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Domanda n.1
Cosa si intende per 'classificazione genealogica' delle lingue naturali?
Per classificazione genealogica delle lingue naturali si intende la classificazione delle lingue attuata in base a una radice
comune, come può essere il latino per le lingue romanze. Questa radice comune può essere nota, come appunto nel
caso dell’italiano con il latino, oppure ipotizzata, come nel caso delle lingue amerindiane, le quali non hanno tradizione
scritta. È importante ricordare che la classificazione genealogica non sempre corrisponde con quella geografica (ovvero
con la classificazione delle lingue in base alla loro distribuzione), un esempio in merito a ciò può essere la grande varietà
di lingue presenti nel territorio europeo: vi è una certa omogeneità dal punto di vista genealogico, ma sono presenti
anche lingue non appartenenti al ceppo indoeuropeo (per esempio il maltese).
La classificazione genealogica avviene per comparazione tra i termini delle varie lingue, facendo questa comparazione è
necessario tenere conto anche della legge di Grimm, la quale prevede una possibile rotazione consonantica tra una
lingua e l’altra (per esempio: la “p” che può trasformarsi in “f”). Infine, i linguisti devono anche pensare alle somiglianze
casuali che si possono notare tra due lingue, come nel caso della parola “donna” in italiano e della parola “onna” in
giapponese.
Domanda n.2
Cosa ci dice la seconda regola di Trubeckoj?
La seconda regola di Trubeckoj, linguista della scuola di Praga, ci spiega come è possibile distinguere un fono da un
fonema e, più nello specifico, ci dice che quando due suoni occupano le stesse posizioni e si possono scambiare tra di
loro, senza così facendo cambiare il significato della parola, ciò significa che i due foni sono varianti facoltative di uno
stesso fonema (esempio sono la pronuncia della “r” e della “r moscia”).
Al contrario, come ci dice la prima regola di Trubeckoj, nel momento in cui due suoni occupano le stesse posizioni e non
si possono scambiare tra di loro senza, così facendo, cambiare il significato di una parola (es: vela/mela), si tratta di due
foni corrispondenti a due fonemi diversi tra loro.
La terza e ultima regola di Trubeckoj si sofferma, invece, sulle varianti complementari di uno stesso fonema, ovvero la
realizzazione fonetica differente di uno stesso fonema, che si ritrova sempre in situazioni diverse (l’esempio in questo
caso è quello della lettera “n”, la quale a seconda dei suoni da cui è seguita e preceduta può avere realizzazione
fonetica diversa, per esempio può venire pronunciata in maniera nasale o non).
Domanda n.3
Scrivi 4 composti endocentrici, 4 composti esocentrici e 4 composti neoclassici dell'Italiano.
Composti endocentrici: portacarte, segnalibro, portapacchi, autocarro
Composti esocentrici: pellerossa, spremiagrumi, manomettere, lavapiatti
Composti neoclassici: ex-novo, neolinguistica, biblioteca, bibliografia
Domanda n.4
Che tipo di ambiguità c'è nella frase 'la vecchia porta la sbarra'? Cosa ci dice la comparazione cross-linguistica a
proposito del concetto di ambiguità che abbiamo illustrato a lezione?
Nella frase “la vecchia porta la sbarra” è presente un’ambiguità lessicale (“vecchia” può essere letto come un sostantivo
o come un aggettivo), la quale però può essere risolta se la frase viene tradotta in un’altra lingua, come per esempio
l’inglese. Al contrario, nel caso di una frase come “Gianni insegue il cane con il guinzaglio” l’ambiguità è strutturale, e per
questo motivo non può essere risolta con la comparazione cross-linguistica. Queste due frasi ci mostrano in ogni lingua
come la sintassi dipenda dalla struttura gerarchica della frase e non dalla sua linearità.
Domanda n.5
Definire il processo di acquisizione del lessico: come si passa dal segnale acustico continuo al lessico di una lingua? Ci
sono differenze tra nomi e verbi in tale processo di acquisizione?
Fino ai 6 mesi di età il bambino produce i vari suoni che il nostro apparato fonatorio può emettere; dai 6 ai 10 mesi,
invece, inizia la fase della “lallazione” (in inglese, “babbling”), in questa fase il bambino seleziona i suoni della propria
lingua. Il linguaggio viene infatti considerato un sistema a principi e parametri, per cui esistono vari principi comuni a
tutte le lingue, ma anche parametri che ciascuna lingua seleziona (i suoni della propria lingua) tramite un processo di
dimenticanza dei suoni che non sono necessari: ad esempio, un parlante dell’italiano è capace di distinguere i suoni /l/
e /r/, mentre un parlante cinese non sa farlo.
Questa capacità di distinzione dei suoni della propria lingua si sviluppa nei bambini nel periodo della lallazione e ciò è
verificabile tramite l’analisi del ritmo di suzione: un bambino aumenta il ritmo di suzione nel momento in cui entra in
contatto con qualcosa di nuovo (attraverso alcuni esperimenti si è notato che il bambino aumenta il ritmo di suzione nel
momento in cui sente una lingua diversa dalla sua lingua madre).
In seguito, inizia il processo chiamato “word-to-world mapping procedure” per cui il bambino capisce che ad ogni oggetto
concreto del mondo è possibile associare un nome: prima interpreta questi nomi in modo distinto, poi inizia a collegarli
tra loro. Nell’imparare i nomi si riconoscono diverse fasi: whole object bias (il bambino riconosce l’intero oggetto
rappresentato da un nome e non le sue parti), thematic bias (il bambino è capace di associare a un nome un altro nome
appartenente alla stessa categoria) e una fase in cui impara a distinguere i nomi che contengono un concetto di pluralità
dai nomi massa.
Nell’apprendimento del linguaggio da parte dei bambini si assiste anche a “una fase telematica”, durante la quale il
bambino omette alcuni tratti grammaticali (ad esempio gli articoli).
Per i verbi, invece, il processo inizia dopo: i verbi, infatti, sono legati strettamente al linguaggio, in quanto rappresentano
relazioni che si creano tra oggetti concreti del mondo. Anche l’apprendimento dei verbi si distingue in più fasi, in
particolare nel caso del passato dei verbi irregolari: in un primo momento i bambini impareranno la regola generale per
la coniugazione di un verbo al passato (es: “play” che diventa “played”), e la applicheranno a tutti i tipi di verbi,
commettendo errori come la coniugazione di “do” eseguita dicendo “doed”; in seguito verranno a conoscenza
dell’esistenza dell’irregolarità di certi verbi, che impareranno come verbi passati distinti dal loro presente; nella terza e
ultima fase i bambini saranno capaci di associare al verbo presente il suo corrispondente passato irregolare.
Nell’apprendimento di una lingua non esiste una lingua più difficile dell’altra, esistono soltanto lingue più o meno
complesse dal punto di vista grammaticale. Per questo motivo qualsiasi bambino messo a contatto con una lingua entro
il periodo finestra è capace di imparare la data lingua a prescindere da quale essa sia.
Domanda n.6
Esemplificare il principio di dipendenza dalla struttura e argomentare (qualora fosse rilevante) se tale principio
corrisponde a dei meccanismi nell’anatomia cerebrale.
Il principio di dipendenza dalla struttura costituisce una delle caratteristiche distintive del linguaggio umano: esso ci
spiega come le regole sintattiche di una lingua non possano basarsi sulla linearità di una data frase, bensì debbano
considerare i tratti categoriali dei singoli sintagmi e seguire, quindi, un ordine gerarchico. Questo principio è stato
studiato ed è considerato come qualcosa di biologicamente innato, difatti esiste in tutte le lingue (anche nel linguaggio
dei segni); sono stati eseguiti anche diversi esperimenti in quanto è sorta spontanea la domanda del motivo
dell’esistenza di tale principio.
L’esperimento in questione si è svolto cercando di far apprendere a parlanti di lingua tedesca due lingue, l’italiano e il
giapponese. Nell’insegnamento delle due lingue, i linguisti avevano scelto 6 regole per ciascuna lingua: 3 regole possibili
che seguivano il principio di dipendenza dalla struttura e 3 regole impossibili che seguivano la linearità della frase. Per
esempio, per l’italiano una regola impossibile era quella della formazione della frase interrogativa: seguendo l’idea della
linearità, la frase interrogativa si realizza invertendo l’ordine delle parole di una data frase affermativa, per esempio
“Gianni ieri è andato al cinema” diventa “Cinema al andato è ieri Gianni?”.
L’esperimento è poi continuato analizzando le porzioni di corteccia cerebrale che andavano ad attivarsi nel momento in
cui ogni persona formulava frasi seguendo le regole possibili e impossibili (per ricavare dati di questo tipo si usano
tecniche come la PET o la fMRI). Il risultato è stato che all’aumentare dell’accuratezza delle risposte delle frasi possibili,
l’area che maggiormente si attivava era l’area dell’emisfero cerebrale sinistro, quella appunto destinata al linguaggio e
corrispondente alla cosiddetta “area di Broca”; al contrario, all’aumentare dell’accuratezza delle risposte nelle frasi
costruite su regole impossibili, quest’area non si attivava. Si è quindi arrivati alla conclusione che il cervello aveva
compiuto un’operazione di smistamento, riconoscendo le frasi che seguivano il principio di dipendenza dalla struttura da
quelle che invece violavano tale principio. Di conseguenza a questo risultato è stato possibile ipotizzare una
predisposizione del cervello umano alla formazione di frasi che seguono questo principio.