Sei sulla pagina 1di 4

IL PALAZZO DI CNOSSO

L’archeologo inglese Arthur Evans fu lo scopritore del più vasto e famoso palazzo minoico,
ovvero il Palazzo di Cnosso. Il palazzo di Cnosso era sede del potere civile, militare, religioso
e di molte altre attività, gestite dal signore del luogo e dai suoi funzionari. Più una sorta di
città che non un palazzo, con le sue centinaia di stanze: quattrocento locali, collegati da scale,
corridoi e cortili. L’ala orientale era costruita a ridosso di una collina e varie scalinate
collegavano i piani a differenti altezze. Questo edificio di tale complessità ha fatto nascere la
leggenda del labirinto (progettato dall’architetto greco Dedalo).

Da molti anni era noto che in quest'area si dovesse trovare una città di nome Cnosso, in cui è
stato trovato il Palazzo di Cnosso. Infatti gli abitanti della regione, coltivando i loro campi,
trovavano spesso degli oggetti antichi. Il primo ad intraprendere gli scavi fu Minos
Kalokairinos, un antiquario, commerciante di Iraklion, che nel 1878 scoprì due dei magazzini
del palazzo. I turchi, padroni del terreno, lo costrinsero a fermare le ricerche. Fallirono pure i
tentativi di Heinrich Schliemann nel comprare la collina di "Kefala" a causa delle eccessive
pretese dei turchi. Infatti, volevano vendere al ricercatore molti più ulivi di quanti non ce ne
fossero sulla collina costringendolo a pagare un ingente somma che il tedesco rifiutò
indignato.

Evans esaminò il sito il 19 marzo 1894. Dopoché nel 1898 Creta divenne indipendente dalla
Turchia, nel 1899 Evans comprò la terra con i suoi propri risparmi e decise di preparare gli
scavi che incominciò nel 1900, seguito dal suo assistente, l'archeologo inglese D. Mackenzie.
Verso la fine del 1903 quasi tutto il palazzo era scoperto e la ricerca procedette nei dintorni.
Evans continuò così fino al 1931, con un'interruzione durante la prima guerra mondiale. Più
tardi pubblicò la sua opera The Palace of Minos at Knossos, in quattro volumi.

LA BROCCHETTA DI GURNIÁ
Le decorazioni dei vasi cretesi erano quasi sempre ispirate alla natura: motivi come foglie,
steli, fiori, animali si adattavano, nella disposizione o nella forma a quella del vaso,
originando motivi ornamentali. Distinguiamo le tre fasi principali nello stile decorativo:

• Tra il 2000 e il 1700 a.C. si affermò la decorazione in stile detto di Kamàres. Le forme erano
stilizzate in motivi geometrici, con prevalenza di girali. I colori, in prevalenza il rosso, il giallo
e il bianco, spiccano su omogenei sfondi scuri.

• Nel XVI secolo a.C. si sviluppò lo stile detto naturalistico, in cui soggetti tratti dal mondo
marino si dispongono liberamente sulla superficie del vaso. Appartiene a questo stile la
Brocchetta di Gurnià.

• A partire dalla fine del XV secolo, in corrispondenza al progressivo assorbimento di Creta


nella civiltà micenea, le figurazioni divennero più rigide e schematiche, caratterizzando il
cosiddetto stile di palazzo.

• A differenza dei vasi in stile di Kamàres, le figure sono scure su sfondo chiaro.
• è riprodotta la figura di un polpo in modo dettagliato: riconosciamo le varie parti del
corpo, come gli occhi e i tentacoli.

• L’animale è disposto liberamente sulla superficie e la vegetazione marina è posta tra i


tentacoli, esprimendo vitalità e unità tra gli elementi del mare.

• Il vaso risale al 1450 a.C.: fu realizzato, dunque, nel periodo di massimo splendore dell’arte
cretese.

• Le dimensioni sono piuttosto contenute: la brocchetta è alta appena 20 centimetri.

• Il vaso è conservato al Museo Archeologico della città cretese di Hiràklion, che ospita
opere molto importanti della civiltà minoica.

MASCHERA DI AGAMENNONE
Questo prezioso rilievo, noto come Maschera di Agamennone, fu scoperto con altri tesori
dall’archeologo tedesco Heinrich Schliemann. La maschera rappresenta le fattezze di un
anziano principe guerriero: ha il naso dritto e le sopracciglia marcate, gli occhi a forma di
mandorla con le palpebre chiuse, la bocca e il mento incorniciati dalla barba ispida e da baffi
insolitamente curvi. Colpisce la volontà di fermare nella fisionomia del defunto la rigidità
della morte.

UN VOLTO ENIGMATICO
Questo prezioso rilievo, noto come Maschera di Agamennone, fu scoperto con altri tesori
dall’archeologo tedesco Heinrich Schliemann. La maschera rappresenta le fattezze di un
anziano principe guerriero: ha il naso dritto e le sopracciglia marcate, gli occhi a forma di
mandorla con le palpebre chiuse, la bocca e il mento incorniciati dalla barba ispida e da baffi
insolitamente ricurvi. Colpisce la volontà di fermare nella fisionomia del defunto la rigidità
della morte. Gli occhi e le labbra serrate esprimono, ad esempio, un senso di paura e di
angoscia. Questo genere di maschere venivano modellate con la tecnica dello «sbalzo», cioè
lavorate dall’interno con degli attrezzi appuntiti. La loro funzione era quella di coprire il
volto del defunto poiché, quando un sovrano miceneo moriva, la salma veniva vestita con
abiti regali e il volto coperto da un sudario sul quale era riposta la maschera d’oro, come
dimostrano i due fori vicino alle orecchie che servivano a fermarla sul viso per mezzo di una
corda. Nella tomba, accanto al corpo, veniva deposto un ricco corredo funebre composto da
armi , gioielli, vasi, tazze. L’attribuzione della maschera al leggendario Agamennone, il
sovrano che aveva guidato i Greci contro Troia, viene oggi considerata infondata, poiché la
maschera risulta di epoca molto più antica. Altri studiosi ne hanno addirittura messo in
discussione l’autenticità, in base a confronti di ordine stilistico, per questo non si è certi della
vera identità del defunto.
TESORO DI ATREO
A sud della rocca di Micene, lungo la strada che conduce al mare, si estende anche la
necropoli coeva alla cittadella stessa, in uso tra il XV e il XIII secolo a.C. Caratteristiche di
questa necropoli sono le grandi tombe cosiddette “a thólos”, un termine
convenzionalmente utilizzato per definire una particolare forma architettonica, che coniuga
una pianta circolare a una copertura a pseudo-cupola, simile cioè a una cupola ma realizzata
secondo un metodo diverso. Tra queste tombe spicca quella denominata da Schliemann il
“Tesoro di Atreo”. Si tratta, appunto, di tombe a camera circolare, cui si accede tramite un
lungo corridoio scoperto in discesa, che gli archeologi chiamano convenzionalmente
drómos. Attualmente, l’ingresso presenta un aspetto spoglio, con le cornici dell’architrave
quale unico ornamento, ma in origine il portale era abbellito da semi colonne decorate
laterali, sormontate da una lastra a rilievo con motivi a spirale posta tra due colonnine. Il
triangolo di scarico, funzionale a distribuire il peso sugli stipiti della porta, non risultava
dunque vuoto come invece appare oggi. Come abbiamo detto, la thólos è chiusa da una
pseudo-cupola, un sistema molto diffuso nelle civiltà antiche e non solo. La camera ha una
copertura a sezione ogivale (cioè formata da archi a sesto acuto, costituiti dall’intersezione
di due archi di circonferenza con i centri posti sul piano d’imposta), in cui alcuni anelli di
conci (pietre squadrate) si sovrappongono restringendosi sempre di più, sino alla chiusura
della sommità. Il progressivo restringersi degli anelli è ottenuto facendo aggettare, cioè
sporgere, sapientemente i conci di ciascun filare rispetto a quelli sottostanti E9. La stabilità
di una costruzione tanto complessa e massiccia è garantita proprio dalla forma circolare dei
filari di pietre, che fissano a mano a mano i blocchi sottostanti. La superficie concava interna
conferisce alla thólos l’aspetto di una cupola, nonostante i presupposti statici dei due
sistemi di copertura siano profondamente diversi. Nella cupola vera e propria, i conci sono
disposti intorno a una superficie semisferica e indirizzati verso il centro di curvatura,
reggendosi così per mutuo contrasto. Una pseudo-cupola come quella del “Tesoro di Atreo”,
invece, si sostiene per gravità, grazie al peso di ciascun filare imposto su quello sottostante.
All’interno, la pseudo-cupola che ricopriva la camera circolare nel “Tesoro di Atreo” era
ornata da rosette di bronzo che, con i loro lucidi riflessi metallici, imitavano un cielo stellato.
Questa sala circolare conteneva il ricco corredo funerario, mentre la camera sepolcrale vera
e propria era un ulteriore ambiente quadrangolare attiguo alla thólos.

LA PORTA DEI LEONI


Fu eretta nel XIV secolo a.C. Rappresenta l’ingresso monumentale all’acropoli di Micene. È
costituita da quattro enormi blocchi di pietra calcarea locale: i due stipiti ai lati, la soglia
sottostante e l’architrave, è coronata in alto da un monolite interamente scolpito con un
simbolo araldico. Ai lati di una colonna centrale sono raffigurate, perfettamente simmetriche,
due leonesse rampanti (ovvero appoggiate sulle zampe anteriori), di cui purtroppo sono state
perdute le teste. La porta presenta un carattere monumentale, anche per la sua essenzialità: il
rilievo delle figure è netto, e il senso della massa è accentuato dal forte contrasto tra luce e
ombra; analogamente, le linee scure che si formano tra i blocchi di pietra squadrati esprimono
severità.La Porta dei Leoni di Micene rappresenta una delle più razionali applicazioni del
sistema trilitico nell’architettura antica. L’architrave è costituita da un grosso masso
orizzontale, lungo 5 metri e profondo 2,5 metri; è sostenuta da due piedritti, a loro volta due
massi posti verticalmente sulla soglia, per un’altezza di circa 3 metri. Se il peso delle mura
sovrastanti non ha spezzato l’architrave, è perché sopra di essa è stata posta la pietra
triangolare con il rilievo dei leoni. La sua forma ha consentito di far scivolare il peso sui
sostegni verticali, scaricandoli a terra.

IDOLI DI MARMO
La funzione di queste statue non è ancora completamente chiara ; tuttavia , vista la frequenza
di ritrovamenti in contesti funerari , possiamo immaginare che queste opere avessero uno
scopo magico - propiziatorio . Così , nella raffigurazione degli idoli femminili , simbolo della
procreazione e del perpetuo rinnovarsi delle cose , il corpo della donna , completamente nudo
, è realizzato secondo forme geometrizzanti rese più evidenti dalle braccia conserte e dal viso
triangolare o ovale e perfettamente piatto , da cui sporge soltanto il naso . I gesti sono lenti e
sottolineati dalla plasticità delle forme . A volte la ricerca di stilizzazione porta a
un'accentuazione delle caratteristiche anatomiche essenziali : il corpo assume quindi la
sagoma di un violoncello, una soluzione stilistica desti nata ad avere grande successo anche
nell'arte del Novecento . Tra queste piccole statue , celebre è il cosiddetto Arpista, in cui lo
scultore riduce le membra dell'uomo e gli oggetti a cilindri di diverso diametro ,
ricomponendoli secondo una struttura geometrica basata sul triangolo . Il volume della figura
è determinato dalla fusione di più piani , paralleli o perpendicolari tra loro : due per braccia e
gambe , il terzo per la schiena , l'ultimo per la seduta . Spalle e braccia del musicista seguono
le linee dello strumento , creando una sorta di fusione tra l'uomo e l'arpa : così è anche la
sedia che ripropone , rovesciata , la forma triangolare dell'arpa . Come il resto della figura ,
anche la testa , reclinata all'indietro , è le è il naso .

Potrebbero piacerti anche