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LA LOTTA ALLA DEFORESTAZIONE: Come un’ecolabel certificata dalla Blockchain può

suscitare nel consumatore il Warm-Glow

INDICE

1. ABSTRACT 2
2. INTRODUZIONE: Perché la deforestazione è un problema? 2
3. LA NOSTRA PROPOSTA 5
4. LA BLOCKCHAIN 6
4.1 La blockchain applicata alla filiera produttiva 6
4.2 Casi di studio 7
4.3 Il Caso Carrefour 8
5. LE IMPLICAZIONI DI BEHAVIORAL ECONOMICS 9
5.1 L’Ecolabel 9
5.2 Il Warm-Glow suscitato dall’ecolabel 10
5.3 Self-Serving Information Avoidance 13
5.4 Testing della nostra ecolabel 14
6. REFERENCES 15
7. APPENDICE 18

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1. ABSTRACT
In questo studio, indaghiamo il problema della deforestazione e presentiamo come soluzione, in
termini di behavioral economics, l’apposizione di un’ecolabel sui prodotti che lungo la filiera
produttiva vengono controllati tramite il metodo innovativo della blockchain, in modo da indurre il
consumatore a provare un bagliore caldo o warm-glow, scaturito da scelte di acquisto sostenibili e
consapevoli.
Abbiamo pensato di associare ogni fase della filiera produttiva ad un blocco della blockchain. Per
passare da un blocco a quello successivo, e dunque da una fase all’altra della filiera produttiva,
l’azienda deve rispettare il patrimonio forestale. Solo se supera tutti i controlli, le verrà fornita
un’ecolabel, chiamata BC 4SDG15, ovvero Blockchain ForSDG15, in accordo con il Sustainable
Development Goal 15 dell’Agenda 2030. Tale ecolabel sarà apposta sul packaging dei prodotti in
modo che i consumatori sappiano che il processo produttivo è stato realizzato in modo sostenibile e
possano preferirli ad altri che non rispettano i requisiti ambientali.
La nostra proposta si basa sul fatto che il consumatore, acquistando un prodotto con la BC 4SDG15,
provi il cosiddetto warm-glow, una ricompensa emotiva a fronte di un’azione pro-sociale. Si tratta
della soddisfazione personale scaturita dalla partecipazione attiva ad una causa filantropica – nel
nostro caso la lotta contro la deforestazione.
Inoltre, la soluzione di apporre un’ecolabel sui packaging di prodotti realizzati senza impattare sul
patrimonio forestale può sopperire al problema del self-serving information avoidance, ovvero la
tendenza per la quale le persone preferiscono non informarsi, ma attuare scelte superficiali per
evitare ricerche approfondite e prolungate. Infatti, riconoscendo l’etichetta, che abbiamo realizzato,
con la dicitura apposta “Forest Appoved”, il consumatore non sentirà il bisogno di cercare altre
informazioni circa l’operato aziendale in termini di sostenibilità, in quanto risulta essere chiaro
l’impegno contro la deforestazione.
Infine, tali aspetti sono stati verificati tramite un questionario online sottoposto a 104 soggetti per
testare la nostra BC FSDG15. I risultati mostrano che l’etichetta è credibile e affidabile.

2. INTRODUZIONE: Perché la deforestazione è un problema?


Un argomento quotidianamente discusso è il cambiamento climatico, causa di eventi naturali
sempre più estremi e catastrofici. Tra i problemi più rilevanti all’interno di questo fenomeno vi è la
deforestazione, che a sua volta genera una molteplicità di conseguenze negative.
La diminuzione delle foreste coincide con l’accrescimento e l’espansione della popolazione umana:
attualmente sulla Terra sono presenti circa 3000 miliardi di alberi.
In Europa le foreste primarie, o vergini, e quindi non compromesse dall’attività antropica, sono
quasi totalmente assenti. Le foreste hanno, infatti, iniziato ad essere danneggiate sin dai tempi degli
Etruschi a scopi prettamente antropici. (Williams, 2001).

La deforestazione comporta una serie di conseguenze negative sotto molteplici aspetti: ambientali,
ma anche sociali ed economici.
Una delle possibili conseguenze tragiche è rappresentata dall’intensificarsi dell’effetto serra, il
quale va ad incidere ed alimentare il global heating: le foreste contrastano l’effetto serra, in quanto
ne riducono la concentrazione nell’atmosfera, tramite la fotosintesi clorofilliana. Invece, un albero
abbattuto cessa di svolgere la funzione di assorbimento dell’anidride carbonica, rilasciandola
nuovamente nell’atmosfera, danneggiandola.
La deforestazione causa anche l’aggravarsi del rischio idrogeologico, aumentando notevolmente la
presenza di frane e smottamenti del terreno e contribuendo a generare intense alluvioni. Secondo lo
studio internazionale guidato da Mara Baudena, dell'Istituto di Scienze dell'Atmosfera e del Clima
del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Torino (Cnr-Isac), pubblicato sulla rivista Global Change
Biology, la deforestazione potrebbe portare a una riduzione delle precipitazioni annuali del 55-70
per cento.
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Con la perdita del patrimonio forestale segue l’estinzione delle specie che lo abitano, le quali si
vedono private del loro ecosistema. La deforestazione sottrae terreni non solo agli animali, ma
anche agli esseri umani, che si vedono obbligati ad allontanarsi dalle loro terre. Questa dolorosa
separazione non è solo fisica ma anche esistenziale e spirituale, perché esiste una relazione con la
terra che sta mettendo la comunità rurale in palese decadenza e addirittura a rischio di estinzione
(Francesco, P. (2020). Viene a crearsi così il land grabbing, un fenomeno economico e geopolitico
che consiste nella compra-vendita di terreni deforestati, poi adibiti a discrezione degli acquirenti.
Tali terreni vengono per lo più destinati a monoculture, aggravando i problemi ambientali con la
perdita di biodiversità.
Inoltre, l’economia e cupidigia antropica di guadagno giocano un forte ruolo sulla deforestazione.
Le terre deforestate diventano oggetto di contratti di compra-vendita, stipulati per lo più tra aziende
e privati. Gli ultimi dati registrati nel 2021 sul database LAND MATRIX, iniziativa indipendente di
monitoraggio del territorio che promuove la trasparenza e la responsabilità nelle decisioni sulle
LSLA (acquisizione di territori su larga scala), mostrano che la cumulazione dei contratti di
acquisto o locazione di terra in corso di negoziazione, conclusi e falliti, ha raggiunto il numero di
1.073 per una dimensione totale di 17 milioni di ettari circa. La loro distribuzione regionale, che si
concentra soprattutto in Africa, non si è modificata rispetto a quella già descritta nel rapporto
FOCSIV del 2018.

Come si evince dal grafico che abbiamo creato, partendo dai dati proposti dal LAND MATRIX, il
continente maggiormente interessato dalla compra-vendita di terreni mediante accordi è tutt’ora
l’Africa.
Dalla letteratura indagata, inoltre, è emerso che nella Foresta Amazzonica vengono bruciate foreste
per far spazio ad allevamenti e a terreni ad uso agricolo intensivo (Ares et al., 2005) e la
deforestazione su terreni del Cerrado – ecoregione del Brasile, composta da savane e foreste – ha
rappresentato 489.602 ettari, pari al 66,7 per cento del totale della deforestazione nel 2020 (Garcia
et al., 2021).
Si può affermare, dunque, che la deforestazione è generata dall’attività antropica per scopi
puramente utilitaristici.

Sempre analizzando i dati proposti da LAND MATRIX, è possibile vedere come i terreni, e le
foreste in particolare, siano oggetto di contratto. Vi è dunque una mercificazione della terra e più in
particolare delle foreste. Sulla piattaforma viene mostrato come la deforestazione sia causata per lo
più da acquisizioni di terreni tramite acquisto, locazione o concessione per un'ampia gamma di usi
previsti: dalla produzione intensiva agricola, all'estrazione di legname e alla produzione di energia,
al commercio di carbonio, all'industria. Selezionando le intenzioni di investimento a noi utili per la
stesura della ricerca – tutte strettamente correlate al fattore deforestazione -, si evince che le
porzioni più ampie di terreni venduti siano destinate alla deforestazione per scopi di mercato.

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Per risanare il problema è, allora, necessario andare ad incidere su quelli che sono i comportamenti
umani, che possono essere prevenuti o corretti mediante soluzioni pratiche.
È stato proposto dalla Corte Penale Internazionale che l’ecocidio debba essere riconosciuto come
crimine, poiché comporta un danno per l’uomo, per l’ambiente e per gli ecosistemi circostanti.
L’ecocidio “indica atti illegali o sconsiderati compiuti con la consapevolezza di una significativa
probabilità che tali atti causino danni all’ambiente gravi e diffusi o di lungo termine”, nello statuto
della Corte Penale Internazionale. Inoltre, l’ecocidio è il risultato dell’azione umana che potrebbe
essere prevenuto, impedito, eliminato prima del suo verificarsi. In tal senso bisognerebbe
concentrarsi sulla prevenzione dei danni più che sulla colpa per evitare che si verifichino
problematiche irreversibili e, quindi, sì punibili, ma non irrimediabili (Fronza, 2021). In
conclusione, si può riconoscere che per salvare le foreste dalla deforestazione, sia necessario un
impegno unanime, che coinvolga tutti i settori della produzione e implementi un approccio olistico.

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile propone una serie di obiettivi il cui conseguimento è
sperato entro il 2030. È un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto
nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Quest’ultima ingloba 17 Obiettivi
per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – in un grande programma
d’azione per un totale di 169 target o traguardi (Nazioni Unite). In particolare, il goal per il quale ci
proponiamo di fornire una possibile soluzione è il 15: “proteggere, ripristinare e favorire un uso
sostenibile dell’ecosistema terrestre”.
Infatti, come si legge sul portale ufficiale delle Nazioni Unite, “le foreste coprono il 30% della
superficie terrestre e, oltre a offrire cibo sicuro e riparo, esse sono essenziali per il contrasto al
cambiamento climatico, e la protezione della biodiversità e delle dimore delle popolazioni indigene.
Tredici milioni di ettari di foreste vanno perse ogni anno, mentre il persistente deterioramento dei
terreni ha portato alla desertificazione di 3,6 miliardi di ettari. La deforestazione e la
desertificazione – causate dalle attività dell’uomo e dal cambiamento climatico – pongono sfide
considerevoli in termini di sviluppo sostenibile, e hanno condizionato le vite e i mezzi di
sostentamento di milioni di persone che lottano contro la povertà. Si stanno compiendo molti sforzi
per gestire le foreste e combattere la desertificazione.”
È fortemente necessario agire e implementare soluzioni affinché il perseguimento del goal 15 venga
conseguito e il problema della deforestazione venga arginato. Per tale motivo abbiamo sviluppato la
nostra possibile soluzione, che parte da un’analisi accurata delle problematiche appena descritte e
da un conseguente studio di quelle che sono le circostanze in cui è immerso il problema.

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3. LA NOSTRA PROPOSTA
Per fronteggiare il problema della deforestazione, presentiamo come soluzione l’apposizione di
un’etichetta ambientale sui prodotti che lungo la filiera produttiva vengono controllati tramite il
metodo innovativo della blockchain, in modo da indurre il consumatore a provare il cosiddetto
warm-glow o bagliore caldo, scaturito da un consumo sostenibile e consapevole.
Abbiamo ritenuto necessaria l’introduzione di un’ecolabel quale bollino di garanzia, riportante
informazioni circa la quantificazione degli impatti ambientali associati al ciclo di vita del prodotto.
Tale ecolabel potrà essere apposta esclusivamente se rispetterà il Sustainable Development Goal
numero 15, il quale si propone di proteggere, ripristinare e promuovere l'uso sostenibile degli
ecosistemi terrestri, con particolare attenzione per le foreste. La credibilità è assicurata attraverso
l’attività di verifica e convalida mediante la blockchain.

La blockchain è una sottofamiglia di tecnologie, o più precisamente, un insieme di tecnologie,


formata da un registro costituito da una catena di blocchi contenenti transazioni. Per passare da un
blocco all’altro vi deve essere un consenso, ovvero una validazione accurata.
Tramite questa innovativa tecnologia è possibile garantire la tutela dell’ambiente, nel nostro caso
del patrimonio forestale, durante il processo di produzione e distribuzione di un determinato
prodotto. Un esempio pratico europeo di applicazione della blockchain nell’ambito della GDO
(Grande Distribuzione Organizzata) è il caso Carrefour, studiato all’interno del paper The rise of
blockchain technology in agriculture and food supply chains di Andreas Kamilarisa, Agusti Fontsa
e Francesc X. Prenafeta-Boldύa, in cui si riporta l’impegno dell’azienda ad utilizzare la blockchain
per verificare gli standard e tracciare le origini degli alimenti in varie categorie, comprendenti
carne, pesce, frutta, verdura e prodotti lattiero-caseari.

Per verificare l’operato dell’azienda contro la deforestazione ogni blocco della blockchain, che
costituisce una fase della filiera produttiva, deve essere validato. Quindi, per passare al blocco
successivo, l’azienda deve ricevere un sigillo di garanzia, dimostrante il rispetto del patrimonio
forestale durante la specifica fase produttiva o distributiva.
Una volta superati tutti i controlli, al fine di garantire un processo produttivo etico, si fornisce
l’ecolabel alle aziende. Grazie a tale ecolabel, denominata BC 4SDG15 e apposta sul packaging dei
prodotti, il consumatore è consapevole delle pratiche sostenibili adottate dall’azienda.
Quest’ultimo, allora, sarà maggiormente interessato ad acquistare tali prodotti controllati, poiché si
sentirà parte della comunità, effettuando un’azione pro-sociale, che gli provocherà una sensazione
di calore.
La warm-glow giving è una teoria economica che descrive la ricompensa emotiva del dare agli altri.
Secondo il modello originale di warm-glow sviluppato da James Andreoni nel paper Giving with
Impure Altruism: Applications to Charity and Ricardian Equivalence, le persone provano un senso
di gioia e soddisfazione nel “fare la loro parte” per aiutare gli altri. Questa soddisfazione – o
“bagliore caldo” – rappresenta il piacere egoistico derivato dal fare del bene, indipendentemente
dall'impatto effettivo della propria generosità. All'interno della struttura del bagliore caldo, tali
persone vengono individuate come “impuramente altruiste”, nel senso che mantengono
simultaneamente motivazioni altruistiche ed egoistiche per dare.
A supporto del warm-glow scaturito dall’acquisto di un green product vi è la letteratura, tra cui il
paper The Greenconsumption Effect: How Using Green Products Improves Consumption
Experience di Ali Tezer e H. Onur Bodur, che dimostra che quando un consumatore effettua un
acquisto di un prodotto sostenibile, quest’ultimo prova una doppia sensazione di piacere: la prima
provocata dall’acquisto in sé, mentre la seconda dalla sensazione scaturita dalla natura ecologica
dell’acquisto.

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Inoltre, l’immediatezza della nostra ecolabel, generata da colori verdi e dalla dicitura “Forest
Approved”, che richiamano la sostenibilità e la cura del patrimonio terrestre, la presenza della
foresta e la freccia a simbolo della blockchain, permetterà ai consumatori di non spendere tempo
nella ricerca di informazioni aggiuntive, andando così a limitare il fenomeno del self-serving
information avoidance, ovvero l’elusione egoistica di informazioni per perseguire scopi personali e
utilitaristici.

4. LA BLOCKCHAIN
4.1 La Blockchain applicata alla filiera produttiva
Al giorno d’oggi, la blockchain è una tecnologia che sta divenendo sempre più famosa e diffusa, ma
la sua celebrità è ancora circoscritta all’ambito finanziario. Non molti sanno che può essere
applicata ad una moltitudine di progetti. Effettivamente, identificare la blockchain con i Bitcoin, la
più famosa delle criptovalute, è un errore, perché la catena dei blocchi si presta a infinite
applicazioni.
Infatti, l'applicazione della blockchain al monitoraggio delle transazioni che riguardano gli alimenti
può annullare una delle problematiche che sta alla base di queste attività: la fiducia. Non è
necessario conoscere o avere rapporti con i referenti con cui si sta trattando o ai quali vengono
richieste informazioni, ma ci si affida agli algoritmi, su cui si basa la blockchain, che sono
particolarmente difficili da alterare.

Uno degli aspetti più innovativi del momento è l’utilizzo della blockchain nelle grandi istituzioni
che si occupano di sicurezza alimentare. Tramite la blockchain le aziende alimentari potrebbero
risolvere il problema della certificazione dell’integrità di dati sanitari e tecnologici di
accompagnamento dei cibi. Non è possibile fare affidamento solo alla buona fede di chi descrive le
condizioni merceologiche di un alimento di origine animale o vegetale, perciò, uno strumento
universalmente riconosciuto per dimostrare l’autenticità dei processi, quale è la blockchain,
potrebbe alleggerire molto la burocrazia e velocizzare il lavoro di controllo (Bonini, 2019). Sarebbe
possibile anche verificare chi ha i diritti di accesso a tali informazioni e assicurare che non vi siano
state modifiche o falsificazioni. Infatti, una blockchain è in grado di memorizzare tutte le
caratteristiche dei prodotti scambiati, come il Paese di origine, il produttore, la località specifica di
coltivazione e allevamento. Grazie a ciò, si possono svolgere verifiche sull’effettiva provenienza e
composizione dei prodotti.

Inoltre, i motivi per cui la blockchain si rivela una tecnologia fondamentale per il settore alimentare
coincidono con i quattro pilastri di quest’ultima, cioè:
 Decentralizzazione: in una blockchain, più nodi conservano una copia degli stessi dati,
eliminando il rischio che un errore in un singolo punto possa danneggiare l’intera rete.
Questa è una differenza fondamentale tra una rete blockchain ed un’autorità centralizzata di
dati.
 Immutabilità: utilizzando hash crittografici e crittografia, i dati vengono scritti sulla
blockchain in modo tale da non essere alterati senza rilevamento. Ciò non solo aumenta la
fiducia nei dati stessi, ma incentiva anche tutte le parti interessate ad inserirli sulla
blockchain per garantire la loro accuratezza.
 Consenso: per scrivere dati sulla blockchain è necessario il consenso di tutte le parti
coinvolte in una transazione. Ciò garantisce che il controllo della rete non avvenga da un
singolo soggetto, ma da tutti i partecipanti.
 Democraticità: la governance della blockchain può essere implementata e applicata in modo
democratico e trasparente, per cui un gruppo eterogeneo di parti interessate che partecipano
alla rete blockchain ha pari voce su questioni come la proprietà dei dati, i diritti, la
condivisione dei dati e la loro protezione. Inoltre, a differenza di un'autorità di governo
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centrale che beneficia delle intuizioni, tutti i partecipanti a un sistema blockchain possono
diventare più intelligenti insieme, creando così quello che chiamiamo valore condiviso.
Tali fondamentali caratteristiche della tecnologia blockchain rispondono perfettamente alle
indicazioni dell’accordo di Parigi e possono aiutare a creare un mondo in linea con i 17 Obiettivi di
Sviluppo Sostenibile definiti dalle Nazioni Unite. Dal momento che queste tecnologie sono in grado
di tracciare in modo efficiente e trasparente qualsiasi tipo di dato collezionato, potrebbero garantire
il pari impegno delle diverse nazioni a rispettare le regole internazionali dell’accordo di Parigi,
facendo sì che si giunga a una cooperazione internazionale, introducendo una nuova forma di
creazione condivisa di valore in cui una rete di attori concorda su un obiettivo specifico.
Migliorare la sostenibilità della catena di approvvigionamento è una parte essenziale per le aziende
di tutto il mondo; la digitalizzazione, come la tecnologia blockchain, mostra il potenziale per
rimodellare la gestione di tale catena. La piattaforma blockchain fornisce un sistema digitale e un
database per registrare le transazioni lungo la catena di approvvigionamento. Questo database
decentralizzato delle transazioni porta trasparenza, affidabilità, tracciabilità ed efficienza
(Subramanian, Chaudhuri, Kayikci 2020).

Mediante il supporto di tale tecnologia innovativa, il consumatore può controllare il prodotto che si
accinge ad acquistare, in termini di qualità, provenienza e produzione, verificando che quanto
dichiarato dalle aziende produttrici corrisponda al vero.
Infatti, c’è un crescente interesse mondiale dei consumatori nei confronti delle informazioni circa il
processo distributivo e produttivo dei prodotti che vogliono acquistare: il 74% dichiara di essere
interessato alla ricerca di informazioni sulla tracciabilità e il 60% controlla le etichette dei prodotti.
Inoltre, nove consumatori su dieci hanno affermato che vorrebbero saperne di più sui prodotti e sui
loro criteri di certificazione e oltre il 70% sarebbe disposto a pagare un prezzo più alto se ci fosse
una garanzia di trasparenza e provenienza (Amelia Tomasicchio, Cointelegraph, 16 aprile 2017).

4.2 Casi di studio


Esistono molte aziende diverse tra loro che hanno deciso di adottare la tecnologia blockchain, una
di queste è Crea, un ente vigilato dal Ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali e
dedicato alla ricerca in ambito agroalimentare, che ha adottato soluzioni blockchain di Microsoft
per sviluppare un’applicazione per la tracciabilità del legno da parte del consumatore. È stata
simulata l’intera catena di approvvigionamento forestale, a partire dagli alberi piantati fino al
prodotto finale, passando attraverso il processo di taglio dell’albero e la lavorazione in segheria.
Per quanto concerne l’ambito alimentare, ci sono numerosi altri casi di applicazione della
blockchain, come Barilla, che ha sviluppato un progetto pilota che sfrutta tale tecnologia per
garantire la provenienza, la qualità dei prodotti e delle materie prime, dal campo alla tavola, e
Consorzio Arance rosse di Sicilia, che la utilizza per sventare frodi alimentari. Quest’azienda vuole
far riconoscere ai consumatori l’origine e la genuinità dell’agrume con una semplice scansione da
smartphone del bollino Igp presente su ogni cassetta o retina di arance. In questo modo è possibile
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verificare il campo di produzione, la data del raccolto, le modalità di conservazione e distribuzione
del loro prodotto. (Federico Morgantini, 2019).
Una startup italiana degna di nota per la sua innovatività è “Wine Blockchain EY”, un nuovo
progetto per proteggere la credibilità del “Made in Italy”, in questo caso nell’ambito dei vini. EY ha
creato la Wine Blockchain con l’obiettivo di certificare e comunicare la qualità e l’origine
geografica dei vini italiani. Grazie alla partnership tra EY ed EzLab, la Wine Blockchain è nata per
certificare la tracciabilità dell’intera produzione del vino, permettendo di garantire qualità,
provenienza e produzione. Il primo vino ad essere stato certificato dalla blockchain è stato un
Falanghina prodotto dalla cantina Volpone originaria della Puglia. Questa “carta d'identità digitale”
è un'occasione per contrastare il dumping dei prezzi da parte di prodotti esteri o “falsi italiani” e per
creare una modalità di riconoscimento e promozione dei vini Made in Italy.
Wine Blockchain utilizza uno “Smart Contract” costruito sulla Blockchain di Ethereum. Questo
Smart Contract contiene tutte le informazioni che sono state raccolte durante il processo di
produzione.
Infine, sono molteplici i progetti che coinvolgono i cittadini italiani a comprendere meglio il
funzionamento concreto della blockchain e le ricadute positive in termini di sostenibilità. Nel
Comune di Ginosa (TA) ha preso il via il progetto EcoCoin, promosso in collaborazione con
Affidaty, fornitore di soluzioni tecnologiche basate sulla blockchain. L’EcoCoin è una moneta
complementare che premierà i comportamenti virtuosi dei cittadini – in questo caso il corretto
riciclo dei rifiuti - con un beneficio concreto e un esempio di approccio alle logiche di economia
circolare. L’EcoCoin sarà spendibile sul territorio comunale, nelle attività commerciali
convenzionate, e sarà erogata direttamente nei wallet dei cittadini tramite un’applicazione da
scaricare sullo smartphone.

4.3 Il caso Carrefour


Quello di Carrefour è il caso più eclatante di applicazione della blockchain al tracciamento della
provenienza di un prodotto nell’ambito della GDO.
“Loro l’hanno fatto!”, titolava la rivista Business Week, il giorno dopo il lancio della blockchain
alimentare di Carrefour nel 2017.
Purtroppo, negli ultimi anni, diversi scandali sulla salute hanno scosso la fiducia dei consumatori.
Per questo motivo l’azienda si è chiesta come rassicurarli sull'origine e sulla tracciabilità del cibo
che acquistano. Si è pensato, dunque, alla blockchain: Carrefour ha pensato di usarla, applicandola
alle sue Filiere di Qualità, in modo da garantire ai consumatori tracciabilità, trasparenza e fiducia.
Pertanto, come prima analisi, l’azienda ha deciso di testare il progetto con il pollo contadino di
Auvergne e per fare ciò ha utilizzato Ethereum, una tecnologia blockchain che viene ritenuta molto
affidabile. Ethereum è in grado di codificare i dati controllati da organizzazioni indipendenti e di
renderli non falsificabili. Dopo alcuni mesi di lavoro, è stata firmata una carta tra tutti i partner della
Filiera Qualità del pollo di Auvergne e sono stati condotti test tecnici che si sono dimostrati
probanti.
Così, Carrefour ha lanciato la prima blockchain alimentare operativa d’Europa, che consente ai
consumatori di verificare l’origine del pollo tramite un QR posizionato sulla confezione
dell’alimento (Subramanian, Chaudhuri, Kayikci, 2020).

Per verificare quanto detto ci siamo recati presso un Carrefour (Carrefour Napoli C.so Europa) ed
abbiamo effettivamente trovato il prodotto descritto, come evidenziato in foto:

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Attualmente Carrefour ha lanciato l’uso della blockchain a 20 articoli tra cui uova, latte, agrumi,
maiale e formaggio e aggiungerà altro in futuro con un focus sulle aree in cui i consumatori
vogliono rassicurazione, come i prodotti per bambini e biologici. I clienti possono, dunque,
scansionare un codice a barre QR posto su un pompelmo con il loro telefono e scoprire la data di
raccolta, il luogo di coltivazione, il proprietario del terreno, quando è stato imballato, quanto tempo
ci è voluto per il trasporto in Europa e consigli su come prepararlo (Thomasson, 2019). L'uso di
blockchain per condividere le informazioni sui prodotti con i clienti ha portato a vendite più veloci
di pompelmo e pollo per Carrefour. La condivisione di tali informazioni sta anche aiutando
l’azienda a ottenere la fiducia dei clienti.

5. LE IMPLICAZIONI DI BEHAVIORAL ECONOMICS


5.1 L’Ecolabel
L’acquisto di prodotti con l'etichetta ecologica è funzionale a risolvere i problemi ambientali
(Thogersen, 2000). L’ecolabel, infatti, viene utilizzata per assicurare ai consumatori che i prodotti
sono stati fabbricati in modo ecologico, in modo tale da renderli più propensi a fidarsi e ad
acquistare prodotti sostenibili e green disponibili nelle principali catene di vendita al dettaglio.
Infatti, il consumo non serve solo a bisogni individualistici, ma anche sociali (Janssen, M. A., &
Jager, W., 2002) e avviene in un certo contesto istituzionale – basti pensare al programma
precedentemente citato, previsto dall’Agenda 2030.
L'obiettivo dei diversi programmi nazionali e sovranazionali di etichettatura ecologica è di
incoraggiare i consumatori a scegliere i prodotti meno dannosi per l'ambiente. È chiaro che il
coinvolgimento degli utenti a prodotti e servizi etichettati è essenziale per l'instaurazione di modelli
di consumo sostenibili; per questo motivo, l'ecolabelling deve necessariamente limitare i rischi di
incertezza.

I marchi ecologici agiscono come un processo di certificazione che assegna un simbolo o un sigillo
ad un’azienda, una volta che un prodotto è stato ritenuto ecologicamente sicuro. (Hassan,
Vandermerwe,1994). Spesso questi vengono confusi con i regolamenti. I regolamenti, infatti,
influenzano il comportamento o le azioni delle imprese, mentre l’ecolabel è progettata non solo per
l’azienda rispettosa dell'ambiente, ma anche per incentivare i consumatori ad acquistare prodotti
sostenibili. Inoltre, gli effetti del marchio di qualità ecologica sono più profondi per le imprese in
quanto hanno la responsabilità di formulare prodotti che devono competere sul mercato non solo in
base a quantità e prezzo, ma anche a caratteristiche ambientali (EPA, 1998).

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Tali etichette possono implementare le vendite e/o l'immagine del prodotto, nonché aiutare le
aziende a migliorare le prestazioni ambientali in generale. Per le aziende che hanno incorporato
l'idea di essere ecologicamente responsabili, integrando valori personali, preoccupazioni sociali e
ambientali con decisioni di investimento, sono utili per esprimere il proprio operato. Poiché il
marchio di qualità ecologica aiuta a giustificare le affermazioni aziendali sulla responsabilità
ambientale, deve essere autenticato al pubblico che tali marchi abbiano una verifica indipendente
(Muska, A. (1998).
Rispetto alla nostra etichetta ambientale, il plus deriva dal fatto che la veridicità del controllo sulla
sostenibilità adottata dall’azienda nella filiera produttiva risiede nel metodo innovativo della
blockchain.

Di conseguenza, poiché l'etichettatura ambientale implica la trasmissione di segni, codici e simboli


costantemente decodificati dai consumatori che effettuano scelte rilevanti e riflettono su tali scelte
all'interno della propria mentalità, è possibile suggerire che le etichette ambientali possono
provocare comportamenti di acquisto sostenibile. La percezione delle etichette ambientali è
fondamentale come strumento promozionale nelle scelte dei consumatori; quindi, per essere
efficace deve essere accurata. I consumatori devono comprendere le informazioni pertinenti che non
devono essere fuorvianti.
Di seguito riportiamo la nostra etichetta ambientale, la quale presenta tre elementi importanti:
 La foresta, simbolo della lotta contro la deforestazione;
 La dicitura “Forest Approved” per far comprendere immediatamente al consumatore che il
prodotto è stato realizzato non impattando sul patrimonio forestale;
 La freccia, simbolo della continuità del controllo lungo la filiera produttiva tramite la
blockchain.
I colori utilizzati dalle tonalità verdi e marroni esprimono la sostenibilità dell’azienda nella
realizzazione dei prodotti.

5.2 Il warm-glow suscitato dall’ecolabel


Cosa motiva gli individui a contribuire volontariamente ad attività di beneficenza o a sostenere il
bene pubblico dai quali non traggono alcun beneficio diretto? Ad un estremo, i donatori possono
essere puri altruisti, motivati unicamente dal raggiungimento del benessere dei destinatari della loro
generosità.  All'altro estremo, i donatori possono ricevere utilità non tanto dal fatto che altre persone
ne traggono vantaggio, piuttosto dall'atto stesso del donare.
Tali individui, che effettuano una donazione spinti da “caldo bagliore” (Andreoni, 1989, Andreoni,
1990), scaturito da una motivazione egoistica e altruistica allo stesso tempo, vengono denominati
altruisti impuri.

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Attingendo al modello di Andreoni di un altruista impuro (Andreoni, J. (1990), la funzione di utilità
è data da:

dove xi=i è il consumo del bene privato; 


G−i=contributi al bene pubblico di tutti tranne gli individui i; 
gi=contributo dell'individuo i al bene pubblico. 
Il donatore i riceve l'utilità sia dal livello del bene pubblico sia per l'atto di donare. 

Per gli altruisti puri, la funzione di utilità si riduce a:

G−i  e gi sono sostituti perfetti: un dollaro in più di donazione da parte di qualsiasi altro donatore
eliminerà un dollaro di donazione da parte di un individuo i . 
Un puro altruista si preoccupa solo del livello del bene pubblico, non di come viene
finanziato. Donerà solo se aumenterà il livello di G (=G−i+gi). Ciò implica che se G è fisso, un
altruista puro non ha alcun incentivo a donare.  
  
Per un egoista puro, la funzione di utilità si riduce a:

L'utilità non dipende dal livello del bene pubblico o dai contributi di altri. Quindi l'aumento o la
diminuzione del dare da parte degli altri non ha alcun effetto sul dare dell'individuo.
Per un puro egoista, donare equivale ad acquistare un bene puramente privato. Ciò implica che,
anche se la sua donazione eliminasse quella da parte di altri, lui donerebbe comunque. Per un
altruista impuro, motivato sia dall'altruismo che dal warm-glow, la motivazione del bagliore caldo
risulterà comunque nel dare anche di fronte al completo affollamento. 

Il warm-glow è l’insieme dei benefici privati che le persone ricevono, tra cui l'autocompiacimento,
per aver fatto la loro parte.
Gran parte della ricerca che fa avanzare il modello di warm-glow giving è venuta dalla psicologia,
in particolare dalle analisi della motivazione intrinseca (Evren, Minardi, (2017). Infatti, molti
ricercatori si concentrano su come dare agli altri abbia una spinta intrinseca, a causa dei benefici
emotivi privati associati ai comportamenti di donazione (van der Linden, 2015). Clark et al. (2003)
definiscono il warm-glow come la soddisfazione personale derivante da un'attività indipendente dal
suo impatto. Sebbene De Young (1996) non usi il termine warm-glow, l’aspetto indagato è simile
alla soddisfazione intrinseca che un individuo gode dall'essere attivamente coinvolto in un'attività.
Egli afferma che, nonostante alcune forme di comportamento portino appagamento personale e
possano concentrarsi su questioni al di fuori del sé, tuttavia il “meccanismo prossimo è l'interesse
personale” (De Young, R. (2000), p. 516). De Young (1996) sostiene che è la motivazione
intrinseca, piuttosto che estrinseca, la motivazione primaria ad agire in un modo particolare e ha un
effetto a lungo termine sul comportamento.
Tuttavia, altri autori hanno anche riconosciuto che possono essere in gioco ricompense estrinseche,
come l'indicazione del prestigio e l'ottenimento del riconoscimento a fronte della donazione (Elster,
J. (2011).

La ricerca sul bagliore caldo è stata avviata per la prima volta nel tentativo di sfidare la convinzione
che il puro altruismo - in altre parole, le buone azioni disinteressate - esista (Andreoni 1989,
Andreoni 1990). La gente sente caldo bagliore all'esecuzione di un comportamento pro-sociale,
come donare ad un ente di beneficenza (Andreoni, 1989, Andreoni, 1990), spendere soldi per altri o
l'acquisto di un prodotto sostenibile.

11
Alcuni contributi dalla letteratura hanno avuto la tendenza a collegare le norme pro-sociali e il
bagliore caldo insieme. Halvorsen (2008) presuppone che il bagliore caldo derivi dall'adesione alle
norme sociali e morali in modo che siano inseparabili. Brekke et al. (2003) identificano il warm-
glow con un'immagine di sé positiva e l'immagine di sé dipende dal grado in cui gli individui
credono che il loro comportamento sia socialmente responsabile. Il punto di riferimento per un
comportamento socialmente responsabile è un ideale morale, determinato in modo endogeno
dall'individuo come quello sforzo che massimizza il benessere sociale se tutti agissero come lui. In
Brekke et al. (2007), Brekke et al. (2010) e Bruvoll e Nyborg (2004), invece, il punto di riferimento
è una norma sociale piuttosto che morale e quindi un'immagine di sé positiva o un bagliore caldo
dipende dal divario tra il livello di benessere scaturito dall’azione pro-sociale e la norma sociale. In
Brekke et al. (2007), Brekke et al. (2010), inoltre, l'esistenza e il riconoscimento di una norma
sociale possono imporre un onere all'individuo. Quindi, sebbene l'aumento del benessere sociale
aumenti il warm-glow sulla falsariga di Andreoni (1990), un aumento della responsabilità percepita
lo diminuisce. Pertanto, se questa responsabilità percepita, come riflessa nella norma sociale, viene
mantenuta fissa, allora “l'orientamento al dovere è indistinguibile dal punto di vista
comportamentale da un modello con warm-glow” (Brekke et al., 2010, p. 766).

Ricerche recenti dimostrano che il comportamento pro-ambientale porta a sentimenti di calore


(Giebelhausen et al. 2016; Taufik et al. 2015). Ad esempio, Taufik et al. (2015) scoprono che le
persone che apprendono di essere più rispettose dell'ambiente rispetto ai loro coetanei sentono una
calda luce. Allo stesso modo, Giebelhausen et al. (2016) individuano anche che i consumatori che
partecipano a un programma di volontariato di un fornitore di servizi provano una sensazione di
calore. Tali autori scoprono, inoltre, che i consumatori che partecipano a un'iniziativa ecologica (ad
es. un programma di riutilizzo degli asciugamani) sentono un calore e riportano livelli più elevati di
soddisfazione per il servizio.

Un aspetto comune della ricerca sulla luce calda è che le persone decidono deliberatamente di
impegnarsi in un comportamento pro-sociale (ad esempio, donare a un ente di beneficenza,
acquistare un prodotto collegato a cause sociali, partecipare a un'iniziativa verde).
Decidiamo di applicare tale valutazione alla nostra soluzione per fronteggiare il problema della
deforestazione.
Il consumatore, trovandosi ad acquistare prodotti con l’ecolabel precedentemente mostrata, apposta
sul packaging, è consapevole delle pratiche sostenibili adottate dall’azienda e controllate con il
metodo innovativo della blockchain. Egli, allora, vedendo l’ecolabel BC 4SDG15, certificante il
rispetto del patrimonio forestale, effettuerà l’acquisto di tale prodotto e non di un altro, spinto dal
warm-glow. Questa previsione è in linea con la teoria sviluppata da Andreoni e la ricerca che ne è
seguita (Andrews et al. 2014; Taufik et al. 2015), perché è fare una buona azione che porta a sentire
una calda luce – nel nostro caso l’acquisto di un prodotto con ecolabel dimostrante che durante la
filiera produttiva non vi siano stati impatti alla biodiversità.

Tali prodotti con l’ecolabel BC 4SDG15 devono essere definiti come “beni pubblici impuri” perché
producono benefici sia pubblici che privati (Cornes & Sandler, 1996; Ferraro, Uchida, & Conrad,
2005; Kotchen, 2006). Sono costituiti da un bene privato, come il piacere scaturito dal consumo,
congiuntamente con un bene pubblico, come la tutela della biodiversità. I marchi di qualità
ecologica possono fare appello ai valori altruistici dei consumatori attenti all'ambiente che
desiderano promuovere la produzione sostenibile. I clienti altruisti impuri potrebbero voler
acquistare prodotti con marchio di qualità ecologica in sostituzione delle donazioni a
un'organizzazione ambientale (Kotchen, 2005), ricevendo una buona sensazione o un “bagliore
caldo”, generato dall'impegnarsi in attività rispettose dell'ambiente che contribuiscono al bene
pubblico (Andreoni, 1990). È stato dimostrato che tale caloroso altruismo è un motivatore
significativo dell'eco-consumo tra i consumatori attenti all'ambiente (Clarke et al. 2003, Kotchen et
12
al., 2007, Kahn et al., 2009). Kotchen et al., 2005 e Delmas et al., 2015 ipotizzano che i
consumatori più attenti all'ambiente preferiranno i prodotti con marchio di qualità ecologica a
prodotti senza marchio di qualità ecologica, in linea con la nostra proposta.

5.3 Self-Serving Information Avoidance


La mancanza di opportunità di praticare un comportamento pro-ambiente (ad esempio, accesso ai
contenitori per il riciclaggio, disponibilità di opzioni verdi ai prodotti convenzionali) e la mancanza
di informazioni affidabili e complete sugli standard che un prodotto deve soddisfare per essere
accettato come green, rappresentano anche un ostacolo all'adozione di un effettivo comportamento
sostenibile. Peattie (2010) identifica quelle che sono le norme sociali dominanti – “comportamenti
che consideriamo moralmente giusti o che dovrebbero essere fatti” (Peattie (2010). Per questo
motivo, una possibile soluzione comportamentale al problema della deforestazione e ciò che questa
comporta, potrebbe essere rappresentata dall’apposizione di etichette ambientali, che rappresentino
una garanzia nel processo produttivo.
Un aspetto importante della behavioral economics che verrebbe circoscritto con la presente
soluzione sarebbe il self-serving information avoidance, il quale può sorgere nel momento in cui le
persone preferiscono non informarsi profondamente, ma attuare scelte superficiali per evitare
ricerche approfondite e prolungate. Rimanere volontariamente disinformati fornisce una
giustificazione per i consumatori ad agire nel loro stretto interesse personale senza soffrire di sensi
di colpa o di un'immagine negativa di sé. (Momsen et al., 2019).
Secondo Peattie, inoltre, la norma sociale “green” non è ancora abbastanza forte e i consumatori
provano poco o nessun disagio per la mancata corrispondenza tra i loro atteggiamenti, orientati alla
ricerca di informazione, e i loro comportamenti, che invece la disincentivano. (Kostadinova, 2016).
La conseguenza più generale e ovvia dell'elusione delle informazioni è che priva le persone di
informazioni potenzialmente utili che potrebbero essere utilizzate per migliorare il processo
decisionale.
L'analisi economica standard del processo decisionale sostiene che l'informazione è preziosa nella
misura, e solo nella misura in cui, porta a decisioni migliori. Un'implicazione diretta è che le
informazioni valide non dovrebbero mai essere evitate attivamente, tranne che per le situazioni in
cui l'ignoranza conferisce un vantaggio strategico.

I consumatori devono anche prendere in considerazione l'affidabilità delle fonti di informazione


quando confrontano diversi prodotti. Esiste una pronunciata tendenza umana a non usare tutte le
informazioni disponibili sulle conseguenze di una decisione, anche se le informazioni sono
accessibili senza costi. Come è stato sottolineato per la prima volta da Festinger (1957) nella sua
teoria della dissonanza cognitiva, le persone tendono ad evitare le informazioni che potrebbero
essere incongruenti con i loro atteggiamenti consolidati, mentre cercano in modo sproporzionato le
notizie che sono congruenti: una tendenza che viene indicata come esposizione selettiva delle
informazioni. (Momsen, Ohndorf, 2021). In questi casi, evitare del tutto l'informazione servirebbe
come scusa per scegliere le opzioni più economiche rispetto ai prodotti con etichetta ecologica, il
che fornisce una spiegazione alla persistente domanda di prodotti associati al “green-washing”
piuttosto che di prodotti associati a reali benefici ambientali (Momsen & Ohndorf, 2020b). Per
risolvere il problema dell'evitamento dell'informazione da parte del consumatore, potrebbero essere
necessari ulteriori strumenti (Kanay, 2021).
Abbiamo, dunque, ritenuto necessaria l’introduzione di un’ecolabel quale bollino di garanzia, che
riporti informazioni basate su parametri stabiliti contenenti una quantificazione degli impatti
ambientali associati al ciclo di vita del prodotto. In particolar modo il bollino verrà apposto al
prodotto solamente in seguito ad un controllo certificato tramite il metodo della blockchain. In
questo modo i consumatori saranno certi che ciò che consumano possa definirsi un prodotto green e
sostenibile, che tuteli gli alberi e fronteggi la loro eliminazione. L’immediatezza del bollino di
13
garanzia permetterà ai consumatori di non spendere tempo nella ricerca di informazioni, andando
così a limitare quello che è il self-serving information avoidance. In più non solo la ricerca di
informazioni cesserebbe, ma anche il fenomeno del green washing verrebbe circoscritto.

5.4 Testing della nostra ecolabel


Per testare se la scelta della nostra ecolabel possa essere un chiaro riferimento per i consumatori,
tale da esprimere che il prodotto da acquistare è stato realizzato senza impattare sul patrimonio
forestale, abbiamo deciso di lanciare un questionario, il quale è stato sottoposto a 104 soggetti
tramite il metodo del convenience sampling. Il campione ha in media 34 anni, con 47.12% donne,
46.15% uomini, 3.8% binari/appartenenti al terzo genere e 2.88% che hanno preferito non
rispondere (vedi Appendice). Vi sono per il 47.12% studenti, 21.15% liberi professionisti, 18.27%
dipendenti, 8.65% pensionati e da ultimo 4.81% nella categoria “altro” (vedi Appendice).
Abbiamo deciso di effettuare il testing mediante tre tipologie di scale, riguardanti attitudine
generale (Ajzen and Fishbein, 1980), credibilità percepita (Mousa e Touzani, 2008) e
comprensibilità (Moser et al., 2010; Edge et al., 2014) dell’etichetta ambientale.
Dalle analisi effettuate per il campione è possibile rilevare che l’attitude generale verso l’etichetta
risulta essere particolarmente positiva. Infatti, dalla scala a differenziale semantico a 7 punti,
riadattata da Ajzen and Fishbein (1980), alla domanda “Qual è il suo atteggiamento nei confronti di
tale ecolabel?”, i partecipanti hanno dovuto scegliere tra “Negativo/Positivo;
Sfavorevole/Favorevole; Avverso/Propenso”. I risultati mostrano un’attitudine generale con valori
medi maggiori di 5.5/7.
Anche per quanto concerne la comprensibilità percepita, stimata mediante una scala riadattata da
Mousa e Touzani (2008), all’invito ad indicare quanto fossero d'accordo con le seguenti frasi da 1
(poco) a 7 (molto), quali “Mi sento ben informato da questa ecolabel”, “Questa ecolabel mi sembra
affidabile”, “Questa ecolabel è accurata”, “Le informazioni su questa ecolabel sono di facile
comprensione”, i rispondenti hanno espresso valori medi maggiori di 5.5/7.
Da ultimo, dal testing sulla credibilità percepita si analizza che rispetto a “Questa ecolabel mi ispira
fiducia”, “Questa ecolabel è certificata tramite il metodo della blockchain”, “La blockchain ha
sottoposto l'ecolabel a test rigorosi prima di rilasciarla”, “Posso fidarmi di questa ecolabel”, “Questa
ecolabel contiene informazioni veritiere”, i risultati presentano valori medi che hanno superato 5.6/7
(Vedi appendice).
Pertanto, essendo il riferimento delle tre scale 4, quindi 3.5 arrotondato per eccesso, si evince che i
risultati sono estremamente positivi.

Allora, possiamo concludere che, nonostante tale testing presenti delle limitazioni, come l’utilizzo
di un convenience sample, di soggetti per lo più italiani e studenti, e la mancata possibilità di fare
inferenza sulla popolazione, tale etichetta viene percepita dai consumatori come particolarmente
affidabile, comprensibile e credibile a fronte del fatto che riporta chiaramente l’attenzione che
l’azienda presta nei confronti della deforestazione. In particolar modo, si percepisce che possa
essere particolarmente veritiera tramite il riferimento alla blockchain che viene promosso dalla
freccia circolare di colore verde, simbolo di sostenibilità e cura per il patrimonio terrestre.

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17
7. APPENDICE
Dati del campione: età, genere e occupazione.

Scala dell’attitudine generale verso l’ecolabel:

18
Scala della comprensibilità dell’etichetta ambientale:

Scala della credibilità dell’ecolabel:

19
20

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