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Università telematica Pegaso

Master in Coaching umanistico e programmazione neuro-


linguistica

Rashōmon: verità, ambiguità e credibilità.

a.a. 2020/2021 Luana Rossini

1
A mia madre,
donna schietta e sincera,
custode dei miei ricordi.

2
Sommario

IL FILM ............................................................................................................................................................... 4
Trama: verità o menzogna? ............................................................................................................................ 4
L’ambiguità: il concetto di Aimai..................................................................................................................... 8
LA CREDIBILITA’ - Un excursus........................................................................................................................... 9
Che cos’è la credibilità? .................................................................................................................................. 9
La credibilità come relazione..........................................................................................................................10
Le radici della credibilità ................................................................................................................................11
Le dimensioni della credibilità ........................................................................................................................13
I ruoli dell’emittente ......................................................................................................................................15
I caratteri della credibilità e la reputazione ....................................................................................................16
Credibilità e fiducia ........................................................................................................................................20
La “parvenza” di sincerità: quando la credibilità è decisiva? ..........................................................................21
Il potere delle parole: conclusione ..................................................................................................................21
BIBLIOGRAFIA .................................................................................................................................................. 23

3
IL FILM

Trama: verità o menzogna?

“Hanno mentito tutti e tre!”.


Sono le parole che esterna furibondo il boscaiolo, uno dei protagonisti del
film Rashōmon del 1950 del regista Akira Kurosawa, primo film
giapponese a vincere il Leone d’Oro a Venezia nel 1951.

Quella del boscaiolo è una delle quattro versioni, tra loro incompatibili,
delle testimonianze raccolte per capire il mistero di una morte, per capire
cosa sia veramente successo e chi abbia veramente mentito.

Rashōmon (la Porta di Rashou) è un racconto breve di Ryūnosuke


Akutagawa ispirato ai racconti del Konjaku Monogatarishū1. La storia fu

1
Il Konjaku monogatarishū, letteralmente "Antologia delle avventure del passato e presente", è una raccolta di oltre
mille racconti (monogatari) scritti nel tardo periodo Heian (794-1185). Inizialmente la raccolta era composta da 31
volumi, di cui oggi se ne conservano 28. I volumi contengono opere di letteratura indiana, cinese e folclore
giapponese. I resoconti sull'esistenza dei racconti mancanti si trovano in forma di critica letteraria, che contribuisce a
ricostruire l'opera almeno in parte. Ogni racconto comincia con la formula “C'era una volta”. I volumi del Konjaku
monogatarishū sono divisi secondo il luogo in cui si svolge il racconto: i primi cinque contengono racconti ambientati
in India, i cinque successivi contengono racconti che si svolgono in Cina, mentre la sezione Honchō contiene i racconti
con ambientazione giapponese. La successione delle storie segue il percorso di diffusione del buddismo sino in
Giappone, per definirne le caratteristiche che qui acquisisce: fu in primo luogo l'India, infatti, a dare i natali al
buddhismo, che diventò poi molto popolare in Cina. La religione era già mutata quando, in seguito, raggiunse il
Giappone, che a lungo subì l'influenza della Cina e aggiunse parti rilevanti della sua cultura, costituendo un nuovo
buddhismo giapponese. L'argomento è tratto in gran parte dalla tradizione popolare buddhista e laica. Non sono
presenti accenni alla mitologia e le tematiche collegate allo shintoismo sono molto ridotte. I racconti buddhisti
toccano un'ampia gamma di soggetti sia di carattere storico (il tramandamento e la diffusione del buddhismo), sia di
carattere dogmatico (le punizioni imposte dal karma). I personaggi sono tratti prevalentemente dalla società
giapponese dell'epoca: aristocratici, guerrieri, monaci, studiosi, dottori, contadini, pescatori, mercanti, prostitute,
banditi, mendicanti. I racconti folclorici narrano soprattutto di contatti tra esseri umani e il soprannaturale: i
personaggi e le controparti soprannaturali sono Oni, che rappresenta il folclore, e tengu.
(https://it.wikipedia.org/wiki/Konjaku_monogatarish%C5%AB).

4
pubblicata la prima volta nel 1915, quando l'autore, che morì suicida,
aveva ventitré anni.
Il racconto narra che nella radura di un bosco viene trovato il cadavere di
un samurai. Davanti a un tribunale invisibile, cioè davanti al lettore (o allo
spettatore), sono chiamati a deporre due testimoni: il taglialegna, che ha
scoperto il cadavere, e un monaco, che quella mattina ha visto un
samurai e la moglie entrare nel bosco. In seguito depone anche il bandito
Tajomaru, da tempo ricercato e casualmente catturato dalla polizia, e una
parente della vittima (quest'ultima nel film non compare). Seguono,
nell'ordine, le “confessioni” dei tre protagonisti del fatto di sangue: il
bandito, che si autoaccusa del delitto, la donna del samurai e lo spirito del
samurai evocato da una maga. Ognuno dà una versione diversa dei fatti
ma, stranamente, si assume la responsabilità della morte del samurai,
facendone però ricadere la responsabilità morale su uno degli altri. Il
racconto si termina bruscamente con l'ultima confessione, senza
commenti: lo scrittore lascia al lettore il compito di districarsi nel labirinto
delle molte menzogne e delle mezze verità.
Il film, invece, inizia con l’inquadratura della maestosa Porta di Rashou in
rovina, flagellata da una pioggia diluviante, dove un taglialegna (o
boscaiolo) e un monaco aspettano che smetta di piovere. Il taglialegna è
scosso e il suo turbamento è percepibile perché ripete più volte “Non
riesco a capire”. Poco dopo si unisce un terzo uomo, un vagabondo in
cerca di riparo. È quest’ultimo che chiede, incuriosito dall’atteggiamento
dei due, cosa sia successo e gli viene riferito che si è appena concluso un
processo per omicidio. Il boscaiolo chiede al viandante di ascoltare la sua
storia, nella speranza che gli siano fornite risposte ai dubbi che
tormentano entrambi i testimoni che, per questo, sentono impellente il
bisogno di confidare le loro perplessità. Questo ideale “coro” a tre voci,
rappresenta tre spettatori tipo: l'idealista (il monaco), l'uomo semplice
che vuole capire (il taglialegna) e il pragmatico (il passante), che vuole
approfittare delle situazioni.
5
Dopo il taglialegna e il monaco, è un poliziotto che testimonia davanti al
magistrato. Al suo fianco c’è il bandito Tajomaru che rievoca l'antefatto:
dal momento che nessuno lo contraddice, significa che la sua versione
corrisponde alla verità. Kurosawa racconta una storia da tanti punti di
vista, tanti quanti sono i protagonisti: ci presta gli occhi degli interpreti (e
del testimone chiave, il boscaiolo), nel rievocare quattro volte di seguito
lo stesso evento. Il regista riesce a darci ogni volta delle variazioni così
nuove da indurci a credere che si tratti di quattro storie diverse. Coinvolto
intellettualmente ed emotivamente, lo spettatore segue le successive
manipolazioni della verità, “registrando e confrontando divergenze e
analogie, come se si trattasse di un giallo”2. Rashōmon non è una sorta di
thriller della verità, non è un film sul relativismo della verità ma
un'indagine sulla capacità che ha l'uomo di mentire, di mentire a se stesso
prima che agli altri3.
Perché e come mentono gli esseri umani, è l'interrogativo chiave che
pone Rashōmon: ognuna delle versioni che i protagonisti ci forniscono
mostra concretamente dove, come e perché si aggiusta la verità,
mentendo a se stessi e agli altri. Per difendere l'alta opinione che hanno
di loro stessi, per mostrarsi meglio di ciò che in realtà sono, confessano
non quello che è accaduto ma quello che avrebbero voluto fare, arrivando
all'assurdo di assumersi spontaneamente la responsabilità del delitto.
Come osserva lucidamente il più cinico dei tre che compongono il “coro”,
“ricordiamo solo quello che ci fa comodo, pronti a credere il falso quando
ci conviene”. “L'egoismo è il peccato originale dell'uomo” scrive Kurosawa
nel capitolo dell'Autobiografia consacrato a Rashōmon4. “Gli esseri umani
sono incapaci di essere onesti con se stessi, non sanno parlare di se stessi
senza abbellirsi”. Questo bisogno di manipolare la verità per sentirsi
migliori, sopravvive persino dopo la morte, perché anche il fantasma del
samurai ucciso non può rinunciare a mentire.

2
A ciascuno le sue menzogne (Rashōmon, 1950), di Aldo Tassone p. 51-58
3
ibidem
4
Un’autobiografia o quasi, Akira Kurosawa, 1981
6
Mentre nel racconto l’autore Akutagawa dà voce ai tre rei confessi senza
aggiungere nulla alle loro testimonianze, lasciando al lettore il compito di
coglierne le contraddizioni, Kurosawa, invece, arricchisce il film di
spiegazioni e interpretazioni del tutto false o ipotetiche, che disorientano
lo spettatore anziché aiutarlo a capire la verità dei fatti narrati. Se nel
racconto è già presente il metadiscorso, il regista lo “moltiplica per quanti
sono i narratori e i narratari rappresentati nel testo filmico”5.
Grazie alle tecniche cinematografiche (fotografia e montaggio) proprie del
cinema occidentale, lo spettatore si trova catapultato in un ambiente
tipicamente orientale che, come ha colto il critico cinematografico André
Bezin, lasciano lo spettatore incredulo ed evidenziano l’incapacità di
capire un evento: il “cortocircuito di senso” amplifica l’incomprensione6.
C’è, quindi, un disallineamento fra ciò che abbiamo a disposizione con la
vista e le reali ricadute di senso sulla conoscenza. Ci possiamo fidare,
allora, di ciò che vediamo con i nostri occhi? Gli psicologi della percezione
visiva darebbero una risposta affermativa e, come ha cercato di
dimostrare lo storico dell’arte Ernst Gombrich, di fronte a una situazione
visiva, film compreso, “chi osserva mette in pratica precise strategie volte
a gestire i molteplici impulsi sensoriali che riceve”7. Lo spettatore cerca
elementi costanti e reiterazioni per stabilizzare le immagini, le rielabora
quando non corrispondono a ciò che si attende, mette in pratica un
continuo “ricalcolo” di ciò che gli si presenta davanti agli occhi. In sintesi,
“percepisce selezionando solo le informazioni che sono tra loro coerenti e
che assicurano la funzionalità dello sguardo”8.

5
Marco dalla Gassa, Kurosawa Akira - Rashōmon , ed. Lindau, 2012, pag. 87
6
André Bezin, “L’Observateur”, 1952
7
Marco dalla Gassa, cit.
8
ibidem
7
L’ambiguità: il concetto di Aimai

È opportuno sottolineare, a questo punto, che nella cultura e nella


linguistica giapponese, l’ambiguità non è un concetto negativo, anzi. Il
termine Aimai designa quella “condizione in cui esiste più di un significato
possibile e che porta con sé mancanza di chiarezza, confusione e
incertezza”9. Aimai indica una serie di regole di comportamento e
comunicazione che pongono in una situazione privilegiata l’interlocutore,
al quale si attribuiscono doti straordinarie per capire il senso di una
comunicazione partendo dal linguaggio non verbale e dall’atmosfera
creatasi in quella situazione. È proprio grazie all’ambiguità che le opinioni
possono emergere spontaneamente e quindi, nelle differenti
testimonianze non ritroviamo ciò che possiamo facilmente riconoscere,
non riconosciamo le regole e i ruoli sociali che conosciamo e a cui siamo
legati. In più, sia Akutagawa sia Kurosawa, mettono in campo “un
accumulo di gesti troppo parlati, tali da disturbare le condizioni
dell’ascolto”10. Lo storico Davidson sostiene che “il film è pieno di rumori
e confusione”11. Anche Eugenie Brinkema12 lo conferma: “Rashōmon non
ragiona sulla verità o sulla relatività o sulla moltiplicazione della/e verità,
ma mette in discussione il concetto di interpretazione attraverso l’atto di
ricerca della verità, in primo luogo nel linguaggio. Non troviamo quello
che è stato chiamato <<effetto Rashōmon>>”13, piuttosto si deve parlare
più opportunamente di <<affetto Rashōmon>>. Tale affetto è il
sentimento vertiginoso del dubbio irrisolvibile”14.

9
Marco dalla Gassa nella traduzione di “The Japanese Mind: Understanding Contemporary Japanese Culture” di R.J.
Davies e O. Ikeno
10
Marco dalla Gassa, cit.
11
Marco dalla Gassa nella traduzione di “Rashōmon” di J. Davidson
12
Eugenie Brinkema, professore di Letteratura Contemporanea e media al MIT di Boston
13
<<Effetto Rashōmon>> è un’espressione di area anglosassone usata in varie discipline, dall’antropologia alle scienze
cognitive, dalla giurisprudenza alla sociologia, per individuare quelle situazioni in cui un medesimo fatto (testuale,
sociale, psicologico, ecc..) è raccontato da più punti di vista e prospettive. L’espressione è stata introdotta da Karl G.
Heider in “The Rashōmon Effect: when Ethnographers disagree” in American Anthropologist, 1988
14
Marco dalla Gassa nella traduzione di “The Fault Lines of Vision: Rashōmon and the man who left his will on film” di
E. Brinkema
8
A questo punto non vale più ciò che affermano gli psicologi della
percezione visiva, perché risulta ovvio che è meglio non fidarsi di ciò che
percepiscono orecchie e occhi. Allora, se non possiamo fidarci di immagini
e parole, ci possiamo fidare dei narratori?

LA CREDIBILITA’ - Un excursus

Che cos’è la credibilità?

È possibile che dica il vero chi è più credibile? Che siano, quindi, più
credibili il monaco e il poliziotto rispetto al boscaiolo e al bandito?
Facendo riferimento a Rashōmon la risposta è negativa o, quanto meno,
non c’è risposta ma, nella realtà delle regole comportamentali in cui
viviamo, soprattutto nei paesi in cui non vige alcuna sorta di Aimai, la
risposta tenderebbe sicuramente al positivo.
Ma cos’è la credibilità? Come si forma e perché ne possiamo godere? E,
se si perde, possiamo in qualche modo riconquistarla?
Già Aristotele, nella Retorica, affermava che la credibilità è una
caratteristica personale e una qualità morale, assimilando il concetto di
credibilità all’onestà dell’individuo. Le scienze sociali contemporanee,
invece, affermano che la credibilità non è solo una caratteristica
personale ma è qualcosa che è attribuito, che è riconosciuto dagli altri:
vero è che non può prescindere dalle qualità personali ma è altrettanto
vero che non è una caratteristica intrinseca perché in ogni relazione
comunicativa le persone si attribuiscono reciprocamente una maggiore o
minore credibilità. Tuttavia, “attribuire all’altro una qualche credibilità
costituisce, come ha osservato il filosofo Gadamer, l’accordo portante su
cui si regge ogni relazione comunicativa, e in fin dei conti ogni relazione

9
umana”15. Ciò significa che ognuno di noi concede all’altro una forma di
credibilità e di affidabilità.

La credibilità come relazione

La credibilità, in quanto relazione, presenta sempre una dimensione


intenzionale, comunicativa e simbolica di riferimento verso un altro
soggetto e una dimensione di legame con l’altro che comprende gli
aspetti strutturali, materiali, condizionali. Per capire il concetto, possiamo
rifarci allo schema “AGIL” di Talcott Parsons16 che, visto in termini
relazionali, presenta una credibilità come risorsa, una credibilità come
scopo, una credibilità come norma e una credibilità come orientamento
all’umano.

CREDIBILITA’ COME SCOPO


(G)

CREDIBILITA’ COME RISORSA CREDIBILITA’ COME


(A) NORMA
(I)

CREDIBILITA’ COME
ORIENTAMENTO UMANO (L)

Analizziamo nel dettaglio i quattro punti.


A. – ADATTAMENTO. La credibilità è prima di tutto una risorsa che
permette di raggiungere degli obiettivi, ma è anche adattamento
all’ambiente, inteso come contesto sociale.
G. - PERSEGUIMENTO DEGLI SCOPI. La credibilità non è solo un mezzo
per raggiungere degli obiettivi ma essa stessa è un fine in sé, uno
scopo, un valore sociale.

15
Battista Maria Antonietta, Cosa è la credibilità, Corso di Coaching umanistico e programmazione neuro-
linguistica, Università telematica Pegaso, anno accademico 2020-2021
16
Talcott Parsons (1902 – 1979), sociologo statunitense
10
I. – INTEGRAZIONE. La credibilità è un fattore d’integrazione o divisione
sociale in quanto le linee di demarcazione della credibilità definiscono i
confini delle relazioni e dei gruppi sociali: è più facile attribuire
credibilità a chi appartiene alla mia stessa categoria sociale rispetto a
chi ne è estraneo.
L. – LATENZA. La credibilità è una proprietà latente e intrinseca di ogni
relazione comunicativa in cui i soggetti si attribuiscono reciprocamente
maggiore o minore credibilità secondo una sorta di “patto” su cui si
regge la comunicazione.
Per riassumere, la credibilità ha radici nella relazione sociale, perché è
nell’agire sociale che si stabiliscono legami e relazioni che si fondano
sulla credibilità, pur non potendo prescindere dalle qualità personali di
chi comunica.

Le radici della credibilità

Il sociologo Guido Gili individua tre radici su cui si fonda la credibilità.


La prima è costituita dalla conoscenza e dalla competenza, che sono il
“bagaglio culturale” che qualifica l’esperto. Un buon comunicatore
dovrebbe riuscire a costruire una credibilità cognitiva, che fa
riferimento alla competenza e alla conoscenza del tema che tratta in
una conversazione. Ci sono due locuzioni latine, lingua di grandi oratori
e retori, che riassumono bene la questione delle competenze. La prima
è “Sutor, ne ultra crepidam!”, la seconda “Rem tene, verba
sequentur”17.
La seconda radice della credibilità è legata ai valori. È la credibilità che
accordiamo a chi condivide gli ideali di essere e di agire a cui noi stessi

17
“Sutor, ne ultra crepidam!” (Ciabattino, non [andare] oltre le scarpe!) è citata da Valerio Massimo e
da Plinio il Vecchio, che l'attribuisce all'artista greco Apelle di Coo. “Rem tene, verba sequentur”(possiedi
l'argomento e le parole seguiranno [da sé]), è una sententia attribuita a Catone il Censore da parte del
retore Gaio Giulio Vittore.

11
aderiamo perché li consideriamo positivi, giusti e desiderabili. Anche
per questo, siamo meglio disposti a ritenere più credibile chi condivide
i nostri stessi valori o chi, per status sociale o per condotta di vita
personale, incarna i valori che godono di maggior prestigio e
considerazione nella società in cui viviamo. I valori fondanti della
credibilità possono variare secondo due riferimenti principali:
- Modalità di relazione sociale: Gerarchia/status –
appartenenza/solidarietà;
- Categoria del tempo: passato/tradizione – futuro/innovazione

GERARCHIA/STATUS

PASSATO/TRADIZIONE FUTURO/INNOVAZIONE

APPARTENENZA/SOLIDARIETA’

I valori della gerarchia e dello status: appare tanto più credibile chi
occupa una posizione elevata nella stratificazione sociale.
I valori dell’appartenenza e della solidarietà: appartenere a un gruppo
porta ad attribuire maggiore credibilità a chi ne fa parte.
I valori del passato e della tradizione: è la credibilità assegnata
all’esperienza e alla tradizione, ai valori e alle norme in cui è evidente
la continuità con il passato.
I valori del futuro e dell’innovazione: il futuro rappresenta un valore
positivo poiché contrapposto al passato, considerato termine negativo
della relazione.

12
La terza radice è costituita dall’attaccamento e dall’affettività. Si basa
sulla percezione di un legame positivo con l’altro, quando questo
legame è gratificante e fonte di benessere. Ciò accade, ad esempio, nel
rapporto tra madre e figlio, soprattutto nei primi anni di vita, o nel
rapporto amicale. Appartiene a questa terza radice anche il ritenere
più credibile chi ci è simpatico, o chi ci ispira sentimenti positivi,
rispetto a chi ci sta “cordialmente” antipatico (sentimento negativo).
L’attaccamento e l’affettività si basano su una credibilità a prescindere,
nel senso che una persona è credibile per il fatto stesso che esiste tra
questa e l’altro un legame affettivo.
Nella vita reale queste tre radici s’intersecano e si legano l’una all’altra,
vale a dire che una fonte che in origine si legittima per la dimensione
cognitiva, valoriale o affettiva, può in seguito essere credibile per altri
aspetti.

Le dimensioni della credibilità

Se consideriamo l’oggetto della credibilità e l’ambito cui si riferisce, la


forma di coinvolgimento o distacco rispetto all’interlocutore e il tipo di
relazione comunicativa, è possibile distinguere due differenti
dimensioni della credibilità: parliamo di credibilità informativa e di
credibilità normativa secondo come si è venuti a conoscenza del
contenuto della relazione.
La credibilità informativa è la credibilità che attribuiamo al “narratore”
o al testimone che si colloca come mediatore tra noi e i fatti, gli eventi
che vengono riferiti (e qui si collocano i personaggi/testimoni di
Rashōmon). La credibilità normativa è più complessa, perché credere
all’altro significa aderire a una proposta di valore, orientare la propria
azione secondo ciò che egli ci indica sino a cambiare i nostri
atteggiamenti e comportamenti (e anche qui si collocano i

13
personaggi/testimoni di Rashōmon ma, soprattutto, gli spettatori o i
lettori interdetti di Rashōmon).
Alla persona ritenuta credibile e competente in un particolare
contesto, è attribuita una credibilità specifica: è così per l’esperto, la
cui credibilità si basa sulla conoscenza che, nella nostra società, tende
a essere specifica e limitata. Ne consegue che una persona che gode di
credibilità specifica in un ambito e su un determinato tema, non lo sia
necessariamente in un altro contesto o su un diverso tema.
La credibilità generalizzata, invece, è quella propria della persona così
com’è: la consideriamo sempre credibile sui più diversi argomenti e ci
fidiamo di lei in molteplici e differenti contesti. E’ la credibilità che si
basa sui sentimenti affettivi o per attaccamento, come quella dei
bambini rispetto ai genitori che, secondo loro, dicono sempre la verità.
Anche i leader carismatici godono della credibilità generalizzata: non si
riconosce loro una competenza specifica in un determinato ambito ma
riconosciamo in loro una sorta di superiorità complessiva che spinge a
seguirli in modo quasi naturale.
Le posizioni che ogni ricevente, come lo spettatore, può assumere
rispetto a chi comunica, sono il distacco, la neutralità e il
coinvolgimento: a seconda della situazione, l’interesse che si può
assumere rispetto a un evento modifica la credibilità.
Anche la simpatia è un altro aspetto della credibilità che
apparentemente è un sentimento istintivo ma, come afferma il
sociologo Guido Gili18, può essere guidata e “costruita”. Solitamente ci
sono più simpatiche persone con tratti facilmente riconoscibili (la
similitudine dell’emittente con il destinatario fa sì che più una persona
è vicina al mio modo di pensare e di agire più mi risulterà credibile
perché la vedrò vicina al mio modo di essere), o quelle dai tratti del
viso lineari, rotondeggianti e infantili, che danno l’impressione di
essere più ingenui e più onesti e quelli di bell’aspetto.

18
Guido Gili, La credibilità. Quando e perché la comunicazione ha successo, Rubbettino, 2005, pagg. 23/24
14
La differenza di status (per esempio quella fra insegnante e studente o
genitore e figlio) genera credibilità, come dimostra anche la teoria dei
gruppi di riferimento; la credibilità simmetrica, invece, caratterizza le
relazioni tra pari o simili ed è propria di molte relazioni comunicative
della vita quotidiana. Nella vita quotidiana, infatti, molte decisioni
vengono prese non perché ci si affida a una leadership d’opinione
“verticale”, che è quella rappresentata da soggetti dotati di status
superiore o da esperti, ma perché ci si affida a una leadership
“orizzontale”, quella formata dalle persone che appartengono al nostro
stesso strato sociale e ambiente di vita. La credibilità e, di
conseguenza, l’influenza, tendono a scorrere lungo le linee sociali
definite dall’amicizia, dalla condivisione degli stessi interessi e opinioni:
per questa ragione alla base delle nostre decisioni non ci sono i
superiori (chi ha potere, prestigio, conoscenza, etc.), ma più facilmente
chi è vicino e pari a noi.

I ruoli dell’emittente

Il sociologo contemporaneo Erving Goffman individua nell’emittente


tre ruoli diversi o tre funzioni19. Goffman teorizza la necessaria
sostituzione della nozione semplice di parlante con lo “schema di
produzione” che comprende tre diverse funzioni: l’animatore (chi
parla, inteso come “macchina fonica”), l’autore (chi formula il testo) e
il mandante (chi ha la piena responsabilità del contenuto del
messaggio). Secondo Goffman queste distinzioni sono utili per capire
alcuni aspetti significativi degli eventi comunicativi. Lo “schema di
produzione “ ci fa capire sia la distinzione tra i diversi tipi di eventi
linguistici, per esempio tra i vari registri del parlato
(formale/spontaneo), sia quali siano, all’interno della conversazione, le
diverse funzioni di animatore-autore-mandante. Infatti, uno stesso
19
Goffman Erving, La vita quotidiana come rappresentazione, ed. Il Mulino, 1997
15
soggetto può assumere contemporaneamente il ruolo di autore,
animatore e mandante, oppure ognuna delle tre funzioni può essere
svolte da soggetti diversi che, secondo il sociologo, è la situazione
ideale poiché ognuna proietta un self differente.
Se, quindi, l’emittente può assumere ruoli differenti, allora dobbiamo
aspettarci che anche la credibilità del messaggio non possa riferirsi
semplicemente a chi comunica il messaggio, ma a ognuno dei soggetti
implicati nella comunicazione.
Ecco, quindi, che ritorna, la domanda che ci siamo posti alla fine della
parte dedicata al film. Quali sono i caratteri che rendono una fonte
credibile?

I caratteri della credibilità e la reputazione

I caratteri della credibilità vanno riportati a quei segni che


costituiscono la “facciata personale”, cioè la dotazione espressiva che
ciascun emittente, involontariamente o intenzionalmente, “mette in
scena”20. Qualunque sistema di relazioni, sia esso costituito dalla
presenza diretta degli interlocutori sia da una raffigurazione attraverso
un mezzo di comunicazione come il cinema o la televisione, lascia
ampio spazio alla comunicazione non verbale. Gli elementi
comunicativi diversi dal linguaggio assolvono varie funzioni,
soprattutto quello di raggiungere l’interlocutore sul piano emotivo.
Un concetto strettamente legato alla credibilità, e che con essa va di
pari passo, è la reputazione. La reputazione, infatti, è la credibilità
provata. Essa si fonda su un’esperienza precedente degli agenti sociali
ma deve essere continuamente rinnovata e confermata nelle relazioni
comunicative21.
20
ibidem
21
Battista Maria Antonietta, Chi è credibile, Corso di Coaching umanistico e programmazione neuro-
linguistica, Università telematica Pegaso, anno accademico 2020-2021

16
La reputazione presenta quattro caratteristiche:
1. si fonda su elementi che il ricevente conosce direttamente o che
ricava da fonti attendibili;
2. si forma con il passare del tempo ma deve essere confermata nel
presente;
3. è pubblica, riconosciuta da tutti;
4. è resistente e modificabile solo lentamente.

La reputazione di una persona, infatti, si basa sulla sua storia


personale, sulla sua discendenza, e sul fatto che appartenga a un
gruppo sociale o a una classe. L’opinione che noi ci facciamo di quella
persona, dipende dall’idea che questi fattori incidano sul suo
comportamento e sulle sue azioni. La reputazione, quindi, “si basa
sull’esperienza diretta che un agente sociale ha della
credibilità/affidabilità di un altro”22.

La credibilità, proprio perché è sempre costruita, si esprime sempre


attraverso segni riconoscibili: è il prodotto di una “intenzione” e di una
“attenzione” dell’emittente che tiene conto dello scopo comunicativo
e della situazione in cui interagisce. Il ricevente della comunicazione
ricercherà nell’emittente dei segni che lo mettano in grado di
riconoscere se una fonte è credibile23.
I segni della credibilità sono sei e sono i seguenti:
 la facciata personale
 lo stile comunicativo e sicurezza della fonte
 le espressioni facciali
 i simboli dello status sociale e professionale
 l’ambientazione
 le strategie di credibilità nell’interazione.

22
ibidem
23
ibidem
17
I gesti appena elencati, tutti gli atteggiamenti che accompagnano la
comunicazione e il contesto in cui questa si svolge, fanno parte
dell’”equipaggiamento” di cui ci ha parlato Goffman e che possono
favorire o anche danneggiare la credibilità dell’emittente.
Sono soprattutto le diverse forme della comunicazione non verbale,
cioè il registro paraverbale e la prossemica, a essere assunte come
“rilevatori” di credibilità dell’individuo, poiché sono state individuate
come espressioni di sincerità.
Il primatologo John Russell Napier24 scrisse che “se il linguaggio è stato
dato all’uomo per nascondere i pensieri, allora l’intento dei gesti è
quello di svelarli”.
Ma non è solo la sociologia o la psicologia che si occupa d’intelligenza
emotiva a studiare questo aspetto. I neuroscienziati, negli studi più
recenti, hanno dimostrato che esiste “un ponte tra il sé e l’altro, che
permette lo sviluppo della cultura e della società”25. Questo “ponte” è
l’attività dei neuroni specchio e del loro ruolo nel comportamento
umano.

Parallelamente alla credibilità, esistono diverse forme di discredito e,


di conseguenza, di perdita della reputazione, ma anche strategie che
gli “attori” screditati possono mettere in campo per contrastare il
discredito. Sempre Goffman indica come forma di discredito la messa
in pubblico di “segreti oscuri” (il cosiddetto scheletro nell’armadio)
cioè fatti e vicende del passato che, quando emergono, contraddicono
o mettono a repentaglio l’immagine del sé di un individuo in una
determinata società o gruppo sociale26.
Per contro, esistono diverse strategie per tenere sotto controllo il
discredito. Il primo di questi è la “segregazione dei pubblici” cioè
24
John Russel Napier (1917 – 1987), primatologo
25
Iacoboni Marco, I neuroni specchio, Bollati Boringhieri, 2008
26
Battista Maria Antonietta, La fiducia e le sue forme, Corso di Coaching umanistico e programmazione
neuro-linguistica, Università telematica Pegaso, anno accademico 2020-2021

18
circoscrivere la diffusione del discredito affinché non raggiunga altri
pubblici, anche se oggi, con la diffusione e l’abuso (più che uso) dei
social media e fake news costruite ad hoc, il compito è estremamente
arduo. È Gili a suggerirci come attivare strategie di “riparazione”
quando si è già determinata la “perdita della faccia”. Eccone alcune:
 depotenziare il discredito ammettendolo
 costruire una nuova modalità di accreditamento
 contestare e rifiutare le accuse rivolte
Le strategie di recupero sono efficaci solo quando sono minimi i
seguenti parametri:
 la gravità dei fatti emersi
 il patrimonio di credibilità e reputazione dell’attore che subisce il
discredito
 il contesto in cui il discredito si attua.

Una variabile decisiva del discredito è legata alla figura dell’accusatore.


In molti casi il discredito non è l’esito di un incidente ma dell’azione
consapevole di un altro soggetto sociale, di un avversario. Anche
l’accusatore attua precise strategie:
 la costruzione del nemico
 la disconferma
 l’insinuazione.
Il primo punto, la “costruzione del nemico”, è un concetto coniato dal
politologo Murray Edelman27 e coincide o con una persona
identificabile, oppure con uno stereotipo dotato delle “qualità” che lo
contraddistinguono: il “cattivo”, la “matrigna”, il “ladro”, il “bugiardo”,
ecc..

27
Murray J. Edelman (1919 – 2001) è stato un politologo statunitense, noto per i suoi studi dedicati alla
simbologia politica e alla psicologia politica.
19
Il secondo punto, la disconferma, pare essere l’opposto della
costruzione del nemico perché, in questo caso, l’avversario è
completamente ignorato.
Il terzo punto, l’insinuazione, è la tecnica con cui si creano o si dà
credito a voci e sospetti che vogliono mettere in dubbio l’integrità
personale ed etica di un avversario, spesso con la diffusione ad hoc di
false notizie riguardanti anche la sfera personale.

Credibilità e fiducia

“La credibilità dell’emittente e la fiducia del destinatario sono due


facce della stessa medaglia, due dimensioni della stessa relazione
comunicativa e due concetti complementari”28.
La fiducia va intesa come una continua relazione/interazione, un
rapporto aperto e sempre problematico. La fiducia permette di
“semplificare la realtà” perché la persona può scegliere in condizioni
d’incertezza: si comprende, quindi, come il concetto di fiducia porti con
sé una certa dose di rischio. E’ ovvio pensare che la fiducia sia concessa
più facilmente a una persona a noi familiare piuttosto che a uno
sconosciuto, ma la condizione più favorevole perché si sviluppi il
rapporto credibilità/fiducia è che la credibilità dell’emittente e la
fiducia del ricevente abbiano una base comune e una conoscenza
consolidata. E’ ancora una volta il sociologo Gili che individua tre
diverse modalità della fiducia, a ognuna delle quali corrisponde una
delle tre radici della credibilità:
- la radice cognitiva si basa su una fiducia razionale (è la fiducia
“calcolatrice” del rapporto costi-benefici);
- la radice normativa deriva dalla stima e dal rispetto:
- la radice affettiva nasce da sentimenti di “familiarità”.

28
Battista Maria Antonietta, op. cit.
20
La “parvenza” di sincerità: quando la credibilità è decisiva?

Gli studi sociologici finalizzati alla comprensione del perché le società


restano unite (sono le teorie della costruzione sociale della realtà e il
neo funzionalismo), teorizzano che la credibilità dell’individuo nei suoi
comportamenti sociali non implica necessariamente l’adesione sincera
ai valori e alle norme perché è sufficiente una “parvenza” di sincerità29.
Gli studi sociologici ci dicono, inoltre, che la credibilità degli attori
sociali risponde all’esigenza di consentire un ordinato svolgimento
delle relazioni sociali. La “parvenza” di sincerità è un buon sostituto
della sincerità, soprattutto in società complesse e differenziate. Si può
concludere dicendo che è una modalità comportamentale che aiuta a
tenere sotto controllo le vere e reali preferenze e le visioni soggettive.
Parvenza o meno, ogni volta che comunichiamo non dobbiamo
limitarci ad ascoltare la nostra voce ma è imprescindibile mettere in
pratica tutte quelle azioni, tutti i meccanismi necessari affinché la
comunicazione sia efficace e ci renda credibili perché, come dice Guido
Gili, “la credibilità è decisiva”30. Sembra paradossale ma, almeno nella
fase iniziale del rapporto comunicativo, essere creduti è più
importante che essere capiti.

Il potere delle parole: conclusione

Il primo assioma della comunicazione recita che l’uomo non può non
comunicare. Quando lo fa con le parole, queste, una volta pronunciate,
coinvolgono e condizionano almeno due cervelli: quello di chi parla e
quello di chi ascolta. Le parole, infatti, hanno il potere di farci stare

29
Battista Maria Antonietta, I rischi della credibilità, Corso di Coaching umanistico e programmazione
neuro-linguistica, Università telematica Pegaso, anno accademico 2020-2021
30
Gili G., op. cit.
21
bene o male, di influenzare e di condizionare, di essere fondamentali
per raggiungere i nostri obiettivi. Lo psicologo Daniel Goleman, il
“padre” dell’intelligenza emotiva, afferma che nell’interazione fra due
persone lo stato d’animo di chi esprime i propri sentimenti in modo più
efficace si trasferisce all’altro, più passivo e meno efficace. Nella
postfazione al suo libro sui neuroni specchio31, Iacoboni afferma che
più indaghiamo sulle loro proprietà, più si riesce a capire come queste
cellule ci aiutino a sviluppare empatia e a porci in sintonia con l’altro,
capire le sue intenzioni e i suoi obiettivi: ciò che ci appare ovvio,
soprattutto quando ci relazioniamo con l’altro ha, invece, una codifica
che avviene in profondità e che, ancora, ci è in parte sconosciuta.

31
La postfazione è stata scritta il giorno dell’insediamento del presidente americano Barack Obama (2009) perché,
rispetto a quando lo scienziato ha iniziato a scrivere il libro, gli studi sui neuroni specchio hanno fornito nuovi e
sorprendenti risultati.
22
BIBLIOGRAFIA

Antonello Giuliano, Heidegger e il giapponese, Corso di Estetica Università


degli studi di Verona, Facoltà di Lettere e Filosofia, Dip.to di Filosofia, a.a.
2002-2003

Battista Maria Antonietta, materiale didattico, Corso di Coaching


umanistico e programmazione neuro-linguistica, Università telematica
Pegaso, a.a. 2020-2021

Dalla Gassa Marco, Kurosawa Akira, Rashōmon, ed. Lindau s.r.l. – 2012

Guido Gili, La credibilità. Quando e perché la comunicazione ha successo,


Rubbettino, 2005

Iacoboni Marco, I neuroni specchio, Bollati Boringhieri, 2008

Tassone Aldo, A ciascuno le sue menzogne (Rashōmon, 1950), p. 51-58


ed. “Il Castoro”

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