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BIOLOGIA

CAPITOLO 1
CARATTERISTICHE DEI VIVENTI
Ogni essere vivente è caratterizzato da un insieme di proprietá
che lo distinguono da un oggetto non vivente.
• GLI ORGANISMI SONO FORMATI DA CELLULE: a
esclusione dei virus, tutti gli essere viventi sono formati da
unità strutturali e funzionali dette cellule;
• GLI ORGANISMI CRESCONO E SI SVILUPPANO: la
crescita è dovuta all’aumento delle dimensioni o del numero
delle cellule. Lo sviluppo comprende cambiamenti sia
strutturali che fi siologici;
• GLI ORGANISMI SI RIPRODUCONO: tutti gli esseri viventi
sono in grado di generare altri organismi dotati delle stesse
caratteristiche fondamentali, garantendo così la continuità
della specie a cui appartengono;
• GLI ORGANISMI REGOLANO IL PROPRIO
METABOLISMO: in tutti gli organismi avvengono
continuamente un gran numero di reazioni chimiche e il loro
insieme costituisce il metabolismo. Queste reazioni sono
accuratamente regolate per garantire l’omeostasi, cioè la
stabilità delle caratteristiche dell’ambiente interno (per
esempio la temperatura corporea o la concentrazione di
glucosio nel sangue);
• GLI ORGANISMI RISPONDONO AGLI STIMOLI: tutti i
viventi possono percepire i cambiamenti che avvengono
nell’ambiente esterno (per esempio cambiamenti di intensità
della luce, temperatura dell’aria ecc) e mettere in atto
processi in risposta a tali cambiamenti;
• GLI ORGANISMI POSSIEDONO INFORMAZIONE
GENETICA: le informazioni relative alla struttura e al
funzionamento di ogni essere vivente è contenuta in un
programma costituito da geni, il DNA. Tale programma è
presente in tutti gli organismi, eccetto che in alcuni virus;
• LE POPOLAZIONI DI VIVENTI SONO SOGGETTE A
EVOLUZIONE: le caratteristiche delle popolazioni di viventi
cambiano nel tempo adattandosi ai cambiamenti
dell’ambiente circostante.

Ogni essere vivente è inoltre formato da una serie di parti


dotate di una funzione diversa. La struttura specifica di ogni
cellula e di ogni organismo è mantenuta grazie al continuo
apporto di energia. Gli organismi viventi svolgono
continuamente trasformazioni chimiche a cui sono dovute
attività fondamentali, da queste reazioni dipende infatti la vita
degli organismi stessi e se queste venissero arrestate, le cellule
e gli organismi morirebbero nel giro di pochi minuti.

BIOELEMENTI
Dei 92 elementi chimici presenti in natura, solo una ventina
entrano nella composizione della materia vivente e fra questi,
quelli quantitativamente più importanti sono 6: carbonio,
ossigeno, idrogeno, azoto, fosforo e zolfo. Questi 6 elementi
costituiscono oltre il 99% della sostanza vivente.
Altri bioelementi sono presenti in concentrazioni molto basse:
calcio, potassio, cloro, magnesio, sodio, iodio, ferro.
Ulteriori elementi ancora, detti oligoelementi o microelementi,
come iodio e rame, sono presenti in tracce, cioè in piccolissime
quantità.

BIOMOLECOLE
Gli organismi viventi sono costituiti da un gran numero di
composti chimici e i più importanti dal punto di vista biologico
sono le biomolecole, composti organici appartenenti a 4 gruppi
principali: carboidrati, proteine, lipidi e acidi nucleici. Con
l’eccezione dei lipidi, si tratta di polimeri formati dall’unione di
tante unità, dette monomeri. Stante le loro dimensioni, queste
molecole sono dette macromolecole.
• CARBOIDRATI: sono composti contenenti carbonio,
ossigeno e idrogeno. I carboidrati costituiscono circa la metà
del cibo consumato dall’uomo. In base alla loro struttura
vengono suddivisi in: monosaccaridi, disaccaridi e
polisaccaridi.
A. I MONOSACCARIDI sono i carboidrati più semplici e
rappresentano la principale fonte di energia per la maggior
parte degli organismi. Il processo mediante il quale i
monomeri vengono legati tra loro è detto condensazione.
Fra i principali monosaccaridi ricordiamo il glucosio,
galattosio e fruttosio.
B. I DISACCARIDI sono composti chimici organici che si
formano quando due monosaccaridi condensano tra loro.
Fra i disaccaridi ricordiamo i seguenti:
- il saccarosio che è il comune zucchero da tavola ed è
formato dall’unione di una molecola di glucosio e una di
fruttosio;
- il lattosio che è il principale zucchero contenuto nel latte ed è
formato dall’unione di una molecola di glucosio con una di
galattosio;
- il maltosio che è formato dall’unione di due molecole di
glucosio;
C. I POLISACCARIDI si formano quando più di 10 molecole di
monosaccaridi condensano tra loro e svolgono due
importanti funzioni biologiche: costituiscono una riserva di
energia e fanno parte delle membrane e delle pareti
cellulari. I polisaccaridi si distinguono in polisaccaridi di
riserva e polisaccaridi strutturali.
- I principali polisaccaridi di riserva sono l’amido nei vegetali
e il glicogeno negli animali. L’amido è un polimero di α-
glucosio ed è formato da due tipi di molecole: l’amilosio a
catena lineare e l’amilopectina a catena ramificata. Il
glicogeno è un polimero di α-glucosio come l’amido, e ha
funzione di riserva negli animali e si accumula nel fegato e
nei muscoli.
- I polisaccaridi strutturali fanno parte della parete cellulare
dei vegetali e dei funghi, delle membrane cellulari,
dell’esoscheletro di molti invertebrati e nel tessuto connettivo
degli animali. Tra i principali polisaccaridi strutturali troviamo
la cellulosa, la chitina e i mucopolisaccaridi acidi.
• PROTEINE: sono polimeri biologici risultanti dall’unione di 20
diversi amminoacidi, uniti tra loro dal legame peptidico, a
formare catene. Le proteine sono di grande importanza in tutti
gli esseri viventi e la loro sintesi in ogni cellula è controllata
direttamente dal DNA. Possono avere un ruolo strutturale
oppure funzione catalitica. Dei 20 amminoacidi che
compongono le proteine presenti nell’organismo umano, 9
non possono essere sintetizzati e sono per questo detti
amminoacidi essenziali e devono essere introdotti con
l’alimentazione. Le proteine si dividono in proteine globulari
(forma rotondeggiante) e in proteine fibrose (forma allungata
e funzione strutturale). Una proteina può presentare quattro
livelli di struttura:
A. STRUTTURA PRIMARIA: determinata dalla sequenza degli
amminoacidi lungo la proteina;
B. STRUTTURA SECONDARIA: determinata dalla
disposizione nello spazio degli amminoacidi vicini lungo la
catena;
C. STRUTTURA TERZIARIA: struttura tridimensionale che
assume la proteina nello spazio;
D. STRUTTURA QUATERNARIA: è data dalla presenza, nella
proteina funzionale, di due o più subunità peptidiche.
• LIPIDI: formano una classe di sostanze diversifi cate dal
punto di vista chimico e accomunate dal fatto di essere
insolubili in acqua. Negli organismi viventi i lipidi sono
importanti sia come componenti strutturali sia come riserva di
energia, oltre che come messaggeri chimici. I lipidi principali
sono i trigliceridi (hanno funzione di riserva energetica), i
fosfolipidi (sono i principali costituenti delle membrane
cellulari) e gli steroidi (comprendono gli ormoni sessuali, gli
ormoni corticali, la vitamina D, gli acidi biliari e il colesterolo).
• NUCLEOTIDI E ACIDI NUCLEICI: sono responsabili di
funzioni fondamentali nell’ereditarietà e nella sintesi proteica e
sono polimeri lineari di nucleotidi.
LE INTERAZIONI DEBOLI
Le molecole organiche sono in grado di interagire tra loro
tramite forze deboli non covalenti e legami ionici. I legami
chimici deboli hanno meno di 1/20 dell’energia di un legame
covalente, sono infatti abbastanza forti da assicurare un legame
solo se agiscono in molti simultaneamente.
Le interazioni deboli, spesso chiamate anche legami secondari,
sono quindi attrazioni che si stabiliscono tra atomi appartenenti
a molecole diverse (interazioni intermolecolari) o alla stessa
molecola (interazioni intramolecolari) in aggiunta ai legami
covalenti che li legano agli altri atomi della molecola.

Le interazioni deboli comprendono:


• forze di Van der Waals;
• legami a idrogeno;
• interazioni dipolo-dipolo;
• forze idrofobe.
I legami deboli sono importanti nei sistemi biologici in quanto
nel caso delle interazioni intermolecolari impartiscono alle
macromolecole la loro forma e struttura.

I legami deboli hanno un’estrema importanza biologica in


quanto:
• sono alla base delle interazioni reversibili tra le molecole che
costituiscono la materia vivente;
• sono i principali responsabili della stabilizzazione del
ripiegamento su se stesse delle grosse molecole biologiche
(macromolecole: acidi nucleici, proteine, polisaccaridi) che
assumono di conseguenza ciascuna una propria specifica
conformazione tridimensionale stabile.

A temperatura ambiente, a causa delle collisioni tra le molecole,


ciascun legame debole è incapace di trattenere insieme due
molecole per più di una infinitesima frazione di secondo.
Affinché tra due molecole si stabilisca una interazione stabile
per mezzo di tali legami, occorre che molti di essi cooperino
simultaneamente, in modo che le loro pur deboli forze,
sommandosi, superino l’energia delle collisioni (il cosiddetto
“effetto velcro”). Ciò può avvenire solo se le superfici delle due
molecole “combaciano” per un’area sufficientemente ampia e
se in tale zona la distribuzione dei gruppi chimici è tale da
permettere la formazione di un elevato numero di legami deboli;
superfici con tali caratteristiche sono dette superfici
complementari.

La stabilità dei complessi sopramolecolari dipende dal numero


e dalla natura delle interazioni deboli che contribuiscono alla
loro formazione: essi possono durare da pochi secondi a tempi
estremamente lunghi. Resta il fatto che la loro formazione è
sempre reversibile, perché coinvolge legami molto deboli,
sebbene numerosi, ed è sempre possibile che una collisione tra
molecole sufficientemente forte ne causi la rottura.

PROPRIETÁ DELL’ACQUA
L’acqua é un componente essenziale di tutte le cellule e degli
organismi ed è presente nel corpo umano al 75% nei neonati e
al 60% negli adulti.

Le principali proprietà dell’acqua sono:


• POLARITÀ: dovuta ad una diversa distribuzione delle cariche
elettriche tra l’ossigeno e gli atomi di idrogeno;
• COESIONE: dovuta ai legami a idrogeno tra le molecole
d’acqua. La coesione spiega alcune caratteristiche dell’acqua,
come il suo elevato punto di ebollizione;
• ADESIONE: dovuta a legami a idrogeno tra l’acqua e altre
sostanze polari. Coesione e adesione dell’acqua spiegano il
fenomeno della capillarità, cioè la capacità di risalire
all’interno di tubi molto stretti contro la forza di gravità, come
si osserva nelle piante;
• ALTO CALORE SPECIFICO: (quantità di calore che un
grammo di una sostanza deve assorbire per aumentare la sua
temperatura di un grado centigrado), dovuto ai numerosi
legami a idrogeno tra le molecole d’acqua. Ciò consente agli
organismi di mantenere relativamente costante la temperatura
interna e fa sì che gli oceani e le altre masse d’acqua
mantengano una temperatura costante;
• ALTO CALORE DI EVAPORAZIONE: (quantità di energia
necessaria per convertire un grammo di liquido in vapore). Le
molecole d’acqua, quando passano allo stato di vapore,
portano con loro una grande quantità di calore, determinando
così un raffreddamento per evaporazione;
• TENDENZA A DISSOCIARSI: per dare ioni idrogeno e ioni
idrossido.
CAPITOLO DUE
BIOLOGIA CELLULARE
Il termine cellula fu introdotto per la prima volta nel 1665 da
Robert Hooke e in seguito ad uno studio dettagliato della
stessa, oggi è universalmente riconosciuta una teoria unificante
sulla natura degli organismi viventi nota come teoria cellulare,
ideata da Schleiden, Schwann e Virchow intorno alla metà del
19º secolo.

DEFINIZIONE DI TEORIA CELLULARE:


Una cellula può essere definita come un elemento di piccole
dimensioni, delimitato da una membrana e fornito di una
soluzione di sostanze chimiche in acqua.
La cellula è dotata di capacità di riprodurre copie di se stessa,
crescendo e dividendosi in due.
• Tutti gli organismi viventi sono composti da cellule;
• La cellula è l’unità morfologica e fisiologica fondamentale
nella struttura degli organismi viventi, dei quali possiede
tutte le proprietà caratteristiche;
• Ogni cellula deriva da un’altra cellula già esistente;
• Nelle cellule l’informazione genetica risiede nel DNA e
viene trasmessa dalle cellule parentali alle cellule figlie
durante la divisione cellulare.
Le cellule vengono divise in due gruppi: cellule procariotiche e
cellule eucariotiche.
In realtà, è stato scoperto un terzo tipo di cellula, quella degli
archeobatteri, che presenta alcune caratteristiche sia delle
cellule procariotiche che di quelle eucariotiche.
• LA CELLULA PROCARIOTICA: Le cellule procariotiche
sono le più semplici e le più piccole cellule esistenti. Non
sono dotate di nucleo e sono composte da una singola
molecola di DNA circolare localizzata in una regione della
cellula detta nucleoide. Oltre alla molecola di DNA
principale possono essere presenti plasmidi. Nel
citoplasma sono presenti ribosomi più piccoli di quelli che
troviamo nella cellula eucariotica. La membrana
plasmatica forma mesosomi, i quali sono coinvolti in
processi quali respirazione, fotosintesi, divisione cellulare
e sintesi dei lipidi. Gli organismi procarioti sono sempre
unicellulari e non si riproducono con modalità asessuata
ma per scissione binaria, possono però scambiarsi
materiale genetico mediante trasformazione,
coniugazione o trasduzione. In alcuni procarioti è
presente una membrana esterna.
• LA CELLULA EUCARIOTICA: Le cellule eucariotiche
sono più complesse e più grandi di quelle procariotiche e
sono dotate di nucleo. Nel citoplasma sono presenti
diversi organelli che consentono lo svolgimento delle
varie attività cellulari. Il materiale genetico è formato da
diversi cromosomi, ognuno dei quali è costituito da una
molecola di DNA, racchiusi all’interno del nucleo. Gli
organismi eucarioti possono essere unicellulari (protisti) o
pluricellulari (piante, funghi e animali).
Le cellule sono dotate di differenze e di aspetti comuni.

DIFFERENZE:
• le dimensioni variano;
• alcune sono mobili mentre altre no;
• in alcune è presente un rivestimento esterno alla
membrana, in altre no;
• alcune cellule utilizzano l’ossigeno atmosferico, altre ne
sono avvelenate;
• alcune cellule sono in grado di produrre composti
particolari come ormoni, amido, grasso, pigmenti o
gomma.

ASPETTI COMUNI:
• in ogni cellula, la composizione chimica si basa su
proteine, carboidrati, acidi nucleici e lipidi;
• le reazioni chimiche che permettono di ricavare energia
per le cellule sono comuni;
• in tutte le cellule l’informazione genetica risiede nel DNA
che ha la stessa struttura chimica in tutti i viventi.
I VIRUS
I virus sono entità viventi non costituiti da cellule.
Presentano le seguenti caratteristiche che li differenziano dagli
altri viventi:
• sono costituiti da una molecola di acido nucleico (DNA
O RNA) contenente le informazioni genetiche. Tale
molecola è racchiusa in un involucro di natura proteica
detto capside;
• hanno forma e dimensioni varie;
• contengono un unico tipo di acido nucleico che porta solo
l’informazione genetica dei propri elementi costitutivi;
• sono incapaci di sintetizzare autonomamente le proteine
di cui sono formati;
• per riprodursi devono infettare cellule ospiti di cui
sfruttano gli enzimi e il sistema energetico;
• sono parassiti specifici, alcuni infettano solo cellule
animali, alcuni solo cellule vegetali e altri solo cellule
batteriche.

MEMBRANA CELLULARE
La membrana cellulare è un sottile involucro di circa 7-9 mm di
spessore che avvolge la cellula e regola lo scambio di materiali
con l’esterno. È costituita principalmente da fosfolipidi e
proteine, ma contiene anche componenti presenti in minore
quantità come il colesterolo e i glicolipidi.
I fosfolipidi sono molecole anfipatiche, cioè caratterizzate da
una testa polare idrofila e da due code idrofobe. A causa della
loro natura chimica, se dispersi in un mezzo acquoso, tendono
a formare un doppio strato nel quale le teste polari sono rivolte
verso l’esterno e le code idrofobe verso l’interno.

Le proteine di membrana possono essere intrinseche quando


attraversano parzialmente o totalmente il doppio strato lipidico,
o estrinseche quando sono legate ad una delle due facce della
membrana.
I significati principali della membrana cellulare sono i seguenti:
• significato strutturale e morfologico che indica la
forma della cellula;
• significato funzionale che regola gli scambi di ioni e
sostanze nutritive e di scarto tra ambiente interno ed
esterno;
• significato di comunicazione e integrazione poiché
sulla membrana si trovano proteine con funzioni di
recettori le quali svolgono ruoli molto importanti nel
riconoscimento e nell’adesione fra cellule.

NUCLEO
Il nucleo controlla la maggior parte delle attività della cellula e
gioca un ruolo di primaria importanza nella replicazione,
nell’accrescimento e nel differenziamento cellulare. È
circondato dalla membrana nucleare, struttura formata da due
membrane.
Il nucleo contiene il DNA e, quando la cellula non è in divisione,
i filamenti di DNA che costituiscono i diversi cromosomi sono
despiralizzati e formano un ammasso indistinto, quando invece
la cellula è in divisione i singoli cromosomi assumono un
aspetto compatto. Nel nucleo sono inoltre contenuti uno o più
nucleoli, particolari strutture in cui vengono sintetizzati gli RNA
ribosomiali (rRNA) e vengono assemblati i ribosomi.
GLI ALTRI ORGANELLI CITOPLASMATICI
RIBOSOMI
I ribosomi sono formati da due subunità, una maggiore e una
minore, ciascuna formata da RNA ribosomiale e proteine.
Possono essere liberi nel citoplasma, o legati alla membrana
esterna del reticolo endoplasmatico.

I ribosomi degli eucarioti sono più grandi di quelli procarioti.

RETICOLO ENDOPLASMATICO E APPARATO DI GOLGI


Il reticolo endoplasmatico (RE) è un sistema di membrane
costituito da tubuli e sacculi e può essere liscio (REL) o rugoso
(RER) a seconda che sia privo o rivestito da ribosomi.

Il reticolo è coinvolto nel trasporto dei materiali attraverso la


cellula; quello liscio partecipa alla sintesi dei lipidi e alla
detossificazione da farmaci e veleni, quello rugoso invece
sintetizza le proteine a destinazione non citoplasmatica,
proteine che vengono poi trasferite all’apparato di Golgi
mediante un flusso di vescicole.

L’apparato di Golgi è costituito da una pila di vescicole


appiattite e delimitate da membrana, chiamate cisterne.

Rappresenta un centro di raccolta, rielaborazione e


smistamento dei prodotti che riceve dal reticolò
endoplasmatico, difatti dopo aver ricevuto le vescicole che
trasportano sostanze provenienti dal reticolo, ne modifica il
contenuto e lo trasferisce all’interno di nuove vescicole
indirizzandolo ai diversi compartimenti cellulari o alla
membrana plasmatica.

La regione del Golgi rivolta verso l’interno e verso il RER è


detta cis, quella rivolta verso la membrana cellulare è detta
trans.

LISOSOMI
I lisosomi sono vescicole delimitate da membrana,
paragonabili ad una sorta di stomaco cellulare poiché
contengono enzimi idrolitici (o digestivi) in grado di demolire
le sostanze organiche e sono caratterizzati da un pH interno
molto acido.

Sono particolarmente abbondanti nelle cellule destinate alla


difesa dell’organismo, come i globuli bianchi del sangue.

I lisosomi digeriscono sia le sostanze assorbite dall’esterno, sia


i materiali cellulari non più utili, i cui elementi costitutivi sono
poi rilasciati nel citoplasma per essere riutilizzati.

Una cellula può “suicidarsi” rompendo la membrana dei


lisosomi e riversando gli enzimi digestivi nel citoplasma, questo
processo è detto autolisi.

MICROSOMI
I microsomi sono vescicole che contengono sostanze
specifiche. Fra i microsomi sono particolarmente importanti i
perossisomi, responsabili di diverse funzioni correlate alla
produzione di perossido d’idrogeno (H2O2).

Una delle funzioni più importanti dei microsomi è la


demolizione di sostanze tossiche come farmaci e alcol, tramite
reazioni che producono perossidi, tali composti essendo
dannosi per le membrane e per le macromolecole biologiche,
sono poi distrutti negli stessi organuli da specifici enzimi detti
catalasi, che catalizzano la seguente reazione:

2 (H2O2) → 2 (H2O) + O2

MITOCONDRI
I mitocondri sono organelli delimitati da una membrana
doppia, il cui contenuto prende il nome di matrice.

Sono organelli semiautonomi: possiedono un proprio DNA,


ribosomi simili a quelli batterici, e si dividono per scissione
binaria.

Dato che, al momento della fecondazione, i mitocondri


provengono quasi esclusivamente dalla cellula uovo, questo
materiale genetico viene trasmesso esclusivamente per via
materna.

I mitocondri sono considerati le centrali energetiche delle


cellule in quanto sede della respirazione cellulare.

CITOSCHELETRO
Il citoscheletro è costituito da un fitto intreccio di filamenti
proteici che irrobustiscono la cellula conferendole resistenza
meccanica, inoltre ne determinano la forma, controllano gli
spostamenti dei cromosomi e di diverse macromolecole
all’interno della cellula, e permettono i movimenti cellulari.

Il citoscheletro è formato da tre tipi di filamenti: microtubuli,


filamenti intermedi e microfilamenti.

• Il microtubulo è costituito a sua volta da 13 filamenti di una


proteina globulare chiamata tubulina;

• I filamenti intermedi sono formati da diversi tipi di proteine


fibrose;

• I microfilamenti sono filamenti di actina coinvolti nei


processi di movimento, permettono infatti gli spostamenti
degli organuli all’interno della cellula e la formazione di
pseudopodi;

• I centrioli sono organelli costituiti da nove gruppi di tre


microtubuli. Le cellule vegetali ne sono prive, mentre quelle
animali ne possiedono due. La regione dei centrioli è detta
centrosoma.

I flagelli e le ciglia sono appendici cellulari dotate di


movimento formate da nove coppie di microtubuli. Le cellule
libere li utilizzano per muoversi nei liquidi mentre quelle fisse li
utilizzano per spostare il materiale extracellulare.

LA CELLULA VEGETALE
La membrana, il nucleo, i mitocondri, i ribosomi e gli altri
organelli di cui abbiano precedentemente parlato sono presenti
sia nelle cellule animali che in quelle vegetali, quest’ultime sono
però dotate di alcune strutture che risultano essere assenti
nelle cellule animali: la parete cellulare, i plastidi e i vacuoli.

• La parete cellulare è un involucro esterno rigido che da


forma alla cellula, la protegge e la sostiene. Presenta piccoli
pori che permettono il passaggio di citoplasma e di sostanze
da una cellula all’altra, queste strutture di comunicazione
sono dette plasmodesmi;

• I plastidi comprendono:

1. i cromoplasti contenenti sostanze colorate dette pigmenti;

2. i leucoplasti, incolori e contenenti sostanze di riserva;

3. i cloroplasti contenenti pigmenti verdi detti clorofille e sede


della fotosintesi clorofilliana.

• I vacuoli sono vescicole contenenti acqua e sostanze di vario


tipo che diventano sempre più grandi via via che la cellula
invecchia, fino a occupare quasi tutto il suo volume. I vacuoli
fungono da deposito per sostanze di riserva e di rifiuto.

PRINCIPALI ORGANULI CELLULARI DI PROCARIOTI ED


EUCARIOTI
SCAMBIO DI MATERIALI FRA INTERNO ED ESTERNO
DELLA CELLULA
Le sostanze possono entrare e uscire dalla cellula in modi
diversi e tramite trasporto passivo o tramite trasporto attivo.

• Il trasporto passivo avviene secondo gradiente di


concentrazione, quando cioè una sostanza si sposta da una
zona in cui la sua concentrazione è maggiore ad un’altra in
cui la concentrazione è minore. Questo processo è
spontaneo e non richiede energia;

• Il trasporto attivo avviene contro gradiente di


concentrazione, quando cioè una sostanza si sposta da una
zona in cui la sua concentrazione è minore ad un’altra in cui
la concentrazione è maggiore. Questo processo richiede
energia, che viene fornita dall’idrolisi di ATP.

DIFFUSIONE SEMPLICE E OSMOSI (TRASPORTO


PASSIVO)
• La diffusione semplice è il movimento di una particella che
si sposta da una zona ad alta concentrazione ad un’altra con
minore concentrazione, come abbiamo già detto avviene
secondo gradiente di concentrazione ed é un processo di
tipo passivo. Il gradiente di concentrazione è la forza che
determina questo tipo di spostamento. Il gradiente
elettrochimico è invece la forza motrice netta che tende a
spostare uno ione attraverso la membrana ed è il risultato
della somma del gradiente di concentrazione e del potenziale
elettrico;

• La diffusione facilitata è un processo di tipo passivo, ma


avviene tramite una proteina di trasporto e quindi verrà
approfondito meglio nel capitolo successivo;

- Il trasporto passivo di un composto privo di carica


dipende dal gradiente di concentrazione fra i due lati
della membrana, mentre quello di un composto dotato di
carica (ione) dipende dal gradiente elettrochimico.
• L’osmosi è un caso particolare di diffusione e consiste nel
passaggio di acqua attraverso una membrana
semipermeabile che separa due soluzioni a diversa
concentrazione: l’acqua passa spontaneamente dalla
soluzione in cui la concentrazione è minore (ipotonica) alla
soluzione in cui la concentrazione è maggiore (ipertonica).
La membrana cellulare e quelle interne si comportano
esattamente come membrane semipermeabili e l’acqua
passa attraverso di esse per osmosi.

A. Ponendo una cellula animale in soluzione isotonica (cioè


alla stessa concentrazione) rispetto al citoplasma, non si
osserva alcuna variazione; (FIGURA A)

B. In una soluzione ipotonica (cioè ad una concentrazione


minore) rispetto al citoplasma, si ha un ingresso netto di
acqua e la cellula si gonfia fino a scoppiare; (FIGURA B)

C. In una soluzione ipertonica (cioè ad una concentrazione


maggiore) rispetto al citoplasma, si ha fuoriuscita di acqua
e la cellula si raggrinzisce. (FIGURA C)

Per le cellule vegetali invece il discorso è diverso, poiché


possono vivere in contatto con una soluzione meno
concentrata (ipotonica) senza scoppiare. L’acqua attraversa la
parete cellulare e il plasmalemma, la cellula si gonfia e preme
contro la parete cellulare con una forza detta pressione di
turgore.

Poste invece in una soluzione più concentrata (ipertonica), le


cellule vegetali subiscono la plasmolisi, cioè il distacco della
membrana cellulare dalla parete, dovuta alla fuoriuscita di
acqua.

TRASPORTO ATTRAVERSO PROTEINE DI MEMBRANA


(TRASPORTO ATTIVO)
Le sostanze come gli ioni e gli zuccheri, che non attraversano
la membrana per diffusione semplice, possono essere
trasportate mediante proteine di membrana.

Le proteine di membrana operano secondo due meccanismi:

• La diffusione facilitata (trasporto passivo) consiste nel


trasporto di una sostanza secondo gradiente di
concentrazione mediante una proteina di trasporto.
Avvenendo dunque secondo gradiente di concentrazione è
un processo di tipo passivo e non richiede quindi energia;

• Nel trasporto attivo invece le sostanze sono trasportate


attraverso proteine di membrana dette pompe, che le
spostano contro gradiente di concentrazione, utilizzando
l’energia ottenuta dall’idrolisi dell’ATP.

Le molecole di glucosio entrano nei globuli rossi per diffusione


facilitata, le cellule renali invece eliminano molte sostanze di
rifiuto per trasporto attivo.

Le proteine trasportatrici si possono distinguere in due


categorie:

• Le proteine vettrici legano la sostanza che trasportano, poi


cambiano conformazione rilasciandola al lato opposto della
membrana;

• Le proteine canale formano pori attraverso la membrana


con forma, diametro e carica interna specifica a seconda
della sostanza che devono trasportare.

TRASPORTO MEDIANTE VESCICOLE


Le macromolecole e le particelle di grosse dimensioni, che non
possono attraversare la membrana ne per diffusione semplice,
ne per diffusione facilitata e ne per trasporto attivo, possono
essere introdotte o espulse mediante vescicole attraverso
l’endocitosi e l’esocitosi.

• L’endocitosi si attua attraverso la formazione di invaginazioni


della membrana creando piccole vescicole le quali
racchiudono la sostanza da trasportare e si spostano
fluttuando nel citoplasma. L’endocitosi può avvenire per
fagocitosi e pinocitosi.

- Si parla di fagocitosi quando la cellula assorbe particelle


solide;

- Si parla di pinocitosi quando la cellula assorbe goccioline di


liquido;

• Nell’esocitosi invece, le vescicole endocellulari migrano fino


alla membrana e si fondono con essa, riversando il loro
contenuto all’esterno.

POMPE PROTEICHE E POTENZIALE DI MEMBRANA


In tutte le cellule si ha una diversa concentrazione di ioni ai due
lati della membrana con una differenza di potenziale elettrico
pari a circa -70mv (l’interno è negativo rispetto all’esterno). Tale
differenza è detta potenziale di membrana.

Il potenziale di membrana è dovuto al fatto che lo ione sodio


(Na+) è circa 10 volte più concentrato all’esterno della cellula,
mentre lo ione potassio (K+) è circa 30 volte più concentrato
all’interno. Questi due ioni vengono trasportati da una proteina
intrinseca detta pompa (Na+)-(K+), che distribuisce 3 ioni Na+
all’esterno ogni 2 ioni K+ all’interno, in questo modo l’esterno
risulta avere più cariche positive rispetto all’interno.

Anche lo ione Ca2+ è più concentrato all’esterno che all’interno


della cellula, questo ione è invece trasportato dalla pompa
Ca2+.

Le pompe ioniche svolgono diverse funzioni fondamentali:

• Il trasporto di ioni all’esterno permette di bilanciare la


pressione osmotica, e se tale pressione si arrestasse
entrerebbe acqua fino a far scoppiare la cellula;

• Creano gradienti elettrochimici utilizzati dalla cellula per la


trasmissione dell’impulso nervoso e per la sintesi di ATP;

• Bilanciano le cariche elettriche fra l’interno e l’esterno, poiché


se la differenza fosse troppo elevata la cellula si
distruggerebbe.

COMUNICAZIONE TRA LE CELLULE


Negli organismi pluricellulari le singole cellule comunicano tra
loro.

La comunicazione tra cellule distanti avviene indirettamente


attraverso messaggeri chimici trasportati dal sangue;

Le cellule a stretto contatto invece possono comunicare


direttamente, scambiandosi materiali attraverso giunzioni di
vario tipo.

Le cellule vegetali per esempio comunicano attraverso i


plasmodesmi, ovvero giunzioni presenti solo nelle cellule
vegetali che hanno appunto il compito di collegare più pareti
vegetali assieme.

Le cellule animali invece presentano vari tipi di giunzioni che


hanno il compito di legare tra loro le cellule epiteliali.

Fra i diversi tipi di giunzioni abbiamo le giunzioni ancoranti


(desmosomi), le giunzioni occludenti e le giunzioni
comunicanti.

• Le giunzioni ancoranti o desmosomi sono formate da una


placca densa unita a fibre di cheratina e a proteine per
l’adesione cellulare. Strutture di questo tipo hanno il compito
di conferire resistenza al tessuto epiteliale;

• Le giunzioni occludenti sono costituite da file di proteine di


membrana e hanno il compito di serrare gli spazi presenti fra
le cellule per evitare l’entrata e la fuoriuscita di sostanze, per
questo motivo infatti si trovano nell’intestino;

• Le giunzioni comunicanti sono costituite da complessi


proteici contenenti canali, sono infatti dei tubicini che
permettono il passaggio di sostanze da una cellula all’altra.
Le giunzioni comunicanti sono presenti in particolare nei
tessuti epiteliali, nel tessuto muscolare, nel tessuto cardiaco
e nel tessuto nervoso.

METABOLISMO CELLULARE
Il metabolismo cellulare è l’insieme di tutte le reazioni
chimiche che avvengono in una cellula.

Il metabolismo cellulare si divide in catabolismo e in


anabolismo.

• Il catabolismo consiste nella distruzione di molecole


complesse in molecole più semplici. Le reazioni cataboliche
producono l’energia necessaria alle reazioni anaboliche che
gli viene fornita attraverso un trasportatore denominato ATP;

• L’anabolismo consiste nella costruzione di molecole


complesse a partire da molecole più semplici. Questo
processo richiede energia, che gli verrà fornita dalle reazioni
anaboliche mediante l’ATP.

REAZIONI METABOLICHE E OSSIDORIDUZIONI


Le reazioni chimiche sono trasformazioni basate sulla perdita e
sull’acquisto di elettroni mediante ossidazione e riduzione.

L’elemento che subisce l’ossidazione perde elettroni, mentre


l’elemento che subisce la riduzione acquista elettroni. Le due
reazioni avvengono sempre contemporaneamente perché gli
elettroni ceduti dall’elemento che si ossida, chiamato
riducente, vengono acquistati da quello che si riduce, detto
ossidante.

Chi ossida, perde elettroni e atomi di idrogeno


(deidrogenazione), chi invece riduce, acquista elettroni e ioni
di idrogeno (idrogenazione).

TRUCCHETTO PER RICORDARE


I TRASPORTATORI DI POTERE RIDUCENTE


Gli elettroni vengono ceduti dalle sostanze energetiche durante
le reazioni cataboliche e vengono acquistati durante le reazioni
anaboliche.

Nelle cellule sono quindi presenti alcuni composti che possono


acquistare o cedere elettroni, e fungono da trasportatori di
potere riducente, ovvero da trasportatori di elettroni.

Tra questi si ricordano:

• Il NAD nella forma NAD+ può accettare un protone e due


elettroni riducendosi a NADH;

• Il FAD può accettare due elettroni e due protoni riducendosi a


FADH2;

• Il NADP nella forma NADP+ può accettare un protone e due


elettroni riducendosi a NADPH.

ENZIMI
Le reazioni metaboliche avvengono grazie all’intervento degli
enzimi. Gli enzimi sono catalizzatori biologici volti ad
aumentare la velocità delle reazioni biologiche senza
parteciparvi direttamente.

Le sostanze che reagiscono legandosi a un certo enzima sono


dette substrati.

L’enzima è formato da due siti:

• Il sito attivo è il punto in cui si lega il substrato inserendosi


perfettamente in esso come una chiave nella sua serratura.
Nel sito attivo avvengono la reazione atomica e la formazione
del prodotto;

• Il sito allosterico è il punto in cui si collega il prodotto


scaturito dal sito attivo. Il sito allosterico può regolare
l’attività enzimatica fungendo da:

- FACILITATORE: favorisce l’entrata del substrato nel sito


attivo;

- INIBITORE: modifica la forma del substrato in maniera tale


da non renderlo adatto ad entrare nel sito attivo.

Molti enzimi richiedono per funzionare condizioni di


temperatura e pH ben precise, questo spiega come mai
durante la febbre non abbiamo un ottimale efficienza degli
enzimi.

Abbiamo due tipologie di enzimi:

• ENZIMI ANTAGONISTI (anche conosciuti come enzimi


competitivi o sormontabili): competono con il substrato per
legarsi al sito attivo;

• ENZIMI NON COMPETITIVI: non competono per lo stesso


sito attivo.

CATABOLISMO DEL GLUCOSIO

TAPPE PER DEGRADARE IL GLUCOSIO IN ENERGIA


• Glicolisi

• Decarbossilazione ossidativa del piruvato

• Ciclo di Krebs

• Catena respiratoria

GLICOLISI
La prima fase dell’ossidazione è la glicolisi, fase in cui
attraverso una serie di reazioni il glucosio viene demolito e
trasformato in piruvato.

La glicolisi è un processo catabolico che avviene nel


citoplasma (perché è lì che si trovano gli enzimi) attraverso cui
il glucosio viene scisso in molecole più semplici.

Dunque, una molecola di glucosio a 6 atomi di carbonio


(C6H12O6), viene gradualmente trasformata in due molecole di
acido piruvico a 3 atomi di carbonio (C3H4O3). Essendo un
processo catabolico viene liberata energia, energia che viene
poi sfruttata per produrre due molecole di ATP e due molecole
di NADH.

RESPIRAZIONE CELLULARE (DECARBOSSILAZIONE


OSSIDATIVA DEL PIRUVATO, CICLO DI KREBS E CATENA
RESPIRATORIA)
Il piruvato formato con la glicolisi può seguire due percorsi
diversi:

• In assenza di ossigeno (anaerobiosi) resta nel citoplasma e


viene ridotto (acquista elettroni) tramite il processo della
fermentazione ad acido lattico, etanolo o altri composti;

• In presenza di ossigeno (aerobiosi) entra nel mitocondrio e


viene ossidato (perde elettroni) a CO2 durante la respirazione
cellulare, ovvero la seconda fase della degradazione del
glucosio.

PRESENZA DI OSSIGENO
Il processo di respirazione cellulare ha luogo nei mitocondri e
viene diviso in tre fasi principali: la decarbossilazione del
piruvato, il ciclo di Krebs e la catena respiratoria.

• Durante la decarbossilazione del piruvato, questa sostanza


entra nel mitocondrio e perde una molecola di CO2, allo
stesso tempo però si trasforma in un gruppo acetile (a 2
atomi di C) e si lega ad un composto chiamato coenzima
creando così il CoA e una molecola di NADH.

• Il gruppo acetile (a 2 C) entra nel ciclo di Krebs legandosi


all’acido ossalacetico (a 4 C) formando acido citrico (a 6 C).
L’acido citrico subisce ossidazioni (perde) che portano alla
formazione di due molecole di CO2 e una di ATP e alla
riduzione (acquista) di tre molecole di NAD+ che diventano
NADH e una molecola di FAD che diventa FADH2. L’ultima
reazione rigenera l’acido ossalacetico e quindi inizia un
nuovo ciclo.

• L’ultima fase della respirazione è la catena respiratoria che


richiede ossigeno, fase in cui viene prodotto ATP. I due
coenzimi ridotti infatti si ossidano cedendo elettroni alla
catena respiratoria. L’energia che gli elettroni perdono
gradualmente viene sfruttata per produrre ATP. I componenti
più importanti della catena respiratoria sono i citocromi,
molecole che, potendo esistere sia in una forma ossidata sia
in una forma ridotta, fungono da trasportatori di elettroni.
L’ultimo trasportatore della catena cede gli elettroni
all’ossigeno, che è dunque l’accettore finale, trasformandolo
in acqua. La produzione di ATP accoppiata al trasporto degli
elettroni nella catena respiratoria è detta fosforilazione
ossidativa e avviene grazie a un meccanismo di
accoppiamento chemiosmotico: durante il trasporto degli
elettroni, i protoni (ioni H+) sono pompati nello spazio tra le
due membrane generando così un gradiente elettrochimico; i
protoni poi rientrano nella matrice attraverso l’ATP sintetasi e
fornisce l’energia necessaria per sintetizzare l’ATP a partire
da ADP e fosfato.

ASSENZA DI OSSIGENO
In assenza di ossigeno le cellule ricorrono alla fermentazione,
processo che avviene nel citoplasma in cui il piruvato prodotto
dalla glicolisi viene ridotto e convertito in sostanze diverse a
seconda del tipo di fermentazione, difatti ne esistono di due
tipi: fermentazione lattica e fermentazione alcolica.

FOTOSINTESI CLOROFILLIANA
Gli organismi fototrofi (piante, alghe, batteri) posseggono il
corredo di enzimi che consente loro di trasformare l’energia
luminosa in energia chimica e di utilizzarla per ridurre l’anidride
carbonica, questo processo di utilizzazione dell’energia e della
materia prende il nome di fotosintesi.

Nella sua forma più evoluta, la fotosintesi si svolge nei


cloroplasti, organelli presenti nelle cellule delle alghe verdi e
dei tessuti verdi delle piante.

All’interno dei cloroplasti, sono presenti diversi pigmenti,


sostanze che appaiono colorate perché sono in grado di
assorbire la luce di certe lunghezze d’onda, mentre lasciano
passare quelle di altre.

Tra i pigmenti presenti il più importante è la clorofilla, che


assorbe radiazioni blu e rosse e quindi appare colorata in
verde. Il colore che noi vediamo è rappresentato dalla somma
delle radiazioni lasciate passare che quindi arrivano a colpire il
nostro occhio.

Nel processo della fotosintesi si possono distinguere due fasi:

• FASE LUMINOSA che si verifica esclusivamente in presenza


di luce e consiste sia nell’ossidazione dell’ossigeno
dell’acqua che viene liberato sottoforma di ossigeno
molecolare, sia nell’accumulo di ATP e di NADPH+H+;

• FASE OSCURA che può verificarsi anche al buio (purché


siano presenti quantità sufficienti di ATP e di NADPH+H+) e
consiste nella riduzione dell’anidride carbonica che viene
trasformata in glucosio.

LE REAZIONI DELLA FASE LUMINOSA


I pigmenti presenti all’interno dei cloroplasti formano assieme
alle proteine, grossi complessi multimolecolari di due tipi:

• i fotosistemi che sono formati da 50/100 molecole di


clorofilla (pigmento) e da 10/20 molecole di proteine. I
fotosistemi sono direttamente coinvolti nell’assorbimento
della luce e nella sua conversione in energia chimica. Una o
due delle molecole di clorofilla presenti costituiscono il centro
di reazione fotochimica, a livello del quale si verifica l’evento
fondamentale delle reazioni della fase luminosa: l’eccitazione
della clorofilla;

• i complessi di captazione dell’energia che raccolgono


l’energia luminosa e la concentrano sui fotosistemi.

Quando un quanto di luce colpisce la clorofilla di un centro di


reazione fotochimica del fotosistema 1 indicato con la sigla
P700, cede la propria energia ad una coppia di elettroni di
questa clorofilla, che diviene “eccitata”. La clorofilla eccitata
cede poi immediatamente questi elettroni ad un accettore
primario. In poche parole, la clorofilla si ossida (perde elettroni)
mentre l’accettore primario si riduce (acquista elettroni).

La clorofilla del fotosistema 1 deve recuperare gli elettroni


perduti, per poter essere di nuovo eccitabile. A questo
provvede il fotosistema 2: la clorofilla del suo centro di reazione
fotochimica (indicato con la sigla P680) viene eccitata nello
stesso modo in cui è stata eccitata quella del fotosistema 1 e
allo stesso modo cede anch’essa elettroni ad un accettore
primario. Il livello energetico a cui vengono a trovarsi ora gli
elettroni è più alto di quello del P700 del fostosistema 1.

A questo punto, è la clorofilla del fotosistema 2 (P680) che


deve recuperare la coppia di elettroni persi nella reazione
fotochimica e gli elettroni liberati vengono direttamente
trasferiti al P680 che diviene nuovamente eccitato.

Riassumendo, quindi, nella fase luminosa della fotosintesi, gli


elettroni vengono “sollevati” da un livello energetico molto
basso (quello a cui si trovano quando sono combinati con
l’ossigeno dell’acqua) fino a un livello molto più alto (quello a
cui si trovano nel NADPH) grazie alle ossido-riduzioni causate
dall’energia luminosa.

Va sottolineato che le reazioni della fase luminosa portano alla


liberazione di ossigeno molecolare (O2), che viene immesso
nell’atmosfera. L’elevato contenuto di ossigeno dell’atmosfera
terrestre di oggi è dovuto esclusivamente alla fotosintesi
clorofilliana: è infatti solo dopo la comparsa degli organismi
fototrofi sulla terra che ha avuto inizio l’accumulo di ossigeno
nell’atmosfera.

LE REAZIONI DELLA FASE OSCURA


La fase oscura della fotosintesi avviene nel cloroplasto
attraverso una complessa serie ciclica di reazioni enzimatiche,
nota come ciclo di Calvin e il risultato di tale processo è la
sintesi di una molecola di glucosio.

Grazie alle reazioni tipiche della fase luminosa della fotosintesi,


all’interno del cloroplasto troviamo una molecola di ribulosio
difosfato (RuBP) che é uno zucchero caratterizzato da 5 atomi
di carbonio. Tale molecola si lega con una molecola di CO2
andando a formare un composto instabile con 6 atomi di
carbonio, il quale a sua volta si lega con una molecola di acqua
producendo due molecole di fosfogliceraldeide (PGAL).

Tale legame è reso possibile dalla presenza del NADPH e


dell’ATP, che alla fine del Ciclo di Calvin esauriscono la loro
carica, si trasformano in ADP e NADP+ e sono così pronti per
rientrare nella fase luminosa della fotosintesi clorofilliana.

Delle 12 molecole di PGAL ottenute durante il ciclo di Calvin,


dieci vengono impiegate nuovamente per produrre molecole di
RuBP e due si combinano per formare una molecola di
glucosio arrivando così al prodotto finale della fotosintesi
clorofilliana.

La molecola di glucosio prodotta può essere utilizzata per


diversi scopi dalla pianta:

• Può unirsi al fruttosio fosfato formando saccarosio, il


quale viene trasportato alle varie parti della pianta;

• Può unirsi a più molecole di glucosio formando amido


primario;

• Può essere utilizzato per la sintesi della cellulosa.

ORGANISMI AUTOTROFI ED ETEROTROFI


Gli organismi autotrofi sono quegli organismi in grado di
produrre sostanze organiche (zuccheri) a partire da sostanze
inorganiche semplici (CO2 e H2O) prelevate dall’ambiente.

Essi si dividono in fotoautotrofi e chemioautotrofi:

• I fotoautotrofi sono coloro che sfruttano la luce solare come


fonte di energia per organicare il carbonio;

• I chemioautotrofi sono invece coloro che sfruttano l’energia


liberata dalle reazioni di ossidoriduzione di sostanze
inorganiche per procurarsi sia energia sia le molecole ridotte
necessarie per l’organicazione della CO2.

Gli organismi eterotrofi sono invece coloro che non sono in


grado di sintetizzare autonomamente molecole organiche
partendo da molecole inorganiche semplici e devono perciò
prelevarle dall’ambiente, cibandosi di animali erbivori e
carnivori, di sostanze organiche che ottengono da organismi
viventi e di prodotti di rifiuto.

CAPITOLO 3
DIVISIONE CELLULARE E CROMOSOMI
La divisione cellulare è il processo che permette a una cellula
di dare origine a due cellule figlie. Ogni cellula contiene al suo
interno un accumulo di informazioni tratti dal DNA e prima di
ogni divisione cellulare, il DNA si duplica e ognuna delle due
cellule che nascono dalla divisione riceve una dotazione di
informazioni identica a quella della cellula madre.

Il processo di divisione cellulare deve garantire la distribuzione


equa di DNA, citoplasma e organuli cellulari.

La riproduzione di un organismo può essere sessuata o


asessuata.

Il processo riproduttivo che prevede l’unione di due gameti è


chiamato riproduzione sessuata mentre la riproduzione a
partire da un solo genitore è chiamata riproduzione
asessuata.

DIVISIONE CELLULARE NEI PROCARIOTI


Gli organismi procarioti si riproducono in maniera asessuata
dividendosi per semplice scissione binaria.

All’inizio del processo, la molecola di DNA si duplica, mentre la


cellula si accresce; successivamente, a partire dal mesosoma,
si forma un setto traverso che divide la cellula madre in due
cellule figlie, ciascuna dotata di una molecola di DNA identica a
quella della cellula madre. Questa modalità di riproduzione
asessuata è semplice e veloce e permette ai batteri una
successione di generazioni estremamente rapida.

DIVISIONE CELLULARE DEGLI EUCARIOTI


Negli eucarioti esistono due diversi meccanismi di divisione
cellulare: la mitosi e la meiosi.

• La mitosi avviene nei processi di accrescimento e di


rinnovamento cellulare di tutti gli organismi;

• La meiosi riguarda solo i gameti, cioè le cellule coinvolte


nella riproduzione sessuata.

IL CICLO CELLULARE DEGLI EUCARIOTI


Il ciclo cellulare è la sequenza di eventi che avvengono in una
cellula eucariota tra una divisione cellulare e quella successiva.

Il ciclo cellulare è suddiviso in quattro fasi distinte dette G1, S,


G2 e M.

Le prime tre fasi costituiscono l’interfase, il periodo


precedente alla divisione cellulare, mentre l’ultima fase
costituisce la mitosi ed è lo stadio in cui avviene la divisione
cellulare.

• La FASE G1 è il periodo in cui la cellula raddoppia le proprie


dimensioni; (talvolta può succedere che le cellule non si
dividano rimanendo in uno stato di riposo detto G0)

• Nella FASE S si ha la replicazione del DNA, necessaria


affinchè durante la divisione cellulare ogni cellula figlia possa
ricevere una copia completa del genoma;

• Nella FASE G2 la cellula si prepara alla mitosi.

La durata del ciclo cellulare varia a seconda della specie e delle


condizioni di crescita. Le cellule sono in grado di controllare i
singoli eventi del ciclo cellulare grazie ad un sistema di
controllo e, in caso di disfunzione di quest’ultimo, le cellule si
riproducono quando e dove non dovrebbero e ciò può portare
alla formazione di un tumore.

IL CORREDO CROMOSOMICO
Il DNA degli eucarioti è suddiviso in più cromosomi lineari. Il
numero di cromosomi varia da specie a specie, nell’uomo per
esempio vi sono 46 cromosomi, nel topo ve ne sono 40 e nel
gatto 72.

Tutte le cellule di uno stesso organismo hanno lo stesso


numero di cromosomi, ad esempio tutte le cellule somatiche
che compongono il corpo umano hanno 46 cromosomi.

MITOSI
La mitosi è il processo tramite il quale il nucleo di una cellula
eucariote si divide dando origine a due nuclei figli. Alla
divisione del nucleo segue generalmente (ma non
necessariamente) la divisione del citoplasma indicata come
citodieresi.

All’inizio della mitosi, i cromosomi si condensano e iniziano a


presentarsi sottoforma di corpuscoli corti e tozzi. Dato che il
DNA si è duplicato durante la fase S del ciclo cellulare, ogni
cromosoma di una cellula che entra in mitosi è costituito da
due filamenti di DNA identici, chiamati cromatidi fratelli. I
cromatidi sono uniti nel centromero, mentre le estremità dei
cromosomi sono dette telomeri.

La mitosi si divide in quattro fasi:

• PROFASE: Quando la cellula entra in profase, ha inizio la


mitosi. La cromatina si avvolge progressivamente divenendo
via via più compatta e condensandosi in forma di cromosomi;

• METAFASE: Nella metafase tutti i centromeri dei cromosomi


risultano allineati sul piano equatoriale, al centro della cellula;

• ANAFASE: Durante l’anafase, la coppia di cromatidi fratelli si


separa e i nuovi cromosomi figli cominciano a spostarsi verso
i poli;

• TELOFASE: I cromosomi figli raggiungono i poli. Quando la


telofase si conclude, l’involucro nucleare e i nucleoli si
riformano, la cromatina diventa meno compatta e la cellula
entra in una nuova interfase.

CITODIERESI
La citodieresi è la fase che segue quasi sempre la mitosi e
consiste nella divisione del citoplasma che porta alla
formazione di due cellule figlie.

Questo processo avviene con due modalità diverse nelle cellule


vegetali e nelle cellule animali:

• Nelle cellule vegetali, il citoplasma viene diviso da un


diaframma, la piastra cellulare, che si origina al centro della
cellula e si estende fino a raggiungere la membrana;

• Nelle cellule animali, si forma un solco nella regione


equatoriale della cellula, che diventa sempre più profondo
fino a dividere la cellula in due parti.

RIPRODUZIONE ASESSUATA
Negli organismi a riproduzione asessuata la prole ha origine da
un unico individuo, senza l’intervento e la fusione di cellule
specializzate per la riproduzione.

La riproduzione asessuata interessa sia organismi unicellulari


che pluricellulari e può avvenire con diverse modalità, fra cui
ricordiamo la scissione binaria, la gemmazione e la
sporulazione.

• La scissione binaria si verifica quando, dopo la mitosi, la


cellula si divide semplicemente in due parti uguali;

• La gemmazione consiste in una mitosi seguita da una


divisione ineguale del citoplasma. La nuova cellula, più
piccola, è destinata ad accrescersi successivamente;

• La sporulazione si verifica quando, dopo la mitosi, si


formano particolari cellule riproduttive dette spore. Queste
spore sono dotate di una spessa parete che permette loro di
resistere in condizioni ambientali avverse, per poi generare un
nuovo individuo quando l’ambiente diventa favorevole.

RIPRODUZIONE SESSUATA
La riproduzione sessuata prevede la partecipazione di cellule
specializzate per questa funzione, i gameti, generalmente
prodotti da due individui di sesso diverso, ognuno dei quali,
con i propri cromosomi, contribuisce alla formazione del
corredo genetico della progenie. La riproduzione ha luogo
quando il gamete maschile si fonde con quello femminile; dalla
fusione di due gameti, detta fecondazione, ha origine lo
zigote che rappresenta la prima cellula del nuovo organismo
da cui, attraverso una serie di divisioni mitotiche, si formerà
l’individuo.

CELLULE APLOIDI E DIPLOIDI


Dato che lo zigote ha origine dalla fusione di due gameti,
quest’ultimi devono avere patrimonio genetico dimezzato
rispetto a quello normale della specie.

• I gameti sono cellule aploidi, contengono cioè un unico


cromosoma di ogni coppia. Il possesso di un numero aploide
di cromosomi si indica con la sigla n;

• Le cellule somatiche sono cellule diploidi, cioè possiedono


una coppia di cromosomi omologhi, uno di origine paterna
e uno di origine materna. Il possesso di un numero diploide di
cromosomi si indica con la sigla 2n.

I gameti contengono quindi un numero di cromosomi pari alla


metà di quello delle cellule somatiche.

La partenogenesi è un tipo di riproduzione che richiede la


formazione dei gameti ma non la loro fusione. In questo caso il
nuovo individuo ha origine da una cellula uovo (gamete
femminile) non fecondata, avviato da stimoli meccanici e fisici,
anzichè dall’ingresso nell’uovo dello spermatozoo. Questo
processo è tipico dei rettili e delle api.

MEIOSI
Nelle gonadi sono contenute cellule specializzate diploidi (2n),
chiamate gametociti, che vanno incontro alla meiosi, dando
origine ai gameti aploidi (n). Il processo consiste in due divisioni
cellulari successive che, a partire da una cellula diploide, ne
producono quattro aploidi; nella prima divisione avviene anche
la replicazione del DNA.

La meiosi si divide in quattro fasi:

• PROFASE 1: La cromatina si condensa, i cromosomi


diventano corpuscoli distinti, si forma l’apparato del fuso e
scompaiono la membrana nucleare e i nucleoli. I due
cromosomi omologhi di ogni coppia si avvicinano e si
uniscono. Ogni coppia di omologhi uniti risulta formata da
quattro cromatidi ed è perciò chiamata tetrade o sinapsi.
Talvolta, tra i due omologhi di una coppia si ha il fenomeno
del crossing-over;

• METAFASE 1: Le tetradi si allineano sul piano equatoriale


della cellula e ogni coppia di cromosomi omologhi si attacca
a una fibra del fuso;

• ANAFASE 1: I due cromosomi di ogni coppia si separano e si


muovono verso i due poli opposti della cellula grazie
all’accorciamento delle fibre del fuso;

• TELOFASE 1: La cellula di partenza si divide in due cellule


figlie, ciascuna contenente un numero aploide di cromosomi.

Tra la prima e la seconda divisione meiotica può esserci un


breve periodo di riposo (interchinesi), oppure la meiosi 2 può
seguire immediatamente la meiosi 1.

Ognuna delle due cellule figlie va quindi incontro alla meiosi 2:

• PROFASE 2: I centrioli migrano ai poli opposti della cellula e


si riforma l’apparato del fuso;

• METAFASE 2: I cromosomi si allineano sul piano equatoriale


della cellula;

• ANAFASE 2: I cromatidi fratelli di ogni cromosoma si


separano e si muovono verso i due poli opposti della cellula,
diventando i nuovi cromosomi delle cellule figlie;

• TELOFASE 2: Si formano due nuclei e si ha la citodieresi con


la formazione di due cellule figlie.

La prima divisione meiotica è di tipo riduzionale mentre la


seconda è di tipo equazionale.

In sintesi, la meiosi porta a:

• produzione dei gameti necessari per la riproduzione


sessuata;

• dimezzamento del numero dei cromosomi nei gameti (da 2n a


n);

• riassortimento tra cromosomi di origine paterna e materna


per produrre nuove combinazioni.

IL CROSSING-OVER
Durante la profase 1, i cromatidi non fratelli di una coppia di
omologhi possono subire il crossing-over, cioè rompersi in
punti esattamente corrispondenti, scambiandosi dei segmenti.
Lo scambio non comporta nè perdita, nè guadagno di
materiale genetico, ma solo uno scambio reciproco di segmenti
corrispondenti.

Il punto di scambio è detto chiasma, i cromatidi che


partecipano allo scambio sono detti ricombinanti, quelli che
non si ricombinano sono detti parentali.

MUTAZIONI CROMOSOMICHE E GENOMICHE


Le mutazioni sono alterazioni del patrimonio genetico e si
distinguono in mutazioni cromosomiche e mutazioni
genomiche, entrambe causate da errori nel corso della meiosi.

• Le mutazioni cromosomiche sono dovute sostanzialmente


alla rottura di un cromosoma;

• Le mutazioni genomiche comportano la perdita o l’acquisto


di uno o più cromosomi.

Errori di questo genere portano alla nascita di sindromi di


aberrazione cromosomica come sindrome di Down (tre copie
del cromosoma 21), sindrome di Edward (tre copie del
cromosoma 18), sindrome di Turner (un solo cromosoma X
anzichè una coppia di cromosomi sessuali XX).

GAMETOGENESI: SPERMATOGENESI E OVOGENESI


• Il processo di formazione dei gameti è detto gametogenesi e
avviene nelle gonadi. Negli esseri umani i gameti maschili
sono gli spermatozoi, mentre quelli femminili sono le cellule
uovo, difatti la gametogenesi maschile è detta
spermatogenesi mentre quella femminile è detta ovogenesi:

A. La spermatogenesi è il processo di maturazione delle


cellule germinali maschili che avviene nei tubuli seminiferi
dei testicoli. Durante la spermatogenesi, gli spermatogoni
diventano prima spermatociti, e poi spermatozoi maturi;

B. Nell’ovogenesi gli ovociti primari vanno incontro alla prima


divisione meiotica con produzione di due cellule aploidi di
dimensioni diverse: un ovocita secondario ed una cellula
detta globulo polare. Il globulo polare può andare incontro
ad una seconda divisione formando due nuovi globuli
polari, oppure può degenerare e morire. L’ovocita
secondario invece se si verifica la fecondazione, va
incontro alla seconda divisione meiotica, producendo una
cellula uovo e un altro piccolo globulo polare.

CAPITOLO 4
EREDITARIETÁ
Ogni essere vivente possiede un programma genetico, cioè
un insieme di istruzioni che specificano le sue caratteristiche e
dirigono le sue attività metaboliche. Questo insieme di
istruzioni costituisce l’informazione biologica, che è ereditaria
ed è trasferita da una generazione all’altra attraverso la
riproduzione: le caratteristiche trasmesse attraverso
l’informazione biologica con la riproduzione sono dette
caratteri ereditari.

L’informazione biologica è organizzata in unità fondamentali


che prendono il nome di geni. Le diverse forme di uno stesso
gene sono dette alleli. La combinazione degli alleli di un
individuo è detta genotipo. L’insieme delle caratteristiche che
si manifestano in un individuo è detto fenotipo. Il corredo
completo di informazione di un organismo e il DNA che lo
contiene prende il nome di genoma.

GENETICA MENDELIANA
Gregorio Mendel, a metá dell’Ottocento, scoprì le leggi che
governano la trasmissione ereditaria dei caratteri
monofattoriali.

• 1º LEGGE DI MENDEL: nota come


legge della dominanza o incrocio
monoibrido, afferma che incrociando
due linee pure differenti per un
carattere ereditario, tutti i figli sono
uguali tra loro e mostrano il carattere
dominante di uno solo dei due
genitori.
Mendel incrociò piante di linea pura
che differivano per un solo carattere,
poiché una aveva seme giallo e l’altra
seme verde, chiamate generazione
parentale. Gli individui della prima generazione filiale
avevano tutti lo stesso fenotipo, cioè tutti il seme giallo,
mentre l’altro fenotipo sembrava scomparso. Definì quindi il
seme giallo un carattere dominante, mentre definì il seme
verde un carattere recessivo.
Successivamente, fecondò gli individui
della prima generazione filiale, e la progenie
che ne nacque detta seconda
generazione filiale, presentava sia il
carattere dominante della prima
generazione filiale, sia il carattere recessivo
che sembrava apparentemente scomparso.
I due caratteri, inoltre, si manifestavano
secondo un rapporto numerico ben preciso:
circa 3/4 della progenie presentava il
carattere dominante, mentre solo 1/4
manifestava il carattere recessivo.

• 2º LEGGE DI MENDEL: nota come legge della


segregazione, afferma che ogni individuo possiede due
copie di ogni fattore e che esse si separano durante la
formazione dei gameti.
Per spiegare i risultati ottenuti Mendel avanzò alcune ipotesi,
poi rivelatesi corrette:

A. ogni carattere è determinato da un gene (chiamato da


Mendel fattore), trasmesso dai genitori ai discendenti
attraverso i gameti con la riproduzione;

B. i geni esistono in forme alternative (gli alleli), ad esempio il


gene che controlla il colore del pelo può esistere in due
forme alternative, uno che determina pelo nero e uno che
determina pelo marrone;

C. un organismo possiede due copie di ogni fattore (due alleli


di ogni gene) per ogni carattere ereditato, e un gene deriva
da un genitore mentre l’altro gene deriva dall’altro genitore;

D. i due alleli di un gene si separano durante la meiosi, così


che i gameti possiedono un’unica copia per ogni carattere.

Gli individui che possiedono due alleli uguali di uno stesso


carattere sono detti omozigoti per quel carattere, mentre quelli
con due alleli diversi sono detti eterozigoti. L’allele dominante
si manifesta sia nell’individuo omozigote dominante (con due
alleli dominanti), sia nell’eterozigote (con un allele dominante e
un allele recessivo), mentre l’allele recessivo si manifesta solo
nell’omozigote recessivo (con due alleli recessivi).

Due alleli dello stesso gene si indicano con la stessa lettera


dell’alfabeto, maiuscola per l’allele dominante e minuscola per
quello recessivo.

Sono quindi possibili tre genotipi diversi, corrispondenti a due


fenotipi:

- genotipo omozigote dominante (AA) ———> fenotipo


dominante (seme giallo)

- genotipo eterozigote (Aa) ———> fenotipo dominante (seme


giallo)

- genotipo omozigote recessivo (aa) ———> fenotipo


recessivo (seme verde)

• 3º LEGGE DI MENDEL: nota come legge dell’assortimento


indipendente o incrocio diibrido, afferma che incrociando
individui di linea pura differenti per due caratteri, nella
seconda generazione filiale tali caratteri si assortiscono
indipendentemente gli uni dagli altri durante la formazione dei
gameti.
Mendel eseguì anche un incrocio tra piante di linea pura che
differivano contemporaneamente per due caratteri, alcune
con seme liscio e giallo ed altre con seme rugoso e verde. Le
piante a seme liscio e giallo hanno genotipo doppio
omozigote dominante (AABB), mentre quelle a seme rugoso e
verde hanno genotipo doppio omozigote recessivo (aabb).
In questo caso, le piante della prima generazione filiale
mostravano, come previsto, entrambi i caratteri dominanti,
cioè semi lisci e gialli. Nascevano quindi tutte piante con
genotipo eterozigote (AaBb) poiché il carattere dominante era
visibile esternamente, mentre il carattere recessivo c’era ma
non si vedeva.
Incrociando poi le piante della prima generazione filiale,
nascevano le piante della seconda generazione filiale con gli
alleli recessivi che sembravano apparentemente scomparsi, e
oltre a ricomparire i fenotipi parentali (seme liscio e giallo
oppure seme rugoso e verde), comparivano anche assortiti
diversamente prendendo il nome di fenotipi ricombinanti
(seme liscio e verde oppure seme rugoso e giallo).

Si possono quindi ottenere quattro possibili combinazioni


alleliche, e quindi quattro tipi di gameti, in uguale quantità.

Un doppio eterozigote (AbBb) può formare quattro tipi di


gameti: 1/4 AB, 1/4 Ab, 1/4 aB, 1/4 ab.

Autofecondando gli individui della prima generazione filiale


(incrociando due doppi eterozigoti AaBb) si ottengono 16
possibili combinazioni:

9 classi genotipiche
- 1/16 AABB

- 2/16 AaBB

- 2/16 AABb

- 4/16 AaBb

- 1/16 AAbb

- 2/16 Aabb

- 1/16 aaBB

- 2/16 aaBb

- 1/16 aabb

4 classi fenotipiche
- 9/16 seme liscio e giallo

- 3/16 seme liscio e verde

- 3/16 seme rugoso e giallo

- 1/16 seme rugoso e verde

RISULTATO DELL’INCROCIO TRA DUE INDIVIDUI DOPPI


ETEROZIGOTI
GLI EFFETTI DELLA TERZA LEGGE DI MENDEL SULLA
MEIOSI
IL QUADRATO DI PUNNETT
Si possono prevedere le possibili combinazioni genotipiche
degli individui della seconda generazione filiale ottenuti
dall’autofecondazione degli individui della prima generazione
filiale attraverso il quadrato di Punnett.

Il quadrato di Punnett è una tabella a due entrate che riporta


sui due lati gli alleli che ciascun genitore può trasmettere alla
progenie e la loro probabilità di essere contenuti nei gameti.

Esaminando i risultati dell’incrocio tra piante di linea pura che


differiscono per un carattere (seme giallo e seme verde) e
analizzando il quadrato di Punnett, si osserva che nella
seconda generazione filiale si hanno:

3 classi genotipiche
- 1/4 omozigoti dominanti (AA)

- 1/2 eterozigoti (Aa)

- 1/4 omozigoti recessivi (aa)

2 classi fenotipiche
- 3/4 fenotipo dominante (seme giallo)

- 1/4 fenotipo recessivo (seme verde)

REINCROCIO
Un individuo con fenotipo recessivo ha sicuramente genotipo
omozigote recessivo, mentre un individuo che ha fenotipo
dominante può essere sia omozigote che eterozigote. Il
genotipo di un individuo con fenotipo dominante si può
determinare effettuando un reincrocio (detto anche test-cross
o back-cross).

Questa prova consiste nell’incrociare l’individuo a genotipo


sconosciuto con uno il cui genotipo è omozigote recessivo.

• Se l’individuo a genotipo sconosciuto risulta essere


omozigote dominante (es. pianta a seme liscio), incrociandolo
con l’individuo a genotipo omozigote recessivo (es. pianta a
seme rugoso), la progenie della prima generazione filiale avrà
tutta genotipo eterozigote e fenotipo dominante (100% di
piante a seme liscio);

• Se l’individuo a genotipo sconosciuto risulta essere


eterozigote (es. pianta a seme liscio con genotipo
eterozigote), incrociandolo con l’individuo a genotipo
omozigote recessivo (es. pianta a seme ruvido), la progenie
della prima generazione filiale sarà costituita da individui per
metá a fenotipo dominante (piante a seme liscio con
genotipo eterozigote), e per metà da individui a fenotipo
recessivo (piante a seme rugoso con genotipo omozigote
recessivo).

DOMINANZA COMPLETA, INCOMPLETA E CODOMINANZA


La trasmissione dei caratteri ereditari avviene spesso in modo
più complesso di quanto previsto dalle regole formulate da
Mendel.

Dato che in un individuo possono essere presenti solo due


alleli diversi di uno stesso gene, il fenotipo risultante dipenderà
dalla interazione tra i due alleli.

Le interazioni tra alleli possono essere di:

• DOMINANZA COMPLETA: si verifica quando un allele


dominante, maschera completamente un allele recessivo. Ne
deriva che il fenotipo dell’individuo omozigote dominante
(AA), è indistinguibile da quello dell’eterozigote (Aa). Gli
individui della prima generazione filiale, in caso di dominanza
completa, avranno quindi lo stesso fenotipo poiché fra i due
caratteri che si incontrano, uno solo prevale. Gli individui
della seconda generazione filiale invece, in caso di
dominanza completa, avranno 3/4 di fenotipi A e 1/4 di
fenotipi a;

• CODOMINANZA: si verifica quando in un eterozigote, i due


alleli di un gene si manifestano entrambi in modo completo a
livello fenotipico. L'eterozigote manifesta il fenotipo di
entrambi gli omozigoti.

• DOMINANZA INCOMPLETA: si verifica quando dati due


alleli di un gene, nessuno dei due domina sull’altro. In questo
caso, la prima legge di Mendel non è rispettata perché gli
individui della prima generazione filiale (eterozigoti), pur
essendo uguali tra loro, hanno fenotipo diverso (spesso
intermedio) rispetto a quello di ciascuno dei genitori.
Per esempio, incrociando piante a fiore rosso e piante a fiore
bianco, gli individui della prima generazione filiale avranno
tutti fiore rosa.
Reincrociando tra loro gli individui della prima generazione
filiale, quelli della seconda generazione filiale presenteranno
1/4 a fiore rosso, 2/4 a fiore rosa e 1/4 a fiore bianco;

ALTRI FENOMENI EREDITARI COMPLESSI


• ALLELI MULTIPLI: si verifica quando esistono più di due
alleli di un gene. Un esempio di allelismo multiplo è quello del
gene responsabile dei gruppi sanguigni umani del sistema
AB0, presente con tre alleli diversi;

• PLEIOTROPIA: si verifica quando un singolo gene determina


effetti fenotipici multipli. I geni che controllano la produzione
degli ormoni, per esempio, hanno spesso questo
comportamento, perché ogni ormone generalmente esercita
molteplici effetti sull’organismo;

• EPISTASI: si verifica quando, interconnettendo geni diversi,


l’azione di un gene interferisce con l’espressione di altri geni.

GENI ASSOCIATI E GENI INDIPENDENTI


Consideriamo due geni A e B. Questi due geni possono essere
localizzati su cromosomi diversi oppure essere localizzati sullo
stesso cromosoma. Nel primo caso, si parla di geni
indipendenti, nel secondo caso si parla invece di geni
associati (anche detti geni concatenati o geni linked).

Se due geni sono indipendenti, essi segregano in meiosi in


modo indipendente e quindi per essi vale la 3º legge di Mendel;
se invece due geni sono associati, essi non si assortiscono in
modo indipendente e quindi non si verificano le previsioni della
3º legge di Mendel. Ciò significa, per esempio, che un
eterozigote per due geni associati A e B (genotipo AaBb) non
produce quattro tipi di gameti in uguale quantità (AB, Ab, aB,
ab), ma solo due (per esempio AB e ab).

CROSSING-OVER
Gli alleli di due geni associati possono essere separati solo se
tra di essi si verifica un crossing-over; in questo caso,
l’eterozigote può produrre quattro tipi di gameti. Questo però
dipende dalla distanza fisica tra i due geni: quanto maggiore è
tale distanza, tanto maggiore è la probabilità che un evento di
crossing-over li separi.

CARATTERI QUANTITATIVI
Per i propri esperimenti, Mendel scelse dei caratteri che si
manifestavano in due forme chiaramente distinguibili. Molti
caratteri, invece, si manifestano con una grande varietà di
fenotipi, non classificabili con precisione in poche classi
distinte. Questi caratteri presentano una variabilità continua e
sono detti caratteri quantitativi, nell’uomo, per esempio, sono
caratteri quantitativi la statura e la lunghezza del piede. La
variabilità continua di questi caratteri è dovuta al fatto che si
tratta di caratteri poligenici, cioè caratteri controllati da molti
geni. Il fenotipo in questo caso è il risultato della somma degli
effetti dei singoli geni.

GENOTIPO E FENOTIPO
È opportuno sottolineare che l’informazione genetica non
definisce in modo deterministico le caratteristiche di un
organismo, poiché entrano in gioco anche le condizioni
ambientali che hanno il potere di modellare l’organismo.

La statura e la struttura corporea di un individuo dipendono


solo in parte dall’informazione genetica, infatti sono largamente
influenzate da variabili ambientali come l’alimentazione, le
condizioni igieniche e l’attività fisica.

TEORIA CROMOSOMICA DELL’EREDITÀ


Gli studiosi Walter Sutton e Teodoro Boveri, formularono una
tesi che prende il nome di teoria cromosomica dell’eredità,
che stabilisce che i geni sono particelle materiali localizzate sui
cromosomi, quest’ultimi sono la sede dei geni ma non sono
geni essi stessi, ogni cromosoma contiene infatti molti geni. La
posizione di un gene su un cromosoma è indicata come locus
genico.

La trasmissione dei geni da una cellula somatica ad un’altra,


oppure da una generazione all’altra, è dovuta alla trasmissione
dei cromosomi.

I CROMOSOMI UMANI
Nelle cellule diploidi, i cromosomi sono assortiti in coppie. La
coppia di cromosomi sessuali, è formata da due cromosomi
uguali nella femmina e da due cromosomi diversi nel maschio.
Durante la meiosi, un cromosoma sessuale viene fornito dalla
madre e un cromosoma sessuale viene fornito dal padre.

Tutti gli altri cromosomi di un individuo sono detti autosomi.

Le cellule somatiche umane (diploidi) contengono 46


cromosomi, ovvero 23 coppie:

• 22 coppie di autosomi;

• 1 coppia di cromosomi sessuali; le femmine possiedono due


cromosomi X (XX), mentre i maschi hanno un cromosoma X e
un cromosoma Y (XY).

I gameti essendo aploidi, contengono invece 23 cromosomi:

• 22 autosomi;

• 1 cromosoma sessuale: le cellule uovo contengono un


cromosoma X, gli spermatozoi contengono un cromosoma X
o un cromosoma Y.

Il cariotipo è l’immagine della totalità dei cromosomi di una


specie, o di un individuo, ordinati in base alla lunghezza e alla
posizione del centromero. Nel cariotipo delle cellule diploidi i
cromosomi sono disposti in coppie di omologhi.
Per analizzare il cariotipo di un soggetto per individuare
anomalie nel numero e nella forma dei cromosomi, durante la
gravidanza è possibile effettuare o un amniocentesi, o una
villocentesi.

• L’amniocentesi è un esame che consiste nel prelievo di


liquido amniotico dalla parete addominale e viene effettuata
inserendo un ago nell’addome attraversando la cavità
amniotica e l’utero;

• La villocentesi è un’indagine che viene effettuata tra la 9º e la


12º settimana di gestazione e consiste nell’aspirazione di una
piccola quantità di villo coriale e deve essere effettuato con
un ago sottile e sotto stretto controllo ecografico.
Quest’esame, a differenza dell’amniocentesi, permette di
conoscere prima la mappa cromosomica del nascituro
consentendo alla madre, in caso di anomalia e la volontà di
interrompere la gravidanza, di effettuare un aborto con minori
complicanze mediche.

DETERMINAZIONE DEL SESSO NELL’UOMO


Tutte le cellule diploidi umane possiedono una coppia di
cromosomi sessuali il cui assortimento determina il sesso
dell’individuo: XX determina il sesso femminile, XY quello
maschile.

Nella femmina i due cromosomi sessuali sono uguali e sono


dunque omologhi fra loro; nel maschio invece, i due cromosomi
sessuali sono diversi, anche se durante la meiosi si
comportano come se fossero omologhi, appaiandosi e poi
separandosi durante la prima divisione meiotica.

Il sesso di un individuo dipende da quale dei due cromosomi


sessuali è contenuto nello spermatozoo al momento della
fecondazione. Se lo spermatozoo contiene un cromosoma X, lo
zigote conterrà due cromosomi X e l’individuo sarà dunque
femmina; se lo spermatozoo contiene un cromosoma Y, lo
zigote conterrà un cromosoma X e uno Y, dando origine a un
maschio. Questo meccanismo di determinazione del sesso fa
si che, in una popolazione sufficientemente grande, il 50%
degli individui sia di sesso femminile e l’altro 50% di sesso
maschile.

Il sesso del nascituro è quindi determinato dal padre.

Per l’essere umano la determinazione del sesso è genotipica,


nelle varie specie animali invece il sesso può essere
determinato anche dalle condizioni ambientali.

ABERRAZIONI CROMOSOMICHE
Si definisce aberrazione cromosomica o mutazione
cromosomica, un'alterazione della struttura o del numero dei
cromosomi.
Le trisomie sono anomalie legate alla presenza di un cromosoma
in eccesso, le monosomie sono invece dovute alla mancanza di un
cromosoma.
• La sindrome di Down è una malattia cromosomica dovuta alla
non disgiunzione del cromosoma 21 durante la meiosi e la
formazione di un gamete portatore di due cromosomi 21 che,
attraverso la fecondazione e lo sviluppo di uno zigote, diventano
tre cromosomi 21;
• La sindrome di Edward è una patologia rara, dovuta alla
presenza di un cromosoma soprannumerario alla coppia 18. Le
caratteristiche di tale patologia sono fianchi stretti, malformazioni
cardiache e renali, inoltre il neonato presenta il pugno chiuso con
le dita della mano sovrapposte e l’aspettativa di vita è al massimo
di un anno;
• La sindrome di Turner è una patologia in cui il soggetto si
presenta femmina, ma con caratteristiche fisiche particolari
dovute ad un corredo cromosomico anomalo, infatti è presente un
solo cromosoma X, anziché una coppia di cromosomi sessuali
XX. Le donne affette da questa sindrome presentano sterilità;
• La sindrome di Klinefelter è una patologia in cui il soggetto si
presenta maschio, ma con caratteristiche fisiche particolari poichè
la coppia di cromosomi sessuali XY è modificata da un
cromosoma in eccesso (XXY). Ciò è dovuto alla mancata
disgiunzione meiotica dei cromosomi durante la gametogenesi.
Gli uomini affetti da questa sindrome presentano testicoli piccoli e
sterilità.
VERIFICA SPERIMENTALE DELLA TEORIA CROMOSOMICA
I caratteri determinati da geni localizzati sui cromosomi sessuali
sono detti caratteri legati al sesso.
Lo studioso Thomas Morgan, per sperimentare la validità della
teoria cromosomica, ha correlato alcuni caratteri al cromosoma X,
individuò infatti nel moscerino della frutta un carattere (il colore
dell’occhio) presente solo sul cromosoma X.
Il gene del cromosoma X quindi, assente sul cromosoma Y, si
trasmette in modo diverso negli individui dei due sessi, siccome la
donna è dotata di due cromosomi X, mentre il maschio di uno solo.
Normalmente, l’occhio del moscerino della frutta è di colore rosso
(carattere dominante), ma a causa di una mutazione può essere
anche di colore bianco (carattere recessivo).
1. Morgan incrociò dunque femmine a occhi bianchi con maschi a
occhi rossi, osservando che il carattere non si trasmetteva
secondo le regole mendeliane.
Secondo Mendel infatti, gli individui della prima generazione
filiale dovrebbero presentare tutti occhi rossi (carattere
dominante), e invece si presentarono femmine ad occhi rossi e
maschi ad occhi bianchi.
2. Morgan incrociò poi maschi a occhi bianchi con femmine ad
occhi rossi, ed ottenne nella prima generazione filiale individui
tutti ad occhi rossi, e nella seconda generazione filiale femmine
ad occhi rossi e il 50% dei maschi ad occhi rossi e il restante
50% ad occhi bianchi.
L’unica spiegazione plausibile di questi risultati è che il carattere del
colore dell’occhio sia determinato da un gene localizzato sul
cromosoma X.
Nell’ultimo incrocio infatti, le femmine parentali hanno due
cromosomi X entrambi con il gene degli occhi rossi, mentre i
maschi il cromosoma X con il gene degli occhi bianchi. Le femmine
della prima generazione filiale quindi ricevono un cromosoma X con
il gene occhi rossi dalla madre e uno con il gene occhi bianchi dal
padre, ma hanno un fenotipo occhi rossi perché è un carattere
dominante.
I maschi invece ricevono un unico cromosoma X dalla madre con il
gene occhi rossi, e hanno quindi anch’essi gli occhi rossi.
EREDITÀ LEGATA AL SESSO
L’eredità legata al sesso è dovuta a geni localizzati sui cromosomi
del sesso ed è suddivisibile in ereditarietà legata all’X ed
ereditarietà legata all’Y.
Nell’uomo i caratteri legati al cromosoma Y:
• possono essere ereditati solo per via paterna;
• sono presenti solo in individui maschi e non sono mai trasmessi
alla progenie femminile;
• sono sempre trasmessi a tutti gli individui della progenie maschile;
• si manifestano sempre a livello fenotipico.
I caratteri legati al cromosoma X invece:
• possono essere ereditati sia per via paterna che per via materna:
per via paterna sono trasmessi a tutte le figlie femmine e a
nessun figlio maschio; mentre per via materna (da madre
eterozigote) sono trasmessi al 50% dei figli a prescindere dal loro
sesso;
• sono presenti sia negli individui maschi che nelle femmine;
• nei maschi si manifestano sempre a livello fenotipico
indipendentemente dal fatto che questo allele sia dominante o
recessivo, poiché un maschio possiede un solo allele di un gene
situato sul cromosoma X;
• nelle femmine, per valutare il fenotipo risultante, è necessario
considerare se l’allele in questione sia dominante o recessivo
rispetto all’allele portato dall’altro cromosoma X.

CARATTERI MULTIFATTORIALI
I caratteri studiati da Mendel sono caratteri monofattoriali (controllati
da un singolo gene), esistono però anche i caratteri multifattoriali
(peso, statura, colore della pelle ecc.) Si tratta di caratteri
complessi, controllati in parte dall’ambiente e in parte dai geni.
Relativamente alla componente genetica, il fenotipo è il risultato
dell’interazione di più geni (eredità poligenica).

MALATTIE LEGATE AL SESSO


Le malattie legate al sesso, sono tutte quelle malattie provocate da
geni localizzati sui cromosomi sessuali. Le più note malattie
genetiche legate al sesso sono l’emofilia e il daltonismo.
• EMOFILIA: è una malattia nel meccanismo di coagulazione del
sangue che provoca sanguinamento prolungato delle ferite. Si
conoscono due forme principali di questa malattia (A e B) dovute
agli alleli recessivi di due geni localizzati sul cromosoma X che
controllano due diverse tappe del meccanismo di coagulazione
del sangue.
Dato che l’allele responsabile della malattia è recessivo, nel sesso
femminile si manifesta solo nella condizione omozigote recessiva,
mentre nei maschi il cui cromosoma X porta quell’allele si
manifesta sempre;
• DALTONISMO: è dovuto ad un’alterazione delle strutture
fotosensibili della retina. Anche il daltonismo è legato ad un gene
localizzato sul cromosoma X, dunque anche in questo caso la
malattia si manifesta soprattutto nei maschi.

MALATTIE AUTOSOMICHE
Le malattie autosomiche, sono tutte quelle malattie dovute a geni
localizzati sugli autosomi.
Le malattie dovute a un gene dominante si manifestano sia
nell’individuo omozigote dominante che nell’eterozigote, mentre
quelle dovute ad un gene recessivo si manifestano solo
nell’individuo omozigote recessivo, mentre l’eterozigote è portatore
sano.
Alcuni esempi di malattie autosomiche dominanti sono
acondroplasia, corea di Huntington, brachidattilia.
Alcuni esempi di malattie autosomiche recessive sono albinismo,
alcaptonuria, fenilchetonuria, galattosemia, fibrosi cistica.

ANALISI DEL PEDIGREE


Per identificare, nell’uomo, le caratteristiche di ereditarietà di un
certo carattere, o le modalità con cui una malattia ereditaria viene
trasmessa da una generazione all’altra, si studiano gli alberi
genealogici, detti anche pedigree.
Il pedigree è la rappresentazione schematica del modo in cui una
malattia compare in una famiglia: devono essere raccolte e
rappresentate le informazioni relative alla generazione dell’individuo
in esame, includendo il maggior numero di parenti.
Dall’analisi di questi alberi genealogici si può stabilire se una certa
malattia è legata ai cromosomi sessuali oppure autosomici, se si
tratta di un carattere dominante oppure recessivo, inoltre si
possono anche ricostruire i genotipi degli individui considerati per
stabilire quali sono i portatori sani e quali le probabilità, per un certo
individuo, di avere figli affetti dalla malattia in esame.
Per analizzare un albero genealogico è importante tenere presenti
alcune regole:
• un carattere autosomico si manifesta con ugual frequenza in
entrambi i sessi, mentre un carattere portato dai cromosomi
sessuali compare con frequenza diversa nei maschi e nelle
femmine;
• un carattere autosomico dominante si manifesta in tutte le
generazioni e ogni individuo affetto ha un genitore affetto;
• un carattere autosomico recessivo non si manifesta in tutte le
generazioni e gli individui affetti hanno generalmente genitori sani
eterozigoti (portatori sani).

Il pedigree viene realizzato utilizzando simboli specifici per i maschi


e le femmine, sani oppure affetti.

GRUPPI SANGUIGNI UMANI


I vari gruppi sanguigni differiscono tra loro per la presenza di
particolari antigeni e anticorpi nel sangue. L’appartenenza a un dato
gruppo sanguigno va tenuta presente, quando si effettuano le
trasfusioni di sangue.
Nell’uomo, i più importanti gruppi sanguigni sono il sistema AB0 e
Rh:
• SISTEMA AB0: Il sistema AB0 considera la presenza/assenza,
sulla membrana dei globuli rossi, degli antigeni A e B, e la
corrispondente presenza/assenza nel plasma di anticorpi contro
gli antigeni A e B.
Su questa base si distinguono i gruppi sanguigni 0, A, B e AB.
Sui globuli rossi di un individuo di gruppo A, per esempio, si
trovano antigeni di tipo A e nel plasma anticorpi anti-B;
Sui globuli rossi di un individuo di gruppo B si trovano antigeni di
tipo B e nel plasma anticorpi anti-A;
Sui globuli rossi di individui di gruppo 0, invece, non si trovano
antigeni A né B, e nel plasma si trovano anticorpi anti-A e anti-B.

GRUPPO ANTIGENI ANTICORPI NEL


PLASMA
A A ANTI-B
B B ANTI-A
AB AeB NESSUNO
O NESSUNO ANTI-A e ANTI-B

- Un individuo di gruppo 0 è quindi un donatore universale


perché non possiede alcun antigene sui globuli rossi, avendo
però anticorpi contro gli antigeni A e B può ricevere sangue solo
dagli individui con gruppo sanguigno 0;
- Un individuo di gruppo A può ricevere sangue solo dagli individui
con gruppo sanguigno A e 0, può donare invece ad individui con
gruppo sanguigno A e AB;
- Un individuo di gruppo B può ricevere sangue solo dagli individui
con gruppo sanguigno B e 0, può donare invece ad individui con
gruppo sanguigno B e AB;
- Un individuo di gruppo AB è considerato acettore universale
perché avendo sui globuli rossi sia l’antigene A che l’antigene B
non possiede alcun anticorpo contro questi antigeni e può quindi
ricevere sangue da ogni tipo di gruppo sanguigno, al contrario
può però donare sangue solo ad individui con gruppo sanguigno
AB.
• SISTEMA Rh: I gruppi sanguigni A, B, AB e 0 vengono a loro
volta suddivisi in Rh+ e Rh-, in base alla presenza o meno sui
globuli rossi dell’antigene Rh. Un individuo di un qualsiasi gruppo
sanguigno quindi, se presenta anche l’antigene Rh risulta essere
Rh+, se non lo presenta allora è Rh-.
Il gruppo è determinato dalla combinazione di due alleli dello
stesso gene D (dominante) e d (recessivo). In altre parole, un
individuo di genotipo DD oppure Dd possiede l’antigene Rh ed è
quindi Rh+, mentre un individuo di genotipo dd non possiede
l’antigene Rh ed è quindi Rh-.
La conoscenza del proprio gruppo Rh e di quello del partner é
importante in caso di gravidanza, per prevenire eventuali
complicazioni dovute a incompatibilità sanguigna tra madre e feto.
I casi a rischio sono le madri Rh-, in cui la presenza di un
eventuale feto Rh+ provoca la produzione di anticorpi anti-Rh
che, entrando in contatto con i i globuli rossi fetali attraverso la
placenta, possono determinare emolisi (distruzione dei globuli
rossi), causando quindi dei danni al feto. Questo fenomeno è
detto eritroblastosi.

DETERMINAZIONE GENETICA DEL SISTEMA AB0


La presenza degli antigeni A e B sui globuli rossi umani è
determinata da un sistema di tre alleli, IA, IB e I0. Gli alleli IA e IB
sono dominanti rispetto a I0 e codominanti tra loro.
Dato che IA e IB presentano codominanza, negli eterozigoti (IA IB) i
due alleli si manifestano entrambi, presentando gruppo sanguigno
AB.
Negli eterozigoti (IA I0) invece, si manifesta gruppo sanguigno A
perché l’allele IA è dominante rispetto all’allele I0.

GENOTIPO GRUPPO
I0 I0 O
IA IA A
IA I0 A
IB IB B
IB I0 B
IA IB AB
CAPITOLO 5
GENETICA MOLECOLARE
La genetica molecolare studia i meccanismi chimici che permettono
l’espressione delle informazioni genetiche in un individuo e la
trasmissione dei caratteri ereditari da un individuo ai propri
discendenti. L’unità base dell’eredità è rappresentata dal gene, che
viene definito come il tratto di DNA responsabile della
determinazione di uno specifico carattere.

IL DNA
L’acido
desossiribonucleico,
più comunemente
conosciuto come DNA, è
un polimero organico
costituito da monomeri
chiamati nucleotidi, e al
suo interno sono
contenute le informazioni
genetiche.
Nei primi anni ‘50, James
Watson e Francis Crick,
analizzando tutti i dati
allora disponibili,
individuarono la struttura
tridimensionale del DNA
delineando il noto
modello della doppia
elica.
DUPLICAZIONE DEL DNA
Per poter essere trasmesso ai discendenti, il materiale genetico,
cioè il DNA, deve essere in grado di duplicarsi. Il processo di
duplicazione del DNA ha luogo prima che una cellula si divida ed è
chiamato replicazione. Al momento della replicazione, i due
filamenti della doppia elica si separano come in una cerniera lampo
grazie alla rottura dei legami a idrogeno tra le basi appaiate.
Ciascun filamento può così funzionare come stampo per la nascita
di un nuovo filamento a esso complementare.

La replicazione del DNA è definita semiconservativa poiché


ognuna delle due molecole figlie di DNA è costituita da un filamento
del DNA parentale e da un filamento sintetizzato ex novo.
Il processo di replicazione avviene in maniera diversa nei procarioti
e negli eucarioti: nelle cellule procariotiche vi è un unico punto di
origine della replicazione e il processo avviene nel citoplasma,
mentre in quelle eucariotiche la replicazione avviene nel nucleo e vi
sono diversi punti di origine in ogni cromosoma.
Il gruppo di enzimi noti come DNA polimerasi è in grado di
individuare l’eventuale aggiunta di un nucleotide sbagliato al
filamento in costruzione, in caso di errore l’enzima inverte la sua
direzione di marcia rimuovendo i nucleotidi uno a uno fino ad
arrivare al punto del nucleotide sbagliato. Anche altri enzimi,
chiamati nucleasi di restauro del DNA, hanno il compito di
eliminare eventuali errori rimasti dopo la replicazione: scorrendo
lungo la doppia elica, individuano i nucleotidi sbagliati e li
sostituiscono con quelli corretti.

L’IPOTESI UN GENE-UN ENZIMA


Con il termine mutazione si intende un cambiamento
nell’informazione genetica di un organismo e si definiscono mutanti
tutti gli organismi che presentano una mutazione.
Studiando i mutanti della comune muffa del pane, gli studiosi
Beadle e Tatum dimostrarono che per ciascun gene mutato, c’era
un corrispondente enzima funzionante in modo anomalo.
Sulla base dei loro esperimenti formularono quindi l’ipotesi un
gene-un enzima, secondo la quale un determinato gene è
responsabile della sintesi di un determinato enzima, cioè codifica
per quell’enzima.
Questa ipotesi fu in seguito modificata in un gene-una proteina,
perché non tutte le proteine sono enzimi.
Successivamente, poiché le proteine possono essere costituite da
più di una subunità (ossia da più catene polipeptidiche), questa
ipotesi venne modificata in un gene-una catena polipeptidica.

IL RUOLO DELL’RNA
Una volta individuata la relazione esistente fra i geni e le
corrispondenti proteine, restava da chiarire come un gene, che è
contenuto nel nucleo ed è costituito da solo quattro tipi di nucleotidi,
potesse dar luogo a una catena polipeptidica che è invece
sintetizzata nel citoplasma ed è costituita da venti tipi di
amminoacidi.
Il passaggio dei geni alle proteine è reso possibile dall’intervento
dell’acido ribonucleico (RNA), un acido nucleico diverso dal DNA,
ma formato anch’esso da una sequenza lineare di nucleotidi.
Il messaggio contenuto in un gene viene copiato sotto forma di
RNA, nel nucleo, in un processo chiamato trascrizione. L’RNA si
trasferisce poi dal nucleo al citoplasma, dove il messaggio che esso
trasporta viene usato per sintetizzare una proteina in un processo
chiamato traduzione.
Il flusso dell’informazione biologica va dunque sempre dal DNA
all’RNA alle proteine.
Questa sequenza è stata definita dogma centrale della biologia
molecolare.

STRUTTURA E FUNZIONE DELL’RNA


L’RNA differisce dal DNA per alcune caratteristiche:
• lo zucchero pentoso è il ribosio anzichè il desossiribosio;
• è costituito da un filamento singolo anziché da una doppia elica;
• contiene quattro basi azotate, tre delle quali (A, G e C) uguali a
quelle del DNA e una diversa: al posto della timina si trova infatti
l’uracile (U), che al pari della timina si appaia con l’adenina;
• negli eucarioti l’RNA è sintetizzato nel nucleo, ma svolge i suoi
compiti nel citoplasma.

Esistono tre tipi diversi di RNA, ciascuno dei quali partecipa alla
sintesi delle proteine:
• RNA messaggero (mRNA): trasporta l’informazione genetica dal
DNA al citoplasma, dove vengono sintetizzate le proteine;
• RNA ribosomiale (rRNA): è un elemento costitutivo dei ribosomi;
• RNA di trasporto (tRNA): durante la sintesi proteica, trasporta gli
amminoacidi liberi nel citoplasma ai ribosomi e serve per tradurre
l’informazione contenuta nella sequenza di nucleotidi dell’mRNA
in una sequenza di amminoacidi.

TRASCRIZIONE
La trascrizione è il processo mediante il quale l’informazione
contenuta in un gene viene copiata in una molecola di mRNA. La
sintesi dell’mRNA è catalizzata da un gruppo di enzimi, il più
importante dei quali è l’RNA polimerasi, che copia
in direzione 5’— > 3’ il filamento di DNA stampo secondo le regole
di appaiamento delle basi.
Sia nei procarioti che negli eucarioti, la RNA polimerasi si lega
inizialmente al promotore di un gene, che l’enzima riconosce come
inizio del gene e che determina quale dei due filamenti di DNA sarà
trascritto. La trascrizione vera e propria inizia dopo il promotore
(quest’ultimo infatti non viene trascritto), e a differenza della
replicazione, viene copiato uno solo dei due filamenti di DNA. Una
volta copiato tutto il gene, l’enzima si lega al terminatore di un
gene, che ne segnala la fine. Come nella replicazione, il nuovo
filamento di RNA sintetizzato è complementare, e non identico, al
tratto di DNA stampo da cui è stato copiato.
Nei procarioti la trascrizione avviene nel citoplasma e l’mRNA
neoprodotto può essere utilizzato immediatamente per la sintesi
proteica, negli eucarioti invece la trascrizione ha luogo nel nucleo e
l’mRNA deve essere modificato prima di migrare nel citoplasma.

IL CODICE GENETICO
Il codice genetico è un insieme di regole che collega la sequenza
di basi nel DNA alla successione di amminoacidi nelle proteine.
Le principali caratteristiche del codice genetico sono:
• Il codice è a triplette, ogni amminoacido è codificato da tre
nucleotidi detti codoni. Le triplette totali sono 64, e sono infatti 64
le possibili combinazioni a tre a tre delle 4 basi del DNA,
sufficienti a codificare i 20 amminoacidi;
• Il codice contiene un segnale di inizio della sintesi proteica,
rappresentato dal codone AUG;
• Il codice contiene dei segnali di fine lettura, rappresentati da tre
codoni di stop;
• Il codice non è ambiguo, poiché un codone specifica sempre un
unico amminoacido. Per esempio il codone AUU codifica sempre
l’isoleucina;
• Il codice è ridondante, cioè più codoni codificano per uno stesso
amminoacido, per esempio i codoni GCU, GCC, GCA e GCG
codificano tutti per l’alanina;
• Il codice è universale, cioè è valido per tutti gli organismi, con
pochissime eccezioni;
• Il codice è lineare, è letto in gruppi successivi di tre nucleotidi
senza sovrapposizioni;
• Il codice è senza segni di interpunzione, non vi sono segnali
che indicano dove inizia e dove finisce un nucleotide.

SINTESI PROTEICA (TRADUZIONE)


Il processo di sintesi proteica è noto anche come traduzione del
messaggio genetico, poiché appunto l’informazione genetica scritta
sotto forma di successione di nucleotidi viene tradotta in una
successione di amminoacidi nelle proteine. La sintesi proteica ha
sede sui ribosomi che possiedono due importanti siti di legame: il
sito P (sito peptidilico) e il sito A (sito amminoacilico).
La sintesi di una proteina avviene in tre fasi:
• INIZIO: nella fase di inizio si ha la formazione di un complesso tra
l’mRNA, la subunità ribosomale minore e una molecola di tRNA
portante il primo amminoacido. L’amminoacido si appaia tramite il
suo anticodone al codone di inizio e va ad occupare il sito P;
• ALLUNGAMENTO: nella fase di allungamento della traduzione,
che è un processo ciclico, gli amminoacidi vengono aggiunti uno
alla volta alla catena polipeptidica in crescita. L’allungamento
inizia con l’inserimento nel sito A di un amminoacil-tRNA con un
anticodone complementare a quello del secondo codone
dell’mRNA. A questo punto si forma il legame peptidico tra i primi
due amminoacidi e contemporaneamente il tRNA che occupava il
sito P esce dal ribosoma, che si sposta quindi di un codone lungo
l’mRNA (in direzione 5’ a 3’), in modo da lasciare il posto al
secondo tRNA con i due amminoacidi attaccati. Il processo si
ripete continuamente, sino a che la catena polipetidica è
completa;
• TERMINAZIONE: quando il ribosoma arriva a uno dei tre codoni
di stop, a cui non corrisponde nessun tRNA, si ha la terminazione.
La traduzione si interrompe, la proteina si stacca dal tRNA che
abbandona il sito P, e le due subunità del ribosoma si dissociano.
La sintesi proteica, al contrario di quanto si possa pensare,
richiede solo pochi secondi.

MUTAZIONI
Una mutazione è un cambiamento improvviso del patrimonio
ereditario.
In base al suo effetto, una mutazione può essere definita
vantaggiosa se aumenta la probabilità di sopravvivenza
dell’individuo che la possiede, svantaggiosa se la diminuisce, e
neutra se non la modifica.
Le mutazioni vengono suddivise in mutazioni geniche,
cromosomiche e genomiche, a seconda che l’alterazione riguardi
un singolo gene, la struttura o il numero di cromosomi.
• MUTAZIONI GENICHE: consistono in una variazione della
sequenza nucleotidica del DNA. Le mutazioni più semplici
interessano un singolo nucleotide e sono dette mutazioni
puntiformi. Queste mutazioni possono comportare la sostituzione
di un nucleotide con un altro oppure la perdita o l’aggiunta di un
nucleotide.
- La perdita e l’aggiunta di un nucleotide hanno come effetto lo
spostamento della griglia di lettura e sono dette mutazioni
frame-shift. Tali mutazioni sono quasi sempre responsabili di
effetti molto gravi, dovuti alla produzione di una proteina
completamente priva di attività biologica;
- La sostituzione di un nucleotide può dare origine a tre tipologie
diverse di mutazioni:
1. mutazione silente: se viene prodotto un codone sinonimo;
2. mutazione missenso: se un codone codifi ca un amminoacido
diverso da quello originario;
3. mutazione non senso: se la mutazione dà origine a un codone
di stop, in questo caso la sintesi della proteina termina
prematuramente.
• MUTAZIONI CROMOSOMICHE: sono la causa di alcune malattie
umane e comprendono la delezione (perdita di un segmento di
cromosoma), la duplicazione (ripetizione di un segmento di
cromosoma), l’inversione (rotazione di 180º di un segmento di
cromosoma) e la traslocazione reciproca (scambio reciproco di
parti tra cromosomi non omologhi).
• MUTAZIONI GENOMICHE: sono anomalie nel numero dei
cromosomi. Esse comprendono le aneuploidie, in cui vengono
persi o aggiunti uno o più cromosomi, e le poliploidie che
comportano l’acquisto di interi assetti cromosomi. Nell’uomo, la
poliploidia non è compatibile con la vita, le principali aneuploidie
sono invece la trisomia e la monosomia.

GLI AGENTI MUTAGENI


Anche se le mutazioni sono eventi spontanei, la loro frequenza può
essere aumentata da fattori chimici o fisici, detti agenti mutageni.
Sono mutageni fisici i raggi ultravioletti, i raggi X e le radiazioni
emesse dai materiali radioattivi.
Sono mutageni chimici alcuni pesticidi e diserbanti.
REGOLAZIONE DELL’ESPRESSIONE GENICA
Tutte le cellule possiedono moltissimi geni, ma non vengono mai
espressi tutti contemporaneamente. Ogni cellula, infatti, svolge le
sue attività in modo economico e coordinato, traducendo in proteine
solo i geni necessari a seconda delle circostanze.
La regolazione dell’espressione genica avviene con modalità
diverse a seconda che l’organismo sia procariote oppure eucariote.
• NEI PROCARIOTI: Negli organismi procarioti, la regolazione
dell’espressione genica avviene a livello della trascrizione, cioè
vengono trascritti in mRNA solo i tratti di DNA corrispondenti alle
sequenze geniche che devono essere tradotte in proteine.
La trascrizione é controllata da specifi che proteine di regolazione,
che possono agire da repressori (quando bloccano la
trascrizione del gene) o da attivatori (quando facilitano la
trascrizione del gene).
Il sistema più noto di regolazione genica nei procarioti è
rappresentato dal modello dell’operone, individuato da Jacob e
Monod.
Un operone è un tratto del cromosoma batterico costituito da un
promotore (sito di attacco dell’RNA polimerasi), un operatore
(breve sequenza di basi a cui si lega la proteina repressore
codifi cata da un gene regolatore), e geni strutturali.

Sono noti due tipi di operoni: operoni inducibili e operoni


reprimibili.
- Gli operoni inducibili normalmente non sono espressi perché il
repressore è legato all’operatore, e questo impedisce all’RNA
polimerasi di legarsi al promotore per trascrivere i geni strutturali.
La trascrizione degli operoni inducibili richiede la presenza di una
sostanza chiamata induttore che, legandosi al repressore forma
un complesso repressore-induttore che si stacca dall’operatore,
permettendo all’RNA polimerasi di legarsi al promotore e di
iniziare la trascrizione e consentendo di conseguenza
l’espressione degli operoni inducibili.
I geni strutturali codificano in genere per una serie di enzimi e
l’induttore è di solito il substrato su cui questi agiscono. Grazie a
questo sistema, gli enzimi vengono sintetizzati solo quando è
presente il loro substrato (il loro induttore) e quindi solo quando
sono effettivamente necessari.

- Gli operoni reprimibili sono invece normalmente espressi,


tranne quando è presente un corepressore, che attiva il
repressore. In un operone reprimibile, il repressore è
normalmente inattivo e l’operone viene perciò trascritto
regolarmente. Il repressore rimane inattivo finchè non si lega a
un corepressore, formando con esso un complesso repressore-
corepressore che si lega all’operatore, impedendo all’RNA
polimerasi di trascrivere i geni strutturali dell’operone.
• NEGLI EUCARIOTI: La regolazione dell’espressione genica negli
eucarioti è diversa e più articolata di quella dei procarioti. L’mRNA
appena trascritto, subisce un processo di elaborazione prima di
essere trasportato nel citoplasma per la traduzione, e la
regolazione dell’espressione genica non avviene solo a livello
della trascrizione, ma si consuma in diverse fasi.
Se, nei procarioti, il controllo dell’espressione genica serve
essenzialmente per produrre le proteine di volta in volta
necessarie per utilizzare i nutrienti disponibili nell’ambiente, negli
eucarioti pluricellulari è indispensabile per permettere il
differenziamento.
Le diverse fasi che gli organismi eucarioti subiscono per la
regolazione dell’espressione genica sono:
- controllo conformazionale: la cromatina si presenta in due
forme, l’eucromatina, troppo compatta e inaccessibile all’RNA
polimerasi e per questo non viene trascritta, e l’eucromatina, più
accessibile come stampo e per questo viene trascritta;
- controllo della trascrizione: come nei procarioti, la trascrizione
selettiva dei geni è il principale meccanismo di regolazione
dell’espressione genica. Questo controllo coinvolge proteine
regolatrici che si legano a siti specifi ci sulla molecola del DNA,
però avviene con modalità molto più complesse di quelle viste
per i procarioti. Per cominciare, la RNA polimerasi si lega al
promotore, la trascrizione però dipende dalla presenza degli
enhancer (intensifi catori) e dei silencer. La regolazione della
trascrizione coinvolge proteine regolatrici dette fattori di
trascrizione, che si legano al DNA in corrispondenza dei siti
appena visti e possono fungere da attivatori o da inibitori;
- controllo della maturazione e del trasporto dell’RNA: la
regolazione dell’espressione genica si può attuare attraverso la
maturazione selettiva degli RNA precursori, i trascritti primari di
mRNA modifi cati migrano nel citoplasma, mentre quelli non
maturi restano nel nucleo e sono poi degradati. Lo stesso
trascritto primario di mRNA può essere elaborato in maniere
differenti e producendo così più di una proteina a partire da un
unico mRNA;
- controllo della traduzione: si attua attraverso il legame
dell’mRNA e proteine inibitrici presenti nel citoplasma, che si
legano alla sua estremità 5’, impedendo il legame con il
ribosoma;
- controllo delle modificazioni post-traduzionali: l’attivazione
delle proteine sintetizzate, e la durata della loro vita nella cellula,
dipendono in gran parte da modifi cazioni che le catene
polipeptidiche subiscono una volta sintetizzate.

ASPETTI PARTICOLARI DEL GENOMA DEGLI EUCARIOTI


Sorprendentemente, la maggior parte del DNA eucariotico sembra
essere in eccesso (o forse ha una funzione ancora sconosciuta): si
pensa infatti che solo il 7% del DNA codifichi effettivamente per le
proteine; il restante del DNA invece, per una parte è inglobato nei
geni sotto forma di introni, mentre dall’altra parte è disperso nel
genoma sotto forma di un gran numero di sequenze ripetute,
probabilmente coinvolte nei processi di regolazione
dell’espressione.
Tutti i genomi eucariotici finora studiati, contengono trasposoni:
tratti di DNA che possono spostarsi da un punto all’altro del
cromosoma, modificando le sequenze originarie. La capacità di
spostarsi è dovuta alla presenza nel trasposone di un gene che
codifica per un enzima, la trasposasi, responsabile del movimento.
Se il trasposone però si inserisce in una sequenza di DNA
codificante può danneggiare gravemente la sequenza provocando
una mutazione che distrugge la capacità del gene di codificare una
proteina funzionale.
Ancora più grave è l’effetto se il trasposone si inserisce in una
regione di controllo, perché può provocare effetti drastici
sull’espressione di un certo gene.

I TELOMERI
I telomeri sono sequenze di nucleotidi ripetute, poste alle estremità
dei cromosomi. Queste sequenze hanno un ruolo protettivo in
quanto ogni volta che il DNA si replica, vanno persi brevi tratti di
DNA posti alle estremità del filamento. A ogni replicazione quindi, il
telomero si accorcia e dopo 50-70 divisori i telomeri sono ormai
troppo corti e la cellula muore.
Per quanto riguarda le cellule riproduttive e le cellule staminali
invece, è presente l’enzima telomerasi che ripristina sempre la
lunghezza originale del DNA. L’enzima telomerasi spesso è
presente nelle cellule tumorali, cui garantisce la possibilità di
replicazione illimitata e l’immortalità.

GENETICA DEI VIRUS


Un virus è fondamentalmente un aggregato di molecole organiche,
formato da una molecola di acido nucleico racchiusa in un involucro
di natura proteica. Un virus, per poter funzionare e moltiplicarsi,
deve penetrare in una cellula vivente.

I virus possono infettare solo le cellule che possiedono sulla propria


superficie determinati recettori.
Legatisi tramite le proteine del capside a questi recettori, i virus
possono entrare nelle cellule ospiti in modi diversi:
1. Iniettando nella cellula solo il proprio acido nucleico,
abbandonando il capside sulla superficie cellulare;
2. Entrando per intero nella cellula, liberando il loro acido nucleico
solamente una volta entrati.

Una volta penetrato all’interno della cellula ospite, il virus deve:


• replicare il proprio genoma;
• produrre i propri elementi costitutivi (proteine);
• autoassemblarsi.

La strategia adottata per la replicazione del genoma dipende dal


tipo di acido nucleico virale:
• Nei virus a DNA, il DNA virale si replica normalmente e viene
trascritto sotto forma di mRNA, che dirigerà poi la sintesi dei
costituenti virali utilizzando la DNA polimerasi, l’RNA polimerasi, i
nucleotidi e gli amminoacidi della cellula ospite;
• Nei virus a RNA, la situazione è diversa:
- in alcuni, l’acido nucleico è replicato da un enzima, detto RNA
replicasi, che sintetizza nuovo RNA utilizzando come stampo
l’RNA virale;
- in altri, chiamati retrovirus, l’RNA virale viene utilizzato come
stampo per copiare un singolo filamento di DNA complementare
(cDNA), mediante un enzima detto trascrittasi inversa,
penetrato nella cellula infettata insieme all’acido nucleico del
virus. Successivamente, il filamento di cDNA fa a sua volta da
stampo per la sintesi di un filamento complementare di DNA,
formando una doppia elica di cDNA. Questa si integra poi nel
genoma della cellula ospite e viene trascritta per dare mRNA e
nuove molecole di RNA virale.

Qualunque sia la strategia adottata, le informazioni contenute nel


genoma virale permettono di sintetizzare gli enzimi necessari per la
duplicazione dell’acido nucleico del virus, i costituenti del capside e
gli enzimi necessari per l’uscita delle nuove particelle virali della
cellula ospite. I costituenti virali vanno poi incontro a un processo di
autoassemblaggio che consente la produzione di centinaia di nuovi
virus.
CICLO LITICO E CICLO LISOGENICO DEI BATTERIOFAGI
Alcuni batteriofagi (virus che attaccano batteri), una volta penetrati
nella cellula ospite, possono dar luogo a due tipi di cicli:
• ciclo litico: è il normale ciclo riproduttivo virale, che porta alla
morte della cellula batterica e alla fuoriuscita da essa delle nuove
particelle virali;
• ciclo lisogenico: il batteriofago non uccide la cellula ospite, il suo
genoma infatti si integra nel cromosoma batterico e si replica
insieme a esso a ogni divisione cellulare, mentre il virus non
interferisce con il metabolismo dell’ospite. Il virus integrato nel
cromosoma batterico è detto profago e i batteri che contengono
profagi sono detti batteri lisogeni.

GENETICA DEI BATTERI


I batteri si riproducono in modo asessuato, per scissione binaria,
infatti prima di ogni divisione la loro molecola di DNA viene replicata
e le due molecole identiche che risultano sono distribuite alle due
cellule figlie. Con questo tipo di riproduzione, il materiale genetico
rimane sempre identico e può cambiare solo in seguito a mutazioni.
Esistono alcuni meccanismi che permettono di scambiare geni tra
cellule batteriche diverse e che prendono il nome di
trasformazione, trasduzione e coniugazione:
• TRASFORMAZIONE: è un processo mediante il quale un
frammento di DNA, presente nell’ambiente in seguito alla morte di
una cellula batterica, penetra in un altro batterio e si integra nel
suo genoma, sostituendo il tratto omologo nel suo DNA e creando
così una nuova combinazione di geni. Solo i batteri sulla cui
superfi cie cellulare sono presenti recettori per il DNA possono
inglobare DNA in questo modo, e tali batteri prendono il nome di
competenti;
• TRASDUZIONE: è un processo mediante cui alcuni batteriofagi
(virus che attaccano batteri), possono agire come vettori di geni,
trasportando geni batterici da una cellula a un’altra. Esistono due
tipi di trasduzione:
1. trasduzione generalizzata quando viene incorporato nel
capside un frammento qualsiasi del DNA dell’ospite;
2. trasduzione specializzata quando viene trasferito un
frammento di DNA batterico adiacente al punto di inserimento
del profago;
• CONIUGAZIONE: è un processo con il quale una cellula batterica
trasferisce porzioni di DNA ad un'altra tramite un contatto cellula-
cellula. In molti batteri, oltre alla molecola di DNA principale, sono
presenti piccole molecole circolari di DNA, chiamate plasmidi,
contenenti pochi geni che determinano caratteristiche utili alla
cellula, ma non indispensabili per la sopravvivenza. Durante la
coniugazione tra una cellula donatrice e una cellula ricevente, la
cellula donatrice replica il proprio plasmide e ne trasferisce una
copia alla cellula ricevente attraverso un pilo coniugativo, la
cellula ricevente si trasforma quindi in cellula donatrice
diventando così capace di coniugare a sua volta.

TECNOLOGIE DEL DNA


La tecnologia del DNA ricombinante (o ingegneria genetica)
permette di modificare in modo mirato il patrimonio genetico di un
organismo. Questo insieme di tecniche ha dato ai ricercatori la
possibilità di prelevare un gene da una cellula, di amplificarlo e di
studiarlo per determinare la sequenza di nucleotidi e di inserirlo
all’interno di molecole di DNA diverse e appartenenti anche ad un
altro organismo.
Gli organismi in cui sono stati incorporati geni estranei sono detti
organismi transgenici.

ENZIMI DI RESTRIZIONE E MAPPATURA DEL DNA


Per ottenere brevi tratti di DNA contenenti i geni che si vogliono
studiare si impiegano gli enzimi di restrizione (ne sono noti più di
300 diversi), enzimi in grado di tagliare il DNA in corrispondenza di
sequenze specifiche dette siti di restrizione.

Per separare e analizzare i frammenti di DNA ottenuti si utilizza


l’elettroforesi su gel: si pone il campione trattato e un enzima di
restrizione su un’estremità di una piastra ricoperta di gel, e si
applica un certo voltaggio (misura in volt della differenza di
potenziale elettrico o di tensione) ai due lati della piastra gelificata. I
frammenti di DNA carichi negativamente si muovono verso
l’elettrodo positivo a una velocità inversamente proporzionale alla
loro lunghezza. Dopo un po’ di tempo, i frammenti di DNA si
saranno distribuiti in diverse bande, ognuna comprendente
frammenti di lunghezza simile. La presenza di frammenti di
lunghezza diversa indica un’anomalia nel DNA, e sono indicati con
la sigla RFLP.

Tagliando invece un tratto di DNA con diversi enzimi di restrizione,


si ottengono frammenti di lunghezza diversa; confrontando la
lunghezza dei frammenti derivati da una certa regione di DNA
trattata con diverse combinazioni di enzimi di restrizione si può
costruire una mappa di restrizione, cioè una mappa di una
sequenza di DNA indicante la localizzazione dei siti di restrizione.

CLONAGGIO DI UN GENE
Il processo del clonaggio di un gene richiede 4 fasi:
• isolamento del gene che codifica la proteina che si vuole
produrre;
• costruzione del DNA ricombinante, cioè inserimento del gene nel
DNA vettore (il vettore è o il DNA di un plasmide o di un
batteriofago);
• introduzione del DNA ricombinante in una cellula ospite che si
moltiplichi attivamente;
• clonaggio del gene, cioè produzione di numerose copie del gene
grazie alla proliferazione della cellula ospite, e produzione della
proteina;
• recupero e purificazione della proteina.

La produzione del DNA ricombinante è resa possibile dagli enzimi


di restrizione. Un frammento di DNA tagliato con un determinato
enzima di restrizione può unirsi a un altro frammento di DNA
tagliato con lo stesso enzima, perché i due hanno estremità adesive
complementari. Le estremità adesive appaiate possono poi essere
saldate stabilmente da un enzima detto DNA ligasi.
Usando un opportuno enzima di restrizione e la DNA ligasi è
dunque possibile inserire qualsiasi tratto di DNA nel DNA di un
organismo diverso, ottenendo un DNA ricombinante.
Il DNA ricombinante contenente il gene che interessa viene quindi
introdotto in un batterio in grado di moltiplicarsi velocemente, nel
quale si comporta esattamente come il DNA originario: viene
duplicato al momento della riproduzione e viene trascritto,
successivamente l’mRNA corrispondente viene tradotto.
Grazie alla rapida proliferazione batterica, è possibile ottenere in
breve tempo da una singola cellula contenente il DNA ricombinante
un numero enorme di cellule figlie geneticamente identiche (cloni),
anch’esse dotate del gene estraneo. I batteri contenenti il gene
clonato possono produrre quindi la proteina a esso corrispondente,
esattamente come se fosse una proteina propria. Con questa
tecnica, i batteri funzionano dunque come “fabbriche in miniatura”,
in grado di produrre grandi quantità di proteine per noi preziose.

REAZIONE POLIMERASICA A CATENA


La reazione polimerasica a catena (o PCR) è una tecnica che
consente di produrre rapidamente in laboratorio un gran numero di
copie di un tratto di DNA che si vuole studiare, di cui sia nota,
almeno in parte, la sequenza nucleotidica.
Da una singola molecola di DNA, dopo un ciclo di PCR se ne
formano due, e in 30 cicli si ottengono circa 1 miliardo di copie, per
questo la PCR è stata paragonata ad una fotocopiatrice molecolare.
La procedura è rapida, ogni ciclo dura infatti pochi minuti e viene
effettuata in un termociclatore, un apparecchio che
automaticamente compie i cicli di PCR alle temperature
programmate.

La PCR viene principalmente utilizzata per:


• produrre una grande quantità di un certo gene che deve essere
studiato;
• individuare infezioni virali;
• ottenere l’impronta di DNA di una persona attraverso campioni
piccolissimi come un capello o una traccia di saliva;
• determinare il sesso negli embrioni.
INGEGNERIA GENETICA
L’ingegneria genetica è una tecnica utilizzata principalmente per far
produrre a cellule manipolate geneticamente (contenenti DNA
ricombinante) sostanze utili di interesse medico e agricolo.
• In campo medico sono state prodotte proteine come ormoni quali
l’insulina e l’ormone della crescita, indispensabili per la cura di
gravi malattie come il diabete e il nanismo. Anche il vaccino
contro l’epatite B viene attualmente prodotto grazie all’ingegneria
genetica, ed è in fase di studio la possibilità di ottenere con
questa tecnica un vaccino contro la malaria;
• In campo agricolo sono stati introdotti nelle piante tramite batteri
dei geni esogeni, questo fa si che le piante producano maggiori
quantità di sostanze utili e che siano più resistenti agli stress
ambuentali. L’impatto delle piante geneticamente modificate sulla
salute umana non è sempre prevedibile, soprattutto se sono
utilizzate nell’alimentazione. Un esempio di pianta geneticamente
modificata è la soia.
CAPITOLO 6
EVOLUZIONE, CLASSIFICAZIONE DEI VIVENTI ED ECOLOGIA
L’evoluzione è il processo di cambiamento e adattamento che porta
a un aumento della diversità genetica e allo sviluppo di nuove forme
di vita. All’interno di una popolazione biologica si può infatti avere
una mutazione dei caratteri trasmessi ereditariamente, e benché tali
mutazioni siano generalmente e singolarmente poco significative, il
loro lento accumularsi può portare alla comparsa di caratteristiche
nuove e prima non esistenti.

TEORIA EVOLUTIVA DI LAMARCK


Jean Baptiste de Lamarck ha proposto la prima teoria scientifica
dell’evoluzione, basata fondamentalmente su due leggi:
• LEGGE DELL’USO E DEL NON USO: gli organi che sono
intensamente usati si sviluppano, mentre quelli non utilizzati si
atrofi zzano. Gli organismi sono in grado di modifi care i propri
caratteri in risposta agli stimoli ambientali, tali modifi cazioni sono
dette caratteri acquisiti;
• LEGGE DELL’EREDITARIETÀ DEI CARATTERI ACQUISITI: i
caratteri acquisiti durante la vita dell’individuo possono essere
trasmessi alla progenie.

Secondo la teoria di Lumarck gli antenati delle giraffe erano


erbivori dal collo normale costretti a brucare le foglie degli
alberi e lo sforzo continuo per raggiungere le foglie più alte
avrebbe causato il graduale allungamento del collo
(carattere acquisito), e la trasmissione di questo carattere
alla prole avrebbe portato alla comparsa di giraffe con il
collo sempre più lungo.

Non vi sono però prove convincenti che dimostrino la validità della


teoria di Lamarck, che è stata negli anni smentita; tale teoria infatti
conserva un’importanza solo storica poiché è stato il primo tentativo
di spiegare scientificamente il processo dell’evoluzione.
TEORIA EVOLUTIVA DI DARWIN
Nel 1859 Charles Darwin pubblicò “L’origine della specie”, opera in
cui esponeva la propria teoria dell’evoluzione. Tale teoria può
essere sintetizzata in quattro punti principali:
• gli esseri viventi si riproducono generando organismi simili a se
stessi ma con delle differenze che sono, almeno in parte,
ereditabili;
• gli organismi producono una prole troppo numerosa rispetto alle
risorse disponibili per garantirne la sopravvivenza, e sono per
questo sempre in lotta tra loro per l’esistenza;
• quali organismi possano sopravvivere e riprodursi dipende dalle
interazioni fra questi e l’ambiente, e coloro che manifestano le
caratteristiche più adatte all’ambiente in cui si trovano,
sopravvivono e si riproducono permettendo la trasmissione delle
loro caratteristiche vantaggiose di generazione in generazione.
Questo processo è indicato come selezione naturale;
• la selezione naturale porta a un accumulo di cambiamenti tale da
differenziare i gruppi di organismi, permettendo la comparsa di
nuove specie.

DIFFERENZE TRA LA TEORIA DI DARWIN E QUELLA DI


LAMARCK
Le principali differenze evidenziate tra la teoria evolutiva di Darwin e
quella di Lamarck sono:
• per Lamarck l’ambiente ha un ruolo diretto nell’evoluzione,
determinando lo sviluppo dei caratteri acquisiti;
• per Darwin l’ambiente ha un ruolo indiretto poiché non provoca la
comparsa di caratteri nuovi, ma fa si che gli individui dotati di
caratteri che in quel determinato ambiente risultano “favorevoli”
sopravvivano portando avanti la propria discendenza, mentre
coloro in possesso di caratteri meno adatti a lungo andare si
estinguono;
• secondo Lamarck le variazioni sono indirizzate esclusivamente
verso adattamenti favorevoli;
• secondo Darwin la variabilità dei caratteri è casuale poiché
esistono caratteri sia favorevoli, sia neutrali, sia sfavorevoli ed è
poi l’ambiente a selezionare e a far sopravvivere più a lungo gli
individui con i caratteri più favorevoli.
Secondo la teoria di Darwin, gli antenati delle giraffe erano
animali dal collo mediamente corto, ma con una certa
variabilità per quanto riguarda alcune giraffe dal collo lungo;
quando l’erba della savana cominciò a scarseggiare, le
giraffe dal collo lungo riuscivano a raggiungere le foglie sui
rami degli alberi e a nutrirsi. Le giraffe dal collo lungo, grazie
a questo carattere favorevole, sono riuscite a sopravvivere e
a riprodursi trasmettendo tale caratteristica alla prole, a
differenza delle giraffe dal collo corto che si sono man mano
estinte.

PROVE DELL’EVOLUZIONE
Le prove a sostegno dell’evoluzione provengono da diverse
discipline, tra cui la paleontologia, la biogeografia, l’anatomia
comparata, l’embriologia comparata e la biologia molecolare:
• PALEONTOLOGIA: la paleontologia è la disciplina che analizza i
resti fossili e ha dimostrato che non tutte le specie attualmente
esistenti sulla Terra erano presenti anche in un lontano passato e
che, per contro, molte specie un tempo esistenti sono ormai
scomparse;
• BIOGEOGRAFIA: la biogeografi a studia la distribuzione delle
forme viventi nelle varie regioni del globo e ci ha permesso di
verifi care che nelle isole Galápagos sono presenti 14 specie di
uccelli riconoscibili come fringuelli, che però differenziano l’uno
dall’altro per quanto riguarda la forma e le dimensioni del becco,
in relazione al tipo di vita e al tipo di alimentazione. Dato che le
isole Galápagos sono sempre state separate dal continente
sudamericano, questa distribuzione suggerisce l’ipotesi che tutte
le specie derivino da pochi individui provenienti dal Sud America
che, giunti su una di queste isole, si sono adattati alle nuove
condizioni ambientali. A loro volta, anche alcuni fringuelli hanno
raggiunto le altre isole dell’arcipelago e si sono evoluti in direzioni
diverse a seconda delle condizioni ambientali, fi no a generare
specie diverse;
• ANATOMIA COMPARATA: l’anatomia comparata dimostra che gli
organismi appartenenti a uno stesso gruppo presentano sempre
molte somiglianze strutturali. Le zampe di due mammiferi come il
gatto e il cane presentano la stessa struttura di base, che
differenzia da quella di una mosca che è invece un insetto;
• EMBRIOLOGIA COMPARATA: l’embriologia è la disciplina che
studia lo sviluppo embrionale e ci ha permesso di verifi care che
gli stadi dello sviluppo embrionale degli organismi imparentati si
assomigliano, indicando un’origine evolutiva comune;
• BIOLOGIA MOLECOLARE: la biologia molecolare è la branca
della biologia che studia gli esseri viventi a livello dei meccanismi
molecolari e ci ha permesso di verifi care che maggiore è la
parentela evolutiva di due specie, maggiore è il grado di
somiglianza nella sequenza delle basi del loro DNA.

NEO-DARWINISMO (TEORIA SINTETICA DELL’EVOLUZIONE)


La teoria di Darwin fu contestata dai suoi contemporanei, perché
presentava due gravi lacune:
• non proponeva un meccanismo convincente per spiegare come i
caratteri ereditari fossero trasmessi da una generazione all’altra
(Darwin non conosceva i lavori di Mendel);
• non indicava quale fosse l’origine della variabilità dei caratteri.

I successivi sviluppi della genetica hanno consentito di individuare


nella mutazione e nella ricombinazione genetica che si verifica con
la riproduzione sessuata la fonte della variabilità ereditabile.
La moderna teoria dell’evoluzione prende il nome di neo-
darwinismo (o teoria sintetica dell’evoluzione).

BASI GENETICHE DELL’EVOLUZIONE


La popolazione è il soggetto dell’evoluzione poiché dal punto di
vista evolutivo, la specie è un gruppo troppo ampio per essere
considerato come un’entità unitaria, difatti una specie è costituita da
un insieme di popolazioni i cui membri non si incrociano
effettivamente con quelli di altre popolazioni, perché separati da
ostacoli di vario tipo. Gli individui di una popolazione vanno incontro
ad un destino evolutivo indipendente da quello di un’altra.
- Si definisce pool genico l’insieme di tutti gli alleli presenti negli
individui di una popolazione;
- Si definisce frequenza genica la frequenza relativa di un
particolare allele in una popolazione.
La legge di Hardy-Weinberg afferma che in una popolazione, le
frequenze alleliche e genotipiche non cambiano di generazione in
generazione, a patto che si rispettino le seguenti condizioni:
• popolazione di grandi dimensioni;
• accoppiamento casuale;
• assenza di fattori di disturbo.

Tale equilibrio è espresso dalla seguente equazione:

I fattori di disturbo che impediscono che la legge di Hardy-Weinberg


si verifichi sono detti fattori evolutivi e sono: mutazioni, selezione
naturale, flusso genico, deriva genetica e speciazione.

MUTAZIONI
Le mutazioni sono eventi casuali che provocano una variazione
ereditaria del genotipo. Dal punto di vista evolutivo, le mutazioni
sono responsabili della comparsa di nuovi alleli che possono
risultare favorevoli, neutri o sfavorevoli in base alle condizioni
ambientali in cui si trova una popolazione ed essere quindi eliminati
dal pool genico oppure essere mantenuti con una frequenza
costante.

SELEZIONE NATURALE
Secondo Darwin, la selezione naturale consiste nella sopravvivenza
degli individui più adatti. La selezione naturale modifica la
distribuzione delle caratteristiche del fenotipo di una popolazione
modificando in questo modo le frequenze alleliche poiché,
eliminando gli individui meno adatti a vivere in un certo ambiente,
causa l’eliminazione degli alleli non favorevoli.

In base al modo in cui si realizza, si distinguono tre tipi di selezione:


• la selezione stabilizzatrice è un processo che comporta
l’eliminazione degli individui con caratteri estremi. Questo tipo di
selezione opera in particolare quando l’ambiente è stabile e la
specie si è ben adattata. Difatti, se subentrassero mutazioni si
distruggerebbe l’equilibrio creato tra ambiente e popolazione, ed è
per questo che la selezione stabilizzatrice tende ad eliminare ogni
forma mutante, facendo si che la popolazione non si evolga. La
selezione naturale privilegerà pertanto la sopravvivenza e la
riproduzione di individui “medi”, una situazione che corrisponde
alla selezione stabilizzante;
• la selezione direzionale agisce quando gli individui di una
popolazione si trovano a fronteggiare dei cambiamenti ambientali
eliminando gli individui che sono troppo diversi dalle
caratteristiche che sono necessarie in questo nuovo ambiente e
privilegiando invece chi presenta caratteristiche favorevoli a
quell’ambiente;

Un classico esempio di selezione direzionale è dato dalla farfalla


Biston betularia. Questa farfalla ha l’abitudine di posarsi sui tronchi
di betulla e mostra due varianti di colore: una forma chiara e una
forma scura. Fino alla fine del XIX secolo, quasi tutti gli esemplari
erano di colore chiaro, adatto per mimetizzarsi sulla corteccia
chiara delle betulle e sfuggire così agli uccelli predatori. Negli anni,
a causa dell’inquinamento, i tronchi di betulle hanno sviluppato un
colore più scuro, permettendo alle farfalle dal colore scuro di
mimetizzarsi meglio rispetto a quelle dal colore chiaro. In poco più
di cinquant’anni, la selezione naturale innescata dal cambiamento
ambientale ha fatto si che le farfalle dal colore scuro passassero da
una frequenza del 20% ad una frequenza del 100%.

• la selezione divergente tende ad aumentare la frequenza delle


caratteristiche estreme di una popolazione a spese delle forme
intermedie. Questa forma di selezione porta al polimorfismo,
cioè alla coesistenza di due o più forme distinte in una
popolazione.

Un esempio di selezione divergente in atto può essere


rappresentato dalle piante cresciute in suoli contaminati. Le piante
che crescono su suoli non contaminati non riescono a sopravvivere
su suoli contaminati; piante della stessa specie che crescono su
suoli contaminati sono capaci di crescere su suoli non contaminati,
ma non riescono a competere con le piante già presenti sull’area
non contaminata. Questo dunque, fa si che entrambe le specie
sopravvivano senza eliminare l’altra.

Esiste in realtà una quarta forma di selezione, detta selezione


sessuale. Negli accoppiamenti fra animali, è la femmina che al
momento dell’accoppiamento opera una selezione fra i maschi della
popolazione. Negli uccelli per esempio, le femmine scelgono i
maschi con le piume più vistose oppure in grado di produrre il canto
più elaborato.

FLUSSO DI GENI DOVUTO A MIGRAZIONI


Le migrazioni di individui tra popolazioni possono causare una
variazione delle frequenze alleliche, in quanto comportano
l’ingresso o la perdita di alleli nelle popolazioni.

DERIVA GENETICA
La deriva genetica è una variazione delle frequenze geniche di una
popolazione, dovuta a fenomeni casuali, e non all’azione della
selezione naturale.
Per esempio, se alcuni individui si staccano da una popolazione
grande e vanno a fondare una nuova popolazione, non
necessariamente le frequenze alleliche dei nuovi individui
rispecchiano quelle della popolazione di origine. È quindi possibile
un cambiamento delle frequenze alleliche nella nuova popolazione
che si è formata, dovuto unicamente al caso. Questo effetto è detto
effetto del fondatore.
Altro esempio di deriva genetica è caratterizzato dal fenomeno
detto collo di bottiglia. Se a causa di una catastrofe ambientale
una popolazione viene ridotta ad un piccolo numero di
sopravvissuti, questi presentano in genere frequenze alleliche
diverse da quelle originarie, per motivi puramente casuali.
SPECIAZIONE
Il complesso di fenomeni che portano alla nascita di una nuova
specie prende il nome di speciazione. La condizione che da inizio
alla speciazione è l’isolamento genetico, diretta conseguenza
dell’isolamento riproduttivo tra due popolazioni di una data specie.
Esistono due tipi di speciazione:
• speciazione allopatrica: è il termine con il quale ci riferiamo ad
un isolamento riproduttivo dovuto ad un isolamento geografi co.
Se infatti una popolazione viene separata da un’altra da una
barriera geografi ca (per esempio un corso d’acqua), i due gruppi
cesseranno di scambiarsi geni e resteranno isolati dal punto di
vista riproduttivo. Una volta separati, sui loro pool genici agiranno
pressioni selettive diverse ed evolveranno indipendentemente
l’uno dall’altro. Se l’isolamento dura suffi cientemente a lungo, le
due popolazioni possono differenziarsi geneticamente al punto
tale che, anche se tornassero in contatto, non potrebbero più
incrociarsi. Vengono così a formarsi due nuove specie;
• speciazione simpatrica: è il termine con il quale ci riferiamo ad
un isolamento riproduttivo non dovuto ad un isolamento
geografi co. La speciazione simpatrica è molto comune nelle
piante.

I meccanismi di isolamento prezigotici, come differenze di


habitat oppure incompatibilità degli apparati riproduttivi,
impediscono la fecondazione tra organismi appartenenti a due
specie diverse;
I meccanismi di isolamento postzigotici riguardano invece il fatto
che gli ibridi fra due specie non sopravvivono, oppure vivono ma
non sono in grado di riprodursi.

Un ibrido è un individuo originato dall’accoppiamento tra due


individui di specie diversa. Normalmente (non sempre) sono sterili
perché i loro cromosomi non essendo omologhi, non possono
appaiarsi durante la meiosi.

La radiazione adattativa è un particolare fenomeno che si verifica


quando una specie va ad occupare un nuovo ambiente
scarsamente colonizzato, dando origine a numerose specie
diverse.

MODELLI DI EVOLUZIONE
L’evoluzione consiste nella comparsa e nell’affermazione di
organismi dotati di caratteristiche nuove.
• la microevoluzione consiste nei cambiamenti genetici che
interessano una popolazione e che, accumulandosi, portano
all’origine di una nuova specie;
• la macroevoluzione riguarda quei cambiamenti che insorgono
all’interno di gruppi superiori alla specie, come le estinzioni di
massa.

Si distinguono tre modelli di evoluzione:


1. evoluzione convergente: è il fenomeno per cui organismi che
vivono in condizioni ambientali simili sviluppano adattamenti
simili, pur non avendo alcuna parentela evolutiva. Questa forma
di evoluzione porta alla comparsa di strutture analoghe, cioè
strutture che hanno funzione simile ma origine evolutiva diversa.
- Il tonno e il delfino, pur essendo rispettivamente un pesce e un
mammifero, hanno una forma corporea simile perché vivono
nello stesso ambiente;
2. evoluzione parallela: è il processo in base al quale specie
imparentate evolvono in modo simile per lunghi periodi di
tempo, perché sottoposte alle stesse pressioni selettive.
- Sia il mammut e che l’elefante si sono evoluti da un antenato
comune e, nonostante il periodo geologico che li divide, i due
conservano una struttura simile;
3. evoluzione divergente: consiste nello sviluppo di
caratteristiche diverse in più popolazioni che condividono un
antenato comune. Questo fenomeno può portare alla
formazione di varietà diverse della stessa specie o addirittura
alla nascita di nuove specie.
- Le foche e i gatti, pur essendo entrambi mammiferi appartenenti
all’ordine dei carnivori, hanno un aspetto radicalmente diverso
perché vivono in ambienti differenti e hanno quindi subito
pressioni selettive diverse.
CLASSIFICAZIONE DEI VIVENTI
La classificazione degli organismi viventi è oggetto di studio della
sistematica e della tassonomia.
• La sistematica studia la diversità esistente fra gli organismi e le
loro relazioni evolutive;
• La tassonomia invece si occupa della classificazione dei viventi e
del loro ordinamento all’interno di diverse categorie.

Il primo sistema ordinato di classificazione è stato ideato da Carlo


Linneo suddividendo le categorie tassonomiche in: dominio, regno,
phylum (per gli animali) o divisione (per le piante), classe, ordine,
famiglia, genere e specie.

I CINQUE REGNI
La classificazione dei viventi è suddivisa in cinque regni: Monere,
Protisti, Funghi, Piante e Animali.

MONERE
Tutti gli organismi procarioti sono classificati nel regno delle
monere, che comprende organismi estremamente diversi.
Gli organismi appartenenti a questo gruppo possono essere
suddivisi in tre categorie principali:
1. fotoautotrofi: sintetizzano i composti organici a partire dalla
CO2, utilizzando la luce del sole come fonte di energia;
2. chemioautotrofi: sintetizzano i composti organici a partire dalla
CO2 e ricavano l’energia necessaria dall’ossidazione di
composti inorganici;
3. eterotrofi: assumono dall’ambiente i composti organici
necessari come fonte di energia e come elementi strutturali.
Il regno delle monere comprende due grandi gruppi di organismi: i
batteri e i cianobatteri.

PROTISTI
Il regno dei protisti comprende tutti gli organismi eucarioti che non
sono funghi, piante o animali. Sono prevalentemente unicellulari a
parte le alghe che possono essere anche pluricellulari.
La riproduzione può essere sia sessuata che asessuata, possono
essere parassiti interni o esterni e alcuni possono provocare gravi
malattie all’uomo come la malaria e la malattia del sonno.

FUNGHI
I funghi sono organismi eterotrofi per lo più pluricellulari, alcuni
unicellulari. Hanno il corpo a tallo, cioè non sono suddivisi in radici,
fusto e foglie.
Sono saprobi (o saprofiti) se si nutrono di materia organica morta,
oppure parassiti se si nutrono a spese di esseri viventi.
La maggior parte dei funghi si riproduce alternando la riproduzione
asessuata a quella sessuata. In base alle modalità di riproduzione
sessuata e alle strutture riproduttive i funghi sono divisi in quattro
gruppi: zigomiceti, ascomiceti, basidiomiceti e deuteromiceti.

PIANTE
Le piante sono organismi vegetali autotrofi pluricellulari, sono in
grado di sintetizzare le molecole organiche ridotte necessarie alla
vita, utilizzando anidride carbonica e acqua tramite il processo della
fotosintesi. Le loro cellule sono formate da parete cellulare. La
principale sostanza di riserva delle piante è l’amido.

Le piante possono essere distinte in due grandi categorie: piante


non vascolari (briofite) e piante vascolari (tracheofite).
• BRIOFITE: le briofi te, i cui più noti rappresentanti sono i muschi,
sono le più antiche piante terrestri ancora parzialmente dipendenti
dall’acqua e quindi confi nate in luoghi umidi e ombrosi. Hanno il
corpo a tallo e non possiedono un sistema di vasi conduttori
adibito al trasporto dei liquidi, per questo sono dette piante non
vascolari;
• TRACHEOFITE: sono piante perfettamente adattate alla
terraferma, grazie a una serie di strutture utili a garantire la
disponibilità d’acqua alla pianta e la protezione contro
l’essiccamento. La comparsa di tessuti differenziati permette di
ridurre la perdita d’acqua, la presenza di radici molto sviluppate
permette un effi ciente prelievo di acqua dal suolo, e un sistema di
vasi conduttori consente la distribuzione dell’acqua e dei sali
minerali a tutte le parti della pianta.
In base alla struttura degli organi riproduttivi si suddividono in
pteridofite e spermatofite:
- le pteridofite si riproducono mediante spore;
- le spermatofite si riproducono mediante seme.
I gameti femminili sono prodotti all’interno di un organo detto ovulo,
mentre i gameti maschili sono contenuti nel polline.
In base al fatto che l’ovulo sia scoperto oppure racchiuso in una
cavità, le spermatofite si dividono in gimnosperme e
angiosperme:
- le gimnosperme sono caratterizzate dalla presenza di ovulo
nudo, cioè non contenuto in un ovario. Dopo la fecondazione
l’ovulo si trasforma in seme, ma il fatto che manchi un ovario non
consente la formazione di un frutto. L’impollinazione è anemofila
(operata dal vento);
- le angiosperme sono caratterizzate dall’ovulo racchiuso in una
cavità detta ovario. Presentano due organi importanti, il fiore che
è responsabile della riproduzione, e il frutto che è responsabile
della dispersione dei semi. Dopo l’impollinazione e la
fecondazione, l’ovulo si trasforma in seme e l’ovario in frutto.
L’impollinazione è generalmente entomofila (operata da insetti).

Il corpo di una pianta (cormo) è costituito da tre organi


fondamentali: le radici, il fusto e le foglie:
• radice: fi ssa la pianta al suolo e provvede all’assunzione
dell’acqua e dei sali minerali dal terreno e al loro trasporto al
fusto;
• fusto: costituisce la struttura di sostegno della pianta, e
allungandosi da luogo a rami e foglie. La sua funzione principale è
di stabilire il collegamento tra l’apparato radicale e le foglie,
assicurando il trasporto di sostanze tra questi due organi;
• foglie: la loro funzione principale consiste nell’organicare il
carbonio mediante la fotosintesi. Dalle foglie viene inoltre
traspirata la maggior parte dell’acqua assorbita dalle radici.

Nel seme risiede l’embrione quiescente racchiuso in resistenti


involucri protettivi. L’embrione in questo stadio è già dotato delle
strutture tipiche della pianta adulta ed è pronto per germinare.
La germinazione corrisponde a quell’evento per cui, riscontrate le
condizioni opportune, l’apice del fusticino esce alla luce, si
trasforma in plantula e inizia la crescita.

ANIMALI
Il regno degli animali comprende organismi pluricellulari
eterotrofi. Gl animali sono formati da cellule prive di parete
cellulare e si riproducono prevalentemente in modo sessuato.
I principali phyla animali sono:

NON VERTEBRATI
• PORIFERI: sono individui (spugne) formati da semplici aggregati
di cellule che non costituiscono tessuti differenziati. Si ritrovano
sia in acqua dolce che salata e sono caratterizzati da numerose
cavità attraverso cui l’acqua entra e viene fi ltrata per raccogliere
particelle di cibo. Possono riprodursi sia in modo sessuato che
asessuato;
• CELENTERATI: sono invertebrati quasi esclusivamente marini
(meduse e coralli), caratterizzati da un rudimentale
differenziamento dei tessuti. Sono costituiti da un doppio strato di
cellule che delimita una cavità centrale dotata di una sola
apertura. Sono caratterizzati da simmetria raggiata. Si
riproducono sia per via asessuata che sessuata. La classe degli
scifozoi comprende le meduse, mentre la classe degli antozoi
comprende attinie e coralli;
• PLATELMINTI: sono chiamati anche vermi piatti e presentano
simmetria bilaterale e sviluppo di organi. Sono parassiti di uomini
e animali e presentano di conseguenza una regressione
dell’apparato digerente e di quello locomotore. Sono ermafroditi.
Appartengono a questo gruppo i cestodi, parassiti del tubo
digerente degli animali e dell’uomo;
• NEMATODI: sono vermi dotati di un tubo digerente completo
provvisto di due aperture, bocca e ano. Comprendono numerose
forme parassite, come l’ossiuro (comune verme intestinale dei
bambini), l’anchilostoma (si fi ssa alle pareti intestinali succhiando
sangue) e la trachinella (colpisce gli animali ma può contagiare
anche l’uomo se ingerisce carni infette);
• MOLLUSCHI: molti presentano una conchiglia calcarea, prodotta
da un tessuto sottostante chiamato mantello e si muovono per
mezzo di un robusto piede muscolare. Comprendono gasteropodi
(chiocciole), bivalvi (mitili e vongole), e cefalopodi (polpi, seppie e
calamari);
• ANELLIDI: sono detti anche vermi segmentati e comprendono i
lombrichi e le sanguisughe;
• ARTROPODI: comprendono il maggior numero di specie viventi
ed è considerato il più evoluto degli invertebrati. Sono
caratterizzati da un esoscheletro di chitina e dal corpo
generalmente diviso in tre parti (capo, torace e addome).
Comprendono aracnidi (ragni, scorpioni, acari), gli insetti e i
crostacei (gamberi, granchi, aragoste);
• ECHINODERMI: sono animali marini a simmetria pentaraggiata,
sono dotati di un sistema acquifero che è un sistema di canali
avente funzione locomotoria e respiratoria. Comprendono gli
asteroidi (stelle di mare), gli ofi uroidi (stelle serpentine) e gli
echinoidi (ricci di mare);
• CORDATI: sono animali a simmetria bilaterale e sono
caratterizzati dalla presenza della corda dorsale, una struttura
cilindrica di sostegno.

VERTEBRATI
• PESCI: sono formati da due classi (condroitti e osteitti) che
condividono alcuni caratteri comuni, tra cui la respirazione
mediante branchie, la temperatura del corpo variabile e il cuore
formato da due cavità e la circolazione sanguigna semplice.
- condroitti: i più noti animali appartenenti a questa classe sono
gli squali e le razze;
- osteitti: sono anche detti pesci ossei, caratterizzati dallo
scheletro di tessuto osseo.
• ANFIBI: hanno avuto origine da un gruppo di pesci che vivevano
nelle acque basse e potevano sopportare periodi in cui
scarseggiava l’acqua, grazie a una specie di polmone che
permetteva loro di respirare l’ossigeno atmosferico. Sono i primi
vertebrati ad aver conquistato le terre emerse, ma sono ancora
legati all’ambiente acquatico, in cui avvengono la riproduzione e
lo sviluppo. La fecondazione è esterna e avviene tramite
deposizione di uova nell’acqua, il loro cuore è formato da tre
cavità e hanno circolazione sanguigna doppia. Comprendono
urodeli (tritoni e salamandre), anuri (rane e rospi), e apodi;
• RETTILI: sono stati i primi vertebrati terrestri del tutto svincolati
dall’acqua e si diffusero nel Mesozoico attraverso forme terrestri,
acquatiche, oppure adattate al volo. Tutti i grandi rettili (dinosauri),
scomparvero 65 milioni di anni fa. Una delle principali “innovazioni
fi siologiche” che rendono i rettili del tutto indipendenti
dall’ambiente acquatico è rappresentata dagli adattamenti
dell’apparato riproduttore, ovvero uova racchiuse in un guscio
coriaceo e dotate di una cavità piena di liquido, la cavità
amniotica, che protegge l’embrione. Comprendono squamati
(serpenti, iguane e lucertole), cheloni (tartarughe) e coccodrilli;
• UCCELLI: costituiscono la classe di vertebrati comparsa più
recentemente come discendenti diretti dei dinosauri. La loro
caratteristica più appariscente è la capacità di volare;
• MAMMIFERI: si diffusero in seguito all’estinzione dei grandi rettili
ed è una classe suddivisa in tre gruppi:
- prototeri: sono oviperi e comprendono ornitorinco ed echidna;
- marsupiali: partoriscono prole viva ma i loro neonati, poco più
che embrioni, completano lo sviluppo all’interno del marsupio;
- placentati: sono dotati di placenta, organo che mette in relazione
madre e feto permettendo lo scambio di ossigeno, sostanze
nutritive e prodotti di rifi uto.

OMINAZIONE
L’ominazione è l’insieme degli eventi che hanno caratterizzato
l’evoluzione dell’uomo. L’ordine dei primati è comparso circa 60
milioni di anni fa con piccoli animali notturni che si nutrivano
mediante alimentazione insettivora. Le scimmie antropoidi
comparvero circa 20 milioni di anni fa. La separazione fra la linea
evolutiva dello scimpanzé e quella dell’uomo è invece molto
recente, circa 6 milioni di anni fa.
Le modificazioni più importanti avvenute sono state acquisizione
della postura eretta, liberazione degli arti superiori, pollice
opponibile, notevole aumento della capacità cranica e sviluppo del
cervello, variazioni nella forma della scatola cranica e denti.
L’evoluzione dell’uomo è stata così classificata: australopithecus
robustus, homo habilis, homo erectus, homo sapiens
neanderthalensis e homo sapiens sapiens.

FISIOLOGIA ANIMALE
Le funzioni principali degli animali sono:
• nutrizione: per sostenere le richieste di energia e materiali delle
proprie cellule, gli esseri viventi hanno bisogno di assumere
dall’esterno numerose sostanze organiche e inorganiche. Ciò è
permesso da due processi, digestione (degradazione delle grosse
molecole in componenti più semplici) e assorbimento (ingresso
nelle cellule dell’organismo dei prodotti della digestione);
• respirazione: è un processo che viene svolto nell’ambiente
acquatico tramite branchie, in quello terrestre tramite trachee e
polmoni;
• trasporto di gas e nutrienti: negli anellidi questo processo si
svolge mediante un vaso dorsale contrattile e un vaso ventrale.
Negli animali più complessi è presente un sistema circolatorio
aperto oppure un sistema chiuso.
Il sistema circolatorio aperto è tipico della maggior parte dei
molluschi e degli artropodi; il fl uido extracellulare viene pompato
da un cuore in ampie lacune che circondano i diversi organi, qui
avvengono gli scambi di sostanze nutritive e il fl uido circolatorio è
poi raccolto da vasi collettori e convogliato nuovamente verso il
cuore;
Il sistema circolatorio chiuso è tipico dei molluschi, dell’uomo e
di tutti i vertebrati; il sangue è contenuto all’interno dei vasi e lo
scambio tra i vasi e i tessuti è mediato dal liquido interstiziale;
• movimento: presuppone l’esistenza di muscoli e di uno scheletro,
e l’insieme di queste due componenti si chiama apparato
locomotore. Alcuni animali, come gli anellidi, hanno speciali
cavità corporee ripiene di liquidi che conferiscono al corpo
notevole rigidità, si parla in tal caso di scheletro idrostatico.
I molluschi e gli artropodi hanno sviluppato invece un
esoscheletro, cioè una struttura di sostegno esterna che funge
anche da rivestimento dell’organismo. La sua rigidità è però un
ostacolo per la crescita e l’animale deve subire varie fasi di muta,
rimuovendo il vecchio esoscheletro ormai stretto e sostituendolo
con uno nuovo. Nei vertebrati si trova invece l’endoscheletro;
• eliminazione dei rifiuti e osmoregolazione: gli esseri viventi
devono mantenere costante la quantità totale di acqua
nell’organismo e la concentrazione dei sali (osmoregolazione),
oltre a eliminare l’ammoniaca prodotta come rifi uto del
metabolismo delle proteine (escrezione). Osmoregolazione ed
escrezione sono funzioni associate, perché i rifi uti da eliminare
richiedono acqua per diluirli e ridurne la tossicità.

CATENE ALIMENTARI ED ENERGIA


Una catena alimentare è la successione con cui alcuni organismi si
alimentano di quelli che li precedono e costituiscono alimento per
quelli che li seguono.
Ogni catena alimentare è formata da tre
componenti fondamentali:
• produttori: organismi in grado di
trasformare semplici composti chimici
inorganici in sostanze organiche
(organismi autotrofi );
• consumatori: organismi eterotrofi che si
nutrono del materiale organico fornito dai
produttori, in modo diretto (consumatori
primari, erbivori) oppure indiretto
(consumatori secondari, carnivori che si
nutrono di erbivori, e consumatori terziari,
carnivori che si nutrono sia di erbivori che
di carnivori);
• decompositori: organismi che si nutrono
di organismi morti o delle deiezioni di
quelli vivi, degradando le sostanze
organiche complesse in molecole
semplici che potranno essere riutilizzate dai produttori.
Ciascun livello nutrizionale viene denominato livello trofico, e a
ogni livello trofico l’energia diminuisce in quanto viene in parte
dissipata dagli organismi che lo compongono, questa perdita è
espressa graficamente dalla piramide dell’energia.
Parallelamente alla diminuzione di energia, si ha una diminuzione di
biomassa, ogni livello trofico contiene perciò un numero di individui
inferiore a quello precedente, diminuzione rappresentata
graficamente dalla piramide delle biomasse.

CICLI BIOGEOCHIMICI
Gli atomi di molti elementi sono soggetti a un percorso ciclico.
Particolarmente importanti sono il ciclo del carbonio, dell’azoto e del
fosforo.

Il ciclo del carbonio si può suddividere in 4 stadi:


• l’anidride carbonica atmosferica viene utilizzata dalle piante
terrestri e marine e trasformata, tramite la fotosintesi, in composti
organici; le piante vengono poi mangiate dagli animali;
• l’anidride carbonica torna all’atmosfera in seguito ai processi di
ossidazione della sostanza organica e alle reazioni di
combustione;
• resti di alghe e gusci di animali marini formati da carbonati di
calcio, si accumulano sul fondo marino trasformandosi in rocce
calcaree;
• il carbonio incorporato nelle rocce calcaree ritorna in circolo in
seguito alle eruzioni vulcaniche che liberano anidride carbonica.

Il ciclo del fosforo si può suddividere in 4 stadi:


• le rocce contengono fosforo, grazie alla pioggia le rocce erodono
e il fosforo si diffonde nel terreno e nelle acque;
• le piante assimilano il fosforo e lo trasformano in composti
organici che vengono trasferiti agli altri organismi attraverso la
nutrizione delle piante stesse;
• il fosforo organico e inorganico ritorna nell’ambiente sotto forma di
escrezioni e resti di animali;
• i batteri trasformano il fosforo organico in fosforo inorganico che
può essere riutilizzato dalle piante.
Il ciclo dell’azoto si può suddividere in 5 stadi:
• assimilazione da parte delle piante di azoto inorganico assorbito
dal terreno e incorporato in composti organici, che vengono
trasferiti agli altri organismi attraverso la nutrizione delle piante
stesse;
• ammonificazione, ovvero l’azoto contenuto negli organismi morti o
nelle loro feci, viene trasformato in ammoniaca dai batteri del
suolo detti batteri ammonificanti;
• nitrificazione, ovvero l’azoto ridotto e derivante dalla degradazione
della sostanza organica, viene trasformato dai batteri in forme
ossidate di nitriti e nitrati, che lo rendono nuovamente disponibile
per i vegetali;
• fissazione dell’azoto atmosferico da parte dei batteri che lo
trasformano in azoto organico;
• denitrificazione, ovvero trasformazione da parte dei batteri di nitriti
e nitrati in azoto atmosferico.

INTERAZIONI TRA SPECIE


• competizione: interazione tra due gruppi di organismi che,
concorrendo per la stessa risorsa, si limitano reciprocamente. Se
agisce tra organismi di specie diverse è detta competizione
interspecifi ca, se agisce tra organismi della stessa specie è detta
competizione intraspecifi ca; Il principio di esclusione di Gause
afferma che in una comunità non possono coesistere due specie
aventi la stessa nicchia ecologica, poiché prima o poi una
soppianterà l’altra;
• predazione: processo per cui gli animali di una data specie, detti
predatori, si cibano di quelli di altre specie, detti prede;
• parassitismo: processo in base al quale una specie, il parassita,
vive sopra (ectoparassita) o dentro (endoparassita) un’altra
specie, l’ospite, utilizzandola come fonte di cibo;
• simbiosi: associazione stretta e spesso permanente tra
organismi di specie diversa, che può assumere due forme:
- commensalismo se una specie risulta avvantaggiata mentre
l’altra non è ne danneggiata ne favorita;
- mutualismo se entrambe le specie traggono vantaggio dalla
relazione.

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