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Antropologia dei rapporti familiari

Prof. Stephan Kampowski


Pontificio Istituto Teologico
Giovanni Paolo II
Piazza S. Giovanni in Laterano, 4
00120 Città del Vaticano

+39 06 698 95 538

kampowski@istitutogp2.it
Antropologia dei rapporti familiari
Schema
▪ 1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ 2. Figliolanza e logica del dono
▪ 3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ 4. La paternità tra crisi e speranza
▪ 5. Il perdono come atto di rigenerazione
Antropologia dei rapporti familiari
Lettura richiesta per l’esame:
Avete due opzioni:
▪ Gauchet, M., Il figlio del desiderio. Una rivoluzione
antropologica, Vita e Pensiero, Milano 2009.
[libro intero]
Oppure:
▪ Godbout, J., in collaborazione con Alain Caillé,
Lo spirito del dono, Bollati Boringhieri, Torino
2002. Limiterò le domande all’introduzione e alla
parte prima del libro: “I luoghi del dono”, pp. 9-
128.
▪ Esiste anche in inglese e francese: The World of
the Gift, McGill University Press, Montreal
2000; L’esprit du don, La Decouvérte, Paris 1992.
Antropologia dei rapporti familiari
Bibliografia di riferimento
▪ Aa.Vv., Anthropotes 35/2 (2019): “Maternità”
▪ Aa.Vv., Anthropotes 35/1 (2019): “Paternità”
▪ Donati, P., Generare un figlio. Che cosa rende
umana la generatività? Cantagalli, Siena 2017.
▪ Gambino, G., “Identità materna”, in Id., a cura
di, Patologie dell’identità e ipotesi di terapia
filosofica, JQJ Edizioni, Roma 2017, 125-141.
Antropologia dei rapporti familiari
Bibliografia di riferimento
▪ Kampowski, S., Ricordati della nascita. L’uomo in
ricerca di un fondamento, Cantagalli, Siena 2013.
▪ Id., La fecondità di una vita. Verso un’antropologia del
matrimonio e della famiglia, Cantagalli, Siena 2017.
▪ Marcel, G. ,“Il voto creatore come essenza della
paternità”, in Homo viator. Prolegomeni ad una
metafisica della speranza, Borla, Roma 1980, 117-144.
▪ Melina, L., Per una cultura della Famiglia: il
linguaggio dell’amore, Marcianum, Venezia 2006.
▪ Spaemann, R., Persone. Sulla differenza tra “qualcosa”
e “qualcuno”, Editori Laterza, Roma-Bari 2005.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ «La gente è felice; ottiene ciò che vuole, e non
vuole mai ciò che non può ottenere».
▪ «Sta bene; è al sicuro; non è mai malata; non ha
paura della morte; è serenamente ignorante della
passione e della vecchiaia; non è ingombrata né da
padri né da madri;»
▪ «non ha spose, figli o amanti che procurino loro
emozioni violente; è condizionata in tal modo che
praticamente non può fare a meno di condursi
come si deve».
▪ «E se per caso qualche cosa non va, c’è il “soma”».
▪ Parole di Mustapha Mond, Governatore Residente per
l’Europa Occidentale, nell’anno 632 dopo Ford
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Ne Il Mondo nuovo (1932) di A. Huxley (1894 –
1963) i bambini non nascono più, ma dopo un
processo industriale di fecondazione e gestazione in
provetta, sono “travasati”.
▪ Quindi non hanno più né madre né padre, anzi
questi termini sono diventati parolacce.
▪ È una società in cui «ognuno appartiene a tutti gli
altri».
▪ In altre parole, nessuno appartiene a nessun altro.
▪ Huxley non fa che esporre le estreme conseguenze
di tendenze culturali già osservabili nella sua epoca
– gli anni Trenta del XX secolo – e ancor più
presenti oggi.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Queste tendenze puntano in direzione del
fenomeno che il sociologo polacco Zygmunt
Bauman (1925-2017) ha definito “amore
liquido”.
▪ La modernizzazione del processo di produzione
esige dal lavoratore una mobilità e una
flessibilità sempre maggiori.
▪ Secondo Bauman il modo di vivere il lavoro ha
le sue ripercussioni sul modo di vivere i rapporti
umani.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Se nel Mondo nuovo Henry Ford è riconosciuto
come il padre della nuova era, nell’analisi di
Bauman la fabbrica fordista era un porto sicuro
di stabilità familiare.
▪ La fabbrica era saldamente ancorata nel
territorio e dava ai suoi operai la prospettiva di
un posto di lavoro stabile dalla giovinezza fino
all’età della pensione.
▪ Oggi il lavoro è diventato molto più liquido,
tanto che un lavoratore che inizia e conclude la
sua vita lavorativa nella stessa azienda e nello
stesso posto è un’eccezione.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Il lavoro è diventato episodico e, sul mercato del
lavoro, flessibilità e distacco sono diventati le
virtù precipue.
▪ Lo stesso è sempre più vero dei rapporti umani.
▪ La famiglia come istituzione intergenerazionale,
basata sull’unione stabile fra un uomo e una
donna aperti alla vita, sembra ormai un modello
superato.
▪ Messaggio pubblicitario: «Se la cucina non
piace a tua moglie, cambiala».
▪ Spontaneamente ci viene da dire: questo è la
fine della famiglia.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Ma è giustificato questo giudizio?
▪ Forse ci possono essere nuovi modelli familiari,
compatibili con l’amore liquido?
o Un «matrimonio» a tempo limitato?
o Relazioni poliamorose?
o Amicizie strette che sostituiscono le
relazioni familiari?
▪ Che cosa hanno di particolare le relazioni
familiari?
▪ Come esse si differenziano dalle amicizie?
▪ Che cosa perdiamo se perdiamo i rapporti
familiari?
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Circa la peculiarità delle relazioni familiari:
▪ Essa sta nel fatto che si tratta per definizione di
relazioni incondizionate.
▪ J. Godbout: Quello che ha di particolare il
legame familiare è l’incondizionalità. E
▪ «l’incondizionalità include l’assenza di scelta»
(Spirito di dono, 46).
▪ Infatti, per Godbout «il legame familiare
presuppone un limite importante alla libertà».
▪ Questo limite sta nel «fatto di non scegliere i
propri genitori, fratelli e sorelle, di non scegliere
i membri di questa rete» (Spirito del dono, 46).
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Dagli esempi appena citati, si evince che
l’assenza di scelta e la conseguente
incondizionalità delle relazioni familiari si basa
sulla consanguineità.
▪ Ma che cosa dire del rapporto di coppia, che è
infatti liberamente scelto?
▪ Godbout sottolinea che, almeno in passato,
anche «il nucleo fondatore della famiglia – la
coppia – stabiliva un rapporto incondizionato,
"nel bene e nel male"» (47).
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Esisteva una scelta libera nell’entrare o meno
nel matrimonio.
▪ Ma quando si aveva contrattato il matrimonio,
il rapporto di coppia diventava incondizionato
come il rapporto tra genitori e figli o altre
relazioni familiari basate sulla consanguinità.
▪ Sembra perciò che le relazioni familiari sono
relazioni istituite tramite un rapporto oggettivo
di lignaggio, di origine o discendenza, oppure
tramite una promessa di carattere del tutto
particolare.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Se perdessimo le relazioni familiari intese in
questo senso, perderemmo la relazione con la
nostra origine, fonte primaria di identità
personale.
▪ Chi sono? Sono figlio/figlia di; poi: sposo,
sposa di; poi: padre/madre di.
▪ Per l’importanza dell’lignaggio san Giovanni
Paolo II può dire che «con la famiglia si collega
la genealogia di ogni uomo: la genealogia della
persona» (Lettera alle famiglie, n. 9).
▪ Il lignaggio non è soltanto un fatto biologico,
ma personale.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Le lunghe genealogie dell’Antico e del Nuovo
Testamento esprimono qualcosa di
fondamentale.
▪ Per noi, come esseri umani, come persone
umane, è importante sapere da dove veniamo.
▪ La nostra origine è importante per noi, è per noi
domanda di identità.
▪ Altri esseri viventi non sembrano mostrare
interesse per questa domanda.
▪ Per noi, come persone, è importante sapere chi
sono il nostro padre e la nostra madre, chi sono
i nostri nonni e chi sono le persone a cui siamo
legati da qualche antenato comune.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Esempio: il rapporto tra Winston Churchill
(1874-1965) e suo padre Randolph (1849-1895).
▪ Randolph era estremamente negligente di
Winston.
▪ Ma gli ha dato l’origine, il lignaggio.
▪ Randolph Churchill era un politico e nobile,
personaggio pubblico di una certa fama
all’epoca.
▪ Randolph stesso era discendente di John
Churchill, I duca di Marlborough (1650-1722)
un eroe nazionale britannico.
▪ Da questo lignaggio Winston ha ricevuto un
forte senso di identità e missione.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Come si stabiliscono allora i rapporti familiari?
▪ Certamente sulla base della consanguineità.
▪ Ma dato che l’essere umano è persona, è
possibile istituire la parentela non solo a causa
della consanguineità.
▪ E’ possibile farlo anche tramite una promessa
particolare, che dovrà essere funzionalmente
equivalente (= stabilire un rapporto
incondizionato).
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Come la consanguineità è un fatto biologico
oggettivo che dà origine ad un rapporto
personale incondizionato ed irrevocabile, --
▪ così la promessa che dà origine ad un rapporto
familiare non-consanguineo deve essere
incondizionata ed irrevocabile.
▪ Deve assumere la forma di una promessa che
istituisce un’alleanza.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Nel contesto delle relazioni familiari,
fondamentalmente ci sono due tipi di queste
promesse:
o l’atto di adozione [cfr. R. Spaemann: «Per
quanto riguarda il significato personale, la
relazione procreativa può essere sostituita
dall’adozione» (Personen, 79)].
o e le promesse matrimoniali [cfr. S. Hahn: «Il
matrimonio e l’adozione sono
manifestazioni specifiche del concetto di
alleanza, che, alla radice, è l’instaurazione
di relazioni di parentela e obblighi tra non
parenti» (Kinship by Covenant, 341n25)].
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Scott Hahn si rifà allo studio di Frank Moore
Cross, From Epic to Canon: History and Literature
in Ancient Israel, 7-8:
o «In Israele, contrariamente a molti gruppi
primitivi o società tribali, il patto legale del
matrimonio introduceva la sposa al gruppo
di parentela o famiglia».
o «Questa è la giusta interpretazione di Genesi
2:24: ‘Per questo l'uomo abbandonerà suo
padre e sua madre e si unirà a sua moglie e
i due saranno una sola carne’». cont.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Frank Moore Cross, From Epic to Canon: History
and Literature in Ancient Israel, 7-8:
o «La carne non si riferisce all’unione carnale,
ma all’identità di ‘carne’, di parentela, di
‘osso delle mie ossa, carne della mia carne’».
o «Ovviamente, la prole dell’unione
matrimoniale sarà di una sola carne; ciò che si
afferma qui è che il patto di matrimonio stabilisce
legami di parentela di primo grado tra i coniugi».
o «L’adozione di figli o figlie è un altro mezzo
per inserire nel lignaggio non-parenti o
parenti lontani».
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Secondo questa interpretazione della Gen 2,24
con lo scambio delle promesse coniugali, gli
sposi, anche se non dello stesso sangue,
diventano comunque parenti.
▪ E lo stesso vale per l’atto giuridico di adozione.
▪ Secondo questa interpretazione della Gen 2,24,
chi si sposa allora?
▪ Attraverso il matrimonio si uniscono non solo
due individui, ma due intere famiglie, che ora
sono «imparentate» attraverso gli sposi, anche se
il termine tecnico è quello di «affinità».
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Le relazioni familiari, istituite attraverso il
lignaggio o la promessa, iscrivono la persona
in una genealogia, che è cruciale per la sua
identità.
▪ La famiglia è una rete di relazioni in cui tutti
i membri hanno il loro posto particolare:
▪ essere figlio o figlia di, marito o moglie di,
padre o madre di, fratello o sorella di, zio o
zia di …
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Avendo sottolineato l’importanza del
lignaggio per la nostra identità, sarà adesso
possibile vedere in una nuova luce il
problema con alcune pratiche oggi sempre
più diffuse.
▪ Per la maggior parte, i tradizionali peccati
contro il sesto comandamento sono infatti
patologie delle relazioni familiari.
▪ Il sesto comandamento «non commettere
adulterio» custodisce l’origine e il destino
della persona, e con ciò le relazioni familiari.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Cominciamo con una riflessione sul tabù
dell’incesto.
▪ Secondo l’antropologo culturale francese
Claude Lévi-Strauss (1908-2009), il tabù
dell’incesto è alla base della civiltà.
▪ Per lui, tale tabù segna il passaggio dallo
stato di natura allo stato di cultura («La
Famiglia», 168).
▪ Ancora oggi la maggior parte della gente è
d’accordo sul fatto che il tabù dell’incesto
deve essere sostenuto.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ La ragione che viene spesso avanzata è che le
relazioni incestuose rappresentano un pericolo
per la salute della possibile progenie, in quanto
limitano il pool genetico e aumentano la
probabilità di trasmissione di malattie genetiche.
▪ Però, la conoscenza della genetica è
relativamente recente, mentre il tabù dell’incesto
è arcaico.
▪ Risale a tempi della storia umana quando le
persone erano ignoranti dei principi che
governano la trasmissione del proprio
patrimonio genetico.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Per Lévi-Strauss il tabù dell’incesto è così
decisivo per la civiltà perché equivale al
requisito del matrimonio esogamo, cioè i
matrimoni al di fuori della stretta cerchia
familiare (cfr. «La famiglia», 166-167).
▪ Il tabù dell’incesto richiede alle famiglie di
aprirsi e di stringere alleanze con altre famiglie.
▪ I matrimoni esogami impediscono alle famiglie
di chiudersi in se stesse.
▪ I matrimoni hanno luogo tra le famiglie, e come
tali sono la condizione per la possibilità di realtà
sociali più ampie come la città o la nazione.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Si può comunque pensare ancora di un’altra
ragione per il tabù dell’incesto.
▪ Ad esempio R. Spaemann (1927-2018) e L.
Kass (1939) sottolineano come il tabù
dell’incesto assicura che le relazioni
familiari siano ben definite e chiare.
▪ Si evita così l’ambiguità nelle linee di
origine e discendenza e quindi nei rapporti
di consanguineità e di parentela.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Cfr. R. Spaemann:
o «Il tabù dell’incesto … protegge le variegate
relazioni contro la perdita di chiarezza
personale».
o «In alcune culture, come la Russia
ottocentesca, era impossibile tra i cognati
sposarsi, anche se non esisteva un rapporto
di consanguineità» (Personen, 79).
▪ La madre è la madre e non la moglie. I figli
della madre sono fratelli e non i propri figli. La
propria sorella è la sorella e non la moglie.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Chiarezza su chi è di chi è di enorme
importanza.
▪ Solo in questo modo, ogni membro della
famiglia avrà un posto definitivo nella grande
rete di relazioni, e tutti sapranno chi sono
rispetto a tutti gli altri in questa rete.
▪ Se la chiarezza sulle proprie relazioni di origine,
sui propri antenati e discendenti, non è di per sé
una condizione sufficiente per un sano rapporto
familiare, è comunque una condizione necessaria
e fondamentale.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ La maggior parte dei tabù che circondano la
nostra sessualità hanno a che fare con questa
fondamentale preoccupazione umana.
▪ Si tratta di una preoccupazione e un bisogno
che rimane in vigore, anche se ne stiamo
perdendo sempre di più la consapevolezza.
▪ In questo senso, scrive Leon Kass:
o «La nostra società è pericolosamente vicina
a dimenticare il significato di alcuni aspetti
essenziali dell’esistenza umana. ...»
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
o «Correttamente inteso, il tabù quasi
universale dell’incesto, così come il divieto
d’adulterio, difende l’integrità del
matrimonio e della parentela, soprattutto le
linee di origine e discendenza».
o «Queste antiche restrizioni insegnano
implicitamente che la chiarezza su chi sono
i nostri genitori, sulle linee generazionali,
su chi è di chi, sono le fondamenta
indispensabili di una solida vita familiare,
che a sua volta è la base della società civile»
(La sfida della bioetica, 144)».
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ In gran parte, quindi, i tabù contro la
fornicazione e l’adulterio erano basati sulla
preoccupazione per la legittimità, che a sua
volta derivava da una sollecitudine a custodire le
linee di origine.
▪ La preoccupazione per una nascita legittima era
ancora prevalente nella maggior parte dei paesi
europei fino alla metà del secolo scorso.
▪ Nel diritto civile tedesco, ad esempio, la
distinzione tra bambini legittimi e illegittimi è
stata abrogata solo nel 1998.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ La nascita legittima o illegittima non diceva
nulla sulla qualità morale del bambino nato.
▪ Ha comunque segnato la differenza tra l’essere
riconosciuto dal padre, avendo così un posto
definitivo all’interno della rete familiare e il non
essere riconosciuto, non avendo tale posto.
▪ Naturalmente, è vero ciò che dice l’antico
adagio romano: pater semper incertus est.
▪ Ma il matrimonio, tra altre cose, doveva essere
un rimedio proprio a questa difficoltà.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Il matrimonio serviva per collegare il padre ai
suoi figli e i figli al padre.
▪ Mentre la maternità è un fatto biologico, la
paternità è una conquista culturale.
▪ Il matrimonio crea la paternità – quella, cioè
dell’uomo.
▪ Contraendo il matrimonio, l’uomo, tra altre
cose, accetta di riconoscere i figli
potenzialmente nati alla moglie come figli suoi,
almeno in assenza di prove evidenti del
contrario.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Nel caso di una nascita fuori dal matrimonio, il
padre e i suoi figli non sono legati allo stesso
modo.
▪ Commettendo un atto di fornicazione o di
adulterio, si rischia di generare un bambino che
nascerà al di fuori delle linee di discendenza
pubblicamente riconosciute.
▪ Perciò il bambino non potrà assumere un posto
definitivo nella rete di relazioni familiari.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ È proprio qui che risiede gran parte dell’immoralità
della fornicazione e dell’adulterio:
o Si commette un’ingiustizia verso il bambino
che può potenzialmente essere concepito in
questo atto.
o Si commette un’ingiustizia anche verso la
società, cui bene comune richiede che i suoi
cittadini siano inseriti in una rete familiare, che
loro abbiano una casa.
▪ Da qui deriva l’interesse della legge civile per
l’adulterio, che in alcuni paesi è ancora oggi
considerato un reato (ad es. nel 2019, in 19 stati
degli USA – in India esso è stato considerato un
reato fino al 2018).
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Ci possono anche essere buone ragioni per non
criminalizzare l’adulterio.
▪ Però è importante vedere dove sta la sua
peccaminosità.
▪ Ed essa tocca in modo diretto il bene comune di
una società, per cui si capisce l’interesse della
legge civile.
▪ Il vasto cambiamento della legge civile significa
anche un cambiamento nella concezione del
matrimonio e del bene comune in generale.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Si comincia a ritenere meno importante che
tutti i membri della società sappiano da dove
vengono e che abbiano un posto definitivo in
una rete di relazioni familiari.
▪ Ma in quel caso non si capisce neanche più il
tabù dell’incesto.
▪ Per cui ad es. in Germania si è svolto di recente
un dibattito su una possibile de-penalizzazione
dell’incesto.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Una società che si interessa del lignaggio
considererà il divorzio un grande problema.
▪ Alla fine, il divorzio non solo sconvolge la
relazione tra due individui, ma introduce un
disturbo nell’intera matrice familiare.
▪ Le relazioni familiari diventano ambigue.
▪ A causa del divorzio e la successiva stipulazione
di nuove unioni dalla parte dei loro genitori, i
bambini possono trovarsi ad avere quattro o più
genitori.
▪ Diventerà impossibile rispondere alla domanda
a chi appartengono veramente.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Crisi costituzionale della Gran Britannia nel 1936.
▪ Edward VIII voleva sposare Wallis Simpson –
un’americana due volte divorziata.
▪ Ci fu una grande opposizione dal governo e dalla
Chiesa Anglicana.
▪ Churchill proponeva un matrimonio morganatico.
▪ Edward sarebbe re, ma la moglie non sarebbe regina
e loro figli non avrebbero diritto al trono.
▪ Non fu accettata la proposta e Edward abdicò.
▪ Dove stava il problema nel sposare una divorziata e
perché un matrimonio morganatico sarebbe stata
una soluzione?
▪ => Le linee di discendenza…
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Con la creazione dell’istituto giuridico del divorzio,
i rapporti che un tempo erano considerati
incondizionati sono diventati condizionati.
▪ Commenta J. Godbout (Lo spirito del dono, 47):
o «Il rapporto di dono implica un aspetto
incondizionato impensabile nella modernità, ma
la cui articolazione costitutiva la base della
famiglia.»
o «Per questo il divorzio è probabilmente la
rivoluzione sociale più importante dell’epoca
moderna.»
▪ Che cosa capiterà con le altri relazioni familiari?
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Si abbandona l’idea che la promessa coniugale
instaura tra i coniugi un rapporto analogo alla
parentela.
▪ Si trattava dell’idea che per una donna è
impossibile avere un ex-marito quanto è
impossibile avere un ex-padre o un ex-figlio;
▪ E che è altrettanto impossibile per un uomo
avere un’ex moglie quanto è impossibile per lui
avere una ex-madre o una ex-figlia.
▪ Per certi versi, l’esistenza dell’istituto giuridico
del divorzio fa di ogni matrimonio un rapporto
temporaneo e consensuale, valido fino a nuovo
avviso.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ I rapporti familiari sono evidentemente resi
ambigui dall'incesto, in particolare nella sua forma
più radicale che forse sta per arrivare, la
clonazione.
▪ Diventano ambigui anche attraverso il divorzio e le
nuove unioni.
▪ Una confusione della propria identità viene causato
dalle nuove tecnologie di procreazione artificiali.
▪ Un bambino potrà trovarsi nella situazione di dover
distinguere tra la madre genetica, la madre
gestazionale e la madre sociale.
▪ Potrebbe non essere mai in grado di sapere chi è
suo padre genetico.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Chi è mio padre? Chi è mia madre?
▪ Rischiamo di non poter più rispondere a queste
semplici domande.
▪ Gli stessi termini «padre» e «madre» potrebbero
presto diventare privi di significato.
▪ Questo sarà senz’altro il caso se la ricerca sui
uteri artificiali e sulla clonazione dovesse fare
ulteriori progressi.
▪ Ma anche la proliferazione di tecnologie
riproduttive artificiali già esistenti rende ormai
abbastanza difficile trovare ancora un senso
nella parola «padre» e «madre».
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Se c’è confusione nelle relazioni lineari di origine e
di discendenza, allora ci sarà ambiguità anche in
tutti i rapporti familiari collaterali.
▪ Non saremo in grado di dire chi sono nostri fratelli
e nostre sorelle, gli zii e le zie, i nipoti.
▪ Tutto ciò significa che le relazioni familiari non
stanno semplicemente cambiando, ma vengono
praticamente distrutte.
▪ Rischiamo vivere in una società in cui le persone
diventano individui isolati, alienati dalla loro
origine ed incapaci di trovare una casa, un luogo
che è specificamente il loro, un luogo di
appartenenza.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Nel suo libro Primal Screams: How the Sexual
Revolution Created Identity Politics del 2019, la
sociologa statunitense M. Eberstadt sostiene che la
rivoluzione sessuale ha quasi distrutto le relazioni
familiari di un vasto numero di persone.
▪ Perciò loro non trovano più la propria identità nelle
relazioni familiari.
▪ Hanno comunque bisogno di una risposta alla
domanda «Chi sono io?».
▪ Da qui nasce il fenomeno che si cerca di trovare la
propria identità nel proprio sesso o nelle proprie
preferenze sessuali.
▪ Nascono, cioè, le politiche identitari che
promuovano cause come il femminismo radicale o
il movimento LGBT.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Il problema è quello della sterilità.
▪ Non si è più in grado di generare.
▪ È un problema per la società, perché, come
afferma Papa Francesco «nessuna unione
precaria o chiusa alla trasmissione della vita ci
assicura il futuro della società» (AL 52).
▪ È un problema per l’individuo, in quanto, come
afferma San Giovanni Paolo II: «nella biologia
della generazione è inscritta la genealogia della
persona» (Lettera alle famiglie, n. 9), e con ciò
l’identità di ogni essere umano.
▪ La nostra identità sta nei rapporti generativi,
nell’essere generati e nel generare altri.
1. Relazioni familiari: fonte di identità
personale e richiamo all’origine
▪ Occorre perciò custodire la sessualità umana
come quel potere con cui gli esseri umani
vengono generati.
▪ E si tratta di riscoprire il matrimonio
indissolubile come unico contesto in grado di
fornire l’ambiente umano adeguato per il
concepimento, la nascita e l’educazione di
nuovi esseri umani.
▪ È solo qui che c’è chiarezza su chi è di chi.
2. Figliolanza e logica del dono
▪ Benedetto XVI: “E’ nella famiglia che l’uomo
scopre la sua relazionalità, non come individuo
autonomo che si autorealizza, ma come figlio,
sposo, genitore, la cui identità si fonda
nell’essere chiamato all’amore, a riceversi da
altri e a donarsi ad altri” (Discorso 13. 5. 2011).
▪ La nostra origine e il nostro destino
costituiscono in grande parte la nostra identità.
o Chi ci ha dato vita? (origine)
o A chi abbiamo dato vita? (destino).
2. Figliolanza e logica del dono
▪ Abbiamo ricevuto noi stessi (siamo figli) e
siamo chiamati a donare noi stessi (diventando
sposi e genitori).
▪ Consideriamo la figliolanza.
▪ È condizione di colui che ha ricevuto in dono se
stesso.
▪ Che cosa significa il dono?
▪ Alcuni sostengono che il dono sempre implica
un debito e con ciò un danno.
▪ Il figlio, avendo ricevuto la vita dal padre, è
perciò sempre servo del padre suo padrone?
2. Figliolanza e logica del dono
▪ J.P. Sartre (1905-1980), Le parole: “Non vi sono
padri buoni”. La paternità è qualcosa di cattivo.
▪ “Far figli, nulla di meglio; averne, che iniquità!”
▪ La cattiveria della paternità sta
o nel legame che deruba il figlio della libertà.
o nel debito dell’esistenza che il figlio contrae
ricevendo l’esistenza dal padre.
▪ Ci sono padri buoni? = La nostra condizione di
figli è forse inaccettabile?
▪ H. de Lubac (1896-1991): «Nel suo desiderio di
liberazione, … l’uomo arriva fino a rinunciare
tutto ciò che rende la sua condizione dipendente
e vorrebbe, per così dire, non essere nato,
vorrebbe cioè esistere senza dover essere nato»
(Dramma dell’umanesimo ateo).
2. Figliolanza e logica del dono
▪ Come posso accettare, riconciliarmi con la mia
figliolanza?
▪ Aver ricevuto il dono della vita significa, sì, una
dipendenza.
▪ Ma significa anche sempre un danno?
▪ Che cosa è il dono? Esiste un dono che non sia
velenoso?
▪ L’obiezione utilitarista: ogni pretesa di dono è
un interesse nascosto.
▪ L’uomo sarebbe un essere profondamente
egoista.
▪ Se entra in qualche rapporto di comunicazione
con gli altri – se dà e riceve – lo farebbe solo per
motivi di interesse personale di profitto.
2. Figliolanza e logica del dono
▪ Un modo più sofisticato di negare la possibilità
del dono è la spiritualizzazione totale del dono.
▪ Jacques Derrida (1930 – 2004) La moneta falsa: il
dono deve essere totalmente spontaneo e
completamente disinteressato al punto da
escludere ogni forma di reciprocità.
▪ Non deve dar luogo a nessun obbligo da parte
del beneficiario e a nessun vantaggio da parte
del benefattore.
▪ Per essere dono, il dono non deve apparire come
un dono.
2. Figliolanza e logica del dono
▪ Derrida: «Affinché ci sia dono, bisogna che il
donatario non restituisca, non ammortizzi, non
rimborsi, non si sdebiti, non entri nel contratto,
non abbia mai contratto un debito».
▪ Derrida sembra contraddire fortemente
l’impostazione utilitaristica mercantile.
▪ Sembra volere salvare il dono dall’impurità
dell’interesse e dello scambio.
▪ Però, paradossalmente rimane solidamente
ancorato alla logica utilitarista/mercantile.
2. Figliolanza e logica del dono
▪ L’impostazione derridiana condivide con la
logica utilitarista/mercantile due convinzioni
basilari:
1. Si devono evitare i legami.
o Il puro dono di Derrida non si interessa
della risposta dell’altro:
o L’identità del benefattore deve rimanere
nascosta, per cui si tratta di un dare
anonimo come anonimo è il dare dello
scambio mercantile.
2. Ricevere un dono significa contrarre un debito,
che allo stesso tempo è un danno.
2. Figliolanza e logica del dono
▪ Occorre sfidare questa impostazione.
▪ Per cominciare, possiamo e dobbiamo sfidare
l’antropologia che soggiace all’utilitarismo.
▪ L’uomo non è naturalmente un egoista al punto da
dover essere manipolato (dal mercato - Smith) o
minacciato (dallo Stato - Hobbes) per pensare agli
altri.
▪ Secondo Robert Spaemann, per noi «la realtà
dell’altro, unitamente alla sua teleologia», può
diventare una motivazione per agire (Felicità e
benevolenza).
▪ Siamo capaci di «gioire per la felicità dell’altro»,
come già affermò Gottfried Wilhelm Leibniz
(1646-1716, Prefatio Codex Iuris Gentium).
▪ L’interesse per l’altro è originario come l’interesse
per se stessi.
2. Figliolanza e logica del dono
▪ Tommaso d’Aquino: «Per tutti gli uomini è
naturale amarsi a vicenda» (Summa contra gentiles
[SCG] III, 117).
▪ Jacques Godbout: «Il desiderio (drive) di dare è
altrettanto importante, per comprendere la specie
umana, quanto quello di ricevere»
▪ «“L’attrattiva del dono” è altrettanto o più forte
dell’attrattiva del guadagno» (Lo spirito del dono).
▪ Difatti, Richard Titmuss ha scoperto un fatto
inspiegabile dalla prospettiva meramente
economica-utilitarista:
▪ Si trovano più facilmente persone disposte a donare
il sangue dove questo gesto non è corrisposto con
un rimborso monetario, dove si tratta, cioè, davvero
di un dono (Titmus, The Gift Relationships).
▪ .
2. Figliolanza e logica del dono
▪ Ma come si distingue esattamente il dono da
uno scambio economico?
▪ Godbout dà la seguente definizione del dono:
o «Definiamo dono ogni prestazione di beni o
servizi effettuata, senza garanzia di
restituzione, al fine di creare, alimentare o
ricreare il legame sociale tra le persone» (Lo
spirito del dono).
▪ Ciò che ci interessa nel donare è il legame con
l’altro, è l’altro stesso.
▪ In altre parole ciò che distingue il donare da
altri tipi del dare e del ricevere è l’intenzionalità
dell’amore.
2. Figliolanza e logica del dono
▪ «Il motivo di una donazione gratuita – scrive S.
Tommaso – è l’amore; infatti diamo una cosa
gratuitamente a qualcuno perché gli vogliamo
bene» (Sth I, 38, 2).
▪ Il dono è il bene che l’amante vuole per l’amato,
per usare la classica definizione di S. Tommaso:
▪ «L’amore consiste specialmente nel fatto che
“chi ama vuole del bene all’amato”» (SCG III,
90,6).
▪ L’oggetto (o la prestazione) scambiato non è la
cosa più importante.
▪ E’ più importante il gesto del donare come tale
che l’oggetto donato, proprio perché quello che
conta è il legame.
2. Figliolanza e logica del dono
▪ Dato che il donare si distingue da altri tipi del
dare proprio nella sua intenzionalità d’amore,
cioè, nel suo interesse per l’altro e per il legame
con lui, occorre che il donare sia libero.
▪ Il donatore - l’amante - dà il suo dono per
amore dell’amato, liberalmente, cioè lo
consegna alla libertà dell’altro, di accettarlo o di
rifiutarlo.
▪ [Per questa caratteristica del dono e quelle
seguenti, cfr. L. Melina - J. Noriega - J.J. Pérez-
Soba, Camminare nella luce dell’amore. I
fondamenti della morale cristiana, Cantagalli,
Siena 20173, pp. 481-496.]
2. Figliolanza e logica del dono
▪ Inoltre, il dono come veicolo o espressione
dell’amore è gratuito in due sensi.
▪ 1) È gratuito in quanto non è dovuto.
o Il dono va oltre la giustizia, rompe ogni nostra
aspettativa, per cui Petrosino può chiamarlo
addirittura “ingiusto” (P. Gilbert - S. Petrosino, Il
dono, Genova 2001).
o “Ingiusto”, dal punto di vista di una mentalità
che non riesce a cogliere il senso della generosità
e del gratuito.
o Così, nella parabola di Gesù i lavoratori delle
prime ore hanno percepito come danno la
generosità del padrone nei confronti dei
lavoratori delle ultime ore (cfr. Mt 20, 1-16).
2. Figliolanza e logica del dono
▪ 2) Inoltre, il dono è gratuito nel senso che non
intende comprarsi dei vantaggi o contraccambi,
non viene dato perché l’altro dia.
o Come abbiamo già detto sopra, il dono è al
servizio del legame.
o Al centro dell’interesse non vi è la cosa
scambiata ma il rapporto tra donatore e
donatario.
2. Figliolanza e logica del dono
▪ Il dono, anche se non crea un obbligo di
ripagare, comunque cerca la reciprocità, proprio
perché è un atto di amore che vuol creare un
legame.
▪ Il dono fa appello alla libertà dell’altro di
rispondere, che non è la stessa cosa del
ricambiare.
▪ Non si può dire che il lebbroso che è stato
guarito da Gesù ed è tornato per ringraziarlo, lo
abbia “pagato”.
▪ Comunque, ha reciprocato in un modo giusto,
esprimendo la sua gratitudine (Lc 17, 17).
2. Figliolanza e logica del dono
▪ Il modo primario in cui il beneficiario entra in
un rapporto di reciprocità con il benefattore è
quello di accogliere il dono.
▪ Come il donare è più di un mero dare, così
anche l’accoglienza va oltre un mero ricevere.
▪ Si tratta di un ricevere attivo che riconosce il
dono come dono ed il benefattore come
benefattore, un’accettazione non solo della cosa
ma anche di colui che l’ha data.
▪ Il donatore è presente nel dono.
2. Figliolanza e logica del dono
▪ La reciprocità che il dono cerca è l’accettazione
con gratitudine, l’accoglienza attiva che
asseconda il modo in cui il donatore vede il
legame e gli dà ospitalità nel proprio affetto.
▪ Il dono è completato qui.
▪ La gratitudine da parte del beneficiario può
certamente motivarlo a fare anche lui un dono
al donatore, ma questa sarà una nuova
iniziativa, non un contraccambio.
2. Figliolanza e logica del dono
▪ Che cosa vuol dire nostra analisi della logica del
dono per il tema della figliolanza e della
paternità?
▪ Ci sono padri buoni?
▪ Il problema di Sartre è vedere il rapporto tra
padre e figlio come un rapporto tra padrone e
servo.
▪ Sembra che qui ogni reciprocità sia esclusa.
▪ Il dono della vita è così grande che sarà per
sempre impossibile fare un dono equivalente al
padre.
▪ Sembra che il figlio non potrà mai “sdebitarsi”
nei suoi confronti, sarà sempre suo debitore.
2. Figliolanza e logica del dono
▪ Paul Gilbert: «L’esperienza più evidente del
debito d’essere è senza dubbio quella della
filiazione» (P. Gilbert - S. Petrosino, Il dono,
Genova 2001).
▪ Di fronte ad un dono così grande come la vita,
ogni reciprocità simmetrica è esclusa dall’inizio.
▪ Ma questo, come abbiamo detto sopra, non è
proprio il senso del dono.
▪ Il padre, se è un padre buono, non desidera che
il figlio ripaghi.
▪ La reciprocità che desidera è che il figlio
accolga, una reciprocità che si esprima nel
riconoscimento e nella gratitudine.
2. Figliolanza e logica del dono
▪ La gratitudine può anche trovare espressione in
gesti concreti, che non saranno però mai
tentativi di ripagare, ma piuttosto nuovi inizi
della libertà grata per il dono ricevuto.
▪ Queste iniziative, motivate dalla gratitudine ed
espressioni dell’accoglienza avvenuta, spesso
non saranno indirizzate al benefattore originale.
▪ Nel rapporto padre-figlio infatti, questo sarebbe
impossibile.
2. Figliolanza e logica del dono
▪ Si può qui parlare di una paradossale
“reciprocità non reciproca”:
▪ Si tratta di un dono, motivato dalla gratitudine,
che è in qualche modo commensurabile al dono
ricevuto, ma che non è rivolto al primo
donatore ma ad un terzo.
▪ Il dono, si potrebbe dire, è fatto girare.
▪ Il donatore non è una fonte ed il donatario non
è un catino, ma ambedue sono canali.
▪ Per un essere umano il modo di accogliere con
gratitudine il dono della vita e di entrare in
reciprocità con il benefattore è di diventare
donatore della vita a sua volta.
2. Figliolanza e logica del dono
▪ È diventando padre che il figlio accoglie il dono
della vita ricevuto.
▪ Questo non vale solo per la vita biologica, ma
anche per altri modi di dare e ricevere la vita,
spirituale e intellettuale.
▪ Paul Gilbert:
▪ «Il dono non è da restituire reciprocamente,
ma da prolungare nella linea della sua
propria virtù.
▪ La gloria del maestro è l’insegnamento
nuovo del suo discepolo; la gloria del padre
nei confronti di suo figlio sono i figli di suo
figlio» (P. Gilbert - S. Petrosino, Il dono,
Genova 2001).
2. Figliolanza e logica del dono
▪ La parabola del servo ingiusto: rifiuta a «far
girare il dono» e con ciò dà espressione alla
non-accoglienza del dono.
▪ Do gratuitamente perché ho ricevuto
gratuitamente – «Gratuitamente avete ricevuto,
gratuitamente date» (Mt 10, 8).
▪ Il mio dare è risposta libera e gratuita al dono
dell’amore che ho ricevuto,
▪ do perché sono stato amato.
2. Figliolanza e logica del dono
▪ Petrosino afferma che per il benefattore umano,
contingente, ogni occasione di poter dare è un
ricordo di aver ricevuto.
▪ Nel dare la vita al suo figlio, il padre viene
ricordato di essere figlio anche lui, ricevendo e
accogliendo in questo modo il padre suo.
▪ Petrosino: «All’interno della paternità, cioè
della donazione ad un “eteros”, si riceve in dono
l’esperienza del diventare figlio: il padre riceve
in dono dal figlio il suo essere figlio e si trova
così chiamato ad accogliere il suo stesso padre»
(P. Gilbert - S. Petrosino, Il dono, Genova 2001).
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Il nucleo fondatore della famiglia è la coppia di
sposi.
▪ Si diventa sposi tramite la promessa
matrimoniale.
▪ Guardiamo perciò alla natura di tale promessa.
▪ Che cos’è una promessa?
▪ La promessa è vincolante, e se sì, perché?
▪ Perché promettiamo?
▪ A chi o a che cosa promettiamo fedeltà nell’atto
di promettere?
▪ Che cosa vi è di specifico nella promessa
coniugale?
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
1. La promessa come convenzione sociale in
David Hume e in Thomas Hobbes
▪ David Hume (1711-1776): “Una promessa non
è intelligibile, se non viene stabilita dalle
convenzioni umane; e anche se fosse
intelligibile, non sarebbe accompagnata da
alcun obbligo morale” (Trattato sulla natura
umana).
▪ L’istituto della promessa esiste nella società
perché le promesse sono indiscutibilmente utili
e vantaggiose per la società stessa.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Hume fornisce l’esempio di chi organizza
l’imminente raccolto:
▪ se oggi il tuo grano è maturo e il mio lo sarà
domani, e se nessuno di noi due ha capacità
sufficienti a fare il raccolto da solo, io ti
chiederò di aiutarmi oggi e ti prometterò di
lavorare con te domani.
▪ Nell’antropologia di Hume, gli esseri umani
sono essenzialmente interessati soltanto di sé
stessi, perciò vi è poca speranza che tu mi aiuti
solo per senso di fratellanza.
▪ Mi aiuterai oggi soltanto se hai la certezza che
io ti aiuterò domani.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Per Hume, scopo dell’istituto della promessa è
far sì che le persone facciano ciò che vogliamo
che facciano senza dover ricorrere alla forza o
all’inganno.
▪ Perché, secondo lui, le promesse ci obbligano?
▪ L’obbligazione si deve esclusivamente alla
sanzione che il non mantenere la parola data
comporta.
▪ Chi non mantiene le sue promesse non potrà
più convincere gli altri che aiutarlo sta nel loro
interesse.
▪ Non si potrà più beneficiare in futuro
dell’istituto della promessa: si ritroverà senza
aiuto quando ne avrà bisogno.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Un’analoga concezione della promessa si trova in
Thomas Hobbes (1588-1679).
▪ Anche per lui, la promessa è un istituto creato dalla
società per il suo vantaggio.
▪ Tuttavia, a differenza di Hume, per Hobbes la
sanzione per chi non mantiene le promesse non è
soltanto il rischio di non essere creduto in futuro.
▪ L’istituto della promessa riveste la massima
importanza per lo Stato.
▪ Perciò lo Stato (il «Leviatano») impone l’obbligo di
mantenere la promessa per mezzo della minaccia
concreta della punizione:
▪ “Senza spada i patti non sono che parole, prive di
ogni forza per rendere sicuro un uomo”
(Leviatano).
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Perché promettiamo secondo Hobbes?
▪ Ancora una volta, per far fare agli altri ciò che
vogliamo che facciano.
▪ Perché manteniamo le nostre promesse?
▪ Perché in caso contrario dovremo pagare una
multa o affrontare il carcere.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Perché discutere queste due concezioni della
promessa proprio in questa sede?
▪ Oggi queste concezioni legalistiche della
promessa sono ancora molto attuali.
▪ La promessa è vista come qualcosa di
completamente impersonale.
▪ La persona cui la promessa è fatta non entra
mai in scena.
▪ La promessa non ha nulla a che fare con
l’amore per l’altro.
▪ Quindi la «fedeltà» che la promessa comporta è
soltanto fedeltà all’istituto della promessa.
▪ In ultima analisi si tratta di «fedeltà» soltanto
all’utilità di tale istituto.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Diventa arduo capire perché mai un’autorità
competente non possa dispensare qualcuno da
qualsiasi promessa che egli abbia fatto.
▪ Alla fine il carattere obbligatorio di tali
promesse risiede unicamente nella minaccia di
una sanzione imposta proprio da quell’autorità.
▪ Il “vincolo” creato dalla promessa è un obbligo
esterno imposto dalla società.
▪ Perché poi l’autorità competente (magari anche
ecclesiastica) non dovrebbe poter sciogliere
l’individuo dal vincolo od obbligo creato dalla
promessa?
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
2. La promessa come fedeltà a se stessi in
Immanuel Kant e in Friedrich Nietzsche
▪ Per Kant (1724-1804) non è del tutto chiaro
perché promettiamo.
▪ Però è evidente che l’obbligo di mantenere le
nostre promesse discende da un’applicazione
dell’imperativo categorico con il suo principio
di universalizzabilità:
▪ “Io devo sempre comportarmi in modo tale da
poter volere che la mia massima divenga una
legge universale”.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Prima di rifletterci su, potrei sentirmi tentato di
tirarmi fuori dai pasticci per mezzo di una
promessa che non ho intenzione di mantenere.
▪ Ma non potrei certo desiderare che la
menzogna diventasse legge universale.
▪ Una simile abitudine sarebbe irragionevole ed
equivarrebbe ad abolire l’istituto della
promessa.
▪ Per Kant, l’obbligo di mantenere la parola data
deriva dalla necessità che ha la ragione di non
contraddirsi.
▪ Ciò significa che la fedeltà implicata nella
promessa è in ultima analisi fedeltà a me stesso
come agente razionale.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Kant mette troppa fiducia nel suo principio di
universalizzabilità, il che bene da principio
euristico:
▪ “Che cosa succederebbe se tutti facessero
così?”.
▪ Come fondamento ultimo della morale sembra
però carente.
▪ Non può rispondere alla domanda sulla
motivazione:
▪ Perché dovrei volere essere razionale o coerente
con me stesso?
▪ Walt Whitman (1819-1892): “Mi contraddico?
Benissimo, allora vuol dire che mi contraddico;
sono vasto, contengo moltitudini” («Song of
Myself»)
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Il principio di universalizzabilità, come osserva
Alasdair MacIntyre, incontra gravi difficoltà già
su un piano molto più ovvio.
▪ MacIntyre (*1929), nel suo libro Dopo la virtù,
riesce a dare esempi di massime che possono
essere coerentemente universalizzate, ma che
sono assurde o immorali:
▪ «Nell’intero corso della tua vita mantieni tutte le
promesse salvo una».
▪ «Perseguita tutti coloro che sostengono false
credenze religiose».
▪ «Mangia sempre cozze nei lunedì di marzo».
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ E poi la teoria kantiana della promessa - come
quella di Hume e di Hobbes - non considera la
persona alla quale la promessa è fatta.
▪ Per loro promettere non è una realtà
intersoggettiva e non ha niente a che fare con
l’amore per l’altro.
▪ Per Hume e per Hobbes l’obbligo creato dalla
promessa risiede nella relazione fra individuo e
Stato.
▪ In Kant tale obbligo si basa sulla relazione fra
l’agente razionale e se stesso.
▪ Per Kant, la promessa è dunque una realtà
intrasoggettiva – ma non intersoggettiva.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Quest’ultima constatazione vale anche per
Nietzsche (1844-1900).
▪ E’ per questo che lo abbiamo affiancato a Kant
in questa sede.
▪ Nietzsche dedica una corposa sezione della sua
Genealogia della morale al tema dell’“allevare un
animale cui sia consentito fare delle promesse”.
▪ Avanza l’ipotesi che la capacità di promettere
possa costituire la differenza specifica fra
l’essere umano e gli animali.
▪ La presenta come un privilegio, anziché come
un dovere.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Essere in grado di dare la propria parola in
modo tale che altri se ne possano fidare è una
grande conquista della volontà.
▪ L’uomo “divenuto libero, che realmente può
promettere, questo signore del libero volere”, è
il “possessore di una durevole, incrollabile
volontà” .
▪ Ciò che lo distingue da altri è che egli “dà la sua
parola come qualcosa su cui si può fare
affidamento, poiché si sa abbastanza forte da
mantenerla persino contro casi avversi, persino
‘contro il destino’”.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Per Nietzsche, la promessa è “la memoria della
volontà”.
▪ E’ nella volontà che troviamo il motivo sia per
fare promesse, sia per mantenerle.
▪ Fare promesse ci offre una splendida occasione
per esercitare la nostra potenza.
▪ L’obbligo di mantenere le nostre promesse
discende dal nostro desiderio di grandezza e
sovranità.
▪ Venir meno alla propria promessa significa
essere servili.
▪ In altre parole, mantenere le promesse è
questione d’onore.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Effettivamente, la capacità di promettere è
molto rivelatrice della personalità dell’essere
umano come qualcuno che, essendo padrone di
se stesso, è in grado di anticipare il suo futuro.
▪ Chi dicesse: “Ieri ti ho promesso di far questo e
quello, ma che importa? Tra ieri e oggi sono
cambiato”, semplicemente sparirebbe come
persona.
▪ Così, Robert Spaemann può collocare il
fondamento e la garanzia della promessa nella
persona stessa: “La persona è una promessa”
(Persone).
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Qui Nietzsche sembra avere ragione: la
questione della promessa è intimamente legata
alla questione dell’identità personale.
▪ Osserva Paul Ricoeur (1913-2005) con profonda
intuizione:
o “Con identità possiamo comprendere due cose
differenti: la permanenza di una sostanza
immutabile che il tempo non intacca. […]
o Ma abbiamo un altro modello di identità, lo
stesso presupposto nel precedente esempio della
promessa. […]
o Il problema della promessa è proprio quello del
mantenimento di un sé, nonostante quelle che
Proust chiamava le vicissitudini del cuore” (La
persona).
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Possiamo dunque dire che Nietzsche giunge a
qualcosa di profondamente vero:
▪ Almeno in parte, il motivo per cui promettiamo
è mantenere la nostra identità nel tempo.
▪ Almeno in parte, il motivo per cui la promessa
obbliga è veramente il nostro onore.
▪ Si tratta di fedeltà a noi stessi.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Eppure anche qui dobbiamo interrogarci su
quale sia il ruolo della persona alla quale
facciamo una promessa.
▪ Come osserva Ricoeur:
o “L’obbligo di automantenersi mantenendo
le proprie promesse sta sotto la minaccia di
irrigidirsi nella durezza stoica della
semplice costanza, se non viene irrorato dal
voto di rispondere a un’aspettativa, anzi a
una richiesta venuta dall’altro” (Se come un
altro).
▪ Sembra che l’impostazione di Nietzsche ricada
per intero sotto questa critica.
▪ Per lui la persona cui la promessa è fatta sembra
non avere importanza.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Sotto questo profilo non sembra importante
neanche il contenuto della promessa.
▪ In questo contesto, Marcel scorge il grave
pericolo di confondere fedeltà con orgoglio:
▪ “Una fedeltà ad altri, di cui io stesso sarei il
principio, la radice e il centro, stabilirebbe
una volta di più […] la menzogna nel cuore
dell’esistenza che essa informa”.
▪ Questa menzogna consiste nel “sostenere
che, malgrado le apparenze, la fedeltà non è
che una modalità dell’orgoglio e
dell’attaccamento a se stessi” (Essere e avere).
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Se nella promessa fosse in gioco semplicemente
una fedeltà a me stesso,
o nel senso di un desiderio di coerenza, come in
Kant – il non-contradirsi della ragione -
o oppure nel senso dell’onore, come in
Nietzsche – il dimostrarsi forte della volontà -
▪ allora io stesso potrei anche dispensarmi dalla
mia promessa.
▪ Altri potrebbero cercare di portarmi a vedere
che, date le mutate circostanze, mantenere la
parola data è ormai divenuto irragionevole.
▪ Potrebbero dirmi di passare sopra il mio
orgoglio, ammettere il mio fallimento e andare
avanti.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ È curioso come i pensatori fin qui citati, pur
tenendo conto di aspetti importanti e validi
della promessa, abbiano potuto comunque
trascurare quella che probabilmente è la sua
caratteristica più saliente:
▪ La promessa è intrinsecamente una promessa
fatta a qualcuno.
▪ Ricoeur: “In verità, l’altro viene implicato fin
dal primo stadio, quello dell’intenzione ferma:
un impegno che non fosse di fare qualcosa che
l’altro potrebbe scegliere o preferire di fare
potrebbe non essere altro che una stupida
scommessa” (Sé come un altro).
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Sembra che il motivo principale per cui
dobbiamo mantenere le nostre promesse sia
l’altro verso il quale ci siamo impegnati e che
adesso fa affidamento su di noi.
▪ E qui, Gabriel Marcel giunge veramente al
cuore di ciò che è in gioco nel dare la propria
parola:
▪ «Non c’è impegno puramente gratuito, che
non implichi cioè una determinata presa
dell’essere su di noi.
▪ Ogni impegno è una risposta.
▪ Un impegno gratuito sarebbe non solo
temerario, ma anche da attribuirsi all’orgoglio.
▪ … La fedeltà non è mai fedeltà a se stessi, ma
si riferisce a ciò che ho chiamato la presa».
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Fedeltà alla parola data è fedeltà a qualcun altro, a
un amico, all’amato.
▪ E’ risposta a qualcuno.
▪ Quando prometto, allora, ciò che mi obbliga non è
in primo luogo la società, lo Stato, la mia logica e
neanche il mio onore, benché tutte queste cose
abbiano in qualche misura il loro peso.
▪ Io sono obbligato verso l’altro nel quale ho
suscitato aspettative e che ora fa affidamento su di
me.
▪ La promessa cioè riguarda l’altro, riguarda un nostro
comportamento futuro per il suo bene; suscita in lui
un’aspettativa riguardo a questo nostro
comportamento e gli dà un diritto al riguardo.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Ma allora, perché promettiamo?
▪ Per San Tommaso non c’è una sola risposta, ma
il primo e principale motivo è che promettiamo
agli altri per il loro bene:
▪ “All’uomo infatti si promette qualche cosa a sua
utilità, ed è per lui vantaggioso e il dono, e la
certezza medesima che gli diamo di riceverlo in
seguito” (Sth II-II, q. 88, a. 4).
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Non soltanto la cosa che si promette, ma la
promessa stessa è già un bene.
▪ La promessa contiene virtualmente in se stessa
la cosa promessa, ed è per questo che “non si
ringrazia soltanto chi dà, ma anche chi
promette” (STh II-II, 88, 5, ad 2).
▪ Le promesse sono fra i beni che vogliamo a
coloro che amiamo.
▪ In che modo la promessa è un bene per l’amato
già prima che si realizzi?
▪ Secondo Hannah Arendt, le promesse sono
“isole precarie di certezza in un oceano di
incertezza” (Vita activa, 180).
▪ Per mezzo delle promesse, le persone possono
coordinare le proprie attività.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Esempio: una partita di calcio fra due squadre.
▪ Come non si stanca di ripetere Hannah Arendt,
per realizzare qualcosa di significativo nella
vita, le persone devono agire insieme.
▪ E possono agire insieme soltanto se sono legate
fra loro da reciproche promesse.
▪ Quindi le persone beneficiano collettivamente
delle promesse nel momento in cui
intraprendono un’impresa comune.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Ma già come semplice individuo, chi riceve una
promessa acquisisce con ciò un vantaggio
decisivo.
▪ La promessa gli concede il diritto di “fidarsi
circa il fatto che la promessa sarà mantenuta, il
che significa poterla inserire nei suoi propri
progetti pratici come un dato sicuro” (Robert
Spaemann).
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Oggi, tante persone vogliono vivere insieme
senza promettersi la propria vita.
▪ Preferiscono non promettere nulla.
▪ Viene avanzata un’obiezione che già san
Tommaso si poneva.
▪ L’obiezione è che la nostra libertà è il massimo
bene che Dio ci abbia dato.
▪ Sembrerebbe inopportuno privarcene
deliberatamente sottoponendo la nostra volontà
alla necessità (cfr. Sth II-II, 88, 4, ob. 1).
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Sulla stessa scia, Gabriel Marcel si pone la
questione se ogni promessa non sia, in un certo
senso, una menzogna.
▪ Non ho alcun potere su come mi sentirò
domani.
▪ Oggi potrei dire a un amico che domani andrò a
trovarlo perché oggi mi sembra una buona cosa.
▪ Domani potrei tradire il mio amico se domani
quella visita non mi sembrasse più una cosa
buona e se non ne avessi più voglia.
o Se ci vado lo stesso, sarò insincero.
o Se non ci vado verrò meno alla parola data.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Dato che cambio di continuo, promettendo,
rischio di tradire il mio io futuro, cioè la persona
che sto diventando e della quale non so ancora
se in futuro vorrà accollarsi gli impegni che
prendo oggi per suo conto .
▪ Sorge allora l’interrogativo: “Può esistere un
impegno che non sia un tradimento?” (Marcel,
Essere e avere).
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Come risponde a quest’obiezione san
Tommaso?
▪ La libertà è libertà per il bene, e quanto più
saldamente la volontà si fissa sul bene, tanto più
è libera.
▪ San Tommaso sottolinea che Dio e i santi non
possono peccare, ma ciò non significa che siano
meno liberi, anzi la loro libertà è perfetta (STh
II-II, 88, 4, ad 1).
▪ Promettendo, noi non perdiamo la nostra
libertà, ma anzi la attuiamo.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Promettendo noi fissiamo saldamente la nostra
volontà sul bene.
▪ Questo è anche uno dei motivi per cui, secondo
il Doctor Angelicus, un atto compiuto in virtù
di un voto o di una promessa è migliore dello
stesso atto compiuto senza alcun previo vincolo
alla volontà.
▪ Nel primo caso, il bene è voluto più saldamente:
o “Col voto la volontà si determina al bene
stabilmente. […]
o Fare una cosa con la volontà confermata
nel bene è un elemento che rientra nella
perfezione della virtù” (Sth II-II, 88, 6).
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ San Tommaso non pensa soltanto
all’esecuzione concreta di un atto, ma anche
alla sua genesi.
▪ Un atto che scaturisce da una disposizione
virtuosa è compiuto con più stabilità, più gioia e
più facilità dello stesso atto compiuto senza una
simile disposizione attiva.
▪ Analogamente, un atto che scaturisce da una
promessa è compiuto con maggiore stabilità,
con volontà più salda, ed è quindi più virtuoso.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Di fronte all’obiezione «Non devo promettere
perché non so chi sarò domani» uno può
rispondere:
▪ «Devo promettere perché così saprò chi sarò
domani».
▪ La promessa è ciò che mi consente di
conservare la mia identità personale attraverso il
tempo.
▪ La promessa rafforza la volontà, conferisce
unità al soggetto morale.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ A quali condizioni si può essere dispensati dalle
proprie promesse?
▪ Se mantenere la promessa è un atto di fedeltà
all’altro, allora dovrebbe essere l’altro a poterci
dispensare.
▪ La richiesta di dispensa può essere motivata dal
sopravvento di circostanze nuove, tali da
rendere l’adempimento della promessa
notevolmente più arduo o da porci in conflitto
con obbligazioni nuove e impreviste.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ A volte dispensiamo noi stessi,
o quando l’altro non è a portata di mano,
o oppure insiste in modo irragionevole perché
adempiamo una promessa fatta in
circostanze completamente diverse (cfr.
Spaemann, Persone).
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Senza entrare in una casuistica, possiamo
comunque insistere con R. Spaemann, che c’è
una cosa che non può mai essere motivo di
esenzione:
o “Non può mai essere una ragione per non
adempierla il fatto che colui che ha
promesso semplicemente dichiari di avere,
nel frattempo, cambiato opinione” (Persone).
▪ Per dirla con P. Ricoeur, la promessa è
un’intenzione raddoppiata, “l’intenzione di non
cambiare intenzione”.
▪ Il contenuto della promessa era appunto il non
cambiare idea.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
La promessa matrimoniale e altre “promesse
per la vita”
▪ Ciò che distingue la promessa matrimoniale
dalle altre è che la sua irrevocabilità fa parte del
contenuto di ciò che si promette, con la
conseguenza che qui due persone formano una
“comunità di destino” (R. Spaemann).
▪ Cfr. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Ciò che ci induce a chiedere di essere dispensati
dalle nostre promesse, e a concedere volentieri
tale dispensa se ci viene richiesta, sono i colpi
del destino:
o circostanze nuove e imprevedibili che
mutano tutto il contesto in cui la promessa
è stata fatta.
▪ Orbene, la promessa matrimoniale è una
promessa con cui gli sposi dicono l’uno all’altra:
o Qualsiasi cosa accada, qualsiasi cosa il
destino abbia in serbo per noi, io ti
prometto la mia fedeltà, in salute o in
malattia, nella buona e nella cattiva sorte.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Perciò con queste parole gli sposi si promettono
l’uno con l’altra di non chiedere di essere
dispensati né dispensarsi a vicenda.
▪ La natura della promessa matrimoniale è tale da
modificare radicalmente il rapporto fra gli sposi.
▪ L’idea è che la promessa nuziale ha la capacità
di trasformare due estranei in due familiari.
▪ Anche se marito e moglie concordassero fra
loro di dispensarsi a vicenda dalle loro promesse
matrimoniali, ciò sarebbe impossibile, in quanto
tali promesse hanno istituito fra loro un
rapporto di parentela che non è più in loro
potere cambiare.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Il caso è simile a quello di un padre e di un
figlio che volessero dispensarsi a vicenda dalla
loro relazione di paternità e figliolanza.
▪ Ciò equivarrebbe a tentare l’impossibile.
▪ L’idea del matrimonio è che la promessa
sponsale possa istituire un rapporto di
parentela, cosicché Adamo, di fronte a Eva, può
affermare del tutto veridicamente:
▪ “Questa volta, sì, lei è osso delle mie ossa, carne
della mia carne” (Gn 2:23), il che significa
appunto dire: “Ella è mia parente”.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Com’è possibile fare una promessa del genere?
▪ Si può veramente costruire una vita comune di
fronte al destino?
▪ Nella vita avvengono spesso cose che sfuggono
completamente al nostro controllo: malattie,
sterilità, difficoltà economiche, problemi con i
figli.
▪ In queste situazioni, che definiscono la
condizione umana, com’è possibile promettere
la propria vita, la quale comprende anche ciò
che si vorrà in futuro,
▪ e non soltanto l’autenticità delle nostre
emozioni, comprendente solo ciò che si prova
nel presente?
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Robert Spaemann ci offre una riflessione
profonda:
▪ Suggerisce che gli sposi, scambiandosi i voti
nuziali, non si impegnano semplicemente ad
attenersi alla loro promessa con volontà di ferro
anche nell’eventualità di mutare sentimenti o di
rimpiangere la scelta fatta.
▪ Piuttosto, le promesse degli sposi implicano la
promessa di fare tutto ciò che è in nostro potere
per evitare le situazioni che ci indurrebbero a
rimangiarci l’impegno dato all’altro.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Mentre i nostri sentimenti sfuggono al nostro
controllo immediato, abbiamo il pieno controllo
sulle nostre scelte quotidiane.
▪ Attraverso le scelte, grandi e piccole, che
compiamo quotidianamente, noi sviluppiamo il
nostro carattere e la nostra personalità.
▪ Cambiamo continuamente e le nostre scelte
entrano in questo processo come fattore di
primo piano.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Secondo R. Spaemann, quindi, la promessa di
matrimonio è la promessa
o “di intendere lo sviluppo della propria
personalità […] non più come variabile
indipendente, sviluppo che forse procederà
in un qualche modo compatibile con lo
sviluppo dell’altra personalità, o forse no”.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Pertanto il criterio fondamentale per qualsiasi
decisione che dovrà prendere chi è sposato
diventerà la domanda:
▪ Che effetto avrà questa o quella scelta sul mio
rapporto con il mio coniuge?
▪ Vi saranno poi anche sempre eventi
completamente slegati dalle nostre scelte
precedenti e di cui non siamo minimamente
responsabili.
▪ Ma una coppia di sposi non è interamente alla
mercé del fato neanche in casi del genere.
▪ Se per definizione non possiamo scegliere ciò
che capita in modo inatteso, possiamo sempre
scegliere come reagire.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Essere sposati significa che sono precluse alcune
delle opzioni che altrimenti si avrebbero per
reagire a un colpo del destino.
▪ Tuttavia, non disporre più di tutte le opzioni
teoriche non equivale a non essere più liberi:
▪ significa soltanto che la gamma delle opzioni è
limitata.
▪ Del resto, non si sarebbe comunque potuto
attualizzare tutte le opzioni.
▪ Quindi la persona sposata non si trova in una
situazione che è qualitativamente diversa dalla
condizione umana generale:
▪ Nel momento in cui imbocchiamo una porta,
chiudiamo tutte le altre.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Lo stesso vale per l’altro tipo di promessa per la
vita, cioè per i voti religiosi e la promessa di
celibato dei sacerdoti.
▪ Anche qui la persona dà una forma definitiva
alla sua vita.
▪ Anche qui deve deliberatamente coltivare la sua
vocazione, domandandosi in che modo le sue
scelte e i suoi progetti influiranno sul suo
atteggiamento nei confronti del suo stato di vita.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Facendo una promessa per la vita ci
proponiamo di disporre del nostro intero futuro.
▪ Guardiamo alla nostra vita come a un tutto e
dunque, come osserva giustamente Guy
Mansini, anticipiamo già la morte (Promising
and the Good).
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Guy Mansini:
o “Ciò che la promessa del matrimonio e del
celibato sacerdotale e la castità religiosa
hanno in comune […] è che tutti hanno a
che fare con il corpo e la sessualità del
corpo.
o Le promesse per la vita, che guardano verso
la morte, sono disposizioni del potere
procreativo che guarda oltre la morte” .
▪ Sul piano della natura, la risposta alla nostra
mortalità è la nostra fecondità.
▪ Non a caso le promesse per la vita, in cui
consideriamo la nostra vita nella sua interezza,
sono modi di disporre la nostra capacità di
essere fecondi.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Per poter promettere la nostra vita ci occorre il
senso di avere uno scopo, una missione, una
chiamata a una qualche sorta di fecondità.
▪ Papa Francesco:
o “Promettere un amore che sia per sempre è
possibile quando si scopre un disegno più
grande dei propri progetti, che ci sostiene e
ci permette di donare l’intero futuro alla
persona amata” (LF 52).
▪ Il problema della cultura contemporanea, ciò
che rende tanto difficile alle persone promettere,
è che essenzialmente hanno perso l’idea della
fecondità dell’amore.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Gesù dice ai discepoli ciò che abbiamo motivo
di credere dica a ogni essere umano:
▪ “Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto
e il vostro frutto rimanga” (Gv 15:16).
▪ Ogni realtà composita trae la sua unità dal suo
fine o scopo.
▪ La vita può avere unità soltanto se ha uno
scopo, un fine, una meta.
▪ Gesù ci dice che tale scopo è la fecondità.
▪ Prima dell’età moderna le sue parole sarebbero
state auto-evidenti per chiunque le avesse lette o
ascoltate.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ La vita non è soltanto vivere: è di più.
▪ Se non vi è nulla che desideriamo più di vivere,
ben presto prenderemo a odiare la vita.
▪ Non vi è cosa che le persone desiderino di più
nella propria vita che una missione, qualcosa
per cui vivere e forse per cui morire.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Fino a non molto tempo fa, era chiarissimo a
tutti che tale nobile aspirazione era
naturalmente legata alla famiglia.
▪ Riconoscendosi come figlio o figlia, si apprezza
e si accetta il dono originario della vita.
▪ Rispondendo in gratitudine al dono della vita
che si è liberamente ricevuto, si diviene
consapevoli di una chiamata a tramandare
questa vita nell’amore,
▪ cioè a diventare marito e moglie, i quali,
insieme, sono chiamati a diventare padre e
madre.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Questa struttura rimane intatta anche per quanti
ricevono la chiamata alla continenza in vista del
Regno.
▪ Anche loro sono chiamati alla fecondità.
▪ Non è soltanto ai piaceri della carne che
rinunciano per amore del Regno.
▪ Rinunciano anche alla loro fecondità terrena,
cioè ad avere figli e a fondare una famiglia.
3. Legame e libertà: si può promettere la vita?
▪ Per loro, la promessa di Gesù è una ricompensa
sovrabbondante proprio per questa rinuncia.
▪ La loro sarà un’abbondante fecondità spirituale:
▪ “In verità vi dico, non c’è nessuno che abbia
lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli
per il regno di Dio, che non riceva molto di più
nel tempo presente e la vita eterna nel tempo
che verrà” (Lc 18:29).
▪ Dunque, quando parliamo di promesse per la
vita, in gioco c’è la questione della fecondità, e
con essa la questione del senso della vita.
4. Il perdono come atto di rigenerazione
▪ Per quello che segue: cfr. R. Spaemann, Persone,
cap. 17, pp. 214-229.
▪ Il perdono presuppone la colpa, dunque la
libertà della persona.
▪ E’ stata la persona stessa al fondamento del suo
agire malvagio e non i suoi geni, la cultura in
cui vive.
▪ Dall’altra parte, il perdono presuppone che la
persona, con il proprio agire malvagio, non
abbia rivelato il suo essere definitivo.
4. Il perdono come atto di rigenerazione
▪ L’identità personale non è un al-di-là rispetto a
tutti i predicati innati e acquisiti.
▪ L’identità personale è la totalità dell’uomo, che
ha certi predicati, come ad es. «essere colui che
ha fatto questo o quello».
▪ Tuttavia, il significato di questi predicati per
l’essere della persona non è mai definitivo.
▪ Anche la ricusazione della propria azione - il
pentimento - è un modo di integrare ciò che si è
fatto attraverso una «trasvalutazione».
▪ Conversione di S. Paolo …
4. Il perdono come atto di rigenerazione
▪ Il perdono consiste nella disponibilità dell’altro,
toccato dalla colpa:
▪ a non identificare il colpevole con il suo essere
come si è dimostrata nell’azione cattiva,
▪ ma a permettergli di ridefinirsi rispetto a ciò che
egli ha fatto.
▪ Esiste un’asimmetria: c’è un dovere di
perdonare, di fronte al quale non sta alcun
diritto al perdono.
▪ Il colpevole non ha alcun diritto al perdono, può
solo invocarlo.
▪ Il «creditore», tuttavia, ha il dovere di
corrispondere a questa supplica.
4. Il perdono come atto di rigenerazione
▪ Identificare qualcuno definitivamente con
qualche suo predicato significa rifiutare di
riconoscerlo come persona, cioè come un essere
che è libero rispetto a tutti i suoi predicati.
▪ Il perdono può essere associato a delle
condizioni, ad es. la riparazione.
▪ Quando la cosa riguarda la comunità, questa
riparazione può consistere nel ricevere un
castigo:
▪ per impedire simili atti delittuosi nel futuro
▪ per ristabilire l’ordine della giustizia.
▪ Il castigo, come scrive Hegel, è «l’onore del
delinquente» in quanto persona.
4. Il perdono come atto di rigenerazione
▪ La domanda rimane:
o La concessione del perdono precede il
distanziamento interno,
o oppure questo è il presupposto di quella?
▪ Entrambe le cose sembrano essere il caso.
▪ A chi fa l’esperienza di essere giudicato da ogni
altro uomo, in modo definitivo, non rimane
altro che porre tutto il suo orgoglio nel definirsi
così.
▪ Ma come perdonare a qualcuno che non si
distanzia interiormente da quello che ha fatto?
4. Il perdono come atto di rigenerazione
▪ Come uscire da questo paradosso?
▪ Il male non si fonda su un’ignoranza
incolpevole.
▪ Ciononostante il male è sempre legato a un tipo
di ignoranza che priva colui che agisce della
chiarezza dello sguardo.
▪ È appunto questo fatto a rendere possibile una
conversione, in quanto la conversione equivale a
un cammino verso la chiarezza.
▪ «Perdona loro, perché non sanno quello che
fanno».
4. Il perdono come atto di rigenerazione
▪ L’«intellettualista» socratico non ha nulla da
perdonare: il male gli sembra soltanto un errore.
▪ Colui che demonizza ogni male non può
perdonare, in quanto il male voluto come male
è imperdonabile.
▪ Tuttavia, quell’accecamento colpevole, qual è il
male come esso si presenta tra gli uomini,
comporta sempre un momento di un
imbrogliarsi.
▪ S. Ambrogio: Perché, dopo la cattiva esperienza
con gli angeli, Dio ha ancora creato gli uomini?
▪ «perché finalmente aveva uno cui poteva
perdonare i peccati» (Hexaemeron VI, 10, 76).
4. Il perdono come atto di rigenerazione
▪ Colui che perdona rinuncia a vedere l’altro
come egli lo sperimenta nell’immediatezza, e in
tal modo gli offre la possibilità di vedersi anche
lui in un modo diverso.
▪ Colui che perdona dice: «Io so che non sei tu».
▪ Si tratta di uno sguardo di speranza che è come
una nuova creazione, un nuovo inizio.
▪ Chi perdona partecipa nella speranza di Dio per
l’altro.
4. Il perdono come atto di rigenerazione
▪ Il perdono raggiunge pienamente il suo fine
soltanto nella riconciliazione e cessa laddove
questa è avvenuta.
▪ La riconciliazione porta alla scomparsa
dell’asimmetria che ne è il presupposto, e
ristabilisce l’uguaglianza del riconoscimento
reciproco.
▪ L’uguaglianza può però essere ristabilita
soltanto perché essa non è mai stata distrutta
completamente.
4. Il perdono come atto di rigenerazione
▪ Un esempio del perdono:
▪ Il monaco trappista Christian de Chergé, ucciso
il 24 maggio 1996 in Algeria, scrisse una lettera
a sua famiglia e ai suoi amici da leggere in caso
del suo assassinio (Cfr. il film Uomini di Dio).
o «Non potrei auspicare una tale morte. Mi
sembra importante dichiararlo.
o Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi
del fatto che un popolo che amo sia
indistintamente accusato del mio
assassinio.
4. Il perdono come atto di rigenerazione
▪ «Di questa vita perduta, totalmente mia, e
totalmente loro, io rendo grazie a Dio …
▪ In questo grazie, in cui tutto è detto, ormai,
della mia vita, includo certamente voi, amici di
ieri e di oggi, …
▪ E anche te, amico dell’ultimo minuto, che non
avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te
voglio questo grazie e questo ad-Dio profilatosi
con te.
▪ E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in
paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e
due. Amen!».
5. La paternità tra crisi e speranza
▪ Stephen Baskerville: «Lo scopo del matrimonio
non è la procreazione, ma la paternità: il
matrimonio permette ai figli di avere padri (The
New Politics of Sex, Angelico Press, Kettering,
OH 2017, 67).
▪ Baskerville intende qui la «procreazione» in
senso puramente biologico.
▪ Infatti, per procreare solo, non occorre che ci sia
il matrimonio.
▪ Il tradizionale «fine primario» del matrimonio
va inteso in modo più ampio: procreazione non
solo come fare bambini, ma come fare figli.
▪ E il figli non solo uno li genera, ma uno si li
educa.
5. La paternità tra crisi e speranza
▪ Per educare i figli occorre l’autorità.
▪ Senza il matrimonio, l’uomo sarebbe poco più di
un donatore di sperma.
▪ È il matrimonio che fa dell’uomo un genitore e gli
permette di esercitare l’autorità paterna.
▪ Il matrimonio protegge non solo il legame tra
marito e moglie, ma protegge anche e proprio il
legame tra padre e figlio.
▪ Thomas Hobbes: «Se non c’è contratto il dominio è
della madre, perché nel puro stato di natura in cui
non esistono leggi matrimoniali, non si può sapere
chi sia il padre, a meno che la madre non lo
dichiari, e perciò il diritto di dominio sul fanciullo
dipende dalla volontà della donna, ed è quindi suo»
(Leviatano, II, 20, 5).
5. La paternità tra crisi e speranza
▪ Il sistema legale da lungo ha insistito che quello
che determina il padre non è lo sperma, ma il
matrimonio.
▪ Nel caso di un bambino nato nel matrimonio la
presunzione è che egli sia del marito.
▪ Se è il matrimonio a creare la paternità del
maschio, allora la crisi più grande della
paternità è il divorzio.
▪ Il divorzio non solo separa il marito e la moglie,
ma separa il padre dai figli.
5. La paternità tra crisi e speranza
▪ Secondo Baskerville, nella vasta maggioranza
dei casi, dopo il divorzio i figli finiscono con la
madre.
▪ Quello non sarebbe soltanto un contingente
dato statistico, ma il senso proprio del divorzio:
allontanare il padre.
▪ «Il divorzio istantaneamente distrugge la
paternità (dell’uomo - fatherhood), e per
estensione, la paternità (di ambedue, dell’uomo
e della donna – parenthood)» (p. 74).
▪ Quale autorità nell’educare il figlio può avere un
padre che vede il figlio ogni secondo fine-
settimana?
5. La paternità tra crisi e speranza
▪ Sarà domanda di trascorre insieme il tempo di
qualche ora, di esprimere il proprio interesse,
ma non ci sarà l’autorità.
▪ Poi, nei litigi tra madre e padre divorziati – litigi
che nella vasta maggioranza dei casi
riguarderanno i figli – chi decide, chi interviene?
▪ Sarà lo Stato, il sistema giuridico, a decidere se,
e se sì, per quante ore il padre potrà vedere il
figlio ogni mese.
▪ Saranno gli ufficiali dello Stato a sorvegliare
bene che le disposizioni sono adempiute.
▪ E così lo Stato si intromette in ciò che una volta
era la vita privata della famiglia.
5. La paternità tra crisi e speranza
▪ Non ci sarà più vita privata.
▪ Il divorzio, cioè, l’abolizione del matrimonio,
comporta anche l’abolizione della vita privata.
▪ Decide lo Stato sui rapporti che può avere il
figlio con il padre e la madre. Arbitra lo Stato
dei conflitti tra padre e madre.
▪ Cosa significa per l’educazione dei figli?
▪ Imparano che non c’è l’autorità dei genitori che
decide delle domande importanti della vita.
▪ L’autorità ultima sta con gli uffici statali: la
corte familiare, l’ufficio familiare del comune…
▪ In questo modo, il divorzio infatti distrugge la
paternità di ambedue: sia del marito che della
moglie.
5. La paternità tra crisi e speranza
▪ Il prezzo da pagare per la «libertà» del divorzio
è il trasferimento dell’autorità educativa allo
Stato, in quanto sarà adesso lo Stato a decidere
del destino dei figli.
▪ Il prezzo è l’abolizione della vita privata.
▪ Il prezzo è l’abolizione della paternità per
quanto essa implica più di donare lo sperma.
5. La paternità tra crisi e speranza
▪ Quale speranza per la paternità?
▪ Quanto segue è basato su John McCarthy,
«Notes on Fatherhood», Anthropotes 35 (2019),
149-176.
▪ Che cosa significa essere padre di una famiglia?
▪ Francis Bacon propone questa tesi: «Chi ha
moglie e figli ha dato degli ostaggi alla fortuna,
perché loro sono degli impedimenti alle grande
imprese sia di virtù che di malizia» («Di
matrimonio e vita singola»).
▪ Guardiamo a quello che dice Charles Péguy di
questa proposta.
5. La paternità tra crisi e speranza
▪ Sembra vero che il padre di famiglia ha dato
degli ostaggi alla fortuna.
▪ Diventa vulnerabile. Soffrirà gravemente.
▪ Dice Péguy, parlando dall’esperienza propria:
«Chi non ha perso un bambino, chi non ha visto
morto il suo bambino non sa cosa sia il dolore»
(Véronique. Dialogo della storia e dell’anima
carnale).
▪ «Gli altri soffrono solo per se stessi. ... Al primo
grado. Lui solo soffre per altri. … Al secondo, al
ventesimo grado. Fa soffrire altri, ne è
responsabile. Lui solo ha degli ostaggi, la
moglie, il bambino, e la malattia e la morte
possono colpirlo in tutte le sue membra
(Véronique).
5. La paternità tra crisi e speranza
▪ Però, non sembra che Péguy sarebbe d’accordo
con la seconda parte della tesi baconiana, cioè
che avere moglie e figli sia un impedimento alle
grandi impresi.
▪ Secondo Charles Péguy, il padre di famiglia è
l’unico grande «avventuriero al mondo»
(Véronique.)
▪ Da dove deriva tale spirito avventuristico,
secondo Péguy?
▪ I padri si sentono pienamente responsabile per i
propri figli al punto che «per loro nulla è
indifferente. Niente di quello che succede,
niente di storico è per loro indifferente. Soffrono
di tutto. Soffrono dappertutto» (Veronique).
5. La paternità tra crisi e speranza
▪ Il padre di famiglia «impegna tutto, mette tutto,
la sua carne e di più» nell’avvenire dei propri
discendenti, e, in ultima analisi, dell’intera
umanità.
▪ Avendo scommesso tutta la vita per una causa
grande – come fanno gli grandi avventurieri del
mondo – lui vede la vita sua da questa
prospettiva.
▪ Quando Charles Péguy cade all’inizio della
Prima Guerra Mondiale nel 1914 con un colpo
nella testa, secondo gli altri soldati le sue ultime
parole erano: «Oh mon Dieu, mes enfants…»
5. La paternità tra crisi e speranza
▪ Per essere padri, occorre la speranza.
▪ Diventare padri esprime la speranza.
▪ Speranza davanti agli ostacoli e pericoli nel
mondo.
▪ Ma speranza anche per quello che il padre
desidera di più e che non è nel suo potere di
forzare:
▪ Che il figlio lo ami.
▪ Non è possibile forzare la risposta dell’amore
del figlio.
▪ Infatti, Dio Padre stesso, dal quale ogni
paternità in cielo e in terra prende il suo nome,
deve «sperare» nell’uomo e per l’uomo: lo
invita, non lo forza. È qui tutto il dramma della
storia della salvezza.
5. La paternità tra crisi e speranza

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