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L’equilibrio finanziario: la riclassificazione del capitale di

funzionamento
1 – Il concetto di equilibrio finanziario.
Il fondamento del concetto si riferisce alla sua capacità di disporre del denaro
occorrente per porre in essere le operazioni di scambio che consentono
l’attivazione virtuosa di quei processi di creazione di valore posti alla base
dell’altro grande ordine di equilibri aziendali, quello economico.
L’equilibrio aziendale e quello economico sono interdipendenti, ossia un
qualsiasi intervento su uno di essi comporta un effetto, più o meno diretto,
sull’altro.

Si può definire l’equilibrio finanziario come condizione dinamica di armonica


composizione, nel tempo, tra afflussi e deflussi di risorse finanziarie.
Si tratta di un equilibrio dinamico perché considera il contemporaneo ingresso
e fuoriuscite di risorse finanziarie che, momento per momento, devono
risultare adeguate alle esigenze aziendali.
La condizione armonica si riferisce all’aspetto temporale, ossia a quando si
verifica il flusso finanziario, e all’aspetto quantitativo, cioè all’entità del flusso
in questione.
2 – Equilibrio finanziario e struttura del capitale.
L’equilibrio finanziario si raggiunge tramite la creazione dei presupposti
affinché si verifichi la condizione di armonia, per tempi e quantità, dei flussi
finanziari in ingresso e in uscita.
Affinché queste condizioni vengano soddisfatte si procede alla riclassificazione
in chiave finanziaria delle parti che compongono il capitale di funzionamento.
Si classificano, da un lato, gli impieghi/attività e, dall’altro, le fonti/passività. Il
tutto secondo categorie basate sulla loro permanenza all’interno dell’azienda.
Le attività sono investimenti di risorse finanziarie in attesa di recupero,
mentre le passività, sono quelle in attesa di restituzione.
2.1 – La riclassificazione del capitale di funzionamento per “classi di valori”.
Un primo criterio divide impieghi e fonti a seconda della loro prospettiva
di permanenza come classi di valori.
Per quanto riguarda l’attivo si parla di:
 immobilizzazioni: si fa riferimento a quelle classi di impieghi che
tendono a non liberare le risorse finanziarie che hanno assorbito
per un tempo indefinito;
 disponibilità: fa riferimento a quella porzione di capitale di
funzionamento che hanno di nanzi a sé un periodo di
sopravvivenza breve.
Per quanto riguarda il passivo, invece:
 capitale permanente: è l’insieme delle fonti che tendono a
permanere per tempi indefiniti;
 capitale consolidato: il suo effetto finanziatore avverrà in un
tempo medio;
 capitale temporaneo: raccoglie quelle classi di valori che tendono
ad esaurire il proprio ruolo nel breve periodo.

2.2 – La riclassificazione del capitale di funzionamento per “singoli


elementi”.
Un secondo criterio si fonda sulla considerazione dei singoli elementi
patrimoniali attivi e passivi individualmente osservati, che vengono letti
secondo in funzione della durata attesa del fabbisogno finanziario
creato (per quelli attivi) o l’effetto di provvista di mezzi finanziari (per
quelli passivi.
L’attivo patrimoniale viene diviso in:
 capitale fisso: quando l’elemento patrimoniale ha una
prospettiva di permanenza all’interno dell’azienda durevole;
 capitale circolante: se l’elemento patrimoniale tende ad
estinguersi nel breve periodo.
Per quanto riguarda il passivo patrimoniale, invece:
 passivo a breve: quando l’elemento è destinato ad estinguersi,
con relativo esborso, nel breve periodo;
 passivo a medio/lungo termine: quando l’elemento è destinato a
continuare a prendere parte al capitale per tempi ampi;
 capitale di proprietà: quando manca del tutto un termine per la
sua restituzione/estinzione.

3 – I due criteri di riclassificazione finanziaria del capitale di funzionamento a


confronto.
Il primo criterio, ossia quello per classi di valori, si basa sull’identificazione di
diverse classi di valori che trovano fondamento per la propria qualificazione
nelle caratteristiche, non solo degli elementi presenti al momento del suo
riconoscimento, ma anche di elementi derivanti da operazioni future. Per
quanto riguarda le attività, se sono previste condizione secondo le quali si
abbia un equilibrio dinamico tra gli elementi patrimoniali appartenenti ad una
determinata classe che si conserva immutata nel tempo, questi andranno
nelle immobilizzazioni, altrimenti nelle disponibilità. Lo stesso discorso vale
per le passività, che si classificano in base alla loro prospettiva.
Il secondo criterio, cioè quello per singoli elementi, si concentra
esclusivamente sui tempi attesi per la conclusione di processi aziendali già in
corso di svolgimento e sulla durata residua dell’impiego di risorse finanziarie
impegnate nei singoli elementi patrimoniali attivi o dall’effetto finanziatore
esplicato dalla presenza nel patrimonio aziendale di elementi passivi. Si può
perciò affermare che questo metodo di riclassificazione si limita a
“fotografare” una situazione istantanea dei processi in atto.

La solidità patrimoniale
Solidità patrimoniale sta ad indicare un insieme di qualità del patrimonio
aziendale che lo rendono idoneo a costituire presupposto per la difesa degli
equilibri aziendali. Il modello gestionale si può considerare equilibrato se
dimostra di riuscire a finanziare gli investimenti stabili con fonti di
finanziamento altrettanto durevoli.
In altre parole, c’è equilibrio se si realizza un’equivalenza tra immobilizzazioni
e fonti di finanziamento durevoli, da un lato, e tra disponibilità e fonti di
finanziamento temporanee, dall’altro. Una composizione del capitale di
funzionamento ideale:

Immobilizzazioni Capitale
stabili permanente
Immobilizzazioni Passivo
semi-stabili consolidato
Disponibilità Passivo temporaneo

Il grado di copertura degli investimenti immobilizzati attraverso fonti di


finanziamento durevoli viene espresso da un indicatore detto:
 margine di struttura, se viene calcolato come differenza. Lo stesso viene
poi declinato in due possibili accezioni, primario e secondario:
margine primario di struttura =
Capitale permanente – Immobilizzazioni

margine secondario di struttura =


(Capitale permanente + passivo consolidato) – Immobilizzazioni

 quoziente di struttura, se viene calcolato come rapporto:

quoziente primario di struttura =

Capitale permanente
Immobilizzazioni

quoziente secondario di struttura =

Capitale permanente + Passivo consolidato


Immobilizzazioni
Il trattamento di fine rapporto (TFR)
Nella riclassificazione in classi di valori degli elementi, un focus importante va
riservato al Trattamento di Fine Rapporto (TFR), una voce del Passivo che
accoglie il debito nei confronti dei dipendenti che, maturato durante tutta la
loro vita lavorativa ininterrotta all’interno dell’azienda, gli sarà erogato alla
fine del rapporto di lavoro.
A partire dal 2007, tutti i lavoratori del settore privato possono decidere di
destinare il proprio TFR ad un fondo previdenziale. Oppure possono optare
per l’accantonamento di quote annuali che gli saranno poi erogate al termine
del rapporto di lavoro. In questo caso si distinguono due casi diversi:
 in aziende con meno di 50 dipendenti, i dipendenti possono decidere di
mantenere il proprio TFR all’interno dell’azienda e di riceverlo al
termine del rapporto lavorativo;
 le aziende con più di 50 dipendenti, invece, sono obbligate a trasferire
gli importi del TFR all’INPS, che provvede a depositarli in un fondo
apposito ed erogarli al momento opportuno.
Il fatto che il TFR sia affidato o meno ad altri istituti determina importanti
conseguenze sul piano contabile:
 nel caso in cui il TFR venga affidato ad un istituto esterno, l’azienda
dovrà registrare, in ciascun periodo, costi misurati dalla nascita di un
debito di funzionamento, che andrà ad estinguersi periodicamente;
 nel caso invece in cui il TFR permanga all’interno dell’azienda, al
termine di ogni esercizio e per tutta la durata del rapporto lavorativo,
quest’ultima dovrà registrare un costo di competenza che andrà ad
alimentare un debito che vedrà la propria uscita finanziaria in un
periodo non definito, ossia quando il rapporto cesserà.
Questa distinzione genera, a sua volta, ulteriori ripercussioni per quanto
riguarda la corretta ricollocazione del TFR nel processo di riclassificazione
degli elementi del capitale di funzionamento per classi di valori.
 Nel caso in cui sia affidato ad un istituto esterno, il debito va collocato,
se si tratta di consistenze destinate a ricrearsi fisiologicamente, nel
Capitale permanente, altrimenti, nel Passivo temporaneo;
 Nel caso in cui, invece, la quota di TFR venga affidato
 Nel caso in cui, invece, la quota di TFR venga affidato alla stessa
azienda, rappresenta a tutti gli effetti un debito di funzionamento nei
confronti dei dipendenti e perciò va scomposto in:
- Capitale permanente, per la parte destinata a ricostituirsi;
- Passivo consolidato, per la parte destinata ad estinguersi nel
medio lungo periodo, e perciò in grado di fornire copertura
finanziaria per lo stesso periodo;
- Passivo temporaneo, per la parte destinata ad estinguersi nel
breve periodo, e perciò da considerare una fonte di copertura
solo per un periodo breve.

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