario di personaggi di rango, oggetti metallici come le armi dove in alcune parti vengono decorate con
raffinate decorazioni orafe che vanno a descrivere anche se non in maniera del tutto precisa, la committenza del
personaggio di rango che andava sepolto e di oggetti funzionali all’abbigliamento.
I longobardi, stanziati nel nord Europa si spostano a ridosso della penisola italica con dei contatti con il mondo bizantino,
motivo per cui in diversi manufatti di gioielleria, si attestano delle similitudini con la produzione della corte di Bisanzio/
Costantinopoli. Tali manufatti sono caratterizzati dalla presenza di materiali nobili, pietre preziose e smalti con tecniche
orafe che man mano che la popolazione si insedia in Italia si fonderà con i modi e la cultura latina.

I longobardi avevano l’abitudine di esibire oggetti d’oro e pietre preziose per dimostrare la propria posizione sociale. I
manufatti longobardi più antichi provengono quasi unicamente da corredi funerari, ovvero oggetti appartenuti al defunto,
deposti accanto ad esso, fattore che ha permesso anche di distinguerete sepolture maschili da quelle femminili e le tombe
di alto rango.

Fibula o fibbia - significato


La funzione di questo oggetto è quella di una cintura, dove la staffa si aggancia all’arghiglione e l’arco
presenta la decorazione di una fibula che risultava decorativa o finalizzata a sostenere un mantello

Fibia appartenente al
Fibbia di cinturone, Pavia nella Torre del Domagnano (appartenente al tesoro di Domagnano) tesoro di Domagnano

Attribuita a una donna ostrogota di altissimo lignaggio, realizzata in metallo e


oro arricchita e impreziosita.
Si tratta di gioielli, destinati al corredo e alle vesti di una nobil donna. In questo
manufatto viene rappresentato un volatile, un acquila, dove la tecnica cloisonne é
ben evidente se si osserva il perimetro dell’alveolo vediamo che si tratta di un
incavo ricavato da pareti metalliche auree che vengono riempite di paste vitree e
che insieme alla spilla vengono sottoposte ad alte temperature per creare questi
smalti la cui tonalità è chiaramente l’amaranto.

L’aspettò decorativo e costituito dalla stesura nella superficie di questa serie di alveoli ma
fondamentale è la forma che viene data dall’artigiano orafo che costruisce questo manufatto.
L’aspettò decorativo e l’aspetto del metallo che costituisce questo manufatto é legato al lignaggio
ed era un modo per ostentare il propio stato sociale (questo si è potuto vedere nelle sepolture).

La tecnica cloisonne si può ammirare anche nelle fibule che hanno funzione decorativa, dove vengono incastonate delle pietre
più o meno preziose che vengono ricavate delle decorazioni policrome grazie all’utilizzo di smalti. La superficie viene decorata
con lo stile policromo, la decorazione interna di questa fibula viene detta a “S” e viene arricchita con l’utilizzo di uno
strumento metallico chiamato “bulino”,
- strumento che va a tracciare queste decorazioni nastriformi,
La forma è costituita da una zona di contorno della fibula S dove il becco del volatile è individuabile nell’area dove era
incastonata una pietra dura.
Fibula a staffa, Calvatone a Cremona
Fibula a staffa, in argento dorato con una datazione piuttosto alta. Sta all’origine di quel tipo di decorazione che
caratterizzerà i cosiddetti stili animalistici, (definizione data dagli archeologi per classificare questa tipologia di
manufatto)

Fibula a staffa, Museo dell’Alto medioevo Roma


Manufatto che ha tutte le caratteristiche che accomunano una serie di oggetti che vengono ricondotti all’interno dello
stile animalista, le cui radici iconografiche e costruttive affondano nella produzione tardo antica. Sono guarnizioni di
cinture di soldati e di personaggi di altissimo rango utilizzate in situazioni belliche, la cui caratteristica e la presenza di
una decorazione nastriforme all’interno della placca mentre le zone periferiche costituiscono la forma di un animale
fantastico o di un animale esistente.

Un aspetto fondamentale è che queste fibbie vengono definite “chersnick”, strumento con il quale si lavora il modello in
cera che poi servirà per ottenere, dopo la fusione, la forma della fibbia. Successivamente verrà lavorata con un altro
strumento chiamato “cesello”, strumento acuminato che può avere varie dimensioni. Parallelamente agli stili animalisti si
sviluppa un altra tipologia di manufatto, ovvero lo “stile policromo” o “stile colorato” le cui caratteristiche sono costituite
dal fatto che la superficie metallica viene decorata con degli alveoli colorati.

Fibula ostrogota
Corpo metallico costituito d’argento mentre la pietra vitrea che decora e sta al’interno di alveoli, creati da delle vere e
proprie parti metalliche, è costutituita da uno smalto amaranto che costituisce la prima caratteristica decorativa di questa
tipologia di manufatto, che è documentato già dal IV secolo sino al VII. Questa tipologia di manufatti si fonda sul
contrasto cromatico tra il fondo in metallo o in argento e colorazione, fu una tecnica introdotta dagli Unni nel IV secolo

Le crocette auree
Le crocette auree, tipiche della cultura longobarda e molto probabilmente cucite sui vestiti o veli poi
posati sui defunti, sono delle piccole lamine in oro a forma di croce, con bracci di uguale lunghezza, e
potevano essere lisce, con motivi vegetali tipici tardoantichi, con grovigli animalistici, nastri, ma
sempre imprimendo una matrice a stampo sulla lamina metallica

La Crocetta di Gisulfo, Museo Archeologico di Cividale del Friuli


Presenta sui 4 bracci, fitti intrecci bordati di perlinature, che poi all’incrocio
terminano, con l’immagine di un volto umano dai capelli lunghi, probabilmente
riferita alla figura di Cristo. Al centro, un tondo con una figura di un cervo, animale
gia presente nell’iconografia paleocristiane bizantina. In questo caso abbiamo dei
fori che indicano che questi manufatti vengono realizzati e cuciti nel sudario
funebre del defunto. Ci sono riferimenti Cristiani, non solo nel simbolo per
eccellenza della cristianità ma anche nelle figure antropomorfe.

Nella lamina metallica della decorazione vi è una lavorazione a sbalzo facilitata dal materiale duttile che è l’oro, anche
delle “pietre caboscion” con all’incrocio dei bracci della croce senza sfaccettature e lavorazioni:
Per pietra caboscion si intende un particolare taglio della pietra e una lucidatura preziosa con una forma concava
chiamata caboscion

Le necropoli longobarde restituiscono una serie di oggetti realizzati con la tecnica a sbalzo, che sono delle crocette
completamente realizzate in oro, che si prestano a una lavorazione molto semplice rispetto ad altri manufatti.
I longobardi apprendono quella che è una consuetudine dalla popolazione locale, l’oggetto metallico cruciforme veniva
cucito nel sudario funebre del defunto come simbolo cristiano di salvazione. All’inizio, prima del VVI secolo, vengono
impressi invece dei motivi decorativi che si avvicinano allo stile animalesco in queste fibule, dove nelle parte centrale si può
individuare la figura di un cervo e nella parte sommitale un acquila dalle ali spiegate. Tutte queste decorazioni sono
realizzate a sbalzo così come lo è la decorazione nastriforme di una crocetta.
Tecnica cloisonné, vengono creati degli alveoli dentro i quali vengono incastonati
oppure viene fusa della pasta vitrea, che sottoposta ad alte temperature va a creare Fibula a “S” Museo
degli smalti, un lavoro estremamente elaborati dal punto di vista tecnico e Archeologico
Nazionale, Cividale
raffinatissimo nelle molteplici variazioni dei tipi e posizioni delle pietre e dell’oro. La del Friuli
decorazione si sviluppa lungo 3 corone attorno al tondo centrale.

Fibula a disco della


La tecnica cloissonne viene applicata in tre fibule la cui tipologia è differente : necropoli longobarda
- fibula S di Noecera Umbra
(Parma) - tomba
- fibula a disco dove le corone vengono ampiamente decorate con la realizzazione di femminile
-
alveoli, con una predilezione per la tonalità amaranto Museo Archeologico
Nazionale, Cividale del
Friuli
Viene sempre arricchita la decorazione con altri elementi metallici come nel caso della
fibula di Parma.

Gli smalti quando vengono sistemati all’interno degli alveoli nella tecnica cloissonne trattengono meglio la struttura
metallica rispetto alla pietra. Questa tipologia di manufatti sono riferibili a una popolazione longobarda che pian piano
abbraccia la fede cristiana ariana. Altri oggetti di interesse artistico sono le armi, un esempio tra i più importanti e la
spada conservata nel museo dell’alto medioevo romano, ,a proveniente da Perugia. Si tratta di un elsa decorata che ci
consente di individuare quella lavorazione, di stili animalistica appartenente alla tradizione longobarda. Un altro reperto
straordinario è lo scudo di Stabio.

La decorazione a sbalzo
Un altro tipo di decorazione e quella a “a sbalzo” utilizzata in importanti documenti nella storia dell’arte medievale,
ottenuta tracciando il disegno o la decorazione che si voleva ottenere tra una base che poteva essere lignea e il metallo
dove veniva inserito uno scampolo di stoffa o cuoio. Si premeva attorno al disegno tracciato che emergeva nella parte
opposta con una superficie a sbalzo. Veniva successivamente definito con strumento metallico e cesellato.

Un’altra tecnica è quella di “champlevè” (campo levato), nella lastra metallica dove l’organo sbalza il disegno prima
tracciato in bozza, viene utilizzato uno strumento per togliere la materia e creare un incavo scavando sulla superficie e le
parti cave vengono riempite di paste vitree, in seguito avviene la lucidatura che permette di eliminare le parti in esubero
e permette di allisciare in modo da ottenere una superficie completamente piana.

Scudo di Stabio Musero di Berna


Rappresentazione di un cavaliere con una spada, si tratta della figura
antropozomorfa ottenuta sostanzialmente dalla forma perimetrale la
cui decorazione della superficie viene ottenuta solo con l’utilizzo di
uno strumento metallico. Si chiama scudo di Stabio perché faceva
parte di uno scudo ricostruito le cui singole parti sono collocate in
quello che era uno scudo militare da parata, realizzato sia in legno
che in cuoio per renderlo leggero.
Il passaggio dalla gioielleria all’architettura si può recepire a Pavia
nella cripta di Sant’Esuebio, costituita da volte a crociera. Quello che
si osserva sono le colonne, dove nel capitello troviamo dei richiami
alla cultura barbarica e longobarda, dive vengono riprese le forme di
una fibula a cicala.
Questo motivo decorativo viene trasposto nell’architettura ma
tuttavia l’elemento longobardo va a fondersi in quello che è
indubbiamente un prodotto di corte come altre produzioni artistiche,
e si ispira chiaramente alla romanità.
Il frontale del re longobardo Agilulfo
Una delle testimonianze più importanti dell’uso delle immagini da parte dei longobardi è la lamina in origine montata
sulla parte frontale di un elmo. Questo frontale d’elmo con una funzione decorativa è una ricostruzione di un elmo
longobardo in cuoio con una struttura complessa.

In questo manufatto, oggetti molto importante perché vediamo


l’interpretazione della tradizione classica fortemente radicata da parte di
un altra cultura che rielabora questi schemi compositivi. Al centro Agilulfo,
re dei longobardi, siede sul trono, affiancato da due guardie armate di
lancia e scudo. Una minuscola scritta lo identifica con certezza, “al nostro
signore re Agilulfo”. Il sovrano tiene una spada con la sinistra e portala
destra all-altezza del petto , gesto che nel Medioevo indica una persona
nell’atto di parlare.

Due figure alate gli si avvicinano con le gambe a compasso, nel faticoso tentativo di indicare che
stanno volando, si tratta di due vittorie, che reggono una cornucopia (corno colmo di fiori e frutti,
simbolo di abbondanza) e un labaro (insegna esercito romano) su cui c’è scritto Victuria (Vittoria).
A destra e sinistra, due coppie di offerenti portano corone sormontate croci e per finire a chiudere
la scena sono due torri che simboleggiano il palazzo o la città in cui si svolge l’evento.

I confronti con la tradizione classica potrebbero essere diversi, dove la figura centrale è assimilabile
a quella produzione dell’arte plebea ma come in altre decorazioni plastiche. Qui è l’elemento
allogeno che interpreta la tradizione autoctona, aspetto molto interessante perché l’arte Longobarda
è caratterizzata dall’assorbimento dell’elemento classica che si fonderà con l’elemento barbarico.
Cividale, occupata dai longobardi che entravano in Italia è stata inserita nella lista Unesco dei siti considerati “patrimoni
dell’umanità”, mantiene una serie di sculture dell’VIII che avevano una precisa funzione nell’arredo liturgico delle chiese
locali, come l’altare offerto da Ratchis

Cividale, Altare offerto del duca Ratchis

Ratchis, duca del Friuli tra il 737 e 744 fece realizzare per la chiesa di San Giovanni battista un
altare facendo decorare le lastre che non rivestivano tutti e quattro i lati. L’iscrizione che corre in alto
lungo i bordi ricorda che il duca aveva adornato l’altare “con un bel tegurio“, cioè un coronamento
marmoreo che doveva essere simile a quello del fonte battesimale di Callisto, sempre a Cividale.

Sulla fronte dell’altare è scolpita la scena della maestà del signore: quattro angeli
con ali provviste di occhi “e quindi riconoscibile come cherubini“ sorreggono una
mandorla, non sorta di aureola o forma ovale che nel iconografia cristiana indica una
glorificazione del personaggio che ne è circondato. Dentro la mandorla ci sono altri
due cherubini che reggono un Cristo senza barba in atteggiamento benedicente,
sopra il cui capo si intende stendere la mano destra di Dio, simbolo di presenza
dell’eterno, ai lati di questa raffigurazione poi vi sono decorazioni fitomorfe e rubini,
decorazione che si allontana fortemente da quella che è l’arte classica

Sui lati dell’altare sono raffigurati la visitazione, cioè l’incontro tra l’abbraccio tra Maria e santa
Elisabetta, e l’adorazione dei Magi; la vergine contraddistinta in entrambe le scene con un piccolo
segno di croce inciso sulla fronte. Sulla lastra posteriore, due croci gemmate abbracci espansi
affiancano un’apertura per le reliquie dei santi.. in tutte le scene dell’altare lacci s’ciò che colpisce è
l’assenza di proporzioni, l’estrema semplificazione dei volti, i gesti scoordinati improbabili, ed anche i
soggetti scelti tutt’altro che semplici, soprattutto nella scena frontale.

Ad incorniciare tutta la decorazione nella parte frontale dell’altare del duca vi è una decorazione
nastriforme entro la quale stavano incastonate delle pietre preziose che non sono giunte a noi. Si
può immaginare che questo manufatto risultava completamente policromato e decorato, aspetto
interessante perché possiamo già allontanare l’idea e la visione di un medioevo in bianco e nero.

Le decorazioni non si liberano nello spazio che viene riempito da decorazioni fitomorfe
e crocifere che richiamano i modelli dell’orrficeria coeva. Ma l’aspetto che emerge è
che gli angeli non hanno una dimensione naturale e presentano una tendenza
espressionistica accentuata che si vede anche ai lati dell’altare.

Nella parte retrostante dell’ala tre c’è un varco quadrangolare che consente l’accesso
all’interno dell’arredo liturgico per vedere quelle che erano le reliquie, affiancato da
una decorazione completamente simbolo che si riconosce nelle croci e la cornice
nastriforme anche essa decorata e policromata. La parte soprastante dell’altare non è
presente, invece la parte contiene delle epigrafe che permettono di datare l’opera.

Possiamo riscontrare quindi un sorprendente dislivello tra gli schemi compositivi e la loro resa formale difatti il duca a
chiesto di adattare iconografia schiettamente bizantina ad uno scultore dotato di una cultura artistica del tutto diversa
che per Percepiva la scultura soprattutto come una decorazione, difatti si trova perfettamente a proprio agio nel lato
posteriore dove i motivi ornamentali vengono usati con ordine e precisione.

L’aspetto attuale dell’altare non è quello lì originario, infatti (come accadrà per tutto il medioevo) i marmi erano rivestiti
da vivaci colori, recenti ricerche hanno messo in luce tracce di pigmenti naturali.
Fonte battesimale di Callisto
Il fonte battesimale di Calisto commissionato dal patriarca di Aquileia Callisto per la
distrutta chiesa di San Giovanni battista, fu il tentativo di abbellire le parti della chiesa
dedicate alla vita liturgica. Il fronte è a pianta ottagonale, come già i battisteri
paleocristiani ravennati, con un coronamento, nell’iscrizione definito tegorium, che consiste
in auto archetti sostenuti da colonnine ai capitelli. La struttura è decorata sia alla base
ottagonale, arricchita successivamente da decorazioni realizzata dai successori Sigualdo e
Paolino da cui prendono nome le lastre decorate, sia nei sette architetti rimasti con una
finissima ornamentazione con pavoni grifi e altri animali affrontati, secondo schemi
ricorrenti anche nella decorazione dei tessuti; non mancano motivi di derivazione classica,
quello cosiddetto “a ovoli e dardi“, fuse ruoli alternate a doppie perle, gironi con foglie
fiori.
I simboli e raffigurazioni zoomofre richiamano i simboli della cristianita si osserva una
tendenza a riempire la superficie scolpita senza lasciare spazi non decorati, una sorta di
“horror vacui” (paura del vuoto).

Il pluteo di Sigualdo
uno degli otto lati del fonte battesimale presenta un pluteo (balaustra, spesso realizzati in pietra e decorata)
commissionato da un successore di Callisto, il patriarca Sigualdo

Il tema è quello della croce dei “quattro esseri viventi“ dell’apocalisse di Giovanni, i simboli dei quattro evangelistiSi
stringono un cartiglio su cui sono riportati diversi i versi che Said Julio poeta latino del V secolo aveva dedicato gli autori
dei Vangeli. Anche in questo caso come nell’altare del grazie s’possiamo osservare come lo scultore è alle prese con
un’iconografia della lunga tradizione mostra su impaccio semplificando le figure più attendere trattandole finché possibile
come motivi decorativi.

La lastra di Sigualdo vede rappresentati i 4 livelli dell’apocalisse di Giovanni all’interno di decorazioni circolari che
abbracciano le parti del tetramorfo, risultano predominati delle decorazioni che sono caratterizzate da sagome replicate ai
fini decorativi. Nella lastra di Paolino invece troviamo la decorazione nastriforme che incornicia letteralmente il tetramorfo,
ma una trasposizione di quella che la tecnica dell’oreficeria raggiunta sicuramente l’altare del duca Rachtis. (Duca
longobardo dal 737 la cui epigrafe pista nella parte sommitale dell’altare la cui datazione e certa).

Oratorio di Santa Maria in Valle


Nella castaldia che ritroviamo, sulle sponde del fiume dove risiedeva Gastaldo
aiutante del Re possiamo individuare uno straordinario monumento dell’Italia
longobarda, l’oratorio di Santa Maria in valle. Ci sono dei puntuali riferimenti a
quella produzione artistica che aprirà la strada a a quella che sarà la decorazione
a tutto tondo che verrà utilizzata dai romani. All’interno e caratterizzato
dall’utilizzo della tecnica dell’ affresco ma anche l’utilizzo dello strutto, nella zona
del sacrario possiamo individuare una decorazione sulla volta a botte che raffigura
il Cristo in Mandorla, ma fondamentale e ciò che troviamo in contro facciata
ovvero una decorazione a stucco che richiama i modelli della classicità ma anche
entro la lunetta vi è la figura di Cristo e negli spazi si vedono due immagini sacre.

Nella parte centrale la decorazione affresco con il Cristo benedicente affiancato da due arcangeli, la decorazione e
completata nell’archivolto con una decorazione tramite l’utilizzo di ampolle vitree (vetro colorato). Una decorazione
polimaterica, che si avvicina a quelle che sono le tecniche dell’oreficeria e in una delle iscrizioni individuate all’interno
dell’ oratorio uno dei magistrati che lavorano a questo monumento si chiama “talepaganus”.
Se si utilizza una visione laterale si nota che non si tratta di statute a tutto tondo, si tratta di monumenti realizzati a
stucco che consentiva di plasmare la figura grazie all’utilizzo di strumenti a percussione lignei o metallici.
Una capitale longobarda Brescia, dove si individua la fondazione di un monastero femminile ora compresa nella città del
mausoleo di Santa Giulia.
Monastero femminile di San Salvatore a Brescia

Da questa chiesa proviene un bassorilievo in marmo con una figura di pavone, il profilo
pubblico della lastra indica che era in origine il parapetto della scala di un ambone un
elemento che non poteva mancare nel rito liturgico delle chiese, tale figura del pavone
nell’iconografia paleocristiana veniva interpretato come simbolo dell’immortalità
dell’anima perché si credeva che la sua carne non si decomponesse

Tutto lo spazio torna al pavone e poi viene riempito da rami di vite con grappoli e bambini, che si dispongono lungo
curve controcurve in un ritmo regolare; in basso invece il bordo è costituito dall’intreccio di quattro nostri, che
anche in questo caso colpisce la più la riuscita competenza di motivi ornamentali bizantino e barbarici

Abbiamo a che fare con un iconografia leggibile, immagine zoomorfa con un


volatile facilmente riconoscibile nella figura del pavone nella cultura cristiana
attornianti da una serie di decorazioni fitomorfe che sono ampiamente riferite
ai modelli classici. E presente una decorazione nastriforme che richiama
fortemente la cultura figurativa barbarica, l’aspetto più importante e cerca
edu ricostruire quale elemento di arredo litigi rugò apparteneva questo
manufatto. Si tratta del frammento di un amone che era all’interno di uno
spazio non identificato dell’edificio sacro, era un parapetto con corrimani che
consentiva l’accesso nella parte sommitale dell’amone.

Senz’altro Un altro importante centro longobardo in Italia settentrionale, Brescia e fondato dal duca Desiderio e sua
moglie Ansa, che mantennero la protezione della Chiesa, per poi andare ad arricchirsi di beni nella stessa città di Brescia.
Per questo motivo la chiesa del complesso monastico dovete essere concepita come segno visibile del potere dei fondatori,
motivo anche per cui Ansa fece portare qui importanti reliquie e tra cui quelle di Santa Giulia e dell’isola di Gorgona.

La chiesa di San Salvatore divenne anche un mausoleo degli stessi desideri Ansa.
L’edificio a sviluppo longitudinale, dotata di 3 absidi semicircolari, dispone di tre navate con colonnati secondo il modello
ravennate, ed in cui si possono individuare quelle che sono le decorazioni a stucco, com inserti di ampolle vitree, utilizzate
per avvicinarsi il più possibile al bianco delle sculture tardo romane.

Spoleto
Dopo la fine del mondo antico gli uomini medievali trovano negli edifici andati in rovine un numero di soluzioni
architettoniche, il che dimostra come gli antichi non insegnarono solo come costruire e risolvere problemi strutturali, ma
anche come abbellire e rendere armoniche le strutture con l’utilizzo di modanature, capitelli e fregi
I governanti del ducato di Spoleto così si rivolsero la loro attenzione verso edifici e strutture classiche, fatto dimostrato
dalla presenza di uno erosi sarcofagi dell’età romana in Umbria, soprattutto nell’abbazia di Sanb Pietro in valle a
Ferentillo.

San Salvatore
È una basilica a tre navate e altrettante apsidi, sul coro a pianta quadrata si innalza
una cupola ottagonale. Nonostante i tanti dubbi si potrebbe affermare che la
datazione oscilla tra la fine del IV, VI, VIII secolo, e ne sono una conferma i
numerosi marmi disposti all’interno, che riflettono il clima in cui operavano gli artisti
committenti nel Ducato di Spoleto

Nella zona presbiteriale infatti sono stati rimandati colonne capitelli cornicioni freghi antichi, e (in seguito a dei recenti
restauri ci si è resi conto che) anche il fregio del portale maggiore, decorato con eleganti girali d’acanto che partono da
una croce, è stato ricavato da un blocco tratto da un monumento funerario di età romana, così per altre parti della
facciata per cui vennero usati ancora materiali di età classica
Spoleto Chiesa di Santa Sofia - Campania
Fondata in Campania da Arechi II, la basilica con funzione di cappella di palazzo dedicata a Sofia - cioè alla sapienza
divina - ricorda anche l’importante Chiesa di Costantinopoli, da cui si diversifica per la sua struttura architettonica del
tutto originale:
Si individua infatti una pianta a forma stellare e con all’interno un doppio giro di colonne che costituiscono la parte
fondamentale dell’edificio. I modelli sono riferibili al vicino oriente e alla Santa Sofia, analizzando l’edificio vediamo che le
parti riferite al tempo di Alecchi sono la parte centrale delle colonne e due absidi. Nel XII ci fu un importante crollo e fu
demolita 797 e ricostruita nel 1952. Le campiture nere sono riferibile alla parte ricostruita dove si individua nel XV si
individua l’ingresso con una sorta di profilo chiuso, la parte riferita ad Alecchi è quella con le campitute rosse. Si
individuano una serie di affreschi nell’intradosso dell’abside con la scena dell’annuncio di Zaccaria, una produzione
artistica che guarda ancora ai modelli classici.

L’arte carolingia o ottoniana si sviluppa tra l’VIII e il IX secolo ( 800-900 ), caratterizzata dal sacro romano impero
germanico, quando Carlo Magno sconfigge i Longobardi e viene incoronato imperatore Leone III del sacro romano impero
germanico.
Questo periodo viene considerato come un periodo di rinascita culturale, con caratteristiche di unità politica, culturale, e di
scrittura che ricadono nella produzione artistica dell’età carolingia, entro i modelli antichi, visti come punto di riferimento
dalla committenza imperiale, con una conseguente una ripresa dello stile classico, ed un maggiore sguardo alla città di
Ravenna che durante la costruzione della cappella palatina Carlo Magno realizzerà il suo palazzo imperiale.

La struttura è a doppio involucro e il piano più alto dove assisteva alle liturgie lo stesso Carlo Magno, l’accesso era
affiancato da due scalari che consentivano di procedere verso l’alto.
L’aspetto interessante sicuramente l’ampio utilizzo di materiali derivanti dallo stile classico, questo sarà un periodo
forndamentale per la bronzistica in cui le fucine imperiali riprendono a regime la lavorazione di questo materiaLe come
richiamo alla cultura tardi antica e come richiamo all’impero romano. Lo vediamo anche nei richiami ai modelli romani nelle
transenne bronzee con decorazioni.

Carlo Magno vide nel mondo antico uno strumento per la propria politica culturale classica, motivo per cui fece portare
marmi antichi dall’Italia fino in Germania. La politica carolingia ha come modello fondamentale, Ravenna e ne sono una
prova le colonne di marmi realizzati per la costruzione dell’edificio provenienti sia da Roma sia da Ravenna.

La cappella palatina di Aquisgrana


La cappella di Aquisgrana infatti è composta da una struttura architettonica molto
simile alla basilica di San vitale, anche qui la pianta ottagonale, preceduta da due
torri scalari; interno sormontato da una cupola e nobilitato dei marmi Venuti che
rivestono le pareti. Derivano dei modelli antichi anche i parapetti bronzi delle logge
dei matronei, così come le decorazioni del grande portale in bronzo

All’interno della cappella palatina vediamo nel primo piano le transenne bronzee, situate dove si aprono delle trifore
scandite da colonne di reimpiego provenienti (appunto) da Ravenna. È interessante osservare come gli archi a tutto steso
con struttura a tamburo si hanno una decorazione bicromia che sarà molto cara alla decorazione della produzione
artistica centro italiana al romanico del centro Italia.

Cappella di Zenone: i mosaici


In età carolingia, potremmo definire accurati richiami al classico i mosaici della cappella di “Santa Pruasella di San
Zenone”, commissionati dal Papà Pasquale”, e caratterizzati da numerosi richiami alla Roma antica. Il committente al
tempo era probabilmente ancora vivo poiché ha il nimbo triangolare, e viene raffigurato mentre consegna il modellino della
chiesa cristiana.
Si passa in età carolingia dalla decorazione longobarda a quella carolingia
L’orificeria occupa un ruolo centrale nella scena artistica, in particolare nella realizzazione di guarnizioni di armi e
ornamenti del vestiario destinate li Risto Crati, vasellame di pregio rivestimenti di libri sacri di altri oggetti liturgici.
Un processo che raggiunse l’apice quando alll’orificeria fu affidato un nuovo compitoFu la narrazione di storie come per
esempio nell’Altare di Vuolvino nella basilica di Sant’Ambrogio a Milano

L’altare di Vuolvino: un opera d’oro e d’argento - Chiesa di Sant’Ambrogio a Milano (chiesa romanica)
Un altare eccezionale, il più importante capolavoro dell’oreficeria di età medievale, commissionato dal vescovo Agiberto II
esattamente tra gli anni 824-849 rimasto nel luogo originario per secoli mantenendo la stessa funzione, in buone
condizioni di conservazione e con diverse iscrizioni che forniscono informazioni sulla sua storia. I quattro lati dell’altare
sono rivestiti da una decorazione estremamente varia nei materiali, nelle tecniche e nei temi narrati per immagini.

Vengono lavorate lamine d’oro ed argento dorato tramite la tecnica “a sbalzo” e


circondate da da cornici con smalti a colori sgargianti filigrane, e pietre preziose,
(tecnica champlevè) rappresentazione figurativa della produzione carolingia, le
figure diventano protagoniste assolute delle scene, i paesaggi hanno una
rappresentazione simbolica.

Il lato anteriore - frontale - dell’altare è diviso in tre scomparti: in quello centrale le cornici formano
una croce che contiene la figura di Cristo trionfante e i “quattro esseri viventi“ dell’apocalisse di San
Giovanni (Aquila, uomo, toro e leone), che simboleggiano gli evangelisti. Nei quattro spazi all’infuori della
croce si raggruppano poi oltre a tre, i 12 apostoli, nei due compartimenti laterali invece Doro ha il profilo
rettangolare raccontano episodi della vita di Cristo. Sui tuoi fianchi, compresa entro una losanga e
circondata da piccole figure di santi e angeli. Anche il retro dell’altare è suddiviso in tre scomparti: in
quelli laterali 12 forme d’argento dorato raffigurano episodi della vita di Sant’Ambrogio, vescovo di Milano.

C’è una decisa differenza tra linguaggio delle scene sul lato anteriore rivolto verso i fedeli e quelle del lato posteriore.
Nel primo vediamo scene più fitte con figure delineate con stile veloce e dei movimenti più animati; sul lato posteriore
invece il linguaggio si fa più pacato e solenne mentre i corpi oggetti acquistano un risalto maggiore.

Vi sono ovviamente poi anche episodi più vivaci come quelli in cui si raccontano la
fuga il ritorno di Sant’Ambrogio a Milano, negli scomparti laterali, in cui il santo
sconcertato dall’ inaspettata acclamazione a vescovo da parte del popolo fugge
dalla città ma viene persuaso dallo spirito Santo (rappresentato come la mano
destra di Dio) a tornare

L’orafo cerca di rappresentare il ripensamento di Ambrogio con il brusco movimento all’indietro del suo corpo, talmente
rapido da coinvolgere anche il cavallo, tale scena concentra l’attenzione sullo scarto improvviso e drammatico dell’animale,
mentre il resto della scena viene con la città le mura e la campagna sullo sfondo

Mentre nella parte centrale, Nelle due ante vi sono quattro tondi, con rappresentati in alto gli
arcangeli Michele Gabriele (indicati da un epigrafe che taglia diametralmente i tondi) e sotto a
sinistra Sant’Ambrogio vestito con Paramenti vescovili intento ad incoronare l’arcivescovo di
Angilberto, che si piega leggermente offrendo al santo un modellino dell’altare.
La testa di Angilberto e circondata da una aureola di forma quadrata, chiamata nimbo quadrato,
soluzione Usata nel medioevo per indicare che il personaggio in questione, venerabile autorevole
era ancora vivo, di come signore.

Tondo accanto a quello di un Gilberto, a destra, il santo protettore di Milano incorona questa volta un personaggio che si
china in atteggiamento di riverenza e a prendere le mani in segno di devozione, con dietro l’iscrizione “vuol Vimeo
maestro orafo“ che lo descrive perfettamente Da molto tempo gli studiosi osservando le differenze di stile si ritengono
che furono almeno tre maestri eseguire l’altare di San Ambrogio. Pulvino fu invece l’artista che assunse la direzione
dell’impresa e riservo per senso il lato posteriore, di cui sappiamo ben poco. Comunque la figura del dell’artista assume in
questo manufatto un grande inaspettato rilievo infatti pulvino non ho aureole come Gilberto ma riceve pur sempre una
simbolica corona ed anche lì indossa un abito nobile e viene lodato non ho scritto che ne sottolinea le qualità.
Iconoclastia nell’oriente cristiano
L’iconoclastia consisteva nella distruzione delle immagini sacre, e fu una disputa teologica ed anche
una lotta per il primato fra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Bisanzio, fra potere religioso e potere
civile, che coinvolse imperatori, papi e patriarchi di Costantinopoli tra VIII e IX secolo, periodo in
cui l’imperatore bizantino e avevano messo al bando delle immagini sacre portando alle estreme
conseguenze un dibattito che aveva diviso l’ideologia molto tempo prima, che riguardava i passi
dell’antico testamento che vietavano di riprodurre l’immagine divina guardia del rischio
dell’’idolatria, quella venerazione degli dei in forma di statue e altre immagini che avevano
caratterizzato le altre religioni antiche.

La controversia sull’immagine a Costantinopoli si trasformò poi in una stagione di continue violenze e di vittorie
provvisorie ora dell’uno ora dell’altro partito.
Per gli iconoclasti (letteralmente “i distruttori delle immagini”) bisognava cancellare quello che, ai loro occhi, era un vero e
proprio culto delle icone, totalmente e pienamente adorate e idolatrate. L’accusa che reclamavano gli iconoclasti, era che si
veneravano gli oggetti prima ancora delle figure divine che vi erano rappresentate.

Dalla parte opposta invece ritroviamo gli iconoduli (letteralmente “i servitori delle immagini”) che affermavano che le
raffigurazioni divine erano lecite, dal momento che Dio si era incarnato in Cristo assumendo così un corpo è un volto umani
Agli occhi degli iconoduli, gli iconoclasti non erano altro che eretici.

La crisi iconoclastica si chiuse poi nell’843, quando sotto il patriarcato di Metodio di Siracusa fu restaurato il culto delle
immagini, ma condizione che non venisse riprodotta la figura divina bensì uno strumento visivo per pregare e meditare su
di essa, senza però nessun tipo di adorazione.
Età Romanica

200 anni fa, alcuni studiosi francesi cominciarono ad usare la parola “romanico“ per indicare la produzione artistica
compresa tra il XI e il XIII secolo, parola coniata dopo diversi studi e ricerche sull’architettura e sulla scultura di quei
secoli; come anche il confronto delle tecniche edilizie degli schemi architettonici delle diverse regioni europee ottenute dai
rilievi, disegni e fotografie di edifici in città e campagne degli studiosi partiti per studiarle analizzarle.

Matura così la necessità di trovare una definizione di quell’epoca e di quello stile cosiddetto “romanico”, termine che
rimandava evidentemente alla Roma antica, nell’intento di collegare l’arte del pieno medioevo a quello dell’età imperiale

L’arte classica continuava poi ad essere in cui secoli è un punto di riferimento fondamentale per gli scultori e gli
architetti, anche se con modelli sempre in evoluzione

Quello che solitamente si usa chiamare “stile romanico“ è meglio definirlo come repertorio romanico, un vocabolario
artistico con le idee derivate dal mondo classico mischiate a quelle del mondo bizantino e ottoniano, da cui architetti e
scultori attinsero elementi e modelli dando forma al proprio personale stile.

Ciò che accomuna i fenomeni artistici “romanici“ non è quindi uno stile, ma piuttosto il contesto storico che esprime la
nuova situazione sociale ed economica che impresse una diversa direzione nella storia dell’arte trasformando il paesaggio
cittadino. Le città ospitarono i cambiamenti più profondi, già nel XI secolo per esempio con l’aumento della popolazione si
ottenne un maggiore peso politico dei centri urbani per le autorità imperiali, signorili e monastici.

Le cattedrali, centro delle città


Ci troviamo in un periodo in cui le comunità cittadine erano comuni a dare una certa importanza in primis alle proprie
cattedrali, non solo sede del vescovo ma anche luogo di conservazione delle reliquie del santo patrono e poi di conseguenza
una certa importanza venne acquisita anche dalla figura del vescovo, protettore per eccellenza della città e scelto dalla
comunità stessa (nelle sue diverse componenti).

Il Duomo divenne il vero e proprio centro della città: negli spazi che affiancavano la cattedrale, soprattutto le piazze, si
amministrava la legge, si svolgevano gli incontri l’assemblea del Comune e avvenivano gli scambi commerciali, il duomo e gli
spazi ad esso circostanti divennero quindi complessi civici oltre che monumenti religiosi

I cambiamenti nelle campagne


Durante quelle che ormai erano diventate innocue invasioni degli Ungari, l’agricoltura si estendeva e si sviluppava sempre
di più, sia nell’intensificazione dell’uso di tecniche agricole e strumenti già noti, sia nuovi. Anche i nuovi terreni vennero
recuperati prosciugando acquitrini e paludi (spazi chiamati ronchi).
Le conseguenze di questo nuovo panorama produttivo furono anche lo sviluppo del commercio che causò un generale
aumento del benessere un grafico, il quale ricadde anche sulla figura dell’artista che acquisì sempre più importanza,
infatti a differenza dei secoli precedenti tra l’XI e XIII secolo si conosce un numero di nomi di pittori soprattutto di
architetti scultori; il che spiega perché loro stessi lasciassero i loro nomi firmando le opere che eseguivano e
progettavano, con un entusiasmo ed orgoglio sia da parte dell’artista sia dal proprio pubblico e committenza, mai visti
prima, il che denota un rapporto del tutto nuovo con i committenti e soprattutto con la comunità di cittadini fedeli

Nonostante non vi sia uniformità di modelli e di temi, vi sono degli elementi linguistici ricorrenti, che permettono di
parlare della nuova fase culturale del “romanico”, che possono essere di volta in volta combinati e declinati in modo
differente, ma sempre sulla base di un lessico che permette di riconoscere una chiesa romanica da un altra, in tutta
Europa
Struttura muraria
Sei in età tardo antica e a Ravenna i muri delle chiese dei
battisteri erano formati da filari di mattoni, in età romanica,
quando la presenza di cave lo consente, vengono invece costruiti
in pietra: i conci talora rifiniti con estrema cura rivestono infatti
all’interno all’esterno le strutture, assicurando adesso è una
solidità che assume un valore simbolico: la stabilità dell’edificio è
anche l’inalterabile robustezza dei principi della fede, la ferma
adesione a tali principi da parte della comunità dei fedeli.
Procurarsi la pietra non era affatto semplice, è capitato infatti
che si ricorresse a monumenti antichi recuperati attraverso scavi.

Delle superfici murarie così compatte correvano il rischio di apparire troppo uniformi, motivo per il quale gli architetti
ripresero dalla tradizione classica la soluzione delle lesene, oltre che dall’inserimento dei paramenti murari con file di
archetti pensili, talvolta e poggiati su piccole mensole figurate (motivo conduttore nell’architettura romanica europea).

La facciata, elementi e tipologie


La facciata è la parte più rilevante dell’esterno, anche perché raccoglie i portali
strombarti d’ingresso, volte si tratta di una facciata spioventi (a salienti) che annuncia
quindi all’esterno la suddivisione interna di navata maggiore navate laterali; altre volte, e
invece facciata una facciata a capanna, che nasconde la suddivisione in navata centrale e
laterali. Ma entrambe sono traforate da aperture di vario tipo come monofore bifore
gallerie e archi ti ciechi, rosoni, che segnano con ritmo diverso la superficie.compattezza
e salvezza sono obiettivi che gli architetti si prefiggono anche all’interno degli edifici ed
il mezzo tifi calce per ottenerne e coprire le navate con ampie volte in mattoni e pietra:

Le coperture utilizzabili possono essere le volte a crociera piuttosto che quelle a botte, scelte appositamente per la
struttura generale dell’edificio che deve andare a sostenere pesi abbastanza elevati. La concatenazione, base - colonna -
capitello, ereditata dal mondo antico diventa sempre meno frequente, lascia posto fai pilastri del profilo complesso a cui si
addossano poi le semicolonne su cui si scarica il peso delle volte.

Lo spazio tridimensionale definito dalla volta dei quattro pilastri che portano il peso e la campata: succedersi di campate
dal luogo poi ad uno spazio caratterizzato da volumi distinti e concatenati, ben diverso da quello Pagato e uniforme delle
basiliche paleocristiane e. In certi casi l’organismo dell’interni si può complicare ancora di più perché gli architetti
arricchiscono lo spazio interno delle chiese con gallerie (O matronei) come anche a San vitale. Le pareti interne degli
edifici romanici in conclusione presentano un’organizzazione del tutto nuova articolazione più complessa rispetto a quelle
altomedievali. Partendo dal basso, il livello delle arcate e dei relativi sostegni (pilastri colonne precede quello delle
gallerie e Pino altro ancora si dispone il livello delle finestre che il numero una nuova da centrale. La copertura come
abbiamo detto e a volte a crociera ma non mancano edifici in cui possenti pilastri sorreggono un soffitto in legno.

Rapporto tra Architettura e scultura


Uno degli aspetti che maggiormente caratterizzano l’arte romanica in tutta l’Europa è il rapporto tra architettura e
scultura dove la scultura si distende ovunque, tanto l’esterno quanto all’interno senza limiti, infatti possiamo trovare per
esempio bassorilievi tanto su una facciata quanto su altri lati della chiesa all’interno. Le sculture si distendono su gli
stipiti, sull’architrave e riempiono le lunette, e spesso anche i battenti delle porte vengono rivestiti da rilievi in bronzo.
Riguardo invece all’evoluzione del capitello, questo rimane corinzio e continua ad avere un ruolo importante ma con un
trattamento o del tutto canonico oppure con varianti più o meno accentuate. E soprattutto a partire dall’XI secolo che gli
scultori usano uno o più lati per inserire all’interno di questi capitelli figure dell’antico del nuovo testamento per
narrarne addirittura i televisori.
Rinfresco di memoria
Elementi caratteristici delle chiese (romaniche e non)
Arco a tutto sesto
Copertura con volte a crociera
Scarico dei pesi su pilastri
Arcate cieche, archetti pensili
Rosoni
Contrafforti: elementi architettonici con funzione strutturale, contrastare le spinte esterne dell’edificio
Lesene: da un punto di vista estetico si avvicina il contrafforte ma ha solo una funzione decorativa
Spessore dei muri maggiore: utilizzo di una struttura muraria a “sacco” dove vengono utilizzate due filari all’interno dei
quali venivano riempiti con pietrame atto a irrobustire la parete. Questo perché
nella copertura della fabbrica si passa dall’utilizzo delle capriate all’utilizzo della volta.
Volta: realizzate in pietra laterizio, ne esistono diverse tipologie quali, volta a botte (successione di archi a tutto sesto),
volte a crociera (intersezione di due volte a botte)
Ridimensionamento di portali e finestre, bifore o trifore
Elementi volti a fare entrare la luce nella fabbrica, come i ceri che evidenziavano anche i simulacri
presenti all’interno della chiesa.

La diffusione del linguaggio romanico, è legata anche e soprattutto alle chiese di pellegrinaggio perché cosi come
giravano i pellegrini giravano anche le maestranze, e si diffondevano particolari iconografie. Commissionata da (?), la
realizzazione inizia nell’847 con la presunta tomba dell’apostolo Giacomo. I grandi centri di pellegrinaggio nel medioevo
erano Santiago de Compostela, la Mecca e Roma con la Chiesa di San Pietro

Chiesa di Santiago de Compostela


Edifico che ebbe un’importanza notale per la diffusione dei modelli artistici del medioevo, soprattutto nella penisola iberica
e nelle vie di pellegrinaggio. Si tratta di un edificio realizzato per ospitare una grande quantità di fedeli che percorrevano
una strada molto lunga e giungevano a Santiago de Compostela, affaticati in questa meta religiosa per venerare le spoglie
dell’apostolo San Giacomo Maggiore, ubicate dell’altare maggiore. La chiesa di Santiago de Compostela è suddivisa in tre
navate che consentivano di poter deambulare attorno al luogo più sacro dell’edificio per poter uscire liberamente sena
contrastare il flusso del pellegrinaggio.

La ricostruzione sotto il vescovo Almirez prevede un coro per svilupparsi in area


ostica per la presenza di una collina, l’edificio ha uno sviluppo longitudinale
dotata di una serie di cappelle che vanno costituire la parte perimetrale che
tiene la parte centrale dove sta la tomba del martire Giacomo.

I vani di accesso, sono diversi:


- Passaggio dall’arco a tutto steso all’arco a sesto acuto
- Utilizzo di murature meno spesse per favorire lo slancio verso l’alto degli edifici
- Si passa dalla scultura a un altro tipo di decorazione, le vetrate e rosoni.

Si tratta di un edificio realizzato per ospitare una grande quantità di fedeli che percorrevano una strada molto lunga e
giungevano a Santiago de Compostela, per venerare le spoglie dell’apostolo San Giacomo Maggiore, ubicate dell’altare
maggiore. La chiesa di Santiago de Compostela è suddivisa in tre navate che consentivano di poter deambulare attorno al
luogo più sacro dell’edificio per poter uscire liberamente sena contrastare il flusso del pellegrinaggio.

In facciata veniva utilizzata un’edicola, volta a creare un ingresso monumentale di accesso alla navata principale che si
chiama protiro. Serviva da riparo per i fedeli durante l’accesso con alla base delle colonne due leoni stilofori che
sorreggevano sulla groppa una colonna che stava alla base di queste edicola.
Portale della chiesa di San Pierre Delacour
Portale fortemente strombato dotato di una serie di archivolti da cui nascono da queste colombe
atte a cercare un ingresso monumentale. Questa e una caratteristica dell’architettura che
troviamo lungo le vie di pellegrinaggio della penisola iberica. Parte strombata ottenuta con una
serie di colonnine, con lo stipite che va come capitello d’imposta dell’architrave che troviamo
decorata. Gli archivolti sono decorati con dei leoni stilofori.

Legato alla funzione portale di accesso alla basilica, c’è un pilastro chiamato Trumeau che
suddivide l’accesso in due aree una d’ingresso e una d’uscita. Sono tutti luoghi di passaggio dei
pellegrini che venivano ampiamente decorate con sculture.
- La porta franchigia, decorazione di apparato architettonico, molto ricca in età romanica
- Portico della gloria

Giacomo assiso su un trono, insieme a Cristo e ai pellegrini. Questa parte dell’edifico attribuita alla bottega di maestro
Mateo capo bottega che e valora sotto Ferdinando II. L’ingresso monumentale prevede un accesso alla navata principale con
la spartizione dell’ingresso ma concessi laterali, tutti decorata. Superato il nartece troviamo la parte romana del portico
della gloria. Aspetto che si sottolinea, la figura di Giacomo Maggiore assiso in trono nimbato con nei castoni delle pietre
caboscion. L’effetto visivo di molte sculture era reso grazie all’utilizzo di materiali, polimaterici, come le policromie
originali.
L’aspetto interessante e che questi edifici vengono restaurati già in epoca antica, sono state ridipinte e le sculture
venivano rinfrescate. Schema interpretativo dello schema di accesso alla chiesa, e si può individuare come si parte dalla
vita terrena al basso e si arrivi a dio e alla vita eterna, rappresentazione dell’umanità prima cristo e dopo cristo, questo
schema di lettura viene applicato per la lettura dei portali di accesso alle chiese. Nei pilastroni a fascio consentono di
scaricare le forze verso il basso.

Nell’architettura romana è comune che si realizzi un portale d’ingresso monumentale con un protiro, (breve corridoio tra la
porta di strada e l'entrata interna di un edificio) le cui caratteristiche sono quelle di offrire un riparo da un punto di vista
strutturale, ed è sorretto da due colonne la cui base e composta da due leoni stilofori, e presta una decorazione che
rappresenta “il giudizio universale”.
Diversa è la conformazione della decorazione della facciata di alcuni edifici che si trovano in territori extra isolani, come
penisola iberica, dove abbiamo un vano di accesso strombato con una serie di colonnine che invitano l’accesso nell’edificio.

Queste caratteristiche si diramano nel territorio grazie alla diffusione delle botteghe, e ai loro spostamenti. All’interno
delle quali troviamo una serie di mansioni: c’è il capo bottega, affiancato da altre maestrane già specializzate e operatori
che si occupano di definire parti già decorate.

Santuario di Santa fede a Cavagnolo


Una chiesa di pellegrinaggio al cui struttura è atta a ospitare un grande numero di fedeli, cera un flusso importante di
genti all’interno di questo edificio che andavano a vedere le reliquie.

Esempio più importante è la statua di Santa Fede che è senz’altro uno dei
reliquiari più rappresentativi, che conserva le reliquie di una santa martirizzata
ine poca romana. La reliquia, di piccole dimensioni è caratterizzata da una
decorazione realizzata con placche metalliche in oro che vengono sistemate
sopra una struttura. Si riconoscono le tecniche caboscion e cloisonné che
vengono inserite nel corso dei secoli.

Un'altra reliquia è la corona della martire decorata con pietre preziose, essa conserva parte del cranio della santa.
Ci interessa sapere come modelli di questo tipo vengano rappresentati in tutta Europa, modelli figurativi che ritornano
come il frammento di architrave della Chiesa di San Lazaro, apposto nella cattedrale. E individuabile anche in questo caso
che la presenza del manufatto attesta la presenza della bottega itinerante, dove abati e vescovi commissionano manufatti
di questo tipo che abbiamo una funzione catechetica e di esercizio del potere e di chi lo detiene. Chi commissionava
l’opera esercitava il potere religioso, per sistemare in facciata determinate opere.
Le abbazie e le cattedrali
Tra le tante varianti regionali dell’edifici che possiamo definire romanici, troviamo al primo posto le chiese di grandi
abbazie e le cattedrali delle città.
Un abbazia senza dubbio fondamentale è quella di Cluny, uno dei luoghi in cui si reagì all’invadenza del potere imperiale
e dei grandi feudatari che tentavano di invadere e lo spazio religioso, la cui risposta fu una profonda riforma monastica
che tenne a bada le intromissioni esterne e recuperò i valori autentici dell’esperienza religiosa cristiana.

L’Abbazia di Cluny
Nel quadro delle istanze della riforma si cala sicuramente l’abbazia Cluny, fondata nel 909 da Guglielmo I, duca
d’Aquitania, ricostruita nel 948 e nel 981. Siamo nel ultimo ventennio del X secolo, abbiamo documentazione dell’inizio
della ricostruzione di Cluny terzo che si riconduce alle fine XI secolo, nel 1088. Viene distrutta a seguito della rivoluzione
francese, 1798 e 1823. Aspetto rilevante perché ricostruiamo la struttura di un complesso monastico solo grazie alle fonti
scritte e quel poco che rimane alle fonti materiali, un aspetto importante e capire che gli abati di Cluny avevano
promosso un rinnovamento spirituale della regola benedettina, che poneva al centro la vita liturgica comunitaria e
soprattutto erano incolati dal controllo vescovile, gli abati erano sottomessi al pontefice aspetto importante che rileva un
aspetto di autonomi anche nelle scelte artistiche.

Edificio a sviluppo longitudinale con un coro nella conca absidale molto profonda
e una serie di absidiole o cappelle che consentivano di celebrare diverse messe
contemporaneamente. Grande chiesa iniziata nel 1088 dall’abate Ugo, e viene
consacrata dal Papa Urbano II solamente qualche anno dopo ne 1095.
Nel 1130 interverrà anche Innocenzo II a conclusione dei lavori, si tratta di un
edificio dalle dimensioni monumentali, dotata di due gradi torri ora scomparse e
una serie di navate, 5, di cui la centrale di dimensioni maggiori

Questo edificio fu demolito ma una serie di frammenti sono stati musealizzati nel museo lapidario di Clony, un dettaglio di
un capitello che si trovava nel deambulatorio. Architetture che si pongono come modello per altri edifici, Cluny ebbe un
notevole influsso nell’architettura.
Oltre le abbazie un ruolo sempre maggiore venne assunto anche delle cattedrali che nelle città erano riusciti a
guadagnarsi una relativa autonomia rispetto al potere imperiale feudale. La chiesa del vescovo divenne spesso immagine
del nuovo corso politico, Motivo per cui viene sentita come nuovo più importante della vita sociale

Altri esempi
In Europa centre settentrionale i riferimenti sono riscontrabili anche in altri monumenti come:
La chiesa abaziale di Notre Dame, dove si individuano due torri nella facciata che chiudono il prospetto principale
dell’edificio. In Italia centro settentrionale troviamo invece la Basilica di Sant’Ambrogio, che è uno sguardo al mito di
Roma riscontrabile in edifici come questo. Le ardite architetture ne fanno un capolavoro, collocata nel nord della penisola
che in realtà non verrà replicato nelle sue forme.

Tra le altre caratteristiche individuabili nel resto d’Italia c’è il frequente utilizzo del rimpiego necessario per 3 motivi:
Reimpiego economico: utilizzato più frequentemente poiché era più semplice reperire i materiali da luoghi che stavano nei
pressi del terreno in cui si doveva ergere l’edificio.
Reimpiego di antiquario: implica la memoria di un preesistente fabbrica, non necessariamente cristiana
Reimpiego sacrale: implica il riutilizzo di manufatti scultorei o frammenti che non sono necessariamente leggibili ma
vengono rimpiegati nel loro valore sacro di reliquia.

Nell’Italia meridionale, abbiamo delle chiese a impianto longitudine con piante a croce latina, con una navata principale
affiancata a due laterali con il transetto arretrato verso la conca absidale con estradosso e intradosso semicircolare
(differente dalla pianta a croce greca che presenta tutti i bracci uguali). In Italia meridionale l’influenza bizantina va
fondamentalmente a condizionare la realizzazione di fabbriche a pianta centrale come abbiamo visto nei territori
dell’impero romano d’oriente. Si constata una copertura con cupola emisferica, altre fabbriche e altre costruzioni che
condizionano sulla base della liturgia e sulla base della funzione dell’edificio sono senz’altro le abazie oppure le chiese
meta di pellegrinaggio.
Abbazia dell’abate guidone
In territorio italiano, a Castel novo dell’abate, inizia nel 1118 la
ricostruzione di un ufficio monistico sotto la guida di un abate, Guidone.
Il punto di riferimento più importate per il progetto della nuova chiesa è
la grande abazia di Cluny, proprio l’abate che richiede l’intervento di
architetti francesi per progettare questo nuovo edificio.
È composto da una grande abside che con uno sviluppo verso l’alto molto marcato
dotata di un deambulatorio che consente il camminamento attorno al punto centrale,
come se ci fosse un'unica navata, molto ampia rispetto a quelle laterali, e con una
copertura a capriate lignea per far sì che non ci sia un peso eccesivo nel cuore della struttura.

Nelle navate laterali troviamo una copertura in pietra con volte a crociera, questo aspetto dal punto di vista architettonico
e sicuramente indicatore, riferimento puntuale all’architettura cluniacense. Nel deambulatorio la fila di colonne che
abbracciano la zona più sacra dell’edifico proprio in uno dei capitelli abbia decorazione con immagine riconducibile a
Daniele nella fossa dei leoni, coincidendo con fonti scritte e alla Bibbia. Quest’iconografia ampiamente usta in età
bizantina cristiana, ma in questo caso e possibile individuare la presenza nel XII del cosiddetto maestro di Cabestan. E
convenzionalmente attribuito a una bottega, e al maestro che la guida, rappresenta una delle personalità più incisive del
periodo romanico. Prende il suo nome dalla lunetta della chiesa di Cabestani ove è la rappresentazione di Cristo come
scene della vita di Maria. Al di là degli aspetti icnografici, risale a noi un frammento di opera d’arte grazie al qual è stato
possibile attribuire un insieme di opere alla stesa maestranza, bottega. Da quest’opera significativa e stato riconosciuto
una serie di opere.

Monastero di San Pere di Rodes, dove si hanno le stesse caratteristiche di quella della
chiesa in territorio italiano. Sensibilità nella realizzazione dei volti, ereditata dall’epoca
longobarda di non lasciare spazi vuoti e incompiuti. Qui il ruolo del modello e soprattutto
dell’opera esposta promuove quelle che sono le stesse maestranze che l’hanno realizzata.
La riforma monastica ha quindi avuto un ruolo importante nell’architettura monastica ma
anche della produzione scultorea nel medioevo.
Basilica di San Marco a Venezia

Venezia tra il IV e il IX secolo - per via dell’arrivo delle genti in fuga dai
rischiosi luoghi dell’entroterra (regione romana) - ebbe un notevole aumento di
popolazione, e ricevette anche le reliquie del palazzo ducale di Alessandria
d’Egitto nella basilica di San Marco.

Questa divenne quindi il centro politico religioso di una città che, grazie la sua
collocazione geografica, aveva basato sul commercio la propria economia e
sulla maniera la propria forza militare. In questo periodo si diffuse anche la
figura dei comandanti autoritari chiamati anche duchi o dogi, il quale potere
unitosi a quello della chiesa fece diventare San Marco una vera e propria
cappella palatina e quindi poi Chiesa di Stato (titolo che ricevette più avanti)

La basilica di San Marco agli inizi dell’ottocento si trovava in una precaria condizione di decadenza, che pareva fosse
destinato ad affondare, ma nel 1063, su commissione di Domenico Contarini viene completamente ricostruita.
Realizzata sul modello dell’Apostoleion (santi apostoli), si caratterizza per una pianta a croce greca con cinque cupole,
uno per ciascun braccio e una maggiore all’incrocio. Venne scelta la croce greca anche per garantire una maggiore
stabilità nel terreno sabbioso di Venezia

Nel XIV secolo inoltrato vennero innalzate le guglie, poi innalzate le cupole rispetto alla fase originale. In facciata vi sono
i cavalli predati a Costantinopoli nel 1204, che troviamo all’interno della decorazione musiva all’interno della fabbrica, se
osserviamo nell’intradosso del portale di Sant’Alipio, individuiamo la facciata della fabbrica di San Marco nel XIII secolo. I
cavalli rimasero nella loggia di San Marco sino agli anni ’80 del Novecento, essi provengono dai carceres dell’ippodromo di
Costantinopoli.

Si può notare che la copertura non è a capriate, come l’architettura che fa


riferimento ai modelli centro italiani, ma è completamente coperta da
cupole emisferiche; si può notare già dalla pianta che cinque cupole si
elevano nei bracci della croce greca che caratterizza la pianta dell’edificio.

Riguardo ai mosaici fu a partire dalla fine del XI secolo in poi che la


basilica comincio ad assumere un aspetto vicino a quello attuale.

All’interno la parte bassa delle pareti viene rivestita da lastre marmore, proprio come nel mausoleo di galla placidia o San
vitale a Ravenna. La zona più alta delle pareti le volte le cupole averlo destinate poi ad una decorazione a mosaico. La
superficie disponibile era vastissima e cominciò un cantiere in cui operarono maestranze diverse in tempi quantomai lunghi,
in un certo senso si trattò di un cantiere sempre aperto infatti fino al 700 rimasero attivi musicisti incaricati di restaurare
e completare i cicli decorativi iniziati in pianeta medievale.

In quell’epoca rinascimentale accadde anche che questi maestri traducessero un


mosaico scene sacre disegnate appositamente per la basilica da grandi artisti veneti.

Il risultato dell’attività dei musicisti in particolare di quelle operanti tra l’XI e il


XIII secolo, è un imponente e complesso programma iconografico che si sofferma su
episodi dell’antico testamento, racconta la vita di Cristo e della vergine, degli
apostoli e del santo più importante di Venezia, San Marco.
La cupola dell’Ascensione
È uno dei punti più alti della campagna decorativa del XII secolo e la
cupola centrale detta “dell’Ascensione“. Il cui nome deriva dal soggetto
posto al centro della volta: Cristo, seduto su un arcobaleno in un riquadro a
forma di cerchio, stellato retto da quattro angeli, mentre sale in cielo: più
sotto, sempre su fondo oro, una serie di alberi con esili chiome separano
l’una dall’altra le figure degli apostoli, della vergine e dei due angeli.

Nella parte inferiore della calotta, tra una finestra e l’altra vi sono invece
raffigurate 10 personificazioni delle virtù, ciascuna identificata da una
scritta latina recante in mano un cartiglio che ne illustra il carattere. In
ognuno dei quattro pennacchi È raffigurato un evangelista intento a scrivere
il pronomi il proprio testo, con dietro la città. Sotto di loro nel punto
vediamo invece le personificazioni dei quattro fiumi del paradiso terrestre.

La struttura e l’iconografia richiamano da vicino quelle di mosaici del V-VI secolo, in particolare la cupola del battistero
degli ariani a Ravenna, difatti si riscontra anche nei particolari dei mosaici la provenienza orientale degli artisti, per via
dell’uso di sfondo oro e di schemi iconografici comuni a Costantinopoli e Ravenna, con frequenti lumeggiature

Risale al XII secolo anche il pavimento della basilica, interamente rivestito di marmi colorati,
in piccole lastre a forma di decorazioni geometriche o in minutissime tessere che formano
scene di decorazioni vegetali

Grazie al disegno del pittore e architetto Antonio Visentini possiamo osservare come il
pavimento di San Marco sia composto da zone che pur diverse l’una dall’altra per schemi e
tecniche si integrano nella struttura decorativa generale in porzioni quadrangolari, poligonali
e circolari e si accostano le une alle altre addirittura suddividendosi a loro volta in altre
partizioni minori. Nella decorazione è evidente come domini la geometria in una ricerca di
simmetrie e corrispondenze tra le parti, evitando la ripetizione il nome di quel desiderio di
varietà che caratterizzava il gusto artistico medievale

Quando la flotta e l’esercito veneziano tornarono vincitori della quarta crociata, i crociati avevano violentemente
conquistato Costantinopoli e fecero poi quello che hanno fatto gli eserciti di tutte le guerre, portando in patria come
trofei una serie di opere d’arte sottratte alla capitale dell’impero d’oriente: quattro cavalli bronzi che avevano fatto
parte di una quadriga forse dieta ellenistica e che vennero collocati sulla facciata di San Marco; entrare in porfido collega
collocati sul fianco meridionale della Chiesa, Verso il palazzo ducale; i cosiddetti “pilastri africani” e reti a pochi metri dal
fianco meridionale, ma soprattutto una quantità impressionante di lastre marmoree, colonne, capitelli, bassorilievi punto
esterno di San Marco consiste infatti nel rivestimento, unitario ma in realtà è costituito da pezzi di dimensione, materiali,
colori differenti: una sorta di museo all’aperto di esposizione della decorazione scultorea bizantina
Basilica di Sant’Ambrogio a Milano
Mentre il Veneto (e il Friuli) fu sensibile linguaggio artistico bizantino, il resto dell’Italia
settentrionale andava non ho direzione diversa da elaborava, nella cultura
nell’architettura temi e forme tipici dell’età antoniana. Se n’è una prova nella chiesa di
Sant’Ambrogio a Milano, l’edificio che conservatrice del santo patrono della città,
Ambrogio, una delle figure più importanti della Chiesa della cultura tardo antiche,
vescovo di Milano dal 374 fino alla morte.

Di questo edificio si hanno una serie di fasi edificatorie:


- La prima fase risale alla basilica martirium fondata da Sant’Ambrogio nel IV secolo in cui la chiesa rimane di impianto
paleocristiano
- La seconda fase risale a quando la chiesa venne adattata alle nuove funzioni e l’area presbiteriale fu sistemata anche
per accogliere lire lo splendido altare di Vuolvinio
- Ma fu soprattutto nella terza fase (ottoniana) dell’XI secolo, che iniziarono i lavori destinati alla trasformazione
dell’interno e dell’esterno, con la realizzazione del ciborio, sorta di edicola che protegge l’altare
- La quarta fase, infine è riferibile al periodo romanico, con la ricostruzione di quello che è un momento di rinascita
dell’architettura di Milano.

Le prime basiliche cristiane consistevano in una grande aula attraversata da due file di colonne, chi entra a Sant’Ambrogio
invece non trova davanti a sé un ambiente unitario bensì uno spazio suddiviso in grandi volumi accostati l’uno all’altro,
definiti dei pilastri maggiori in alto delle volte.

La Chiesa, priva di transetto è preceduto da un grande quadriportico (spazio per chi ancora non era battezzato su pilastri)
di eccezionali dimensioni. Il colore dominante è il rosso del laterizio, che si combina con la pietra grigia dei pilastri, e
l’impiego di materiali più antichi con una funzione fondamentalmente di tipo antiquario o sacrale.

La facciata a capanna (poi modello per l’architettura dell’area nord italiana), si


innesta sul lato corto del quadriportico, cosicché sull’ingresso si forma un atrio è al
di sopra un loggiato; il in alto, lungo il bordo degli spioventi con una cornice che si
trovano anche nel quadriportico E nella navata interna: si tratta di un motivo
decorativo tipico dell’architettura romanica in tutto Europa.

Da una parte sono due campanili a pianta quadrata: a destra quello “dei monaci“ (il
più antico) a sinistra quello “dei canonici“. Le occasioni in cui suonare le campane
furono proprio una delle ragioni di indi contrapposizione, nei secoli, tra le due
comunità che condividono l’uso della Chiesa.

L’interno propone soluzioni che provengono in gran parte dell’architettura ottoniana,


come l’adozione dei pilastri di volte a crociera. Scompaiono le colonne della primitiva
chiesa fondata da Sant’Ambrogio, per lasciare il posto a una serie di massicci
pilastri che si alternano pilastri minori E questi grandi supporti servono sostenere
le ampie volte a crociera costolonate che coprono la maggiore, ognuna di esse
corrispondono poi due volte a crociera delle navate e il punto sulla navata maggiore
al di sopra delle navate minori si affacciano i fini matronei.

Questa nuova scansione dell’interno si adeguano ai capitelli, il cui schema complesso deriva dalla struttura articolata dei
pilastri su cui scorre un repertorio iconografico variegato di animali, intrecci, Motivi vegetali. Nell’area lombarda durante
l’età romanica tanti edifici prenderanno modello sì a questo vivace repertorio scultoreo sia le soluzioni architettoniche
messe a punto nella Chiesa milanese
Duomo di Modena, (Santa Maria Assunta in Cielo e San Geminiano)
Il duomo di Modena rappresenta uno degli esempi più rappresentativi del romanico padano,
Che si differenzia notevolmente dallo stile architettonico della basilica di San Marco a
Venezia, esternamente, (almeno in origine) pressochè spoglia, e internamente invece ricoperta
da metri e metri di mosaici nelle pareti, rispetto al Duomo di Modena che invece ha tutto
proiettato all’esterno, con sculture che punteggiano ogni zona dell’edificio e si congiungono
saldamente con le strutture architettoniche, in cui vi è l’utilizzo della policromia.

La chiesa viene realizzata come luogo sacro dove l’esperienza religiosa si realizzava
pienamente grazie la santità delle reliquie all’interno dell’edificio. Era infatti l’intensità e la
devozione del culto ad indurre ad affidare ad artisti della migliore qualità il compito di
costruire le chiese di decorarle, anche perchè la gente di quel tempo era in grado di cogliere
ricercare la bellezza, anche se solo in funzione della propria religiosità, e dei culti e dei riti
che vi erano connessi.

Il progetto di Lanfranco
L’architetto Lanfranco fu capace di creare un edificio cristiana medievale, dall’altra giornata secondo gli schemi tipici della
nuova architettura dell’XI secolo, le navate infatti sono interne coni navate interne sono in mattoni e in origine coperte
con grandi travi di legno mentre l’esterno è totalmente rivestito da conci di pietra, con un rosone, che consente l’entrata
della luce che poi diventerà caratteristico dell’arte gotica. Il protiro della facciata invece è tipico dell’architettura
romanica.
Per ottenere un aspetto massiccio solenne come quello del Duomo, reso dalla pietra che rendeva l’edificio prevalentemente
biondo Lanfranco ero riuscito a recuperare marmi delle rovine sepolte negli strati romani della città era riuscito anche a
far venire una grande quantità di blocchi di pietra delle Prealpi venete, con un enorme sforzo economico e tecnico
considerato il trasporto sconveniente su ciò chiatte che navigavano su fiumi e canali della pianura padana.

All’interno il Duomo ha tre navate in cui pilastri quadri lobati si alternano colonne
con capitelli di tipo corinzio. Il presbiterio sopraelevato a causa della presenza della
cripta, destinata alle reliquie del santo protettore. Le attuali volte in mattoni
vennero aggiunte nel XV secolo, mentre il progetto originario prevedeva un tetto
sostenuto da travi di segno. Sopra ciascun arcata della navata maggiore troviamo il
motivo di trifola, una finestra suddivisa in tre aperture mediante due colonnine,
motivo che permise Lanfranco di dare unità di forme all’edificio.

L’esterno poste sotto arcate a loro volta sostenute da semicolonne, uno dopo l’altro formano un loggiato che gira attorno
all’edificio e in certi punti (come la facciata) è accessibile e praticabile. La coppia di semicolonne, allargata, la trifola e la
sottostante cornice di archetti formano un modulo che si ripete, con un ritmo regolare armonico, lungo tutte le facciate
esterne del Duomo, e con grandi capitelli delle semicolonne e delle logge e delle mensoline figurate, tutti diversi tra loro.

Portando così gli scultori chiamati da Lanfranco, ad un lavoro straordinario per dimensioni e varietà che prevede:
- circa 40 capitelli delle semicolonne, ciascuno largo circa mezzo metro e alto poco meno
- 60 capitelli delle colonnine delle trifola esterne
- 200 capitelli delle mensoline della cornice di archetti sotto le logge
Così l’esterno del Duomo si popola di una sfilata di figure impressionante per varietà e numero. All’esterno dell’abside
principale è l’epigrafe dedicata a Lanfranco, sottolineò proprio questa novità del Duomo modenese modenese, i bassorilievi
delle storie della genesi
La ritmica combinazione di scultura architettura è impostato a partire da raggiungere. Il merito dello scultore che
è stato definito il “regista“ dell’intero prospetto ci dentale e Village elmo, di cui conosciamo il nome da un basso da
rilievo collocato a sinistra del portale centrale, in una posizione ben visibile da terra. Fra le tante “firme“ di scultori
e di architetti romanici nessuna celebra l’artista rivolgendosi direttamente come questi due versi modenesi, il che
dimostra come la grandezza dell’artista venga riconosciuta dai suoi stessi contemporanei

Bassorilievi con le storie della genesi

In origine i rilievi erano alla medesima altezza ma con i nuovi lavori


vennero affidati affidate il campione easy il primo il quarto
bassorilievo vennero collocati su un livello più alto rispetto al
secondo e il terzo, rimasto loro posto. Quindi all’inizio le storie della
genesi scorrevano sulla facciata come un fregio classico: la prima
testimonianza si tratta della prima testimonianza dell’amore di
Village elmo per l’antica forse in continuità con le sue formule
compositive.

I quattro rilievi ospitano in tutto 13 scene incentrate, poi suoi figli come noi va bene, infine sono è il diluvio universale.
È l’inizio della storia del genesi dell’antico testamento e sono riportate in sequenza cronologica.

Tra le scene c’è la disubbidienza di Adamo ed Eva, ampiamente marcati da


un’epigrafe, con Eva che esce dal costato in una rappresentazione quasi non
naturale. Adamo invece è sdraiato, con la gamba destra che avrebbe dovuto
essere rappresentata sopra quella sinistra per una rappresentazione più
naturale, poggiati su una roccia. (Queste figure diventeranno poi dei modelli
per le botteghe scultoree in area padana)

La scena di Adamo ed Eva per i cristiani rappresenta il peccato di ciascun uomo davanti addio una scena che per gli
uomini del medioevo era un mezzo per ricordare le ragioni della venuta di Cristo e comprendere il senso dei riti che si
sarebbero svolti nella chiesa principale della città inoltre il ricordo della colpa dei progenitori e della loro punizione si
alleggerisce però con la copia di euro Celia, i primi uomini ad essere riammessi nel giardino del dell’eden, E gli uomini
devono essere consapevoli del peccato ma anche della speranza che porta la salvezza
Duomo di Pisa
Un esempio di produzione artistica di altissimo livello è la cattedrale di Santa Maria
Assunta a Pisa il cui progetto fu affidato a Bruscheto. La costruzione della cattedrale
inizia nel 1064. L’ampliamento si verificò verso la facciata nel 1153 (XII secolo) su
progetto di Rainaldo. In facciata ci sarà l’intervento di una bottega guidata da uno dei
più importatati scultori del XII secolo, ovvero sia maestro Guglielmo.

In una delle epigrafi incise sulla facciata del Duomo, viene descritta la conquista di
Palermo e ricordata anche la fondazione del Duomo, volutamente accostati, dato che
il bottino di guerra servi proprio finanziare la cattedrale, voluta dei cittadini di Pisa, gli stessi che
(senza distinzione di classe) e cippato la salto del porto di Palermo.

.Il colore bianco della Chiesa dato dai calcari e marmi era l’elemento che sorprendeva gli uomini del
tempo infatti anche il colore oltre alle dimensioni contribuisce a far rispettare la cattedrale rispetto
agli edifici circostanti e nel paesaggio, ben visibile da lontano.

La facciata è a salienti. All’interno troviamo la decorazione a losanghe degli archetti che nascono
da semicolonne o colonne poste bel paramento esterno.

Attorno alla metà del XII secolo inizia una nuova campagna di lavori e la
cattedrale viene allargata verso ovest, Sul fianco meridionale si riconosce
facilmente, per il cambio di colore delle pietre, il punto in cui termina il Duomo di
Busseto e inizia l’aggiunta del nuovo direttore dei lavori, Rinaldo, anche di questo
artista abbiamo una scritta che lo onora, realizzata in un raffinatissimo intarsi di
marmi colorati come il resto della cattedrale, è realizzata in un raffinato
intersecarsi decorazioni in pietra i compositi colonnine multicolori e capitelli
attentamente lavorati e cornici minuziosamente definite
Sono evidenti gli aspetti decorativi, che sono quasi la marca distintiva dell’architettura nord tirrenica i cui modelli partono
da Pisa e da Genova, ovvero l’utilizzo dell’opera bicroma, come i filari alternati da basalti scuri e arenarie chiare. La
loggia su colonne appare per la prima volta a Pisa, che verrà poi replicata in tutta l’area toscana, questo per sottolineare
il ruolo di prototipo che assume l’architettura pisana.

L’interno
Boschetto progetto dunque una grandiosa chiesa a impianto basilicale dotato di cinque
navate sorrette da gigantesche colonne, il transetto, di dimensioni monumentali, è dotato
anch’esso di tre navate. Le navate laterali sono coperte da volte a crociera e all’incrocio
dei bracci si eleva una cupola ellittica, ed alla fine delle quali due scale monumentali
conducono ai matronei, un avere propria chiesa superiore.
Diverse colonne e capitelli vennero eseguite appositamente, altre vennero trattate delle
rovine antiche, il reimpiego qui a Pisa assunse proporzioni mai viste prima infatti vide
anche il riutilizzo di sarcofagi, rilievi, basi e cornici, presi da fabbriche classiche e
riutilizzati in punti diversi del grande edificio.

Nella conca del catino absidale possiamo documentare la raffigurazione del Cristo
Benedicente, la Vergine a destra e San Giovanni Evangelista a sinistra, esso viene
realizzato sul cartone di Cimabue. Solo nel 1302 e 1303 viene attestata la sua
produzione, ma sicuramente lavorò anche negli anni precedenti.
Troviamo il San Giovanni evangelista nel cartone di Cimabue. Il problema dell’antico è
visibile nella volta degli evangelisti; ricordiamo gli eventi drammatici che hanno colpito la
basilica di Assisi, come il terremoto degli anni ’90, a causa di cui molte delle opere di
Cimabue sono state perdute
La porta di Bonanno —> 1080-86
Sul fianco meridionale, nel transetto destro del Duomo vi è un’altra opera dell’artista, la porta
di San Ranieri: dove Bonanno raffigura fondamentalmente episodi della vita e della passione di
Cristo, con riferimenti epigrafici, più precisamente alla base dei battenti, 12 profeti, ciascuno
separato da una palma, un albero del valore simbolico sin dei primi secoli del cristianesimo.
a seguire verso l’alto, 20 formelle ognuna, con un episodio del Vangelo, ed infine nella parte
superiore, due riquadri, uno con Cristo, l’altro con la vergine in trono tra gli angeli, al momento
della nascita sdraiata come una Giunone al momento della lavanda del bambino, questa è
un’invenzione iconografica di questi anni riferibile in particolare alla bottega di Guglielmo.

Mentre Cristo è raffigurato nella scena del battesimo di Cristo sul fiume Giordano, rappresentato in una sorta di forma
triangolare che raffigura l’acqua. La trasfigurazione del Monte Tabor è una delle iconografie di maggiore spessore che
vengono rappresentate e riprodotte nelle decorazioni figurative medievali. Le formelle e i riquadri furono fissati una
struttura lignea tramite chiodi, coperti da rosette, come nelle altre porte bronzee.

Grifo
Uno dei segni più impressionanti di questo sguardo rivolto all’arte orientale e il grifone bronzeo di
produzione araba, posto al culmine dell’abside maggiore, in origine un oggetto di fontana. Realizzato
nella Spagna araba del XI secolo è collocato in un punto così visibile ed esterno probabilmente per
richiamare le vittorie sulle flotte saracene, E ma anche una maniera per rendere omaggio un
linguaggio artistico del tutto diverso da quello romanico. Questo bronzo Rappresenta anche
l’attenzione anche se minima di boschetto verso la scultura.

Pulpito/Ambone di Guglielmo
liturgica E poco dopo la metà del secolo, all’inizio della realizzazione della facciata di
Rinaldo si inserì all’interno di lavori un nuovo artista, lo scultore Guglielmo, autore della
recinzione presbiteriale e dell’ambone del Duomo, Gruppo scultoreo raffigurante San
Paolo con Tito e timo Teo, tornato da episodi evangelici, realizzato in marmo firmato
fieramente dell’artista e, realizzato (proprio a detta dell’artista) in quattro anni esatti.

Il pulpito di Guglielmo si compone di: 8 lastre con storie del Nuovo Testamento; 2 leggii con Tetramorfo e San Paolo; 4
capitelli e 4 semi capitelli; 4 colonne e 4 semi colonne (queste ultime derivate dalla divisione di due colonne); 4 leoni in
origine stilofori, che sono stati smembrati e reimpiegati nella zona di accesso all’altare. Il cassone è sorretto da colonne e
semicolonne di cui parlavamo pocanzi.

Guglielmo gli fu il primo scultore che a Pisa si confrontò direttamente con la figura umana e con la narrazione di episodi
di Vangeli, riprendendo spesso dei modelli classici.

Nel 1312 l’opera venne portata a Cagliari, in una città allora compresa nei domini pisani, di modo che l’ambone di
Guglielmo lasciato il posto a quello realizzato Giovanni pisano pisano. Arrivato a Cagliari, probabilmente come reliquia,
venne smembrato e collocato in controfacciata, nella terza colonna destra all’interno della chiesa di Santa Maria Assunta
e Cecilia a Cagliari.
Pulpito di Giovanni Pisano a Pisa
Questo pulpito fu smembrato con diversi problemi critici per la storia dell’arte,
legati al fatto che non si conoscesse la connotazione originaria della struttura.
Grazie a un documento seicentesco a noi pervenuto, sappiamo che questo
elemento di arredo liturgico era sistemato sulla terza colonna destra. Ora è
collocato in contro facciata nella cattedrale cagliaritana di Santa Maria Cecilia,
posto ai lati del portale mediano non ha più una funzione liturgica.

Le colonne erano due colonne stilofore, poggiavano sulle sculture zoomorfe,


ovvero i leoni stilofori. I leoni stilofori sono alla base dell’altare barocco. Sulla
groppa del leone c’è un foro che testimonia la presenza di una colonna in
passato, ovvero sia quella che reggeva la cassa che costituiva il pulpito. Sono
state diverse mani, ossia diversi scultori, ne è testimonianza la realizzazione
plastica dell’opera richiama i modi della cultura islamica.

Al lato di una delle due casse vi è raffigurata l’ultima cena, il piano di fondo è
liscio; mentre nella scena dell’annunciazione e della visitazione di Maria il piano
di fondo presenta una decorazione fitomorfa a girali. Sicuramente il capo
bottega era Guglielmo, ma si serviva sia di aiuti da formare sia da parte di
altri maestri di altissimo livello.

La scena della trasfigurazione del monte Tabor presenta, sempre sul piano di formo, una decorazione fitomorfa a girali
ancora differente rispetto alla precedente. Gli arredi liturgici che hanno una certa complessità compositiva vengono
realizzati da botteghe che lavorano a un progetto comune.
Uno dei dettagli del pulpito di maestro Guglielmo che ci conferma l’influenza dei modelli classici è la raffigurazione di un
episodio tratto dal Naturali Historia di Plinio, come nel caso dell’episodio di Sauro e Batrhracos: troviamo una rana (sauro)
e una lucertola (bathracos) nelle volute dei capitelli pseudoionici; si evince un ripetuto uso del trapano.
Firenze è un centro minore rispetto allo sviluppo di Pisa, sia dal punto di vista urbano che economico. Alla morte di
Guglielmo ci fu una sorta di diaspora che vide diverse maestranze spostarsi da Pisa verso i cantieri di altre città italiane,
tra cui quelli sardi.
• Battistero monumentale di Diotisalvi
Verso la metà del XII secolo, mentre Rinaldo metteva in opera il proprio progetto di
ampliamento della cattedrale verso occidente, iniziarono anche i lavori del nuovo
battistero, precedentemente di forma ottagonale, solo dopo restaurato sul modello della
resurrezione di Gerusalemme.
Diotisalvi riprese dunque i lineamenti dell’Anastasis e nel 1163 fece arrivare dalle cave
della Sardegna e dell’Isola d’Elba otto colonne , e cercò di armonizzare allo stesso
tempo sia interno che esterno nell’edificio con il duomo di Rainaldo, sia per il
rivestimento i blocchi di marmo di due colori sia per la sequenza di arcate cieche. _

Il battistero ha una struttura di grandi dimensioni a doppio involucro e ha una cupola tromboconica che si imposta sullo
spazio emisferico. I modelli sono quelli classici della prima cristianità e del Santo Sepolcro.

All’interno del battistero è conservato un altro monumento, realizzato dal padre di


Giovanni Pisano, Nicola Pisano, appunto il pulpito di Nicola Pisano, una
microarchitettura costituita dai parapetti scolpiti con scene del Nuovo testamento,
come la scena della crocifissione. Sorretto da delle colonne che posavano sui leoni
stilofori, frequentemente utilizzati come soluzione di ingresso nelle chiese romaniche
del territorio italiano. Troviamo delle rosette scultoree con figure fitomorfe e scene
che dal punto di vista iconografico sono delle innovazioni.

La lavanda del bambino è un’innovazione iconografica di questi anni. Le invenzioni


iconografiche di questo periodo sono da attribuire alla prestigiosa bottega di Maestro
Guglielmo. Scena del Battesimo di Cristo sul fiume Giordano di Bonanno Pisano.
S’iscavamentu è la rappresentazione fatta da attori che replicano la scena in cui
Gesù viene deposto dalla croce. Dal 1159 al 1162 viene realizzato uno straordinario
pulpito, il quale venne trasportato a Cagliari solo nel 1312 quando venne sostituito da
quello di Guglielmo. Questo manufatto venne smembrato nel 1669-74, prima si trovava
nella terza colonna destra e viene posto controfacciata.
Torre di Pisa
La torre, simbolo della città di Pisa è un monumento notevolmente conosciuto, costruito tra il
1173 e il 1370 a una storia molto variegata e particolare che inizia quando il 9 agosto 1173,
quando vennero gettate le fondamenta, si scoprì che l’aria era bagnata da un fiume che si
gettava nell’Arno e considerato che il sottosuolo della piazza dei miracoli, una pianura
alluvionale, è composto da strati di sabbia e argilla, tendeva a cedere sotto il gran peso della
torre.

La torre campanaria a base circolare, è autonoma rispetto all’architettura della chiesa; ha


dimensioni notevoli (56m) e viene costruita nell’arco di due fasi edificatorie in due secoli
differenti. I lavori iniziarono alla metà del XII secolo (1173) e terminarono nel secolo
successivo. (A metà XI secolo nell’Italia centrale c’è una straordinaria fioritura architettonica,
un salto di qualità giustificabile con il fatto che ci troviamo in un territorio con consistenti
risorse economiche e diverse maestranze che consentono di avere una produzione artistica di
altissimo livello).

Ragion per cui la costruzione durò quasi due secoli dei suoi otto “ordini“ (o piani), i primi
quattro furono edificati in quella si potrebbe definire prima fase, in soli cinque anni, ma
con un risultato di un inclinazione della torre nella direzione opposta alla pendenza
attuale, il cantiere quindi venne interrotto per quasi un secolo.

Nella seconda fase, dal 1272 al 1278 si innalzarono i tre “ordini“ dal quinto al settimo, spostando abilmente il peso per
compensare la perla pendenza ma facendo così inclinare la torre verso sud il cantiere fu interrotto di nuovo.
Infine, nella terza fase, dal 1360 al 1370 fu edificata la cella campanaria decentrandola per non ridurre la pendenza.
In questa lunga storia il progetto iniziale di Bonanno rimase sempre lo stesso, con misure rigorosamente calcolate e con
una distribuzione simmetrica delle colonne è basata su nozioni dell’antica matematica greca ancora ignote in Europa.

La pendenza della torre si accentuò nel tempo e con una velocità crescente. L’allarme per un possibile crollo portò anche
alla nomina di un comitato internazionale di esperti, fino a 11 anni risolvere il problema con una tecnica avanzatissima e
senza alterare la struttura del monumento che prevedeva un ancoraggio provvisorio di sicurezza con cavi di acciaio che
però non venne mai utilizzato, dei pesi di piombo posti temporaneamente sul basamento della tua nord, 41 tubi con
spirale interna per l’estrazione di terreno sottostante per concludere con la torre che chiude col suo peso la cavità e le
cavità formata dall’estrazione del terreno. Per la terza volta dopo i calcoli matematici del progetto iniziale gli esperimenti
di Galileo sulla gravità, la torre di Pisa fu capace quindi di mostra la sua vocazione di farglielo dare arte e scienza

Cattedrale di San Martino a Lucca


Costruita nell’XI secolo, dopo il 1060, riporta in facciata, l’influenza di Pisa.
La torre campanaria vede una monofora al primo ordine e una quadrifora negli ultimi due ordini,
questo era uno strattagemma architettonico che permetteva di alleggerire il muro man mano
che si innalzava l’edificio. Nelle vele del porticato troviamo la scultura che raffigura la cavità di
San Martino. Nelle logge troviamo l’uso di tarsie marmoree.

Chiesa di San Giovanni fuoricivitas a Pistoia


Realizzata nell’XI secolo avanzato, la struttura ha un impianto basilicale ed è completamente
realizzata con filari marmorei sovrapposti di diversi colori: marmo verde di Prato e bianco di
CarraraAA, che consente di costituire una bicromia tipica dell’Italia del XII secolo. Notiamo
l’uso della losanga e delle lesene. E importante ricordare che le lesene hanno una funzione
differente rispetto ai contrafforti che, a differenza delle prime, hanno funzione non solo
decorativa ma anche architettonica. A Pistoia venne adottato l’uso della losanga, ossia la
decorazione a forma di rombo. Dopo il 1119 fu ricostruita.
Battistero di San Giovanni a Firenze
Databile all’età medievale nonostante il carattere marcatamente classico, il battistero è
di impianto ottagonale, una forma canonica per i battisteri. All’inizi del XIII secolo su
uno dei due lati venne aggiunto un vano a pianta rettangolare, (a Firenze, “scarsella”, la
borsa dei pellegrini)
Proprio come nell’uomo di Pisa, l’esterno è rivestito totalmente di pietra, ma mentre
l’uomo di boschetto e Renato dominava il candore delle pietre bianche grigie, qui a
Firenze vennero usati serpentino verde di Prato e il bianco di Carrara.
L’architetto si riferisce quindi al Duomo di Pisa, ottenendo però un risultato
completamente diverso, con le pietre bianche e verdi tagliate congiunte in modo tale da
formare compartimenti geometrici sempre diverse tra loro.
Nella zona più bassa due lesene dividono il lato in tre campi entro cui si dispongono delle serie di rettangoli di altezza
diversa. Anche in quella mediana viene ripresa la scansione ternari a, ma questa volta le lesene sostengono tre arcate
cieche a tutto sesto su ogni lato; a loro volta le arcate con una finestra ciascuno, che con un andamento alternato ora
sono ricavate sotto una cartella un arcatelle, ora sotto un architrave è un fronte uncino.

A regnare in tutto l’edificio è un ordine misurato, un ritmo regolare di superfici scandite da


pochissimi elementi scultori. che nell’adozione di figure geometriche regolari. Il classicismo
dell’anonimo architetto del battistero consiste in questo desiderio di esattezza, decisione cornici
che separano gradatamente ma con chiarezza una zona dall’altra, nei profili minuziose ma
minuziosamente scolpiti dalle finestre, come a voler risaltare che la specialità di un monumento
non sta sempre e solo nella grandiosità ma nell’attenzione al dettaglio: la giunzione dei blocchi
il lisciatura della pietra, la millimetrica definizione delle cornici

All’interno, le combinazioni di marmi verdi e bianchi nella zona più bassa sono
ancora semplici come l’esterno, ma si fanno sempre più complessi a mano a mano
che si sale fino al livello nei matronei, dove diventano vere proprie tarsi; per poi
semplificarsi di nuovo a livello del tamburo della cupola, dove si susseguono una
sequenza di compartimenti quadrati.
Anche all’interno la scultura sottolinea i passaggi architettonici con scansioni sottili
quanto niente, le lesene sono scanalate e rudentate, come nell’architettura antica, e
sui modelli antichi sono però pensati i capitelli e semi i capitelli delle lesene

Anche all’interno l’architetto romanico servito solamente alle partiture marmoree un


repertorio ornamentale classico, ritenendo questo linguaggio il modo migliore per
rendere grandiose un luogo del battesimo e per onorare San Giovanni battista
Riguardo la decorazione del pavimento si attenua il rigore del progetto iniziale del
battistero, i marmi chiari e scuri si aggiungono anche i nuovi colori, la superficie
Ottagonale poi viene suddiviso in tanti settori, triangolari quadrati o rettangolari e
con diverse stesure ma sempre in linea tra di loro.

La chiesa di San Miniato al monte a Firenze


richiami Elementi a quelli simili visti nel battistero di San Giovanni le ritroviamo
anche nella chiesa di San Minato al Monte, dove i richiami ai modelli classici sono
ampiamente visibili. Troviamo le capriate come copertura della navata principale,
generalmente erano decorate, soprattutto negli edifici più importanti. In Sardegna
abbiamo una testimonianza iconografica delle capriate della chiesa della Maddalena di
SiriaAA. Dopo il 1013 fu ricostruita; mentre risale al 1207 l’iscrizione pavimentale a
tarsie marmoree. Troviamo articolati elementi di arredo liturgico, come il pulpito
marmoreo a ridosso del presbiterio.
Basilica di San Clemente a Roma
un A Roma, una storia di millenni si concentra in un unico spazio geografico capita spesso di assistere ad un sovrapporsi
di epoca in un solo momento, questo fatto è riconoscibile soprattutto nella chiesa di San Clemente in Laterano, poche
centinaia di metri dal Colosseo. Sotto la chiesa infatti si trova una complessa stratificazione archeologica che va dei primi
secoli dell’impero romano fino al medioevo inoltrato.

La Chiesa ha tre navate e tre apsidi, che all’esterno sono chiuse da un muro rettilineo che va a congiungersi al
transetto, all’interno Per la prima volta nell’aria pugliese compaiono i matronei. Lungo i fianchi, nel corso del XII secolo,
vennero un altro di grandi e profondi contrafforti con lo scopo di sostenere gallerie con finestre e aperture. La facciata,
in pietra chiara come del tutto il resto dell’edificio, affiancata da due presenta possenti torri a base quadrangolare, ben
diverse l’una dall’altra nell’altezza della struttura. Le file di archetti pensili che corrono in alto sulla facciata e sui
fianchi sono delle prove Nicola avevano come punto di riferimento l’architettura romanica ed in particolare quella
settentrionale.

Gli affreschi
Negli strati più bassi troviamo resti di edifici residenziali che a loro, a loro volta, subirono interventi nei secoli successivi,
Uno dei più rilevanti fu la costruzione di un vitreo, cioè di un piccolo tempio dedicato al culto di mitra (divinità orientale
venerata dai legionari romani) e su cui fu costruita una basilica cristiana frequentata per tutto il lato medioevo, oggi
sotterranea perché nel XII secolo fu parzialmente abbattuta per far posto a quella attuale e sulla quale viene dipinto
uno dei più importanti artisti di età romanica in Italia, quello con le storie dei santi Clemente e Alessio e, davanti a
cui anche medievale si trovava meravigliato e le trovava miracolose in quanto tali degne di ammirazione e memoria.

La scena del salvataggio miracoloso nella prova, secondo la leggenda Clemente era
stato gettato in mare legato ad un ancora e per il suo corpo gli angeli avevano costruito
una tomba sottomarina che le acque ritirando si lasciavano vedere visitare una volta
all’anno. Durante una di queste visite e una madre dimentico il figlio, che venne inghiottito
dalle acque ma che ritrovo dopo un anno nel medesimo luogo. Ritroviamo quindi al centro
della scena la madre che si piega a terra verso il bambino, sulla sinistra invece si rialza e
lo stringe tra le braccia
Il tutto avviene attorno al sepolcro in forma di tempietto con altare (per far capire che
siamo sotto a quel pittore la circondato con un vivace contorno di pesce)

Nella faccia sottostante la vita riprende il ritmo ordinario, in piedi, in una accanto all’altra
sono rappresentate frontalmente le persone che hanno donato l’affresco, Edifici dei
committenti ed un’altra donna, forse la governante. Un’iscrizione in eleganti le tre capitali
spiega che bello, uno di coloro che hanno donato la fresco, fatto dipingere la scena per
amore di San Clemente e per la redenzione della propria anima”

Oltre alle scene dei miracoli legati a San Clemente troviamo anche la
storia della donna trasformata in colonna, che racconta di un prefetto
di nome Sisinnio che aveva una moglie convertita al cristianesimo che,
segretamente, va ad assistere alla messa di San Clemente.

Essa viene scoperta, catturata ed arrestata dai soldati su ordine del prefetto; tuttavia, l’intervento di Clemente fa
trasformare la povera cristiana in una colonna.
Troviamo le pavimentazioni cosmatesche, ovvero della scuola dei Cosmati; all’interno di esse troviamo un cerchio ricavato
da un fusto di una colonna di porfido affettato e reimpiegato. Queste decorazioni hanno anche lo scopo di marcare i precisi
percorsi liturgici da seguire durante determinate funzioni. Nella conca absidale alla base del catino riconosciamo una serie
di agnelli riferiti agli evangelisti; troviamo, inoltre, girali fitomorfi. A Roma nell’XI secolo ci sono diverse testimonianze che
possono riconoscere all’interno delle pareti.
Bari essendo in un area politicamente molto instabile dell’alto medioevo, invasa dall’influenza del mondo bizantino ed un
obbiettivo delle incursioni saracene e normanne, la città finì per entrare nell’orbita della cultura artistica occidentale e
romanica, alla fine dell’impero di Bisanzio

San Nicola a Bari


Nello stesso 1701 1071, cambio anche l’abate di una delle più importanti istituzioni
religiose della città, il monastero di San Benedetto Elia, nuovo abate sarebbe
diventato una figura di spicco nella città tra il fine tra la fine dell’11º capitolo XII
secolo. No, quando un evento inciso sulla vita religiosa sia sulla storia artistica di Bari
è: un gruppo di 62 marinai baresi trafugò dalla città di Maira Nicola, preso in
affidamento della batteria che con l’appoggio popolare fece costruire una chiesa
dedicata in onore di San Nicola che rappresenta dal momento da quel momento in poi
visibilmente la nuova stagione politica che si era pochi anni prima aperta in città

(non per caso i marinai del 1087 ebbero lunedì essere sepolti lungo le pareti esterne dell’edificio sacro nel 1098 la cripta
ospita addirittura nel concilio indetto il Papa urbano secondo).
La chiesa, che all’esterno sono chiuse; all’interno per la prima volta nell’area pugliese. XII secolo i grandi e profondi
scopo di sostenere aperture. La facciata in pietra chiara come tutto il resto della edificio, e affiancata da due possenti
torri a base quadrangolare, struttura ben diverse l’una dall’altra nell’altezza e nella struttura. Le figlie di archetti pensili
E sui fianchi maestranze attive in San Nicola ormai avevano come punto di riferimento architettura romanica, e non più
quella bizantina, ed in particolare dell’Italia settentrionale

Modelli basilicali a Pisa da ricordare


Nell’Italia meridionale nell’XI secolo, come nella chiesa di Ognissanti, troviamo cupole emisferiche allineate che guardano
alla cultura edilizia del vicino oriente (costantinopolitana, dell’area siriaca). Tuttavia, permane il modello dell’architettura
basilicale nella chiesa di San Nicola di Bari, fondata dal vescovo Elia, di cui si conserva la cattedra, nel 1087; ricordiamo
la presenza della cripta atta a ospitare le reliquie così come sovente capita nell’architettura romanica. La Sicilia è il
centro nel quale i re normanni esercitano un potere straordinario; è il luogo dove si concretizza una cultura figurativa e
costruttiva verso un sincretismo fra le influenze bizantine (greche), latine e arabe; Noi recepiamo queste caratteristiche
nelle sue architetture, come nel duomo del Santissimo Salvatore a Cefalù fondato da Ruggero II secondo nei suoi mosaici
e nella decorazione della facciata con il portico affiancato da due torrioni. All’interno l’impianto è basilicale, suddiviso da
setti divisori; nella conca vediamo il cristo pantocrato con i caratteri greci e la struttura gerarchica di angeli, arcangeli e
il Salvatore. Citiamo, inoltre, la Cappella Palatina.

La chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio


La chiesa, prende il nome di un ammiraglio di Ruggero II, poi fondata da una
nobildonna Eloisa Martorana che vi fondò un monastero benedettino nel 1394.
La chiesa di San Cataldo (1154-60) fu fondata da Maione da Bari, ammiraglio di
Guglielmo II, essa ancora riporta quel tipo di soluzione di copertura che
abbiamo visto nell’Italia meridionale, all’interno dell’edificio abbiamo un’opulenza
figurativa. Il duomo di Monreale di Palermo fu fondato nel 1174 da re Guglielmo
II; risalgono al 1179 le porte bronzee di Barisano da Tani e al 1186 le porte
bronzee di Bonanno Pisano.

Questo ci denota ancora una volta che Pisa era un importante punto di riferimento al pari di Costantinopoli. Esso presenta
dei torrioni tipicamente normanni. Troviamo il chiostro nell’estradosso del duomo di Monreale con un repertorio incredibile
di decorazioni che rappresentano una sintesi di quello che è il sincretismo della cultura figurativa siciliana.
Cappella palatina di Palermo
La chiesa si trova all’interno del palazzo reale, precedentemente reggia del
re normanni a Palermo. Fu infatti il re Ruggiero II che lo fece ridere come
cappella privata e la dedico San Pietro a San Paolo.
A caratterizzare la cappella è proprio una molteplicità di culture, che spiega
come mai in essa possono convivere Aspetti artistici così eterogenei, a
cominciare dalla piazza del edificio, in cui si fondono Lo schema a croce
greca e la cupolatipicamente bizantini con lo schema basilicale a tre navate
tipico dell’Occidente.
Parallelamente, le iscrizioni che commentano i musei e ci sono volte in greco, a volte in latino, E talora la stessa scena
addirittura una didascalia bilingue. L’arte bizantina ha ill sopravvento, se guardiamo la decorazione a mosaico che riveste
tutte le pareti interne, infatti la porta della sacrestia eleganti maniglie metalliche di tipo arabo e soprattutto, come
vedremo, il soffitto della navata presenta un ornamentazione già sperimentata in edifici sacri musulmani

Duomo di Morreale
Anche questo straordinario edificio, connesso ad un monastero è il Palazzo Reale torre
normanno che intendeva destinarlo mausoleo o mausoleo a mausoleo dinastico. Ogni
dettaglio serve ad acri le donne della Chiesa, come le colonne e capitelli antichi ritirati
a Roma. La pianta è basilicale, a tre navate, tre absidi ed il transetto.
Il programma iconografico seguito nella decorazione musiva delle pareti si svolge a
partire dalla navata maggiore e dalla controfacciata con l’antico testamento, per
proseguire nel transetto con il nuovo testamento e nelle navatelle con altri episodi della
vita di Gesù. Strettamente concatenate l’una all’altra, le scene trovano il loro culmine
nella conca apsidale dove ancora una volta è raffigurato un maestoso Cristo pantokrator.

Il monastero distrutto di Montecassino


Agli inizi del VI, San Benedetto da Norcia fondò l’abazia, uno dei centri monastici più importanti del medioevo, su un
monte di circa 500 m nel tentativo di cristianizzare un luogo di un antico tempio pagano.
Il complesso degli edifici del monastero però nel 1944 subì il tremendo bombardamento
durante la seconda guerra mondiale, e venne così, completamente ristrutturato, la prima
pietra di ricostruzione venne posta il 15 marzo dell’anno seguente alla presenza di
Ivanoe Bonomi, a capo del governo , che volle che l’abazia venisse ricostruita “com’era,
dov’era e nelle preesistenti linee architettoniche volumetriche“.

In seguito alla ristrutturazione, le strutture medievali vennero cancellate e quindi è


necessario fare riferimento alle fonti letterarie, che affermano che Desiderio spese
molto denaro per acquistare a Roma il materiale per ricostruire l’edificio, tale sforzo
costruttivo esorbitante fu segno del grandioso progetto culturale religioso dell’abate.

Nel 1066 Desiderio ordinò una porta bronzea a maestri fonditore bizantini riferendosi
con riferimenti facendola realizzare sul modello della porta della cattedrale di Amalfi.

Alla chiesa, una grande basilica a tre navate con transetto e preceduta da un grande atrio porticato, era destinato un
lezionario, un libro liturgico contenente le letture della messa, per le feste dei santi Benedetto, Mauro e scolastica.

In mancanza delle tante opere perdute, la pagina iniziale di questo può essere letta come un vero e
proprio “manifesto“ del programma culturale di desiderio, in cui viene mostrata desiderio con il limbo
quadrato mentre offra San Benedetto libro e china con referenza il capo con dietro gli edifici sacri di
Montecassino e sotto delle piccole chiese provviste di campanili che indicano le tante proprietà del
monastero e poi a ricordare che queste sono disseminate nel territorio e costituiscono l’elemento
essenziale del paesaggio vi sono dei ciuffi d’erba ed un monte roccioso.
Sant’Angelo in formis
Edificato nei pressi di Capua, in Campania e, Sant’Angelo informi s’venne donato dal
principe di qua one, Riccardo a desiderio, qualche mese dopo la consacrazione di
Montecassino. In quest’area sin dal IV secolo a.C. sorgeva il santuario di Diana Tifatina.
La chiesa venne costruita su quella che era la base in blocchi di tufo dell’antico tempio
di Diana, al punto che il perimetro della chiesa è quello del tempio praticamente
coincidono e addirittura rimangono in uso parte dell’originaria pavimentazione.
Siamo davanti a un clamoroso episodio di reimpiego di strutture antiche, ma anche della sostituzione di un’antichissima
divinità femminile con un culto particolarmente amato dei longobardi, quello che Michele, I riti pagani lasciano quindi il
posto le cerimonie dei cristiani.

Un intero ciclo di affreschi


l’interno della chiesa venne decorato ad affresco con storia dell’antico
del nuovo testamento, uno dei cicli più completi arrivati fino a noi
dall’età medievale. Nella sede centrale Gesù in trono è circondato dai v
simboli degli Evangelisti, su uno sfondo squillante da azzurro; nel
registro sottostante mi San Michele in piedi tra altri due arcangeli,
sulla sinistra invece è proprio desiderio con il nimbo che ho gli offre il
modellino della Chiesa, gesto presente anche in San vitale a Ravenna e
in San Vincenzo Galliano. Il nimbo di Desiderio ha la forma rettangolare
in quanto egli, alla realizzazione del dipinto era ancora vivo, infatti
viene chiamato anche “nimbo dei viventi”.

Nella parete opposta, la controfacciata troviamo un altro Cristo in maestà in


una scena con al centro un grande giudizio universale, un soggetto che nel mondo bizantino era solitamente collocato in
questa zona della Chiesa. Gli affreschi della chiesa di Sant’Angelo informi s’non sono del tutto uniformi, a tratti
scorgiamo figure solenni, eleganti, compassate, insomma vediamo il linguaggio bizantino nelle sue forme più raffinate, e
tratti invece abbiamo l’impressione che un tono “dialettale” abbia fatto diventare più scorrevole racconto, lo abbia reso
meno rigido, e meno severo.

Un’altra tipologia di arredo liturgico che si trovava all’interno dell’edificio sacro cristiano, è la pala agiografica, che è
come un’icona di grandi dimensioni posta nella parte centrale della tavola in cui si staglia la figura del santo, mentre ai lati
ci sono storie della vita del santo.
Gotico intro storica
Per indicare l’architettura del loro tempo, gli uomini vissuti tra il XII e il XIV secolo
Non usavano il termine “gotico”, in quanto questo si diffonde durante il Rinascimento
a definire in senso negativo gli edifici dei secoli precedenti descritti income
“architettura dei barbari”. Una delle prese di posizione più dure fu quella del Vasari
che definì la maniera dei Goti “maledizione di fabbriche“ con motivazioni legate al
modello a cui gli artisti si riferivano in quegli anni, l’architettura della Roma antica,
riprendendo del tutto le forme del gotico, cominciare dagli archi a sesto acuto.

Il gotico però nasce ufficialmente in Francia, nel nuovo clima dei re Capetingi (Luigi IV sesto, Luigi VII, Filippo Secondo,
sovrani che favorirono il rafforzamento del paese, compreso quello culturale). Gli architetti gotici rielaborarono
profondamente diversi elementi di linguaggio architettonico romanico. Ma la vera grande novità fu l’importanza attribuita
la luce, che per esempio Sugar la definiva reale e simbolica e sopratutto segno della presenza di Dio

La maggior parte delle edifici gotici quindi lo ritroviamo in Francia in particolare a Parigi troviamo in gran numero le
chiese cattedrali della città, Così come le abbazie e (chiese abaziali ed altri ambienti connessi) del resto furono proprio
gli ordini monastici a cominciare dei circhi e cistercense a diffondere l’architettura gotica in Europa. Dal XIII secolo in
poi anche in Italia furono soprattutto gli ordini mendicanti, i francescani in particolare, costruire conventi architettoniche

Gli elementi dell’architettura gotica


Il desiderio di far entrare una quantità di luce sempre maggiore modificò
completamente la forma delle chiese e cambiò l’idea stessa di edificio sacro. Perché
potesse aumentare la luce interna era necessario allargare le finestre che però
indeboliva i muri a cui era affidato il compito di sostenere le pesanti volte in pietra;
anche gli architetti gotici e loro committenti, non volendo rinunciare alle volte le
fecero diventare ancora più grandi rispetto a quelle delle chiese romaniche e sempre
più proiettate verso l’alto grazie all’impiego diffuso dell’arco acuto, o a ogiva.
Maa

Il peso che gravava sui muri peraltro non era solo quello delle volte, perché al di sopra di esse
vi erano fissate delle enormi travi che devono reggere il tetto, e quindi se si adottavano le volte
non si poteva assolutamente alleggerire sistema di sostegni. A questo si risolse con un esco con •
una soluzione escogitata dagli architetti gotici straordinariamente efficace a livello funzionale
che prevedeva che per mezzo dei grandi archi, o archi rampanti, il peso delle volte e del tetto
sovrastante venne trasferito all’esterno su enormi pilastri, i cosiddetti contrafforti fuori dal
perimetro dell’edificio. L’obiettivo di aprire enormi finestre era così raggiunto senza mettere in
pericolo la stabilità delle costruzioni.
Questo insieme di soluzioni tecniche ed altrettante ripercussioni a livello estetico,
poiché l’aspetto delle chiese mutò radicalmente, tanto all’interno con l’esterno, motivo
per cui i critici del settecento paragonano nelle strutture architettoniche delle
cattedrali gotiche al fitto intreccio di una foresta foresta.

Particolarmente diffuse erano soprattutto le piante verticali e longitudinali che


permettevano all’occhio dello spettatore di rimanere attratto dalla spettacolare
altezza della navata centrale e anche della sua inedita lunghezza.
Le vetrate istoriate
L’ingrandimento delle finestre stimolo pilastro la produzione di grandi vetrate istoriate
con episodi delle scritture, figure di profeti o di santi, che prevedeva una tecnica
complessa e delicata vista la fragilità di materiali, che consentiva di realizzare grandi
superfici multicolori su vetro che venivano tagliate secondo il disegno prestabilito per
poi ridurne l’informazione l’uniformità dei colori ottenere effetti di chiaroscuro con la
pittura “grisaille”: una tecnica basata sull’uso di una vernice grigiastro ricavata dalla
macinazione del vetro, poi fusa per inserirsi all’interno delle vetrate stesse. Le diverse
porzioni di vetro non ho poi congiunte le une alle altre con listelli di piombo inserite
dentro armature metalliche a loro volta mobili montate nel vano delle finestre.

Al fine della realizzazione di opere come queste non bastava un solo maestro infatti era presente la collaborazione di
maestranze dotate di competenze diverse e tutte coordinato dall’architetto. E gotiche dunque, ebbero il ruolo di raccontare
la storia della salvezza ed allo stesso tempo mostrare attraverso la bellezza dei colori loro continuo mutare nel corso
della giornata, la multiformi vivacità della luce, simbolo di luce divina. Grazie a esse esterno interno dell’edificio sacro
vennero messi in perpetuo comunicazione, nelle chiese di città inoltre la luce portava con sé qualcosa della struttura
urbana urbana mentre in quelle di campagna qualcosa del paesaggio circostante. La nuova architettura si presentava come
il punto d’approdo di un percorso di avvicinamento, e mediante squarci di luce ne conservava la memoria.
Guglia
Le chiese altomedievale romaniche erano concepite loro interno come aule rivestite di Pinnacolo

immagini dipinte o a mosaico, mentre ora le chiese gotiche concentrano fondamentalmente


la decorazione in alcuni punti chiave come l’esterno dei portali o all’interno delle vetrate
tutte delle grandi finestre, la conseguenza fu che le stesse strutture architettoniche
divennero protagoniste in lunghezza e in altezza in una nuova grandiosità in cui
risultavano all’esterno molteplici torri, pinnacoli, guglie e archi rampanti; e
all’interno i pilastri le pareti le volte le nervature, realizzati con estrema
TORRE
precisione, segno di un efficientissima organizzazione del cantiere.
Gli architetti gotici dovettero quindi assumere i compiti che dall’età moderna in poi sono
normalmente ben distinti come progettazione e direzione dei lavori, motivo per cui erano necessarie
Archetto
CONTRAFFORTE
profonde basi culturali e grande rigore progettuale con adeguate capacità organizzative, era Rampante

fondamentale poi il reperimento il trasporto dei materiali, la loro scelta e il coordinamento delle
maestranze che lavoravano nelle fabbriche.

Gotico del Nord gotico in Italia: due linguaggi a confronto

Prima di tutto a e riconoscibile la notevole differenza delle rispettive dimensioni


planimetriche tra le diverse cattedrali: la lunghezza delle maggior parte delle cattedrali
francesi inglesi infatti supera nettamente quella dell’edifici costruiti in Italia secondo lo
schema “francigenum”
(La cattedrale di Siena, ad esempio, è una costruzione c’è il Sandro grandiosa rispetto la
media degli edifici sacri dell’Italia medievale MA, messa a confronto per esempio con la
cattedrale di Countaces, risulta decisamente molto più modesta).

Inoltre gli edifici gotici francesi inglesi mettere in evidenza planimetrie più elaborati e
complessi rispetto a quelle italiane, prima di tutto per la presenza, nella zona apsidale,
di deambulatorio e a volte accompagnati dal susseguirsi di cappelle radiali.
Per portare avanti edifici così impegnativi correvano cantiere efficienti ben organizzati e dotati di un
sostegno finanziario robusto e continuativo
Castel Monte
Uno degli edifici più rappresentativi dell’epoca Sveva, acquistato dallo Stato italiano,
dopo anni di abbandono nel 1276. Il castello sorge su e campagne della Puglia,
l’assenza di edifici circostanti mette ancora più evidenza la purezza delle forme
geometriche che fa di questo castello un caso unico nel panorama dell’architettura
medievale europea.

La pianta è costituita da un ottagono regolare, al centro, un cortile a sua volta ottagonale, sugli spigoli della tavola
principale, anche se la pianta ottagonale. All’interno, sono otto anche le sale del pianoterra e quelle del piano superiore,
livelli collegati dalle scale a chioccciola interne ed alcune delle torri. Trovandosi tra due ottagoni di diversa ampiezza,
ciascuna sono una pianta trapezoidale; nonostante ciò, la copertura di ogni sala è suddivisa in due rettangoli triangoli e un
quadrato sovrastato da una volta a crociera costolonata. La geometrica fermezza dell’edificio è rafforzata tanto all’esterno
quanto all’interno, dai grossi blocchi in pietra dell’apparecchiatura muraria.

La decorazione scultorea non è particolarmente ricca, ma molto raffinata nei capitelli e


nelle cornici delle sale interne, nelle mensole con te la money contesti di favola viene
la chiave di volta. La geometria esatta si spira l’intero progetto, l’attenzione alle
proporzioni delle strutture e le misure ricordano le soluzioni architettoniche gotiche,
in particolare cistercense, ci confermano film più occasioni Federico assunse
maestranze che avevano già lavorato nelle abbazie cistercense

Cattedrale di Anagni
Nella cattedrale di Santa Maria assunta è ben documentata un artista che si firma “maestro
cosmo, cittadino romano“ che realizzo del pavimento della Chiesa superiore, nel 1331 resistemmo
l’altare della cripta e vennero scoperte anche le esposte reliquie di San magno vescovo e martire.

Nello stesso anno, assieme al figlio Luca, esegue il pavimento della cripta stessa, dove troviamo i
caratteri tipici della produzione cosmatesco: grandi ruote marmoree gruppi di cinque contengono
cerchi ed esagoni variopinti, mentre nastri colorati congiungono una ruota all’altra. Cosma il figlio
suddividono cerchi, esagoni, nastri ricavando figure geometriche sempre diverse e più piccole.
Sono le rovine di Roma antica fornire materiali e colori di: porfidi rossi e verdi, marmi bianchi
gialli venuti. Le botteghe dei marmo rari i romani continuarono essere presente ad Anagni anche
nella seconda metà del secolo, quella dei Vassalletto firmò il candelabro per il cero pasquale.

Nicola e pisano e la sua bottega


L’ambone di Pisa
Nel 200 gli scultori e gli scultori e affidato il compito di abbellire l’arredo liturgico, ne possiamo
trovare una conferma con l’ambone di Pisa di Nicola pisano scolpito intorno al 1260, si tratta di una
piattaforma esagonale sostenuta da sette colonne altrettanti capitelli, tra cui poggiano sul dorso che
poggiano sul dorso di leoni, tranne quella centrale che Si sostiene sulla schiena di telamoni, un motivo
antico ampiamente usato anche in età romanica

L’ambone di Siena
Neppure 10 anni dopo quello del battistero di Pisa, Nicola pisano viene chiesto un altro ambone, questa
volta per il Duomo di Siena: l’amore di Siena, diversamente dal precedente ora la pianta ottagonale,
motivo per cui viene aggiunto un nuovo tema una strage degli innocenti, con la scena del giudice
universale su due parapetti. Nicola pisano i suoi collaboratori restituiscono in maniera estremamente
realistica la profonda violenza della vicenda, con pochissime ripetizioni e variando continuamente le
pause con una scelta frequente di figure rivolte di schiena. Nonostante il turbinio di brutalità, lo
scultore riesce a estrarre delle pause come per esempio la madre in primo piano che quasi una piccola
pietà, piange sul figlio disteso sulle ginocchia
Pittura in Italia a metà 200

La cappella del Santa Sactorum a Roma


Accanto alla cattedrale di San Giovanni Laterano, ove il Papa aveva la sua cattedra in quanto
vescovo di Roma, si trovava il palazzo papale, al cui interno e riconoscibile la cappella di San
Lorenzo, conosciuta anche come la cappella del Santa Sactorum, riservata dall’alto medioevo,
esclusivamente ai papi, ed il cui nome, proveniente dall’antico testamento, sta per “le santità
delle santità“, che deriva dal fatto che qui si conservano le delle reliquie preziosissime, come
la testa di Sant’Agnese eugenetiche si ritenevano legati alla passione di Gesù.

Il piccolo edificio, oggi è separato dal palazzo papale, venne ricostruito e decorato per volontà di Papa Niccolò III Orsini.
È riconoscibile da un iscrizione all’ingresso che Cosmo di Pietro Mellini, uno dei cosiddetti “Cosmati”, fu l’architetto e
responsabile dei rivestimenti marmorei della sistemazione dei pezzi dell’impiego della decorazione del pavimento pavimento

La parte inferiore delle pareti rivestita da lastre marmoree prelevate perlopiù da


monumenti antichi; più in alto invece su ogni parete una serie di colonnine a spirale
regge sette archi archetti filmati. Degli archi si trovano le figure di santi dipinte in
età rinascimentale, che probabilmente sostituire un affreschi del 200. Gli spazi al di
sopra della galleria cieca attorno le finestre sulla volta sono interamente affrescati,
grazie a un restauro recente che ho recuperati faccio i colori non gli affreschi sono
ora chiaramente leggibile costituiscono, grazie anche la loro integrità, il più
importante ciclo pittorico della seconda metà del 200 a Roma.
Le strutture architettoniche della cappella sono sottolineate da una ricca decorazione che ripropone
motivi antichi e traduce anche in pittura le soluzioni ornamentali frequentemente usate dai Cosmati
nelle loro sculture. Riguarda gli affreschi ciascuna parete culmina con una lunetta che ospita due
riquadri figurati, su quello orientale al di sopra dell’altare, viene raffigurato da un anonimo pittore,
Nicolò III, affiancato da San Paolo, mentre mette nelle mani di San Pietro un modellino della cappella; a
destra invece è rappresentato il Cristo in trono tra due angeli che riceve in dono del Papa,
probabilmente realizzato dal giovane Jacopo Toriti.

Iacopo Toriti
Iacopo Toriti si formò a Roma, città in cui lavora agli inizi e alla fine della sua attività. Filippo Rusuti è indubbiamente un
personaggio di primo piano che, nel 1297, realizza il mosaico della facciata di Santa Maria Maggiore. L’utilizzo del mosaico
è fortemente radicato a Roma, tant’è che lo troviamo ancora nel XIII secolo inoltrato; in altre aree italiane viene
abbandonato a favore della pittura a fresco. Il cardinale Colonna commissiona l’Incoronazione della Vergine, ossia il
mosaico che sta sul catino absidale. Alla base dell’imposta del catino troviamo storie della Vergine; interessante è la
dormitio di tradizione Bizantina che verrà ampiamente utilizza nel XIII secolo.
Dal 1278-80 è a Roma per affrescare il Sancta Sanctorum;
Dal 1288-92 è ad Assisi per affrescare la basilica Superiore di San Francesco;
Nel 1291 si trova a Roma per il mosaico absidale di San Giovanni in Laterano (alterato nel restauro del 1878);
Nel 1296 realizza il mosaico absidale di Santa Maria Maggiore.

Un’altra grande personalità che lavora a Roma è Pietro Cavallini (1240 circa- 1325 circa) che lavora con la pittura ad
affresco. Dal 1277-85 è a Roma per gli affreschi di San Paolo fuori le mura (distrutti nell’incendio del 1823).

Gli studiosi fanno risalire al 1291, altri al 1296, il mosaico di Santa Maria in
Trastevere; si tratta di un manufatto ancora una volta commissionato dai ranghi
cardinalizi, ossia da Iacopo Stefaneschi, in cui vengono rappresentati i santi Pietro e
Paolo, la Vergine col bambino apposto nel trono al cui cospetto troviamo il committente
inginocchiato, dove la Vergine è rappresentata di fianco al Divino come una basilissa. Dal
1130 al 1143 abbiamo la committenza di papa Innocenzo II. I riferimenti dal punto di
vista iconografico sono a quelle immagini presenti a Roma già dall’età bizantina.
Le croci e i dossali dipinti
Nel XII secolo le croci e i dossali dipinti (solitamente tavole dipinte, poste a corredo di un altare) nonostante la rarità ne si
rilevano molte testimonianze. Le croci erano costituite da tavole di grandi dimensioni in modo che fate prendere dalla
navata o fissate all’iconostasi potessero essere ben visibili durante le celebrazioni liturgiche, e anche realisatiche al punto
tale che i fedeli potessero in un certo senso rivivere le pene di morte del Cristo in croce, ne abbiamo un esempio lampante

Nella Croce di Sarzana di Guglielmo - nella cattedrale di Sarzana


Realizzata da Maestro Guglielmo nel 1138l, questa è ,la più antica croce latina dipinta, da cui
è anche possibile asalizzare le diverse parti del modello di croce lignea diffusa nel 200
- la cimasa è la parte sommitale della croce
- il tabellone, è l’asse più lungo che costituisce la parte integrante della croce lignea, dove
troviamo la figura di Cristo
- i bracci, ovvero le parti terminali, nel corso dei secoli avranno delle decorazioni, mentre
nelle prime croci lignee la parte terminale è costituita dalle mani chiodate di Cristo.
Il corpo risulta nudo fino ai fianchi ed è coperto da un perizoma. Guglielmo allargato le
dimensioni della croce vera e propria per poter disporre una serie di scene attorno al corpo
del salvatore, ponendo lo spazio così per episodi della passione per figure di angeli e simboli
di evangelisti ed ancora una maestà di Cristo proprio sopra il volto del crocifisso.
Questa croce è anche la prima iconografia di quello che gli studiosi chiamano Christus Triumphants, il trionfatore sulla
morte, insensibile al dolore, e con lo sguardo fisso sullo spettatore. La croce quindi serve a coinvolgere le emozioni dello
spettatore, che vede il figlio di Dio inchiodato da soli legno, ma anche narrare la storia di Gesù, che culmina proprio
nell’amore nella sua morte violenta, come dimostrare la sua grande vittoria sulla morte.

La tecnica con la quale vengono realizzati questi manufatti è la tempera su tavola; il legno veniva sagomato, assemblato,
incamminato o con la pergamena o con tessuti di vario tipo; successivamente si passava una sottile mestica di gesso e la
struttura veniva così completamente allisciata. La tempera è costituita dal pigmento, ossia dalle sostanze coloranti. I leganti
che venivano usati erano: tuorlo, albume d’uovo, lattice di fico, gomme e colle derivate dalla bollitura di nervi di ossa di
animali. Il supporto su cui si stendeva la tempera poteva essere: murale, legno, pergamena.

Il Christus Patients
Il tipo iconografico del Cristo trionfante continua essere presente ma viene lentamente
affiancato e poi sostituito da quello del Cristo morente, cioè “sofferente in agonia”, che è un
tipo di iconografia che sottolinea non più la natura divina di Cristo (che si evince dalla parte
dorata dietro la testa) ma la natura umana e sofferente. I fedeli vengono maggiormente
coinvolti da questa iconografia. La diffusione di questo tipo di iconografia è favorita dalla
propagazione degli ordini dei mendicanti, quali sono i domenicani e i francescani. Il Christus
Patients accoglie i nuovi modi di dipingere e costruire la figura umana sperimentati belle
botteghe romane
Christus Patients del 1295, (Giotto)
Chiesa di Santa Maria Novella
Le croci di Giunta Pisano
Giunta Pisano, uno dei primi pittori medievali di quei stato possibile ricostruire una minima
biografia, ho firmato tre croci dipinte, tutte e tre con l’iconografia del Cristo sofferente,
una d’Assisi, una Pisa, è un’altra in San Domenico a Bologna.

Egli sceglie di eliminare volontariamente le piccole scene dipinte tutto attorno, per
concentrare l’attenzione del fedele/spettatore Sulla figura di Gesù sulla figura sofferente
di Gesù e sul pianto di Maria e San Giovanni Evangelista. Il corpo si incurva, ormai privo di
energie, e la testa ricade verso la spalla, gli occhi sono segnati da forti ombre mentre la
bocca si piegali in giù in un’espressione di fatica. Ancora una volta il crocifisso si pone
l’obiettivo di dare vita ad uno spettacolo tragico permette anche al fedele di identificarsi
Christus Patients (Giunta Pisano)
con Gesù e militare il suo sacrificio. Chiesa di San Domenico
Nel corso del 200 cambia il modo con cui vengono decorati gli altari, sia quello al centro del presbiterio sia quelli delle
cappelle laterali: le immagini sacre vengono dipinte su tavole lignee fissati al di sopra dell’altare risultando visibile nella
navata. Tavole che in un primo tempo in una forma qua domani semplice, ma la cui forma con il passare del tempo si
evolve divenendo più varia e complessa, motivo per cui per questo genere di dipinti, Si usano nomi sempre diversi, al
passo con l’evoluzione delle strutture in cui vengono sistemate.
Tra gli esemplari più antichi, nella prima metà del secolo, Bonaventura Berlingieri realizzò

La Tavola Agiografica per la chiesa di San Francesco a Pescia


Una delle prime rappresentazioni di San Francesco,il santo di Assisi morto solo pochi anni
prima, nel 1226. La tavola, che riporta la firma dell’autore, presenta il santo, scalzo e in
saio in piedi e al centro, affiancato da due angeli; sui due lati, uno sopra l’altro, sono
descritte sei storia del santo, soprattutto i suoi miracoli, con una costruzione delle storie
secondo i modelli bizantini in un linguaggio sperimentato e nobile che da Francesco un
tono sacrale quasi assimilandolo a Cristo;
Va poi nella stessa direzione la scelta di descrivere i miracoli, in particolare quelli
verificatosi dopo la morte del santo. Le analogie nella struttura e nella scelta del soggetto
sono comuni, tanto che è probabile che l’opera provenisse da un modello precedente (forse
dal dossale d’altare di San Francesco nella chiesa di San Francesco seminato al Tedesco)

Maestà della Vergine (madonna di Borbone) tempera e olio su tavola


L’opera, conservata a Siena nella chiesa di Santa Maria dei Servi è firmata dal pittore fiorentino
Macrovaldo, un pittore fiorentino. Il gesto della madre che accarezza il piede del bimbo trova un
senso compiuto nella m aggio re animazione della vergine delicatamente rivolta verso il figlio.

In area senese avremo opere realizzate da Coppo di Marcovaldo, artista con un legame molto
forte con gli schematismi bizantini, evidenziati dalla fitta lumeggiatura in oro e la propria marca
distintiva. Il superamento completo avverrà però con Giotto con la Maestà di Ognissanti, opera
di dimensioni monumentali.

Gli studiosi fanno risalire al 1291, altri al 1296, il mosaico di Santa Maria in
Trastevere; si tratta di un manufatto ancora una volta commissionato dai ranghi
cardinalizi, ossia da Iacopo Stefaneschi, in cui vengono rappresentati i santi Pietro e
Paolo, la Vergine col bambino apposto nel trono al cui cospetto troviamo il committente
inginocchiato, dove la Vergine è rappresentata di fianco al Divino come una basilissa. Dal
1130 al 1143 abbiamo la committenza di papa Innocenzo II. I riferimenti dal punto di
vista iconografico sono a quelle immagini presenti a Roma già dall’età bizantina.
Due croci a confronto
Tra le più antiche croci riferibili a Cimabue vi è la croce in San Domenico ad Arezzo, Costabile al linguaggio di giunta
pisano, qualche anno dopo il pittore crocifisso di Santa Croce a Firenze, una delle opere rovinate dalla disastrosa alluvione
del novembre del 1966, ma restaurata nel anni successivi.
Se si confrontano i due crocifissi si notano profondi cambiamenti: vincolo di
Arezzo il corpo di Cristo come uno come una durezza metallica, nel crocifisso
di Santa Croce assume invece toni più delicati, mentre il colorito diviene più
grigiastro, più adatto a restituire l’idea della sofferenza della morte. Ad
Arezzo il drappo rosso che copre la nudità di Cristo percorso da striature
dorate mentre nel crocifisso di Firenze il drappo ha perso ogni colore ed è
una stoffa quasi trasparente che lascia intravedere il corpo. Anche nelle due
figure a mezzobusto della vergine di San Giovanni, sulla stessa linea del volto
di Gesù, i colori vanno spegnendosi in un’atmosfera di maggiore serenità Bologna, chiesa di San Domenico, croce
dipinta, 1250-54, tempera e oro su Arezzo, chiesa di San Domenico,
davanti al dramma in atto. tavola (Giunta Pisano). croce dipinta nel 1265-70 in
tempera e oro su tavola (Cimabue).

Cimabue ad Assisi
A poca distanza di tempo Cimabue e la sua bottega furono coinvolti nella
decorazione della basilica di San Francesco ad Assisi. Nel transetto della
basilica superiore, rimangono due grandiosi crocifissioni, compromessa
soprattutto per il processo chimico che ha provocato un vero e proprio un
ribaltamento dei toni chiari dei toni scuri. Nella zona alta dell’affresco, alcuni
angeli stringono colpi con cui raccolgono il sangue Cristina dalle mani di Cristo,
volando altri si avvicinano alla croce con ampi gesti di dolore. Più in basso
sulla destra gli ebrei assistono in silenzio ma alcuni sollevano le mani verso
Gesù morente, riconoscendone la divinità.

Un personaggio accanto essi, ha una aureola: è certamente il centurione buono, San Longino, che si convertì proprio sotto
la croce di Cristo. Dalla parte opposta sul gruppo delle pie donne, preceduto da San Francesco inginocchiato ai piedi della
croce. In questa zona poi di sinistra vediamo come per Cimabue la gestualità assume un’importanza del tutto nuova e
serva sia descrivere lo svolgimento delle azioni sia spiegare gli stati d’animo dei personaggi. La Maddalena si avvicina più
di tutto il corpo martoriato di Cristo, gettando verso entrambe le braccia in un movimento così denso di dolore mai visto
prima

Con un gesto di pacata solennità invece Giovanni sostiene con la propria mano quella di Maria segno del suo prendersi
cura della madre di Gesù (a cui Gesù aveva chiesto e di considerare Giovanni come un figlio e a lui di considerarla come
madre) Le teste lievemente piegate luna verso l’altra indicano una nuova parentela spirituale tra i due, ma soprattutto il
ruolo materno che la vergine assumerà d’ora in avanti per la comunità dei fedeli.
Il cantiere di Assisi e gli inizi di Giotto
San Francesco muore nel 1226 nella città in cui era nato, Assisi. Soltanto due anni dopo, alcuni ricchi cittadini fecero una
donazione di terreni per il futuro convento, uno dei primi segni della crescente devozione verso il santo locale. Fu lo
stesso Papa facilitare la solennemente sin dall’inizio infatti la basilica sorse sotto la protezione pontificia.
La basilica venne costruita su due livelli, poiché la Chiesa non servi solo, ma anche una sorta di reliquiario: quello
inferiore inteso come una grande cripta ospita infatti la tomba di San Francesco.

I costruttori approfittarono della forma del colle e della conseguente


differenza di quota per assicurare un ingresso la chiesa inferiore e
un altro, del tutto indipendente, quella superiore. La differenza di
quota è notevole anche rispetto alle circostanti ce le strutture
conventuali, così da assicurare all’edificio un effetto dominante sul
paesaggio di questa parte dell’Umbria
Nella struttura architettonica è evidente la rivolta la volontà di farsi
modelli architettonici gotici per quanto le forme siano piuttosto
pesanti e non abbiano quello slancio con la leggerezza che
caratterizza le cattedrali del Nord Europa.
L’edificio quindi è un esempio della fatica con cui linguaggio dell’architettura gotica si diffonde in Italia, tanto l’esterno
quanto l’interno infatti ne riconosciamo il lessico (contrafforti, archi rampanti,) ma lo stato complessivo molto diverso da
quello delle cattedrali francesi contemporanei infatti la sintassi dell’edificio resta ancora sostanzialmente romanica.

Quando la Chiesa venne consacrata nel 1253 i lavori dovevano essere ormai ultimati
ma all’interno stava solo iniziando il la realizzazione della decorazione interna: da
questo momento in poi Assisi divenne un vero e proprio cantiere artistico in cui furono
impiegate maestranze di provenienza diversa, dotati di competenze tecniche artistiche
altrettanto varie. La grandiosità di questa impresa collettiva il riflesso diretto della
diffusione del messaggio francescano sempre più intesa in Italia come in Europa.

Basilica di San Francesco


Si tratta di una fabbrica con una facciata a capanna; un portale agemino, quindi con
due accessi (tipico di una chiesa di pellegrinaggio), esso è fortemente strombato e
trilobato, la strombatura non è più realizzata con archi a tutto sesto ma a sesto
acuto; un rosone ampiamente decorato che richiama i modi decorativi oltralpe.

La chiesa di San Francesco d’Assisi denota dei cambiamenti a livello architettonico: i


muri diventano più stretti, gli archi da tutto sesto diventano ogivali, l’uso della volta a
botte viene pressoché abbandonato a favore di una volta a sezione ogivale.

La basilica di San Francesco ha una triplice funzione: è innanzitutto la casa Madre dei francescani, dunque una chiesa
mendicante che, come tale, ha una struttura architettonica volta ad accogliere lo svolgimento della liturgia legata
all’ordine francescano, soprattutto per quanto riguarda l’arredo liturgico (es. croce lignea con iconografia di Christus
Patients di Giunta Pisano); inoltre essa è il santuario del papa, ossia la cappella papale, per questa ragione da parte di
diversi pontefici sono stati fatti importanti investimenti; infine ospita le spoglie del santo.
Decorazione basilica superiore
Nella basilica superiore la vicenda della decorazione assai complessa, in quanto non coinvolge solo gli affreschi ma si
estende anche alle vetrate dell’abside, del transetto, della navata.

Cimabue con la sua bottega fu attivo nel transetto, dove dipinse due
grandiosi concessioni, scegliendo di raddoppiare la scena, per il desiderio
di offrire a tutti i fronti le visioni del momento cruciale della storia
della salvezza cristiana, quel Cristo in croce così importante nella
prima spiritualità francescana.
Ancora una volta ci accorgiamo che nel medioevo italiano l’immagine ha
un ruolo che va bene al di là della puro lamentazione, ma si innesta
direttamente nel modo di vedere e di vivere la realtà.

Dal transetto, le botteghe dei pittori con le relative impalcature si spostano lentamente verso la navata, unica, elaborata
come un vasto spazio unitario articolato in quattro grandi campate, a loro volta contraddistinto da elementi architettonici
schiettamente gotici.

Sotto la grande volte si aprono quindi da una parte dall’altra grande


finestra archiacute provviste di vetrate, fianco di queste due per ogni
campata sono dipinte le storie dell’antico testamento, a destra guardando
verso l’altare, e del nuovo testamento, a sinistra.

Appena sotto il livello delle finestre c’è poi un cambiamento orizzontale


che corre lungo le pareti e addirittura gira dentro dietro i pilastri;
questo passaggio segno una netta separazione tra la parte alta della
navata è la parte più bassa dove troveremo le storie di vita di San
Francesco.

Nella basilica troviamo un calice dotato di coppa realizzato da Guccio


Mannaia, uno dei più grandi orafi del Medioevo. La loggia non praticabile
è costituita da colonnine, mentre gli aspetti decorativi sono affidati alla
pittura; infatti, all’interno troviamo una una serie di figure stanti di
Santi rappresentati. Qui c’è una perfetta integrazione tra decorazione
architettonica e architettura; inoltre si tratta di un aspetto molto
interessante perché testimonia un maestro o una bottega d’oltralpe.
Giotto e le storie di San Francesco
Anche se realizzata nel giro di alcuni anni e da maestranze diverse, la decorazione della basilica superiore di Assisi è
frutto di un programma organico, elaborato il tempo da Niccolò IV, il primo francescano ad essere eletto Papa.
Come già detto nella basilica superiore rivolgendosi verso l’altare all’altezza delle finestre a destra vi sono le storie
dell’antico testamento e alla stessa altezza a sinistra gli episodi della vita di Gesù.
Più in basso vi sono invece le storie del santo Francesco: 28 scene proposte i fedeli come un monumento cruciale della
storia della salvezza, non si era mai visto prima infatti un così grandioso ciclo dedicato ad un santo, sopratutto così
“moderno“. Attraverso le immagini si dichiarava l’unicità di Francesco, quasi nessuno avesse messo in pratica il Vangelo
di Gesù come aveva fatto il santo di Assisi. Il racconto della vita di Francesco fa riferimento la leggenda major redatta
da uno dei principali biografi di San Francesco Bonaventura da Bagnoregio.

Tra le scene ne è presente una che rappresenta il cruciale momento in cui Francesco riceve il
proprio sul proprio corpo le stimmate, i segni della passione di Gesù, chiamato l’accertamento
delle stimmate.
Vi è un’altra scena altrettanto importante:

San Francesco allestisce il presepe a Greccio


Forse la composizione è più complessa l’intero ciclo di Assisi, capace di mostrare la
libertà con cui gioco interprete il compito che gli è stato affidato. La leggenda major
riferisce che intorno al 1223 Francesco si recò a Greccio e dopo aver ricevuto e dopo
aver ricevuto il permesso papale, decise di celebrare la nascita di Gesù e allestire
quello che oggi chiameremo un “presepe vivente“ che però Giotto rappresenta, non con
animali veri e all’interno di una chiesa come e scriveva la leggenda ma all’interno di
una chiesa e con animali, non altro che statuette.

Giotto immagina la scena nel presbiterio con al il grande leggio per i contatori, ed a
destra l’altare con il ciborio sovrastante dove il santo con i paramenti liturgici è
inginocchiato per riporre Gesù bambino nella culla. Tutto attorno vi sono poi i confratelli
che canta la voce spiegata, ed alcuni cittadini in abiti eleganti che, in silenzio e con attenzione, assistono da vicino.

Alle loro spalle vi è lo sbarramento del iconostasi, a sinistra l’ambone ed un tratto delle scale per salirvi nell’unica
apertura del iconostasi si affaccia un gruppo di donne, sopra cui pende una grande croce come quelle dipinte da giunta
pisano, Cimabue e poi dallo stesso Giotto.

Giotto qui rappresenta un’immagine sacra, il telaio al centro, solo come un oggetto, in quanto egli ritiene la coerenza
spaziale un valore che si può accordare con la narrazione religiosa, descrivendo la croce da dietro riesce infatti a
trasmettere l’impressione dello spazio che prosegue nella navata, aldilà dell’iconostasi. Come Giotto è attento definire gli
spazi dove si muovono gli uomini, si interessa allo stesso modo alla costante consistenza delle cose, come i candelabri
sull’ambone, il tappeto sotto i piedi del celebrante, la tovaglia sull’altare e gli abiti dei presenti.

Quindi ci troviamo di fronte ad una nuova idea di realtà che si fa strada, l’esperienza spirituale di Francesco deve
apparire attuale proprio come loro stato per gli uomini di alcuni decenni prima descrivere realisticamente Francesco il suo
modo diviene così il mezzo per celebrarne la santità e affermare, attraverso le immagini, che la sua predicazione è
ancora valida.

È però da sottolineare che Giotto non presenta una versione “neutro” del Santo e della sua predicazione in quanto tra gli
spirituali e i conventuali, i committenti di Giotto sono conventuali, motivo per cui egli rappresenta una figura del santo, più
consono alla loro visione religiosa, smussando i toni più radicali: Francesco del ciclo giottesco è più una figura gloriosa da
da ammirare piuttosto che è un’asceta da imitare.
Schema opere
Giotto - cappella della Maddalena
Simone Martini - cappella di San Martino ?
? Maestro di Isacco -

Basilica superiore:

Torriti - la creazione del


mondo sulla sulla prima lunetta
a destra, con dietro l’altare

Giotto - scene antico e


nuovo testamento sulle
pareti della navata unica
Cimabue e pittori transalpini - transetto

Basilica inferiore

Maestro di San Francesco - lavori nella parete sinistra


e nell’abside, con episodi della passione di Gesù

Pierro Lorenzetti - transetto


La tecnica ad affresco ebbe grande successo nell’epoca medievale, venne ampiamente adottata nel XIV secolo con delle
soluzioni importanti che facilitano e favoriscono la stesura della superficie decorata sulla parete e, soprattutto,
garantiscono una durata nel tempo dei manufatti.

La tecnica ad affresco durante il Medioevo, attraversa una sorta di rivoluzione, in quanto viene adottata la tecnica ad
affresco a giornate, usata soprattutto negli affreschi giotteschi, che poi comporta all’abbandono di quella a pontate
(che consisteva nel partire dalla parte più alta fino a quella più bassa della parete in cui si affrescava). Le chiese dei
predicatori, come i domenicani, sono dotate di un tramezzo che separa i fedeli dal clero.

Tecnica che consiste in una stesura a giornata, di diversi strati uno sull’altro:
Rinzaffo: malta grezza composta di sabbia grossa, acqua e calce.
Arriccio: malta con sabbia fine, acqua e calce.
Tonachino o Intonachino: malta con sabbia fine, polvere di marmo, calce e acqua.
Questo stato permetteva che i pigmenti venissero assorbiti dalla materia.
Pittura: pigmenti in polvere diluiti con acqua.

La sabbia che si utilizza per l’affresco non dev’essere troppo salina, come quella tratta dalla riva del mare, perché nel
tempo i sali emergono e rovinano l’opera. Gli elementi determinanti del tonachino erano la polvere di marmo e la calce, che
consentivano di ottenere una superficie pittorica molto liscia. Dipingendo sul tonachino ancora fresco i pigmenti venivano
assorbiti dalla materia, quindi si fondevano con quest’ultimo strato, ciò garantiva la durata nel tempo del dipinto. La tecnica
dell’affresco a giornate prevedeva che il tonachino venisse steso solo nelle parti che potevano essere realizzate in una
giornata. Spesso quando l’affresco era compiuto venivano fatti dei ritocchi con la tempera a secco.

Complessa realtà politica alla cui base vi è la differenza tra Nord e centro sud: mentre nell’Italia settentrionale e in
parte del centro la situazione è abbastanza variegata, al sud si rileva la continuità di Angiolini nel regno di Napoli ed
aragonesi in Sicilia. Alcuni centri urbani meridionali non si consolidarono pienamente ed ebbero uno sviluppo economico
più lento rispetto al Nord a causa delle imposizioni dei feudatari locali. Da questa situazione è però escluso il Napoli e le
altre “città reggia“ governate da piccole aristocrazie locali.

Le tensioni interne tra le varie città però sfociarono nella scelta di affidarsi a un “signore“, una figura in cui si
concentrarono pressoché tutti i poteri in più di una città come Milano con i Visconti o Verona gli Scaligeri. Il ruolo del
signore passò di padre in figlio cosicché le dinastie signorili durassero anche nei secoli a venire.

Un caso del tutto unico continuava ad essere quello di Venezia, una Repubblica retta da un governo di tipo oligarchico,
città era ancora proiettata tra l’altro verso le croste entroterra.

La produzione artistica della prima metà del secolo e straordinaria con artisti come Giotto, Giovanni pisano, Duccio Boni
segna, anche se ed anche artisti meno celebri come Simone Martini che dimostrano quanto il ruolo dell’artista stesse
cambiando. Il ruolo dell’artista, ormai ingaggiato da committenti ragguardevoli attenti al contesto e le località più
differenti difatti gli artisti iniziano ad essere non solo nominati ma anche celebrati da cronisti, letterati, poeti.

Cambia quindi lentamente la figura dell’artista e cambia anche quella dei committenti. A Padova infatti si deve l’iniziativa
di un ricco privato e uno dei capolavori di Giotto, la cappella che Enrico Scrovegni vuole costruire accanto al proprio
palazzo. A Firenze, in Santa Croce in Santa Maria novella sono quanto mai attive le famiglie dei grandi mercanti di grandi
banchieri. Ancora i signori usano le immagini funzioni propagandistiche oppure chiamano artisti affermati per abbellire i
loro palazzi, grazie a commissioni del genere i soggetti profani acquistano un risultato del tutto nuovo.
Giotto i suoi crocifissi
Nei primi anni del 300 la camera la carriera di Giotto era già arrivata verso il successo
incontrastato. A Firenze eseguì un crocifisso per Santa Maria novella, la chiesa del convento dei
domenicani, nello stesso periodo in cui a cui risale il crocifisso di San Francesco a Rimini, quella
che ora chiamiamo tempio malatestiano. Le tue opere non è destinate chiese dei domenicani e
francescani.
Il nuovo linguaggio di Giotto si coniuga dunque con la nuova visione religiosa prof proposta ai
fedeli degli ordini mendicanti: Gesù andava donato come figlio di Dio ed anche pianto nella sua
sofferenza di uomo. Su questa idea convergevano sia le riflessioni teologiche dei seguaci di San
Domenico sia l’esperienza di fraternità a messo in pratica dei seguaci di San Francesco.

Padova è la cappella degli Scrovegni Giotto venne chiamato a Padova, esponente di una famiglia che si era arricchita
anche grazie all’usura, pratica che la Chiesa considerava peccaminosa.

Padova e la Cappella degli Scrovegni


Nei primi anni del trecento Enrico Scrovegni decise di fare erigere una cappella per
abbellirla chiamo dalla Toscana due artisti di fama, Giotto e Giovanni pisano. Si tratta di
un avere propria cappella di palazzo, un privilegio che in precedenza erano i sovrani,
Enrico si fece raffigurare l’interno del giudizio universale, mentre offre concesso di voto
alla vergine la cappella lei dedicata la straordinarietà del gesto di Enrico è solo
parzialmente attenuata dalla presenza di un il peso della Chiesa in miniatura.

L’iniziativa servì soprattutto a dare un nuovo prestigio al committente, efficienza delle decorazioni, inoltre si entrava nel
piccolo edificio non potevano notare sullo sfondo delle diverse scene la profusione dell’ora e del blu ultra marino, tenuto
macinando una pietra semipreziose il lapislazzuli. Isa amore esibizione di ricchezza perché, come tutti sapevano

Madonna di Ognissanti
In seguito al lavoro della cappella della Maddalena nella basilica di San Francesco del
1309, Giotto si dedicò all’esecuzione della Madonna di Ognissanti, una grande pala per i
frati umiliati nella chiesa dei santi a Firenze, oggi gli Uffizi.
Tra il 1311 il 1312 Giotto fu chiamato a Roma, chiamato dal cardinale Jacopo Stefaneschi,
per progettare l’atrio della basilica costantiniana di San Pietro, la cosiddetta navicella, un
grande mosaico logico ma ricostruibile grazie ricostruzioni posteriori.

I rapporti tra giunti francescani, che segnarono la carriera dell’artista videro Giotto nella
sua bottega molto attivi anche nella chiesa fiorentina dell’ordine di Santa Croce. Alcune
illustri famiglie cittadine i francescani e quindi acquistato una serie di cappelle nel
transetto della chiesa facendole via via abbellire Con le storie dei santi in modo speciale,
tali tabelle avevano davanti asse nomi di spicco dell’economia fiorentina, ed anche pagine
di convinta devozione religiosa, in una fase molto importante della pittura del primo 300.

Gli ultimi anni di Giotto


Negli ultimi anni di vita, la laboriosità 18 non sia sesto, infatti venne chiamato a Napoli non nella Napoli angioina, dove
affresca la cappella palatina in Castelnuovo il coro delle monache di Santa Chiara tra parentesi opere perdute) nel 1134
Giotto assunse l’incarico di capo maestro dell’opera del Duomo della sua città, il progetto del campanile, a base quadrata
con contrafforti in corrispondenza degli angoli. Sotto la sua direzione è solo il primo registro, con specchiature di marmi
policromi. L’opera poi venne completata nel corso del trecento.
Il percorso di Giotto si conclude quindi così nella sua scritta, ma la rivoluzione dell’artista ho traversato Assisi, Milano,
Napoli, Padova, Roma, e altri centri ancora, in una dimensione schiettamente italiana

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