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GIACOMO LEOPARDI

Leopardi nacque nel 1798 a Recanati, un borgo nelle Marche che faceva parte dello Stato Pontificio. Ebbe
un'educazione bigotta e conservatrice. La vita familiare era priva di affetto e di confidenza. Leopardi fu
inizialmente istruito da precettori ecclesiastici poi, all’età di 10 anni, decise di continuare i suoi studi da solo
per ‘sette anni di studio matto e disperatissimo’. Imparò il latino, greco, ebraico, compose opere, lavori
filosofici, componimenti poetici, odi, sonetti …

Tra 1815-16 si attua la sua conversione ‘’dall’erudire al bello’’. Si appassiona ai grandi poeti come Omero,
Virgilio, Dante. Stringe una forte amicizia con Pietro Giordani, nel quale trova la confidenza affettuosa che gli
manca.

atmosfera chiusa e opprimente di Recanati  bisogno di uscire da lì.

Nel 1819 tenta la fuga ma viene scoperto.

La malattia agli occhi, la solitudine, la prostrazione danno origine al suo pessimismo

CRISI, nuove sperimentazioni letterarie.

Nel 1822 si reca a Roma dove trova ambienti vuoti e meschini, così nel 1823 torna a Recanati dove si dedica
alla prosa. Successivamente si trasferisce a Milano, Bologna, Firenze, Pisa (‘risorgimento’).

1828 torna a Recanati per le sue condizioni di salute.

1830 torna a Firenze (Antonio Ranieri e Fanny Tozzetti)

1833 va a Napoli con Ranieri dove entra in polemica con l’ambiente culturale e muore nel 1837.

LETTERE
Le lettere più significative sono a Pietro Giordani, dal 1817. Leopardi mancava il calore della comunicazione umana e
trovò in Giordani una figura paterna al quale confessare i suoi tormenti interiori.
Vi sono poi lettere indirizzate al fratello Carlo, alla sorella Paolina, e al padre. Alcune lettere sono poi indirizzate a
importanti personalità come Vincenzo Monti, Vieusseux, Sinner, dove si ha una comunicazione personale e privata.

ROMANZO AUTOBIOGRAFICO
Nel 1819 Leopardi sperimentò il romanzo autobiografico, sul modello di Goethe e Foscolo. Egli accumulò vari
appunti che, disordinatamente, annotavano esperienze passate, infantili, adolescenziali, sensazioni e
immaginazioni.

T1, LETTERA DOPO LA FUGA TENTATA DA RECANATI (a Pietro Giordani)


Questa lettera espone la prostrazione dell’autore. Il motivo centrale è il nulla, la vanità di tutte le cose,
affiancata dalla noia. Leopardi non riesce più a concepire nessun desiderio, non vede più il divario tra la morte
e la vita. Inoltre non riesce a trovare conforto neanche nell’attività intellettuale perché a causa della sua
malattia agli occhi non riesce a leggere o ascoltare leggere.

T2 LETTERA
Questa lettera si collega ai temi della precedente, un’impressione ‘viva’ risuscita in Leopardi la capacità di
sentire e immaginare: un ‘notturno lunare’.
Leopardi parla della contrapposizione tra natura e ragione: la ragione distrugge le illusioni e fa vedere il vero,
che è il nulla. Ragione vero  nulla  distrugge ogni possibilità di azione
IL PENSIERO

Natura benigna: Al centro della riflessione di Leopardi si pone l’infelicità dell’uomo. Egli identifica la felicità
come il piacere, sensibile e materiale. L’uomo desidera un piacere che sia infinito, che non esiste. Quindi
l’uomo ha un senso di insoddisfazione perpetua perché non raggiunge mai ciò che desidera. Nella prima fase
per Leopardi la natura è una madre benigna e provvidenziale, che ha voluto offrire all’uomo un rimedio al
dolore: l’immaginazione e le illusioni.
Pessimismo storico: la condizione negativa del presente viene vista come effetto di un processo storico, una
decadenza e un progressivo allontanamento da una condizione di felicità iniziale. Nella prima fase del
pensiero leopardiano si ha un’antitesi tra natura e ragione, tra moderni e antichi. Gli antichi, nutriti di illusioni,
erano più forti con una vita più attiva e intensa. Il progresso della civiltà e della ragione, spengendo le illusioni,
ha reso i moderni incapaci di azioni eroiche.
Titanismo  poeta sfida il ‘fato maligno’

Natura malvagia: Leopardi successivamente si rende conto che la natura mira alla conservazione della specie,
e per questo fine può anche sacrificare il bene del singolo e generare sofferenza. Leopardi concepisce la
natura non più come una madre provvidenziale ma come un meccanicismo cieco, indifferente alla sorte delle
sue creature.
 Concezione meccanicistica e materialista della natura.
Ora l’infelicità è causata soprattutto da mali esterni, malattie, vecchiaia …

Pessimismo cosmico: Se causa dell’infelicità è la natura, allora tutti gli uomini sono infelici, anche gli antichi.
 Infelicità è una condizione assoluta.

L’infinito nell’immaginazione: la teoria del piacere, 1820, elaborata da Leopardi, spiega che se nella realtà il
piacere infinito è irraggiungibile, l’uomo può figurarsi piaceri infiniti nell’immaginazione. Si viene poi a
delineare la teoria della visione, secondo la quale è piacevole quando una vista è impedita da un ostacolo
perché subentra l’immaginazione. Contemporaneamente viene a costruirsi anche una teoria del suono, dove
Leopardi elenca una serie di suoni suggestivi perché vaghi.
Il bello poetico per Leopardi è il ‘’vago e indefinito’’.

Antichi e moderni: Leopardi osserva che gli antichi, perché più vicini alla natura, erano pieni di immaginazione
e quindi felici. I moderni invece hanno perso questa capacità a causa della ragione.

T4a, LA TEORIA DEL PIACERE


In questo passo dello Zibaldone Leopardi riflette sul piacere (desiderio infinito) e l’indefinito.
1. il desiderio del piacere è infinito per durata e estensione.
2. il conseguimento di un oggetto di desiderio non spegne il desiderio del piacere in quanto è finito.
3. soltanto l’immaginazione può soddisfare il desiderio del piacere.
4. la natura aveva disposto il piacere agli uomini facendoli ignoranti, cioè capaci di illusioni.
5. il vago e l’indefinito sono fonti di piacere perché attivano l’immaginazione.

I CANTI
Il periodo 1816-19 è ricco di esperimenti letterari.
1818-23 compone 10 canzoni
1826 raccolta di Versi (Idilli)
1831 raccoglie tutto e crea ‘I Canti’ (1835 seconda edizione, 1845 ultima edizione postuma).

LE CANZONI
Le canzoni sono componimenti classicistici, con un linguaggio aulico, sublime, denso di tradizione, affrontano
tematiche civili con spunti polemici contro l’età presente. La più significativa è ‘’Ad Angelo Mai’’ che è una
summa di temi leopardiani. ‘’Bruto Minore’’(1821) e ‘’l’ultimo canto di Saffo’’ che parlano di due personaggi
dell’antichità, Bruto, l’uccisore di Cesare, e la poetessa Saffo, entrambi suicidi. Si delinea l’infelicità umana
come condizione assoluta.

GLI IDILLI
La parola ‘Idillio’ deriva dal greco e significa ‘quadretto’. Nella letteratura greca antica indicava la brevità dei
testi con una sfumatura pastorale. Le tematiche degli Idilli sono intime e autobiografiche, con un linguaggio
più colloquiale. I più importanti furono ‘L’Infinito’, ‘Alla Luna’ e ‘La sera del giorno festivo’.
Leopardi definì gli Idilli come espressione dei sentimenti, affezioni, avventure storiche del suo animo.

T5, L’INFINITO
Fu composto a Recanati nel 1819 e pubblicato nel 1825(Nuovo Ricoglitore), 1826(Versi), 1831(Canti).
Questo testo anticipa la teoria del piacere e la teoria del vago e dell’indefinito che si sviluppano nel 1820.
Nei vv 1-8 si ha una descrizione visiva, l’impossibilità della visione che esclude il reale e fa subentrare il
fantastico. Nei vv 8-15 si ha invece una descrizione uditiva(stormire del vento tra le foglie …).

T6, LA SERA DEL Dì DI FESTA


Fu composto a Recanati nel 1820. La poesia si apre con un ‘notturno lunare’, un’immagine vaga e indefinita
cara a Leopardi.
Vv 4-24 si ha una contrapposizione tra due figure giovanili: una fanciulla, che si riposa senza preoccupazioni, e
il poeta, che la natura ha creato per essere infelice.
Vv 24-46 è centrale il tema del passare di tutte le cose, del tempo che nel suo scorrere vanifica tutto, dei
popoli antichi che sono finiti nell’oblio.

OPERETTE MORALI
Nello Zibaldone del 1821 si legge una riflessione di Leopardi dove dice che per scuotere la sua povera patria si
impegnerà nella lirica, nelle prose letterarie, nei trattati filosofici, nei dialoghi e novelle …
L e Operette Morali (1827) sono prose di argomento filosofico, nelle quali Leopardi si prefigge lo scopo di
‘scuotere la sua patria e il suo secolo’. Il titolo ‘Operette’ indica il taglio breve di questi testi, il tono più lieve,
comico, ironico rispetto ai trattati filosofici.
Il modello a cui si ispira è Luciano, un autore greco del 120-180 d.C. che usava il genere serio-comico.
Le Operette comprendono:
- dialoghi tra personaggi mitici o favolosi (Moda e Morte)
-dialoghi tra personaggi storici e esseri fantastici
-forme narrative
-prose liriche
I temi fondamentali sono l’infelicità dell’uomo, l’impossibilità del piacere, la noia, il dolore …

T20, DIALOGO TRA LA NATURA E UN ISLANDESE


Questa operetta segna una svolta del pensiero leopardiano: dalla concezione di una natura benefica a quella
di una
natura malvagia. L’infelicità dell’uomo dipende dai mali esterni, dei quali l’islandese fa un elenco: climi avversi,
tempeste, cataclismi, bestie feroci, malattie, decadenza fisica, vecchiaia … Per l’islandese la natura è un’entità
malvagia che perseguita le sue creature, la Natura invece dice che crea il male senza accorgersene, in
obbedienza a leggi oggettive.

T19, DIALOGO DI TASSO E IL SUO GENIO FAMILIARE


[noia, immaginazione, rimembranza, teoria del piacere, illusioni]
1824. Il protagonista è Tasso, considerato come un’anima fraterna da Leopardi. La cornice del dialogo è il
carcere di Ferrara, in cui il poeta è rinchiuso per presunta infermità mentale.
Imprigionato dietro le sbarre, Tasso immagina e sogna. Nella solitudine della prigione gli appare il Genio
familiare, uno spirito che abitualmente visita la cella del poeta e con cui Tasso si intrattiene dialogando.
Il primo tema dell’operetta sono le donne, che stimolano la fantasia e l’immaginazione degli uomini. Tasso
confida al Genio la nostalgia per la sua amata Leonora e rimpiange il tempo in cui era giovane, pieno di forza e
di illusioni. Il Genio gli propone allora di fargliela comparire in sogno. Alla protesta di Tasso di ricevere un
sogno in cambio della vera Leonora il Genio risponde che dal vero al sognato, non corre altra differenza, se
non che questo può qualche volta essere molto più bello e più dolce.
Tasso conclude dicendo che poiché gli uomini nascono e vivono al solo piacere, o del corpo o dell'animo; se da
altra parte il piacere è solamente nei sogni, converrà vivere per sognare.

T9, A SILVIA
[rimembranza, immaginazione, vago e indefinito]
Pisa 1828.
Questo canto è dedicato a una ragazza che il poeta conobbe realmente, Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di
casa Leopardi, morta di tubercolosi nel 1818. Nell’immaginazione di Leopardi Silvia è soprattutto il simbolo
della speranza della giovinezza, fatta di attese, illusioni e delusioni.
Il canto si divide in due parti: la prima parte ha carattere rievocativo, incentrato sulla poetica della memoria, la
seconda parte ha carattere riflessivo. Nella prima parte, Leopardi domanda a Silvia se, dopo tanti anni, ricorda
ancora i giorni felici nei quali si affacciava alla giovinezza. Quando anche il poeta aveva nel cuore la fiducia
nella vita e, come Silvia, aveva pensieri piacevoli e speranze. Tuttavia questo è destinato a finire per colpa
della natura, che promette negli anni della giovinezza e dell’adolescenza, ma poi non mantiene ciò che ha
promesso. Nella seconda parte il poeta fa un paragone tra il destino della ragazza e il suo: svaniti i sogni con
l’apparire della realtà dolorosa, non resta altro che la morte per liberarli.
La situazione è lasciata al vago e all’indefinito: l’immagine di Silvia, il mondo esterno, perché Leopardi lascia
spazio all’immaginazione.
La realtà è ‘filtrata’ da:
-filtro fisico: la finestra del paterno ostello dalla quale Leopardi descrive il mondo esterno
-l’immaginazione,
-la memoria,
-filtro letterario: ricordo virgiliano del canto di Circe
-filtro filosofico: consapevolezza del vero e dell’infinita vanità del tutto.

T10, LE RICORDANZE
[rimembranza, vago e indefinito]
In questa poesia viene messo in scena il ritorno a Recanati di Leopardi, articolato in un confronto tra ciò che è
passato e ciò che è presente. Una volta giunto nella casa paterna, il poeta fa sue immagini e sensazioni che
aveva sopito sulla sua infanzia, periodo pieno di dolci illusioni e di sogni. Quello era il periodo in cui ancora
non aveva idea di ciò che sarebbe stata la vita, con un mondo tutto da esplorare ancora davanti.

T11, LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA


[vago e indefinito, teoria del piacere, suicidio, illusioni]
Nella prima parte, strofa 1, si ha una descrizione apparente dove presenta un quadro realistico del villaggio.
Nella seconda parte, strofe 2,3, si ha una riflessione sul dolore, che nasce spontaneamente e il piacere che ne
deriva è miracolo, prodigio. Nei versi 53-54 viene affrontato il tema del suicidio, come cessare estremo di tutti
i mali.

T12, IL SABATO DEL VILLAGGIO


[vago e indefinito, attesa di un godimento futuro, speranza giovanile/ricordo passato]
1829 a Recanati. E’ un dittico, cioè è collegato, con ‘La quiete dopo la tempesta’.
Nella prima parte (vv. 1-30) viene descritta una scena di vita quotidiana in un paese, nell'atmosfera serale di
un sabato primaverile, quando gli abitanti si preparano con ansia al giorno di festa. La descrizione si concentra
su alcune figure esemplari: la "donzelletta", che porta in mano porta un mazzo di rose e viole (che tuttavia,
come venne notato da Pascoli sono due fiori che sbocciano in mesi diversi dell'anno), e rappresenta una figura
ideale della giovinezza ma anche del lavoro nei campi. La "vecchierella" che, contemplando la fine del giorno,
ricorda la sua giovinezza, creando così un legame tra fine del giorno e vita umana; i "fanciulli" che giocano,
rappresentano l'infanzia lieta e spensierata. Infine troviamo i lavoratori, il contadino e falegname, lo
"zappatore" (v. 29) e il "legnaiuol" (v. 34).
Nella seconda parte il poeta riflette sulla vanità dell'attesa della festa: il piacere, che ognuno degli abitanti si
aspetta, non giungerà mai, ma permarranno la noia e la tristezza dell’esistenza umana . La riflessione si
estende poi anche alla vita: la giovinezza è un periodo felice, perché si attende con ansia e gioia l'entrata
nell'età adulta, ma si rivelerà dolorosa e priva di piacere.

T13, CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA


[infelicità cosmica, poesia del vero]
1829-30. L’idea del canto fu suggerita a Leopardi da un articolo di un giornale nel quale lesse che i pastori
dell’Asia centrale trascorrevano le notti a guardare la luna e parlare di discorsi tristi.
Il Canto notturno è diviso in sei strofe, molto diverse l'una dall'altra:
Nella prima strofa il poeta si rivolge alla luna, ponendole una serie d’ interrogativi inerenti alla sua esistenza, al
suo valore e al suo scopo. Le chiede se non si sia ancora annoiata a ripercorrere giorno dopo giorno lo stesso
cammino.
Successivamente paragona la vita del pastore a quella della luna, chiedendole qual è il fine della vita.
Nella seconda strofa non c’è nessuna risposta riguardo agli interrogativi precedenti e segue una descrizione
allegorica della vita umana. Essa è paragonata al viaggio insidioso di un “vecchierello” malato, esposto alle
intemperie della natura e la sua destinazione coincide con “l’abisso orrido”, cioè la morte.
Nella terza strofa il pastore riprende il tema della morte: egli si chiede perché la vita continui nonostante
vivere sia faticoso fin dal primo istante, poiché già la nascita comporta un rischio. È quindi compito dei genitori
consolare continuamente il figlio infondendogli coraggio.
Nella quarta strofa l’autore fa un’ipotesi circa il significato dell’esistenza. Esso è nascosto all’umile sguardo del
pastore, ma è noto solo alla luna. Essa infatti può comprendere lo scopo della mattina, della sera, del silenzio e
dello scorrere del tempo, così come le stagioni; la luna sa numerosissime cose e ne scopre di continuo di
nuove, che sono invece nascoste al pastore.
Nella quinta strofa il pastore, dopo aver cercato risposte dalla luna, si rivolge ad una realtà inferiore, le
pecore. Esse sono felici ma a differenza della luna, questo sentimento non è dato dal fatto che conoscono il
perché di ogni cosa ma dall’ignorare la propria condizione. L’uomo quindi si pone domande, ma non trovando
risposte può solo fare ipotesi, e questo lo porta ad annoiarsi.
Nell’ultima strofa il pastore rivela che, sotto qualsiasi aspetto, qualsiasi condizione, sia che la nascita si
verifichi in una tana che in una culla, il giorno della nascita è funesto per chi nasce.

T23, DIALOGO DI PLOTINO E PORFIRIO


[suicidio]
1827. Questa opera vede come protagonisti due filosofi: Plotino e Porfirio.
Porfirio inizia il dialogo dicendo che tutti i sentimenti della vita, compreso il dolore, sono vani e per questo
crede che per porre fine a tutto ciò sia necessario il suicidio.
Quindi la morte rappresenta una medicina per tutti i mali dell'uomo, e per questo esso non deve averne
timore, come avviene per la maggior parte degli uomini.
Plotino afferma quindi che, se tutti gli uomini tentassero il suicidio, non verrebbe garantita la continuità della
specie e per questo crede che sia contro natura.
Porfirio poi sostiene che come la natura ha dato all'uomo l'odio e il timore per la morte, la natura propende
per la felicità che è irraggiungibile, quindi è lecito per l'uomo abbreviare la vita piena di sofferenza con la
morte. Poi Plotino afferma che è inevitabile che l'uomo nella vita abbia dei patimenti e che il dolore
accompagnerà l'individuo nel corso di tutta la sua vita e il piacere verrà raggiunto solo inconsapevolmente
(teoria piacere).
Per questa ragione Porfirio afferma che senza speranza di un certo fine, l'esistenza umana non ha alcun senso.
Plotino risponde dicendo che il suicidio mira ad annullare i dolori personali, ma accentua i dolori dei propri
cari e conclude dicendo che la condivisione dei propri dolori con altri aiuta a sedarli.
Entrambi i filosofi sono proiezioni di Leopardi, sostenitore del suicidio come rimedio all’infelicità umana ma
anche oppositore di esso.
Questo dialogo apre la strada all’ultima stagione della poesia leopardiana, quella della Ginestra. Il tema
centrale sarà proprio la necessità di amore e solidarietà tra gli uomini.

T24, DIALOGO DI UN VENDITORE DI ALMANACCHI E UN PASSEGGERO


[attesa del godimento futuro, vago e indefinito]
1832. La conversazione si svolge tra un viandante e un venditore di almanacchi. Un passante chiede a un
venditore di almanacchi se, a suo parere, l’anno nuovo sarà felice. – Certamente! – risponde il venditore. Inizia
così fra i due un fitto scambio di battute durante il quale il venditore, pur sostenendo che la vita è una cosa
bella, è costretto ad ammettere che non ci sono nella sua vita trascorsa tempi felici, anni a cui vorrebbe
somigliasse l’anno venturo. Alla fine il passeggere giunge alla conclusione che la felicità consiste nell’attesa di
qualcosa che non si conosce, nella speranza di un futuro diverso e migliore del passato e del presente. Poi
compra l’almanacco più bello e se ne va; il venditore riprende il suo cammino e il dialogo si conclude con la
stessa battuta con cui è iniziato (Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi), a sottolineare il ripetersi delle
vicende umane e l’impossibilità del cambiamento.

T18, LA GINESTRA O IL FIORE DEL DESERTO


[solidarietà fra gli uomini, presente/passato, natura maligna]
1836. L’opera si apre con un versetto tratto dal Vangelo di san Giovanni che tratta le concezioni ottimistiche e
la fede del progresso che ponevano l’uomo al centro.
Nella prima parte si ha una descrizione dell’’odorata ginestra’ che nasce in luoghi deserti come sul fianco del
Vesuvio. Leopardi contrappone la bellezza di quei luoghi nel passato e la desolazione del paesaggio nel
presente. Dal verso 41 riflette sulla potenza malvagia della natura, la quale non si cura degli uomini e riesce ad
annientare tutto. Infine, nei versi 49-51, dice che su quel pendio sono rappresentate le sorti dell’umanità.

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