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Nicola Abbagnano Giovanni Fornero Percorsi di Filosofia Storia e Temi

Percorsi Tematici a cura di Roberto Ignazio Cortese


1A dalle origini ad Aristotele percorsi di filosofia

Per iniziare a conoscere la filosofia

Che cos’è la filosofia? A che cosa serve?

Alla scoperta della filosofia


Provare a definire che cosa sia la filosofia prima di incominciare ad affrontare i problemi
che essa ha analizzato nel corso del suo cammino e sui quali continua a riflettere è, per
citare una fortunata immagine di Hegel1 , un po’ come «imparare a nuotare prima di
arrischiarsi nell’acqua». Anche stando lontani dall’acqua si può dire qualcosa sul nuoto: si
può indicare, ad esempio, in che cosa il nuoto si specifichi nei confronti di altre attività
fisiche e che cosa esso non sia (si caratterizza per l’uso di tutti gli arti e non equivale al
camminare); tuttavia, come a nuotare s’impara solo entrando nell’acqua, così si può
conoscere la filosofia solo entrando in contatto con essa.
1. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, filosofo tedesco vissuto tra il 1770 e il 1831.

Ecco il motivo per il quale è opportuno lasciare subito la parola a tre filosofi dell’antichità,
Socrate, Aristotele ed Epicuro, per farci dire da loro perché è necessario fare filosofia e
che cosa caratterizza tale impegno.

La filosofia come ricerca


[….] L’etimologia della parola filosofia, significa “amore per il sapere”.
Chi fa filosofia è animato da “amore”, cioè da una passione, da uno slancio, da una forza
che lo coinvolge in tutto il suo essere, e l’oggetto di tale passione è il sapere in quanto
tale, non questa o quella disciplina particolare.
Il termine filosofia rimanda quindi a un’attività impegnativa: essa coinvolge in profondità
colui che vi si dedica e mette in moto una ricerca che ha nel sapere il suo oggetto e il suo
pungolo interno, nella consapevolezza che mai se ne potrà raggiungere il possesso pieno
e definitivo.
Proprio in quanto “ricerca” – e non “possesso” – del vero, la filosofia si presenta come
attività tipica dell’essere umano: un sapere certo e totale non si concilia con la nostra
finitezza costitutiva, condizione che peraltro stimola il cammino verso la conoscenza.
Filosofi in senso proprio, quindi, sono solo gli uomini e le donne.

Socrate: una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta


L’esortazione a filosofare
E’ questo il tema che anima l’indagine di Socrate, che intende la filosofia come ricerca
inesauribile del sapere. Per lui tale ricerca non è una delle tante attività che l’uomo può
svolgere: è un impegno che chiama in causa tutto il suo essere e motiva la sua esistenza.
Il primo passo è tratto dall’autodifesa che Socrate pronuncia di fronte ai giudici di Atene,
nella quale ripercorre il significato della sua esistenza e il valore del suo impegno nei
confronti dei cittadini. Nel 399 a.C. il filosofo fu processato e quindi condannato a morte
con l’accusa di empietà e corruzione dei giovani; egli non scrisse nulla di proprio pugno,
ma troviamo testimonianza delle sue parole nelle pagine del discepolo Platone. In questo
testo emerge con estrema chiarezza l’affermazione secondo cui una vita senza ricerca
non è degna di essere vissuta.
Socrate non nega che sia possibile condurre un’esistenza attenta esclusivamente a ciò
che di volta in volta si presenta come attraente o vantaggioso, ed è ben consapevole del
fatto che numerosissimi suoi concittadini siano interessati solo alle cose esteriori, alle
ricchezze, agli onori, e non alla virtù. Egli è tuttavia risoluto nel dichiarare che il vero valore
dell’esistenza dell’uomo consiste nella riflessione costante sul senso di quanto si va
facendo, e che una vita che rinunci all’indagine filosofica volta a dar ragione delle
motivazioni che guidano il comportamento di ciascun individuo è indegna dell’uomo.
Rinunciando alla filosofia, gli uomini impoveriscono la loro esistenza e non giungono a
cogliere il valore che la anima e insieme la caratterizza.

testo1
O miei concittadini di Atene, io vi sono obbligato e vi amo; ma obbedirò piuttosto al dio1
che a voi; e finché io abbia respiro, e finché io ne sia capace, non cesserò mai di filosofare
e di esortarvi e ammonirvi, chiunque io incontri di voi e sempre, e parlandogli al mio solito
modo, così: – O tu che sei il migliore degli uomini, tu che sei Ateniese, cittadino della più
grande città e più rinomata per sapienza e potenza, non ti vergogni tu a darti pensiero
delle ricchezze per ammassarne quante più puoi, e della fama e degli onori; e invece della
intelligenza e della verità e della tua anima, perché ella diventi quanto è possibile ottima2 ,
non ti dài affatto né pensiero né cura? […] Né altro in verità io faccio con questo mio
andare attorno3 se non persuadere voi, e giovani e vecchi, che non del corpo dovete aver
cura né delle ricchezze né di alcun’altra cosa prima e più che dell’anima, sì che ella diventi
ottima e virtuosissima; […] […] se poi vi dico che proprio questo è per l’uomo il bene
maggiore, ragionare ogni giorno della virtù e degli altri argomenti sui quali m’avete udito
disputare e far ricerche su me stesso e su gli altri, e che una vita che non faccia di cotali
ricerche non è degna d’esser vissuta: s’io vi dico questo, mi credete anche meno. Eppure
la cosa è così com’io vi dico, o cittadini; ma persuadervene non è facile.
(Platone, Apologia di Socrate, 29d - 30b, 38a, trad. it. di M. Valgimigli, in Opere complete,
Laterza, Roma-Bari 1971, vol. 1, pp. 54-55, 67-68)
1. Il riferimento è al dáimon che Socrate diceva di sentire, una sorta di voce che lo consigliava nei momenti
decisivi della vita, invitandolo a non compiere certe azioni. Si tratta di qualcosa di più della voce della
coscienza: è la guida divina della condotta umana.
2. Questo prendersi cura dell’anima era fondamentale nell’insegnamento di Socrate; che primo, pare, dei
Greci, concepì l’anima come sede della conoscenza e quindi della virtù.
3. Intendi: con questo mio andare in giro per la città.

Aristotele: l’imprescindibilità della filosofia

È impossibile non filosofare


La stessa impostazione è condivisa da Aristotele, che mostra come la filosofia sia
un’attività imprescindibile, connaturata all’essenza stessa dell’uomo, portato a interrogarsi
e a cercare risposte alle proprie domande.
Nel Protrettico o Discorso esortativo, un invito all’esercizio della filosofia scritto negli anni
giovanili intorno al 351-350 a.C., Aristotele4 asserisce che in nessun caso ci si può
sottrarre al filosofare. Nella sua essenza più intima il discorso filosofico si specifica, infatti,
come un interrogarsi sulla realtà che ci circonda e sul senso del nostro esistere: quindi si
tratta di un’attività che è possibile esercitare in qualsiasi momento o situazione della vita,
affrontando quegli interrogativi che ciascun uomo non può non porsi. [….] Il discorso
aristotelico parte da un dilemma – si deve o non si deve filosofare? – che l’autore risolve
osservando che perfino per decidere di trascurare la filosofia è comunque necessario
formulare riflessioni che non possono non essere definite come filosofiche.
4. Nato a Stagira nel 384 e vissuto fino al 322 a.C., fu discepolo di Platone e fondò ad Atene una scuola
detta Liceo o Peripato

testo2
[…] se si deve filosofare, si deve filosofare e se non si deve filosofare, si deve filosofare; in
ogni caso dunque si deve filosofare. Se infatti la filosofia esiste, siamo certamente tenuti a
filosofare, dal momento che essa esiste; se invece non esiste, anche in questo caso siamo
tenuti a cercare come mai la filosofia non esiste, e cercando facciamo filosofia, dal
momento che la ricerca è la causa e l’origine della filosofia.
(Aristotele, Protrettico, fr. 4, in Opere, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1973,
vol. 11)

Questo spiega perché la ricerca filosofica coinvolge tutte le persone e tutte le età della
vita: come afferma ad esempio Epicuro, essa sola può portare alla salute dell’anima e alla
felicità.

Epicuro: ogni tempo è propizio per la filosofia


La filosofia conduce alla felicità
Un ulteriore pressante invito alla filosofia è quello che Epicuro1 sviluppa nella Lettera a
Meneceo. In essa si sottolinea che la filosofia è un impegno da coltivare sempre, da
giovani come da vecchi, in quanto si presenta come un’attività rivolta alla salute dell’anima
e all’analisi dei mezzi che conducono alla felicità, che per Epicuro è il fine ultimo delle cose
umane. Dietro questa esortazione vi è un lungo dibattito, svoltosi nel mondo greco e del
quale ci sono giunte numerose testimonianze, sull’utilità o meno della filosofia. Il
commediografo ateniese Aristofane, ad esempio, nelle Nuvole prende in giro con grande
effetto comico Socrate, descritto come un perdigiorno intento all’analisi di problemi futili,
lontani dalla vita concreta. Del pari, nel dialogo platonico Gorgia uno degli interlocutori di
Socrate sostiene che: «Bello è dedicarsi alla filosofia per quanto possa servire a una
compiuta educazione: né per un giovinetto è disdicevole filosofare, ma quando, divenuti
più anziani, si seguita a filosofare, allora, Socrate, la cosa si fa ridicola ed io, trovandomi
dinnanzi ai filosofanti ho la stessa impressione di quando mi trovo dinnanzi a gente che
balbetta e bamboleggia».
1 Filosofo greco vissuto tra il 341 e il 271 a.C.,fondatore della scuola filosofica che da lui prende il nome,
l’epicureismo

Il valore terapeutico della filosofia


La posizione di Epicuro ribadisce a chiare lettere lo stretto legame tra la filosofia e l’essere
umano, il fatto che essa si rivolge al senso complessivo dell’esistenza e che proprio per
questo possiede un grande valore morale e terapeutico. Infatti, attraverso la filosofia
l’uomo si libera dalle passioni, dai desideri molesti e da tutti quei timori che sono per lui
fonte di turbamento e che, se non fugati, gli impediscono di essere felice.
testo3
Epicuro a Meneceo salute.
Né il giovane indugi a filosofare né il vecchio di filosofare sia stanco. Non si è né troppo
giovani né troppo vecchi per la salute dell’anima. Chi dice che non è ancora giunta l’età di
filosofare, o che l’età è già passata, è simile a chi dice che per la felicità non è ancora
giunta o è già passata l’età. Cosicché filosofare deve e il giovane e il vecchio: questi
perché invecchiando sia giovane di beni per il grato ricordo del passato, quegli perché sia
a un tempo giovane e maturo per l’impavidità nei confronti dell’avvenire. Meditare bisogna
su ciò che procura la felicità, poiché invero se essa c’è abbiamo tutto, se essa non c’è
facciamo tutto per possederla.
(Epicuro, Lettera a Meneceo, 122, trad. it. di G. Arrighetti, ne L’“Etica” di Epicuro e il
problema del piacere nella filosofia antica, Paravia, Torino 1990, p. 58)

PER CAPIRE E INTERPRETARE


■ Rileggendo le parole di Socrate nel t1 esplicita:
- le attività tipiche di chi “fa” filosofia;
- il nesso tra virtù e ricchezza.
■ Lasciarsi vivere, senza domandarsi il senso della propria esistenza, è certo possibile; è
anche soddisfacente, secondo te?
■ Ricostruisci l’argomentazione esposta da Aristotele nel t2 secondo la quale in ogni caso
siamo tenuti a filosofare.
■ Facendo riferimento al t3:
- evidenzia il collegamento tra filosofia, salute dell’anima e felicità;
- esplicita il rapporto tra riflessione e capacità di dare senso al proprio tempo.
La filosofia giova all’anima a ogni età
2. La filosofia come indagine razionale e meraviglia di fronte al mondo

La filosofia nasce quando l’impegno razionale diventa predominante, quando le


spiegazioni del mito e della religione vengono avvertite come insufficienti, e ci si avvia
lungo una strada che va oltre i dati dell’esperienza comune per indagare le cause
profonde della realtà ed esprimerle in un modo da tutti comprensibile e valutabile. È la
meraviglia, dice Aristotele, che spinge l’uomo alla filosofia: lo stupore e la curiosità di
fronte alla realtà circostante inducono l’individuo ad andare alla ricerca delle cause prime,
a non accontentarsi di quanto l’esperienza sembra attestare. Tale indagine si rivela
inesauribile e conduce a una molteplicità di filosofie spesso in contrasto fra loro, ma la
diversità non comporta esclusione o contraddizione; questo fa sì che tutti possano
interloquire, anche se con argomentazioni dotate di differenti profondità e originalità. Per lo
stoicismo, e in particolare per Seneca, l’attività razionale diventa il compimento dell’essere
umano, perché solo la filosofia può illuminare le scelte degli uomini e condurli al vero
bene.

Lo stupore è all’origine della filosofia


L’amore per la bellezza e per il sapere
«Noi amiamo la bellezza, ma con limpido equilibrio; coltiviamo il pensiero, ma senza
languori»: sono queste le parole che, secondo quanto ci riporta lo storico Tucidide, Pericle
pronuncia per sottolineare le caratteristiche della cultura greca, di cui l’amore per la
bellezza e per il sapere è un elemento costitutivo. E proprio l’esercizio del pensiero e
l’amore per la conoscenza sono le caratteristiche che abbiamo visto essere specifiche del
pensiero filosofico, che ha nella razionalità ciò che lo contraddistingue e lo spinge a
indagare la realtà.

Aristotele: uno sguardo ricco di meraviglia


Il passo che segue, tratto dal secondo libro della Metafisica di Aristotele, rinviene la
meraviglia all’origine dell’atteggiamento filosofico, intendendola come lo sguardo di chi si
sofferma sulle cose del mondo rinunciando a dare alcunché per scontato, provando
stupore e insieme ponendosi la domanda sul significato di quanto lo circonda. È un
atteggiamento che non mira a conseguire qualche utilità pratica e che connota la scienza
filosofica come un sapere di altissimo valore, in quanto essa sola è «fine a se stessa».
testo4
Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia:
mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito,
progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i
problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi
riguardanti la generazione dell’intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di
meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in
certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano
meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è evidente
che ricercarono il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità
pratica. E il modo stesso in cui si sono svolti i fatti lo dimostra: quando già c’era pressoché
tutto ciò che necessitava alla vita ed anche all’agiatezza ed al benessere, allora si
incominciò a ricercare questa forma di conoscenza. È evidente, dunque, che noi non la
ricerchiamo per nessun vantaggio che sia estraneo ad essa; e, anzi, è evidente che, come
diciamo uomo libero colui che è fine a se stesso e non è asservito ad altri, così questa
sola, tra tutte le altre scienze, la diciamo libera: essa sola, infatti, è fine a se stessa.
(Aristotele, Metafisica, I, 2, 982b, trad. it. di G. Reale, Rusconi, Milano 1978, pp. 77-78)

La filosofia è una conoscenza fondata sulla ragione

Un’indagine portata fino ai limiti dell’esperienza


Tipico della filosofia è lo sforzo di andare oltre i dati dell’esperienza per rinvenire le cause
profonde della realtà ed esprimerle in un modo comprensibile per tutti, tale da poter essere
sottoposto ad analisi critica. A differenza del discorso mitico e della religione, la filosofia,
soprattutto quella greca, ha piena fiducia nella possibilità della ragione di sviluppare
un’indagine logicamente strutturata, caratterizzata da riflessioni che si articolano in modo
ordinato, capaci di conquistare l’assenso con la forza delle argomentazioni proposte. Il
discorso filosofico richiede il vaglio della ragione ed è per sua natura aperto al confronto e
al dibattito.
L’affermazione del poeta Epicarmo: «è l’intelligenza che vede, è l’intelligenza che ode e
tutto il resto è sordo e cieco» ben sintetizza l’alta consapevolezza che i Greci ebbero del
compito e del valore della ragione.

Aristotele: una ricerca in continuo divenire Il passo che segue, tratto anch’esso dalla
Metafisica di Aristotele, sottolinea che la conoscenza vera è quella che individua le cause
della realtà e mette in luce come tutti possano contribuire all’acquisizione della verità,
cosicché dall’unione dei vari contributi deriva «un risultato considerevole». Nell’ambito
della filosofia, infatti, la diversità delle opinioni non comporta esclusione o contraddizione,
proprio perché ogni ricerca, strettamente connessa con la personalità di chi la compie, è in
grado di aprire nuove prospettive, di far cogliere aspetti prima ignorati o anche solo
trascurati. Per rendere più comprensibile la sua argomentazione tramite l’uso di una
suggestiva immagine, Aristotele propone il paragone tra la nostra anima e gli occhi delle
nottole, le civette sacre alla dea della sapienza Minerva: come le nottole non riescono a
vedere quando c’è troppa luce, allo stesso modo anche noi corriamo il rischio di non
cogliere proprio le cose più evidenti.
testo5
E tuttavia, noi riteniamo che il sapere e l’intendere siano propri più all’arte1 che
all’esperienza, e giudichiamo coloro che posseggono l’arte più sapienti di coloro che
posseggono la sola esperienza, in quanto siamo convinti che la sapienza, in ciascuno
degli uomini, corrisponda al loro grado di conoscere. E, questo, perché i primi sanno la
causa, mentre gli altri non la sanno. Gli empirici sanno il puro dato di fatto, ma non il
perché di esso; invece gli altri conoscono il perché e la causa. Perciò noi riteniamo che
coloro che hanno la direzione nelle singole arti siano più degni di onore e posseggano
maggiore conoscenza e siano più sapienti dei manovali, in quanto conoscono le cause
delle cose che vengon fatte; invece i manovali agiscono, ma senza sapere ciò che fanno,
così come agiscono alcuni degli esseri inanimati, per esempio, così come il fuoco brucia:
ciascuno di questi esseri inanimati agisce per un certo impulso naturale, mentre i manovali
agiscono per abitudine. […..] coloro che posseggono l’arte sono capaci di insegnare,
mentre gli empirici non ne sono capaci. Inoltre, noi riteniamo che nessuna delle
sensazioni2 sia sapienza: infatti, se anche le sensazioni sono, per eccellenza, gli strumenti
di conoscenza dei particolari, non ci dicono, però, il perché di nulla: non dicono, per
esempio, perché il fuoco è caldo, ma solamente segnalano il fatto che esso è caldo. […]
La ricerca della verità sotto un certo aspetto è difficile, mentre sotto un altro è facile. Una
prova di ciò sta nel fatto che è impossibile ad un uomo cogliere in modo adeguato la
verità, e che è altrettanto impossibile non coglierla del tutto: infatti, se ciascuno può dire
qualcosa intorno alla realtà e se, singolarmente preso, questo contributo aggiunge poco o
nulla alla conoscenza della verità, tuttavia, dall’unione di tutti i singoli contributi deriva un
risultato considerevole. […..] il fatto che si possa raggiungere la verità in generale e non
nei particolari, mostra la difficoltà di essa. E fors’anche, poiché vi sono due tipi di difficoltà,
la causa della difficoltà della ricerca della verità non sta nelle cose ma in noi. Infatti, come
gli occhi delle nottole si comportano nei confronti della luce del giorno, così anche
l’intelligenza che è nella nostra anima si comporta nei confronti delle cose che, per natura
loro, sono le più evidenti di tutte. Ora, è giusto essere grati non solo a coloro dei quali
condividiamo le opinioni ma anche a coloro che hanno espresso opinioni piuttosto
superficiali; anche costoro, infatti, hanno dato un certo contributo alla verità, in quanto
hanno contribuito a formare il nostro abito speculativo4 . È anche giusto denominare la
filosofia scienza della verità, perché il fine della scienza teoretica è la verità, mentre il fine
della pratica è l’azione. (Infatti, coloro che hanno per fine l’azione, anche se osservano
come stanno le cose, non tendono alla conoscenza di ciò che è eterno ma solo di ciò che
è relativo ad una determinata circostanza e in un determinato momento.)
(Aristotele, Metafisica, I, 1, 981a-b; II, 1, 993b, trad. it. di G. Reale, cit., pp. 73-74 e
120-121)

1 Aristotele usa questo termine (in greco téchne) per indicare la conoscenza di principi generali. Egli infatti
distingue l’arte dalla semplice abilità pratica.
2 Qui si intende la conoscenza che deriva dai sensi.
3 Come chi sa tirare con l’arco coglie facilmente una superficie vasta come una porta, così ogni uomo coglie
facilmente qualcosa nel campo della verità.
4 Intendi: il nostro modo di ragionare.

La ragione è la caratteristica propria dell’uomo

Seneca: l’uomo è un animale razionale Il riconoscimento della natura razionale


dell’uomo è comune a tutta la cultura greca, ma trova nello stoicismo1 la sua affermazione
forse più radicale e consapevole. . La filosofia ha, secondo Seneca,2 un duplice scopo:
da un lato aiuta l’uomo a comprendere che «la ragione sola dà compimento all’essere
umano», dall’altro gli fa scorgere come «solo la ragione perfetta fa l’uomo felice». Essa ci
fornisce i mezzi per operare una scelta di fronte ai beni che ci sono offerti, per valutarli
secondo una ben precisa gerarchia, in modo da collocare al primo posto ciò che
costituisce l’intima essenza e la natura propria dell’uomo: la ragione.
Potenziare la ragione per conservare il proprio essere Nel momento in cui l’uomo
riconosce il proprio essere razionale, ne dà una valutazione positiva, perché coglie che è
questo il tratto che lo distingue da tutti gli altri esseri viventi, ed è quindi spinto non solo a
mantenerlo, ma anche a rafforzarlo. Solo in questo potenziamento della ragione consiste il
bene, che è insieme anche il vero utile per l’uomo, perché porta con sé la conservazione
del suo essere.

testo6
Orbene, che cosa è che rappresenta nell’uomo il supremo valore? La ragione: per essa
sta avanti agli animali e viene subito dopo gli Dei. Il bene che gli è proprio è la ragione
perfetta: tutto il resto egli ha in comune cogli animali e colle piante. Egli è forte, ma sono
forti anche i leoni; è bello, ma sono belli anche i pavoni; è veloce, ma sono veloci anche i
cavalli. Posso senz’altro ammettere che in tutte queste qualità l’uomo è superato; ciò che
importa cercare non è se egli abbia in sé qualche cosa più grande degli altri esseri viventi,
ma quello che ha di prettamente suo. […] Che cosa c’è nell’uomo che rappresenti la sua
specifica essenza? La ragione. Essa quando ha trovato il retto cammino e portato a
perfezione il suo compito, riempie l’animo umano di felicità.
(Seneca, Lettere a Lucilio, 76, trad. it. di G. Balbino, Zanichelli, Bologna 1983, vol. II, p.
145)

PER CAPIRE E INTERPRETARE


■ Individua nel t4 i seguenti elementi dell’argomentazione aristotelica:
- la causa per la quale gli uomini cominciano a filosofare;
- l’aspetto disinteressato e libero della ricerca filosofica;
- le affinità tra il sapere mitico e quello filosofico.
■ Utilizzando il t5 spiega:
- la differenza tra chi possiede l’arte e chi possiede la tecnica;
- le ragioni della superiorità del sapere concettuale sulla conoscenza sensibile;
- la definizione della filosofia come “scienza della verità”.
■ Evidenzia nel t6 il rapporto tra l’uso della ragione e la felicità

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