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I testi qui raccolti esemplificano (pur senza alcuna pretesa di comple-
tezza) questo singolare procedere a balzi, in costante contrappunto alla
storia politica europea. Alcuni rientrano in casi ormai celebri, come la ri-
scoperta di La BoŽtie in chiave anti-Asse nei primi anni quaranta del No-
vecento, altri rimandano a episodi dimenticati: • il caso di Johann Benja-
min Erhard, traduttore del Discours nellÕorbita del giacobinismo tedesco, o
dellÕeccellente edizione sovietica pubblicata nel pieno della repressione
staliniana.
Saggi critici Ð in cui lÕanalisi del testo laboetiano dˆ vita a riflessioni
teoriche autonome sui temi del consenso, del potere e dellÕantropologia po-
litica Ð questi testi recano al contempo lÕimpronta marcata della funzione
cui (salvo nel caso di Leroux) essi devono assolvere: introdurre edizioni
del Discours che sin dal loro concepimento si rivelano strettamente intrec-
ciate a un dato contesto socio-politico.
Esegesi, teoria politica e militanza vengono cos“ a fondersi in un amal-
gama che • necessario penetrare. LÕinteresse di questi testi Ð • opportuno
chiarirlo Ð non • infatti riducibile al piano della curiositˆ storiografica.
Esso • invece connesso alla natura del Discorso della servit• volontaria,
opera incisiva e perturbante anche perchŽ strutturalmente aperta. Il suo in-
terrogativo fondamentale Ð perchŽ il potere? Ð non • solo insolubile, ma
assume un senso pieno proprio in quanto declinato nelle ricerche, stori-
camente determinate, di chi attraverso di esso tenta di decifrare il proprio
presente politico, interrogandosi al contempo sulle condizioni di possibilitˆ
di un legame sociale diverso e pi• umano.
é a questo scopo che • qui inserita, come prologo, la Presentazione di
Miguel Abensour e Marcel Gauchet alla storica edizione francese Payot
del 1976. Il saggio si confronta allo stesso tempo con il contenuto del Dis-
cours e con la ragione dei continui fraintendimenti cui tale contenuto •
andato incontro nei secoli, ritenendoli effetti di uno stesso fenomeno: una
faglia, quasi invisibile ma tesissima, che attraverserebbe il progetto politi-
co della modernitˆ (razionalista, illuminista, democratico) giusto sulla zo-
na di confine tra desiderio di libertˆ e sete di sottomissione, segnalando Ð
spesso invano Ð la prossimitˆ inquietante di questi due istinti. Una prossi-
mitˆ della quale deve tenere conto (pur senza farsene paralizzare) chiun-
que, intellettuale o militante, covi speranze politiche di stampo emancipa-
tivo.
é a partire dallo schema interpretativo forgiato da Abensour e Gauchet
che diviene possibile, a nostro avviso, decifrare il senso teorico-politico dei
saggi qui proposti. Ci˜ • vero nel caso del testo di Pierre Leroux, che Ð
seppure a partire da un singolare equivoco interpretativo Ð coglie lÕesigen-
za centrale del Discours: immaginare un legame sociale che coniughi auto-
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nomia individuale e nesso comunitario. Senza tale proposta politica, infatti,
lÕUnitˆ promessa dai dispotismi resterˆ per molti Ð nonostante tutto Ð un
richiamo irresistibile.
Un discorso in parte simile va fatto per i lavori di Faina Abramovna
Kogan-Bernshtejn. LÕedizione a sua cura, uscita in Unione Sovietica nel
1952, anticipa la Payot per materiale critico, impostazione teorica e quali-
tˆ dellÕanalisi del testo: e ci˜ nel contesto dellÕURSS in piena Çlotta contro
il cosmopolitismoÈ. Kogan-Bernshtejn insiste sullÕesigenza di rintracciare
nel Discours un piano teorico-politico profondo, tanto audace che persino
alcune parti del testo di La BoŽtie ne tradirebbero lo spirito radicale.
Ai due saggi di Kogan-Bernshtejn e di Leroux si affiancano, qui, due
testi di particolare interesse storico. Il primo • tratto dallÕedizione tedesca
del 1793, ove il testo del Discours • inserito allÕinterno di un lavoro teorico
di ampio respiro con un fine singolare: far scontrare in dibattimento lÕav-
vocato della libertˆ politica e quello del governo assoluto, ruoli a cui
Erhard elegge su un fronte La BoŽtie e, sullÕaltro, la stessa Storia mon-
diale. LÕaltro testo proviene invece dallÕAntidictator, prima edizione statu-
nitense del Discours: pubblicata da Harry Kurz nel 1942 con intenti anti-
fascisti, essa • per˜ tesa soprattutto a indagare gli aspetti nonviolenti del
pensiero laboetiano.
La rassegna si chiude con uno stralcio dallÕedizione di Jawdat Said,
intellettuale siriano, principale sostenitore contemporaneo di unÕinterpre-
tazione nonviolenta dellÕislam. I suoi testi, noti soprattutto in Siria e in
Egitto, hanno ispirato i nuclei di contestazione nonviolenta contro il regi-
me di Bashar al-Assad. Una prova, qualora ve ne fosse bisogno, dellÕat-
tualitˆ (spesso drammatica) del testo di La BoŽtie.
I testi che qui si presentano sono estratti selezionati per rendere conto,
nel modo che ci • parso pi• efficace, delle tesi degli autori. Per non appe-
santire la lettura si • scelto di segnalare lÕomissione di parti cospicue con
un distacco grafico tra i paragrafi. Sia le traduzioni che le note ai testi, ove
non diversamente specificato, sono dei tre curatori. Tutti i testi sono inediti
in italiano, ad eccezione delle prime due parti del saggio di Leroux. Per un
inquadramento storico e teorico del Discorso della servit• volontaria ri-
mandiamo a N. Panichi, Plutarcus redivivus? La BoŽtie e i suoi interpreti,
Edizioni di storia e letteratura, Roma 2008, e, oltre che alla citata edizione
Payot (Paris 1976), allÕedizione italiana Discorso della servit• volontaria,
a cura di E. Donaggio, Feltrinelli, Milano 2014. I debiti di gratitudine con-
tratti dai curatori sono segnalati in calce ai singoli saggi. Ovviamente di
qualsiasi imprecisione siamo responsabili soltanto noi.
94
Gustave DorŽ, Anteo, Inferno, canto XXXI
Traversata distruttrice del discorso politico
1
ƒ. de La BoŽtie, La servit• volontaria, a cura di A. Bonanno, Edizioni Anarchismo, Catania 1978;
Id., Discurso de la servidumbre voluntaria, Tusquets, Barcelona 1980; Id., Discurso da servidao volun-
taria, Brasiliense, S‹o Paulo 1982.
2
M. Abensour, M. Gauchet, Les le•ons de la servitude et leur destin, in ƒ. de La BoŽtie, Discours de
la servitude volontaire, Payot, Paris 1976, 20022, pp. 7-44.
96
portante, a conti fatti, • che il Discorso della servit• volontaria non distur-
bi: il testo di La BoŽtie viene ricondotto, una volta per tutte, alla categoria
dei pamphlet politici di ispirazione liberale e democratica.
DallÕassenza di equivoci non siamo, tuttavia, autorizzati a dedurre un
senso univoco. Davanti a questo non-stupore lo stupore nasce, e non smette
di crescere di fronte a una tale insensibilitˆ allÕintensitˆ interrogativa di un
testo che, a partire dallÕintelligenza del suo rifiuto fondativo, si sviluppa co-
stantemente in allerta, si nutre della grandezza dellÕenigma con cui si con-
fronta. Enigma tanto pi• affascinante per chi acconsenta a prestarvi atten-
zione, in quanto esso si sottrae, si trasforma per rinascere, non appena cre-
diamo di avere la soluzione o di possedere la risposta giusta. LÕenigma
stesso del politico condotto sino al culmine del suo fascino: perchŽ cÕ• ser-
vit• volontaria anzichŽ amicizia, perchŽ, nei termini di P. Clastres 3, esisto-
no societˆ dello Stato piuttosto che societˆ contro lo Stato?
[É é] come se il testo di La BoŽtie provocasse in ogni lettore4 uno
smarrimento primordiale, unÕintollerabile inquietudine, cui venisse subito
in soccorso unÕinterpretazione in grado di placarla, di farla tacere. [É] Noi
[Abensour e Gauchet], interpellati dallÕinterrogazione di La BoŽtie e decisi
a lasciarla libera di risuonare al suo pi• alto registro, ci schieriamo per una
indeterminazione fondamentale, invitando i lettori a fare del Discorso della
servit• volontaria unÕopera aperta [É]. Un luogo dove, lontano da ogni
progetto di dominio, si intreccino desiderio di sapere e desiderio di libertˆ,
libro aperto entro il quale (al netto delle differenze di epoca) il lettore speri-
menti, nel lavoro stesso che la lettura comporta, un inter-riconoscimento
[entre-connaissance], cogliendo attraverso lÕopera laboetiana il balenio di
unÕesperienza politica dellÕamitiŽ.
3
Cfr. P. Clastres, La societˆ contro lo Stato, Feltrinelli, Milano 1977.
4
Abensour usa ÇrestaurateurÈ, termine intraducibile che fa insieme riferimento al ristoro, al restauro e
alla Restaurazione.
97
to senso riflessiva, che tramite un incessante ritorno su se stessa tenderebbe
a unÕauto-istituzione continua e riconoscerebbe nel politico, divenuto suo
problema nodale, il luogo stesso di unÕinterrogazione inestinguibile sul suo
essere sociale. Di una simile societˆ, tale da rifiutare di cullarsi nellÕillusio-
ne di un superamento del politico, potremmo dire che praticherebbe lÕinter-
rogazione in maniera permanente. [É] La servit• volontaria •, in un certo
senso, il giˆ-sempre-saputo e il mai-davvero-pensato della riflessione poli-
tica.
Non cÕ• dubbio che dobbiamo al notevole scarto tra il Discours e le ca-
tegorie in cui la Tradizione ha rinchiuso la cosa politica quellÕinatteso senso
di familiaritˆ che ci sopraffˆ dopo una lettura tutta dÕun fiato. Ci scopriamo
legati al Discours da una prossimitˆ che attraversa i secoli. Ma come dob-
biamo pensarla, questa straniante modernitˆ, in rapporto al suo secolo?
Occorre qui invertire i termini del percorso storico cos“ come viene co-
munemente praticato, e che mira anzitutto a inserire unÕopera in ci˜ che si
sa del suo tempo, al fine di collocarvela. [É] PerchŽ invece, allÕinverso,
non interrogare i fatti a partire dalle prospettive che si schiudono in uno
scritto? PerchŽ non domandarsi come fosse quel secolo giacchŽ unÕopera di
quel periodo era in un certo modo? PerchŽ, una volta liberata, la potenza di
una riflessione non potrebbe diventare essa stessa materiale storico e occa-
sione per interrogare di nuovo il tempo che lÕha vista nascere? [É]
E non • proprio questo il tipo di lavoro a cui ci invita una lettura attenta
di La BoŽtie? Essa fa vacillare ci˜ che noi crediamo di sapere dei limiti del
suo tempo. Non ci indica forse un universo di pensiero sconosciuto? Non •
forse alla scoperta di un nuovo XVI secolo che invita la veemenza sempre
ancora attuale del Discours? [É]
Serve [quindi] una ricerca !in negativo" per svincolarsi dalle evidenze
pigre, per mostrare che cÕ• ben altro da capire rispetto a ci˜ che suggerisce
il senso comune, a ci˜ che dettano le categorie giˆ bellÕe pronte. Ecco, in-
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fatti, ci˜ che impedisce di comprendere servit• come passivitˆ: la servit•
del popolo non consiste nel fatto che esso ignori lÕinsurrezione, o che non
abbia mai conosciuto la rivolta. Il popolo si rivolta, e in un certo senso non
smette mai di rivoltarsi. Ma la questione della servit• • distinta da quelle
della virtualitˆ della sollevazione. Della servit• bisogna arrivare a pensare
che essa abita ancora il momento della rivolta, che la sposa lungo tutta la
sua traiettoria. La servit• resta interna al movimento che vuole produrre la
libertˆ. Il vero gesto di rottura dal quale potrebbe nascere la libertˆ non ha
luogo, e in ci˜ risiede lÕenigma. Ci˜ con cui abbiamo dovuto fare i conti
non • solo lo scacco di una sollevazione che mira a spezzare la servit• da
cui • continuamente ossessionata; • qualcosa di pi•: • la capacitˆ delle rivo-
luzioni di dar vita a una nuova oppressione, tanto pi• temibile in quanto
tessuta e forgiata nelle avventure della libertˆ.
La voce, unica, di La BoŽtie ci dice che la questione della servit• volon-
taria non si riduce a quella dellÕamore della dominazione. La servit• non •
lÕaccettazione cieca e franca dellÕordine stabilito; il contrario della servit•
non • semplicemente la rivolta che regolarmente viene a scuotere lÕordine
stabilito. Il popolo • altrettanto capace di odiare il dominio e di combatterlo
quanto lo • di consentire alla sua instaurazione. é su questo sdoppiamento,
su questa articolazione, su questo legame interiore del desiderio di rivolta e
della volontˆ di servire che si tratta di concentrare lÕattenzione.
99
Nonostante lÕimportanza del ruolo assegnato al Discours Ð sostenere
una disputa teorica con la Storia mondiale sulla vantaggiositˆ o meno del
potere Ð lÕanalisi di Erhard perde di vista gran parte dei temi laboetiani e
la stessa Çservit• volontariaÈ cade in secondo piano. Il saggio di La BoŽtie
• letto da Erhard come una critica a ogni forma di convivenza regolata e
come unÕesaltazione di una mera libertˆ animale. Il testo che segue la tra-
duzione del Discours (il secondo qui riportato) ricorda la descrizione che
Erhard offrirˆ due anni pi• tardi, allÕinterno dellÕApologie des Teufels, del
Çsistema del maleÈ: lÕagire umano guidato dalla libertˆ Çsenza alcun ri-
guardoÈ (ohne alle RŸcksicht), dal perseguimento cio• del mero interesse
materiale, conduce allÕautodistruzione. O, altrimenti, al dominio di uno so-
lo e allÕasservimento di tutti gli altri. Il problema di Erhard • quindi quello
di elaborare una formula Ð il Çsistema del dirittoÈ Ð in grado di mediare le
singolaritˆ e di permetterne la convivenza in societˆ. Messo al servizio di
tale progetto, il Discours diviene qui il termine estremo su cui fare leva per
fondare, in contrasto, la legittimitˆ di un governo regolato dalla legge.
SullÕassolutismo
La veritˆ di solito sta nel mezzo, dice una vecchia massima, che, come
la maggior parte delle massime, piuttosto che utile • diventata dannosa a
causa di un suo uso improprio. Quella di non prendere posizione prima di
aver sentito lÕaltro partito e di aver esaminato se entrambi non abbiano esa-
sperato le proprie argomentazioni • una regola comunemente accolta; ma se
• usata come scusa per dire che si pu˜ trovare la veritˆ anche senza fare al-
cuno sforzo per cercarla, semplicemente tenendosi per buona reputazione
sempre nel mezzo tra i due partiti Ð allora essa • sempre una difesa della
stupiditˆ o, per esprimersi pi• gentilmente, dellÕindolenza. Per guardarmi
da questo uso improprio e rendere applicabile alla mia ricerca questa massi-
ma nella sua interpretazione corretta, voglio allora ascoltare per bene lÕuno
e lÕaltro partito, e poi cercare di indagare secondo principi quale dei due ab-
bia ragione; o in quale misura nessuno dei due abbia pienamente ragione, e
quali veritˆ ciascuna fazione abbia dalla sua.
5
J.B. Erhard, †ber die Alleinherrschaft, ÒDer neue teutsche MerkurÓ, 1, Weimar 1793, pp. 267-269;
Id., Betrachtungen Ÿber die Rede des BoŽtie und Ÿber die Alleinherrschaft, nach Anleitung der Geschi-
chte und Erfahrung, ÒDer neue teutsche MerkurÓ, 2, 1793, pp. 209-211. Nel 1821 Erhard amplierˆ e ri-
pubblicherˆ questi scritti (con annessa traduzione del Discours) in un solo volume: †ber die freiwillige
Knechtschaft und Alleinherrschaft, Ÿber BŸrger-, Ritter-, Mšnchsthum, August RŸcker, Berlin 1821.
100
Il primo partito che voglio interrogare • quello che afferma che il potere
di uno o di pochi • assolutamente ingiusto e la servit• nociva; il secondo •
quello che afferma che il potere di pochi sui molti • assolutamente necessa-
rio per la felicitˆ e per la pace degli uomini, e che la disobbedienza • nefasta.
Potrebbe essere difficile trovare per il primo partito un avvocato che
possa essere allÕaltezza dellÕaltro; poichŽ la stessa Storia mondiale mostra
finora di aver sostenuto la tesi del secondo; eppure io credo di aver trovato
in La BoŽtie, lÕamico di Montaigne, nel suo Discorso sulla servit• volonta-
ria6, il migliore avvocato del primo partito. é lui dunque a doverne sostene-
re la tesi.
6
Per il titolo del Discorso di La BoŽtie, cos“ come per quello di Descartes, la preposizione slitta spes-
so (ma imprecisamente) da del/della a sul/sulla.
101
rifiutarsi di rispondere a queste domande, prima di sommare la propria voce
allÕindistinto grido Çdecidiamoci a essere liberi!È.
7
P. Leroux, Individualismo e socialismo, a cura di B. Viard, Diabasis, Reggio Emilia 2008, p. 40.
8
In vari casi Leroux modifica leggermente il testo laboetiano, spesso nella direzione di una moderniz-
zazione ortografica del francese: questo Ð da Çtous unsÈ (tuttÕuni) a Çtous unÈ (tuttÕuno) Ð • sicuramente
il pi• rilevante dal punto di vista del significato del testo.
102
glese, sino a che non sarˆ proposta una societˆ alternativa, capace di far
coesistere legame sociale e libertˆ individuali.
Pierre Leroux9
9
P. Leroux, Discours sur la Doctrine De lÕHumanitŽ. Deuxi•me Partie, Deuxi•me Section: De La
Science Politique JusquÕˆ Nos Jours. La BoŽtie, Hobbes, Montesquieu et Rousseau, ÒRevue socialeÓ,
11-12, Paris 1847, pp. 169-174.
103
mini sono stati cos“ incantati e affascinati dal solo nome dÕUno 10, tanto da
accettare la monarchia e preferirla a una repubblica, • perchŽ questa
monarchia rappresenta per loro la promessa di unitˆ sociale e di concordia
fraterna che Voi vorreste veder esistere fra di loro. LÕUmanitˆ non ha dun-
que agito cos“ follemente come Voi supponete creando delle monarchie, e
le parole di Ulisse nel libro di Omero restano vere: ÇNon • bene il comando
di molti. Uno sia il capo, uno sia il reÈ11.
Invano La BoŽtie argomenta: lÕuomo non dovrebbe avere affatto dei pa-
droni: perchŽ volere un re? Per ben ragionare avrebbe dovuto indicare il
modo di non avere pi• dei padroni: poichŽ, altrimenti, il saggio Ulisse potrˆ
sempre rispondergli di preferire la monarchia allÕanarchia.
In fondo, fin tanto che il problema di non avere pi• padroni non sarˆ ri-
solto, preferire la monarchia ad altre forme politiche • preferire lÕunitˆ alla
divisione, • sperare nella realizzazione della vera unitˆ, • tendere verso la
comunione universale degli uomini. Ecco perchŽ la monarchia e il papato
sussistono ancora oggi, malgrado tante rivoluzioni.
10
Cfr. ƒ. de La BoŽtie, Discours, cit., p. 129: ÇenchantŽs et charmŽs par le nom seul dÕunÈ. Sul ruolo
del nome e della parola come fondamento del potere cfr. C. Lefort, Le nom dÕUn, ibidem, pp. 269-335.
11
Leroux fa riferimento al verso dellÕIliade che serve da incipit al Discours.
12
M. Montaigne, Saggi, a cura di F. Garavini, A. Tournon, Bompiani, Milano 2012, p. 333.
13
T. Hobbes, De cive, Editori Riuniti, Milano 2005, cap. I, par. 2 (citazione interpolata da Leroux).
104
Quanto siamo lontani dal punto di vista sentimentale di La BoŽtie! Co-
me diventa il principio evangelico Çgli uomini sono tutti fratelliÈ? Hobbes
lo nega e vi oppone un assioma del tutto contrario, Homo homini lupus.
Questo assioma • sicuramente falso, crudele e abominevole, poichŽ, come
diceva Descartes, considerare tutti gli uomini cattivi significa invitarli a es-
serlo. Ma lÕaltro assioma, attinto dallÕideale, tratto dalla religione, incarnato
finora solamente nello spirito di pochi, mai realizzato, • dunque vero? Gli
uomini si comportano effettivamente tra loro come fratelli? é chiaro che gli
uomini si comportano tra loro come lupi almeno quanto si comportano co-
me fratelli. Quindi lÕassioma di Hobbes, per quanto rivoltante sia per il no-
stro sentire, per quanto distruttivo sia nei confronti di ogni religione, man-
terrˆ la sua forza fintanto che il problema di unÕorganizzazione sociale fon-
data sullÕuguaglianza e la fraternitˆ non sarˆ stato risolto.
[...] Invano, metˆ cristiano, metˆ poeta, parlando in nome di ci˜ che •
evidente e confondendo la dottrina del Vangelo con la legge di natura, La
BoŽtie dirˆ [É]: ÇMa se cÕ• qualcosa di chiaro e di evidente • che la natura
ci ha fatto tutti della stessa forma e, cos“ pare, dello stesso stampo, al fine di
riconoscerci lÕun lÕaltro come compagni, o meglio come fratelliÈ14. Hobbes
si guarderˆ bene dal negare questa uguaglianza primitiva o essenziale degli
uomini; ne farˆ derivare, al contrario, uno dei suoi pi• forti argomenti in fa-
vore della disuguaglianza sociale, in favore del dispotismo:
sono uguali coloro che possono fare cose uguali lÕuno contro lÕaltro. Ma coloro
che possono fare la cosa suprema, cio• uccidere, possono fare cose uguali. Dunque
tutti gli uomini sono per natura uguali fra di loro. La disuguaglianza ora presente •
stata introdotta dalla legge civile15.
Aristotele elenca fra gli animali che chiama politici non solo lÕuomo ma anche
molti altri, come la formica, lÕape. Ma le loro aggregazioni non sono Stati, nŽ que-
14
ƒ. de La BoŽtie, Discorso della servit• volontaria, a cura di E. Donaggio, Feltrinelli, Milano 2014,
p. 38 (citazione interpolata da Leroux).
15
T. Hobbes, op. cit., p. 23.
16
ƒ. de La BoŽtie, Discorso della servit• volontaria, cit., p. 38.
105
sti animali debbono essere detti politici perchŽ il loro governo non • altro che il
consenso, ovvero molte volontˆ tendenti a un unico oggetto: non (come • necessa-
rio nello Stato) una volontˆ unica. [É] Infine, il consenso di quelle creature anima-
li • naturale, quello degli uomini solo per patto, cio• artificiale. Dunque non ci si
deve meravigliare se gli uomini hanno bisogno di qualcosa di pi• per vivere in pa-
ce17.
Questo qualcosa in pi• di cui gli uomini hanno bisogno per vivere in pa-
ce • ci˜ che Hobbes chiama Impero, vale a dire lo Stato: ed egli non lo con-
cepisce che assoluto. [É] Ci˜ che fonda • il dispotismo, cio• lÕidea monar-
chica, lÕidea di autoritˆ, come diremmo oggi. In fondo • questa lÕidea che si
oppone a quella di La BoŽtie: che la societˆ umana non possa esistere senza
padroni, che ci˜ che rende possibile la societˆ civile e ci˜ che la forma sia
lo stabilirsi del dominio degli uni e dellÕobbedienza degli altri; che in que-
sto si costituisce il diritto: che diritto e dominio dellÕuomo sullÕuomo sono
sinonimi.
Hobbes avrˆ ragione fintanto che gli uomini non avranno mostrato che
possono organizzarsi in forme diverse dal dominio e dallo scontro degli
egoismi. [É] Soltanto, e lo ripeto, lÕerrore di Hobbes • di credere che que-
sta discordia del genere umano sia eterna, che sia connessa allÕessenza del-
lÕUmanitˆ. Mostrandosi despoti gli uni verso gli altri, gli uomini, secondo
Hobbes, non sono cattivi ma sono uomini, cio• obbediscono alla propria
natura. Hobbes in questo si sbaglia: • perchŽ gli uomini non conoscono an-
cora la loro vera natura che non hanno saputo organizzarsi nella concordia
e nellÕarmonia.
LÕedizione di guerra
17
T. Hobbes, op. cit., pp. 67-68. Stranamente in questa lunga citazione Ð qui abbreviata Ð Leroux salta
la frase seguente (che Hobbes trae dalle Vite di Plutarco), apparentemente la pi• adatta a replicare a La
BoŽtie: Çla lingua dellÕuomo • una tromba di guerra e di sedizione; e si dice che un tempo Pericle, con
le sue orazioni, tuonasse, fulminasse e gettasse lo scompiglio in tutta la GreciaÈ.
106
Intenzione che fu colta alla perfezione dalla stampa americana (il ÒNew
York TimesÓ la recens“ titolando An anti-nazi of 1548) e suggellata nel
1943, quando lÕoriginale fu trasmesso da Radio Londra per incitare la Re-
sistenza francese.
LÕinterpretazione nonviolenta era in linea con la tradizione statunitense
della Civil Disobedience, influenzata nella sua genesi Ð via Thoureau e
Ralph W. Emerson Ð anche proprio dal Discours. Ma Kurz mira anche ad
attenuare la fama di pamphlet sedizioso del testo laboetiano: una posizione
che egli avrebbe approfondito pochi anni dopo in un lungo articolo, Mon-
taigne and La BoŽtie in the Chapter on Friendship18. Qui una lettura politi-
ca fortemente conservatrice di Montaigne, gli obliqui omaggi del Discours
alla Corona di Francia e lÕanalisi del laboetiano MŽmoire touchant lÕEdit
de Janvier, opera pi• tarda e politicamente pi• cauta, sarebbero serviti a
Kurz per disinnescare completamente La BoŽtie, ormai definito Çin tutto e
per tutto un cattolico e un sostenitore della monarchiaÈ19.
LÕIntroduzione del 1942 evidenzia, invece, ancora la portata politica
del pensiero di La BoŽtie: e qui risiede il senso di unÕedizione insieme
bellica e ostentatamente nonviolenta. Adottando una prospettiva marcata-
mente illuminista, Kurz immagina infatti che se, per assurdo, si potesse im-
porre a tutta lÕEuropa la lettura del Discours, questa avrebbe un effetto
Çquasi automaticoÈ: conferendo ai popoli sia una Çarma morale invincibi-
leÈ contro i dittatori, sia lo Çspirito nuovoÈ necessario a usarla. Solo la
mancata lettura del Discours da parte degli europei (o la loro ostinata in-
differenza verso di esso?) rende necessario lÕintervento di liberazione ma-
nu militari da parte alleata.
Harry Kurz20
Questo appello alla libertˆ, che ha squillato nei corridoi di quattro seco-
li, viene qui nuovamente fatto risuonare a beneficio dei popoli in tutte le
nazioni totalitarie che, oggi, non osano esprimere liberamente il proprio
pensiero. Ed esso risuonerˆ caro e bello anche alle orecchie di coloro che
18
Cfr. H. Kurz, Montaigne and La BoŽtie in the Chapter on Friendship, ÒPMLAÓ, 65, 4, New York
1950, pp. 483-530.
19
Ibidem, p. 512.
20
H. Kurz, Introduction, in ƒ. de La BoŽtie, Antidictator. The Discours sur la servitude volontaire of
ƒtienne de la BoŽtie Rendered into English by Harry Kurz, Columbia University Press, New York
1942, pp. IX-XXI.
107
ancora vivono liberi e che, con la fede e con la forza, contribuiscono alla li-
berazione del resto dellÕumanitˆ dagli orrori della servit• politica.
Interpretazione dellÕopera
21
A. Borgese, Golia. La Marcia del fascismo, Mondadori, Milano 1983, p. 414. Il testo di Borgese,
uscito nel 1937 negli Stati Uniti (dove era esule), vi aveva avuto un notevolissimo successo, giocando
un ruolo chiave nella riscoperta del Discours.
108
per evitare che il suo pensiero venisse usato contro il governo della Francia.
Le sue parole di deferenza sono troppo sincere per consentirci di leggervi
una remissivitˆ ipocrita: la veritˆ • che non era un ribelle. Non soltanto le
sue parole ma anche i resoconti della sua attivitˆ di giudice mostrano come
egli fosse nemico dichiarato della violenza. Perseguiva le riforme politiche
non con spargimenti di sangue, ma attraverso il rifiuto dellÕobbedienza agli
ordini dei tiranni. [É]
La BoŽtie ritrae a tinte spettrali e clownesche il volto della tirannia, rive-
la come le sue basi siano instabili e contendibili, e mostra infine serena-
mente il modo per rovesciarla con la pazienza, la resistenza passiva e la fe-
de in Dio. Non • troppo affermare che, se questo saggio di quattrocento an-
ni fa potesse essere posto fra le mani dei popoli oppressi dei giorni nostri,
essi vi troverebbero una strada sicura per la rinascita della libertˆ: uno spi-
rito nuovo si manifesterebbe, e cancellerebbe quasi in automatico quei ti-
rannelli vanagloriosi oscurantisti che oggi soffocano il loro diritto alla vita,
alla libertˆ e alla ricerca della felicitˆ.
LÕumanista rivoluzionario
22
Cfr. P. Jushkevich, Le due colonne dellÕortodossia filosofica, in Fede e scienza. La polemica su
materialismo ed empiriocriticismo di Lenin, a cura di V. Strada, Einaudi, Torino 1982, pp. 238-264.
109
al periodo in cui la storica (giˆ intellettuale non proprio ortodossa) sta su-
bendo le persecuzioni del regime staliniano: il che, se associato al messag-
gio antidispotico del Discours, suggerisce il senso dellÕoperazione editoriale.
LÕintroduzione di Kogan-Bernshtejn mira a scandagliare il fulcro teo-
rico del pensiero di La BoŽtie; nel farlo, giunge a due conclusioni centrali.
In primo luogo, la suddivisibilitˆ del pamphlet in due parti distinte, lÕuna
fondata sulla dicotomia uno-popolo, lÕaltra che raffigura invece una socie-
tˆ gerarchicamente strutturata. Solo la prima parte • coerente con il titolo
e il significato della Çservit• volontariaÈ: • infatti solo attraverso lo sche-
ma uno-tutti che emergono lÕautoasservimento del popolo e, per converso,
la sua chance reale di emancipazione. Inoltre Kogan-Bernshtejn, contro il
doppio riduzionismo della Çesercitazione retoricaÈ (ˆ la Sainte-Beuve) e
della contingenza storiografica (Armaingaud), insiste ad attribuire al Dis-
cours un nucleo teorico-politico di valore universale. Un nucleo irrisolto e
a tratti contraddittorio eppure intimamente libertario, Çavvisaglia delle
nuove idee [di emancipazione] che sarebbero poi dovute essere sviluppate
e riempiteÈ; e dunque, per questa ragione, destinato Ça vivere nei secoliÈ.
Applicazioni
110
confronti dellÕordine statale in cui tutto appartiene a uno solo, • espresso in
modo sufficientemente inequivocabile. E di questo parla, anche se in modo
indiretto, lÕintero contenuto del suo Discorso.
LÕidea fondamentale dellÕopera di La BoŽtie • giˆ implicita nel suo ca-
ratteristico titolo: non si tratta solo della servit•, dellÕassoggettamento delle
persone o dei popoli da parte di despoti diversi, ma della servit• volontaria,
della loro volontaria sottomissione. La BoŽtie capisce perfettamente che
spesso ci si deve sottomettere alla forza. Un qualche re conquistatore pu˜ con
la forza assoggettare un altro Stato e costringere i suoi abitanti a servirlo. In
questo non cÕ• nulla di insolito o misterioso. Allo stesso modo due persone, o
forse anche dieci, possono aver paura di uno solo per viltˆ. Ma quando mi-
gliaia o milioni di persone, quando migliaia di cittˆ servono ubbidienti uno
solo, allora non si pu˜ pi• parlare di viltˆ. [É] Se questo tuttavia accade, al-
lora accade soltanto perchŽ i popoli stessi volontariamente affidano il potere
su di sŽ a un solo uomo; i popoli stessi si sottopongono a servit•, laddove per
raggiungere la libertˆ, il supremo tra i beni, non cÕ• bisogno di nessun
particolare sforzo, di nessun particolare coraggio, basta soltanto volerlo.
Che cosa poteva costringere le persone a rinunciare al grande dono della
natura, la libertˆ? La BoŽtie ne vede la ragione nella violenza o nellÕingan-
no. E se allÕinizio gli uomini sopportano a fatica lÕasservimento, poi lÕabi-
tudine, che • pi• forte addirittura della natura, fa loro dimenticare lÕorigina-
ria libertˆ e, al contrario, la servit• inizia a sembrare loro qualcosa di natu-
rale. In tal modo la prima ragione della servit• volontaria •, secondo La
BoŽtie, la violenza o lÕinganno, inaspriti dallÕazione dellÕabitudine, che ha
sugli uomini un enorme potere.
Di fronte a noi finora cÕ• una teoria della Çservit• volontariaÈ piuttosto
ben costruita. Quale via dÕuscita propone La BoŽtie? Come debellare il ma-
le che fin qui ha cos“ chiaramente descritto? Come liberarsi dalla servit•
volontaria? In La BoŽtie non troveremo una risposta soddisfacente. Il ÇnoÈ
universale, il generale rifiuto a obbedire al tiranno, che La BoŽtie sottolinea
cos“ tanto allÕinizio del Discorso, presuppone un potente desiderio univer-
sale di libertˆ che, secondo La BoŽtie, non cÕ• nella schiacciante maggio-
ranza della popolazione, inebetitasi sotto il giogo della tirannia dopo secoli
di servit• volontaria.
In La BoŽtie si trovano alcune righe elogiative dedicate agli antichi tiran-
nicidi Armodio e Aristogitone; parla con simpatia della lotta di Bruto il Vec-
chio e di Bruto il Giovane, di Cassio e di altri (senza cogliere, naturalmente,
il nocciolo classista della loro lotta), ma questo non significa che La BoŽtie
richiami al tirannicidio o al regicidio come a un programma pratico di azione,
come a un mezzo per liberare i popoli dalla servit•. Egli sa perfettamente che
111
il regicidio non porterebbe al fine desiderato, sa anche che con il nome santo
della libertˆ pi• di una volta si sono camuffate le mire di ambiziosi che
rovesciarono una tirannia per sostituirla con un nuovo dispotismo.
In tal caso, dove vedeva La BoŽtie la via dÕuscita? Quale strada traccia-
va per sbarazzarsi della tirannia? La BoŽtie, come molti altri umanisti, ripo-
neva particolari speranze nella forza della ragione, che tanto esaltava, e nel-
la crescita della cultura. Vi dovevano giocare un ruolo centrale e di primo
piano le singole persone illuminate, nei cuori delle quali non si era spento
lÕamore naturale per la libertˆ. Questi singoli amanti della libertˆ, dopo aver
superato tutti gli ostacoli frapposti dalla tirannia e aver unito le forze, saran-
no capaci con il loro lavoro illuministico di aprire gradualmente gli occhi al
popolo, # quando verrˆ il momento, il popolo dirˆ il suo potente e decisivo
ÇnoÈ, che porrˆ fine alla servit• di milioni.
Non siamo ancora giunti tuttavia alla fine del trattato di La BoŽtie. [É]
Ci imbattiamo in una nuova svolta, o pi• precisamente un completo muta-
mento di rotta del pensiero di La BoŽtie. Giungiamo ora, dice La BoŽtie, al
punto che • il ÇsegretoÈ e lÕarma principale della tirannia. Non si tratta del-
la forza armata, della guardia che spesso ha deposto i tiranni. La BoŽtie ri-
vela cos“ il suo pensiero recondito: Çnon sono [É] gli squadroni di cavalie-
ri, non sono le schiere di fanti [É] a difendere il tiranno. [É] Sono sempre
quattro o cinque che mantengono il tiranno, quattro o cinque che gli tengo-
no lÕintero paese in servit•È. I tiranni hanno sempre avuto cinque o sei sca-
gnozzi, complici delle violenze, delle ferocie e della dissolutezza. A questi
sei favoriti risultano legate dai propri interessi seicento persone di rango
inferiore che godono delle loro grazie, da cui a loro volta dipendono seimila
altre persone, i diversi governatori delle province, i responsabili delle finan-
ze, e sempre pi• gi•, abbracciando alla fine milioni di persone interessate
alla tirannia. E come risultato, con le parole di La BoŽtie, Çil numero di per-
sone a cui la tirannia sembra vantaggiosa risulta quasi uguale a quello di chi
preferirebbe la libertˆÈ. Riassumendo questa nuova concezione della tiran-
nia, La BoŽtie la formula cos“: Çil tiranno rende i sudditi lÕuno servo del-
lÕaltroÈ25. [É] Abbiamo giˆ accennato alla nuova svolta, o al rivolgimento,
del pensiero di La BoŽtie. In effetti, qual era la posizione dellÕautore
allÕinizio del Discorso, quando descriveva il quadro della servit• volon-
taria? Di fronte a noi cÕ• la societˆ spaccata in due parti assolutamente non
equivalenti: da una parte il singolo tiranno, al quale • contrapposta, dal-
lÕaltra parte, tutta la massa della popolazione, vittima rassegnata di unÕabi-
tudine secolare, affascinata dal nome dÕUno, ma capace, quando saranno
25
Ibidem, pp. 59-60, 60, 61.
112
svaniti gli incantesimi e si risveglierˆ in essa il naturale, sopito istinto della
libertˆ, di abbattere lÕedificio della tirannia con il suo solo rifiuto. Nelle
ultime pagine del Discorso invece la societˆ ci si presenta come divorata da
un profondo antagonismo sociale, che la spezza in due parti quasi pari e
nemiche lÕuna allÕaltra. Non •, per la veritˆ, una differenziazione di classe,
ma in ogni caso • la disgregazione della societˆ in oppressi e oppressori;
per di pi• questi ultimi formano a loro volta una piramide, una scala
gerarchica (una Çbanda di gangsterÈ, come la chiama uno degli autori con
un linguaggio moderno26), la cui cima • costituita dal tiranno, dal-
lÕautocrate.
Parlare di servit• volontaria in questo caso non • opportuno: si tratta di
una servit• quasi costretta, e non a caso lo stesso La BoŽtie indica che il ti-
ranno tiene in servit• una parte della popolazione con lÕaiuto dellÕaltra. In
qualsiasi modo si interpreti la piramide sociale di La BoŽtie, che vi si veda,
con alcuni autori, lÕapparato burocratico dello Stato centralizzato, o piutto-
sto la moltitudine di altri individui che godono di privilegi e vantaggi e go-
vernano individui e gruppi, • comunque chiaro che il potere di uno in que-
sto caso ha una base solida e che non si deve contare sul suo rovesciamento
attraverso il ÇnoÈ generale. E perci˜ non cÕ• da meravigliarsi se nel capo-
verso che conclude cos“ inaspettatamente il Discorso sulla servit• volonta-
ria, La BoŽtie ci invita a levare gli occhi verso il cielo e affidarci al castigo
divino del tiranno: al posto dei modi terreni di lotta con gli oppressori degli
uomini, non resta che da contare sullÕaiuto delle forze celesti.
In questo modo il Discorso sulla servit• volontaria di La BoŽtie soffre
di una radicale contraddizione, fornendo due diverse concezioni della servi-
t• politica dei popoli. Ma questa contraddizione, attenuata dallÕesposizione
eloquente e focosa, balza agli occhi solo quando si inizia a riflettere sulla
costruzione teorica dellÕautore.
26
Harry Kurz, nella cui edizione americana il testo del Discours • accompagnato da brevi titoletti volti
a riassumere e attualizzare i singoli paragrafi. Kogan-Bernshtejn si riferisce allÕespressione Çall
gangstersÈ (cfr. ƒ. de La BoŽtie, Antidictator, cit., p. 44).
113
le masse popolari con tutte le sciagure la cui storia, secondo le parole di
Marx, Ç• scritta negli annali dellÕumanitˆ a tratti di sangue e di fuocoÈ 27.
Qual era lÕintenzione di La BoŽtie quando ha scritto il Discorso sulla
servit• volontaria? Raccontando della lotta che scoppi˜ dopo la morte di La
BoŽtie attorno alla pubblicazione della sua opera, ci siamo convinti che giˆ
i suoi contemporanei si divisero sulla concezione del carattere del Discorso
sulla servit• volontaria, e che giˆ nel secolo XVI sorsero le due fondamen-
tali interpretazioni che, con ovvi cambiamenti, dominano ancora oggi nella
letteratura su La BoŽtie. Gli ugonotti, che lo pubblicarono allÕinizio parzial-
mente e poi integralmente, lo usarono come un pamphlet politico militante
diretto contro lÕassolutismo che si stava rafforzando. $ la testimonianza di
Montaigne, travisata di conseguenza, serv“ come fondamento di molte
interpretazioni scorrette. Senza riportare un lungo elenco degli autori bor-
ghesi che hanno cercato di falsificare lÕimmagine di La BoŽtie e di presen-
tare il suo trattato come un semplice esercizio di scuola su un tema assegna-
to, ci soffermeremo soltanto su due esempi di questa valutazione tanto fuor-
viante del pamphlet: Sainte-Beuve e Armaingaud. Proprio Sainte-Beuve ha
dato inizio alla falsa accusa, che poi hanno rifischiato in ogni modo i suoi
seguaci borghesi: il trattato di La BoŽtie, assicura Sainte-Beuve, • Çuna de-
clamazione classica, il capolavoro di uno studenteÈ28. [É]
Tali sono le interpretazioni a cui si • attenuta fino ai nostri giorni, con
ovvie variazioni, la maggioranza dei lettori borghesi, cercando in tutti i mo-
di di sminuire il significato politico del trattato di La BoŽtie. LÕunico tenta-
tivo che meriti una seria attenzione di ristabilire il significato autentico del
Discorso sulla servit• volontaria appartiene al comunardo Vermorel. [É]
Senza alcun dubbio il Discorso sulla servit• volontaria non • un talen-
tuoso esercizio letterario sul tema ritrito del carattere nocivo della tirannia.
Si tratta di unÕopera seria e sincera, in ogni riga della quale si sentono lÕo-
dio per il dispotismo, per la monarchia in generale, e lÕamore per la libertˆ,
che • un patrimonio naturale di tutti gli uomini. Bisogna con ci˜ notare che
la libertˆ, che La BoŽtie ritiene una proprietˆ naturale di ogni essere umano,
non ha nulla in comune con la libertˆ a cui si appellavano i rappresentanti e
gli ideologi della nobiltˆ ereditaria e della signoria feudale, e che significa-
va in quel caso la libertˆ come privilegio feudale della classe dominante. In
La BoŽtie la libertˆ, come anche lÕuguaglianza, basandosi sulla ragione e
sulle sagge leggi di natura, ricorda in modo sorprendente la glorificazione
della libertˆ in Rousseau e risuona come unÕanticipazione delle parole dÕor-
dine borghesi della Rivoluzione francese.
27
K. Marx, Il Capitale, libro I, Einaudi, Torino 1978, p. 881.
28
C.A. de Sainte-Beuve, Causeries du Lundi, Garnier, Paris 1857-1862, vol. 9, p. 144.
114
Con geniale preveggenza, Tolstoj, appena ebbe conosciuto lÕopera di La
BoŽtie, colse tutta la falsitˆ del tentativo di farne un esercizio di retorica:
ÇChe sciocchezza! Ð si indign˜ Lev Nikolaevich a questo proposito Ð.
Quello era proprio un giovane che non si era ancora istupidito con la scien-
za e non aveva ancora creduto al governoÈ.
29
Nel massacro di Daraya, risalente ai giorni 20-26 agosto 2012, sono state uccise pi• di seicento per-
sone. La responsabilitˆ del massacro non • stata accertata (sono stati accusati variamente terroristi fi-
nanziati dallÕestero, il Free Sirian Army, le forze lealiste di Assad), nŽ • stato redatto un bilancio uffi-
ciale delle vittime. Cfr. L. Trombetta, Siria. Dagli ottomani agli Asad. E oltre, Mondadori Universitˆ,
Milano 2013.
115
di ogni male. La visione ÇdeterministicaÈ (Dio • creatore di tutte le cose,
ed • quindi responsabile del male nel mondo) tende a deresponsabilizzare
gli individui, a fargli dimenticare Çche la loro sorte • nelle loro maniÈ. In
secondo luogo, lungo il solco tracciato da Tolstoj e Gandhi, Said legge il
Discours in chiave nonviolenta: combattere il potere con la violenza signi-
fica riconoscere la forza come principio dÕazione, e perpetuare cos“ il siste-
ma della coercizione. Bisogna invece Ð ed • a questo a cui mirano, secondo
Said, sia il Corano sia il Discours Ð rendersi conto della Çforza della lo-
gicaÈ, secondo il cui principio Çbasta crederci per liberarsiÈ.
Jawdat Said30
Introduzione
30
ƒ. de La BoŽtie, Maq#la f$ al-Ôub%diyya al-mu&t#ra, introduzione di %awdat SaÔ&d, traduzione di
Mu'(af) *afw)n, D)r al-Õ)f)q wa-al-Õanfus, Dima+q 2000. Nella traduzione e nellÕinterpretazione dei
passi qui pubblicati ci siamo avvalsi della consulenza preziosa di Maurizio Bagatin (docente di Lingua e
Letteratura Araba dellÕUniversitˆ di Bergamo) e dellÕaiuto, paziente e davvero insostituibile, di Nour
Eddine Taha, Abdellah Gargati e Shady Hamadi: a tutti loro vanno i nostri ringraziamenti.
31
Il Corano, traduzione, introduzione e commento di A. Bausani, Sansoni, Firenze 1961.
116
delle conseguenze senza cercare un capro espiatorio o imputare lÕerrore e la
disobbedienza ad altri. Dobbiamo anche considerare come ci viene descritta
la condizione di Satana nel momento in cui si rifiuta di prosternarsi [di
fronte ad Adamo]. Il Corano menziona due questioni, una filosofica e una
analitica, come spiegazione del suo atteggiamento di rifiuto: Çio sono mi-
gliore di lui: me Tu creasti di fuoco e lui creasti di fango!È (Corano VII,
12). Questa spiegazione genetica che esalta la sua origine corporea • la
spiegazione materiale. Quanto a quella spirituale, che si basa sul rifiuto del-
la responsabilitˆ, il Corano dice: ÇpoichŽ tu mi hai fatto errare, io mi appo-
ster˜ sulla Tua Via DrittaÈ (Corano VII, 16). La seconda • la spiegazione
deterministica che preserva la persona e attribuisce la causa del rifiuto di
Satana a Dio, creatore di ogni cosa. Quando riflettiamo sul senso del rac-
conto coranico di quellÕevento, ci appare chiara la ragione della maledizio-
ne e della cacciata d'Ibl&s 32, cos“ come ci appare chiara la ragione per cui
Adamo, la sua sposa e la loro discendenza furono scelti [da Dio] come vi-
cari sulla terra. Essi infatti se ne assunsero la responsabilitˆ e accettarono la
sfida, anche se noi esseri umani in generale non abbiamo ancora acquisito il
senno, nŽ abbiamo smesso di accettare la spiegazione d'Ibl&s per quanto ac-
cade nel mondo. Non vÕ• nessuno che avverta la responsabilitˆ della corru-
zione che si consuma sulla terra, ma solo chi la imputa agli altri.
Dio ha creato lÕuomo, la cui sorte • nelle proprie mani. Questa • una via,
una rotta che allÕuomo conviene non smarrire. LÕimportanza filosofica del
Discorso risiede nellÕattenzione che presta a questo lato rilevante dellÕesse-
re umano, giacchŽ si tratta di [una] questione umana: Çcerto prospererˆ chi
la contemplerˆ Ð e perirˆ chi la corromperˆÈ (Corano XCI, 9-10); ÇperchŽ
Iddio non muta mai la sua grazia ad un popolo, avanti chÕessi non mutino
quel che hanno in cuoreÈ (Corano XIII, 11). E la questione ritorna sempre
innanzitutto agli uomini. Il Corano tuttavia lo stabilisce molto bene attra-
verso il richiamo di tutti i profeti a questa via, anche se gli uomini lÕhanno
smarrita, rinunciando ad assumersi la [propria] responsabilitˆ, come fecero
Adamo e la sua sposa, e continuano a seguire le orme di Satana, sebbene
Dio affermi: Çin veritˆ sui Miei servi tu non avrai potere alcunoÈ (Corano
XV, 42). Il potere di Satana ricade soltanto su coloro che lo seguono. In re-
altˆ, fino ad ora, le filosofie politiche e sociali non hanno ben compreso
questo tema nŽ lo hanno spiegato chiaramente.
Credere nella forza ci fa cadere in due errori. Il primo [errore] • che noi
tentiamo di affrontare la forza con la forza. In questo modo faremmo del
32
Altro nome per Satana.
117
nostro punto di partenza e del nostro punto di arrivo una cosa sola e del no-
stro credo un credo solo, insieme con colui [che • solito usare la forza per
affermarsi]. Attendiamo che ci sopraggiunga una forza cos“ da essere come
lui. Dimentichiamo tuttavia che lÕaffermazione attraverso [lÕuso del]la forza
non fa cambiare la realtˆ, perchŽ quella che subentra • come quella che sva-
nisce, non • diversa da essa.
In primo luogo, la logica lo esclude. In secondo luogo, il nostro credere
nella forza ci impedisce di cogliere la forza della logica, del diritto e della
giustizia; non comprendiamo pertanto che nella logica, nel diritto e nella
giustizia • insita una forza pi• grande, quando [invece] basterebbe crederci
per liberarci. Ma non lÕabbiamo [ancora] svelato!! Questo Discorso intende
porre lÕattenzione su una parte di tutto ci˜. Io, in quanto musulmano e cre-
dente nel Corano e nei profeti, percepisco molto bene che • lÕillusione che
ci governa e ci sottomette. é lÕillusione che ci domina. Non si • ancora tro-
vato fra di noi chi sciolga lÕincantesimo, cosicchŽ guariamo dalla malattia
dellÕillusione.
La BoŽtie vuole attirare lÕattenzione della gente su questo incantesimo,
ma noi dobbiamo chiarire maggiormente tutto questo e renderlo un fatto
evidente.
118