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Ecco il motivo per il quale è opportuno lasciare subito la parola a tre filosofi dell’antichità,
Socrate, Aristotele ed Epicuro, per farci dire da loro perché è necessario fare filosofia e
che cosa caratterizza tale impegno.
testo1
O miei concittadini di Atene, io vi sono obbligato e vi amo; ma obbedirò piuttosto al dio1
che a voi; e finché io abbia respiro, e finché io ne sia capace, non cesserò mai di filosofare
e di esortarvi e ammonirvi, chiunque io incontri di voi e sempre, e parlandogli al mio solito
modo, così: – O tu che sei il migliore degli uomini, tu che sei Ateniese, cittadino della più
grande città e più rinomata per sapienza e potenza, non ti vergogni tu a darti pensiero
delle ricchezze per ammassarne quante più puoi, e della fama e degli onori; e invece della
intelligenza e della verità e della tua anima, perché ella diventi quanto è possibile ottima2 ,
non ti dài affatto né pensiero né cura? […] Né altro in verità io faccio con questo mio
andare attorno3 se non persuadere voi, e giovani e vecchi, che non del corpo dovete aver
cura né delle ricchezze né di alcun’altra cosa prima e più che dell’anima, sì che ella diventi
ottima e virtuosissima; […] […] se poi vi dico che proprio questo è per l’uomo il bene
maggiore, ragionare ogni giorno della virtù e degli altri argomenti sui quali m’avete udito
disputare e far ricerche su me stesso e su gli altri, e che una vita che non faccia di cotali
ricerche non è degna d’esser vissuta: s’io vi dico questo, mi credete anche meno. Eppure
la cosa è così com’io vi dico, o cittadini; ma persuadervene non è facile.
(Platone, Apologia di Socrate, 29d - 30b, 38a, trad. it. di M. Valgimigli, in Opere complete,
Laterza, Roma-Bari 1971, vol. 1, pp. 54-55, 67-68)
1. Il riferimento è al dáimon che Socrate diceva di sentire, una sorta di voce che lo consigliava nei momenti
decisivi della vita, invitandolo a non compiere certe azioni. Si tratta di qualcosa di più della voce della
coscienza: è la guida divina della condotta umana.
2. Questo prendersi cura dell’anima era fondamentale nell’insegnamento di Socrate; che primo, pare, dei
Greci, concepì l’anima come sede della conoscenza e quindi della virtù.
3. Intendi: con questo mio andare in giro per la città.
testo2
[…] se si deve filosofare, si deve filosofare e se non si deve filosofare, si deve filosofare; in
ogni caso dunque si deve filosofare. Se infatti la filosofia esiste, siamo certamente tenuti a
filosofare, dal momento che essa esiste; se invece non esiste, anche in questo caso siamo
tenuti a cercare come mai la filosofia non esiste, e cercando facciamo filosofia, dal
momento che la ricerca è la causa e l’origine della filosofia.
(Aristotele, Protrettico, fr. 4, in Opere, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1973,
vol. 11)
Questo spiega perché la ricerca filosofica coinvolge tutte le persone e tutte le età della
vita: come afferma ad esempio Epicuro, essa sola può portare alla salute dell’anima e alla
felicità.
Aristotele: una ricerca in continuo divenire Il passo che segue, tratto anch’esso dalla
Metafisica di Aristotele, sottolinea che la conoscenza vera è quella che individua le cause
della realtà e mette in luce come tutti possano contribuire all’acquisizione della verità,
cosicché dall’unione dei vari contributi deriva «un risultato considerevole». Nell’ambito
della filosofia, infatti, la diversità delle opinioni non comporta esclusione o contraddizione,
proprio perché ogni ricerca, strettamente connessa con la personalità di chi la compie, è in
grado di aprire nuove prospettive, di far cogliere aspetti prima ignorati o anche solo
trascurati. Per rendere più comprensibile la sua argomentazione tramite l’uso di una
suggestiva immagine, Aristotele propone il paragone tra la nostra anima e gli occhi delle
nottole, le civette sacre alla dea della sapienza Minerva: come le nottole non riescono a
vedere quando c’è troppa luce, allo stesso modo anche noi corriamo il rischio di non
cogliere proprio le cose più evidenti.
testo5
E tuttavia, noi riteniamo che il sapere e l’intendere siano propri più all’arte1 che
all’esperienza, e giudichiamo coloro che posseggono l’arte più sapienti di coloro che
posseggono la sola esperienza, in quanto siamo convinti che la sapienza, in ciascuno
degli uomini, corrisponda al loro grado di conoscere. E, questo, perché i primi sanno la
causa, mentre gli altri non la sanno. Gli empirici sanno il puro dato di fatto, ma non il
perché di esso; invece gli altri conoscono il perché e la causa. Perciò noi riteniamo che
coloro che hanno la direzione nelle singole arti siano più degni di onore e posseggano
maggiore conoscenza e siano più sapienti dei manovali, in quanto conoscono le cause
delle cose che vengon fatte; invece i manovali agiscono, ma senza sapere ciò che fanno,
così come agiscono alcuni degli esseri inanimati, per esempio, così come il fuoco brucia:
ciascuno di questi esseri inanimati agisce per un certo impulso naturale, mentre i manovali
agiscono per abitudine. […..] coloro che posseggono l’arte sono capaci di insegnare,
mentre gli empirici non ne sono capaci. Inoltre, noi riteniamo che nessuna delle
sensazioni2 sia sapienza: infatti, se anche le sensazioni sono, per eccellenza, gli strumenti
di conoscenza dei particolari, non ci dicono, però, il perché di nulla: non dicono, per
esempio, perché il fuoco è caldo, ma solamente segnalano il fatto che esso è caldo. […]
La ricerca della verità sotto un certo aspetto è difficile, mentre sotto un altro è facile. Una
prova di ciò sta nel fatto che è impossibile ad un uomo cogliere in modo adeguato la
verità, e che è altrettanto impossibile non coglierla del tutto: infatti, se ciascuno può dire
qualcosa intorno alla realtà e se, singolarmente preso, questo contributo aggiunge poco o
nulla alla conoscenza della verità, tuttavia, dall’unione di tutti i singoli contributi deriva un
risultato considerevole. […..] il fatto che si possa raggiungere la verità in generale e non
nei particolari, mostra la difficoltà di essa. E fors’anche, poiché vi sono due tipi di difficoltà,
la causa della difficoltà della ricerca della verità non sta nelle cose ma in noi. Infatti, come
gli occhi delle nottole si comportano nei confronti della luce del giorno, così anche
l’intelligenza che è nella nostra anima si comporta nei confronti delle cose che, per natura
loro, sono le più evidenti di tutte. Ora, è giusto essere grati non solo a coloro dei quali
condividiamo le opinioni ma anche a coloro che hanno espresso opinioni piuttosto
superficiali; anche costoro, infatti, hanno dato un certo contributo alla verità, in quanto
hanno contribuito a formare il nostro abito speculativo4 . È anche giusto denominare la
filosofia scienza della verità, perché il fine della scienza teoretica è la verità, mentre il fine
della pratica è l’azione. (Infatti, coloro che hanno per fine l’azione, anche se osservano
come stanno le cose, non tendono alla conoscenza di ciò che è eterno ma solo di ciò che
è relativo ad una determinata circostanza e in un determinato momento.)
(Aristotele, Metafisica, I, 1, 981a-b; II, 1, 993b, trad. it. di G. Reale, cit., pp. 73-74 e
120-121)
1 Aristotele usa questo termine (in greco téchne) per indicare la conoscenza di principi generali. Egli infatti
distingue l’arte dalla semplice abilità pratica.
2 Qui si intende la conoscenza che deriva dai sensi.
3 Come chi sa tirare con l’arco coglie facilmente una superficie vasta come una porta, così ogni uomo coglie
facilmente qualcosa nel campo della verità.
4 Intendi: il nostro modo di ragionare.
testo6
Orbene, che cosa è che rappresenta nell’uomo il supremo valore? La ragione: per essa
sta avanti agli animali e viene subito dopo gli Dei. Il bene che gli è proprio è la ragione
perfetta: tutto il resto egli ha in comune cogli animali e colle piante. Egli è forte, ma sono
forti anche i leoni; è bello, ma sono belli anche i pavoni; è veloce, ma sono veloci anche i
cavalli. Posso senz’altro ammettere che in tutte queste qualità l’uomo è superato; ciò che
importa cercare non è se egli abbia in sé qualche cosa più grande degli altri esseri viventi,
ma quello che ha di prettamente suo. […] Che cosa c’è nell’uomo che rappresenti la sua
specifica essenza? La ragione. Essa quando ha trovato il retto cammino e portato a
perfezione il suo compito, riempie l’animo umano di felicità.
(Seneca, Lettere a Lucilio, 76, trad. it. di G. Balbino, Zanichelli, Bologna 1983, vol. II, p.
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