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FORSE DIO GIOCA A DADI?

Paolo Beltrame S.I.

Una volta Albert Einstein1, rivolgendosi agli scienziati che


allora si occupavano della «nuova fisica», disse: «Il problema
quantistico è così straordinariamente importante e difficile che
dovrebbe essere all’attenzione di tutti»2 . La «meccanica quanti-
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stica» è attualmente la teoria fisica più completa per descrivere la
materia, la radiazione e le reciproche interazioni, specialmente
in condizioni in cui le precedenti teorie cosiddette «classiche»3
risultano inadeguate, ossia nei fenomeni di lunghezza o energia
atomica e subatomica. La frase di Einstein vale per tutti, perché
la fisica quantistica, oltre ad avere un grande impatto tecnologi-
co – e conseguentemente sociale –, ha importantissime implica-
zioni nella visione filosofica della realtà.
Possiamo aggiungere che Einstein – sebbene avesse una grande
ammirazione sia per il formalismo matematico quantistico sia per la
sua capacità di descrivere gli esperimenti – non era affatto un soste-
nitore dell’interpretazione cosiddetta «ortodossa» della fisica quanti-
stica. L’interpretazione ortodossa, chiamata anche «interpretazione
di Copenaghen», si ispira essenzialmente ai lavori svolti attorno al

1. Albert Einstein (Ulma, 14 marzo 1879 - Princeton, 18 aprile 1955), pro-


babilmente lo scienziato più noto del XX secolo, è stato un fisico tedesco, natura-
lizzato svizzero e statunitense. Nel 1921 ricevette il premio Nobel per la Fisica «per
i contributi alla fisica teorica, in particolare per la scoperta della legge dell’effetto
fotoelettrico».
2. G. C. Ghirardi, Un’occhiata alle carte di Dio. Gli interrogativi che la scienza
moderna pone all’uomo, Milano, il Saggiatore, 1997, XV.
3. Per «meccanica classica» intendiamo la fisica che descrive bene i fenomeni
macroscopici di tutti i giorni, in particolare la meccanica iniziata con Galileo e
formalizzata da Newton.

© La Civiltà Cattolica 2021 I 450-461 | 4097 (6/20 marzo 2021)


FORSE DIO GIOCA A DADI?

1927 da Niels Bohr4 e Werner Heisenberg5, arricchiti anche dal


decisivo contributo di Max Born6. Nel seguito dell’articolo cerche-
remo di chiarire questa prospettiva.
Possiamo però già da ora capire come la fisica non rappresenti
affatto una disciplina lineare e asettica, ma sia inestricabilmente
legata, in maniera ampia e complessa, alla nostra vita. «La vita su-
pera la scienza», afferma John Polkinghorne7; e Heisenberg scrive-
va che «la Natura viene prima dell’uomo, ma l’uomo viene prima
della scienza della natura»8. Le concezioni religiose, filosofiche ed
esistenziali del fisico entrano in un «dialogo circolare», tanto ar-
ricchente quanto problematico, con la sua professione scientifica.
Non è raro osservare come dei fisici, sebbene in pieno accordo tra
loro sul piano scientifico, avessero avuto espliciti contrasti per ciò
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che riguarda le conseguenze filosofiche di una determinata teoria.
La scienza informa la vita e il pensiero, ma non li imprigiona.
Vedremo come Einstein, e altri insieme a lui, si siano opposti
alla concezione della meccanica quantistica della scuola di Co-
penaghen, e come, nonostante ciò, quest’ultima sia diventata il
pensiero dominante tra gli scienziati. La meccanica quantistica,
come si è detto, rappresenta oggi la migliore e più esaustiva de-
scrizione del mondo fisico. La sua comprensione seria e onesta
offre scenari inaspettati, affascinanti e aperti verso una realtà più
vasta. In essa si può intravedere un orizzonte verso il Mistero,
perfino in un’ottica cristiana.

4. Niels Henrik David Bohr (Copenaghen, 7 ottobre 1885 - Copenaghen, 18


novembre 1962) è stato un fisico danese e uno dei principali fondatori della mecca-
nica quantistica. Ha ricevuto il premio Nobel per la Fisica nel 1922.
5. Werner Karl Heisenberg (Würzburg, 5 dicembre 1901 - Monaco di Ba-
viera, 1 febbraio 1976) è stato un fisico tedesco. Nel 1932 ha ricevuto il premio No-
bel per la Fisica per la creazione della meccanica quantistica. Molto noto – e talvolta
usato a sproposito – è il suo principio di indeterminazione, sul quale ritorneremo nel
corso di questo articolo.
6. Max Born (Breslavia, 11 dicembre 1882 - Gottinga, 5 gennaio 1970) è
stato un fisico tedesco, naturalizzato britannico, premio Nobel per la Fisica nel 1954
per la meccanica quantistica, e particolarmente per l’interpretazione probabilistica
della funzione d’onda.
7. John C. Polkinghorne (Weston-super-Mare, 16 ottobre 1930) è un filoso-
fo, teologo e fisico britannico, membro della Royal Society e pastore anglicano.
8. W. K. Heisenberg, Physics and Philosophy, London, Penguin Books, 1958, 23.
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«I ragazzi di Copenaghen»

A parte Born, che era quarantenne, Heisenberg, Jordan9, Dirac10


e Pauli11 – ossia i principali protagonisti della nascita della teoria dei
quanti – erano tutti ventenni. Con entusiasmo giovanile, essi si ritro-
varono coinvolti in quel progetto che avrebbe cambiato lo scenario
della fisica, e con esso il paradigma della nostra visione del mondo.
Questo gruppo di giovani, attraverso un raffinato formalismo mate-
matico12 ed esperimenti – reali o anche solo concepiti mentalmente
–, arrivò alla conclusione che: 1) è impossibile rinunciare a quello che
può essere chiamato aspetto «probabilistico» della teoria; 2) le quantità
«osservabili», ossia ottenibili mediante processi di misurazione, sono le
uniche che realmente esistono per la scienza.
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L’aspetto probabilistico

L’aspetto probabilistico non riflette soltanto l’imperfezione


della nostra conoscenza. Anche se noi fossimo «Dio»13, non po-
tremmo in ogni caso conoscere con certezza l’esito di un feno-
meno quantistico. Se questa conoscenza assoluta e superiore fos-
se possibile, allora il nostro modo di vedere la realtà sarebbe un
modo cosiddetto «classico».

9. Pascual Jordan (Hannover, 18 ottobre 1902 - Amburgo, 31 luglio 1980) è


stato un fisico e matematico tedesco.
10. Paul Adrien Maurice Dirac (Bristol, 8 agosto 1902 - Tallahassee, 20 otto-
bre 1984) è stato un fisico britannico, premio Nobel per la Fisica nel 1933.
11. Wolfgang Ernst Pauli (Vienna, 25 aprile 1900 - Zurigo, 15 dicembre
1958) è stato un fisico austriaco, premio Nobel per la Fisica nel 1945.
12. Volendo essere precisi, dobbiamo dire che i formalismi matematici sono
due, sviluppati indipendentemente da Karl Heisenberg e da Erwin Schrödinger
(Vienna, 12 agosto 1887 - Vienna, 4 gennaio 1961; ha ricevuto il premio Nobel
per la Fisica nel 1933, insieme a Dirac). Il primo formalismo, di Heisenberg,
è noto come «meccanica delle matrici». L’altro, di Schrödinger, è la cosiddetta
«meccanica ondulatoria». L’aspetto sorprendente è che, nonostante le divergenze
di natura più che altro filosofica tra i creatori dei due formalismi, sia l’uno che
l’altro metodo risultano esattamente equivalenti nello studio e nella predizione
dei fenomeni fisici, e vengono utilizzati indifferentemente dagli scienziati di tut-
to il mondo.
13. Il termine «Dio» qui non ha il senso di un Dio personale, ma è piuttosto
un appellativo – forse un po’ provocatorio – per indicare un essere onnisciente, che
conosce alla perfezione tutte le leggi della natura.
FORSE DIO GIOCA A DADI?

Cerchiamo ora di chiarire il problema. Nella fisica classica si


ricorre alla probabilità, anche se il processo in realtà è determini-
stico. Sono l’incompletezza e l’inesattezza della nostra conoscenza
riguardo alle condizioni iniziali (lo stato di partenza) di un siste-
ma che impediscono di poter formulare previsioni precise, deter-
ministiche. Se noi fossimo Dio e se il mondo fosse governato da
leggi classiche, saremmo capaci di prevedere con certezza assoluta
il risultato di tutti i fenomeni fisici del mondo. Conoscendo com-
pletamente e precisamente il punto di partenza di ogni particella
dell’universo, saremmo in grado di descrivere e di predire il per-
corso che l’enorme macchina cosmica – il grande «orologio di
Dio» – sta compiendo e compirà.

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NELLA MECCANICA QUANTISTICA È COME SE DIO
GIOCASSE A DADI E, COME UN ONESTO GIOCATORE,
NON CONOSCESSE IN ANTICIPO IL RISULTATO.

Nella meccanica quantistica invece è un po’ come se Dio stes-


so giocasse a dadi e, come un onesto giocatore, non conoscesse
anticipatamente il risultato. Anche conoscendo in maniera esatta
tutti i dati iniziali e le leggi della natura, sarebbe comunque im-
possibile prevedere con esattezza l’esito di un esperimento. Per-
tanto, i risultati delle misurazioni sono fondamentalmente non
deterministici, ossia non prevedibili in maniera determinata14. Il
massimo della nostra conoscenza, nell’eventualità che effettuassi-
mo una misurazione di una quantità fisica del mondo quantistico,
sarebbe soltanto la probabilità di ottenere un certo valore15.
Pur senza addentrarci nel formalismo matematico, diciamo
comunque che lo stato di un sistema quantistico è descritto dal-
la cosiddetta «funzione d’onda», nella quale coesistono – non
realmente, ma solo potenzialmente – tutte le grandezze fisiche
– quali, per esempio, la posizione e la velocità –, ciascuna con la

14. Questo vale per quelle quantità – dai fisici chiamate anche «variabili» – che
vengono dette «incompatibili», come, ad esempio, la posizione e la velocità o l’ener-
gia e il tempo.
15. Cfr G. C. Ghirardi, Un’occhiata alle carte di Dio..., cit., 94.
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propria rispettiva probabilità. Questo è tutto quello che ci è dato


di conoscere; la funzione d’onda descrive solo le probabilità con
la quale potremmo ottenere un risultato qualora fosse effettuata
la misurazione.

«Ma guarda chi c’è!»

L’altro aspetto sconvolgente della meccanica quantistica è che do-


mande del tipo: «Dov’era la particella prima che ne misurassimo la
posizione? Qual è il percorso che essa ha compiuto?» sono totalmente
prive di senso. Il fisico Richard Feynman16 nel 1948 ha formulato un
metodo matematico – molto tecnico, ma anche molto efficace – che
permette di descrivere un fenomeno fisico calcolando le probabilità
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di tutte le possibili evoluzioni del sistema, dal punto iniziale a quello
finale. Nel procedimento bisogna includere «tutte» le traiettorie che
il sistema può percorrere17, anche quelle che sarebbero impossibili per
la meccanica classica, che prevede un solo determinato percorso. In
meccanica quantistica non esiste una sola traiettoria (un’unica linea
evolutiva) attraversata dal sistema, ma ne esistono infinite, e la parti-
cella può passare in tutte, anche contemporaneamente.
Ma queste infinite traiettorie sono reali? John Wheeler18 rispon-
derebbe: «Quello che [del mondo fisico] è reale sono solo i fenomeni
[…], e nessun fenomeno è un fenomeno finché non è un fenomeno
osservato»19. La fisica sviluppata dai «ragazzi di Copenaghen» studia
esclusivamente quantità osservabili, ossia ottenibili mediante misura-
zione. La misura «costringe» il fenomeno fisico ad assumere uno solo
dei valori permessi – appunto, quello osservato –, che diventa così l’u-
nico a esistere realmente. In termini tecnici, questo processo viene de-
finito come «collasso della funzione matematica». La conoscenza con-

16. Richard Phillips Feynman (New York, 11 maggio 1918 - Los Angeles, 15
febbraio 1988) è stato un fisico e divulgatore scientifico statunitense, premio Nobel
per la Fisica nel 1965 per l’elaborazione dell’elettrodinamica quantistica.
17. Cfr R. P. Feynman, QED. The strange theory of light and matter, Princeton,
Princeton University Press, 1985 (in it. QED. La strana teoria della luce e della mate-
ria, Milano, Adelphi, 2010).
18. John Archibald Wheeler ( Jacksonville 9 luglio 1911 - Hightstown, 13
aprile 2008) è stato un eminente fisico teorico americano.
19. G. C. Ghirardi, Un’occhiata alle carte di Dio..., cit., 95.
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tenuta in questa funzione d’onda, che descrive tutti i possibili valori


consentiti per il sistema, viene completamente cancellata al momento
della misurazione: questa fa collassare la struttura matematica – e con
essa il sistema – sull’unico valore che «realmente» osserviamo20.
Possiamo quindi dedurre che la meccanica quantistica, sebbene
descriva fenomeni che esulano dalla nostra esperienza quotidiana,
non è una mera speculazione metafisica21, e tanto meno un modello
che rischia di introdurre un certo spiritualismo paranormale o pa-
rapsicologico; al contrario, essa si concentra su ciò che può essere
osservato e verificato.
Potrebbe essere complicato e un po’ ingannevole offrire in
questo contesto analogie tratte dalla fisica classica, dalla vita di
tutti i giorni. Si potrebbe esordire con il solito: «Immaginia-
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mo di lanciare un dado…», ma non crediamo che questo fun-
zionerebbe. Il problema sta nel fatto che il mondo quantisti-
co descrive una realtà così lontana dalla nostra vita quotidiana
che proporre analogie eccessivamente semplificate rischierebbe
di farci scivolare in paradossi, alimentando equivoci, invece di
chiarire in maniera semplice concetti complicati22 . Heisenberg,
in particolare, percepì bene questa impasse come un problema
linguistico: il vocabolario concettuale umano è nato in seguito
all’evoluzione biologica e sociale, che è sorta in un «ambiente»
classico, e non quantistico. Pertanto, per descrivere la quotidiani-
tà classica, l’uomo ha sviluppato un linguaggio appropriato, che
però è totalmente inadatto a rappresentare i fenomeni quantistici,
che costituiscono comunque la base del nostro mondo. Invece,
a differenza del linguaggio quotidiano – e anche filosofico –, la

20. Cfr W. K. Heisenberg, Physics and Philosophy, cit.


21. Sebbene abbiamo una grande attenzione e un profondo rispetto per la co-
noscenza metafisica, è comunque importante notare come la meccanica quantistica
sia una teoria scientifica – molto ben verificata sperimentalmente - che è ben distin-
ta dalle molteplici e ricche scuole di pensiero metafisiche, interpretative del reale.
22. Ben nota è la storia del gatto di Schrödinger, che è, al tempo stesso, sia
vivo sia morto. Questa descrizione analogica, che usa sia un sistema macroscopico
(il gatto) sia uno quantistico (il decadimento di un atomo, ossia il cambiamento di
stato di una particella), ha generato più perplessità che chiarimenti. Probabilmente
era proprio quello l’intento dell’ideatore, ma tutto questo ci fa capire che cercare di
offrire delle analogie può complicare la comprensione e rendere il contesto ancora
più enigmatico e paradossale.
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matematica può offrirci un supporto certamente più modesto e


limitato, ma molto più solido, per descrivere un mondo che è per
noi così estraneo come quello subatomico23.

Dio gioca a dadi?

Non possiamo riferire qui i molteplici e straordinari successi


sperimentali che la meccanica quantistica ha ottenuto. Ricordia-
mo comunque che questa teoria descrive con estrema precisione
praticamente tutto quello che finora siamo riusciti a osservare nel
mondo fisico: dai semplici fenomeni di riflessione della luce ai
più sottili processi che coinvolgono le particelle elementari finora
conosciute. Ci possiamo chiedere allora quale tipo di realtà il pa-
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norama quantistico ci presenti.
Rivolgendosi a Bohr, Einstein scriveva: «La teoria dà buo-
ni risultati, ma difficilmente ci avvicina al segreto dell’Anziano
[…]. Sono del tutto convinto che Lui non stia affatto giocando a
dadi»24. Secondo Einstein, il cuore stesso della nuova teoria bat-
teva in maniera aritmica e incerta, mettendo la casualità al centro
stesso delle leggi della natura. Una posizione sconvolgente per
una comunità – quella scientifica – che aveva costruito una pro-
pria rappresentazione del mondo come di un meccanismo preciso
e perfettamente sincronizzato, che non lasciava spazio all’incer-
tezza o all’indeterminazione.
E fu proprio nel 1927 che Heisenberg enunciò il suo «princi-
pio di indeterminazione»25, una «legge» – precisiamo – che non
è sperimentale, bensì fondamentalmente concettuale, e che suc-
cessivamente è stata confermata da innumerevoli esperimenti.
Questo principio stabilisce i limiti dell’osservazione stessa, per

23. Cfr W. K. Heisenberg, Physics and Philosophy, cit., 38.


24. Con il termine «Anziano» Einstein qui si riferisce a Dio. Per lui, certamen-
te non c’è un Dio teista, personale, ma piuttosto un’Entità superiore e onnisciente,
che garantisce la regolarità delle leggi della natura.
25. È interessante notare che Heisenberg, con la sua grande – e a volte sospet-
tosa – attenzione per il linguaggio, non utilizzò quasi mai la parola «principio». Le
espressioni da lui più usate erano «relazioni d’inesattezza», o «relazioni d’incertezza»
o «relazioni d’indeterminazione». Cfr D. Lindley, Incertezza. Einstein, Heisenberg,
Bohr e il principio di indeterminazione, Torino, Einaudi, 2008.
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quelle che sono «grandezze fisiche incompatibili»26 di un siste-


ma fisico, come la misura della posizione e della velocità di una
particella, o dell’energia e del tempo di un processo fisico. Tali
grandezze non possono essere determinate con un’accuratezza
arbitraria: ci sarà sempre e inevitabilmente un’incertezza, indi-
pendente dalla bontà dei nostri strumenti. Noi possiamo cono-
scere il mondo solo in maniera indeterminata.
Va notato anche che, prima della scoperta del mondo dei
quanti, la fisica aveva sempre ruotato attorno al concetto di og-
gettività reale degli oggetti materiali. Persino Einstein aveva
adottato posizioni molto realiste, affermando recisamente che le
teorie scientifiche sono rappresentazioni vere di una realtà fisica
oggettiva, di «cose che sono lì». Tutto procedeva normalmente,
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finché «i ragazzi di Copenaghen» affermarono che la scienza
aveva finalmente guadagnato terreno sulla filosofia nella risolu-
zione dei problemi riguardo alla descrizione della realtà. Ma in
che modo? Heisenberg fece notare: «Dobbiamo ricordarci che
quello che osserviamo non è la natura in sé, ma la natura esposta
al nostro metodo di interrogazione». E Bohr più esplicitamente
affermò: «Non c’è un mondo di quanti. C’è solo un’astratta de-
scrizione fisica del quanto. È sbagliato pensare che lo scopo della
fisica sia scoprire ciò che la natura è. La fisica si occupa di ciò
che della natura si può dire»27. E alla celebre frase di Einstein:
«Dio non gioca a dadi», Bohr replicò: «Non dire a Dio cosa può
o non può fare».
Nel 1954, due anni prima della sua morte, Einstein scrisse in
una lettera al fisico americano David Bohm28: «Se Dio ha creato
il mondo, non possiamo dire che si sia preoccupato molto di fa-

26. Non entreremo qui nelle sottigliezze tecniche della meccanica quantistica.
Volendo dare una descrizione semplificata, possiamo ricordare che in meccanica
quantistica due quantità sono incompatibili se l’ordine con cui esse vengono stimate
fa cambiare il risultato finale, ossia [A, B] = A⋅B - B⋅A ≠ 0.
27. C. Rovelli, Helgoland, Milano, Adelphi, 2020, 49.
28. David Joseph Bohm (20 dicembre 1917 – 27 ottobre 1992) è stato uno
scienziato americano, membro della Royal Society e ideatore di quella che viene
chiamata «meccanica bohmiana», che offre una visione alternativa rispetto alla tra-
dizionale meccanica quantistica. Bohm, con le sue idee non convenzionali, ha an-
che contribuito alla neuropsicologia e alla filosofia della mente.
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cilitarne la comprensione». La fisica aveva risolto i problemi della


comprensione della realtà, riversandoli però nel mistero. Il mondo
dei quanti è un mondo sconcertante e contraddittorio, ma il mondo
è un enigma che la Natura ha già risolto29. L’universo sembra essere
lì tranquillo e sereno di fronte al nostro arrancare conoscitivo.

Una conoscenza verso l’orizzonte

La questione dei fondamenti della meccanica quantistica ri-


mane ancora aperta e appassiona fisici e filosofi della scienza. Ci
sono molte pubblicazioni in merito e varie posizioni che si diffe-
renziano, anche notevolmente.
A un estremo, abbiamo il «realismo», paladino del fatto che
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ogni affermazione sul mondo fisico ha valore oggettivo e reale.
Le cose sono lì; al limite, il problema è nostro che non riusciamo
a conoscerle in maniera completa ed esatta; ma i modelli che ab-
biamo costruito nel corso dei secoli ci informano realmente – in
maniera più o meno accurata – sul mondo come esso veramente
è. A questa visione fanno capo la meccanica classica e anche le
concezioni filosofiche che considerano la conoscenza come «cor-
rispondenza tra realtà e intelletto».
All’estremo opposto, troviamo lo «strumentalismo» esa-
sperato, e a volte anti-realista. Secondo tale interpretazione le
leggi della fisica e la nostra descrizione del mondo hanno un
valore semplicemente «pratico», cioè sono meri strumenti utili
per spiegare e prevedere i fenomeni (o meglio, la loro proba-
bilità di concretizzarsi), ma che essenzialmente non rappresen-
tano affatto la realtà, della quale non si può dire nulla (sempre
ammesso che esista). Questa posizione, abbastanza in voga tra
i fisici, è stata sostenuta in una certa misura anche dalla scuola
di Copenaghen30.
Qui però non intendiamo entrare in tale dibattito. La visione
che proponiamo è quella che potrebbe essere chiamata «cono-

29. Cfr C. Rovelli, Helgoland, cit., 157.


30. Cfr W. K. Heisenberg, Physics and Philosophy, cit.; G. C. Ghirardi,
Un’occhiata alle carte di Dio..., cit.; G. Boniolo, Filosofia della fisica, Milano, Mon-
dadori, 1997; C. Rovelli, Helgoland, cit.
FORSE DIO GIOCA A DADI?

scenza orizzontale» della meccanica quantistica e della fisica in


generale. «Orizzontale» in questo caso si riferisce all’orizzonte, la
linea di demarcazione tra la terra e il cielo. Con un breve excursus
letterario, possiamo riferirci alla «siepe» e all’«orizzonte» di Gia-
como Leopardi31.
Nell’Infinito è la siepe che esclude la visione di tanta parte
dell’orizzonte. Per la concezione classica, essa rappresenta ciò
che possiamo vedere e anche i limiti della nostra conoscenza,
che è imperfetta per quello che riguarda i dati iniziali e le leggi
della natura, e tale imperfezione ci impedisce di vedere l’oriz-
zonte. Quest’ultimo è lì, ma noi non possiamo averne esperien-
za, a causa della siepe. La concezione quantistica, invece, riesce
ad arrivare all’orizzonte stesso, che però è un limite invalicabile
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e che racchiude tutto il visibile. È un confine naturale, inevita-
bile e insormontabile, che nasconde ciò che è al di là. Il nostro
affanno conoscitivo è racchiuso all’interno di tale orizzonte32 , in
quanto la descrizione dei fenomeni fisici è esclusivamente pro-
babilistica, per la «relazione d’indeterminazione» e per il fatto
che la realtà fisica conoscibile è costituita soltanto da elementi
«osservabili» (e non dagli «oggetti» stessi): i fenomeni, infatti,
esistono in quanto osservati e in quanto entrano in relazione
con l’apparato di misurazione33.
Circa i limiti della conoscenza scientifica, siamo consapevoli
di non dire nulla di nuovo. Soprattutto le discipline teologiche
e filosofiche considerano la conoscenza scientifica tanto utile
quanto limitata e incompleta. Qui però vogliamo far notare due
cose. La prima è che sono gli scienziati stessi del XXI secolo
a riconoscere esplicitamente i limiti del sapere umano. I fisici
di oggi scorgono l’orizzonte e intuiscono che esso è necessario

31. Consideriamo la poesia Infinito di Leopardi, scritta nel 1819. Ecco i primi
versi: Sempre caro mi fu quest’ermo colle, / e questa siepe, che da tanta parte / dell’ultimo
orizzonte il guardo esclude.
32. Prima avevamo sconsigliato l’uso di immagini prese dal quotidiano per
descrivere fenomeni e/o paradossi quantistici; ora però non stiamo cercando di il-
lustrare una «bizzarria» quantistica attraverso una descrizione classica del mondo
conosciuto, ma piuttosto di fare un discorso epistemologico, ossia un discorso che si
concentra sulla natura stessa di ciò che conosciamo.
33. C. Rovelli, Helgoland, cit., 141.
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per la scienza, come l’orizzonte geografico è indispensabile per


il Pianeta. Questo limite è concepito dall’interno – è la scienza
stessa a descriverlo –, e non imposto dall’esterno da autorità di
natura politica o religiosa, che talvolta non comprendono le di-
namiche della ricerca scientifica.
La seconda cosa consiste nel riconoscere che l’orizzonte può
essere certamente spostato, ampliato, esteso – e come scienziati
siamo invitati a farlo –, ma la linea di demarcazione della nostra
stessa conoscenza è inevitabile e costituisce il fondamento del
nostro sapere. Inoltre, il limite suppone la presenza di qualcosa
che è al di là del campo visivo. Questo non coincide necessaria-
mente con l’accettazione di un Dio personale, ma sarebbe abba-
stanza ingiustificato irrigidirsi caparbiamente sull’idea che oltre
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«l’ultimo orizzonte escluso allo sguardo» non ci sia nulla.
Come abbiamo detto precedentemente, «i fenomeni esistono
in quanto osservati e in quanto entrano in relazione con l’apparato
di misurazione». Questa frase, attribuita a Bohr, viene riportata
da Rovelli34 nel suo libro Helgoland. Siamo d’accordo con questa
idea, sia da un punto di vista epistemologico (conoscitivo), onto-
logico (descrittivo del reale)35, sia da un punto di vista teologico.
L’impossibilità di distinguere il fenomeno dall’osservazione (spe-
rimentale o matematica) e il fatto che le proprietà delle particelle
si manifestano solo quando entrano in relazione con altre entità
sembrano eliminare l’esistenza di qualche cosa di oggettivo, che
sia autonomo o individuale. Con buona pace di Leibniz36, il fon-
damento del mondo non è costituito da monadi indipendenti e
isolate, bensì dalla relazione: la realtà stessa è relazionale.

34. Carlo Rovelli (Verona, 3 maggio 1956) è un fisico, saggista e accademico,


studioso di fisica teorica, che lavora attualmente al Centre de Physique Théorique de
Luminy, all’università di Aix-Marseille.
35. Sebbene a volte nei suoi libri Rovelli sembri negare il fatto che la fisica
debba essere associata a un qualche tipo di ontologia.
36. Gottfried Wilhelm von Leibniz (Lipsia, 1 luglio 1646 - Hannover, 14 no-
vembre 1716) è stato un filosofo, matematico, scienziato, logico, teologo, linguista,
diplomatico, giurista, storico, magistrato tedesco. Leibniz introduce le «monadi»
come «forme sostanziali dell’essere»: esse sono delle specie di «atomi» spirituali, eter-
ne, non scomponibili, individuali, che seguono leggi proprie e non interagiscono;
ognuna di esse riflette l’intero universo in un’armonia prestabilita.
FORSE DIO GIOCA A DADI?

La percezione teologica che vi intravediamo si discosta però


da quella di Rovelli, che vede la relazione come una negazione
della metafisica e una porta aperta a concezioni vicine a quelle del
pensiero orientale37. Va tenuto presente che il pensiero teologico
cristiano scorge proprio nella Trinità l’attuazione stessa della rela-
zione. La Trinità è relazione in se stessa, relazione con l’universo,
e relazione con tutti gli esseri viventi, senzienti o meno.
Questa concezione non dev’essere vista in contrapposizione
alla precedente. Non lo è, perché «la fisica informa, ma non ob-
bliga né imprigiona», e quindi pluralità di interpretazioni pos-
sono benissimo coesistere. Inoltre, il mistero dell’incarnazione
ci invita a percepire la presenza dello Spirito in molteplici real-
tà, invitandoci ad ampliare l’immagine della verità e a cogliere
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le sue multiformi manifestazioni, anche se presenti in posizioni
che ci appaiono distanti.
La meccanica quantistica apre a una concezione relazionale e
dinamica della realtà. La conoscenza, seria e attenta, della fisica
contemporanea ci invita quindi a un dialogo teologico ancora
più ricco e variegato di quello a cui siamo abituati.

37. Cfr C. Rovelli, Helgoland, cit., 144.

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