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RIFLESSIONE MENTE E MEDIA Riflessione personale su mente e media, a

partire dal cap.1 del testo Le tecnologie educative. Dalla teoria, alla
pratica quotidiana: racconta le diverse sfaccettature del tuo rapporto
con le tecnologie a partire dalle questioni sollevate nel testo (o da
alcune di esse).

Nel capitolo da me scelto nella riflessione vi è un quadro di


riferimento per la descrizione delle dinamiche che possono
presentarsi quando un soggetto interagisce con una tecnologia
cognitiva, ossia un dispositivo capace di influenzare i suoi processi
mentali, mettendo in evidenza le criticità ed i rischi che potrebbero
svilupparsi in tale interazione.

Personalmente, l’argomento trattato è a me caro, in quanto avversa


alla tecnologia e a tutto ciò che è “robotizzato”; nonostante ciò ho
dovuto rivalutare le mie tesi durante il Laboratorio di Tecnologie
Didattiche, ed ammettere che sebbene io non sia una “fan” del
mondo tecnologico esso rappresenta una risorsa fondamentale per
il docente in quanto chiamato a qualcosa che va ben oltre il
“leggere, scrivere e far di conto” ma formare le “menti”.

Il capitolo inizia la sua trattazione passando alla rassegna della


storia dell’uomo, evidenziando come, già in era preistorica, l’uomo
avesse avuto la necessità di “creare strumenti” per sopravvivere:
ecco che si creano armi per la caccia, ecco che si lavora l’amigdala,
ecco che si lavora il rame, il ferro, e così via, fino al primo
computer, ai primi programmi, alle prime connessioni. In questa
riflessione, se pur banale, in quanto ci approcciamo alla storia
dell’uomo fin da piccoli, ho pensato, leggendo, che non mi ero mai
soffermata a fondo su quanto l’essere umano sia stato, potremmo
dire, ingegnoso fin da subito e come il voler sopravvivere
migliorando le proprie condizioni sia stato il propulsore delle
principali conquiste….dopotutto, cosa rappresenta l’utilizzo del
computer per inviare una email al posto di una lettera, o una video-
lezione su Teams invece di una lezione face- to- face, se non il
frutto di una sopravvivenza orientata al miglioramento? Bruner,
ricollegandoci alle “conquiste” ottenute nel corso della storia, ci
parla infatti di “AMPLIFICATORI CULTURALI” .

Il nuovo millennio, come il capitolo ci ricorda, si apre con l’era


tecnologica che ha coinvolto sempre di più la dimensione
comunicativa e conoscitiva: arrivano gli smartphone e con essi altri
dispositivi che entrano nel nostro quotidiano e che sono in tutti i
sensi componenti delle nostre giornate, Calvani ci invita infatti a
notare cosa fanno le persone sui mezzi pubblici ad esempio,
sottolineando come soprattutto in quei casi, essi siano connessi a
mondi “virtuali”, ossia “e-world” da lui definiti, nonostante siano in
quel momento nel “real word”. L’essere connessi, affermo insieme
al sopracitato autore, dà veramente origine ad una nuova
condizione…..nuova condizione che io, con tanti altri della mia
generazione, abbiamo visto nascere e sviluppare. Non potrò mai
scordare il telefono di mio padre, un Erikson verde acqua, pesante
come una pietra, che se scagliato contro una parete, questa si
rompeva, ma il telefono puoi star sicuro che era integro e
funzionante.

Eppure, nonostante la premessa da me fatta inizialmente, non


riesco a non interrogarmi su quanto sia positivo o negativo questo
alternarsi tra “real world” ed “e-wolrd”. Indubbiamente, sono
convinta che le nuove generazioni debbano essere “educate” alla
tecnologia per evitare di incappare in problematiche che sembrano
alle volte quasi inevitabili, se usate scorrettamente. Una cosa che
ho avuto modo di notare è che le persone che maggiormente si
dedicano a questi mondi virtuali, sono le stesse che nel mondo
reale hanno poi difficoltà ad approcciarsi, a “relazionarsi”, nel senso
che se un “ciao” scritto su di una chat sembra una cosa banale
sull’e-world, nel real world per queste persone sembra un ostacolo
insormontabile; non sembrano quasi la stessa persona colui che
scrive in chat e colui con cui ti approcci nella realtà. Questo aspetto
lo si riscontra anche durante litigi o critiche: i cosiddetti “leoni da
tastiera” o gli “Haters”, persone comuni, come chiunque, che sui
social media fanno valere le proprie ragioni in modo anche spietato,
senza perdere un colpo….ma quando li affronti dal vivo accade
l’incantesimo, neanche ti guardano in volto! Per non parlare degli
“Haters” pronti a scrivere cattiverie su chiunque a mio avviso, in
quanto la critica esiste ed è giusto usarla se indirizzata al bene ed
in senso costruttivo, non è più giusta quando diventa distruttiva.
Non sono anomali i casi di adolescenti che si suicidano per frasi
scritte sotto un “post”.

Un altro punto che ho gradito trattato da Calvani sono i “media”, i


quali hanno subito un processo di digitalizzazione partendo dagli
anni 80. Oggi, possiamo usare il termine “medium” per identificare i
nuovi dispositivi tecnologici digitali, non riferendoci però come
definizione al semplice “mezzo di comunicazione”, bensì una -
interfaccia coadiuvata da un supporto tecnologico che consenta
produzione, manipolazione e negoziazione di simboli, significati,
identità e spazi virtuali”. E’ lecito chiedersi cosa sia una interfaccia:
essa è il luogo in cui due sistemi o ordini di realtà si incontrano e
comunicano. Ciò accade ogni volta che guardiamo qualcosa che ci
provoca dinamiche emozionali, identitarie, interpersonali e
cognitive. Personalmente, credo che bisognerebbe evidenziare ed
interrogarsi in questa parte anche sulla validità e la veridicità di
tali “medium” che spesso diffondono le cosiddette “fake news” o
informazioni “politicamente” schierate. In risposta a questa nota
negativa, io ritorno al ruolo del docente che deve formare le menti
e nel fare ciò deve stimolare il senso critico, che potrà poi
permettere alle future generazioni di discernere e capire in modo
obiettivo ciò che sta leggendo/ascoltando/vedendo ed insegnare il
giusto uso di questi mezzi inserendo le tecnologie cognitive nella
scuola.

Se da una parte il senso critico è fondamentale nella vita di tutti i


giorni, dall’altra parte non possiamo non chiederci “Quali sono gli
effetti delle tecnologie cognitive sulla mente?”. Avendo chiaro che
l’espressione “tecnologie cognitive” si riferisce a quell’area che si
occupa dei rapporti cognitivi che si vengono ad instaurare tra esseri
umani e dispositivi tecnologici, i fautori dell’introduzione delle
tecnologie nella scuola tendono in genere a pensare che il loro
utilizzo possa favorire personalità autonome, creative, responsabili.
Ma a mio avviso non è così e posso affermarlo dalle esperienze di
supplenze che ho avuto la fortuna di fare in questo periodo covid.
Ho notato, interessandomi a come i miei alunni trascorressero il
pomeriggio, che già dalla classe prima (7 anni, ci tengo a precisare)
la maggior parte di loro passava giornate intere su YOUTUBE a
vedere contenuti, per me poco adeguati se non per niente (scene
violente, film horror, per non parlare di contenuti sessuali che
comparivano nelle pubblicità dei video da loro selezionati). Sulla
base di ciò io mi chiedo: siamo così sicuri che facendo approcciare i
bambini a queste tecnologie, indirettamente non li mettiamo nella
tana del leone? Se vogliamo insegnare loro l’uso di tali dispositivi
bisogna anche che essi siano costantemente controllati. E’ capitato
ad una mia oramai ex-collega a scuola, che prima del covid,
portando i bambini (classe quinta-10 anni) in sala computer per
imparare ad usare WORD, EXCEL, POWER POINT, un gruppo di
maschi cercava in tutti i modi di accedere a google, ed una
bambina le disse poi, in via confidenziale, che era perché volevano
vedere “cose sconce”. Questa cosa, a suo tempo, mi ha lasciata con
l’amaro in bocca, poiché è vero che in quella circostanza non sono
riusciti ad accedere ai contenuti che volevano visionare, ma è anche
vero che a casa loro, che sia pc o sia smart phone, nessuno glielo
avrebbe impedito. Per questo motivo, vanno ISTRUITI e
CONTROLLATI nell’utilizzo.

Calvani ci parla di “mente e tecnologia” come sistema integrato in


quanto il soggetto da solo non riuscirebbe mai a dare un prodotto
finale uguale ad un prodotto finale avuto avvalendosi della
tecnologia. Nonostante ciò si è evidenziato come i meccanismi
messi in atto quando ci avvaliamo della tecnologia siano diversi da
quelli messi in atto ad esempio nel leggere un libro o scrivere un
tema. Io ad esempio quando scrivo su word, come in questo caso,
difficilmente ricordo tutto ciò che scrivo, mentre quando scrivo,
foglio e penna, ricordo anche l’ortografia utilizzata. Il capitolo poi, ci
spiega che è proprio il meccanismo connesso alla penna che fa la
differenza, ma su questo punto ne avevamo già piacevolmente
discusso con la Prof.ssa Zanazzi in “aula virtuale”.

Un altro punto toccato che ho molto apprezzato riguarda i “nativi


digitali” di Prensky. Calciani dice una cosa semplice, ma che anche
questa volta mi ha fatto riflettere, i bambini già da piccolissimi si
interfacciano con i dispositivi tecnologici poichè i genitori ancor
prima ne fanno uso. Ecco che mentre si allatta si sta col telefono o
con il tablet in mano e da ciò ne scaturisce che anche all’età di due
anni, ho potuto constatare con mia cugina (ultima di 12), i bambini
senza saper né leggere né scrivere siano in grado di navigare con il
tablet/pc/ telefono ed andare su YouTube per vedere il loro cartone
preferito, è sconcertante sia nel bene che nel male….e se
sbagliando a digitare visualizzano cose che non dovrebbero vedere?
La domanda che mi faccio è sempre la stessa.

Credo fortemente, però, in quella che è l’interazione uomo-


macchina, orientata alla sinergia cognitiva guidata dalla mente, ed
il caso più comune è proprio quello dei Software Developer, i quali
si avvalgono della tecnologia ma essa è soggetta alle loro decisioni,
tanto è vero che nel creare software/programmi, sono loro a dare i
comandi ed il computer, in questo caso, deve rispondere sulla base
di ciò che gli viene chiesto, quindi lavora da collaboratore ma non si
sostituisce all’uomo, bensì ne rappresenta un ampliamento. Ci
ritroviamo quindi, nei “Mind Tool”, situazioni in cui le tecnologie
cognitive possono diventare effettivi utensili della mente.

L’ultimo aspetto di questo lavoro su cui mi soffermo e che tanto ho


trovato interessante riguarda un punto delle cattive credenze
didattiche – “ Aumento dell’informazione significa miglior
apprendimento”: tralasciando che l’informazione diventa
conoscenza solo se colui che la riceve è disposto ad interiorizzarla,
io sono d’accordo sul fatto che sia una cattiva concezione. Io ad
esempio, quando ho dovuto affrontare esami prettamente teorici e
che richiedevano molte nozioni, ed alcune anche molto noiose, sono
riuscita a studiare e conseguire un buon voto, ma cosa mi è
rimasto? Assolutamente niente. Troppe, ma troppe informazioni, ti
sovraccaricano e la mente fa fatica a mantenerle tutte, tanto è vero
che ho accantonato tutto subito. Credo in una scuola dove il saper
fare ed il saper ragionare battono il semplice “sapere”. Credo in
insegnanti preparati, di larghe vedute, rivoluzionari, che adottino i
metodi più divertenti per tenere sempre viva l’attenzione nelle loro
classi. Credo in insegnanti come professionisti digitali, che facciano
approcciare i loro alunni alle nuove tecnologie, ma senza
nascondere loro i pericoli, ecco il DIALOGO, che non sia tutto
ovattato, perché i pericoli ci sono e sono convinta che parlare di
essi possa essere un modo per evitarli.

Concludo così come ho iniziato: non sono una fan della tecnologia è
vero, ma solo se è orientata agli alunni ed usata in malo modo,
sono convinta però che per i docenti sia indispensabile e tale
convinzione è scaturita dal Laboratorio frequentato, con tanto tanto
piacere. Grazie Professoressa Zanazzi. La lezione non può più
essere intesa solo come il docente che parla ed il discente che
apprende, ma come multimedialità: creare lezioni
multimediali/interattive per avere sempre un indice di attenzione
alto, questa è la chiave, questo è il futuro della scuola del sapere,
fare, saper fare.

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