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RELAZIONI INTERPERSONALI

MODULO 7

LEZIONE 28
L'assertività
L'assertività è un'abilità sociale considerata una competenza trasversale appresa attraverso
esperienze sociali e relazionali positive fin dalla nascita, ma comunque sviluppabile anche in
età adulta.
Per definizione l'assertività è quella capacità che ci consente di elaborare risposte all'esterno
che sono in grado di inibire lo sviluppo di stati d'ansia e , poiché il nucleo centrale si trova
nelle sollecitazioni appartenenti alla sfera delle relazioni interpersonali, è importante che tali
risposte risultino socialmente adeguate e quindi in grado di favorire o permettere il nostro
inserimento nella collettività.
L'acquisizione deve essere tale da:
• soddisfare le nostre necessità e i nostri bisogni emotivi, sociali e biologici
• consentirci di esprimere il nostro mondo interiore in una relazione
L'assertività ci consente anche di affermare le nostre doti personali, mantenendo una relazione
positiva con gli altri e consentendoci di sentirci realizzati.
Ci dà la possibilità di intervenire su quegli aspetti della nostra vita di relazione che
maggiormente ci creano disagio e a volte sofferenza.
Riusciamo quindi a inibire i nostri stati ansiosi, comportarci in maniera appropriata in ogni
situazione e vivere bene all'interno di una collettività.
Il comportamento assertivo si precisa in una relazione a due comportamenti estremi che
vengono definiti anassertivi, di tipo passivo e di tipo aggressivo.

ASSERTIVO ----------------------------------------- ANASSERTIVO


Vasta gamma di comportamenti

I confini vengono definiti di volta in volta da fattori come la situazione specifica, il nostro
vissuto soggettivo, il nostro tempo di reazione e la nostra coerenza nel comportamento
perpetuato.
La relazione tra l'essere anassertivi o assertivi si fonda sul senso di valore personale, nonché
sulla considerazione ed il rispetto di se stessi.
Le competenze sono scarse in caso di due individui anassertivi. Il passivo reprimerà i propri
desideri, mentre l'aggressivo imporrà i propri minimizzando e disconoscendo il valore altrui.
Le competenze sono adeguate nel caso di almeno un individuo assertivo, che rispetta se stesso
e gli altri nel perseguire i propri scopi.
Risulta quindi fondamentale riuscire a far riconoscere all'altro i propri diritti come necessare
alla propria sopravvivenza sociale.
Ognuno di questi diritti si presenta alla coscienza sotto forma di pensiero automatico,
impositivo nell'aggressivo e svalutativo nel passivo.
Alla base dei pensieri automatici ci sono le credenze che possono esprimersi nella modalità
SE......ALLORA
Ad esempio: se ho il diritto di dire no, allora sono io che comando gli altri o se dico di no,
allora sono una persona poco amabile.
Questi comportamenti persistenti e disfunzionali sono appresi in passato all'interno di contesti
significativi e ben radicati, ma c'è un nucleo ancora più profondo in grado di alimentare
credenze e pensieri automatici negativi: lo schema.

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Il soggetto passivo
Il soggetto passivo tende a dare risposte inadeguate generando frustrazione, insicurezza, senso
di colpa, ansia, isolamento e inibizione.
Non riesce ad attuare gli scopi che sottostanno ai comportamenti, evitando atti d'offesa e
prevaricazione dell'altro. Spesso confonde una presa di posizione per aggressività, non
riconosce e non accetta i propri limiti.
Questo modo di interagire si spiega con la paura che un atto affermativo comporti
conseguenze negative e porta il soggetto passivo a discostarsene quanto più possibili.
L'individuo passivo è carente nelle abilità comunicative sia verbali che non verbali e agisce
sulla base del principio di compiacere gli altri ed evitare il conflitto ad ogni costo.
Le conseguenze di questo comportamento sono varie: viene ingannato dall'illusione di evitare
stati di ansia e contestualmente dall'illusione di conquistarsi l'approvazione dell'altro.
È un soggetto che somatizza, perde facilmente la propria autostima e prova sensi di rabbia
importanti senza esprimerli.
È una persona che non dice mai no e che, nelle rare occasioni in cui lo fa, risulta manipolabile
al senso di colpa, questo avviene a causa di un misconoscimento dei propri diritti.
Non a caso una persona passiva passa da questo estremo a quello del passivo-aggressivo, tale
aggressività può esplodere all'esterno portando sensi di colpa (all'interno) o diversi disturbi da
somatizzazione o da discontrollo degli impulsi.

Il soggetto aggressivo
Questo soggetto fornisce risposte imprevedibili, sproporzionate allo stimolo e tende a non
rispettare gli spazi altrui, a confondere la gentilezza e l'educazione come prova di passività.
Pensa che un atto non aggressivo non gli consentirà di raggiungere i suoi scopi.
Come il soggetto passivo, è carente nelle abilità comunicative, ritenendo i propri bisogni e
desideri come indispensabili e più importanti di quelli degli altri.
Come conseguenza, il soggetto aggressivo non comprende che la dignità propria e quella
dell'altro meritano lo stesso rispetto. Questo meccanismo determina una condizione di
isolamento e solitudine che si configura a volte in esiti depressivi.
L'isolamento viene considerato una conseguenza necessaria, mentre la collaborazione o il
senso d'amicizia passano in secondo piano, montando una grossa difesa sociale difficile da
abbattere.

Il modello più comprensivo in grado di spiegare il meccanismo di formazione e


consolidamento del comportamento anassertivo è quello che si basa principalmente sul
pensiero preconcetto e sulla falsa conoscenza della vera natura dell'ansia.

Quest'emozione, che è solo la naturale risposta a stimoli di minaccia più o meno reali,
preclude la possibilità ad un accomodamento emotivo e genera nella persona una risposta di
evitamento alla stessa.
I miti e le idee irrazionali sono parte integrante degli schemi, nutrono le credenze ed
alimentano pensieri negativi.

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Le idee irrazionali disturbanti
Le idee irrazionali disturbanti sono ritenute responsabili di atteggiamenti e comportamenti
anassertivi:
1. È necessario essere amato ed approvato da quasi tutti in quasi tutto ciò che faccio.
2. Bisogna essere totalmente esperti, adatti ed efficienti sotto ogni possibile aspetto.
3. Certe persone sono cattive o inferiori e devono essere castigate o accusate.
4. È terribile che le cose non vadano come desiderato.
5. È più facile sfuggire a molte difficoltà e responsabilità della vita.
6. Il passato è di assoluta importanza: se una volta qualcosa ha danneggiato la vita di
qualcuno continuerà a farlo indefinitamente.
7. La gente e le cose dovrebbero essere diversi da come sono ed è catastrofico non
trovare immediatamente soluzioni perfette per le sgradevoli realtà della vita.
8. Il massimo della felicità si può ottenere attraverso l'inerzia e l'inazione o
auto-compiacendosi di se stessi, passivamente e senza impegnarsi.
9. Ci si deve infastidire molto per i problemi e i turbamenti degli altri.
10. Si deve avere qualcuno più forte di noi in cui confidare e da cui dipendere.
Nei soggetti anassertivi queste idee vengono considerate legittime e necessarie alla
sopravvivenza.

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LEZIONE 29
La metacognizione
La metacognizione è una risorsa fondamentale che ognuno di noi possiede e ci consente di
capire e valutare i nostri stati mentali e quelli degli altri.
Per stati mentali si intende un insieme di sentimenti, convinzioni, intenzioni e desideri che ci
consentono di pensare e compiere riflessioni sul proprio ed altrui comportamento.
In età adulta si diventa gradualmente capaci di attuare il comportamento più appropriato, per
rispondere in modo adattivo ai singoli scambi interpersonali.
La metacognizione è caratterizzata da due componenti principali: la componente autoriflessiva
e la componente interpersonale.
La funzione di queste componenti è quella di aiutarci a distinguere la realtà interna da quella
esterna, i processi intrapsichici da quelli relazionali.
Nella prima infanzia lo sviluppo metacognitivo dipende dalla qualità delle relazioni
interpersonali tra il bambino che si prende cura di lui (solitamente la madre).
La cosiddetta mentalizzazione fa parte di un processo intersoggettivo tra bambino e adulto di
riferimento, sulla base di come l'adulto (la madre) risponde ai bisogni affettivi del bambino,
riconoscendoli prima ed esaudendoli in un secondo momento, il bambino impara a conoscere
ciò che prova.
Il rispecchiamento della madre diviene una rappresentazione dell'esperienza del bambino.
Una relazione positiva tra madre e figlio è determinante per l'acquisizione e lo sviluppo della
metacognizione.
Nel caso la madre fornisca una risposta inadeguata, ad esempio potrebbe reagire al pianto del
bambino aggredendolo e urlandogli di smetterla, il bimbo si sentirebbe spaesato, e in lui
aumenterebbero paura e pianto. Nel tempo il bambino si troverà a vivere in un contesto
relazionale in cui le proprie emozioni ed esperienze vengono frequentemente criticate e
bloccate e da adulto ignorerà le proprie sensazioni interiori fino a non percepirle neanche, con
il rischio di vivere delle problematiche nell'ambito della sfera delle relazioni interpersonali.
Se la madre non offrisse, invece, alcuna risposta alla reazione del bambino e ignorasse il senso
di paura e il pianto correlato (questo comportamento si definisce assenza di rispecchiamento
dell'esperienza) il bimbo passerà dallo stimolo alla risposta reagendo in modo automatico
senza effettuare una valutazione psicologica dell'evento. Da adulto rischierà di non essere in
grado di collegare le emozioni che sperimenterà agli aventi e alle valutazioni che le hanno
scaturite, incorrendo in difficoltà di gestione e controllo delle emozioni nell'ambito delle
relazioni.

I deficit
Data l'importanza della mentalizzazione (sia in direzione interna che esterna) un deficit in
quest'ambito causa una grande vulnerabilità a livello affettivo e sociale.
Tra le conseguenze più note:
• ridotta comprensione dell'altro
• incapacità nel contestualizzare l'evento
• umore mutevole
• ingigantimento dei segnali affettivi e risposte imprevedibili
• difficoltà nel problem solving
Quando le relazioni non funzionano spesso accade di trovarsi in difficoltà a descrivere il
proprio mondo interiore, con delle serie difficoltà nel comprendere cosa pensano e sentono gli
altri.
La nostra vita affettiva è rappresentata da un insieme di aspettative su come gli altri
risponderanno ai nostri bisogni e ai nostri segnali. Per convenzione queste aspettative vengono
chiamate schemi interpersonali.

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Quando gli schemi interpersonali sono disfunzionali può accadere che si soffra ancora prima
di farne esperienza, semplicemente perché abbiamo immaginato così la relazione, come
sofferta, oppure può accadere di avere dei comportamenti che da un lato ci impediscono di
realizzare i nostri desideri, dall'altro non inducono gli altri a rispondere in modo positivo.
Un utilizzo consapevole delle proprie capacità metacognitive consente di:
• Migliorare la metacognizione ovvero la capacità di comprendere pensieri ed emozioni
e comprendere cosa gli altri pensano, provano e cosa li spinge ad agire, oltre ad
utilizzare la conoscenza sul nostro mondo interno per avere una vita sociale realizzata,
piena di senso e attiva.
• Comprendere quali sono gli schemi interpersonali che guidano le azioni.
• Comprendere quali siano le strategie che l'altro adotta per calmare le emozioni
negative.

LEZIONE 30
Il conflitto
Le nostre relazioni interpersonali ci richiedono la capacità di accettare e gestire ciò che è
diverso da noi stessi: questo porta inevitabilmente il conflitto ad ad assumere una posizione
centrale nella nostra esistenza.
Le dinamiche che si attivano nell'innescare i conflitti e nel farli crescere di intensità possono
essere diverse e molti sono gli approcci interpretativi: da quelli che sottolineano l'importanza
del mondo interno e dei processi inconsci, a quelli che evidenziano il ruolo della violenza
strutturale o culturale nei comportamenti conflittuali.
Si dovrebbe pensare all conflitto come una risorsa, all'interno della costruzione di relazioni,
dove la diversità assume un ruolo centrale. Risulta comunque difficile capire le ragioni degli
altri e accettare le divergenze.
Occorre riuscire a posizionarsi all'interno del conflitto vivendo ogni diversità come un
momento di crescita.
Il conflitto nasce dalla diversità: la diversità diventa un elemento evolutivo in ogni relazione
bisognerebbe evitare di determinare posizioni per vincitori e vinti.
Relazionarsi in modo costruttivo significa conoscere emozioni, sentimenti e tutti quei processi
comunicativi che noi e gli altri attiviamo ogni giorno nelle relazioni.
Un esempio di non accettazione di sé:
questa dimensione conflittuale può agire su diversi piani alimentando discriminazioni.
Riportare il tutto esclusivamente al nostro mondo interiore risulta riduttivo, le nostre ottusità
culturali favoriscono i contrasti.
Incorriamo in tal modo in due rischi:
• nascondere quelle parti di noi che non corrispondono ad un valore positivo
• giudicare negativamente quello che proviene dalle altre culture, creando un reciproco
rifiuto
Risulta quindi indispensabile soffermarci sulla stretta connessione tra la comunicazione
intra-personale (la relazione con se stessi) e quella interpersonale (la relazione con gli altri).
Abbiamo degli strumenti per gestire il conflitto:
1. Comunicare con gli altri significa innanzitutto comunicare con se stessi.
2. Il processo comunicativo è innescato dalla necessità di esprimere un nostro bisogno,
considerando che ognuno di noi si esplicita attraverso le dimensioni fisico-energetica,
emotiva, razionale e spirituale.

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3. Ogni comportamento individuale interferisce e modifica il sistema di riferimento
nonostante i suoi tentativi omeostatici di conservazione.
Per forza omeostatica di un sistema si intende la sua propensione a rimanere uguale a
se stesso.
Quando il sistema è sano questa forza coesiste con quella di trasformazione ed
evoluzione, quando non è sano il sistema non cambia, resta uguale non permettendo a
nuovi fattori di intervenire.
Un sistema in cambiamento è l'unico che può definirsi in continua evoluzione verso
una condizione di benessere.
4. Nella comunicazione/relazione ognuno di noi parte dalle proprie premesse, dai propri
condizionamenti ed è indispensabile cercare altri punti di vista per comunicare
realmente e profondamente con l'altro.
Per raggiungere questo obiettivo occorre comprendere le ragioni altrui e creare le
condizioni affinché un rapporto si alimenti anche nella divergenza.
Il conflitto è quindi un'opportunità di trasformazione che consente al conflitto-risorsa
di prendere il posto del conflitto-minaccia.

Dobbiamo quindi evitare atteggiamenti finalizzati a far sparire i disagi e ad evitare i conflitti.
La consapevolezza e la competenza nel leggere, accettare e trasformare le proprie emozioni è
di vitale importanza nelle gestione delle dinamiche conflittuali quotidiane.
L'educazione emotiva è pertanto mezzo e fine per uno sviluppo adeguato della personalità e
per favorire il benessere psicofisico.
Per determinare in noi stessi un cambiamento è dunque importante agire sulle emozioni,
attraverso un processo di familiarizzazione, ciò faciliterà i cambiamenti dell'umore che, a loro
volta, si stabilizzeranno in un temperamento.

Le fasi del conflitto


Sulla scia delle proposte di Ellis e Di Pietro, le fasi strutturali del conflitto sono:
1. il riconoscimento delle emozioni
2. la loro accettazione senza giudizio
3. la scissione tra pensieri ed emozioni
4. la trasformazione dei pensieri inquinanti o sifunzionali
5. l'attuazione di nuovi modi di pensare
Spesso tendiamo ad abolire il conflitto, si può cambiare prospettiva prendendo atto
dell'esistenza di una situazione critica chiedendo magari la collaborazione dell'altro per
gestirla.
Per gestire un conflitto è fondamentale la gestione del tempo, ovvero bisogna evitare le
reazioni immediate ed istintive, e la comunicazione delle proprie emozioni.
L'espressione dei bisogni all'origine dei sentimenti è necessaria, le azioni degli altri possono
essere il fattore scatenante, non la causa dei nostri sentimenti, che invece hanno origine nei
nostri bisogni.
I messaggi vanno enunciati in prima persona, un'affermazione personale esprime qualcosa di
noi stessi senza colpevolizzare e criticare l'altro.
Bisogna evitare di reagire ad uno stimolo se lo riteniamo una provocazione e bisogna
rispettare i contenuti del conflitto, evitando di generalizzare e piuttosto discutere dei fatti
concreti.
Si deve sospendere il giudizio sperimentando la critica costruttiva, in quanto il giudizio
produce reazioni di difesa, resistenza e rifiuto, mentre l'osservazione si limita a descrivere ciò
che accade.
Infine bisogna porre domande aperte e formulare richieste specifiche.

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LEZIONE 31

Come e perché cambiano i bisogni e le regole dei rapporti interpersonali


Il paradosso relazionale
Ci troviamo in una fase di transizione in cui le persone credono sempre meno ai vecchi valori
e hanno nuovi bisogni da soddisfare.
I vecchi valori e i vecchi modelli di comportamento sono crollati o stanno crollando, ma non
sono ancora emersi nuovi schemi e nuove regole.
Si crea pertanto un paradosso: si continuano ad applicare i vecchi modelli comunicativi alle
nuove situazioni e tutto ciò non produce un esito positivo, anzi crea grande frustrazione ed
irritazione.
Non solo non si riesce a soddisfare i nuovi bisogni e aspettative, ma addirittura spesso si
ottiene l'effetto opposto.
Ogni avvenimento però, anche il più buio, porta con sé aspetti di disagio e di risorsa.
Per non perdere di vista la bellezza della vita a causa dei piccoli intoppi di ogni giorno
possiamo:
1. Incaricare qualcuno di farci notare tutte le volte in cui esprimiamo una critica o una
lamentela
2. Prestare attenzione al nostro corpo e alle sensazioni
3. Imparare a spostare la nostra attenzione su ciò che è positivo
4. Esercitare la gratitudine
5. Restituire agli altri, notandone le risorse e concentrandoci sugli aspetti positivi
L'uomo è dotato di valore semplicemente perché esiste, perché è e non per una buona
prestazione estrinseca (valore intrinseco), il suo valore estrinseco è un concetto estremamente
relativo.
I pensieri, emozioni e comportamenti sono, né un valore positivo, né un valore negativo.
L'errore sta nel trasferire alla natura intrinseca di se stessi valutazioni o giudizi che invece
riguardano esclusivamente tali prestazioni estrinseche.
L'esistere di un uomo non è mai un processo statico, ma comporta la possibilità di un suo
divenire, cioè trasformarsi in qualcosa di diverso da ciò che egli è in un dato momento.
Gli esseri umani tendono a scopi piacevoli (sopravvivere, stare bene, massimizzare il piacere,
evitare o ridurre il dolore e la sofferenza) in una prospettiva di breve, medio e lungo termine.
È razionale ciò che favorisce il benessere a breve, medio e lungo termine; è irrazionale ciò che
va contro a sopravvivenza e benessere.
Ciò non significa evitare disagi, dispiaceri e dolori perché ciò potrebbe impedire di
raggiungere o realizzare scopi importanti e desiderati.
Esistono emozioni non accompagnate da qualche pensiero solo per qualche secondo. La
maggior parte delle emozioni si produce e si mantiene in strettissima relazione con i processi
di dialogo interno che si svolgono a livello più o meno consapevole. Sono soprattutto le
emozioni di interesse psicopatologico.
Le emozioni non possono avere una causa unica né un unico effetto, ma risultano in genere
originate da:
• processi senso-motori
• stimolazioni biofisiche mediate dai tessuti del sistema nervoso autonomo,
dell'ipotalamo e degli altri centri sottocorticali
• ricordo di emozioni precedenti
• processi cognitivi e di pensiero

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